Il PTSD nelle forze armate

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Il PTSD nelle forze armate
Il PTSD nelle forze armate
A cura di Cristina Gugliermetti
Come abbiamo definito in un precedente articolo il PTSD é “l’insieme delle
manifestazioni psicopatologiche conseguenti ad eventi estremi per l’individuo, che abbiano
messo in pericolo la vita di quest ultimo o delle persone a lui care”.
Le esposizioni prolungate a eventi stressanti ed estremi proprie delle situazioni di guerra
rendono la categoria dei soldati una delle più esposte a sviluppare questa particolare
psicopatologia.
Il trauma psichico, infatti, in guerra é alquanto comune, tuttavia i suoi esiti ed effetti
vengono spesso sottovalutati o trascurati, portando ad una conseguente degenerazione del
disturbo in una psicopatologia più severa e pervasiva.
Negli ultimi anni inoltre, sono numerosi i soldati che avanzano richieste di riconoscimento della
non idoneità temporanea o permanente al servizio militare, talvolta fino ad arrivare a
contenziosi medico-legali versus la Forza di appartenenza.
E’ evidente quanto sia necessario sgomberare il campo da falsi miti e operare studi
approfonditi e valutazioni competenti effettuate da specialisti in ambito psicotraumatologico.
La Storia
Trasversalmente a tutte le epoche della storia dell’uomo, le guerre e la morte sono
sempre state presenti nella vita non solo dei combattenti, ma anche dei civili, che perdevano i
propri cari e conoscenti.
Era una tipologia di guerra definita ad “alta intensità” per indicare che una cospicua quantità
di soldati veniva quotidianamente impiegata, con un gran numero di perdite da parte di
entrambi i fronti.
Nel corso dell’ultimo secolo sono stati vari i tentativi di definire quello che noi attualmente
chiamiamo PTSD: nel 1892 Oppenheim la definisce “nevrosi post-traumatica”, nel 1896
Kraepelin la chiama “nevrosi da spavento” e dopo la Prima Guerra Mondiale, nel 1918, Simmel
adotterà il termine di “nevrosi da guerra”.
Poichè i soldati sviluppavano uno shock in seguito al combattimento, si é iniziato a parlare di
“Shell Shock” o di “Battle Fatigue” (fatica da combattimento), attribuendone la responsabilità
ad un insulto al sistema nervoso causato dall’esplosione delle bombe.
Il quadro che si profilava era caratterizzato da disturbi della memoria, sintomi ansiosi, iperreattività, evitamento ed insonnia.
Negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, con lo sviluppo di nuove molecole
farmacologiche destinate alla cura dei “disturbi nervosi” (come venivano definiti all’epoca i
disturbi di natura psichica), ci furono i primi tentativi di trattamento dei veterani.
Con la prima e la seconda edizione del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of mental
disorders), rispettivamente del 1952 e del 1968, vennero introdotte categorie diagnostiche
correlate allo stress, ma riguardanti esclusivamente quadri acuti transitori.
La vera svolta si ebbe nel 1980, con il DSM-III, che a differenza dei primi due, prendeva in
considerazione anche i disturbi cronici stress-correlati, riferendoli ad eventi traumatici gravi.
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Diagnosi, Epidemiologia e Fattori di Rischio
La diagnosi di PTSD é solitamente posta sulla base di una valutazione clinica e su dati
anamnestici.
Oltre al colloquio, indispensabile per individuare eventi a rischio che possano aver scatenato il
disturbo e le reazioni dell’individuo, sono in uso numerosi test psicometrici per valutare il
profilo di personalità e di stato psicopatologico. I test maggiormente in uso sono il Minnesota
Multiphasic Personality Inventory (MMPI) e lo State and Trait Anxiety Inventory (STAI).
Nei quadri dubbi possono essere utilizzati a scopi diagnostici, anche se non vi é
riconoscimento univoco ed inequivocabile ai fini legali, anche indicatori psicofisiologici e
biochimici di cui tratterò nella sezione Correlati Biologici.
I dati epidemiologici riguardanti l’insorgenza del PTSD in popolazioni a rischio sono
estremamente discordanti.
Studi effettuati sui reduci americani della Guerra del Vietnam indicano un’incidenza del 30%
di disturbi a lungo termine stress-correlati.
Studi più recenti, riguardanti i reduci della Guerra del Golfo, indicano che il numero di
disturbi a lungo termine scendeva al 9%, valore nettamente più basso.
Per quanto riguarda invece una categoria particolare di reduci, quella dei prigionieri di guerra,
invece, i valori si impennano, raggiungendo un’incidenza di circa il 50%.
Cosa influisce in maniera così significativa sulle differenti popolazioni indagate?
In primo luogo, tra le cause ci sono l’età, il grado di istruzione e la qualità/quantità della
formazione al combattimento: nella Guerra del Vietnam i soldati impiegati avevano in media
vent’anni e un titolo di studio di scuola dell’obbligo, mentre i soldati impiegati nella Guerra del
Golfo avevano mediamente ventisette anni e un titolo equivalente alla scuola superiore. Il
fattore dell’età era rilevante non soltanto per questioni di esperienza, ma anche per ragioni
familiari. I soldati che, di ritorno dalla guerra, avevano delle famiglie ad accoglierli, potevano
contare su risorse indubbiamente di grandissima importanza per l’elaborazione dei traumi
subiti.
Inoltre nella Guerra del Golfo il periodo di addestramento superava del 50% quello dedicato ai
soldati della Guerra del Vietnam.
Un altro fattore di evidente rilevanza é la tipologia di guerra: ad alta intensità per la Guerra
del Vietnam ed a media intensità per quella del Golfo. Questo significa che nel Golfo i soldati,
seppure fossero estremamente sotto pressione, erano meno frequentemente esposti a rischio
della propria vita e di quella dei compagni.
Altro fattore di estrema importanza, era lo stato dell’arte della psichiatria e della medicina
militare. Medici e psichiatri più preparati riconoscono con più facilità e precocemente uno
stato di stress acuto, progettando interventi terapeutici tempestivi e quindi più efficaci.
Sembra avere una certa influenza anche il consenso sociale della guerra che il soldato va a
combattere: il soldato sfiduciato é anche quello che sviluppa minori relazioni con i propri
compagni, e la condivisione é uno dei fattori di maggiore importanza per l’elaborazione dei
traumi.
In epoche più recenti le truppe inviate in teatri critici si trovano a combattere confitti
profondamente differenti da quelli convenzionali di cui abbiamo parlato in precendenza.
Attualmente infatti si profila una minaccia asimmetrica, cioè una situazione in cui la
controparte ha l’interesse prioritario di recare danno e offesa a molti con pochi mezzi
ottenendo un risultato devastante dal punto di vista fisico e psicologico, come il recente
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attentato del 17 settembre scorso in Afghanistan contro i soldati italiani in cui hanno perso la
vita 6 paracadutisti della Folgore. Il vissuto di impotenza é in questa situazione presente,
logorante e fonte di forte stress per i soldati, che si trovano nella posizione di poter
rispondere solo nel caso in cui subiscano un attacco.
E’ evidente infine, che soggetti che soffrivano già in precedenza di un disturbo di natura
psichiatrica, quali ad esempio ansia e depressione, sono maggiormente esposti alle ferite
psichiche che la guerra può infliggere, la comorbilità infatti é frequente causa di una maggiore
manifestazione dei sintomi e resistenza alle cure.
Correlati Biologici
Recenti studi hanno messo in relazione notevoli alterazioni psicofisiologiche e
biochimiche del soggetto affetto da PTSD.
Di seguito tratterò brevemente dei sistemi di indagine maggiormente in uso.
Le indagini psicofisiologiche hanno lo scopo di misurare la reazione da difesa (Defense
Reaction) con la valutazione di un biosegnale misurabile su tre livelli:
1. Livello del Sistema Nervoso Centrale: a questo livello viene misurata l’attività
elettrocorticale e sottocorticale, con l’utilizzo dell’elettroencefalogramma (EEG), la
misurazione dei Potenziali Evocati (PE), dei Potenziali Evento-Correlati (ERP). Con le
tecniche di bioimaging, come la Tomografia ad emissione di Positroni (PET) e la
Risonanza Magnetica funzionale (fMRI), vengono inoltre rilevate le eventuali
alterazioni funzionali.
2. Livello del Sistema Nervoso Autonomo, somatomotorio e neurovegetativo, con la
valutazione della reazione di Startle, riflesso del tutto inconsapevole ed
incontrollabile, modulato dall’amigdala che si manifesta con la contrazione dei muscoli
di braccia e gambe e con lo strizzamento delle palpebre. Ad esso si accompagnano:
aumento della pressione sanguigna, della frequenza cardiaca e respiratoria e aumento
della sudorazione e della conduttanza cutanea. Quest ultimo é un biofeedback
misurabile attraverso il test Skin Conductance Level (che viene considerato un indice
puro di attivazione del Simpatico).
3. Livello biochimico, con prelievi ematici, urinari e salivari, su cui verranno effettuate
misurazioni di ormoni (ad esempio cortisolo) e neurotrasmettitori (come noradrenalina,
serotonina, norepinefrina, acido gamma-ammino butirrico, ecc) che presentano evidenti
alterazioni nei disturbi stress-correlati.
Prevenzione e Trattamento
La prevenzione é uno dei fattori fondamentali affinchè lo stress derivato da un evento
traumatico non degeneri in PTSD.
Attualmente sono in uso svariate tecniche (tra cui il Defusing, il Debriefing, il colloquio e la
condivisione di gruppo…) che permettono allo specialista di riconoscere e agire precocemente
sui soggetti a rischio. Le figure professionali specializzate in questo tipo di interventi sono lo
Psicologo dell’Emergenza (che conduce i lavori) e lo Psicotraumatologo (che riconosce i quadri
a rischio).
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Il trattamento preventivo va fatto il più precocemente possibile, anche se questo significa
vicino al luogo in cui si é svolto l’evento.
Per quanto riguarda la terapia del PTSD, invece, l’intervento spesso segue l’evento di svariati
mesi e si protrae per lunghi periodi. Alcune Scuole (in particolar modo la CognitivoComportamentale) hanno integrato all’indispensabile strumento della Psicoterapia, da offrire
sempre e comunque in prima battuta, la somministrazione di farmaci antidepressivi
(prevalentemente IMAO e SSRI), da utilizzarsi nei casi in cui il quadro presenta una flessione
depressiva. Le figure professionali coinvolte in questo intervento sono lo Psicoterapeuta e lo
Psichiatra.
Comportamenti secondari allo stress
Quando il soggetto (soldato o civile) affetto da PTSD non trova riconoscimento e
accoglimento del danno subito, possono essere messi in atto alcuni comportamenti per così
dire di “autocura”, che hanno lo scopo di aumentare la tolleranza sia allo stress subito, sia agli
stressor successivi.
Tra questi comportamenti il più importante e pericoloso a livello sia clinico che sociale é quello
dell’assunzione di droghe e alcoolici.
Le sostanze assunte, più veloci nell’azione della terapia convenzionale, danno l’illusione di stare
meglio, anche se temporaneamente, fornendo un efficace effetto palliativo.
Tuttavia, com’é noto, portano con sé anche notevoli danni a livello psicofisico che si
ripercuotono in meniera fortemente negativa sul quadro già di per sé molto critico.
Inoltre a causa dell’assunzione di sostanze, il soggetto risente anche dell’isolamento sociale,
che come abbiamo già detto, é fonte di ulteriore ansia e depressione, rendendo ancora più
difficoltoso il processo di guarigione.
PTSD e simulazione
<<Art. 159. Simulazione d'infermità.
Il militare, che simula infermità o imperfezioni, in modo tale da indurre in errore i suoi
superiori o altra autorità militare, è punito con la reclusione militare fino a tre anni, se la
simulazione è commessa a fine di sottrarsi all'obbligo del servizio militare, stabilito dalla
legge o volontariamente assunto; e con la reclusione militare fino a un anno, se la simulazione è
commessa per sottrarsi a un particolare servizio di un corpo, di un'arma o di una specialità.>>
Tratto dal Codice Penale Militare di Pace, Libro Secondo, Titolo II, articolo 159.
Il PTSD, come altri disturbi disturbi psichiatrici, può essere oggetto di tentativi di
simulazione più o meno riuscita, allo scopo di ottenere “privilegi”, come ad esempio ritiro dai
teatri critici, cambiamenti di destinazione, periodi di convalescenza, ecc.
I disturbi psichiatrici sono generalmente più simulabili rispetto a quelli organici a causa
dell’assenza di segni oggettivi clinicamente misurabili e univocamente riconosciuti.
Come già detto in precedenza, nel caso del PTSD, oltre ad una valutazione da parte di un
esperto in psicotraumatologia si aggiungono le succitate indagini psicofisiologiche.
Tuttavia, allo stato attuale dell’arte sembra non esserci concordanza per quanto riguarda
parametri oggettivi e livelli fisiologici misurabili in maniera univoca, pertanto é estremamente
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importante che la valutazione venga fatta da più specialisti (psicotraumatologo, psichiatra,
psicoterapeuta, neurofisiologo…) che lavorino di comune concerto al fine di definire lo stato
reale del disturbo (e quindi programmare un intervento terapeutico), o l’eventuale simulazione,
ponendo perizia ad uso di cause forensi.
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