4. La Filosofia dello spirito Lo Spirito costituisce il momento

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4. La Filosofia dello spirito Lo Spirito costituisce il momento
4. La Filosofia dello spirito
Lo Spirito costituisce il momento culminante del divenire dell'Idea. Esso, infatti, è l'Idea
pienamente attuata, l' Idea che ha preso coscienza di sé.
Per Hegel, come si è detto, tutto è Idea, il che vuol dire: tutto è intelligibile, razionale; ma
l'intelligibilità del reale non è data di colpo: essa si attua, progressivamente, attraverso il
cammino dialettico.
Questo cammino dialettico culmina appunto nello Spirito: abbiamo già visto nella
Fenomenologia come Hegel, con questo termine, indichi non tanto un’entità trascendente, né
la semplice coscienza individuale, quanto il mondo delle relazioni umane, dei valori, delle
istituzioni, ciò che noi oggi chiameremmo – in generale – cultura.
Lo spirito dunque è l'uomo, l'Umanità intesa non come razza biologica particolare, ma come
entità autocosciente, razionale e libera.
L’uomo è spirito in quanto appartiene a una comunità culturale, o anche – appunto –
spirituale. Nella comunità, tra gli altri, l’uomo associato è un soggetto attivo che realizza se
stesso nelle attvità che danno vita alla società.
In questa sua dimensione associata, culturale, spirituale, l’uomo trova se stesso, realizza la
sua dimensione più propria: in linguaggio hegeliano, l’idea torna a se stessa dopo la caduta
nel mondo naturale.
La vera ricchezza dell’idea sarà dunque nella dimensione culturale, non in quella naturale,
nel momento dello spirito, ossia nell’uomo, l’idea ritrova se stessa; nel momento della
natura, l’idea si era allontanata da sé.
Allo spirito, quindi, Hegel guarda come al momento decisivo del progresso dell'Idea e ne
descrive l'intimo sviluppo, che avviene attraverso i tre momenti dello spirito
• soggettivo;
• oggettivo;
• assoluto.
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5. Lo spirito soggettivo
Lo spirito soggettivo è lo spirito individuale, la singola esistenza, ossia l’individuo
separato dalla trama delle relazioni sociali, degli scambi intersoggettivi e dei rapporti
istituzionali: è il singolo astratto (separato) dalla comunità.
Lo spirito soggettivo è appena uscito dalla natura, di cui porta ancora le tracce: esso è
dunque considerato nel suo lento e progressivo emergere dalla natura, attraverso un
processo che va dalle forme più elementari di vita psichica alle più elevate attività conoscitive
e pratiche.
La filosofia dello spirito soggettivo si divide in tre parti:
• antropologia;
• fenomenologia;
• psicologia.
L’antropologia considera lo spirito come anima, la quale si identifica con la fase iniziale,
primitiva della vita cosciente, studia lo spirito nel suo progressivo differenziarsi dall’esteriorità
naturale: suo oggetto sono le interazione fra l’anima e il corpo, ciò che noi chiameremmo
oggi i fenomeni psicofisici, nei quali la vita psichica è strettamente connessa alla parte fisica e
corporea (la sensazione, il sonno, la veglia, le relazioni sessuali, le emozioni e il loro agire sul
corpo etc.).
La fenomenologia studia lo spirito in quanto coscienza, autocoscienza e ragione e riprende
le figure principali di cui Hegel aveva già parlato proprio nella Fenomenologia dello Spirito (è
la scienza della coscienza).
Infine la psicologia studia lo spirito individuale nelle forme universali del conoscere: intuizione,
rappresentazione, memoria, immaginazione, linguaggio, volontà: si tratta delle classiche
facoltà cognitive).
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6. Lo spirito oggettivo
Lo spirito oggettivo è lo spirito che si realizza in un mondo distinto da quello della natura: il
mondo delle leggi, della politica, delle istituzioni e dei costumi.
Lo spirito oggettivo rappresenta il momento della
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dimensione relazionale e intersoggettiva: lo spirito non è più astratto, ossia
separato dalla comunità, egli anzi si oggettiva nelle istituzioni sociali e politiche,
nelle relazioni giuridiche e morali tra i membri della comunità.
Hegel afferma che lo spirito oggettivo è la realizzazione della libertà, e la libertà è l'unità
del volere razionale con il volere del singolo; non è dunque l'arbitrio, ma è la volontà che si
adegua a ciò che prescrive la ragione, ossia alla legge.
Hegel, anzi, identifica libertà e legge. Si capisce, quindi, come il primo momento dello
spirito oggettivo sia proprio quello della
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legge, del diritto astratto.
Il diritto realizza la prima forma di libertà dell'individuo, quella che riguarda l'insieme dei
rapporti esteriori fra i soggetti che costituiscono una comunità.
Nel diritto astratto l'individuo diviene infatti una persona giuridica e ciò, per Hegel, significa
essenzialmente soggetto capace di proprietà.
Il diritto tutela la libertà esterna della persona garantendola, appunto, come proprietario e
tutti i rapporti fra i soggetti di una comunità sono appunto rapporti regolati dalla proprietà.
Al lato esterno, superficiale, astratto e formale della libertà si contrappone quello della legge
interiore. E la legge interiore non può che essere quella rappresentata dalla
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vita morale (moralità, secondo momento dello spirito oggettivo).
Se nel diritto astratto l'individuo è persona giuridica, nella moralità è soggetto, ossia volontà
consapevole che accoglie la legge morale solo in quanto la riconosce come cosa sua.
La libertà si presenta qui come capacità di dare leggi a se stessi nell’intimo della coscienza.
La moralità cede il passo alla
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eticità (terzo momento), che, per Hegel, è il vero compimento della libertà; è il luogo
dell’agire secondo prospettive non più individuali ma comuni.
La vera vita morale, la vera libertà, è il consapevole e volontario inserimento in una
comunità, un inserimento non tanto regolato da leggi, quanto vissuto nel costume di un
popolo, nella sua storia, nelle sue tradizioni, nelle sue istituzioni.
La vera libertà e la vera virtù non si acquistano dunque obbedendo formalmente a una legge
(diritto) o al dovere per il dovere (moralità), ma dedicandosi alla comunità in cui si vive, al
bene del proprio popolo.
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La comunità perfetta è lo Stato (terzo momento dell’eticità), ma a questo sono presupposte
la famiglia (primo momento dell’eticità) e la società civile (secondo momento dell’eticità).
La prima dimensione dell’eticità è
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la famiglia, mediante la quale gli individui entrano a far parte di un primo nucleo della
società.
Della famiglia Hegel ha sempre avuto un concetto molto alto; ha sempre sottolineato il
carattere spirituale del vincolo familiare, dato dalla volontà, dal consenso.
L’eticità della famiglia è data infatti dal vincolo volontario del matrimonio e dall’educazione dei
figli, capaci di conferire spiritualità all’unione naturale ed economica che sta alla base della
famiglia.
Con la crescita, i figli sono destinati ad allontanarsi dalla famiglia d’origine e a entrare, in virtù
della loro libera azione individuale, nella dimensione della
•
società civile.
La società civile è il secondo momento dell'eticità: è l'unione di più famiglie determinata dai
bisogni economici.
La società civile di cui parla Hegel è soprattutto quella delle classi o ceti (agricoltori, artigiani
e commercianti, funzionari dello Stato) e delle corporazioni di mestiere.
In questo mondo, che è il mondo del lavoro, segnato dal fenomeno della concorrenza, il
borghese agisce anzitutto secondo interessi economici.
Il più alto grado dell'eticità è
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lo Stato.
Lo stato è per Hegel la realizzazione piena dello spirito (e dunque dell’uomo).
Lo Stato non va confuso con la società civile, poiché mentre questa, come si è detto, nasce
dai bisogni degli individui, lo Stato è logicamente presupposto agli individui, come la
totalità di un organismo è presupposta logicamente alle sue parti.
Come le parti di un organismo non hanno senso se non nel tutto, così gli individui umani non
sono autenticamente uomini se non nello Stato.
La riflessione politica dell'età moderna aveva affermato l'esistenza di una condizione prestatuale (lo stato di natura), dalla quale l'uomo uscirebbe attraverso il cosiddetto contratto
sociale, patto per il cui tramite, in cambio di protezione e garanzia, l'individuo accetta di unirsi
ad altri individui e di sottomettere la propria volontà alla legge.
Da tale riflessione era sorta, appunto, la teoria democratico-liberale dello Stato: la sovranità
appartiene al popolo e lo Stato è uno strumento volto a garantire la sicurezza e i diritti
(naturali) degli individui.
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Hegel rifiuta questa concezione. La sovranità appartiene allo Stato stesso, ciò significa
che lo Stato non è fondato sugli individui, ma sull'idea di Stato, ossia su un concetto di
bene universale.
Non esistono diritti naturali pre-esistenti e lo Stato, pertanto, non può ridursi alla tutela dei
particolarismi delle persone.
Pur riconoscendo i diritti degli individui, l’essenza dello Stato non consiste nell’essere in
funzione degli individui, anzi nello Stato i diritti degli individui svolgono un ruolo di
secondo piano.
Ciò non significa, tuttavia, che Hegel propenda per un modello di Stato dispotico o
reazionario.
Lo Stato hegeliano, pur essendo assolutamente sovrano, non è, per questo, uno Stato
illegale, perché esso deve operare secondo le leggi e nella forma delle leggi.
Lo Stato che Hegel prefigura è quindi lo Stato di diritto fondato sul rispetto delle leggi e sulla
salvaguardia della libertà formale dell'individuo e della sua proprietà.
La monarchia costituzionale moderna è perciò il modello politico più rispondente.
7. La storia
Lo Stato è l'espressione dello spirito di un popolo, ma i popoli sono molti e spesso in
contrasto tra loro.
Le relazioni degli Stati tra loro non possono, secondo Hegel, essere regolate da un diritto
internazionale che sia espressione della federazione tra gli Stati.
Hegel non accetta l'idea di un diritto internazionale in grado di regolare i rapporti tra gli Stati e
pertanto ritiene che tali rapporti non possano che essere così come sono, vale a dire
rapporti di forza che si risolvono spesso con la guerra.
Dato che realizza concretamente lo spirito di un popolo, uno Stato si pone di fronte agli altri
come un organismo indipendente e sovrano, che vuole essere riconosciuto dagli altri Stati.
Ogni Stato sta di fronte agli altri Stati come l’individuo di fronte agli altri individui, sulla base
dei sentimenti, degli interessi, delle esigenze e dello spirito del popolo che incarna, fatalmente
diversi e anche contrastanti con quelli di altri popoli.
Lì dove le divergenze sono inconciliabili, solo la guerra può regolare la contesa: Hegel rifiuta
dunque il cosmopolitismo illuministico e l’idea utopistica di una condizione di pace perpetua
tra gli Stati.
La natura degli Stati è tale da determinare una situazione di conflittualità e negatività
endemiche nel rapporto tra gli stessi: la guerra è una condizione pertanto necessaria e
insuperabile.
Il teatro di tali rapporti è appunto la storia.
Come ogni realtà anche la storia è razionale e il compito del filosofo è quello di cogliere e
di manifestare questa razionalità.
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Per questo la filosofia della storia ha un compito di giustificazione: essa cioè deve
dimostrare che tutto ha un significato, anche il male, e contribuisce al bene, al
raggiungimento di un bene superiore.
La storia non è fatta dagli individui, ma dai popoli: gli individui non sono che i mezzi per la
vita dei popoli; cercando infatti di perseguire i loro fini particolari, essi realizzano un fine
universale che sfugge alla loro consapevolezza.
Qui si rivela "l'astuzia della ragione", che adopera le passioni degli individui per realizzare fini
universali.
8. Lo spirito assoluto
Lo spirito assoluto, con le sue espressioni di arte, religione, filosofia, è collocato da Hegel,
oltre lo spirito oggettivo, giudicato dalla storia.
Anche l'arte, la religione e la filosofia, come i popoli, gli stati, le leggi etc., vivono nella storia e
tuttavia, secondo Hegel, esse, più di questi, si sottraggono alla storia poiché esprimono
valori ancor più universali.
Proprio per questo lo spirito assoluto, cioè il momento in cui l'idea giunge alla piena
coscienza della propria infinità (vale a dire del fatto che tutto è spirito e che non vi è nulla
all'infuori dello spirito), non può che esprimersi, sempre in modo dialettico, in tali forme, in
qualche modo, soprastoriche.
Arte, religione e filosofia non si differenziano per il contenuto, ossia per l'oggetto da esse
considerato che è l'assoluto stesso, ma per la forma nella quale ciascuna di esse presenta
questo stesso contenuto, questo stesso oggetto infinito.
9. L'arte
L'arte rappresenta il primo gradino attraverso cui lo spirito acquista coscienza di se
medesimo. La forma nella quale essa conosce l'assoluto è l'intuizione sensibile.
Ciò significa che l'uomo acquista consapevolezza della propria assolutezza o infinità,
innanzitutto, mediante forme sensibili (figure, parole, musica etc.).
Questa consapevolezza di sé è data in modo immediato e intuitivo, cioè attraverso una
partecipazione-fusione del soggetto con il proprio oggetto, dello spirito con la materia;
fusione-partecipazione che è, appunto, tipica della creazione artistica.
10. La religione
Nella religione l'assoluto si manifesta nella forma della rappresentazione.
Per rappresentazione Hegel intende un modo di pensare che sta a metà strada fra l'intuizione
artistica e la riflessione filosofica e che si esprime cioè più per metafore e analogie, che
per concetti (la religione è un sentimento dell'assoluto che tende a tradursi in pensiero).
La caratteristica della religione è quella di considerare il suo oggetto (l'assoluto/dio) come
trascendente lo spirito umano, trascendenza che essa cerca di superare nel culto, cioè
nella preghiera, nella devozione, nella liturgia.
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11. La filosofia
La filosofia è finalmente non solo un sapere l'assoluto nella sua totalità (come già l'arte e la
religione) ma è essa stessa sapere assoluto, ossia sapere nella forma più perfetta.
Questa forma è appunto quella filosofica del sapere per concetti.
Mentre, in altre parole, nell'arte lo spirito è intuito e nella religione avvertito
sentimentalmente, nella filosofia l'assoluto è semplicemente dimostrato.
La filosofia non ha quindi bisogno di forme sensibili, né di un culto o di una liturgia, alla
filosofia appare sufficiente la fatica del concetto.
Come tutta la realtà, anche la filosofia conosce uno sviluppo, una processualità dialettica al
culmine della quale Hegel non può che collocare l'idealismo, ovvero la sua stessa filosofia.
Di conseguenza i vari sistemi filosofici che si sono succeduti nel tempo non possono essere
considerati un insieme accidentale e disordinato di opinioni, ma un vero e proprio cammino
necessario verso la forma definitiva di sapere, che è appunto rappresentata dal sistema
hegeliano.
La filosofia pertanto è storia della filosofia e con questo Hegel ribadisce, ancora una volta, il
compito del sapere, che è quello di dimostrare la razionalità di ciò che esiste.
La filosofia, quindi, ha il compito primario di “comprendere ciò che è”, spiegando il modo
reale e complesso – dialettico, appunto – con il quale la ragione si attua nella storia.
La filosofia deve spiegare concettualmente, ossia mostrare la logica interna e il grado di
razionalità della storia e della realtà.
Questa comprensione concettuale, questa consapevolezza finale, è appunto lo spirito
assoluto: la filosofia – afferma Hegel – è “il proprio tempo appreso in pensieri”.
La filosofia non ha quindi il compito di dare vita a una dottrina su come deve essere il mondo,
ma deve ricostruire lo svolgimento della razionalità che ha portato il mondo a essere
quello che è.
Per questi motivi, la filosofia è come la nottola di Minerva (la civetta sacra alla dea AtenaMinerva, simbolo della sapienza), che inizia il suo volo al tramonto (ovvero quando la realtà si
è già compiuta, quando le opere del giorno sono compiute, e la realtà ha già preso forma).
Questo ruolo finale e “comprensivo” della filosofia implica che la stessa deve mantenersi in
pace con la realtà e rinunciare alla pretesa, assurda, di determinarla e guidarla.
Sebbene sia stata interpretata – nemmeno troppo a torto – in senso conservatore, come
giustificazione di ogni cosa passata e presente, questa considerazione del ruolo della filosofia
può a buon diritto essere letta in altro modo, ossia come necessità di giudicare i fenomeni
in base alla logica interna che le muove e che ne ha determinato l’accadere.
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