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1 Consiglio Nazionale delle Ricerche Working Paper No. 48/2012 “Comunicazione, mobilità e rapporto con il sistema politico degli scienziati italiani durante i 150 anni di vita nazionale” Maria Cristina Antonucci Valentina Amorese Valentina Baiamonte 2 IRPPS Working paper n. 48/2012 Comunicazione, mobilità e rapporto con il sistema politico degli scienziati italiani durante i 150 anni di vita nazionale Istituto di Ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (IRPPS) Via Palestro, 32 00185 – Roma – Italy Tel. + 39.06.492724200 Fax. +39.06.49383724 www.irpps.cnr.it Le pubblicazioni dell’IRPPS sono fuori commercio, stampate in numero limitato di copie, e inviate a titolo gratuito a soggetti pubblici e privati che operano nello stesso settore di interesse dell’Istituto. Il presente rapporto è disponibile online dal sito Web dell’IRPPS all’indirizzo: http://www.irpps.cnr.it 3 Abstract italiano: Nel corso della vita unitaria italiana molti aspetti sono radicalmente cambiati all’interno della comunità scientifica nazionale: dall’identità sociale degli uomini di scienza e ricerca al rapporto con il sistema politico, dalla informazione e comunicazione scientifica al modello di stanzialità e mobilità nelle e tra le comunità scientifiche. Questo paper si propone di indagare i mutamenti nel rapporto tra ricercatori e sistema politico, tra uomini di scienza e comunicazione con il pubblico e tra addetti alla ricerca scientifica e mobilità internazionale nella ricorrenza dei centocinquanta anni dello Stato italiano. Abstract inglese: In 2011 the celebrations for the 150th anniversary of the Italian State represented an occasion for a deeper reflection on the characters and peculiarities of Italian scientific community. This paper intends to analyze what has changed, during the last 150 years, on issues such as social identity of scientists and their relation to the political system, the information and communication of science patterns, the international mobility within and between scientific communities. Parole chiave: scienziati italiani; sistema politico; informazione e comunicazione scientifica; mobilità internazionale. Keywords: Italian scientists; political system; information and communication; international mobility. Suggested citation: Antonucci M.C., Amorese V., Baiamonte V. (Ottobre 2012), “Comunicazione, mobilità e rapporto con il sistema politico degli scienziati italiani durante i 150 anni di vita nazionale”, IRPPS Working paper n. 48. Roma: Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali. 4 Indice Capitolo 1: Note sul rapporto tra scienziati italiani e sistema politico. Dal nazionalismo programmatico alla diaspora globale. Maria Cristina Antonucci…..………………………………………………………….p.4 Capitolo 2: La comunicazione degli scienziati italiani durante i 150 anni di vita unitaria: temi, modelli ed interpretazioni. Valentina Amorese…...……………………………………………………………..p. 20 Capitolo 3: Qui o altrove non è lo stesso. La mobilità internazionale degli scienziati, il brain drain e una ricerca da ritrovare. Valentina Baiamonte....………………………………...............................................p. 32 Bibliografia………………………………………………………………………….p. 47 5 1. Note sul rapporto tra scienziati italiani e sistema politico. Dal nazionalismo programmatico alla diaspora globale Maria Cristina Antonucci Il lavoro di repertorio, ricostruzione e analisi delle carriere degli scienziati italiani svolto in occasione della celebrazione dei 150 anni dell’Unità di Italia e presentato nel corso del Festival della Scienza di Genova durante l’ottobre 20111 ha generato un percorso di riflessione sul rapporto tra scienziati e politica, sulla funzione politica degli scienziati e sui rapporti tra mondo della scienza e sistema politico italiano di cui si intende rendere conto in questo capitolo. Se è noto, come considera Bourdieu, “il carattere inseparabilmente scientifico e sociale delle strategie dei ricercatori2”, meno noto e studiato e’ il collegamento tra mondo della scienza e mondo della politica: con tale nesso si intende designare non solo e non tanto quell’insieme di preferenze e selezioni di natura partitica e di orientamento ideologico espresso dagli scienziati italiani, ma il più ampio e motivato orientamento degli esponenti della comunità scientifica nei confronti della politica, intesa, riprendendo le parole di Easton, come “allocazione autoritativa dei valori per una società3”. Sulla scorta di questo senso più ampio e generale modello di politica come funzione di distribuzione di beni e obiettivi desiderabili attraverso decisioni vincolanti per un determinato sistema sociale, si è ritenuto di indagare, sulla scorta dei dati repertoriati per il Festival della Scienza dei 150 anni dell’Unità italiana4, sul rapporto tra esponenti del mondo scientifico e funzione della politica in un’ottica in grado di superare la polarizzazione ideologica e l’appartenenza partitica come unici criteri di analisi della élite scientifica italiana. 1 L’attività presentata da IRPPS e denominata 150 e oltre...anzi mille (uno sbarco) ha previsto la creazione di un database degli scienziati italiani vissuti ed operanti nel periodo 1861 -2011, finalizzato all’allestimento di una serie di “carte di identità” degli scienziati italiani in occasione del Festival della Scienza di Genova 2011 (22 ottobre – 1 novembre 2011), rivolte ai frequentatori della esibizione. Il gruppo di lavoro, sotto la guida del Direttore dell’IRPPS, Sveva Avveduto, è stato composto da Maria Cristina Antonucci, Valentina Amorese, Valentina Baiamonte, Cristiana Crescimbene. 2 P. Bourdieu, Il mestiere di scienziato, Milano, Feltrinelli, 2003, p. 39. 3 D. Easton, The political system: an inquiry into the state of political science, New York 1953 (tr. it.: Il sistema politico, Milano, Edizioni di Comunità, 1963). 4 Sono stati raccolti dati di tipo biografico, scientifico, culturale e di ricerca sui principali scienziati italiani che hanno realizzato la propria attività durante il corso dei 150 anni di vita nazionale. Da cenni relativi alle principali attività, scoperte, brevetti, premi conseguiti dalla élite scientifica italiana, sono state tratte delle “carte di identità”, dedicate alla divulgazione scientifica rivolta prevalentemente – ma non in via esclusiva – agli studenti dell’ultimo ciclo di scuola superiore. 6 L’impiego di tale criterio interpretativo, prevalentemente politologico, del rapporto tra scienziati e funzione autoritativa dei valori per il sistema sociale italiano, consente, in particolare di scevrare ogni analisi della relazione tra scienza e politica da considerazioni contingenti legate alle forme di governo, di regime politico, di orientamento ideologico di natura partitica e di rendere piuttosto l’autentico senso e valore di un rapporto molto più complesso e rivolto allo sviluppo scientifico e culturale dello stato e della società italiana. In questo senso appaiono particolarmente chiarificatrici sul complesso rapporto tra scienziati italiani e sistema politico nazionale le parole pronunciate nel corso del Congresso degli Scienziati italiani del 1861 a Firenze sull’ “unità intellettuale italiana mercé dei Congressi scientifici”, che rappresentano una ideale chiave di lettura. Premesso questo e alla luce dei dati raccolti dalle biografie degli scienziati, sembra di poter tracciare un ideale percorso di orientamento della élite scientifica italiana nei confronti del sistema politico nazionale suddiviso in tre fasi successive: 1.la fase orientata alla creazione di un sistema politico nazionale e della identificazione della comunità scientifica con una comunità al servizio della nazione e attivamente coinvolta nelle decisioni assunte dal sistema politico in materia di scienza, ricerca, istruzione; 2.il momento delle scelte difficili – in taluni casi scelte obbligate - di natura politicoideologica, tra adesione costretta al regime politico non democratico ed espatrio verso destinazioni obbligate tanto dal punto di vista del progresso della ricerca quanto dal punto di vista del l’apertura del sistema politico; 3. l’attuale tempo della diaspora su scala globale, dovuta a caratteri strutturali del sistema scientifico e della ricerca nazionale, non in grado di rispondere secondo modalità ottimali alle questioni aperte dalla dimensione mondiale della ricerca scientifica. A supporto di tale ipotesi di ricerca, sono state analizzate le biografie degli scienziati selezionati per il database per meglio comprendere l’orientamento verso il sistema politico, l’idea della scienza nella società (funzione da realizzare mediante l’azione di intermediazione della politica), la collocazione all’interno della società politica e l’idea del rapporto tra scienza, politica e società sviluppate dai singoli ricercatori e scienziati. 7 1.1 L’identità socio-culturale degli scienziati italiani selezionati La prima procedura effettuata è stata la selezione di un numero di 1.000 scienziati di nazionalità italiana che hanno svolto la propria attività scientifica, in patria o all’estero, nel periodo che si colloca dall’unificazione italiana del 1861 al 2011, centocinquantesimo anniversario della Unità. Si è scelto di prendere in considerazione tutti i settori disciplinari della realtà scientifica italiana, con una selezione di inserire anche le scienze umane e sociali nel novero delle attività scientifiche all’interno delle quali gli addetti alla ricerca scientifica italiana hanno sempre vantato eccellenze di sistema, dovute tanto alla disponibilità di un impareggiabile patrimonio storico e artistico nazionale, quanto ad una propensione innata per la cultura umanistica. In questo senso, è stato possibile individuare 16 omogenee classi di settori scientificodisciplinari e dedicare una ulteriore classe di eccellenze scientifiche ai vincitori italiani di Premi Nobel in una ulteriore unico raggruppamento, senza distinzioni di natura disciplinare. La ripartizione disciplinare è sintetizzata nella tabella seguente: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 SETTORE SCIENTIFICO DISCIPLINARE matematica chimica fisica biologia geografia medicina agraria ingegneria e architettura discipline letterarie e artistiche storia e filosofia psicologia e pedagogia diritto economia statistica e demografia scienze politico-sociali geologia, scienze della terra premi nobel TOTALE VALORE PERCENTUALE 9 8,5 9 9 3 9 1,7 8,5 5,5 5,5 5 5 5,5 2 5,5 6,5 1,8 100 8 Inoltre, da un punto di vista temporale, la selezione degli scienziati operata ha preferito evitare una equidistribuzione assoluta nel corso dei tre cinquantenni di vita dello Stato nazionale, per orientarsi piuttosto su una rappresentazione più orientata a valorizzare la realtà scientifica italiana dell’ultimo cinquantennio, periodo in cui i rapporti tra sistema scientifico, realtà sociale e sistema politico si intrecciano in maniera più articolata e complessa rispetto alle due fasi precedenti. Periodo storico considerato 1861-1911 Percentuale scienziati selezionati 30 1912 -1961 30 1962-2011 40 Totale (1861-2011) 100 Infine, il repertorio degli scienziati italiani ha preso in considerazione alcuni ulteriori elementi, volti a ricostruire in maniera più idonea e completa l’identità sociale, oltre che scientifica, degli esponenti del mondo della ricerca italiana: si tratta di variabili quali il genere (elemento che vede di sicuro una costante di sottorappresentazione femminile, solo in parte riassorbita negli ultimi cinquanta anni di vita nazionale), ma anche di considerazioni circa l’appartenenza ad un settore scientifico-disciplinare, la specificità dei contributi di avanzamento scientifico dovuti agli studi e alle ricerche condotte, le principali scoperte, i brevetti, i premi e riconoscimenti conseguiti dagli esponenti della élite scientifico-culturale italiana e i relativi ambiti e contesti di lavoro. Ne emerge un profilo sociale dello scienziato italiano, connotato da alcune caratteristiche di sistema, ma anche da percorsi di carriera determinati, soprattutto nell’ultimo secolo, da una serie di fattori di contingenza. Riferendosi ai primi caratteri, si può affermare che lo scienziato/ricercatore italiano, almeno nei casi di più conclamato successo scientifico, risulta appartenere al genere maschile ed un ceto medio-elevato, esercita la propria attività all’interno di un gruppo di lavoro basato in una struttura di ricerca/scientifica di natura pubblica (Università o Ente Pubblico di ricerca) e si avvantaggia della organizzazione scientifica del lavoro di ricerca grazie alla appartenenza ad un sistema di “scuole” in grado di promuovere il lavoro di équipe tanto nella fase di apprendimento quanto nella successiva fase dell’affermazione scientifica. Alcuni di questi caratteri dimostrano una invarianza profonda anche con il modificarsi delle condizioni di sistema in cui l’attività scientifica si sviluppa nel corso dei centocinquanta anni (l’importanza 9 delle scuole scientifiche, la natura prevalentemente pubblica delle carriere in ambito scientifico), altri caratteri (parziale riequilibrio di genere nella professione, indifferenza della classe sociale di origine) manifestano una parziale apertura – in termini politici, quasi una democratizzazione – nel corso dello sviluppo della storia italiana recente. 1.2 La prima fase del rapporto scienziati – sistema politico: il nazionalismo programmatico In un primo periodo, che è possibile individuare tra la fase immediatamente antecedente l’ Unità di Italia e i primi cinquanta anni di vita nazionale, l’orientamento generale degli scienziati italiani risultava particolarmente favorevole alla costruzione di un sistema politico nazionale. La motivazione di tale “nazionalismo metodologico” appariva fondata sulla percezione che la costruzione dello Stato italiano rappresentasse, oltre che un obiettivo politico in sé, anche la necessaria struttura per lo sviluppo e l’avanzamento di un sistema scientifico-istituzionale per la comunità italiana degli scienziati. In questo senso, lo stato italiano, con una idonea dimensione di sistema politico nazionale (adeguato agli standard dei principali sistemi politici nazionali presenti in quel momento in Europa), con una adeguata struttura amministrativoburocratica e sulla scorta della capacità di intraprendere scelte di politica scientifica, della ricerca e della istruzione di respiro, avrebbe rappresentato uno stabile referente per le esigenze, i bisogni e le necessità espresse in maniera unitaria da parte della comunità scientifica nazionale. Dall’esame delle vicende biografiche degli scienziati italiani in periodo pre-unitario e immediatamente successivo alla unificazione nazionale, emerge con chiarezza questo dualismo tra autentico spirito patriottico e volontà di creazione di uno stato a partire dalla patria immaginata, propugnato da esponenti di alcune comunità scientifiche ed accademiche direttamente coinvolti nelle battaglie e nelle lotte per l’unità e la considerazione, di tipo più scientifico-metodologico, secondo cui il successo della ricerca e della comunità scientifica non potesse prescindere da una dimensione statale della nazione italiana, con lo sviluppo di infrastrutture e politiche per la scienza, la ricerca e la diffusione delle conoscenze. Le due tendenze si sviluppano in maniera contemporanea e sinergica. In questo senso è possibile rilevare un coinvolgimento diretto nella spedizione dei Mille di medici chirurghi come Gaetano Benedini, Cesare Boldrini, Cesare Braico, Giovanni Buzzacchi, Francesco Ziliani, di ingegneri come 10 Giovanni Battista Bertossi, Giuseppe Borchetta, Luigi Giovanni Giulini, Domenico Menin, Cesare Michelli, Giuseppe Orlando, Giuseppe Peroni, Giuseppe Rebuschini, Pompeo Torchiana, di matematici quali Baldassarre Faccioli e Antonio Pievani, e di un letterato come Ippolito Nievo. Inoltre, durante le guerre di indipendenza, un ruolo attivo nelle battaglie più significative fu svolto da scienziati quali i chimici Cesare Bertagnini, combattente nella battaglia di Curtatone e Montanara nel maggio del 1848, e Stanislao Cannizzaro, attivo protagonista della stagione di rivolte siciliane del 1848, i matematici Enrico Betti, combattente sempre a Curtatone e Montanara nel battaglione degli studenti guidati dal Professore Ottaviano Fabrizio Mossotti - docente di Fisica Matematica e Meccanica Celeste all’Università di Pisa – e fisici come Felice Casorati, Carlo Matteucci, politicamente attivo durante dalla prima guerra di indipendenza e autore di importanti scritti politici sulla forma unitaria italiana, Antonio Pacinotti. Ma l’orientamento verso la costruzione di un sistema politico basato sull’idea di nazione italiana, nel pensiero e nelle attività extra-scientifiche degli esponenti della élite scientifica culturale italiana non si limita ad una mera partecipazione alle attività belliche, prevedendo, nella fase successiva all’unificazione, un costante coinvolgimento di natura civile nelle istituzioni politiche nazionali, con l’assunzione di responsabilità di rappresentanza parlamentare e di diretto coinvolgimento nelle politiche dell’esecutivo. Sono i casi del matematico pavese Luigi Cremona, nominato Senatore del Regno d’Italia nel 1879 e designato Ministro dell’Istruzione nel 1898, del matematico pistoiese Enrico Betti, nominato Segretario Generale del Ministero dell’Istruzione nel periodo 1874-1876, mentre furono eletti Senatori del Regno i matematici Enrico Brioschi e Felice Casorati. L’impegno politico degli scienziati italiani nei primi cinquanta anni di vita italiana non si qualifica con esclusivo riferimento alla fase di costruzione della unità e indipendenza italiana, che connota la partecipazione a battaglie delle guerre di indipendenza, moti rivoluzionari nazionalisti, spedizioni unitarie come quella dei Mille, ma prosegue in maniera costante anche in quella che può essere definita la fase costituente della vita nazionale italiana. In questo contesto gli scienziati italiani perseguono una duplice strada: da un lato essi si impegnano nella partecipazione diretta alla vita delle istituzioni politiche, come nei casi degli scienziati parlamentari e ministri; dall’altro, l’élite scientifica italiana dedica i propri sforzi nella costruzione di enti, istituzioni e strutture scientifiche e di ricerca, finalizzate a rafforzare la dotazione infrastrutturale della nuova nazione. La fondazione di istituzioni scientifiche come il Politecnico di Milano ad opera di Francesco Brioschi nel novembre 1863, della Scuola 11 di Ingegneria di Roma da parte di Luigi Cremona nel 1877, del Politecnico di Napoli alla fine dell’Ottocento, l’ampliamento della Scuola Normale di Pisa per merito di Enrico Betti nel periodo dal 1876 al 1892, e l’allargamento del Politecnico di Torino, dell’Università di Bologna e della Università di Pavia rappresentavano, nelle intenzioni degli scienziati attivamente coinvolti in questi progetti, la base di una moderna infrastrutturazione tecnico scientifica di carattere nazionale e al tempo stesso una base di trasferimento tecnologico ed economico per lo Stato italiano. Inoltre nel periodo dal 1870 in poi iniziarono a moltiplicarsi le associazioni e società scientifiche nazionali: particolarmente diffuse sono le società medico-scientifiche con la nascita della Società Italiana di Oftalmologia nel 1879, della Società Italiana di Pediatria e di Chirurgia nel 1882, della Società Italiana di Medicina Interna nel 1887 e della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia nel 1891 e della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia. Scopo ultimo delle associazioni scientifiche era conseguire una profonda integrazione tra gli specialisti italiani suddivisi per settore di attività e creare al tempo stesso un sistema di riferimento omogeneo su base nazionale all’interno del quale veicolare conoscenze, scoperte, aggiornamenti di natura scientifica e professionale. In questa primo cinquantennio di vita nazionale è possibile interpretare una tipologia di impegno politico – istituzionale degli scienziati non esclusivamente rivolto alla ricerca in sé, ma piuttosto diretto alla promozione tecnologica ed economica del sistema paese. In questo senso, le tre tipologie di attività di partecipazione individuate (coinvolgimento diretto nelle attività – anche belliche - volte ad affermare lo Stato italiano; sviluppo del sistema nazionale di istituzioni, enti e associazioni per il conseguimento di un efficace livello scientifico nazionale; partecipazione diretta al sistema politico istituzionale da parte della élite scientifica italiana) rispecchiano e qualificano la funzione politica svolta dagli scienziati italiani all’interno di un orizzonte di sistema politico nazionale. Gli scienziati italiani, oltre a nutrire una fede patriottica ascrivibile a convinzioni di natura individuale - nell’Italia unita, vedono nello Stato nazionale il sistema politico più idoneo allo sviluppo della propria attività scientifica, la cornice più adeguata alla affermazione del modello di scienza moderna e il paradigma per la necessaria integrazione tra scuole e ambiti di ricerca locali e partecipano attivamente alla sua costruzione con questa motivazione. Tuttavia, il modello della partecipazione diretta alla vita istituzionale dello Stato italiano non sempre garantirà il successo e la realizzazione del progetto di sviluppo tecnologico ed economico del 12 sistema paese pensato dagli scienziati italiani e la successiva affermazione di un diverso regime politico porrà, alla fine degli anni Venti, una serie di complessi interrogativi alla comunità scientifica italiana. 1.3 La seconda fase del rapporto scienziati – sistema politico: il regime fascista, la guerra e il momento delle scelte difficili In una fase successiva, dall’inizio del Novecento fino al periodo dell’inizio degli anni Sessanta con l’espansione economica del sistema italiano, sembra di poter cogliere un atteggiamento ambivalente da parte del mondo scientifico nei confronti del sistema della politica nazionale, determinato in via prevalente dalla peculiarità del contesto politico. Si tratta di un periodo storico particolarmente complesso per il sistema politico italiano, trasformatosi da stato liberale a regime autoritario, attraversato da due conflitti mondiali e obbligato ad assumere decisioni rilevanti – anche in materia di sviluppo scientifico, tecnologico ed economico – a seguito degli avvenimenti che hanno caratterizzato la scena politica. In particolare, l’assetto di warfare, durante la prima e la seconda guerra mondiale attribuisce un andamento altalenante al settore della ricerca scientifica: in primo luogo il confronto con l’economia di guerra sottrae risorse economico-finanziarie alla ricerca pura per destinarle alla ricerca applicata e all’industria bellica; in secondo luogo, lo scenario del regime autoritario e della guerra ri-orienta l’agenda delle priorità della scienza dagli impieghi civili previsti per il tempo di pace alle applicazioni dirette per usi militari. Tutto questo si verifica in una fase in cui l’assetto delle istituzioni italiane dedicate alla ricerca si era appena stabilito e iniziava ad intraprendere autonomi percorsi scientifici. Il massiccio intervento della politica nel determinare l’agenda della ricerca scientifica in questa fase contribuisce a rendere gracile lo sviluppo appena intrapreso dal sistema scientifico e tecnologico italiano; nonostante la mole di investimenti diretti in ricerca, finalizzati al perseguimento prevalente, quando non esclusivo, degli obiettivi di innovazione individuati dal regime politico5, gli effetti di tale etero-direzione del mondo della ricerca 5 E’ il caso di ricordare, in questo contesto, l’importanza attribuita al Consiglio Nazionale delle Ricerche, costituito nel 1923 con lo scopo di creare una organizzazione scientifica di punta finalizzata a realizzare quella innovazione scientifica e tecnologica per l’Italia, funzionale all’idea di grandezza nazionale insita nel regime politico. Sul approccio del fascismo nei confronti della scienza si veda R. Maiocchi, Scienza e fascismo, Roma, Carocci, 2004. Sull’atteggiamento degli scienziati italiani – o almeno di una parte di essi - verso il regime, si veda dello stesso autore, Gli scienziati del Duce : il ruolo dei ricercatori e del CNR nella politica autarchica del fascismo, Roma, Carocci, 2003. 13 hanno manifestato conseguenze di lungo periodo sullo sviluppo del sistema scientifico nazionale. In particolare, l’esperienza dei sistemi politici non democratici ha previsto uno sviluppo del sistema scientifico – non solo in Italia, ma anche all’interno di altri modelli autoritari e totalitari sviluppatisi nel corso degli anni trenta6 – in funzione prevalentemente orientata alle esigenze del regime e alle istanze belliche. L’ incremento di fatto degli investimenti e delle strutture della politica scientifica da parte del fascismo viene tuttavia piegato dalla logica antidemocratica, insita nel regime politico non democratico, che individua – e impone al personale scientifico – obiettivi e ambiti della ricerca. E’ il caso di ricordare quanto l’ “autarchia”, a seguito delle sanzioni imposte all’Italia dalla Società delle Nazioni nel 1935 per la guerra d’Etiopia, abbia spinto il regime fascista ad esercitare pressioni sul complesso scientifico-tecnologico per individuare prodotti succedanei o sostituti delle materie prime sotto embargo internazionale, tanto per usi di pace quanto per scopi militari. A tale tipo di logica autoritaria, in grado di permeare di sé il mondo della scienza, strutturalmente caratterizzato dalla autonomia nella determinazione di oggetto, modalità e finalità della ricerca, si accompagna un altro ingombrante tipo di ingerenza del regime per quanto concerne l’indipendenza del personale scientifico e universitario. La disciplina che prevedeva che i professori universitari prestassero giuramento di fedeltà al regime fascista, oltre che allo Statuto albertino e alla monarchia, prevista dal R.D. del 28 agosto 1931, e l’allontanamento dalle cattedre universitarie e da molte altre professioni intellettuali per tutti gli studiosi di origine ebraica, provocato dalle leggi razziali fasciste del 18 settembre 1938 si pongono come provvedimenti con cui il regime politico opera dentro il sistema della scienza e della tecnologia delle esclusioni soggettive basate non sul merito scientifico – unico criterio riconosciuto come universalmente valido da parte della comunità degli scienziati – ma sulla base della fedeltà e del consenso al fascismo e della appartenenza religiosa. Ancora di più queste forme di ingerenza del regime politico dentro al sistema scientifico pongono i ricercatori, i docenti e gli scienziati italiani di fronte a scelte molto difficili. Vale la pena ricordare in questa sede che la pervasività del regime autoritario costrinse la maggior parte dei docenti universitari a piegarsi al giuramento di fedeltà al regime, mentre pochissimi studiosi, quindici su oltre 6 Sulla differenza tra i due modelli di regime politico, le rispettive caratteristiche e il rapporto sviluppato con il mondo della scienza e della tecnologia in funzione del rinnovamento sociale si veda: J.Linz, Totalitarian and Authoritarian Regimes, Boulder, Lynne Rienner Publishers, 2000. 14 milleduecento, manifestarono la propria opposizione al regime, rifiutando il giuramento e perdendo cattedra e carriera. Gli studiosi che rifiutarono di piegarsi ideologicamente al regime sono lo storico del cristianesimo Ernesto Buonaiuti , il docente di estetica Giuseppe Antonio Borgese, i filosofi Aldo Capitini e Piero Martinetti , l’antropologo Mario Carrara, l’economista Antonio De Viti De Marco, lo storico Gaetano De Sanctis, il professore di lettere e filosofia Floriano Del Secolo, il chimico Giorgio Errera, il glottologo Giorgio Levi Della Vida, i giuristi Fabio Luzzatto Errico Presutti, Francesco Ruffini, Edoardo Ruffini Avondo, il chirurgo Bartolo Nigrisoli, lo storico dell’arte Lionello Venturi, il fisico Vito Volterra. Altri studiosi scelsero un pensionamento anticipato, come il giurista Vittorio Emanuele Orlando, già attivo in politica durante l’Italia liberale di Giolitti, mentre altri ancora intrapresero la scelta dell’esilio dall’Italia fascista verso gli Stati Uniti, come il critico letterario Giuseppe Antonio Borgese, o verso il Regno Unito, come l’economista Piero Sraffa. Con l’esclusione dagli impieghi nella ricerca scientifica e nella didattica universitaria dei 99 scienziati e professori di origine ebraica determinata dalle leggi razziali del 1938, si consuma ancora di più la frattura tra logica della scienza, basata sul merito e la qualità del lavoro scientifico, riconducibile al singolo scienziato, e la logica del regime autoritario, fondata sull’esclusione su basi categoriali etnico-regliose degli studiosi ebraici dal sistema scientifico e universitario. E’ appena il caso di ricordare alcuni tra i più importanti nomi di scienziati esclusi dalla possibilità di proseguire la propria carriera scientifica in Italia. Per la fisica si tratta di eccellenze quali Bruno Rossi, ordinario di Fisica sperimentale a Padova, Emilio Segré, ordinario di Fisica sperimentale a Palermo; Emanuele Foà, ordinario di Fisica tecnica a Bologna, Augusto Levi, libero docente di fisica sperimentale a Padova; Nella Mortara, libero docente di fisica sperimentale a Roma. Venne inibita la possibilità di proseguire nell’attività scientifica ad illustri chimici, quali Ada Bolaffi Ada, libero docente di chimica biologica a Milano; Cesare Finzi, ordinario di Chimica farmaceutica a Perugia; Giorgio Renato Levi, ordinario di Chimica generale ed inorganica a Pavia; Mario Giacomo Levi, ordinario di Chimica industriale al Politecnico di Milano; Tullio Guido Levi, libero docente di chimica organica al Politecnico di Milano; Ciro Ravenna, ordinario di Chimica agraria Università di Pisa. Per la comunità dei matematici si trattò di una epurazione davvero devastante, con la esclusione dei più importanti docenti di materie matematiche quali Guido Ascoli, ordinario di Analisi matematica a Milano; Federigo Enriques, ordinario di Geometria Superiore a Roma; Guido Fubini Ghiron, ordinario di 15 Analisi al Politecnico di Torino; Tullio Levi-Civita, ordinario di Meccanica razionale a Roma; Giorgio Mortara, ordinario di Statistica a Milano; Beniamino Segre, ordinario di Geometria analitica a Bologna e Alessandro Terracini, ordinario di Geometria analitica a Torino. Tale frattura tra logica della politica e logica della scienza è ancora più evidente nella profonda divisione tra gli scienziati italiani di fronte a tali intromissioni della politica nella scienza. Una parte degli studiosi italiani dimostrò la sua approvazione nei confronti della politica razziale del regime firmando il Manifesto a difesa della razza, nella speranza di potersi avvantaggiare da un punto di vista scientifico dei vuoti aperti dalle epurazioni ideologiche e razziali; altri intellettuali presero pubblicamente le difese del testo diffuso dal regime, probabilmente sulla scorta della medesima serie di ragionamenti; molti componenti della élite intellettuale italiana rimasero in silenzio, nella speranza di poter continuare a dedicare il proprio impegno alla ricerca;altri, infine, intrapresero la via dell’esilio, sia per motivi diretti di appartenenza etnico-religiosa al gruppo escluso, sia per dissenso ideologico nei confronti del fascismo. Tra gli appartenenti a quest’ultima categoria, è il caso di ricordare gli esponenti del gruppo di fisici nucleari di Via Panisperna, tra i primi scienziati italiani ad intraprendere l’esperienza della mobilità internazionale verso gli Stati Uniti, sistema della ricerca che ancora oggi rappresenta una delle principali destinazioni del flusso migratorio dei ricercatori italiani. In questo senso, durante il periodo del regime e della guerra emerse in modo chiaro questa frammentazione del corpus dei ricercatori e degli scienziati italiani nel rapporto con il sistema politico: ad un estremo, si collocarono gli “integrati”, che beneficiarono del fattore dell’appartenenza ideologico-culturale al regime ma furono chiamati a svolgere le proprie attività entro le strette maglie dell’indirizzo politico, del controllo e della finalizzazione delle ricerche da parte del fascismo; al centro si collocò la “maggioranza silente” di intellettuali e scienziati non ideologicamente a favore del regime, ma piegata alla sua logica, nella speranza di continuare a condurre la propria attività di ricerca; all’estremo opposto è possibile rinvenire “esuli e dissidenti”, pronti a perseguire l’idea di scienza secondo “l’etica del mestiere di scienziato, basata sull’autonomia scientifica7” e sulla piena indipendenza della ricerca dal sistema politico. 7 P. Bourdieu, Il mestiere di scienziato, Milano, Feltrinelli, 2003, p.53. 16 Tale dispersione di atteggiamenti negli scienziati italiani non ha certo favorito l’idea di un gruppo coeso e caratterizzato da un’ etica condivisa anche nel periodo di vita nazionale successivo alla caduta del regime e al termine della guerra; inoltre è possibile rilevare che alcune delle tendenze e degli atteggiamenti che connotano il rapporto tra sistema politico e comunità scientifica italiana hanno avuto origine in questa fase e si protraggono ancora nel presente. A quest’ultima categoria possono essere ricondotte una generalizzata sfiducia degli scienziati italiani nella gestione della politica della ricerca da parte del sistema politico italiano, una capacità di guardare al di fuori dei confini nazionali per individuare più idonee opportunità di sviluppo scientifico e professionale, una tendenza alla mobilità internazionale superiore alla media dei sistemi statali della UE8. Resta da valutare quanto e in quale direzione si sia evoluto il rapporto tra mondo scientifico e sistema politico nella fase della vita politica repubblicana. 1.4 Il rapporto tra mondo della scienza e sistema politico italiano nell’era globale Il terzo e più recente periodo in cui è possibile considerare l’atteggiamento delle élites scientifiche nazionali nei confronti del sistema politico è l’ultimo cinquantennio di storia nazionale. Profondamente modificato il contesto del sistema politico, con l’affermazione dei principi costituzionali della tutela da parte della Repubblica dello sviluppo la ricerca scientifica e tecnica9 e della autonomia della scienza e della libertà dell’insegnamento scientifico10, si afferma sempre di più dentro l’élite scientifica nazionale la concezione mertoniana di scienza come costruzione collettiva all’interno di un sistema internazionale sempre più interconnesso, in cui i confini nazionali si rivelano poco significativi. Si tratta di una modifica di prospettiva significativa nella relazione tra scienziati e sistema politico nazionale: da un lato viene garantita la più ampia autonomia ed indipendenza nella ideazione e conduzione della ricerca scientifica all’interno dei confini del sistema della ricerca nazionale; dall’altro il sistema della scienza si sostanzia in una maggiore interconnessione internazionale dei programmi di ricerca e prevede, 8 Rapporto I-com Istituto per la competitività, La fuga all’estero dei top scientists italiani: una valutazione della perdita di valore per il sistema Italia, Roma, Mimeo, 2011. 9 Articolo 9 della Costituzione della Repubblica italiana. 10 Articolo 33, I comma della Costituzione della Repubblica italiana. 17 come presupposto stesso della partecipazione ad esso, forme di mobilità internazionale sempre più frequenti per gli scienziati, collaborazioni integrate a livello planetario, creazione di gruppi di lavoro sulla base della localizzazione geografica dei fondi per la ricerca. In questo senso è possibile affermare che le strutture sociali della scienza previste da Merton nel paradigma del costruttivismo sociale del sistema scientifico non sono più basate su una cornice politico-istituzionale riferita allo stato nazione, ma sono fondate sempre di più su istituzioni scientifiche globali, in grado di ideare, lanciare e realizzare programmi scientifici all’altezza delle sempre più complesse sfide globali poste alla scienza. In questo senso, se da un lato si denazionalizzano i sistemi di policy scientifica, con un trasferimento di competenze e risorse dalla dimensione nazionale alla dimensione sovranazionale europea e globale, dall’altro lato, il personale scientifico tende a seguire il principio della mobilità a seguito dei temi e dei progetti di ricerca, costruendo legami sociali con una comunità scientifica su base internazionale. Gli orizzonti di riferimento per gli scienziati italiani del terzo millennio divengono quindi le strutture e le istituzioni scientifiche e della ricerca presenti nel contesto europeo e globale e non più (e non solo) gli ambiti del sistema della ricerca italiano. Un esemplificazione di tale tendenza alla delocalizzazione globale della comunità scientifica nazionale si ha verificando la classifica dei top 50 Italian scientists, elaborata in base alla localizzazione dell’attività degli scienziati italiani. Come si può notare, soprattutto per alcuni ambiti e settori di ricerca in cui il personale scientifico italiano ha conseguito risultati di primo piano, la distribuzione geografica dei soggetti della ricerca tende a seguire logiche di natura scientifica che de localizzano gli scienziati italiani verso sistemi dotati di qualità dei programmi di ricerca, presenza di infrastrutture scientifiche all’avanguardia, opportunità di conseguire un budget dedicato alla propria tematica di ricerca adeguato con gli standard di costi connessi, possibilità di sviluppo di percorsi professionali coerenti con il livello qualitativo della ricerca condotta. Si tratta di sistemi paese che vantano modelli di ricerca scientifica che nulla hanno da spartire con il modello di policy della scienza, sottorappresentato tanto in termini di valore sociale quanto di risorse finanziarie dedicate, che si è affermato dentro al sistema politico italiano durante gli ultimi anni della vita pubblica nazionale. 18 Top 50 Italian Scientists – distribuzione geografica per settore di ricerca Settore scientificoPercentuale Percentuale disciplinare operante operante in all’estero Italia Astrofisica 45% 55% Biologia 29% 71% Chimica 19% 81% Computer sciences 100% 0% Economia 100% 0% Fisica 31% 69% Medicina 41% 59% Neuroscienze 37% 63% Elaborazione a partire dalla Tabella Top 50 Italian Scientists – VIA ACADEMY Nel contesto caratterizzato dalla libertà di movimento internazionale, dalla rivoluzione telematica delle comunicazioni digitali, in grado di mettere in contatto in maniera simultanea scienziati che lavorano al medesimo progetto, emerge, come notato da Brandi11, che gli scienziati italiani trovano con sempre maggiore frequenza interlocutori e strutture a supporto delle attività di ricerca al di fuori del sistema scientifico nazionale in cui sono nati, si sono formati e hanno iniziato ad operare. L’internazionalizzazione della scienza e l’emergere di una dimensione scientifica globale per i progetti di punta induce l’élite scientifica italiana, adeguatamente formata dal sistema accademico ma frustrata dalla limitatezza delle opportunità di lavoro e crescita dentro alle istituzioni scientifiche nazionali, a rivolgere il proprio sguardo verso strutture di altri sistemi politici nazionali e internazionali, in grado di offrire migliori opportunità. A questo proposito, occorre rilevare come con sempre maggiore frequenza all’allontanamento dalle istituzioni scientifiche nazionali corrisponda da parte dei ricercatori italiani che scelgono una carriera dentro altri modelli nazionali della ricerca, 11 M. C. Brandi, Portati dal vento? Il nuovo mercato del lavoro scientifico: ricercatori più flessibili o più precari?, Roma, Odradek, 2006. 19 dichiarazioni e previsioni molto pessimiste circa il futuro del sistema italiano12, considerato eccessivamente incline ai meccanismi della cooptazione come metodo di selezione e reclutamento del personale scientifico, governato da una organizzazione burocratica poco reattiva e incapace di rispondere ai tempi e ai ritmi di lavoro della ricerca, gestito da policies poco attente alla capacità di “fare sistema” e lavorare in maniera organica a sostegno della ricerca. In questo senso il binomio tra complesso scientifico e della ricerca e sistema politico italiano sembra manifestare problemi e difficoltà - spesso ascrivibili ad un modello politico istituzionale poco orientato ad ascoltare i bisogni, le istanze e gli obiettivi di chi fa ricerca - tali da rendere difficilmente ipotizzabili percorsi di carriera e di sviluppo esclusivamente interni all’Italia. Così, come sono chiuse definitivamente le due precedenti fasi del nazionalismo metodologico degli scienziati, finalizzato a costruire una dimensione strutturale e di policy italiana della ricerca, e dell’ambivalente rapporto causato dalla intromissione della politica nella ricerca durante il regime non democratico, sembra giunto a conclusione, al termine del terzo cinquantennio di vita italiana, il paradigma di sviluppo della ricerca basato su policies esclusivamente nazionali. In questo senso si può affermare che il rapporto tra scienziati italiani e sistema politico nazionale è caratterizzato da una sostanziale stabilità nella fase di formazione scientifica dello scienziato, che testimonia l’efficienza del sistema di trasmissione dei saperi a livello universitario, ma da un profondo cambiamento – indirizzato verso il brain drain13 e la mobilità globale dei ricercatori nazionali- nella fase successiva, in cui alla richiesta di posizioni di lavoro qualificato nel settore della ricerca scientifica non corrisponde una efficiente capacità di assorbimento dei talenti scientifici da parte del sistema Italia. Gli scienziati di origine italiana divengono sempre più spesso protagonisti - oltre che di successi e scoperte, di brevetti e di licenze, di premi e riconoscimenti - di statistiche sul brain drain verso strutture supportate da sistemi nazionali in grado di considerare le politiche di ricerca e sviluppo come un volano tanto per la crescita economica quanto per lo sviluppo sociale e culturale di uno Stato. In questo senso, è possibile verificare che gli scienziati italiani si trasformano in 12 Come rilevato anche da una recente ricerca CNEL - Forum Nazionale dei Giovani dal titolo “Dall'Italia all'Europa, dall'Europa all'Italia, giovani professionisti in movimento”, presentata presso il CNEL il 30 maggio 2012. 13 Si veda sul tema S. Avveduto, Brain Drain: Emigration Flows of Qualified Scientists, in International Conference: Education, Research, Migration: The European Policy in the Context of Globalization December 5th, 2003. http://www.uniroma1.it/internazionale/relazioni/conferenza_51203/default.htm 20 soggetti apolidi e disaporci, non legati ad un sistema politico nazionale né ad un modello definito di ricerca, ma saldamente inseriti all’interno di un sistema scientifico internazionale, orientato ad istituzioni enti e programmi di ricerca globali. In questo senso, l’élite scientifica italiana, pur se globalmente diffusa in senso fisico e lontana dai confini del sistema politico italiano, non risulta più portatrice di uno sradicamento culturale perché, con la globalizzazione, la scienza si è ormai posta come una istituzione universale dotata di una sua oggettività, completamente disgiunta dalla contingenza di politica e politiche scientifiche e della ricerca legate ad interpretazioni di tipo nazionale. In questo senso, la scienza e la ricerca come sistema globale si svincolano dalle gabbie della modernità weberiane, fondate sulla dimensione prevalentemente nazionale dei sistemi politici, e si propongono come una alternativa alla politica intesa come capacità di attribuire finalità collettive per il sistema sociale. In questo senso, l’élite scientifica e della ricerca italiana, pur partecipando a tutte le principali tendenze sociali presenti nei mondi scientifici (democratizzazione e ampliamento della base socio-demografica degli scienziati, accesso alle carriere basato su status acquisitivi anziché ascrittivi, iniziale ridistribuzione di genere), sviluppa un limitato rapporto con il sistema politico nazionale, considerato come il principale soggetto responsabile della inefficacia delle policy in materia di scienza e ricerca. Tale scarsa partecipazione degli scienziati nelle questioni del sistema politico italiano si sostanzia in limitato impegno diretto nelle questioni pubbliche e nella formulazione della agenda collettiva, in un coinvolgimento solo in questioni direttamente attinenti al mondo della scienza (questioni etiche su cui la politica deve fornire un sistema di regole comuni; argomenti riferiti alla vita e organizzazione delle istituzioni scientifiche e delle policy per la ricerca); ciò determina una generale trasposizione dall’impegno politico all’impegno per la policy della scienza, intesa non più in una dimensione di governance nazionale ma in un network europeo e globale. E tuttavia, la sfida che si pone davanti alla comunità scientifica nazionale nei prossimi anni sarà sempre di più quella di prevedere forme di relazione e comunicazione con le istituzioni politiche nazionali, cercando, come notano Kathi Beratan e Herman Karl, di “integrare sempre di più la scienza nella sfida di partecipare 21 attivamente14” ai processi distributivi e decisionali della politica, “senza per questo compromettere la qualità dell’attività scientifica15”. Solo in questi termini, l’agenda collettiva delle politiche pubbliche nazionali – e non il più limitato settore di policies per la ricerca scientifica – potrà avvantaggiarsi dell’intervento preparato, consapevole e orientato all’efficienza, di una élite scientifico-culturale pienamente in grado di svolgere una funzione sociale di crescita e sviluppo collettivo, anche dentro i confini italiani. 2. La comunicazione degli scienziati italiani durante i 150 anni di vita unitaria: temi, modelli ed interpretazioni. Valentina Amorese 2.1.Gli anni dell’unità nazionale Gli anni intorno all’unità d’Italia sono caratterizzati da un fermento che pervade la scienza e la tecnica con la diffusione e realizzazione di nuove idee e prodotti che, uscendo dai laboratori degli scienziati, vanno ad animare le vite dei neo-cittadini italiani. Per capire l’entità e la natura profonda della rivoluzione in atto basta pensare che, proprio in quegli anni, il biologo esploratore britannico Charles Darwin pubblicava la sua più famosa opera “L’origine della specie”, contribuendo sostanzialmente a modificare l’immagine che l’uomo ha di se stesso e della natura che lo circonda. Infatti, è proprio con l’introduzione, affermazione e diffusione del concetto di evoluzione delle specie che comincia a farsi spazio, nell’immaginario collettivo, il concetto secondo cui tutte le specie, e quindi anche la specie umana, sono il frutto delle relazioni e mutazioni graduali che si sono succedute nel coso dei secoli. Darwin, inoltre, mette definitivamente in discussione il modello del creazionismo, largamente diffuso all’epoca, secondo il quale le specie, in quanto create da Dio, sono perfette ed immutabili nella loro natura. In questo contesto, il rapporto tra scienza e società diventa necessariamente più complesso e articolato. Gli scienziati, forse per la prima volta, cominciano a rendersi conto del ruolo giocato dai cittadini, che a questo punto sono diventati un necessario interlocutore nelle discussioni relative al presente e futuro della scienza. Chiaramente, 14 K. Beratan, H. Karl, Managing the Science-Policy Interface in a Complex and Contentious World, in H. Karl, L. Scarlett, J. C. Vargas-Moreno, M. Flaxman (eds.), Restoring Lands. Coordinating Science, Politics and Action, London, Springer, 2012 p. 183. 15 Ivi. 22 in questa nuova situazione i mass media giocano un ruolo chiave quali intermediari tra scienza e pubblico. In particolare, essi vengono investiti dell’attività di divulgazione e traduzione del linguaggio scientifico utilizzato dagli esperti in linguaggio popolare, un’ attività di cui ancora oggi si vedono portatori. E’ in questo clima che, nei decenni che seguono l’unità, nel belpaese cominciano a moltiplicarsi le riviste di divulgazione scientifica (v. Enrica Battifoglia, La scienza raccontata dalle riviste divulgative italiane) e cresce rapidamente il numero di opere scientifiche pubblicate. La serenità e fiducia nella scienza e nel sapere scientifico che caratterizzano questi anni si traduce in un aumento della divulgazione della scienza anche a livello popolare come dimostra la pubblicazione del testo Il bene e il male. Libro per tutti da parte di Paolo Mantegazza. Autore, quest’ultimo, che merita la nostra attenzione quale rappresentante di una classe, quella dello scienziato, del periodo successivo all’unità d’Italia. Mantegazza è un ricercatore e scienziato poliedrico e si occupa di una gamma di tematiche molto variegata tra cui antropologia ed etologia, ma anche fisiologia umana ed animale. Noto e affermato medico e antropologo è infatti anche significativamente impegnato politicamente essendo un patriota del Risorgimento, cosi come moltissimi scienziati italiani. La dualità politica-scienza sembra essere una caratteristica relativamente comune nel contesto italiano del periodo post-unità e finirà per rappresentare una costante importante fino almeno al boom della fisica e della chimica italiana che, nella seconda metà del ‘900, investono la penisola. Mategazza è deputato dal 1865 al 1876 nelle liste del partito socialista e senatore dal 1876. Per la sua attività di divulgazione viene definito l’apostolo della divulgazione scientifica italiana.. Nel 1859 Mantegazza scrive al ministro Casati e al senatore ed amico di Cavour, Achille Mauri, per avere l’appoggio e realizzare un corso serale pubblico e gratuito di Medicina popolare per adulti, due anni dopo fonda la rivista Igea, una rivista di alta divulgazione che aspira ad sia ad aggiornare gli esperti che a diffondere una serie di informazioni di igiene di base nel largo pubblico. Undici anni dopo la sua fondazione, il periodico diventerà noto come “Il medico di casa. L’Igea” abbandonando definitivamente il tentativo di unire sapere specialistico e sapere popolare, Mantegazza opta per concentrarsi completamente sulla divulgazione. All’indomani dell’unità, in una situazione igienica tra le peggiori in Europa, Mantegazza si assume la responsabilità di diffondere nel pubblico italiano con semplicità, ma anche in maniera routinaria una serie di informazioni di base volte a 23 salvaguardare e cercare di migliorare il più possibile le condizioni igienico sanitarie del paese. Ed è proprio durante l’avventura di Igea che Mantegazza pubblica il famoso manuale Elementi di Igiene, un testo di divulgazione di oltre 600 pagine che affronta le norme di igiene da seguire per prevenire la diffusione delle malattie, nonché la descrizione delle principali virtù e dei limiti di tutta una serie di prodotti alimentari quali caffè e cacao, che Mantegazza conosce bene grazie ai sui numerosi viaggi in America Latina. E’ interessante notare le differenze che caratterizzano il Mantegazza divulgatore dal Mantegazza esperto. Mentre nel secondo caso, infatti, lo scienziato predilige un linguaggio specifico, quando si rivolge al pubblico di non esperti opta per le metafore eliminando, inoltre, tutti quei se e ma che sono tipici dei dibattiti scientifici, in modo da rendere i concetti trattati quanto più possibile accessibili per tutti. In questo modo, quindi, Mategazza contribuisce a gettare le basi per un tipo di comunicazione, quella divulgativa, caratterizzata dalla semplificazione che alle sfumature e sottigliezze tipiche del dibattito scientifico sostituisce consigli e precetti. L’idea quindi di una scienza troppo complicata da capire per il pubblico comincia a emergere già in questi anni e, vedremo, diventerà ancor più palese con nei primi decenni del Novecento. Gradualmente, quindi, si fa strada la necessità di una mediazione tra scienziati e grande pubblico. In questo contesto, comincia ad emergere la figura dei i divulgatori scientifici come anello di congiunzione tra scienza e società. I divulgatori quindi sono impegnati in un’attività di traduzione e semplificazione in cui si punta a eliminare i termini tecnici a favore delle parole comuni, le metafore abbondano, le formule ed i numeri scompaiono e i concetti vengono presentati uno alla volta, creando una frammentazione del discorso in cui il senso del tutto passa in secondo piano. Obiettivo di questa complicata attività è quello di mantenere un discreto equilibrio tra correttezza e comprensibilità del discorso, evitando di dire cose troppo precise e incomprensibili o troppo facili e sbagliate. Queste immagini contribuiscono sensibilmente a far emergere la concezione “diffusionista”, secondo la quale comunicare la scienza coincide con la trasposizione dei fatti scientifici da un contesto specialistico a uno divulgativo. Idee che per altro sono alla base del modello del deficit che tanto è stato criticato dalla letteratura del public understanding of science (Wynne, 1995; Irwin, 2001; Bauer 2008) e che però rappresentano le origini del dibattito moderno relativo alla comunicazione della scienza. 24 Persuaso della natura biologica di alcuni caratteri psichici, somatici e culturali che caratterizzano le differenze etiche, Mategazza è orientato a includere l’antropologia nelle scienze naturali. In aggiunta, attento osservatore e viaggiatore, Mantegazza pubblica una serie di lavori in relazione alle caratteristiche degli abitanti di diverse parti del mondo tra cui India, Lapponia e Nuova Guinea. Infine, grazie ai suoi studi di ricerca sulle droghe viene considerato uno dei pionieri occidentali dello studio dei valori della cocaina. Detto questo, il ritratto di Mategazza non sarebbe completo senza considerare che lo scienziato contribuì sensibilmente a diffondere, all’interno del contesto italiano, un’immagine statica dell’umanità, caratterizzata dalla superiorità degli uomini rispetto alle donne ed una suddivisa in razze, al vertice delle quali, egli colloca, senza alcun dubbio la razza bianca (Govoni, 2002). Anche la scienza quindi, fatta di uomini e idee, si trova necessariamente a interagire con il contesto economico, politico, sociale e religioso di ciascuna epoca. Il successo e insuccesso dei sui protagonisti, siano questi uomini o oggetti, varia nel tempo ed a seconda delle caratteristiche sociali e culturali in cui questi stessi vengono generati. 2.2 Il Novecento della divulgazione Il successo che caratterizza gli anni post-unitari, determinato da un notevole entusiasmo a seguito della diffusione d’importati scoperte a livello tecnico e scientifico che includono la diffusione dell’energia elettrica, la circolazione delle teorie evoluzionistiche darwiniane e le importanti scoperte relative al campo igienico e sanitario, va via via scemando con l’approssimarsi del nuovo secolo. Secondo diversi autori, il 1885 è da considerarsi l’apice di successo della divulgazione scientifica nel contesto italiano. In questo anno infatti falliva la rivista Natura, che nasceva per essere la versione italiana di Nature, ma che di fatto non trovava nella comunità di ricercatori e professionisti italiani, impegnati nel combattersi l’un l’altro per portare avanti le idee e convinzioni di questa o quell’altra fazione politica, la coesione e unità necessarie per poter prosperare come avveniva alla collega anglosassone. In effetti, i divulgatori italiani dimostrano una totale incapacità di impostare una discussione relativamente a un progetto di comunicazione che fosse univoco ma non strutturasse la comunicazione secondo un’ottica paternalistica. D'altronde il declino della divulgazione scientifica degli anni Novanta coincise con la fine della carriera dei ricercatori e scienziati, e forse 25 anche dei lettori, che lo avevano determinato. Se da un lato, gli autori falliscono nel tentativo di trasmettere ai lettori l’entusiasmo e l’interesse verso le tematiche scientifiche, dall’altro si va sempre più accrescendo il divario che separa cultura scientifica ed umanistica, e che è senz’altro una costate che supera i confini italiani, ma che nel nostro paese acquista delle caratteristiche molto peculiari, perché a differenza di quanto accade nella stragrande maggioranza dei casi, in Italia le discipline scientifiche tendono ad occupare un ruolo subalterno sia a livello culturale, che da un punto di vista socio-economico. Quest’ultimo aspetto è chiaramente molto rilevante quando consideriamo lo sviluppo e i progressi scientifici, dal momento che, come noto, le discipline umanistiche, come la letteratura, filosofia ed arte, richiedono un dispendio economico chiaramente inferiore alle cosiddette discipline scientifiche. Nel riconoscere una situazione di declino a livello della divulgazione scientifica, bisogna però notare che è proprio a cavallo con il nuovo secolo che la divulgazione si fa strada nelle case editrici più importanti tra cui Zanichelli, Hoepli, Treves o Sonzogno. Senza dimenticare che nascono in questi anni una serie di riviste tra cui la ultracentenaria rivista “Scientia” su cui scrivono matematici come Vito Volterra e Federigo Enriques, propugnatori di una scienza aperta e democratica. Sulla figura di Vito Volterra vogliamo soffermarci in quanto rappresenta, alla stregua di Mantegazza, una personalità poliedrica e multisfaccettata che ha contribuito, con il suo lavoro ed le sue scoperte, non solo alla produzione di nuova conoscenza, ma anche alla sua diffusione e comunicazione ad ampio raggio. Come noto, Voterra è un matematico attentissimo e molto produttivo. Nasce appena un anno prima dell’unita d’Italia ad Ancona. Diventato orfano di padre all’età di un anno, Vito si trasferisce a Firenze con la madre. Qui, già da giovane si dimostra un “enfant prodige” nello sviluppare e risolvere problemi matematici e fisici anche molto complicati. Nonostante le difficoltà economiche, e grazie anche all’aiuto della famiglia e di coloro che lo seguono durante i suoi studi, come il professore di fisica presso Istituto tecnico Galileo di Firenze Antonio Roiti, Volterra porta avanti la sua carriere scolastica fino a ottenere la laurea in Fisica presso l’università Normale di Pisa nel 1882. Ancora prima di laurearsi Volterra dimostra la sua maturità e conoscenza scientifica pubblicando una serie di saggi che trattano di tematiche anche piuttosto distanti tra di loro tra cui l’elettrodinamica, l’elettrochimica e l’elettrostatica, ma anche la teoria del potenziale e le funzioni discontinue. Dopo un anno dalla laurea viene chiamato a lavorare come professore 26 presso l’Università di Pisa. La sua produttività scientifica negli anni pisani continua a crescere e Volterra comincia anche a interessarsi di altre tematiche tra cui la Storia della matematica e della fisica. Tra l’altro fu un attento bibliografo e per un certo periodo di tempo anche bibliotecario. A dieci anni dal suo incarico a Pisa, Volterra si trasferisce a Torino. In questo contesto, si trova nella condizione favorevole per lui di aprirsi di più anche al dibattito ed alla discussione matematica internazionale. Iniziando dalla seconda conferenza internazionale dei matematici a Parigi, per poi seguire con una serie di viaggi e permanenze in Gran Bretagna e presso l’università di Cambridge, nel 1909 Volterra visita Yale, MIT e la Columbia University, tutte realtà che lo impressionano molto positivamente. Nel frattempo anche in Italia si accresce sempre più la sua fama ed il suo valore e, con questi, cominciano anche gli incarichi pubblici, tra cui quello di partecipare alla commissione che si occupa della riorganizzazione del Politecnico di Torino per nomina diretta di Giolitti. Cosi, la sua attività scientifica e politica continua, in maniera anche frenetica negli fino agli anni 20 circa. Nel 1905 Volterra è nominato Senatore del Regno d’Italia, nel 1906 viene eletto presidente della società di fisica italiana che aveva contribuito a fondare, nel 1907 fonda la Società Italiana per il progresso delle Scienze, mentre dal 1910 diventa Foreign Memeber della Great Britan’s Royal Society, e fonda nel 1917 la Società Italiana delle Invenzioni che ospiterà fisici straordinari come Corbino e Di Sturzo e che rappresenta un momento fondamentale per la nascita del Consiglio Nazionale delle Ricerche, fondato nel 1923 dopo una lunga gestazione, di cui Volterra sarà anche il primo presidente. Lo stesso anno Volterra è nominato presidente dell’Accademia dei Lincei. Sotto la sua guida l’Accademia prende delle posizioni anche molto attive nella vita culturale del paese. In particolare, Volterra è tra coloro che si interrogano sugli effetti della riforma Gentile ponendo il problema dell’abbassamento del livello culturale legato all’applicazione della riforma Gentile. Nel 1925 Volterra, durante il suo discorso quale presidente dell’Accademia, proclama il suo appoggio verso l’istituzione di libere associazioni scientifiche “esenti da ogni ingerenza dello stato” (Coen, 2008: 457). In questi tempi, però, la situazione politica e sociale italiana non può assolutamente permettere a un’accademia cosi prestigiosa di schierarsi cosi palesemente contro lo stato. Ed è cosi che si conclude l’ascesa, scientifica e politica, di questa personaggio che pochi anni dopo (1931) si rifiuterà, insieme ad altri undici professori italiani, di firmare l’atto di fiducia al partito fascista, cosa che gli costerà l’allentamento da ogni carica pubblica, nonché l’attribuzione di molte delle sue scoperte ad altri ricercatori più in linea con le politiche fasciste. 27 L’esaltazione propagandista del lavoro inventivo degli scienziati italiani, che caratterizza gli anni del fascismo, si colora di tonalità prettamente retoriche e celebrative. In questo contesto, la radio diventa lo strumento privilegiato per la diffusione di tutta una serie di idee e valori sociali e politici, ma anche sapere scientifico e conoscenze, ad un pubblico quanto più ampio e variegato. Riflettere su queste modalità di comunicazione mette in luce il chiaro approccio educativo, teso soprattutto ad elogiare la scienza pratica, e cioè quella che entra a fa parte delle esperienze quotidiane dei cittadini, a svantaggio della ricerca di base, lontana ed aliena dalla vita di tutti i giorni. Il linguaggio, chiaramente è pedagogico, mentre la rappresentazione della scienza è lineare e sempre positiva. La scienza, dunque, diventa sinonimo di verità e viene privata di tutta quella serie di conflittualità, limiti e incertezze di cui si alimenta continuamente. E cosi, chiaramente, prende piede una pratica di divulgazione scientifica che privilegia la semplificazione sulla precisione e sulla problematicità. 2.3 La comunicazione post nucleare e moderna Con la fine della guerra e il ritorno alla vita civile, gli scienziati si trovano di fronte ad una situazione del tutto diversa rispetto a quella che avevano lasciato. A seguito dell’impatto delle bomba nucleare sul ‘patto di fiducia’ tra cittadini e scienziati che, tradizionalmente supportava l’idea di scienza lineare e positiva largamente diffusa tra i pubblici di non esperti, gli scienziati iniziano a porsi il problema della loro responsabilità come individui e come categoria sociale, di fronte alla società oltre che di fronte a loro stessi. Inoltre, comincia a farsi strada nel pubblico lo stretto legame tra scienza e società. Cosi la figura dello scienziato cambia definitivamente. I ricercatori della Big science sono lavoratori stipendiati, molto spesso dipendenti dello stato, e quindi alla ricerca di una legittimazione ed approvazione da parte del pubblico, che rappresenta il loro principale utente, ma che, come avviene in qualsiasi stato democratico, gioca anche un ruolo fondamentale nell’attribuzione dei fondi e delle risorse. Inoltre, alla luce dell’impatto e della natura delle nuove scoperte scientifiche, la realizzazione di un dialogo intenso e costruttivo tra scienza e pubblico diventa improrogabile. D'altronde, in questi anni il ritmo delle scoperte e delle loro applicazioni procede in maniera esponenziale rendendo sempre più difficile separare la scienza e nuove tecnologie dal pubblico, le istituzioni politiche e i mass media. In questi anni il 28 dibattito relativamente al rapporto tra scienza e società si fa strada prima di tutto negli Stati Uniti. Qui, a riprova dell’interesse relativo al problema del rapporto tra scienza e pubblico, e all’esigenza da parte del pubblico di conoscere la scienza e nello stesso tempo della scienza di farsi conoscere al pubblico di non addetti, in modo da aumentare il livello di supporto e gradimento, nascono, verso la fine degli anni ’40, le riviste di divulgazione scientifica Science e Scientific American. Inoltre, a confermare l’interesse nazionale verso il rapporto tra scienza e società, l’associazione americana per gli studi scientifici avanzati dichiara il suo interesse verso lo studio delle tematiche relative all’educazione ed alfabetizzazione della scienza. In questi anni, inoltre, la divulgazione scientifica diventa una fonte di guadagno e si diffondono le pubblicazioni il cui obiettivo è quello di raccontare la scienza al pubblico. La National Science Foundation comincia a monitorare il livello di alfabetizzazione del pubblico di non addetti. Anche in Italia in quegli anni si realizzano tutta una serie di iniziative volte ad aumentare il livello di alfabetizzazione da parte del pubblico. Un momento importante in questo senso è segnato dalla nascita della televisione nel 1954, quando cominciano a diffondersi una serie di programmi culturali d’integrazione scolastica, come Avventure della scienza di Enrico Medi e Orizzonti della scienza e della tecnica di Giulio Macchi. Anche a livello dell’editoria italiana la divulgazione scientifica trova una sua collocazione, soprattutto puntando sulle traduzioni di testi stranieri di alta divulgazione di autori celebri quali Isaac Asimov, Richard Feynmann, Jacques Monod, François Jacob e, infine, di Stephen Jay Gould. Alla fine degli anni Sessanta il quotidiano storico Paese sera inaugura una pagina di scienza fissa una volta alla settimana. Ma questo non è tutto, la scienza, infatti, in quegli anni, occupa anche le cronache con i casi di Domenico Marotta, direttore dell’Istituto superiore di Sanità, e di Felice Ippolito, segretario del CNEN (Comitato nazionale per l’energia nucleare). La fervente attività divulgativa di questi anni fa emergere un gap tra una scienza, che spesso non capisce il linguaggio dei media e non riesce a difendere e valorizzare le proprie ragioni e ricerche, e un pubblico, che, dopo la seconda guerra mondiale e in un clima di guerra fredda, si interroga sempre più sui limiti, etici e sociali, della scienza. Da qui la necessità di una riflessione profonda al fine di facilitare il rapporto che lega scienza e pubblico accorciando, ove possibile quelle distanze che con a seguito dei progressi sociali e scientifici si sono andate allargando. Sarà l’Inghilterra a farsi promotrice di una riflessione istituzionale relativa a queste tematiche che, attraverso la 29 pubblicazione del Public Understanding of Science (PUS) report, detto anche Bodmer report, che aprirà la strada al dibattito moderno relativo al rapporto tra scienza e pubblico. Questo documento, che, di fatto, ha il merito di richiamare l’attenzione di politici e accademici sui temi concernenti il rapporto tra scienza e pubblico, è anche molto importante perché contribuisce in maniera efficace alla diffusione del modello del deficit. Questo modello, basandosi sull’idea che la scienza sia troppo complicata per poter essere compresa dal pubblico di non addetti imposta la comunicazione della scienza in forma divulgativa prevalentemente top-down e cioè da parte degli scienziati, depositari di sapere, verso il pubblico, o anche volgo, essenzialmente ignorante in materia scientifica. Questa idea non è priva di un suo fondamento nella realtà della società moderna post guerra fredda, che la legittima e contrappone gli esperti, che sono i detentori di conoscenze tecniche specifiche e verità inconfutabili, al pubblico, anche alla luce di un livello di alfabetizzazione ancora dipendente largamente dal progresso scientifico. Via via che il modello viene popolarizzato, proliferano le iniziative per facilitare e migliorare il livello di educazione del pubblico. Esempi di questo tipo includono la decisione da parte del governo inglese di elevare l’obbligatorietà dello studio delle scienze naturali a 16 anni, ma anche la realizzazione di tutta una serie di progetti, alcuni dei quali ancora in atto, volti a stimolare l’interesse dei giovani verso le tematiche scientifiche come il Project 2061 proposto dalla American Association for the Advancement of Science e volto a potenziare l’educazione scientifica degli adolescenti. La raccolta dei primi risultati relativi all’analisi degli effetti sulla percezione da parte del pubblico della scienza, ma anche del livello di alfabetizzazione del pubblico che caratterizzano il lavoro di coloro che si collocano nella scuola di pensiero del PUS classico, cominciano a mettere in dubbio l’idea che il modello del deficit sia il migliore possibile per risolvere le incomprensioni che caratterizzano il rapporto tra scienza e pubblico (Gregory e Miller, 1998). Inoltre, va detto che, al classico approccio proposto dal PUS, si alterna un'altra scuola di pensiero che, proponendo di concentrarsi sull’indagine qualitativa, una concezione della scienza localmente situata e l’idea di pubblico quale detentore di conoscenza e sapere diverso, ma altrettanto valido rispetto a quello scientifico, si diffonde come Public Understanding of Science «critico» o «interpretativo» (critical/interpretative public understanding of science, Wynne 1989, 95). Si parla in questi casi di sapere contestuale. Il dibattito, talvolta anche piuttosto acceso tra PUS classico e critico, fa crollare tutta una serie di certezze: si capisce che non basta il solo ‘buon linguaggio’ a trasmettere nuove conoscenze e che l’educazione 30 dall’alto in basso non funziona più. In questa fase, si punta sull’intrattenimento e la scienza diventa divertente. Ecco che si diffondono, sia in Italia che all’estero, numerose attività rivolte al pubblico che puntano a trasformazione i vecchi musei della scienza e tecnica in vere e proprie Città della Scienza, come quella di Napoli, dove il pubblico entra per imparare, divertendosi a conoscere la scienza. L’idea di partecipare alla produzione della scienza comincia a farsi strada nell’immaginario collettivo. Chiaramente in questo senso non ha più significato impostare il rapporto tra scienza e pubblico in termini unidirezionali e diventa sempre più necessario realizzare un dialogo tra scienza e società come scambio reciproco. Si comincia quindi a parlare di public engagement e dialogue, che sono termini che ancora una volta vengono diffusi dal mondo anglosassone dimostrandosi rapidamente dei contenitori concettuali validi per reimpostare il rapporto tra scienza e pubblico. Chiaramente poi ogni paese e contesto locale, in base alle proprie tradizioni e cultura, esprime l’idea di dialogo e public engagement secondo pratiche differenti. In Italia si punta alla formazione di nuovi comunicatori della scienza, meno ingenui e più attrezzati dei predecessori che siano in gradi creare un linguaggio comune per scienza e pubblico che garantisca le basi necessarie per il dialogo. Alcune iniziative degne di nota, e tipiche della situazione italiana, riguardano il rinomato Master in Comunicazione tenuto presso la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste ed inaugurato nel 1993. Inoltre, con l’inizio del nuovo millennio, nasce a Padova il Centro di ricerca “Observa Science and Society” che si occupa di favorire il dibattito di temi quali il rapporto tra scienza e società, di monitorare e comunicare lo stato e le trasformazioni della ricerca e dell’innovazione scientifica italiana, e infine di analizzare il livello di educazione scientifica dei cittadini italiani. Crescono i Festival della scienza, come quello di Genova, e i caffè scientifici, che si diffondono rapidamente nelle principali città italiane come Milano, Roma, Napoli e Firenze. L’esperienza di Genova già dal primo anno (2003) rappresenta un successo nazionale e internazionale, grazie alla realizzazione di una serie di proposte di exhibits originali ed interattivi che rappresentano un modello esportato in tutto il mondo. In questo contesto, vengono inoltre ospitate una serie di personalità impegnate nella comunicazione della scienza sia come esperti (nazionali e internazionali) comunicatori che come scienziati divulgatori e si genera uno spazio fisico e teorico atto al dibattito e 31 alla discussione che continua ad oggi a rappresentare un momento importante di riflessione collettiva. Si va inoltre affermando nel contesto italiano un altro spazio, questa volta prettamente accademico, volto alla diffusione di queste tematiche che vede la sua più alta legittimazione nella realizzazione della società STS Italia (2005). Tipico dell’esperienza Italiana è una maggiore omogeneità tra deficit model e public engagement, presenti contemporaneamente in molte delle esperienze citate qui sopra. Una minore frattura e un maggiore amalgama tra i due modelli, specialmente se paragoniamo l’Italia al caso inglese dove la separazione tra deficit ed engagement non potrebbe essere più netta, non significa però che il nostro paese, almeno sotto questo punto di vista, sia rimasto indietro. Oggi, infatti, abbiamo a disposizione un buon giornalismo scientifico, inoltre è possibile contare sull’attività di numerosi scienziati che a differenza di quanto poteva accadere in passato non si improvvisano più comunicatori scientifici, e che quindi, potendo contare su una tradizione piuttosto radicata di comunicazione della scienza, cercano di impostare il rapporto con il pubblico in maniera da includere il pubblico stesso attivamente nella produzione di sapere, nella governance della scienza e nel dibattito etico sociale relativo alle tematiche scientifiche. Come reagisce il pubblico a queste nuove forme di comunicazione? Possiamo dire che le iniziative moderne che puntano al dialogo e partecipazione attiva del pubblico soddisfano entrambi gli attori principali di questa drammatizzazione? Quali sono i limiti e le problematiche principali relativamente alle attuali pratiche di comunicazione della scienza in Italia? E infine qual è la direzione che ci apprestiamo a seguire per migliorare e potenziare il rapporto tra scienza e pubblico? Sono quindi numerose le domande che restano aperte per chi è interessato a riflettere sul rapporto tra scienza e pubblico. Pertanto è chiaro come l’esperienza italiana di divulgazione e comunicazione della scienza sia giunta in un momento importante e anche di attenta riflessione al fine di evitare di disperdere da un lato tutte le ferventi attività che caratterizzano il nostro contesto nazionale, e dall’altro cerchi di trovare una direzione comune che sintetizzi e nello stesso tempo valorizzi tutti gli sforzi fatti fino a questo momento, che sono indubbiamente il risultato e la risposta delle esigenze e delle caratteristiche socioculturali che definiscono la tradizione e la realtà italiane quando si parla di scienza e pubblico. Molto quindi rimane ancora da fare, quello che ci sentiamo di suggerire, a conclusione di questa rassegna relativa alla comunicazione della scienza in Italia dall’Unità ad oggi, è una riflessione di tipo 32 pratico e teorico, che di fatto supporta un discorso proposto anche da altri sociologi impegnati in questo ambito nel contesto italiano come Massimiliano Bucchi (2008) secondo il quale il rapporto tra scienza e pubblico è chiaramente dinamico e in evoluzione costante. Perciò non ci sembra ragionevole inscriverlo in dei modelli prestabiliti e rigidi, siano questi quello del deficit o quello dell’engagement. In questo senso il rapporto tra scienza e pubblico diventa il frutto di un’attenta riflessione da parte degli attori maggiormente coinvolti sull’esperienze passate e le condizioni presenti e future che caratterizzano il pubblico e la scienza relativamente ad un ben preciso contesto storico, sociale, scientifico e culturale. Le diverse esperienze e modelli che si sono succeduti fino a questo punto non vanno presi a scatola chiusa e realizzati solo perché esprimono l’ultima moda in campo di divulgazione, bensì utilizzati quale guida e fonte di riflessione critica e costruttiva per impostare comunicazioni della scienza che sono spesso e volentieri anche molto diverse. Non va dimenticato, infatti, che la scienza è una realtà complessa che comprende discipline e tecnologie anche molto distanti tra di loro che vanno dalle biotecnologie all’energia nucleare, dalla fecondazione in vitro alla ricerca sulla energia rinnovabile alla fisica quantistica. Perciò sono necessarie delle forme di comunicazioni altrettanto diversificate che siano in gradi di alternarsi continuamente garantendo una molteplicità di realtà che spaziando dal modello del deficit, che può ancora essere considerato la forma di comunicazione più efficace sia per il pubblico che per gli scienziati nel momento in cui andiamo a parlare di tematiche anche molto distanti dalla realtà come fisica e astrofisica, a delle forme di comunicazione più aperte e dialogiche come quelle che sono state proposte in relazione a tematiche scottanti come gli OGM e le cellule staminali, possano di fatto soddisfare le esigenze di tutti i diversi attori inclusi nel processo di comunicazione. 33 3. Qui o altrove non è lo stesso. La mobilità internazionale degli scienziati, il brain drain e una ricerca da ritrovare. Valentina Baiamonte 3.1. Introduzione Le celebrazioni legate ai centocinquanta anni dell’Unità d’Italia hanno registrato una grande partecipazione popolare, sia in Italia, sia presso tutte le comunità italiane all’estero. L’occasione dei festeggiamenti dell’unità, da un lato, ha dato prova dell’esistenza di un denominatore comune a tutti gli italiani, ovvero una nazione percepita come “una ed indivisibile”16, anche dal punto di vista della vita scientifica del nostro Stato, le cui eccellenze nella ricerca sono state celebrate; dall’altro, permangono ancora delle zone d’ombra e delle sfide che l’Italia deve affrontare per dimostrare la propria capacità di essere all’avanguardia all’interno dello scenario scientifico internazionale. Nell’arco degli ultimi 150 anni, l’Italia si è particolarmente distinta nell’ambito scientifico internazionale, grazie ad una capacità di ricerca e di innovazione davvero peculiare; a questo proposito spiccano grandi nomi del mondo scientifico e tecnico nazionale, come Antonio Meucci, inventore della radiocomunicazione, Premi Nobel per la medicina come Rita Levi Montalcini e Renato Dulbecco; vere e proprie scuole di eccellenza nella ricerca scientifica in settori come la fisica e la chimica, con esponenti di fama internazionale come “i ragazzi di Via Panisperna” negli anni Quaranta del Novecento o come i ricercatori italiani dell’INFN che hanno lavorato al progetto del Bosone di Higgs al CERN nel 2012. Il dato significativo, su cui si intende riflettere in questa sede, è la circostanza che la maggior parte di questi scienziati, il cui successo mondiale è universalmente riconosciuto, abbia potuto ottenere risultati di rilievo presso enti e organismi di ricerca all’estero. Ogni epoca storica ha evidenziato la presenza di scienziati e pensatori itineranti verso altri Stati, protagonisti di traguardi innovativi. La scienza e 16 G. Napolitano, “Una e indivisibile: riflessioni sui 150 anni della nostra Italia”, Milano, Rizzoli, 2011. 34 l’innovazione non conoscono una sede fissa e la mobilità internazionale finalizzata all’accrescimento delle conoscenze sembra appartenere in maniera strutturale al mondo della ricerca. Il caso italiano, però manifesta una peculiarità: si muovono nel contesto internazionale scienziati italiani patrioti, ma non solo, esuli, fuggitivi da situazioni politiche e sociali a rischio, o semplicemente soggetti della ricerca diretti verso nuove opportunità e prospettive scientifiche. La varietà di tale tipologia di “scienziati italiani mobili” è certamente riconducibile a circostanze contingenti, legate alle più ampie vicende della storia nazionale, ma anche, in tempi più recenti, a condizioni strutturali legate al mondo della ricerca scientifica, con la contrazione delle opportunità di lavoro e di crescita professionale all’interno di tale ambito professionale. Tuttavia, si intende in questa sede fare riferimento ad alcuni "scienziati chiave" nell’ambito della mobilità internazionale; essi possono essere definiti così in quanto sono da considerare come punto di snodo tra la categoria concettuale dei “ricercatori nazionali stanziali”, ovvero quanti hanno caratterizzato i primi 50 anni della vita nazionale e hanno dedicato sé stessi alla costruzione di un sistema scientifico e universitario nazionale dentro i confini italiani, e la categoria concettuale dei “ricercatori internazionali del brain drain” degli ultimi 50 anni, ovvero di quei soggetti della ricerca, la cui vita formativa e professionale si è svolta all’interno del sistema globale della scienza e della ricerca. Il gruppo di scienziati denominato i “ragazzi di Via Panisperna” ha avuto un ruolo centrale, quasi paradigmatico, nell’esodo della comunità scientifica italiana all’estero durante gli anni del regime politico fascista (1922-1943) . Il nome venne attribuito al gruppo di fisici e scienziati raccolti intorno alla figura di Enrico Fermi, giovane docente presso il Regio Istituto di Fisica della Università di Roma, che allora si trovava in Via Panisperna; il gruppo di ricerca, composto da Oscar D’Agostino, Emilio Segré, Edoardo Amaldi e Franco Rasetti, assurse alla notorietà nel 1934 per la scoperta dei neutroni lenti in grado di essere impiegati in seguito nella realizzazione del primo reattore atomico. Il gruppo rappresenta, per la scienza italiana, una vera e propria rivoluzione culturale. Le loro idee scientifiche investono quasi tutta la fisica ed hanno apportato un nuovo modo di fare ricerca, un lavoro di squadra, che rappresenta un’anomalia per quel tempo ma che diventa un modello della ricerca scientifica e della costruzione della 35 conoscenza, come notato dal paradigma del comunitarismo scientifico di Merton17. Seppur non direttamente per motivi etnico-religiosi, le motivazioni della diaspora del gruppo di lavoro dei Ragazzi di Via Panisperna sono tuttavia riconducibili all’emanazione delle leggi razziali fasciste, un insieme di provvedimenti varati in Italia fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni quaranta, che hanno impedito agli scienziati di origine semitica di proseguire la ricerca avviata in Italia. Unitamente al provvedimento contenuto nel Regio Decreto del 28 agosto 1931, secondo cui tutti i docenti universitari, da sempre parte cospicua del mondo scientifico e della ricerca italiana, avrebbero dovuto prestare giuramento di fedeltà al regime politico fascista, le leggi razziali rappresentavano un’ ulteriore intromissione della politica nella autonomia scientifica degli studiosi italiani, in un tentativo sempre più pressante di integrare tali soggetti nel mondo del regime o di espellerli dall’Italia. L’insieme di queste cause politiche provocò, nel 1938, la dispersione del gruppo romano di fisici nucleari verso altri Stati. Si tratta di una prima forma di mobilità internazionale coatta di scienziati italiani che, per motivazioni di natura ideologica, scelgono di intraprendere il proprio percorso scientifico e umano al di fuori dell’Italia, giocando un ruolo di primo piano dentro la comunità scientifica globale. In questo senso, è il caso di rilevare che, dalla fine degli anni 30 del Novecento ad oggi, la mobilità internazionale è profondamente cambiata, sia per motivazioni sia per frequenza e direzione. Il sistema della ricerca italiana beneficia dell’internazionalizzazione delle reti di ricerca e dalle maggiori e più frequenti direzioni di mobilità internazionale. Quest’ultima può variare tra diversi percorsi: dal limitato periodo di formazione scientifica, ad un più strutturato contratto di ricerca, fino ad arrivare alla prospettiva di una intera carriera professionale passata in diverse istituzioni della ricerca globale. Le motivazioni di tali scelte di mobilità internazionale sono diverse ma riconducibili a fattori di sistema chiaramente presenti nel modello scientifico italiano: una limitata capacità di investimento in risorse umane per motivi di 17 R. Merton, The Sociology of Science. Theoretical and Empirical Intestigations, Chicago, University of Chicago Press, 1979, pp.375-376. 36 budget, strozzature e distorsioni nel sistema di reclutamento dei ricercatori, minore dotazione di ampi programmi e costose infrastrutture di ricerca rispetto ad altri paesi. Il recente fenomeno del brain drain , la fuga dei cervelli italiani all’estero, alla ricerca di migliori opportunità scientifiche e professionali, sviluppatosi nel corso degli ultimi 30 anni, può essere visto come una risposta a questi fattori di sistema che caratterizzano il modello della ricerca scientifica nazionale. Nei paragrafi successivi si intende porre in relazione le forme di mobilità internazionale degli scienziati dovuta a motivi di natura politica, ed analizzare il caso della mobilità forzata a seguito delle leggi razziali del fascismo realizzata dai Ragazzi di Via Panisperna, e le forme di mobilità internazionale più recenti che passano sotto il nome di “fuga dei cervelli18” o, più correttamente, “brain drain19”, dovute tanto a motivazioni scientifiche (maggiore presenza di programmi di ricerca, migliori infrastrutture, presenza di scuole scientifiche più avanzate) quanto a motivazioni professionali (maggiore e migliore disponibilità di posti di lavoro nel settore della ricerca scientifica rispetto al sistema italiano, più vantaggiose condizioni retributive). 3.2. La mobilità internazionale degli scienziati negli anni ’30: i ragazzi di via Panisperna L’Italia dei primi anni del ‘900 non può essere considerata sede di ricerche teoriche e nelle università non era ancora stata attivata la cattedra di fisica teorica20; tale branca del sapere scientifico assumeva allora, più che altro, l’aspetto di fisica matematica o razionale avanzata, all’interno della quale si studiavano le equazioni della fisica matematica e delle loro soluzioni, senza prestare grande importanza alla loro applicazione nell’ambito della fisica. Uno dei pochi fisici italiani dei primi anni ’20, Orso Mario Corbino, intuì la superficialità dell’approccio alle discipline fisiche in Italia e si propose di 18 Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani, Cervelli in fuga, Roma, Avverbi, 2001. Sul tema del brain drain in Italia, si veda l’articolo “Italy’s Brain Drain. No Italian Jobs. Why Italian graduates cannot wait to emigrate”, in The Economist, Jan. 6, 2011, versione on line al sito http://www.economist.com/node/17862256. 20 La prima cattedra di fisica teorica verrà assegnata proprio allo stesso Enrico Fermi nel 1926. 19 37 rispondere a tale deficit di conoscenza istituendo una specifica cattedra di fisica nucleare e affidandola ad Enrico Fermi. La figura di Corbino rappresenta un punto di intersezione, fulcro tra politica, scienza e ricerca italiana. Egli, infatti, aveva svolto una buona attività scientifica come fisico sperimentale e direttore nell’Istituto di fisica di Via Panisperna, per poi intraprendere la carriera politica come Senatore del Regno e Ministro dell’Istruzione, abbandonando l’attività scientifica. Tuttavia, il patrimonio di conoscenze scientifiche in suo possesso consentì a Corbino di riconoscere il genio di Enrico Fermi. Laureatosi nel 1922 alla Normale di Pisa, Fermi decise di creare un gruppo di lavoro scientifico con l’aiuto di altri giovani: Edoardo Amaldi, Franco Rasetti ed Emilio Segrè. A questi, nel 1934, si aggiunsero anche Bruno Pontecorvo, il chimico Oscar D’Agostino ed Ettore Majorana per la parte teorica21. Il gruppo dei ragazzi di via Panisperna rappresenta un’eccezione per l’epoca, una rivoluzione culturale sotto due aspetti: in ambito metodologico, per l’approccio collettivo alla ricerca e in ambito scientifico, per gli esiti teorici raggiunti. Prima di tutto, nell’ambito della metodologia, si osserva l’importanza data al lavoro di squadra e al diverso approccio didattico operato da Fermi, non solo lezioni frontali, ma un lavoro di squadra creativo e di rilevanza internazionale, come ricorderà lo stesso Rasetti nel 1968, che scrive: La personalità unica di Fermi, la poca differenza di età fra docenti e discepoli, l'affinità negli interessi scientifici e persino nelle ricreazioni al di fuori dell'attività universitaria, creavano tra i membri dell'Istituto un'amicizia personale e un affiatamento che raramente hanno legato un gruppo di ricercatori. Nulla vi era di formale nel modo in cui Fermi ci insegnava le teorie fisiche più recenti, prima di tutte la nuova meccanica quantistica [...] Si tenevano riunioni che si potrebbero chiamare seminari, ma senza alcun orario o altro schema prestabilito, su argomenti suggeriti sul momento da una domanda che uno di noi faceva a Fermi, o da 21 A. Mastroianni, “La comunicazione scientifica dei ‘ragazzi di via Panisperna’ e il ruolo di Ettore Majorana”, dossier della Provincia di Torino, Settembre 2002. 38 qualche risultato sperimentale che avevamo ottenuto e che si trattava di interpretare, o infine da un problema che Fermi stava studiando o che aveva risolto o che cercava di risolvere [...] Fermi procedeva [...] col suo passo non troppo rapido ma costante, non accelerando nei passaggi facili e neppure rallentando sensibilmente davanti a[lle] difficoltà [...] Spesso non ci accorgevamo al momento se Fermi stesse esponendo teorie già a lui o ad altri ben note, o se stessimo assistendo ad un nuovo passo che egli faceva [...] Abbiamo così veduto più volte nascere una nuova teoria, che Fermi sviluppava, per così dire, pensando ad alta voce. Per fare il punto sui problemi ancora irrisolti della fisica nucleare Fermi organizzò a Roma un Congresso internazionale, che si tenne dall'11 al 17 ottobre 1931; questo evento rappresentò la prima occasione di relazione internazionale tra il gruppo di Fermi e i principali esponenti scientifici mondiali della fisica nucleare. Presero parte all’incontro i nomi più prestigiosi del settore ed il Congresso ebbe un’enorme rilevanza, in quanto fu un catalizzatore nello scambio di idee e risultati e nella discussione di nuove ipotesi22. Dopo aver ottenuto la cattedra a Roma, Fermi vinse due borse di studio, una a Gottinga, dove conobbe i “ragazzi terribili” della nuova fisica quantistica, Wolfgang Pauli, Werner Heisenberg e Pascual Jordan; l’altra a Leida, dove ritrovò George Uhlenbeck, che aveva conosciuto a Roma e con il quale rimase amico per tutta la vita. La mobilità internazionale degli scienziati e dei ricercatori si pone come un nuovo modello per il confronto dei rispettivi lavori scientifici, delle attività di laboratorio, delle infrastrutture per la ricerca, per le ipotesi di lavoro, in un sistema scientifico in cui, per la rilevanza dei temi, lo scenario degli studi, delle teorie e delle attività si pone in maniera necessariamente internazionale. Oltre alla precedente rivoluzione di metodo, è possibile osservare una rivoluzione culturale in ambito scientifico. Inizialmente, le ricerche di laboratorio dei ragazzi di Via Panisperna si focalizzarono sulla spettroscopia atomica e molecolare, solo in seguito, forse grazie a confronti e sollecitazioni emerse dal modello internazionale, si orientarono verso lo studio sperimentale del nucleo atomico. In conclusione, grandi 22 G. Battimelli, G. Paoloni, M. Di Maria, L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare: Storia di una comunità di ricerca, Bari, GLF Editori Laterza, 2002. 39 cervelli, uniti a significativi investimenti e ad un buon livello di confronto con le principali ipotesi di ricerca a livello internazionale resero i componenti del gruppo dei pionieri della fisica dei quanti, un terreno inesplorato fino ad allora in Italia. Nel marzo 1934, Fermi annunciò la scoperta della radioattività artificiale prodotta da neutroni, identificò nuovi elementi della radioattività (a lui, infatti, è dedicato il centesimo elemento della tavola periodica, il Fermio) e riuscì a riprodurre una reazione nucleare mediante neutroni lenti, scoperte che gli valsero il premio Nobel nel 1938. Con l’avvento del fascismo e la promulgazione delle leggi razziali nel 1938, Fermi si rese conto dell’impossibilità di proseguire le ricerche in modo competitivo all’interno di un sistema scientifico in cui la politica esercitava una pressione sempre maggiore sulla ricerca ed il gruppo si disperse. Nel novembre del 1938, infatti, Enrico Fermi, a seguito dell’annuncio del conferimento del premio nobel per la fisica, colse l’occasione per lasciare l’Italia, dove l’emanazione delle leggi razziali colpiva direttamente sua moglie Laura. Il fisico italiano decise, pertanto, di emigrare negli Stati Uniti, dove accettò una cattedra alla Columbia University e si stabilì presso Leonia, un villaggio nel New Jersey. L’emanazione di leggi antisemite del fascismo aveva spezzato le possibilità di proseguire le carriere scientifiche anche di altri componenti del gruppo dei ragazzi di via Panisperna. Oltre a Fermi, anche Emilio Segrè – Premio Nobel per la Fisica nel 1959 - fu costretto ad emigrare a causa della situazione politica italiana. Nel 1938, infatti, l’emanazione delle leggi razziali antisemite lo costrinse a rimanere a Berkeley, dove proseguì i suoi studi fino al 1974, quando venne richiamato per ricoprire la cattedra di fisica nucleare all’Università di Roma. Bruno Pontecorvo, ugualmente di origini ebraiche, fu costretto a fuggire negli Stati Uniti nel 1940 a causa dell’invasione da parte dei tedeschi di Parigi, dove si trovava dal 1936 inserito nel gruppo di lavoro Irène Curie e Frédéric Joliot. Il gruppo dei ragazzi di via Panisperna si disperse e, insieme a loro, anche alcuni tra gli scienziati più prestigiosi nell’ambito dello studio dei raggi cosmici: Giuseppe Occhialini e Bruno Rossi. A Roma, Edoardo Amaldi, si trovò solo a fronteggiare il disastro della perdita di tanti illustri fisici, provocato dalle leggi razziali. Amaldi, pur nelle difficoltà della scelta di restare in Italia, continuò a credere negli obiettivi scientifici e metodologici dei Ragazzi di Via Panisperna, contribuendo alla fondazione dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che avvenne l’8 agosto 1951. L’aver compiuto la maggior parte dei loro studi all’estero, l’aver passato frequenti periodo di soggiorno presso istituzioni scientifiche straniere per il 40 confronto di ipotesi scientifiche rappresenta il denominatore comune di questi scienziati, veri pionieri della mobilità internazionale delle intelligenze italiane. La principale destinazione degli scienziati italiani in mobilità internazionale era rappresentata dagli USA, tuttavia, nel corso degli anni ‘20 e ’30 gli Stati Uniti mettono in campo una serie di provvedimenti restrittivi per limitare gli ingressi all’interno del loro paese. Nel 1922 e nel 1924, infatti, gli Stati Uniti promossero il cosiddetto “Quota Act”, un atto che permette l’ingresso solamente al 3% dei connazionali residenti negli Stati Uniti. Successivamente, nel 1924, un nuovo “Quota Act”, definito “Lohnson-Reed Law”, ridusse la suddetta quota al 2%. Oltre a questi provvedimenti, nel 1929, venne istituito un altro atto di riduzione delle quote ulteriormente restrittivo che prevedeva un tetto massimo di ingressi pari a 153000 l’anno. Inizialmente, Mussolini intraprese diversi tentativi di collaborazione con gli Stati Uniti per cercare di incrementare la quota di immigrati italiani ricevuti sul suolo statunitense23, ma il governo statunitense non fece marcia indietro, riducendo la possibilità per i cervelli italiani di trasferirsi sul suolo americano. La situazione peggiorò con le leggi razziali, promulgate il 25 luglio 1938: esse ebbero un forte impatto sulla scienza italiana. Infatti, solo il primo anno di promulgazione delle leggi razziali vide l’espulsione di ben 191 professori universitari, costretti a dimettersi dalle loro cattedre d’insegnamento a causa delle loro origini ebraiche (difficile stimare il numero esatto di professori, includendo anche le scuole elementari, medie e superiori). I 191 professori universitari espulsi possono essere così suddivisi: ambito medico 117 (61.3%), discipline giuridico - economiche 24 (12.6%), discipline scientifiche 20 (10.5%), discipline umanistiche 19 (9.9%), discipline tecniche 11 (5.8%). Alla conclusione dell’evento bellico della seconda guerra mondiale, la relazione politica tra gli stati europei e gli Stati Uniti si consolidò attraverso patti economici e piani di sviluppo, come il Piano Marshall, volti alla ricostruzione dei sistemi economici devastati dalla guerra, alla modernizzazione dei sistemi tecnologici, alla riconversione dal modello di economia bellica ad una economia di pace; si tratta dell’inizio di una 23 A seguito della promulgazione dei primi due provvedimenti restrittivi statunitensi, nel 1922-1924, Mussolini iniziò a premere sul Dipartimento di Stato americano per intraprendere una mutua cooperazione. Esempio di questi tentativi di cooperazione fu nel maggio 1924 la Conferenza Internazionale sull’Emigrazione alla quale parteciparono ben 59 Stati (P. Cannistraro, G. Rosoli, Emigrazione chiesa e fascismo. Lo scioglimento dell'Opera Bonomelli 1922-1928, Edizioni Studium, Roma 1979) 41 globalizzazione culturale, avviata con il travaso di modus vivendi, abitudini, pubblicazioni ed idee culturali del tutto sconosciute in Europa. Volendo mantenere il focus sull’argomento della formazione e della ricerca in rapporto alla mobilità culturale, possiamo identificare un nuovo fervore verso le opportunità di ricerca svolta presso stati esteri, al punto che questo cinquantennio post-bellico presenta nuove e specifiche caratteristiche di mobilità internazionale degli scienziati, ben distinte dal periodo antecedente. 3.4. Il brain drain come una diaspora volontaria degli scienziati italiani per motivi di sistema La mobilità internazionale di ricercatori, laureati e scienziati italiani si è sicuramente evoluta nel corso dell’ultimo cinquantennio: accanto al fenomeno migratorio, si è associato il concetto di “brain drain”, ovvero, la fuga di laureati e manodopera qualificata verso altri stati. All’interno di un paese, il fenomeno del brain drain può avere svariate ripercussioni, sia negative, sia positive. Tra gli effetti positivi vi è il fatto che gli emigrati altamente qualificati, che lavorano all’estero, spesso inviano al loro paese d’origine una parte dei loro guadagni sotto forma di rimesse. Oppure, dal momento che il titolo universitario dà accesso a maggiori retribuzioni all’estero, esiste un incentivo ad investire in un percorso di crescita culturale iscrivendosi presso sedi universitarie straniere24. L’alta mobilità di manodopera qualificata, inoltre, è indice dell’esistenza di un mercato globale del lavoro e questa circostanza aumenta di gran lunga le possibilità di ricercare migliori situazioni occupazionali anche all’estero. La stessa possibilità di effettuare una parte del proprio percorso formativo all’estero ha accresciuto la probabilità, per un ricercatore, di stanziarsi dove ha svolto una parte della sua ricerca e dove trova migliori condizioni scientifiche, professionali, retributive. L’accezione negativa attribuita al fenomeno del brain drain emerge nel momento in cui il saldo tra la manodopera altamente qualificata che lascia un paese e quelli che vi ritornano o si trasferiscono è negativo. Il 17 giugno 2012, l’ISTAT ha presentato uno studio sui laureati italiani emigrati in altri paesi e la loro situazione occupazionale. La presentazione del rapporto ISTAT, illustrata dal presidente Enrico Giovannini, si è tenuta in occasione di un’audizione del Senato al Comitato per le questioni degli italiani all’estero. Il rapporto cerca di individuare se ad 24 P. Balduzzi, Dal brain drain alla circolazione dei talenti: realtà italiana, esperienze internazionali e una proposta per l’Italia, Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore. 42 oggi vi siano criticità o problematiche legate al brain drain e, in caso affermativo, di quale entità. Secondo la ricerca ISTAT, dal 2001 al 2010, l’incidenza dei laureati italiani sul totale degli espatri è raddoppiata: siamo, infatti, passati dall’8,3 al 15,9 per cento. Oltre a ciò, occorre notare che, se per il biennio 2001-2005 ci sono stati più rientri che espatri, per la prima volta, il quinquennio 2006-2010 mostra un’inversione di tendenza: a fronte di un espatrio complessivo di 200.712 italiani, ne sono rientrati 163.999, con un saldo negativo di ben 36.713 unità. L’aumento della componente dei laureati all’interno degli emigrati in totale, unito al maggior numero di espatri rispetto ai rimpatri, rappresentano una conferma della mancanza di competitività dello stato italiano all’interno dello scenario internazionale, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di carriera e lavoro una volta ottenuto il titolo universitario. In conclusione, la mancanza di competitività, unita alla poca trasparenza legata alle procedure di reclutamento, rendono l’Italia un sistema scientifico e della ricerca poco competitivo all’interno dello scenario internazionale25. A partire dagli anni ’90, il trend di espatri tra i laureati italiani era cresciuto esponenzialmente e l’Italia si era distaccata notevolmente dalla media europea. Tuttavia, l’aumento della componente dei laureati all’interno degli emigranti non aveva di per sé creato problemi dal momento che era stata controbilanciata da un flusso di laureati in entrata che avevano deciso di ritornare in Italia. La tabella seguente illustra la situazione italiana rispetto alle altre nazioni europee, in particolare, viene evidenziato il saldo tra la percentuale dei laureati in entrata e quella dei laureati in uscita nell’anno 2004. 25 A riguardo: L. Pistaferri, Informal Networks in the Italian labor market, in Giornale degli economisti e annali di economia, novembre 1999; A. Soro-Bonmati, From school to work: a comparison of labour market transiting and leaving home decisions of youg people in Germany, Italy and Spain, 2001, European Institute Ph.D Thesis, Department of Economics; F. Fabbri, N. Rossi, Caste, non classi. Una società immobile, in Il Mulino, No.1, Gennaio-Febbraio 1997; A. Schizzerotto, I. Bison, Mobilità occupazionale tra generazioni e mobilità di carriera: un confronto internazionale, in G. Galli (a cura di), La mobilità nella società italiana, Roma, SIPI, 1996- 43 Saldo comparato laureati entrata/uscita (2004) PAESE Laureati stranieri Laureati stranieri SALDO residenti nel paese* residenti nel paese* (entrata) (uscita) Italia 0.3% 2.3% -2% Germania 1.4% 0.6% 0.8% Francia 1.4% 1.1% 0.3% Regno Unito 1.7% 0.9% 0.8% Spagna 0.5% 0.8% -0.3% *Espresso in percentuale rispetto al totale dei laureati che lavorano nel paese. Fonte: Eurostat Force Labor Survey. Se si confronta la percentuale di laureati italiani che lavora all'estero con la percentuale di laureati stranieri che lavora in Italia, l'anomalia del caso italiano è parecchio evidente. I dati Eurostat Force Labor Survey permettono di paragonare l'Italia alle altre grandi economie europee. Gli altri paesi, con eccezione della Spagna, segnalano la presenza di molti più laureati stranieri dentro i confini che di laureati nazionali emigrati all'estero. Il caso italiano rappresenta chiaramente un’eccezione in quanto la percentuale di laureati emigrati è sette volte maggiore rispetto a quella dei laureati stranieri presenti nel nostro paese. Estendendo l'analisi fino a includere immigrati in Italia da altri paesi (non UE) il quadro non cambia, poiché tra gli immigrati la percentuale dei laureati è in genere molto bassa. Il fenomeno del brain drain, quindi, appare, alla luce di queste considerazioni, molto grave, in relazione agli studi che evidenziano come nei paesi avanzati l'aumento del capitale umano sia il principale responsabile della crescita economica. Jones26 mostra che, per gli USA, un terzo della crescita nel reddito pro-capite, dal 1950 ad oggi, è 26 C. Jones, Sources of U.S. Economic Growth in a World of Ideas, in American Economic Review 92, March 2002, pp. 220-239 44 dovuto alla maggiore istruzione della forza lavoro27. I laureati sono la parte della manodopera che promuove ricerca, innovazione, talvolta anche imprenditoria; di conseguenza, la crescente perdita di cervelli può avere conseguenze gravi per la crescita economica e di sviluppo complessivo di un paese. All’interno del flusso dei cervelli in fuga, vi sono alcune discipline che sono più propense a ricercare nuove opportunità di lavoro all’estero, una volta conseguito il titolo universitario. Il primo dato significativo riguarda il sostanziale incremento di laureati che hanno scelto di espatriare dal 2004 al 2006, indice di un trend che si mantiene costante ed in lieve aumento (+1.8%). Le discipline scientifiche sono quelle che includono il maggior numero di dottori espatriati all’estero: 23.7% per le scienze fisiche, 9.5% per le scienze matematiche ed informatiche, 8.3% per le scienze biologiche. In totale, il 41,5% dei dottori espatriati appartiene all’ambito scientifico, un dato particolarmente elevato, se lo si confronta con le altre discipline. Diverse cause concatenate concorrono alla diaspora degli scienziati italiani all’estero. Prima di tutto, occorre specificare che non si tratta di una sfiducia legata alla scienza in quanto disciplina, piuttosto una sfiducia legata alla ‘scienza istituzione’; a riguardo, infatti, sono determinanti gli investimenti atti a 27 C. Jones, op. cit- 45 permettere, non solo una certa capacità innovativa verso il miglioramento, ma anche una certa competitività del sistema ricerca28. In Italia manca un percorso di istruzione e di formazione scientifica posto in relazione con il mondo del lavoro; è assente un canale preferenziale che, dal dottorato, metta in comunicazione il ricercatore con il settore produttivo e industriale, sia pubblico, che privato. La scienza di oggi, rispetto agli anni di Fermi e del gruppo dei ragazzi di via Panisperna, sembra aver perso attrazione tra i giovani italiani. Gli iscritti presso facoltà scientifiche sono in netto calo. Un’inchiesta dell’Eurobarometro mette in luce come, la difficoltà degli studi scientifici, unita alla scarsità delle prospettive future, segnino una profonda crisi all’interno della scienza italiana29. E’ proprio questo il tallone d’Achille della competitività italiana nel mercato globale del lavoro; gli economisti invitano ad un cambiamento deciso del sistema istruzione/formazione/ricerca, che deve essere orientato per favorire una reale integrazione con il sistema produttivo del paese che richiede ruoli e specializzazioni professionali che non riesce a trovare: tra domanda ed offerta formativa non c’è equilibrio. Resta da individuare verso quali paesi di destinazione si orientano i laureati italiani. L’esodo dei cervelli in fuga è riassunto nella tabella della pagina successiva (fonte ISTAT). 28 M. C. Brandi, L. Cerbara, M. Misiti, A. Valente, “Giovani e scienza in Italia tra attrazione e distacco”, in Journal of Science Communication 4(1). Giugno 2005. 29 European Commission, Eurobarometer Unit, Europeans, Science and Technology, Eurobarometer, 55.2, 2001. 46 Germania, Regno Unito e Svizzera sono le principali destinazioni europee, mentre gli Stati Uniti sono la destinazione preferita al di fuori dell’Europa. 3.5. La mobilità internazionale dei ricercatori italiani. Alcune conclusioni Se poniamo a confronto l’evoluzione della fuga dei laureati e scienziati italiani, nel periodo fascista ed oggi, si può notare come, nella prima circostanza come nella seconda persista un filo conduttore nel rapporto tra sistema politico, scienza e mobilità. Nel ventennio fascista lo stato manifestava l’esigenza di esercitare forme di controllo su tutto l’apparato sociale e culturale; la ricerca e le scoperte scientifiche, come tutte le altre forme espressive, dovevano confermare e diffondere un’immagine di stato autoritario forte, in grado di dominare sugli altri stati, sulla scorta di presunti fattori di superiorità etnica che si estrinsecavano anche nella ricerca scientifica. Di conseguenza, poteva esistere in Italia solo una ricerca di stato, basata su questi principi ispiratori e rigorosamente tenuta sotto controllo dal potere politico. 47 La fuga degli scienziati veniva pertanto dettata dall’esigenza dell’autonomia della scienza rispetto a qualunque forma di controllo politico. Il gruppo di Fermi ha interpretato e rappresentato l’apice di questa forma di autonomia, di libertà del pensiero e della ricerca, in una rivendicazione di indipendenza della scienza da ogni forma non scientificamente fondata di condizionamento. Si tratta di un messaggio di altissimo valore etico, oltre che professionale, affermatosi in un contesto particolarmente difficile, come quello di un regime politico autoritario in una fase di guerra. Negli ultimi cinquanta anni, l’Italia è diventata una repubblica democratica; ciò significa che il nostro sistema politico ha espressamente previsto l’inclusione nel processo educativo e formativo di fasce sociali sempre più ampie, e il prolungamento del percorso di studi per tutti i meritevoli; tuttavia, non sembra essere cresciuto un rapporto di fiducia tra lo stato democratico come istituzione e il mondo della ricerca scientifica. In un sistema globale, come quello che si è delineato dagli anni '90, altri sistemi statali hanno creato le condizioni per lo sviluppo della comunità scientifica, per l’investimento nelle infrastrutture per la ricerca, per la programmazione di sempre più ampi percorsi di crescita della scienza nella società, ben cogliendo quella funzione di volano per lo sviluppo economico e sociale svolto dalla scienza e dalla tecnica. In Italia, l’auspicato processo di istituzionalizzazione della scienza e dalla tecnologia come strumenti per la crescita economica e lo sviluppo sociale attraverso l’innovazione non ha trovato spazio all’interno del nostro modello istituzionale. Sembra importante richiamare in questa sede di conclusioni i dati sul brain drain in Italia, evidenziando che, secondo il rapporto I-com del 2011, fatte determinate ipotesi sul valore dei singoli brevetti e dei tassi di sconto, è possibile stimare un valore dell’attività degli scienziati italiani di top level operanti all’estero in 861 milioni di euro. In altri termini, per ognuno degli scienziati italiani operanti all’estero, è possibile rilevare una perdita netta per scienziato di 63 milioni30. Sembra a questo punto necessario, per il sistema politicoistituzionale avviare una riflessione per invertire questa tendenza, prendendo in considerazione tanto la centralità della ricerca come motore dello sviluppo sociale e culturale di uno Stato, quanto le istanze provenienti dal mondo economico e del lavoro, costantemente legato all’innovazione. In questi termini, ferma restando l’autonomia della ricerca scientifica rispetto al sistema politico e al mondo dell’economia, sembra 30 I-com Istituto per la competitività, La fuga all’estero dei top scientist italiani: una valutazione della perdita di valore per il sistema Italia, Roma, Mimeo, 2011. 48 importante rilevare che solo grazie alla sinergia dei tre sub-sistemi - ricerca, istituzioni, mondo della produzione - è possibile ripensare ad un modello di crescita in grado di reinserire la ricerca scientifica italiana nel ruolo propulsivo e orientante per l’Italia che le spetta. 49 BIBLIOGRAFIA S. Avveduto, Brain Drain: Emigration Flows of Qualified Scientists, in International Conference: Education, Research, Migration: The European Policy in the Context of Globalization - December 5th, 2003, http://www.uniroma1.it/internazionale/relazioni/conferenza_51203/default.htm . S. Avveduto, M. C. Brandi, E. 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