Barber shop - MUST Museo del territorio vimercatese

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Barber shop - MUST Museo del territorio vimercatese
CONCORSO LETTERARIO
RACCONTI D'ESTATE 2015
FINALISTA SEZIONE ADULTI
Barber shop
di Luisa Ciampaglia
L’insegna forse non era questa. A ben pensarci, credo che c’era su stampato il suo nome, anche
perché “barber” non appartiene a nessuna lingua. Ma io lo ricordo così.
Lui era il barbiere degli uomini della mia famiglia.
Mio figlio era un bambino piuttosto riluttante, ma se si trattava di andare a tagliare i capelli, non si
faceva pregare.
Ero io che di solito con un pizzico di civetteria partecipavo al rito.
Il negozio era grande, con delle belle poltrone in pelle, in sostanza il più moderno che si potesse
trovare qui in città. L’ambiente era accogliente ma anche un po’ austero; ed era già promiscuo.
Potevi trovare sia uomini che donne e gli stessi barbieri erano intercambiabili. Ricordo una ragazza
dal viso volitivo e il volto imbronciato che creava ottime acconciature maschili.
Lui il bambino riluttante, nonché mio figlio, trattato come un principe, veniva fatto accomodare su
un rialzo della poltrona e preparato al taglio che immancabilmente veniva eseguito da lui: il
maestro.
Quale piacere nel pensare di essere nelle mani dal più esperto. Quale gioia nel rito della cura da
parte del più bravo. Dell’assoluto nel suo campo?
E intanto che i suoi morbidi riccioli neri e lucidi di brillantina gli facevano da cornice floreale sulla
fronte, tagliava con molta perizia i capelli degli altri.
Sapevo che era anche un parrucchiere di VIP, almeno stando a ciò che si raccontava nel paese,
ma lui non ne parlava mai. Forse amava, nonostante tutto, il clima cameratesco che si respirava in
questi luoghi.
In realtà noi andavamo da lui anche per godere di quell’attimo di brivido che avevamo al momento
del pagamento.
A me piace ancora oggi, a termine di un servizio ricevuto, offrire una mancia. Mi dà il piacere della
signorilità generosa e mi piace creare una sorpresa inaspettata negli altri. Non mi chiedo mai quali
corde emotive va a toccare dentro di me questa scelta. La faccio e basta.
E quindi, al termine dell’accurato taglio e ripulitura dei capelli dispersi, noi ci avvicinavamo al banco
per pagare. Alla vista della mancia, lui alzando il tono di voce esclamava ”ragazzi!” e tutti i lavoranti
in coro rispondevano “grazie!” Era troppo bello: ci sentivamo dei gran signori.
Mano nella mano, io e il piccolo tornavamo a casa, pensando già al prossimo incontro.
Poi, vennero i tempi in cui di incontri non ce ne furono più.
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Con lo scorrere degli anni, non accompagnavo più nessuno. Barber shop non divenne neppure il
mio parrucchiere, e soprattutto cambiò quartiere.
Ma i destini degli uomini si incrociano sempre.
Ospitammo per una intera stagione un ragazzo affetto in modo virulento da una forma di artrite
reumatoide.
La montagna lo aveva forgiato. E con tutte le sue caratteristiche si portava dietro anche una
capigliatura leonina, crespa e nera. Sembrava un negro avremmo detto allora, senza paura di
essere tacciati per razzisti.
Passarono mesi di cure pesanti, a primavera ci preparammo per un incontro a metà strada con la
sua famiglia.
Era magro il ragazzo, troppo, i capelli gli incorniciavano un viso ossuto e occhi affossati. Capivo
che la bella camicia rosa che gli avevo regalato non sarebbe bastata a camuffarlo agli occhi di
coloro che lo rivedevano dopo mesi.
E così lo mandai da Barber shop. E come una crisalide che diventa farfalla, tornò da me un
ragazzo aggraziato: con corti capelli ammorbiditi da una generosa dose di crema; il nero era
diventato lucido e splendente. Il corto taglio aveva eliminato il dolore dal viso. Forse capiva che
amore, bellezza e cura di sé erano la strada per la guarigione.
Quel ragazzo di diciannove anni aveva sofferto fin troppo, e non volevo che la madre si smarrisse
ulteriormente.
Mi disse ”il barbiere mi ha chiesto se non faccio mai nulla ai miei capelli. Ho risposto di no! Tanto
sono così”. E fu così che invece scoprì che nulla è come appare. I suoi brutti capelli crespi
divennero piccole morbide pieghe.
Incontrò la sua famiglia e il pudore non permise a nessuno di parlare tanto, ma io capii che quasi
non lo riconoscevano per come era bello. Nel silenzio doloroso riprendemmo la strada del ritorno
per completare le cure.
Altre stagioni sono passate e il tempo ha forgiato le nostre vite a suo piacimento.
Oggi quel ragazzo, di nome Carmine, che cambiò per sempre il taglio dei suoi capelli, non c’è più.
Non c’è più neppure Barber shop, solo l’insegna di un grande negozio porta ancora il suo nome.
Mi piace pensare però che continua ad ammorbidire quei capelli troppo crespi, che lui trasformò in
morbida seta.
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