Una passeggiata alle marcite
Transcript
Una passeggiata alle marcite
Coop Cime Azzurre CEA dei 2 Parchi Nazionali Percorso storico - naturalistico Le Marcite di Norcia Il percorso: “Una passeggiata alle Marcite” indicato in rosso nella cartina a sinistra, è lungo ca. 4 km e sono necessarie più o meno 3 ore per goderselo nei particolari. Non è richiesto un abbigliamento specifico, bastano un paio di scarpe meglio se impermeabili (tipo goretex). Si parte dalla strada della Circonvallazione di Norcia per ritornare nel luogo di partenza attraverso una serie di tabelle che descrivono: La storia delle marcite; La flora e la fauna e I mulini ad acqua. Fig.1 (carta del percorso) Questi ultimi che spiccano tra la vegetazione rendendo il paesaggio fiabesco, non sono tutti visitabili con questo percorso, per alcuni di essi infatti l'accesso passa per la Strada Statale 396. Il primo tratto che si percorre è la vecchia strada che un tempo portava alla città di Cascia dove si incontra la chiesetta campestre Madonna di Cascia (Fig. 2 a des.) il cui nome le è stato attribuito in seguito ad una solenne pace stipulata nel XV sec. tra casciani e nursini. Nelle immediate vicinanze sono dislocate alcune aziende agricole e a volte si vedono pascolare greggi di pecore che usufruiscono dell’erba di questi prati. Fig.2 (chiesetta campestre Madonna di Cascia) 1 Coop Cime Azzurre CEA dei 2 Parchi Nazionali La Storia delle Marcite Le marcite di Norcia sono comunemente definite come una pratica colturale introdotta dai monaci Benedettini per bonificare un terreno palustre e tramandata con il passare dei secoli agli abitanti della città. Sono prati irrigati da un velo d’acqua continuo, grazie ad importanti fenomeni idraulici sotterranei che li rendono vegeti così da garantire tagli d’erba tutto l’anno. L’origine di questi prati è fatta risalire da alcuni studiosi al VI secolo d.C., con lo sviluppo delle pratiche agricole esercitate nel luogo dall’ ordine religioso di S. Benedetto, mentre altri identificano la nascita di questo sistema irriguo tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, su imitazione delle Marcite lombarde, introdotte sempre da ordini monastici. La piana di Santa Scolastica era un antico lago formatosi per sprofondamento tettonico delle sue rocce sedimentarie di natura calcarea le cui acque, a causa probabilmente di un sisma, defluirono verso la zona di Serravalle. I torrenti che scendono dai rilievi grazie ad un terreno molto permeabile e attraverso dei canali idrografici sotterranei, scompaiono infiltrandosi nel terreno e riaffiorano nelle sorgenti di San Martino, del Torbidone, della Madonna di Capregna e del Salicone raccogliendosi poi, nel fiume Sordo. Le marcite sono proprio in questa zona di convoglio delle acque, nel settore occidentale della Piana di Santa Scolastica, nell’ area di minima quota (570 – 590 m circa) e occupano una superficie di 70 - 100 HA circa dell’intero piano. Le marcite sono divise in piccoli appezzamenti chiamati cortinelle, separate da canali artificiali di convoglio dell’acqua detti adacquatrici, che vengono sbarrati con delle paratoie di legno storcitoi in modo che l’acqua straripi e irrighi la superficie del prato attraverso dei piccoli fossi colatori che rendono lo scorrimento dell’acqua omogeneo evitando così il ristagno (fig. 3 in basso). La temperatura dell'acqua alle sorgenti oscilla tra i 6° e i 12° ed è proprio questa caratteristica, unita an-che a quella di avere, grazie all’intervento dell' uomo, un flusso costante e omogeneo, che rende i prati verdi tutto l’anno. Il sistema di irrigazione differisce a seconda delle stagioni. Fig.3 (adacquatrice con storcitoio sul fondo che separa due cortinelle) 2 Coop Cime Azzurre CEA dei 2 Parchi Nazionali Un grande geografo francese, Henry Desplanques, nel 1969 affermava che il proprietario delle cortinelle regolava il livello dell’acqua nei prati come lui riteneva opportuno e molto raramente si faceva uso di concime. I tipi di raccolto sono due: fieno ed erba; falciabili sia in inverno che in estate. Il foraggio fino agli anni 1940-1950, era falciato annualmente e costituiva la principale ricchezza della conca di Norcia poiché garantiva il nutrimento invernale agli animali riparati nelle stalle. Sull’origine del nome di “marcita” ci sono diversi pareri, ma l’ipotesi più certa, secondo gli studiosi, pare sia quella che fa derivare il significato da un’antica pratica agreste che consisteva nel far marcire sui prati irrigui, durante il periodo invernale, l’ultimo taglio di fieno annuale, cioè quello di settembre - ottobre, allo scopo di arricchirlo di sostanza organica. Le marcite sono tra le aree individuate negli anni settanta come uno dei biotopi più particolari d’Italia e la CEE le ha introdotte tra i 92 Siti di interesse Comunitario. Oggi questi prati sono in stato di semiabbandono e sembra che piano piano stanno riacquistando il loro aspetto palustre. Tuttavia da parte degli enti locali è in corso un’opera di risanamento di questa area e già la Comunità Montana della Valnerina ha bonificato una piccola parte di terreno ripristinando la pratica colturale della marcita. La flora e la fauna Se volessimo definire con due parole le marcite, diremo che sono una serie di prati e corsi d’acqua delimitati da filari di pioppi cipressini (detto anche pioppo nero, tipico dell’Italia centrale), canne di palude e salici. All’interno però la vegetazione è molto più ricca di quanto possa sembrare. Tra le erbe che compongono il paesaggio si può trovare: Logliessa (Lolium perenne): graminacea molto comune soprattutto nel periodo invernale; l’erba borsetta (Alopecurus utriculatus): dall’infiorascenza a spiga cilindrica; Fienarola (Poa pratensis): pianta con l’ infiorescenza a pannocchia; erba bozzolina o Erba bambagina (Holcus lanatus): con numerose spighette ovali di colore verde pallido; Paleino odoroso (Anthoxanthum odoratum): conferisce il suo odore alle carni e al latte del bestiame che se ne ciba e la Spigolina (Bromus mollis). Tra le specie con fiori ed infiorescenze e con le foglie più grandi abbiamo: Ranuncoli (Ranuncolus): riconoscibili per i fiori regolari giallo dorato; Trifoglio (Trifolium repens e Trifolium pratense); Dente di leone o Tarassaco (Taraxacum officinale): una delle erbacee più comuni dei prati; Acetosa o Erba brusca (Rumex acetosa): i cui fiori sono riuniti in pannocchie e molto apprezzata dal bestiame per il sapore acidulo; Farfaraccio (Petasites Hybridus): pianta a foglie grandi, cuoriformi e dentate (utilizzate un tempo dai pescatori per avvolgere il pesce) e dai fiori rosei o rossastri che nascono prima della fogliazione. 3 Coop Cime Azzurre CEA dei 2 Parchi Nazionali Tutte queste piante erbacee aumentano il valore nutritivo del fieno rendendolo maggiormente digeribile. Oltre a queste citate ce ne sono tante altre che vivono sul fondo e lungo gli argini dei canali e dei fossi principali e sono: Lemma minor idrofita natante conosciuta come “Lenticchia d’acqua” e la lemma gibba che formano entrambe un tappeto galleggiante (Fig. 4 in basso). Molte sono le specie che vivono sommerse ed alcune elevano i fiori al di fuori dell’acqua tra queste si annoverano: Lattuga ranina (Potamogeten crispus): riconoscibile per le foglie lunghe; Fig. 4 (vegetazione arborea ed erbacea) Ranuncolo d'acqua. (ranunculus trichophyllus): dalle foglie molli che convergono fuori dall’acqua; Crescione d’acqua (Nasturtium officinale): al quale si attribuiscono sin dall’antichità proprietà terapeutiche e le foglie sono anche usate in cucina per aromatizzare i piatti. Tra le specie che si trovano lungo gli argini dei canali si ricordano: Mazza sorda o Canna della Passione (Typha latifolia): con spiga a forma cilindrica, ha foglie grandi spesso utilizzate per lavori di intreccio; Biodo o Coltellaccio (Sparganium erectum): ha infiorescenze sferiche. A causa delle trasformazioni del paesaggio dovute all’abbandono di questa area, è ormai del tutto assente la fauna acquatica, ma durante il percorso si possono avvistare rondini, anatre e cornacchie e se si è fortunati, anche il picchio verde del quale ci si può accontentare anche solo di sentire il rumore provocato dal suo becco nello scavare i tronchi degli alberi. 4 Coop Cime Azzurre CEA dei 2 Parchi Nazionali I MULINI L’uso irriguo dei corsi d’acqua diede origine a un sistema idraulico che favorì la realizzazione di una serie di mulini. Si tratta di piccoli impianti dislocati lungo i canali e somiglianti, per ragioni difensive, a delle fortezze. D'altra parte la struttura fortificata era caratteristica di tutte quelle costruzioni fuori dalle mura difensive dei borghi. La nascita dei mulini ad acqua si fa risalire all'età romana imperiale con l’introduzione degli opifici idraulici e soprattutto dei mulini per cereali. I mulini delle marcite erano del tipo orizzontale, che è il tipo di mulino più rudimentale e antico, costituito da una ruota motrice orizzontale, a pale o a cucchiai (situata in un vano seminterrato all'interno del mulino), con l’albero verticale che attraversa la macina fissa e trasmette direttamente il moto alla macina superiore. I mulini a ruota orizzontale vengono azionati dall’acqua proveniente da un canale di derivazione e hanno bisogno per il loro funzionamento di una quantità d’acqua decisamente limitata, questo è il motivo per cui si trovavano soprattutto lungo i torrenti e i rii minori, consentendo tra l'altro, costi di impianto e di manutenzione molto bassi. Attraverso una serie di opere di intercettazione e di derivazione l’acqua viene fatta convogliare in una vasca di raccolta, che ha la funzione di creare energia idraulica quando la portata del torrente non è sufficiente a farlo (Fig. 5 a sin.). Sin dall’antichità la pratica irrigua era disciplinata da norme e negli statuti del Comune di Norcia, stampati nel 1570, vi sono anche delle norme che regolavano l’attività molitoria. Nelle marcite si contano otto mulini, ma solo sei Fig. 5 (vasca di raccolta del Mulino Cecconi) interessano il nostro percorso poiché il Mulino Lucci, ormai un rudere, e il Mulino Lalli si trovano al di fuori del percorso. Tutti hanno in comune la cessazione dell’attività molitoria avvenuta verso gli anni cinquanta. Il Mulino Viola attingeva l’acqua dal fiume Sordo. Vi si accede tramite la Strada Comunale di Circonvallazione. Si tratta di un mulino di proprietà privata costruito nel XIII-XIV sec.. L’inizio della sua attività è coeva all’edificio, sorto pertanto come mulino per cereali. Oggi si trova allo stato di rudere. Tutti gli utensili ed i macchinari usati per la macinazione sono scomparsi. La fitta vegetazione che lo ricopre ne rende impossibile un’adeguata lettura. 5 Coop Cime Azzurre CEA dei 2 Parchi Nazionali Il Mulino Lanzi è inserito nel progetto dell’Ecomuseo delle marcite. Vi si accede dalla Strada Comunale di Circonvallazione ed è proprietà del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Risale al XIII – XIV sec. Anche in questo caso la costruzione è stata dedicata fin Fig.6 dall'origine all'attività molitoria. L’edificio già in buono stato di conservazione è stato interamente ristrutturato. E’ su due piani con un piano seminterrato con volte a botte (Fig.6 in alto). Il Mulino Petrini è attualmente un rudere. Vi si accede dalla Strada Comunale di Circonvallazione. Appartiene al signor Petrini Salvatore e risale al XIII – XVI sec.. All’interno sono ancora custodite le macine utilizzate nel mulino stesso. Il Mulino Amici ristrutturato da poco, risale al XIII – XVI sec. e si compone di più corpi di fabbrica che gli conferiscono una forma a T. E’ a due piani ed ha due vani al piano interrato e quattro al piano terra (Fig. 7 a sin.). Il Mulino De Sanctis – Naticchioni appartiene alla Comunità Montana della Valnerina ed è stato ristrutturato. Vi si Fig. 7 accede dalla Strada Statale 396. Risale al XIII – XIV sec. Si sviluppa su due piani di cui uno seminterrato che verrà finalizzato ad attività didattiche per mostrare il funzionamento di un mulino. 6 Coop Cime Azzurre CEA dei 2 Parchi Nazionali Il Mulino Cecconi è della Comunità Montana della Valnerina. Risale al XIII – XIV sec. ed è attualmente un Museo di Arte Molitoria. L’edificio ha forma squadrata e si sviluppa su due piani con rinforzi nelle mura perimetrali. L’accesso pedonale è assicurato da un piccolo ponte in legno (Fig. 8 a sin.). Fig. 8 BIBLIOGRAFIA CORDELLA R., 1995, Norcia e territorio, Una mostra, un restauro,Norcia. DI LEO A.- SEVERINI PERLA M. R., 1984, Piante delle marcite di Norcia , Università degli Studi di Perugia, Perugia. CEDRAV (a cura di), 2000, Censimento dei mulini ad acqua della Valnerina, Comunità Montana della Valnerina, Norcia. RÉSEAU EUROPÉEN DES MOULINS EN ESPACE RURAL (a cura di), 2000, Rete Europea dei Mulini in Ambiente Rurale, Rapporto finale, Comunità Montana della Valnerina. REGIONE DELL’UMBRIA, 1989, Parco dei Monti Sibillini. Interventi di risanamento delle Marcite di Norcia, rpa Risorse Ambientali, Fontana, Perugia. ORSOMANDO E., 1981, Umbria Economica, “Rassegna trimestrale di politica sociale”, n. 3, 1981. LIPPI – BONCAMBI C., 1948, Idrologia del Piano di Santa Scolastica, pp. 3 -4, in La Ricerca Scientifica (Gennaio – Febbraio 1949), Anno 19°, n. 1- 2, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma. Enciclopedia delle Scienze, 1981, Botanica, 1 – 2 voll. Istituto Geografico De Agostini, S.p.A. Novara. DESPLANQUES HENRI, Campagne Umbre. Contributo allo studio dei paesaggi rurali dell'Italia Centrale ("Quaderni Regione dell'Umbria" 10), Perugia, 1975, Trad. di A. Melelli (I ed. Campagnes Ombriennes, Paris, 1969). STATUTI DEL COMUNE DI NORCIA, 1570 7