Sportello di sostegno orientamento formativo:dinamiche

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Sportello di sostegno orientamento formativo:dinamiche
Fondazione Guglielmo Gulotta
di Psicologia Forense e della Comunicazione - Onlus
SPORTELLO DI SOSTEGNO E ORIENTAMENTO
INFORMATIVO: DINAMICHE PSICOLOGICHE IN
TEMA DI AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO
Dafne Forloni
Laureata in Psicologia
Tutor di riferimento
Fedrik Bordino
2007-2008
Vorrei ringraziare ed esprimere la mia più sincera stima al Dott. Giovanni Gelmuzzi, direttore
generale dell’Associazione “Oltre Noi..la vita – Onlus” e alla Dott.ssa Daniela Polo, responsabile
del segretariato sociale della medesima Associazione, che con ammirevole professionalità,
passione e impegno si dedicano quotidianamente alle tematiche che affronteremo. Senza la loro
preziosa testimonianza questo lavoro non sarebbe stato possibile.
Un grazie speciale al Dott. Ubaldo Ubaldi, per la sua squisita disponibilità.
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INDICE
ABSTRACT………………………………………………………………………………………….4
INTRODUZIONE……………………………………………………………………………………5
1.
Dall’io sostitutivo all’io ausiliario……………………………………………………………...7
2.
L’amministratore di sostegno…………………………………………………………………13
3.
Dinamiche psicologiche………………………………………………………………………17
CONCLUSIONI…………………………………………………………………………………….23
BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………………………24
APPENDICE………………………………………………………………………………………..26
3
ABSTRACT
Una recente novella legislativa, la legge n. 6/2004, ha introdotto nel nostro ordinamento la figura di
Amministratore di Sostegno. Prima di allora le persone maggiorenni, la cui capacità giuridica di
agire era gravemente compromessa da una condizione di abituale infermità di mente, dovevano
ricorrere all’interdizione, una forma di tutela giudiziaria garantita dal tutore; parimenti, i
maggiorenni infermi di mente il cui stato non fosse stato talmente grave da richiedere l’interdizione,
potevano ricorrere all’inabilitazione, garantita dal curatore.
Ora il nostro sistema legislativo garantisce un ulteriore strumento di protezione giuridica, in grado
di offrire una tutela più consona a soddisfare le esigenze speciali di numerose persone fragili o in
difficoltà. La nuova legge infatti mira a proteggere la persona nel rispetto delle sue capacità residue,
piuttosto che vietare indiscriminatamente il compimento di atti sia di natura personale che
patrimoniale, come spesso accade con l’interdizione e l’inabilitazione.
In qualità di psicologa e coordinatrice di uno sportello di sostegno e orientamento informativo per
genitori di figli disabili, vorrei descrivere sotto il profilo esperienziale l’impatto sociale, psicologico
e culturale che la nuova figura giuridica ha recato nelle nostre famiglie, approfondendo non solo le
ragioni principali che hanno reso indispensabile l’introduzione di questa istituzione, ma anche le
reazioni e le implicazioni psicologiche che ne sono derivate.
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INTRODUZIONE
Solo dall’inizio del Novecento nascono le prime iniziative di politica sociale nei riguardi della
disabilità, almeno da parte degli Stati moderni, che decidono di responsabilizzarsi verso il disagio
che sembra colpire una parte cospicua dei propri cittadini.
Prima di quel periodo si considerava dominante l’incidenza patologica e pertanto gli interventi
erano di carattere esclusivamente medico e riabilitativo, con l’intento di ‘curare’ la parte malata
riducendone o annullandone l’incidenza negativa (Sidoli, 2004).
Nell’ultimo secolo, invece, la vita delle persone psicologicamente e socialmente fragili, deboli e
indifese è sicuramente migliorata, grazie non solo ad una graduale maturazione della coscienza
sociale, ma anche ad un corrispondente sviluppo nell’articolazione dell’apparato giuridico e
legislativo, sia in campo nazionale che internazionale.
Una maggior consapevolezza della matrice sociale presente nella condizione di disabilità ha
promosso infatti numerosi processi di integrazione, consentendo di intraprendere azioni riabilitative
in grado di supportare esigenze specifiche e di scoprire soluzioni idonee volte a salvaguardare la
dignità delle persone in difficoltà e dei loro bisogni (D’Alonzo, 2008).
L’ottica delle strutture medico-riabilitative, sociali e giuridiche si è quindi progressivamente
trasformata, contribuendo a riconoscere le potenzialità dei soggetti disabili e ad arricchire la
capacità interpretativa di coloro che li circondano anche da un punto di vista culturale.
Si delinea infatti l’importanza dell’ambiente comunitario, enfatizzando la centralità della persona e
delle sue relazioni sociali. Le esperienze intraprese e le ricerche effettuate dimostrano quanto sia
necessario per le persone svantaggiate incontrare educatori, specialisti, operatori dei servizi sociali
in grado di offrire opportunità di vita, esperienze concrete di integrazione sociale, condizioni
favorevoli di accoglienza in gruppo e possibilità reali di coinvolgimento personale (D’Alonzo,
2008). Si riconosce inoltre a queste persone la libertà di scegliere e decidere quale e quanti di questi
percorsi intraprendere.
Lo stesso concetto di disabilità è notevolmente mutato, almeno a livello delle istituzioni che se ne
occupano. Si è passati dal considerare la disabilità come una conseguenza della condizione di salute
(definizione OMS 1980), al ritenere, oggi, che essa sia una condizione personale in un ambiente
sfavorevole; si tratta di una concezione non più medicalista, fondata solo sulle patologie che
determinerebbero tale condizione, ma di una visione fondata anche sull’esame dei rapporti tra la
persona e il mondo che la circonda (D’Alonzo, 2008).
Nella nuova definizione di disabilità, infatti, non si giudicano solo le “funzioni e le strutture
corporee” della persona disabile, ovvero la patologia, ma diventano integranti anche la sua “attività
e partecipazione”, così come i “fattori contestuali, ambientali e personali” (definizione ICF 2000).
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Tale prospettiva consente, ad esempio, di comprendere meglio come persone diverse, nonostante
siano affette dalla medesima patologia, necessitino tuttavia di un grado di protezione e sostegno
differenziato, in relazione all’ambiente in cui vivono ed al tipo di assistenza che ricevono. Ogni
disabile ha bisogno pertanto di un livello di protezione e di supporto che sia il più possibile
adeguato rispetto alle sue esigenze e alla realizzazione del suo personale progetto di vita.
Un processo di cambiamento così diffuso e generalizzato, che coinvolga convinzioni e
rappresentazioni sociali, culturali, politiche e personali, non può che essere lento, laborioso e
complesso.
Il lavoro che segue si inserisce proprio in questa prospettiva, nella speranza di rappresentare un
ulteriore tributo alle numerose iniziative presenti sul territorio nazionale che già da anni si
premurano di sensibilizzare la nostra società su queste tematiche.
Indubbiamente la legge n. 6 del 9 Gennaio 2004 ha contribuito notevolmente a consolidare tali
cambiamenti, in quanto legittimare le nuovi concezioni appena descritte sotto il profilo legislativo,
significa non solo valorizzarle, ma assicurare anche all’intero ‘mondo disabile’ una forma di
protezione e di tutela più solida, stabile e coesa.
Questa recente novella legislativa ha introdotto nel nostro sistema giuridico e sociale una nuova
figura, che per molte persone è ancora poco chiara e sconosciuta: l’amministratore di sostegno.
Le prossime considerazioni sono pertanto orientate a rendere più familiare questa nuova istituzione,
analizzandone gli elementi peculiari, approfondendo i motivi che l’hanno resa indispensabile e
indagando sulle possibili reazioni e implicazioni di carattere psicologico che ha recato nelle
famiglie interessate e che ha diffuso nell’ambiente educativo, terapeutico, socio-assistenziale e
sanitario.
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1. DALL’ IO SOSTITUTIVO ALL’IO AUSILIARIO
L’ordinamento giuridico italiano riconosce a ciascuno di noi, in quanto persone e per il solo fatto
di esistere, la capacità giuridica, ovvero l’idoneità ad essere titolari di diritti e doveri (art. 1 c.c.).
Non a tutti, invece, riconosce la capacità di agire, ossia l’idoneità a compiere validamente atti
giuridici (art.2 c.c.); questo significa che la capacità di agire, a differenza della capacità giuridica,
può subire delle limitazioni a partire da alcuni fattori come l’età, l’infermità e la prodigalità.
La persona minorenne, ad esempio, è priva (eccetto alcuni casi espressamente previsti dalla legge)
della capacità giuridica di agire, quindi di esercitare i propri diritti e di assumersi i propri doveri.
Solo con il compimento del diciottesimo anno di vita la legge gli riconosce tale capacità, in quanto
si presume che abbia maturato non solo la capacità di intendere e di volere, ma anche la capacità di
assumere responsabilmente il compito di auto-rappresentarsi (D’Alonzo, 2008).
Per i minorenni il legislatore assicura loro la protezione giuridica attraverso l’esercizio della
potestà genitoriale, ma anche le persone maggiorenni, la cui capacità di agire può subire delle
limitazioni, dovrebbero essere ugualmente protette.
In questo senso la legislazione ha sempre previsto, fino al 9 Gennaio 2004, due forme di tutela
giudiziaria. L’interdizione, che può essere richiesta a favore dei maggiorenni che si trovano in
condizione di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi (art.
414 c.c.); e l’inabilitazione, che può essere richiesta per i maggiorenni infermi di mente il cui stato
non sia talmente grave da rendere necessaria l’interdizione, ossia per coloro che per prodigalità o
per abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti espongono sé o la propria famiglia a gravi pregiudizi
economici, ovvero infine il sordomuto o il cieco dalla nascita in particolari circostanze (art. 415 c.
c.).
Ad affiancare queste due istituzioni, il 20 Marzo 2004 è entrata in vigore la legge n. 6 del 9
Gennaio 2004 (in appendice), con la quale è stata designata l’amministrazione di sostegno a tutela
dei soggetti incapaci. Per comprendere meglio il valore di questo nuovo strumento giudiziario,
sarebbe interessante riflettere sui motivi che hanno reso indispensabile la sua istituzione,
analizzandone le finalità principali, gli ambiti di applicazione e i conseguenti risvolti innovativi
apportati al nostro ordinamento.
Innanzitutto è necessaria una premessa di carattere generale sul significato della condizione di
fragilità. La persona fragile è colui che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione
fisica o psichica, si trova nella impossibilità parziale o temporanea di provvedere ai propri interessi;
necessitano quindi di protezione giuridica tutti coloro che, seppur maggiorenni, non raggiungono o
perdono, totalmente o parzialmente, la capacità di intendere e di volere e non sono in grado di
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comprendere, di valutare, di decidere e di agire per fruire dei propri diritti, per tutelare i propri
interessi e per assicurarsi la miglior qualità di vita (D’Alonzo 2008).
Questi interessi non sono solo di carattere patrimoniale, ma sono soprattutto relativi alla capacità di
organizzare un progetto di vita nella consapevolezza delle proprie condizioni personali.
Tale precisazione aiuta ad intuire meglio come l’interdizione, e in misura minore l’inabilitazione,
siano ritenuti da molti due istituti oramai pesanti, formali, lunghi, complessi e costosi, che
demoliscono anche psicologicamente coloro che ne sono oggetto, che stigmatizzano le persone e le
loro famiglie, con tutte le conseguenze note che questa etichettatura comporta a livello sociale,
individuale e relazionale.
Infatti, “attraverso l’interdizione o l’inabilitazione, da una parte si estende l’incapacità degli
interdetti alla totalità degli atti giuridici (e per gli inabilitati a tutti gli atti di straordinaria
amministrazione) anche se, in molti casi, si potrebbe limitare tale effetto soltanto ad alcuni,
determinati, atti; dall’altra non si ha la possibilità di tutelare tutti coloro che, pur non versando in
condizione di abituale infermità di mente, tuttavia possono rivelarsi incapaci di provvedere ad
alcuni, specifici, interessi. Nelle intenzioni del legislatore l’amministratore di sostegno dovrebbe
colmare proprio questo vuoto di tutela. Di conseguenza, non si tratta più di una incapacità generale
e totalizzante, ma bensì limitata ad alcuni, precisati atti, espressamente indicati caso per caso nel
decreto di nomina dell’amministratore; per tutti gli atti non menzionati nel decreto, quindi,
l’incapace mantiene la più completa autonomia e disponibilità” (Geremia, 2004).
I beneficiari della nuova normativa possono essere non solo gli infermi di mente, ma, come
anticipato in precedenza, chiunque si trovi in condizione di fragilità come ad esempio gli anziani,
gli alcolisti, i tossicodipendenti, gli handicappati, i malati terminali, i lungodegenti, i malati
psichiatrici, i non vedenti, gli extracomunitari, i detenuti, i depressi e i malati di Alzheimer.
Il ricorso per la nomina di un Amministratore di Sostegno può essere presentato, ai sensi dell’art.
406 c.c. dallo stesso soggetto beneficiario, come nel caso della persona malata che sta perdendo
progressivamente le proprie capacità e vuole prevedere chi si occuperà di lei quando non sarà più in
grado di farlo autonomamente; dal coniuge o dal convivente, inteso come compagno stabile nelle
famiglie di fatto; dai parenti entro il quarto grado e dagli affini entro il secondo del beneficiario; dal
tutore o dal curatore, nel caso di persona interdetta o inabilitata, congiuntamente all’istanza di
revoca dell’interdizione/inabilitazione; dal Pubblico Ministero; dai responsabili dei servizi sanitari e
sociali direttamente impegnati nella cura e nella assistenza della persona (anche se questi non
possono ricoprire la carica di amministratore di sostegno); e infine dal giudice nel corso del
procedimento di interdizione o inabilitazione, quando ritiene più opportuno applicare
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l’amministrazione di sostegno. Una volta avvenuta la nomina, l’incarico potrà essere permanente,
provvisorio o revocabile.
Per ulteriori approfondimenti in merito agli aspetti prettamente giuridici, in appendice si può
consultare il testo integrale della Legge n. 6/2004.
Il principio guida dell’intera normativa è senza dubbio quello di mirare a proteggere la persona
nel rispetto delle sue capacità residue (D’Alonzo, 2008). Questo significa che per tutelare un
soggetto in difficoltà, occorre domandarsi di che cosa abbia bisogno e successivamente offrirgli ciò
di cui è carente, anziché interdirgli ogni possibilità di agire sostituendolo con chi dovrà agire al suo
posto. Nell’interdizione, infatti, la persona perde la capacità di agire e viene sostituita da un tutore
nel compimento di tutti gli atti che la riguardano. Nell’inabilitazione la persona necessita di un
curatore per compiere gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione. L’amministratore di sostegno,
invece, affianca il soggetto adulto non autonomo nel compimento di determinati atti, permettendogli
di conservare la capacità di agire per tutti gli altri atti.
Grazie a questa nuova forma di protezione giuridica non avremo più interventi troppo generici o
troppo restrittivi, che rischiano di proteggere troppo o troppo poco rispetto alle capacità acquisite ed
alle potenzialità residue delle persone (D’Alonzo, 2008).
Tutte queste premesse ci consentono di sottolineare come la prospettiva di approccio alla tutela
della persona disabile sia cambiata. L’amministratore di sostegno potrebbe essere indicato come
una sorta di “io ausiliario” della persona fragile, in contrapposizione a quella di “io alternativo e
sostitutivo” che era ed è la figura del ‘curatore’ e del ‘tutore’ (Mozzanica, 2004).
In questo senso l’interdizione toglie, mentre l’amministrazione di sostegno integra. Il tutore infatti
si sostituisce completamente alla persona in difficoltà, annullando e negando tutte le sue capacità.
L’Amministratore di Sostegno (AdS), invece, desidera accompagnare, far crescere, custodire,
sostenere, aiutare e garantire attenzione; l’io ausiliario significa rappresentare i bisogni della
persona, capirne le necessità, migliorare la sua qualità di vita e mediare i suoi rapporti interpersonali con la società e la comunità di riferimento.
Evidentemente l’amministratore di sostegno nasce come figura che integra piuttosto che sostituirsi,
rispettando e valorizzando chi accompagna, con deleghe mirate alle personali incapacità del
disabile, evitando in questo modo di pesare e appesantire. Esemplificando, si è passati
dall’immagine di semplice tutore a quella di ‘tutore col cuore’.
Con l’entrata in vigore della legge n. 6/2004, il legislatore intende non solo assicurare anche
all’adulto, qualora ne necessiti, il sistema di protezione assicurato alla generalità dei minori, ma
prevede specialmente di riconoscere alla persona maggiorenne in situazione di fragilità la possibilità
di partecipare attivamente al proprio progetto di vita (D’Alonzo, 2008).
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Ogni essere umano è portatore di un proprio “progetto di vita”, più o meno limpido o ambizioso.
Ciascun individuo, infatti, continua a tessere piani, a disegnare l’immediato, a correggere qualche
errore degli ultimi mesi: “affitterò una casa, farò l’università, troverò un lavoro, tenterò quel certo
concorso, rimetterò quei debiti, mi abbonerò alla stagione teatrale, cercherò altri spazi, mi
riconcilierò, proverò ad adottare un bambino, rifarò l’operazione agli occhi, andrò in vacanza”
(Cendon, 2004).
Uno slancio a fare insomma, ad essere se stessi, forse a cambiare, magari a riprendere qualcosa.
Anche la persona svantaggiata ambisce a tutto questo, si sente come gli altri, come tutti quanti; il
suo ‘ronzio’ non è diverso, né speciale: aspira semplicemente a “realizzare” se stesso. Tuttavia un
qualche impedimento di base, di carattere fisico, psichico, sensoriale, istituzionale, anagrafico e
logistico glielo vieta parzialmente o totalmente.
L’interdizione e l’inabilitazione non hanno mai considerato la possibilità di valorizzare il progetto
di vita, il progetto quotidiano della persona interdetta o inabilitata, in quanto persona inferma di
mente, quindi totalmente incapace di provvedere ai propri interessi. In questo senso
l’amministrazione di sostegno si distanzia ulteriormente dai due istituti, in quanto elaborare un
progetto di vita individualizzato significa non solo che le scelte effettuate per conto del disabile
possano essere realizzate nell’esclusivo interesse della persona, grazie all’aiuto di chi la rappresenta
per incarico formale ottenuto dal tribunale, ma permette altresì di calibrare e personalizzare al
meglio il decreto che viene emesso dal giudice tutelare.
L’articolo 14 della legge n. 328/2000 prevede che, per realizzare la piena integrazione delle persone
disabili, gli operatori e i responsabili dei servizi sociali siano tenuti a presentare un progetto
educativo/esistenziale individualizzato, con particolare riferimento non solo alla valutazione
diagnostica-funzionale, ma anche al recupero e all’integrazione sociale, alle misure economiche
necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale,
specificando inoltre le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare. Qualora risultasse
necessario il ricorso ad una forma di protezione giuridica, come quella dell’Amministratore di
Sostegno, gli operatori dei servizi socio-sanitari sono tenuti a proporla al giudice tutelare, ma per
evitare il rischio che i servizi sociosanitari divengano in qualche modo servizi auto-referenziati e
che si assumano una presa in carico eccessivamente totalizzante, è necessario che il “cliente” delle
strutture sociosanitarie sia assistito da chi legittimamente lo rappresenta.
La nuova legge n. 6/2004 offre quindi un’occasione preziosa di integrare le diverse competenze
professionali da parte di tutti gli interessati (come ad esempio gli operatori dei servizi sociali e
sanitari, gli enti pubblici e privati, i gruppi di volontariato e il giudice tutelare), che assicura al
soggetto in difficoltà un’ulteriore forma di protezione, di sensibile attenzione e di rispetto della sua
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personalità e originalità, in una prospettiva di flessibilità, di apertura al cambiamento e
all’imprevisto, sempre in stretta collaborazione con i desideri del soggetto stesso e della sua
famiglia.
Alla pluralità di individui, potenzialmente destinatari dell’assistenza, viene messo a disposizione
uno strumento, come abbiamo appena visto, estremamente elastico ed adattabile alle singole
circostanze, il quale dovrebbe così garantire un’adeguata tutela dei molteplici interessi di volta in
volta coinvolti (Geremia, 2004). Assicura inoltre la compensazione della incapacità di comprendere,
di valutare e di agire adeguatamente. Per tali motivi questo servizio di protezione giuridica
dovrebbe essere conosciuto e considerato prioritario nella rete dei servizi che si occupano di
riabilitazione, di inserimento socio-lavorativo, di sussidi economici e di strutture residenziali.
Grazie a tutte queste premesse si inizia a delineare e a comprende meglio l’aspetto potenzialmente
rivoluzionario che questa recente riforma ha contribuito a diffondere nella società odierna e nel
nostro Codice Civile.
Il prof. Cendon, ritenuto il padre di tale riforma, già nel 1986 aveva intuito la difficoltà che ci
sarebbe stata nel tentativo di costruire un sistema che superasse radicalmente dei vincoli che non
sono solo di tipo normativo, ma sono anche concettuali e di senso comune, proprio come quelli
espressi dall’interdizione e dall’inabilitazione (Fassone, 2004).
Il primo di questi vincoli, ad esempio, è un vero e proprio paradigma, che rappresenta l’individuo
come la somma inscindibile di volontà e ragione; se viene meno, anche in misura parziale, uno di
questi elementi quali la ragione, allora, secondo tale concezione, il soggetto non è più centro di
imputazione di alcun rapporto giuridico. Se la persona è malata psichicamente significa che non ha
la capacità di intendere e di volere, quindi non è legalmente capace e per questo deve essere
sostituita da un’altra (Fassone, 2004).
Questo vincolo culturale e giuridico ha accompagnato la nostra legislatura fino al 2004. Nonostante
negli ultimi anni l’obiettivo sociale è stato quello di cancellare o ridurre il ricorso alla interdizione
per la sua natura di negazione totale, si è comunque continuato a ritenere che se un soggetto è
mentalmente incapace, l’interdizione sarà l’unica possibilità risolutiva.
Un sistema, come quello dell’amministrazione di sostegno, che mira a valorizzare gli spazi della
quotidianità, come il sistema dei rapporti familiari, affettivi e sociali, le relazioni di svago, di sport,
di partecipazione educativa, politica e sociale, di espressione artistica e letteraria (Cendon, 2004),
comporta una trasformazione non solo giuridica, ma anche culturale. Come sottolinea lo stesso Prof.
Cendon “si tratta di un punto di vista innovativo rispetto alle secche della vecchia cultura
giuridico/psichiatrica, abbarbicata, di solito, ai fantasmi di ciò che sta dentro e intorno al diritto
penale, ai fatti di sangue che sono stati o potrebbero venir commessi da chi stia male psichicamente.
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Assorta, pur storcendo il naso, nella contemplazione perenne delle catene, delle inferriate e delle
contraddizioni (sopravvissute) dell’ospedale psichiatrico giudiziario”.
Si comprende ora quanto sia stato difficile, lungo e complesso il compito di tutti coloro che in
questi anni hanno sostenuto l’idea secondo la quale le persone deboli non devono essere
marginalizzate e stigmatizzate, ma devono essere affiancate e sostenute da persone forti. Non un io
sostitutivo, ma un io ausiliario; costui, con la qualifica di amministratore di sostegno, sarà incaricato
dal giudice tutelare a svolgere un compito che sarà definito in forma personalizzata ed
eventualmente modificato nel tempo secondo necessità (D’Alonzo, 2008).
Il diritto alla protezione giuridica è un bisogno fondamentale dell’uomo, che non si può negare,
ma che bisogna promuovere e tutelare, soprattutto per quelle persone prive in tutto o in parte di
autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana. Naturalmente “una qualche
limitazione è necessaria, poiché ci sono atti di particolare rilievo nei quali è bene che il soggetto sia
affiancato da qualcuno, ma bisogna sempre cercare di rendere questa categoria di azioni il meno
ampia possibile” (D’Alonzo, 2008).
L’obiettivo principale racchiuso in questo nuovo provvedimento legislativo è senza dubbio quello
di garantire la miglior tutela con la minore limitazione possibile della capacità di agire. Sostenere
senza necessariamente incapacitare.
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2. L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO
Nel capitolo precedente sono emersi il significato, il valore, il fine e l’utilità di questa nuova
riforma legislativa, ora sarebbe opportuno osservare come i vari aspetti si riscontrino concretamente
negli articoli più salienti della Legge n. 6/2004.
Si deve premettere che, indipendentemente dalla misura di protezione richiesta dalla parte che fa
richiesta al giudice, quest’ultimo può, sulla base del singolo caso, ritenere più idonea un’altra
misura: così ad esempio se viene richiesta l’amministrazione di sostegno, il giudice può dichiarare
l’interdizione e nominare un tutore o, viceversa, richiesta l’interdizione, il giudice può nominare un
amministratore di sostegno (D’Alonzo, 2008).
A proposito di interdizione, la nuova formula afferma che sia necessario ricorrere ad essa “solo
quando ciò consente al maggiore di età e al minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di
abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, di assicurare la
loro adeguata protezione” (art. 4). In questa nuova rivisitazione degli art. 413 e 414 del c.c., si nota
subito come i termini usati enfatizzino il riguardo e il rispetto per la persona; nella sentenza che
pronuncia l’interdizione o l’inabilitazione, inoltre, non si può prescindere dalla valutazione sulla
eventuale sufficienza di una misura di protezione che comporti una minore privazione della capacità
di agire, e il ricorso all’interdizione è indicato come assolutamente residuale, rispetto
all’amministrazione di sostegno (Maravita, 2004).
Tuttavia nei criteri di scelta della forma di protezione più adeguata, il giudice dovrà partire dalla
finalità espressa chiaramente nel primo articolo della nuova legge: “tutelare, con la minore
limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia
nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, medianti interventi di sostegno temporaneo o
permanente”.
Questo significa che anche nei casi di più grave disabilità, si deve sempre considerare
l’amministrazione di sostegno come la prima misura di protezione da mettere in campo. Ne deriva
che, data una certa condizione di salute della persona interessata ed una sua concreta situazione
personale e patrimoniale, si devono compiere due modalità di accertamento: dapprima ci si deve
domandare se l’amministrazione di sostegno assicura all’interessato un’adeguata protezione e, solo
se questa non è idonea a realizzare la piena tutela del beneficiario, potrà prendere in considerazione
le altre forme di protezione, applicando l’interdizione solo se necessaria (D’Alonzo, 2008).
Una recente sentenza della Corte di Cassazione (12 Giugno 2006 n. 13584) si è pronunciata nel
tentativo di marcare definitivamente i confini e gli ambiti di applicazione di questi due istituti: “La
differenza tra amministrazione di sostegno e interdizione non risiede in un elemento quantitativo, e
cioè dalla maggiore o minore gravità della malattia o dell’handicap della persona interessata, ma
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in un criterio funzionale, e cioè nella natura e nel tipo di attività che l’incapace non è più in grado
di compiere da sé; la relativa valutazione deve essere compiuta dal giudice di merito in base a tutte
le circostanze del caso concreto, alla luce di un criterio che assicuri la massima tutela
all’incapace, col suo minor sacrificio”. Aver chiarito questa distinzione da un punto di vista
giuridico è importante poiché, come vedremo più avanti, intorno all’immagine dell’istituto di
interdizione aleggiano numerosi pregiudizi negativi, che si ripercuotono nella società odierna in una
sfiducia, timore e diffidenza nei confronti di tutte le prassi giudiziarie, in particolare quelle relative
alla protezione giuridica, nonostante alcune di queste possano considerarsi necessarie e
rivoluzionarie.
L’impronta innovativa della legge n. 6/2004, ad esempio, risiede nella partecipazione attiva di
soggetti nuovi. “Questo non significa che prima non esistessero, ma semplicemente avevano
funzioni e profili diversi” (Fassone, 2004).
Basti pensare al giudice tutelare; un tempo egli non interveniva sullo status della persona, ma si
limitava ad essere un mero controllore delle tutele e delle curatele. Oggi, invece, il giudice tutelare
deve vigilare sull’intera procedura, come se fosse uno ‘scultore’ delle capacità del beneficiario: è lui
infatti che le designa, le ritaglia, le definisce, le apprezza, le modella a seconda del progetto di vita
che gli viene proposto e dell’intelligenza che tale progetto deve contenere (Maravita, 2004). Ad
esempio, uno dei suoi compiti è quello di disporre gli accertamenti di natura medica, facendosi così
garante che l’istituto non venga utilizzato per ridurre le capacità di un soggetto. Inoltre l’art. 12
dice che “ il giudice tutelare può convocare in qualunque momento il tutore, il protutore, il
curatore e l’amministratore di sostegno allo scopo di chiedere informazioni, chiarimenti e notizie
sulla gestione della tutela, della curatela e dell’amministrazione di sostegno, e di dare istruzioni
inerenti agli interessi morali e patrimoniali del minore o del beneficiario”. “È come se il giudice
tutelare diventasse una specie di ‘fratello maggiore’: il protettore e il custode di questa fascia di
sofferenza sociale” (Fassone, 2004).
Vi è poi lo stesso soggetto interessato, ossia la persona menomata nelle sue capacità. Il fatto che
esista la possibilità per lui di farsi promotore della procedura per la nomina di amministratore di
sostegno, significa affidare a ciascuno di noi la responsabilità del nostro futuro. Siamo così liberi di
ipotizzare, ad esempio, una situazione in cui noi stessi od una persona a noi cara avrà bisogno di
aiuto, designando fin da subito chi sarà il nostro o il suo amministratore di sostegno, nella
consapevolezza che il giudice tutelare dovrà rispettare questa scelta, salvo gravissimi motivi. “Si
tratta di una vera e propria assicurazione affettiva” (Maravita, 2004).
Infine vi è un terzo attore di nuova rilevanza, oltre al giudice e al diretto interessato: l’ente locale.
Nei casi in cui la famiglia non può o non vuole soccorrere la persona bisognosa, è fondamentale che
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la legge consenta alle strutture assistenziali e sociosanitarie pubbliche o private, ai gruppi di
volontariato, alle Associazioni, e in generale a tutti coloro che, grazie anche ad un’adeguata
formazione in merito, desiderino prendersi cura di queste persone, la possibilità di farlo
legittimamente.
Precedentemente abbiamo parlato di trasformazione culturale, di ondata rivoluzionaria che questa
riforma ha portato con sé; sicuramente è interessante evidenziare brevemente come tali
cambiamenti siano suggellati anche sotto il profilo linguistico (Cendon,2004).
Leggendo i vari articoli della Legge incontriamo verbi e sostantivi in un certo modo estranei al testo
primigenio del Codice Civile. Espressioni e parole come “richieste”, “interessi ed esigenze di
protezione della persona”, “aspirazioni”, “con la minore limitazione possibile”, “espletamento delle
funzioni della vita quotidiana”, “interventi di sostegno temporaneo o permanente”, “adeguata
protezione”, “responsabili dei servizi sanitari e sociali”, “autonomia”, “interessi morali e
patrimoniali del beneficiario”.
Ognuno di questi termini ricalca i doveri dell’amministratore di sostegno, che nello svolgimento dei
suoi compiti deve sempre valutare, ad esempio, i bisogni e le aspirazioni del beneficiario, prestando
particolare attenzione alla soggettività della persona, intesa non come oggetto e nemmeno come
cosa.
Possiamo quindi sostenere che le linee della nuova disciplina riflettono le moderne concezioni
delle persone disabili, come anticipato nella parte introduttiva. Innanzitutto si vuole attenuare la
privazione dei diritti, evitando di ridurre l’interdetto ad una “non persona”, e si cerca di garantire
alla persona stessa un sostegno nelle sue disabilità, riconoscendo le sue capacità residue.
Le misure di protezione, inoltre, sono sistemi dotati di ottima flessibilità, adatti a soddisfare in ogni
momento i bisogni di protezione di ciascuna persona, con la rinuncia a tracciare istituti giuridici
uguali per tutti e costanti nel tempo. “L’amministrazione di sostegno, infatti, consente di applicare
un modello di intervento disegnato secondo le esigenze della singola persona, offrendo delle aree e
dei momenti di protezione come e quando si rivela necessario, evitando così una totale esclusione
della sua capacità di agire” (Pazè, 2004).
Ampliare l’area dei potenziali beneficiari delle misure di protezione (non più solo le persone in
condizione di abituale infermità di mente, ma anche tutti coloro che, per effetto di una
menomazione fisica o psichica, si trovano nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di
provvedere ai propri interessi), significa fare in modo che tali misure diventino uno degli strumenti
principali delle politiche sanitarie e assistenziali di uno Stato sociale orientato verso i soggetti
deboli.
15
Concludendo, si vorrebbe evitare, grazie anche all’uso di una nuova terminologia, che la
soggezione alle misure protettive sia percepita come un marchio negativo che produce sofferenza
nei beneficiari e nei loro familiari. Lo stesso nome “amministratore” ha un significato neutro, che
non definisce negativamente il beneficiario; così come la parola “sostegno” sottolinea la finalità
positiva di aiuto alla persona (Pazè, 2004).
16
3. DINAMICHE PSICOLOGICHE
Centralità della persona, salvaguardia delle capacità residue, sostegno nella non autonomia,
attenzione ad una progettualità personalizzata, esigenza di rinnovamento e duttilità dell’iter
applicativo sono tutte tematiche che convengono in questa nuova figura giudiziaria. Ma giunti a
questo punto è lecito domandarsi: “Quale impatto socio-psicologico ha arrecato la legge n. 6/2004
sulle nostre famiglie?”
In qualità di coordinatrice di uno sportello di orientamento e sostegno informativo rivolto a tutte
le famiglie di bambini, ragazzi e adulti affetti da disabilità psichica, mentale e psico-sensoriale, il
mio sguardo è orientato direttamente su tutte le implicazioni psicologiche che questa riforma ha
contribuito a diffondere tra coloro che vivono a stretto contatto con le condizioni di fragilità umana.
I nostri interventi non si limitano a risolvere situazioni o problematiche inerenti la assistenza
giuridico-legislativa, ma affrontano anche tematiche di tipo medico-clinico, socio-educativo,
lavorativo, di intrattenimento e di residenzialità. Questa esperienza quindi ci offre l’opportunità di
avere una panoramica generale e quasi privilegiata dei problemi, dei bisogni, delle esigenze, delle
preoccupazioni e delle tensioni inerenti il mondo della disabilità.
Le considerazioni che affronteremo sono anche il frutto di una preziosa testimonianza
dell’Associazione “Oltre noi..la vita – Onlus”, che dal 1992, grazie alla professionalità e alla
disponibilità dei suoi collaboratori, aiuta ed affianca le famiglie ad elaborare progetti di vita per i
figli fragili nella prospettiva del ‘dopo di noi’, stimolando comunque l’esperienza di vita autonoma
già nel ‘durante noi’. Da oltre dieci anni, inoltre, l’Associazione è impegnata a promuovere
concretamente questa nuovo iter legislativo, offrendo il proprio contributo esperienziale ed
evidenziando l’inadeguatezza degli strumenti di protezione offerti dal nostro ordinamento.
Durante gli incontri con i genitori la preoccupazione per il futuro dei propri figli disabili, proprio
come qualunque genitore, riecheggia quasi sempre, indipendentemente dal motivo della richiesta di
colloquio. Così, ad esempio, indirizzare i propri figli ad intraprendere il percorso educativoscolastico più adeguato alle loro attitudini; aiutarli ad orientarsi verso il percorso di formazione
professionale più consono alle loro inclinazioni e capacità; individuare per loro un centro diurno o
una struttura residenziale che sia il più possibile una continua fonte di stimolazione; sono tutte
richieste che nascono dal desiderio di prospettare per i propri figli soluzioni e qualità di vita che
siano il più possibile ottimali.
Sicuramente quando i figli sono ancora minorenni o si sono appena affacciati al mondo adulto, le
parole e le rappresentazioni mentali dei genitori sono ricche di speranze e cariche di ottimismo.

Lo sportello opera a Milano presso la sede della Cooperativa Sociale Esagramma: Centro di Formazione e Terapia per
il disagio psichico e mentale.
17
I confronti avuti con i genitori di figli già adulti, invece, testimoniano come per loro la situazione
sia completamente diversa. Le speranze, i sogni e le aspettative lasciano spazio a disillusioni,
frustrazioni e inquietudini.
Questo è il momento in cui i genitori si domandano: “Cosa accadrà quando non ci saremo più?”.
Tale interrogativo, l’ormai famoso “dopo di noi”, è una conseguenza ineluttabile del divario di età
che li divide; tale divario, forse un giorno, determinerà la mancanza del padre o della madre per una
persona che non avrà ancora raggiunto l’autonomia e l’indipendenza auspicate, a causa della
disabilità (D’Alonzo, 2008). Quando i genitori dicono ‘e dopo di noi?’, esprimono una
drammaticità, tacita o manifesta, di preoccupazione per l’avvenire e a volte svelano sentimenti di
solitudine che rischiano di essere devastanti o comunque mortificanti.
In questo senso la società o la comunità locale dovrebbero ‘abbracciare’ queste famiglie, tessendo
per loro reti affettive e relazionali. Noi tutti, in qualità di operatori, dovremmo quantomeno avere
l’obbligo morale di aiutare le famiglie a sentirsi meno sole, a farci carico di responsabilità in termini
affettivi, culturali e anche legislativi. Se si comincia dalla persona debole si rivendica il diritto di
tutti, se si dimenticano le persone deboli si abbassa il livello di centralità della persona: “L’ottica
della cittadinanza è un’ottica straordinariamente importante in quanto è uno strumento di progresso
sociale e culturale realmente significativo” (Colmegna, 2004).
Con questo spirito si colloca la legge n. 6/2004, che si fa carico dei diritti di cui è portatrice,
accompagnando il soggetto nella difesa dei suoi diritti, in modo anche parziale, temporaneo, ma
sicuramente sostanziale.
Grazie a questa legge la funzione quotidiana del genitore di assistenza, affiancamento e riflessione
per il figlio disabile, può essere continuata e assicurata. Offrire l’opportunità di garantire a queste
persone fragili una protezione giuridica significa pensare al loro futuro già nel ‘durante noi’, quando
i familiari sono ancora in condizioni di poterlo fare, nella piena consapevolezza che sia un diritto
del figlio divenire adulto e non fare il figlio per tutta la vita.
Spesso infatti i genitori o i familiari, che come abbiamo già osservato sono tra gli attori
protagonisti e i fruitori principali di questa riforma, creano progetti solamente “col cuore”, colmi di
buone intenzioni, ma molto precari; occorre invece fare progetti di cuore ma “con la testa”, affinché
siano efficaci e duraturi. A tal fine è necessario che i genitori attribuiscano primaria importanza al
servizio di protezione giuridica come protesi alla incapacità di autodeterminazione del proprio figlio
(D’Alonzo, 2008).
Abbiamo già spiegato, come da un punto di vista giuridico, con il compimento del diciottesimo
anno d’età, se una persona non ha ancora acquisito o ha perso per qualche malattia la forma di
maturità richiesta, non ha nessuno che gli garantisca una protezione giuridica.
18
Tuttavia il genitore continua ad esercitare la potestà genitoriale, nonostante questa funzione non
possieda alcuna legittimità giuridica. Egli infatti riscuote pensioni, sottoscrive richieste di ricovero e
di cura, firma il consenso informato a interventi sanitari, diventa destinatario di dati sensibili e
interlocutore dei servizi di assistenza, sempre senza avere nessuna legittimità giuridica.
Tutti i genitori hanno il compito di avviare i figli verso una condizione di vita autonoma, protetta
giuridicamente; sarebbe inoltre opportuno sperimentare e verificare con i figli disabili già nel
‘durante noi’ questa situazione di vita autonoma, che spesso i genitori stessi auspicano per loro
(D’Alonzo, 2008).
In questo senso, il nuovo strumento di protezione giuridica, che consente al genitore sia di farsi
nominare Amministratore di Sostegno, ma soprattutto di prestabilire e preparare colui che potrà fare
le sue veci in futuro, può aiutare la famiglia ad anticipare tale prospettiva di vita al di fuori del
contesto parentale, alleviando così le apprensioni per il temuto ‘dopo di noi’.
Grazie a queste premesse sarebbe facile credere che i familiari ricorrano immediatamente a questa
forma di protezione giuridica, ma le numerose e personali occasioni di incontro e confronto con loro
su queste tematiche, testimoniano invece una situazione decisamente più complessa.
Come già anticipato, per anni l’interdizione e l’inabilitazione sono stati strumenti che tendevano ad
escludere dalla società, piuttosto che ad integrare, e per tali motivi erano spesso vissuti con
vergogna e umiliazione dai destinatari e dai loro familiari. L’interdizione, in particolare, non è mai
stata uno strumento personalizzabile, ma al contrario è sempre stato un istituto che annullava o
riduceva rigidamente tutti i diritti del beneficiario, senza considerare i diversi livelli di infermità;
per cui, nominare un tutore era come “fare indossare un burka a chi aveva bisogno di un vestito”
(Gelmuzzi, 2006).
È per questo comprensibile e forse giustificabile come l’atmosfera che accoglie la nuova figura di
Amministratore di Sostegno sia spesso sospettosa, diffidente e a volte palesemente ostile. Il
sentimento comune tende ancora ad associare i due istituti giudiziari e dal momento che per
numerose persone interdetto significa inetto, non sarà semplice modificare un pregiudizio negativo
così “ancestrale” e radicato. Soprattutto poiché, grazie a numerose teorie di natura psicologica,
come ad esempio la Teoria dell’etichettamento (Lemert,’67), sono ormai note le generali modalità
di funzionamento dei nostri meccanismi euristico-cognitivi, dei processi di ragionamento comune e
delle più tipiche reazioni sociali; una fra molte: “se mio figlio viene interdetto, allora è considerato
un matto; se è matto allora la società lo ritiene un incapace; se è incapace può essere pericoloso e se
è pericoloso deve essere isolato”.
Ad acutizzare queste sensazioni negative ed oppositive si unisce anche la storia personale di
conoscenza del sistema giuridico, propria di ciascuna famiglia, che spesso è mediata solamente
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dagli interventi dei servizi sociali, che purtroppo non sempre soddisfano completamente i bisogni e
le richieste delle famiglie stesse.
Di fronte ad uno scenario così scettico, che non gradisce la protezione giuridica, specialmente
quando a dover far ricorso sono genitori i cui figli hanno un buon livello di autonomia e
indipendenza, il nostro compito principale, in qualità di operatori sociali, educatori, psicologi,
giuridici e volontari, dovrebbe essere quello di offrire un continuo supporto psicologico e
informativo che accompagna le famiglie in una progressiva accettazione e percezione di tutti quegli
aspetti innovativi, positivi, reali, indispensabili ed incoraggianti che il nuovo istituto è riuscito ad
introdurre nel nostro sistema.
Innanzitutto sarebbe utile chiarire e spiegare ulteriormente alle famiglie quali siano questi
elementi così concreti e rivoluzionari, che distanziano l’amministrazione di sostegno
dall’interdizione.
Premettendo che tra le finalità principali dell’amministratore di sostegno ritroviamo, ad esempio,
il proporre e scegliere la collocazione abitativa del beneficiario, l’elaborare un progetto di vita ed
esprimere il consenso informato ai trattamenti diagnostici e terapeutici, in questa sede sarebbe
opportuno prestare un’attenzione speciale all’idea di un progetto personalizzabile.
Un tempo ad esempio bastava un certificato di un neurologo che dicesse “incapacità di intendere e
di volere”, quindi nomina di un tutore che ‘rimpiazza’ la persona disabile; adesso invece è
necessario illustrare la sua situazione personale, allegando il progetto educativo/esistenziale
personalizzato (PEI), che deve essere ideato concordemente dalla famiglia, dagli assistenti e
operatori sociali, dagli psicologi e dagli educatori professionali di riferimento.
Il profilo contenuto all’interno di questo progetto è estremamente significativo sia in ambito
sociosanitario che educativo; difatti lo si esige nella scuola, quando viene inserito un disabile, lo si
richiede nella riabilitazione e nei servizi sociosanitari, residenziali e non. Tale progetto, che
riconosce, promuove e propizia il divenire esistenziale della persona in difficoltà, deve essere
garantito dal diritto e dalle forme di prossimità del vivere civile (Mozzaniza, 2004).
In questa prospettiva si inserisce l’opportunità dell’Amministratore di Sostegno, sottolineata
anche da una quasi simmetrica corrispondenza nel testo della nuova legge di termini che si
riferiscono esplicitamente ai bisogni e alle aspettative della persona fragile, come già evidenziato in
precedenza. “L’amministratore di sostegno si fa io ausiliario di un percorso educativo ed
esistenziale spesso accidentato e frammentato” (Mozzanica, 2004).
Il progetto di vita non solo coltiva il bisogno di identità, ma anche il bisogno di valorizzazione del
proprio passato, non come ricerca archeologica della propria storia, bensì della propria memoria,
anche se ferita da fragilità e dalle molteplici deprivazioni del vivere quotidiano; il bisogno di
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intenzionalità e di libertà nella propria vita; il desiderio di valorizzare le proprie radici, il desiderio
di abitare il proprio nome e di vivere in profondità il proprio tempo, anche se dissonante da quello
sociale, spesso anche per il ritmo differenziato che la disabilità stessa assegna al tempo. Tutto
questo significa transitare dal benessere al bene; dalla qualità della vita alla vita di qualità; dal
bisogno come appagamento al desiderio come riconoscimento; dal bisogno come pretesa al
desiderio come attesa e sorpresa; dal bisogno come richiesta di prestazione al desiderio come offerta
incondizionata di relazione; dal bisogno come sguardo dal passato al desiderio come volto del
futuro; dal bisogno come risposta ai livelli essenziali al desiderio come domanda dei livelli
esistenziali (Mozzanica, 2004).
Plasmare un progetto a più mani significa assicurare alla persona assistita, sia nel presente che nel
futuro, una linea d’azione comune e condivisa sotto il profilo relazionale, sociale, medico,
psicologico e giuridico.
Ora si comprende come l’amministratore di sostegno non sia semplicemente l’amministratore del
patrimonio, ma come si debba anche occupare dell’amministrazione della qualità di vita di una
persona. Difatti è pur vero che dovrà rendicontare costantemente al giudice, ma è anche vero che
questi non potrà essere il consigliere nelle scelte di vita quotidiana.
L’Amministratore di Sostegno quindi deve conoscere la storia, i bisogni, le aspirazioni, le manie e
le abitudini di chi affianca (Gelmuzzi, 2006). Deve possedere competenze di gestione patrimoniale,
ma anche la capacità di trasformare l’occasione amministrativa in un momento di relazione, capace
di rispondere ai bisogni di cura e di crescita.
Sottolineare questi aspetti è importante perché si è visto come a volte, quando il ruolo di
amministratore viene assunto da un familiare, si può correre il rischio di dare per scontata la
conoscenza dei bisogni e dei desideri della persona assistita. Come conseguenza di una cura
radicata nel tempo ma non sempre consapevole dei cambiamenti, può accadere di sentire un
imperativo di questo tipo: “io so di che cosa ha bisogno”; in questi casi è opportuno pensare a
strategie che valorizzino la scoperta di nuove potenzialità, interpretando la situazione e inserendosi
nella rete di riferimenti in cui vive la persona disabile.
Spesso le famiglie, qualora abbiano deciso di ricorrere all’amministrazione di sostegno, devono
affrontare ulteriori avversioni, relative alla privacy e ad aspetti prettamente concreti e pragmatici,
come ad esempio la reticenza a rendere nota al giudice la propria situazione economicapatrimoniale.
In questi casi sarebbe fondamentale dimostrarsi risoluti, chiarendo fin da subito il carattere di
indispensabilità di questa istituzione, illustrando magari alcuni esempi chiarificatori.
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Basti pensare alla situazione in cui una persona mentalmente fragile e influenzabile possa essere
truffata da un amico, lasciandosi convincere a vendere un immobile a prezzi irrisori; oppure il caso
in cui un ragazzo down maggiorenne necessita di un intervento chirurgico urgente: chi provvede a
firmare il consenso informato?
Naturalmente gli esempi sono molteplici e ognuno di essi contribuisce ad inferire la potenzialità
dell’amministrazione di sostegno quale misura in sé a largo spettro di applicazione, caratterizzata da
grande versatilità ed adattabilità alle specifiche esigenze del beneficiario e quale figura capace di
integrarsi con le finalità protettive a favore dei soggetti deboli.
Per concludere, la nostra esperienza ci insegna, in tema di amministrazione di sostegno, a
supportare ed affiancare la famiglia con seria sensibilità, competenza ed empatia, aiutandola a
comprendere i propri bisogni, a superare le proprie paure, spiegando loro con delicata attenzione e
chiara sincerità chi, come e per quali ragioni potrebbe assumersi la responsabilità di diventare
Amministratore di Sostegno, delineandone il profilo, gli oneri e gli obiettivi essenziali. Garantire
anche per loro, quindi, una tutela col cuore.
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CONCLUSIONI
La legge n. 6 del 9 Gennaio 2004 è indubbiamente un lodevole traguardo della società civile verso
una diversa concezione degli interventi nei confronti delle persone con disabilità. In un futuro
prossimo non ci si immagina più interdizione e quindi ghettizzazione, privazione, esclusione e
marchio infamante, ma sostegno e aiuto dove sia necessario, protezione nei limiti del bisogno e
accompagnamento per aiutare a mostrarsi meno vulnerabili.
Alla luce di quanto descritto finora sarebbe auspicabile intraprendere un cammino di abrogazione
degli strumenti di interdizione e inabilitazione, ormai moribondi, ma nella prassi ancora caparbi.
Tra le molteplici ragioni per cui l’interdizione appare oggi un modello superato e sostanzialmente
anticostituzionale, si potrebbe citare, ad esempio, “l’eccesso degli impedimenti anche non
patrimoniali nascenti per chi è interdetto; la mancanza di valore terapeutico, l’impossibilità di un
progetto personalizzato, la costosità e la scarsa trasparenza delle procedure; la frequenza statistica
dei casi di sciacallaggio da parte dei familiari e dei terzi; l’inevitabilità del sapore manicomiale e
istituzionalistico; infine la scarsità di garanzie formali e politiche, la complessità delle revoche e
delle modifiche.” (Cendon, 2005).
Al contrario, l’Amministratore di Sostegno simboleggia uno stile legislativo e giudiziale privo di
rigidità, ricco di principi e consapevole dell’irripetibilità di ogni storia umana.
Il prof. Cendon sta attualmente percorrendo un iter politico-legislativo nell’ottica di eliminare
definitivamente l’istituto dell’interdizione e in questo senso dovrà essere supportato, in generale,
dalla capacità di rinforzare e riorganizzare l’intera struttura coinvolta dalla riforma e, nello
specifico, dal prezioso contributo offerto dalle competenze di diversi esperti del settore, come
civilisti, psichiatri, magistrati, notai, avvocati, medici legali, psicologi e sociologi.
Nel frattempo, da parte nostra, sarebbe opportuno impegnarsi ad applicare la nuova Legge in
forme coerenti con i suoi principi ispiratori, attraverso azioni di sensibilizzazione alla cultura della
tutela, di reclutamento, di formazione e di assistenza per tutti coloro che si rendano disponibili al
servizio di protezione giuridica, accettando di diventare gli amministratori di sostegno.
23
BIBLIOGRAFIA:
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Cendon P., Abrogare l’interdizione (e l’inabilitazione), Psicologia & Giustizia, Anno VI,
numero 2, Luglio-Dicembre 2005.
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Cendon P., Un altro diritto per i soggetti deboli: l’amministratore di sostegno e la vita di
tutti i giorni. In Maravita L., Atti del Convegno: Amministratore di sostegno, pp. 39-91,
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Cendon P., Un altro diritto per il malato di mente, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli,
1988.
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Colmegna V., Il progetto individuale, la cura e la tutela nella grave emarginazione. In
Maravita L., Atti del Convegno: Amministratore di sostegno, pp. 165-172, Vita&Pensiero,
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al durante noi, Milano, 28 Febbraio 2006.
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Psicologia & Giustizia, Anno 5, numero 1, Gennaio-Giugno 2004.
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Lemert, E. M. (1967), Human Deviance, Social Problems and Social Control, Prentice-Hall,
Englewood Cliffs, New Jersey (trad. it.: Devianza, problemi sociali e forme di controllo,
Giuffré, Milano, 1981).
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Mozzanica C.M., I diritti dei disabili e le leggi viste come risorsa per la costruzione di
progetti per il ‘dopo di noi’: diritto a un progetto individuale, tutela vista come diritto
esigibile. In Maravita L., Atti del Convegno: Amministratore di sostegno, pp. 135-157,
Vita&Pensiero, Milano, 2004.
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Pazè P., L’amministratore di sostegno: analisi e potenzialità della legge. In Maravita L., Atti
del Convegno: Amministratore di sostegno, pp. 93-120, Vita&Pensiero, Milano, 2004.
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Saponara M., L’iter legislativo: l’amministratore di sostegno tra tutore e curatore. In
Maravita L., Atti del Convegno: Amministratore di sostegno, pp. 33-38, Vita&Pensiero,
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24
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Sidoli R., Dignità della vita fra libertà di scelta e sostegno tutoriale. In Maravita L., Atti del
Convegno: Amministratore di sostegno, pp. 165-172, Vita&Pensiero, Milano, 2004.
25
APPENDICE
E’ qui riportato il testo della legge n. 6 / 2004 nella sua versione completa pubblicata nella
Gazzetta ufficiale n. 14 del 19 gennaio 2004 ed entrata in vigore dopo 60 giorni, il 19 marzo 2004
TESTO DELLA LEGGE 9 GENNAIO 2004, N. 6
"Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all’istituzione
dell’amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429
del codice civile in materia di interdizione e di inabilitazione, nonchè relative norme di attuazione,
di coordinamento e finali"
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 14 del 19 gennaio 2004
Capo I
FINALITÀ DELLA LEGGE
Art. 1.
1. La presente legge ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di
agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita
quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente.
Capo II
MODIFICHE AL CODICE CIVILE
Art. 2.
1. La rubrica del titolo XII del libro primo del codice civile è sostituita dalla seguente: «Delle
misure di protezione delle persone prive in tutto od in parte di autonomia».
Art. 3.
1. Nel titolo XII del libro primo del codice civile, è premesso il seguente capo:
«Capo I. – Dell’amministrazione di sostegno.
Art. 404. – (Amministrazione di sostegno). – La persona che, per effetto di una infermità ovvero
di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di
provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal
giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio.
26
Art. 405. – (Decreto di nomina dell’amministratore di sostegno. Durata dell’incarico e relativa
pubblicità). – Il giudice tutelare provvede entro sessanta giorni dalla data di presentazione della
richiesta alla nomina dell’amministratore di sostegno con decreto motivato immediatamente
esecutivo, su ricorso di uno dei soggetti indicati nell’articolo 406.
Il decreto che riguarda un minore non emancipato può essere emesso solo nell’ultimo anno della
sua minore età e diventa esecutivo a decorrere dal momento in cui la maggiore età è raggiunta.
Se l’interessato è un interdetto o un inabilitato, il decreto è esecutivo dalla pubblicazione della
sentenza di revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione.
Qualora ne sussista la necessità, il giudice tutelare adotta anche d’ufficio i provvedimenti urgenti
per la cura della persona interessata e per la conservazione e l’amministrazione del suo patrimonio.
Può procedere alla nomina di un amministratore di sostegno provvisorio indicando gli atti che è
autorizzato a compiere.
Il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno deve contenere l’indicazione:
1) delle generalità della persona beneficiaria e dell’amministratore di sostegno;
2) della durata dell’incarico, che può essere anche a tempo indeterminato;
3) dell’oggetto dell’incarico e degli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere
in nome e per conto del beneficiario;
4) degli atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di
sostegno;
5) dei limiti, anche periodici, delle spese che l’amministratore di sostegno può sostenere con
utilizzo delle somme di cui il beneficiario ha o può avere la disponibilità;
6) della periodicità con cui l’amministratore di sostegno deve riferire al giudice circa l’attività
svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario.
Se la durata dell’incarico è a tempo determinato, il giudice tutelare può prorogarlo con decreto
motivato pronunciato anche d’ufficio prima della scadenza del termine.
Il decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno, il decreto di chiusura ed ogni altro
provvedimento assunto dal giudice tutelare nel corso dell’amministrazione di sostegno devono
essere immediatamente annotati a cura del cancelliere nell’apposito registro.
Il decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno e il decreto di chiusura devono essere
comunicati, entro dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile per le annotazioni in margine all’atto di
nascita del beneficiario. Se la durata dell’incarico è a tempo determinato, le annotazioni devono
essere cancellate alla scadenza del termine indicato nel decreto di apertura o in quello eventuale di
proroga.
Art. 406. – (Soggetti). – Il ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno può essere
proposto dallo stesso soggetto beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato, ovvero da uno
dei soggetti indicati nell’articolo 417.
Se il ricorso concerne persona interdetta o inabilitata il medesimo è presentato congiuntamente
all’istanza di revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione davanti al giudice competente per
quest’ultima.
I responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della
persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento di
amministrazione di sostegno, sono tenuti a proporre al giudice tutelare il ricorso di cui all’articolo
407 o a fornirne comunque notizia al pubblico ministero.
Art. 407. – (Procedimento). – Il ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno deve
indicare le generalità del beneficiario, la sua dimora abituale, le ragioni per cui si richiede la nomina
dell’amministratore di sostegno, il nominativo ed il domicilio, se conosciuti dal ricorrente, del
coniuge, dei discendenti, degli ascendenti, dei fratelli e dei conviventi del beneficiario.
Il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce
recandosi, ove occorra, nel luogo in cui questa si trova e deve tener conto, compatibilmente con gli
interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa.
Il giudice tutelare provvede, assunte le necessarie informazioni e sentiti i soggetti di cui all’articolo
406; in caso di mancata comparizione provvede comunque sul ricorso. Dispone altresì, anche
d’ufficio, gli accertamenti di natura medica e tutti gli altri mezzi istruttori utili ai fini della
decisione.
Il giudice tutelare può, in ogni tempo, modificare o integrare, anche d’ufficio, le decisioni assunte
con il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno.
In ogni caso, nel procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno interviene il pubblico
ministero.
Art. 408. – (Scelta dell’amministratore di sostegno). – La scelta dell’amministratore di sostegno
27
avviene con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario.
L’amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della
propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. In
mancanza, ovvero in presenza di gravi motivi, il giudice tutelare può designare con decreto
motivato un amministratore di sostegno diverso. Nella scelta, il giudice tutelare preferisce, ove
possibile, il coniuge che non sia separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la
madre, il figlio o il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado ovvero il soggetto designato
dal genitore superstite con testamento, atto pubblico o scrittura privata autenticata.
Le designazioni di cui al primo comma possono essere revocate dall’autore con le stesse forme.
Non possono ricoprire le funzioni di amministratore di sostegno gli operatori dei servizi pubblici o
privati che hanno in cura o in carico il beneficiario.
Il giudice tutelare, quando ne ravvisa l’opportunità, e nel caso di designazione dell’interessato
quando ricorrano gravi motivi, può chiamare all’incarico di amministratore di sostegno anche altra
persona idonea, ovvero uno dei soggetti di cui al titolo II° al cui legale rappresentante ovvero alla
persona che questi ha facoltà di delegare con atto depositato presso l’ufficio del giudice tutelare,
competono tutti i doveri e tutte le facoltà previste nel presente capo.
Art. 409. – (Effetti dell’amministrazione di sostegno). – Il beneficiario conserva la capacità di
agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria
dell’amministratore di sostegno.
Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno può in ogni caso compiere gli atti necessari a
soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana.
Art. 410. – (Doveri dell’amministratore di sostegno). – Nello svolgimento dei suoi compiti
l’amministratore di sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario.
L’amministratore di sostegno deve tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da
compiere nonchè il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso. In caso di
contrasto, di scelte o di atti dannosi ovvero di negligenza nel perseguire l’interesse o nel soddisfare i
bisogni o le richieste del beneficiario, questi, il pubblico ministero o gli altri soggetti di cui
all’articolo 406 possono ricorrere al giudice tutelare, che adotta con decreto motivato gli opportuni
provvedimenti.
L’amministratore di sostegno non è tenuto a continuare nello svolgimento dei suoi compiti oltre
dieci anni, ad eccezione dei casi in cui tale incarico è rivestito dal coniuge, dalla persona
stabilmente convivente, dagli ascendenti o dai discendenti.
Art. 411. – (Norme applicabili all’amministrazione di sostegno). – Si applicano
all’amministratore di sostegno, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli da 349 a
353 e da 374 a 388. I provvedimenti di cui agli articoli 375 e 376 sono emessi dal giudice tutelare.
All’amministratore di sostegno si applicano altresì, in quanto compatibili, le disposizioni degli
articoli 596, 599 e 779.
Sono in ogni caso valide le disposizioni testamentarie e le convenzioni in favore
dell’amministratore di sostegno che sia parente entro il quarto grado del beneficiario, ovvero che sia
coniuge o persona che sia stata chiamata alla funzione in quanto con lui stabilmente convivente.
Il giudice tutelare, nel provvedimento con il quale nomina l’amministratore di sostegno, o
successivamente, può disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da
disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al beneficiario
dell’amministrazione di sostegno, avuto riguardo all’interesse del medesimo ed a quello tutelato
dalle predette disposizioni. Il provvedimento è assunto con decreto motivato a seguito di ricorso che
può essere presentato anche dal beneficiario direttamente.
Art. 412. – (Atti compiuti dal beneficiario o dall’amministratore di sostegno in violazione di
norme di legge o delle disposizioni del giudice). – Gli atti compiuti dall’amministratore di sostegno
in violazione di disposizioni di legge, od in eccesso rispetto all’oggetto dell’incarico o ai poteri
conferitigli dal giudice, possono essere annullati su istanza dell’amministratore di sostegno, del
pubblico ministero, del beneficiario o dei suoi eredi ed aventi causa.
Possono essere parimenti annullati su istanza dell’amministratore di sostegno, del beneficiario, o
dei suoi eredi ed aventi causa, gli atti compiuti personalmente dal beneficiario in violazione delle
disposizioni di legge o di quelle contenute nel decreto che istituisce l’amministrazione di sostegno.
Le azioni relative si prescrivono nel termine di cinque anni. Il termine decorre dal momento in cui è
cessato lo stato di sottoposizione all’amministrazione di sostegno.
Art. 413. – (Revoca dell’amministrazione di sostegno). – Quando il beneficiario, l’amministratore
di sostegno, il pubblico ministero o taluno dei soggetti di cui all’articolo 406, ritengono che si siano
determinati i presupposti per la cessazione dell’amministrazione di sostegno, o per la sostituzione
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dell’amministratore, rivolgono istanza motivata al giudice tutelare.
L’istanza è comunicata al beneficiario ed all’amministratore di sostegno.
Il giudice tutelare provvede con decreto motivato, acquisite le necessarie informazioni e disposti
gli opportuni mezzi istruttori.
Il giudice tutelare provvede altresì, anche d’ufficio, alla dichiarazione di cessazione
dell’amministrazione di sostegno quando questa si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela
del beneficiario. In tale ipotesi, se ritiene che si debba promuovere giudizio di interdizione o di
inabilitazione, ne informa il pubblico ministero, affinchè vi provveda. In questo caso
l’amministrazione di sostegno cessa con la nomina del tutore o del curatore provvisorio ai sensi
dell’articolo 419, ovvero con la dichiarazione di interdizione o di inabilitazione».
2. All’articolo 388 del codice civile le parole: «prima dell’approvazione» sono sostituite dalle
seguenti: «prima che sia decorso un anno dall’approvazione».
3. Dall’applicazione della disposizione di cui all’articolo 408 del codice civile, introdotto dal
comma 1, non possono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.
Art. 4.
1. Nel titolo XII del libro primo del codice civile, prima dell’articolo 414 sono inserite le seguenti
parole:
«Capo II. – Della interdizione, della inabilitazione e della incapacità naturale».
2.
L’articolo
414
del
codice
civile
è
sostituito
dal
seguente:
«Art. 414. – (Persone che possono essere interdette). – Il maggiore di età e il minore emancipato, i
quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai
propri interessi, sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione».
Art. 5.
1. Nel primo comma dell’articolo 417 del codice civile, le parole: «possono essere promosse dal
coniuge» sono sostituite dalle seguenti: «possono essere promosse dalle persone indicate negli
articoli 414 e 415, dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente».
Art. 6.
1. All’articolo 418 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Se nel corso del giudizio di interdizione o di inabilitazione appare opportuno applicare
l’amministrazione di sostegno, il giudice, d’ufficio o ad istanza di parte, dispone la trasmissione del
procedimento al giudice tutelare. In tal caso il giudice competente per l’interdizione o per
l’inabilitazione può adottare i provvedimenti urgenti di cui al quarto comma dell’articolo 405».
Art. 7.
1. Il terzo comma dell’articolo 424 del codice civile è sostituito dal seguente:
«Nella scelta del tutore dell’interdetto e del curatore dell’inabilitato il giudice tutelare individua
di preferenza la persona più idonea all’incarico tra i soggetti, e con i criteri, indicati nell’articolo
408».
Art. 8.
1. All’articolo 426 del codice civile, al primo comma, dopo le parole: «del coniuge,» sono
inserite le seguenti: «della persona stabilmente convivente,».
Art. 9.
1. All’articolo 427 del codice civile, al primo comma è premesso il seguente:
«Nella sentenza che pronuncia l’interdizione o l’inabilitazione, o in successivi provvedimenti
dell’autorità giudiziaria, può stabilirsi che taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere
compiuti dall’interdetto senza l’intervento ovvero con l’assistenza del tutore, o che taluni atti
eccedenti l’ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’inabilitato senza l’assistenza del
curatore».
Art. 10.
1. All’articolo 429 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:
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«Se nel corso del giudizio per la revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione appare opportuno
che, successivamente alla revoca, il soggetto sia assistito dall’amministratore di sostegno, il
tribunale, d’ufficio o ad istanza di parte, dispone la trasmissione degli atti al giudice tutelare».
Art. 11.
1. L’articolo 39 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie,
approvate con regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, è abrogato.
Capo III
NORME DI ATTUAZIONE, DI COORDINAMENTO E FINALI
Art. 12.
1. L’articolo 44 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie,
approvate con regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, è sostituito dal seguente:
«Art. 44. Il giudice tutelare può convocare in qualunque momento il tutore, il protutore, il
curatore e l’amministratore di sostegno allo scopo di chiedere informazioni, chiarimenti e notizie
sulla gestione della tutela, della curatela o dell’amministrazione di sostegno, e di dare istruzioni
inerenti agli interessi morali e patrimoniali del minore o del beneficiario».
Art. 13.
1. Dopo l’articolo 46 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni
transitorie, approvate con regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, è inserito il seguente:
«Art. 46-bis. Gli atti e i provvedimenti relativi ai procedimenti previsti dal titolo XII del libro
primo del codice non sono soggetti all’obbligo di registrazione e sono esenti dal contributo unificato
previsto dall’articolo 9 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115».
2. All’onere derivante dall’attuazione del presente articolo, valutato in euro 4.244.970 a decorrere
dall’anno 2003, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini
del bilancio triennale 2003-2005, nell’ambito dell’unità previsionale di base di parte corrente
«Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno
2003, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia.
3. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le
occorrenti variazioni di bilancio.
Art. 14.
1. L’articolo 47 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie,
approvate con regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, è sostituito dal seguente:
«Art. 47. Presso l’ufficio del giudice tutelare sono tenuti un registro delle tutele dei minori e degli
interdetti, un registro delle curatele dei minori emancipati e degli inabilitati ed un registro delle
amministrazioni di sostegno».
Art. 15.
1. Dopo l’articolo 49 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni
transitorie, approvate con regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, è inserito il seguente:
«Art. 49-bis. Nel registro delle amministrazioni di sostegno, in un capitolo speciale per ciascuna
di
esse,
si
devono
annotare
a
cura
del
cancelliere:
1) la data e gli estremi essenziali del provvedimento che dispone l’amministrazione di sostegno, e
di ogni altro provvedimento assunto dal giudice nel corso della stessa, compresi quelli emanati in
via d’urgenza ai sensi dell’articolo 405 del codice;
2)
le
complete
generalità
della
persona
beneficiaria;
3) le complete generalità dell’amministratore di sostegno o del legale rappresentante del soggetto
che svolge la relativa funzione, quando non si tratta di persona fisica;
4) la data e gli estremi essenziali del provvedimento che dispone la revoca o la chiusura
dell’amministrazione di sostegno».
Art. 16.
1. All’articolo 51 del codice di procedura civile, al primo comma, al numero 5, dopo la parola:
«curatore» sono inserite le seguenti: «, amministratore di sostegno».
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Art. 17.
1. Al capo II del titolo II del libro quarto del codice di procedura civile, nella rubrica, le parole:
«e dell’inabilitazione» sono sostituite dalle seguenti: «dell’inabilitazione e dell’amministrazione di
sostegno».
2. Dopo l’articolo 720 del codice di procedura civile è inserito il seguente:
«Art. 720-bis. (Norme applicabili ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno). –
Ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno si applicano, in quanto compatibili, le
disposizioni degli articoli 712, 713, 716, 719 e 720.
Contro il decreto del giudice tutelare è ammesso reclamo alla corte d’appello a norma
dell’articolo
739.
Contro il decreto della corte d’appello pronunciato ai sensi del secondo comma può essere proposto
ricorso per cassazione».
Art. 18.
1. All’articolo 3, comma 1, lettera p), del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e
dei relativi carichi pendenti, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n.
313, sono aggiunte, in fine, le parole: «, nonchè i decreti che istituiscono, modificano o revocano
l’amministrazione di sostegno».
2. All’articolo 24, comma 1, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, la lettera m) è sostituita dalla seguente:
«m) ai provvedimenti di interdizione, di inabilitazione e relativi all’amministrazione di sostegno,
quando esse sono state revocate».
3. All’articolo 25, comma 1, lettera m), del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, sono aggiunte, in fine, le parole: «, nonchè ai decreti che
istituiscono,
modificano
o
revocano
l’amministrazione
di
sostegno».
4. All’articolo 26, comma 1, lettera a), del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, sono aggiunte, in fine, le parole: «ai decreti che istituiscono
o modificano l’amministrazione di sostegno, salvo che siano stati revocati;».
Art. 19.
1. Nell’articolo 92, primo comma, dell’ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30
gennaio 1941, n. 12, dopo le parole: «procedimenti cautelari,» sono inserite le seguenti: «ai
procedimenti per l’adozione di provvedimenti in materia di amministrazione di sostegno, di
interdizione, di inabilitazione, ai procedimenti».
Art. 20.
1. La presente legge entra in vigore dopo sessanta giorni dalla data della sua pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale.
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