- Latinitas or Europa
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Latinitas or Europa: from present to past, from past to present FELTRE 1. FELTRE OGGI 2. ITINERARI E MONUMENTI 3. CENNI STORICI - Feltre antica: dalle origini al xii secolo - L’entrata nella serenissima di venezia - L’unione al regno d’italia - Dalla prima guerra mondiale ad oggi 4. LA RETE STRADALE NELL’ITALIA NORD-OCCIDENTALE 5. LA VIA CLAUDIA AUGUSTA - Il tracciatore della via - La grande importanza della via claudia augusta - Perplessità e dubbi sulla via claudia augusta 6. L’ANTICA CITTA’ DI FELTRIA 7. I RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI 8. LO SCAVO ARCHEOLOGICO DI PIAZZA DUOMO - La fase romana, dal ii al iv sec. D.C. - Gli edici medievali 1. FELTRE OGGI Foto 26 Cartina dell’odierna Feltre (26 Cartina Feltre Oggi.bmp) Feltre è una tranquilla cittadina del Veneto, in provincia di Belluno, avente antiche origini romane; essa si eleva sino a 325 m di quota sul mare e si sviluppa prevalentemente sul Colle delle Capre, alla destra del ume Piave. La sua economia, tradizionalmente basata sull’agricoltura e sull’allevamento di bovini, ha avuto di recente un impulso all’interno del comparto industriale, in particolare nei settori metalmeccanico, elettrotecnico, graco e tessile. Principali istituzioni culturali della città sono il Museo civico e la galleria d’arte moderna Carlo Rizzarda, che può avvalersi del possesso di oltre 400 ferri battuti di produzione locale e opere di Carlo Carrà, Arturo Tosi e Giovanni Fattori. Foto 15: Piazza Vittorio Emanuele innevata (15 Piazza Vittorio Emanuele innevata.jpg) Molto famoso è inoltre il Palio di Feltre, tradizione risalente sin dalla prima metà del ‘400. È proprio in questo periodo infatti che Feltre lega stabilmente la propria sorte alla Serenissima Repubblica di Venezia con una simbolica cerimonia di consegna delle chiavi della città all’ambasciatore veneziano Bartolomeo Nani. In quell’occasione si decise che ogni anno si sarebbero messi in palio 15 ducati d’oro da assegnare al vincitore dei giochi celebrati in ricordo dell’importante evento. Ancora oggi la tradizione di questo episodio rivive e, quando ogni primo ne settimana di agosto le due porte d’accesso alla cittadella, porta Imperiale e porta Oria, vengono chiuse ed i quattro “quartieri” della città, le squadre avversarie, si danno sda, il passato ripercorre le memorie ridiventando magicamente presente. Foto 24 Il palio di Feltre (24 Il palio di Feltre.jpg) 2. ITINERARI E MONUMENTI Foto 10: Veduta panoramica di Feltre (10 Veduta panoramica di Feltre.jpg) Tra le città venete, Feltre è indubbiamente una delle più pittoresche ed interessanti, anche perché la parte moderna non si sovrappone all’antica, chiusa entro le mura. Adagiata nella Vallata del Piave, Feltre è incoronata dalla splendida quinta delle Vette Feltrine. Il centro storico è arroccato sul “Colle delle Capre” dove si trovano gli edici più rappresentativi. Sotto la mole del Castello del re longobardo Aldoino si stende Piazza Vittorio Emanuele. Qui, nel corso di recenti scavi, sono emersi resti di importanti edici pubblici risalenti all’epoca romana. Foto 12: Scorcio di Piazza Vittorio Emanuele (12 Scorcio di Piazza Vittorio Emanuele.jpg) La piazza è attorniata da Palazzo Guarnirei, rifacimento segusiniano di un precedente gotico, dalla tardo cinquecentesca chiesa di San Rocco con le sottostanti fontane lombardesche, dai Palazzotti Da RomanoBovio e dal palladiano Palazzo della Ragione con la splendida loggia porticata. Quest’ultimo, nel salone d’onore, ospita il Teatro della Sena, una Fenice in miniatura opera di Gianantonio Selva. Foto 07: Teatro della Sena (07 Teatro della Sena.jpg) Nel mezzo della piazza si ergono le statue del pedagogo umanista feltrino Vittorino da Feltre, dello stampatore e letterato Panlo Castaldi e la colonna con il Leone di San Marco. Nel centro storico sono inoltre situati alcuni palazzi le cui facciate ed interni affrescati ben giusticano l’epiteto “urbs picta” attribuito alla città. Tra gli edici di culto spiccano la Chiesetta gotica della Santissima Trinità, uno dei pochissimi edici superstiti alla distruzione del 1510, la cappella della Clarisse, attigua alla chiesa di Santa Maria degli Angeli, la chiesa dell’Annunziata, la chiesa di Ognissanti, il Battistero e la Cattedrale dedicata a San Pietro Apostolo. Di particolare interesse è anche la cinta muraria quattrocentesca con il Percorso della Sentinella, camminamento di ronda da poco ripristinato. Non distante da Feltre, abbarbicato su uno sperone roccioso del Monte Miesna, si erge il santuario dei Santi Martiri Vittore e Corona, patroni della città. Foto 19: Santuario dei Santissimi Vittore e Corona (19 Santuario dei Ssimi Vittore e Corona.jpg) Fondato in posizione strategica da Giovanni da Vidor, capitano dei feltrini che parteciparono alla prima crociata, il santuario è decorato da un mirabile ciclo di affreschi e costituisce un gioiello dell’arte romanica con chiari inussi bizantini. La città è attorniata inoltre da numerose ville disseminate sulle verdeggianti colline di Tomo, Gart e Villana, le quali abitazioni fungevano un tempo da residenza estiva di famiglie patrizie locali e veneziane. Inne occorre ricordare che nel Feltrino si trovano delle aree di grande valore ambientale e naturalistico: non è quindi un caso che a Feltre abbia la sua sede il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi. 3. CENNI STORICI Feltre è una città murata del Veneto nord orientale le cui origini si perdono nella storia. Antico e importante municipio romano e ricco centro medievale, nel corso dei secoli Feltre fu più volte devastata dalle guerre e occupata dai barbari, ma sempre superbamente ricostruita. Foto 17: La città di Feltria nella rete stradale della Venetia (17 La città di Feltria nella rete stradale della Venetia.jpg) - Feltre antica: dalle origini al xii secolo Le origini della città di Feltre sono state spesso avvolte nel mito. Di certo si può affermare che l’area feltrina era abitata già nella seconda metà dell’età del Ferro. Dopo i più remoti insediamenti Paleoveneti, Feltre diventò dominio di Roma a partire dal II secolo a.C. divenendo un orente municipium appartenente alla X Regio: di questo periodo restano numerose tracce, che aforano frequenti dagli scavi periodicamente condotti. La città assunse peso strategico, economico e militare rilevante in quanto situata, in posizione di conne, sull’importante Via Claudia Augusta Altinate, che congiungeva il basso Veneto alle regioni danubiane della Germania. E fu proprio per questa sua posizione vantaggiosa che fu obbiettivo costante di frequenti invasioni barbariche: subì infatti il saccheggio di Visigoti, Alani e degli Unni di Attila, venne occupata da Odoacre e fu soggetta al dominio degli Ostrogoti di Teodorico. Dopo un ultimo saccheggio da parte dei Longobardi di Alboino, il centro della cittadina fu trasferito sul colle attuale, dove potè essere forticato e meglio difeso. Nonostante ciò cadde ugualmente sotto il dominio dei Franchi. Al termine della dominazione di questi ultimi, divenne terra dell’Impero e, alla ne del X secolo, fu posta sotto il governo di un’oligarchia di famiglie locali. Con il venir meno dell’autorità imperiale, si andò consolidando quella dei Vescovi-Conti, che acquisirono giurisdizione civile, oltre che religiosa, su un vastissimo territorio che comprendeva, con il Feltrino, anche la Valsugana ed il Primiero. Così, governata dal X al XII secolo dai Vescovi-Conti, combattè contro Federico Barbarossa a anco della lega Lombarda e quindi contro Ezzelino da Romano, che l’aveva conquistata nel 1248. Feltre fu inoltre divisa da ampie discordie con la vicina e rivale Treviso, trovandosi ben presto a dover contrastare le sue mire espansionistiche. - L’entrata nella Serenissima di Venezia Alla signoria di Ezzelino da Romano seguì quella dei Caminesi, degli Scaligeri, dei Carraresi e dei Duchi d’Austria, nché, nel 15 giugno del 1404, Feltre legò stabilmente le proprie sorti a quelle di Venezia, dalla cui Repubblica fu governata no al 1796: questo periodo di tranquillità fu provvidenziale ed assicurò alla città condizioni di pace e prosperità in cui potè orire l’Umanesimo. Ma il legame con Venezia trascinò ben presto Feltre nello scontro con la lega di Cambrai, che nel 1509 aveva cominciato ad insidiare la sicurezza della Serenissima Un esercito di 12 mila uomini guidati da Giorgio di Lichtenstein e Massimiliano I d’Asburgo prese la città dopo un breve assedio, il 3 luglio 1510, appiccandovi un incendio che, narra la tradizione, arse tre giorni devastando ogni cosa. Edici pubblici e privati vennero distrutti, la gente passata a l di spada, i superstiti fuggirono sui monti. Le lettere ufciali degli inviati veneziani indicano “ex cineribus Feltri, ex Feltro destructo”, e parlano di “Feltrum combustum et miserabile”. Faticosamente la città viene riconquistata nel 1511 dal provveditore Gritti, che diede l’avvio all’opera di ricostruzione, resa più difcile dal dilagare di un’epidemia di peste. La cosa più interessante di tutto ciò fu che, anche se in alcuni casi essa fu solo “di facciata”, la ricostruzione venne però realizzata secondo un progetto coerente ed organico che ridisegnò l’aspetto della città in modo unitario ed armonico. Uno degli aspetti più suggestivi di questa ricostruzione riguarda il parametro affrescato, interno ed esterno, che venne realizzato nella maggior parte dei palazzi. Tra i nomi legati a tale impresa particolare rilievo ha quello di Lorenzo Luzzo, famoso artista dell’epoca tornato a Feltre durante il periodo della ricostruzione, dopo essere stato a Venezia e a Roma. Per quanto riguarda l’aspetto propriamente architettonico, invece, la tradizione cita il nome di Andrea Palladio per la loggia del Palazzo della Ragione, anche se nessuna prova documentaria convalida questa notizia. - L’unione al regno d’Italia Nel 1797 i francesi occuparono la città, depredando chiese, edici pubblici e privati; alle ruberie si aggiunse lo “scalpellamento” dei Leoni di San Marco e delle numerose lapidi scolpite, in segno di spregio verso la Serenissima. Con la soppressione e chiusura di ordini religiosi e conventi fu inoltre segnata la sorte di importanti centri culturali, storici e religiosi: scomparvero infatti in questo periodo i monasteri di S. Chiara, di S. Maria del Prato e di S. Spirito, la cui ricchissima biblioteca fu devastata e dispersa. Con il trattato di Campoformio di quell’anno, Feltre, alla pari degli altri ex domini veneti, divenne dominio austriaco: Francia ed Austria si succedettero più volte al governo della città nché questa, con l’abdicazione di Napoleone Bonaparte, tornò nel 1814 sotto l’imperatore Francesco I. Dopo le guerre del Risorgimento, che fu sentito e praticato con calore, Feltre si unì al Regno d’Italia con plebiscito unanime nel 21 ottobre del 1866. Con la ne della Repubblica di Venezia e l’unione al Regno d’Italia, però, iniziò per Feltre una fase di ridimensionamento e di crisi: subì infatti un grave smembramento delle sue diocesi, che perse in favore di Trento, Valsugana e Primiero. Inoltre vi fu una netta diminuzione della popolazione e la crisi delle attività economiche: l’indebitamento raggiunse punte altissime; ma nonostante ciò l’aristocrazia continuò ad esercitare il proprio splendore nel fasto ozioso di ville suggestive e scenograche come quella dei Pasbie a Pedavena. L’800 fu anche un periodo di vasti interventi urbanistici e di impegnativi lavori pubblici per la viabilità: si costruirono scuole ed acquedotti, si restaurarono edici e si crearono nuove vie di comunicazione. - Dalla prima guerra mondiale ad oggi Durante la prima guerra mondiale, poiché era a ridosso del conne austriaco, il Feltrino divenne base austriaca di operazioni militari dal novembre 1917 al novembre 1918, periodo tristemente passato alla storia con l’appellativo di “an de la fan” (anno della fame). L’impegno profuso durante il conitto dalla popolazione civile fu premiato con la medaglia di bronzo al Valore Militare. Nuovamente occupato dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, il territorio fu importante zona operativa di formazioni partigiane. Inne, dagli anni ‘50 e ‘60 no ad oggi, Feltre si sta qualicando soprattutto come centro di proposte culturali e specializzando nell’aspetto dell’istruzione, con la conseguente apertura di un Istituto Universitario di Lingue Moderne, di diversi Musei e di una galleria d’arte. 4 LA RETE STRADALE NELL’ITALIA NORD-OCCIDENTALE La civiltà di un popolo spesso si riconosce dall’efcienza e dalla distribuzione delle strade: infatti uno Stato da sempre si costruisce, si organizza e si amministra attraverso un’efciente rete stradale. Questa affermazione vale soprattutto per gli antichi Romani. Per loro una strada era non solo un luogo di transito da un sito all’altro, ma anche un’arteria di coordinamento territoriale ed amministrativo, che coinvolgeva le più signicative attività dell’area interessata, condizionandone gli aspetti esistenti e i futuri sviluppi sotto il prolo civile, storico ed artistico. Per questo le vie romane, in generale, hanno sempre condizionato l’assetto territoriale europeo, e ciò soprattutto per le loro caratteristiche strutturali ed urbanisticoterritoriali. Foto 02: Segno della centuriazione su una strada (02 Segno della centuriazione su una strada.jpg) Esempi di questa tipologia di strada si possono individuare con grande aderenza in alcuni dei percorsi stradali romani che superavano l’arco alpino occidentale pervenutici in parte no ad oggi: tra questi i più importanti sono la via Iulia Augusta, sulla costa ligure, che passava per Ventimiglia e attraverso il conne gallico; la via che da Torino passava per la Val di Susa e il Colle del Monginevro; la via che da Milano per Ivrea raggiungeva Aosta per poi diramarsi verso il Grande e Piccolo San Bernardo ed inne la via Claudia Augusta, che attraversava Feltre. Tutte queste strade avevano carattere internazionale e furono messe in opera per volere dello stesso Augusto al ne di superare in vari punti il “muro” delle Alpi e consolidare così la loro conquista da poco avvenuta, ma soprattutto allo scopo di estendere con agilità e sicurezza il dominio romano no all’alto corso del Reno e del Danubio. Particolarmente interessanti per difcoltà, pericolosità e situazioni di transito sono gli interventi operativi lungo la via romana per il Grande e Piccolo San Bernardo, nel tratto accertato tra Ivrea e Aosta nella valle della Dora Baltea. Essi possono essere presi come esempio anche per indiretti confronti con la Via Claudia Augusta: lungo la valle abbiamo infatti un continuo susseguirsi di ponti e di soluzioni tecnologiche che potremmo denire “d’avanguardia” con costruzioni, muri di sostegno, tagli nella roccia e una galleria messi in atto allo scopo di non sollevare eccessivamente la strada e al tempo stesso di non allontanarsi troppo dal vicino ume, dando così indirette indicazioni non solo sulle straordinarie capacità ingegneristiche e del genio militare romano di età augustea, ma anche sulle modalità di conquista e di organizzazione urbana e stradale dei territori conquistati. Alla luce di queste considerazioni possiamo pertanto capire che i costruttori della nostra via alpina erano a conoscenza non solo del normale assetto stradale da mettere in opera in territori di montagna, ma anche delle modalità su come attuare un guado, un traghetto, un attraversamento di un luogo umido ed acquitrinoso attraverso i pontes longi (cioè combinando un terrapieno con strutture lignee più o meno modulari), per non parlare dei ponti di galleggianti (barche o navi), o quelli di legno o in muratura (pietra o mattoni). 5. LA VIA CLAUDIA AUGUSTA La via Claudia Augusta era un’antica strada imperiale che partendo da Altinum (Altino) giungeva ad Augusta Vindelicum (Augsburg) snodandosi per 350 miglia romane (circa 518 km) attraverso gli attuali Veneto, Trentino Alto Adige, Tirolo e Baviera. Questa inoltre fu iniziata da Druso nel 15 a.C. con le campagne militari alpine e fu completata nel 46/47 d.C. dal glio Claudio. Foto 25 Mappa del tracciato della via Claudia Augusta (25 Mappa tracciato Claudia Augusta.gif) Veicolo di comunicazione tra il mondo latino e quello germanico, la via Claudia Augusta è divenuta simbolo d’unione con le regioni mitteleuropee. Su queste basi, in questi ultimi anni, si è così sviluppata un’idea-progetto che tende a valorizzare le località dislocate lungo l’asse viario, favorendo la reciproca conoscenza e il processo di unione europea. Testimonianze indiscusse che dimostrano l’effettiva presenza nel nostro territorio di una via Claudia Augusta sono due iscrizioni su cippo cilindrico, l’uno scoperto nel 1552 forse “in situ” a Rablà, presso Parcines (un po’ più ad occidente di Merano); l’altro individuato nel 1786 a Cesiomaggiore, un centro ad una quindicina di km a nordest di Feltre. Foto 03: Stele romana di Rablà (03 Stele romana.jpg) Quest’ultimo in particolare aveva la funzione di sostegno della mensa di un altare posto nella locale chiesa di S. Maria Maggiore. Si ipotizza inoltre che il suo testo, risalente al 46 d.C., fosse in origine identico a quello di Rablà, ma che in seguito subì delle variazioni perché messo in opera più tardi, cioè agli inizi del 47 d.C.: tra queste modiche è molto rilevante quella del capolinea di partenza, indicato non più a umine Pado (il Po) come nel cippo di Rablà, ma ab Altino. Foto 27 Cippo miliare di Cesiomaggiore (28 Colonna miliare.jpg) Sul signicato di queste iscrizioni, sia per l’identica numerazione, sia per il tono generale dell’insieme, sembrano ormai non esservi più dubbi: infatti, secondo gli studiosi, non si tratta di veri e propri miliari, bensì di iscrizioni onorarie e celebrative, di chiaro valore ideologico propagandistico, a celebrazione della famiglia dei Claudii, ormai patrona della romanizzazione del settore alpino nord-orientale no al Danubio. Per quanto riguarda l’Italia settentrionale, sono proprio la Venetia e l’area interessata dalla via Claudia Augusta ad essere sentite come regioni sotto la protezione e l’attenzione della famiglia dei Claudii, perciò un’intervento pubblicitario della medesima, con Claudio imperatore, personaggio oltretutto molto attento alla viabilità, non doveva assolutamente mancare in un’area critica ed importante per l’impero come era ormai ritenuta l’Italia nord-orientale. - Il tracciatore della via L’imperatore stesso, nel testo dei due miliari rinvenuti a Rablà e a Cesomaggiore attesta che il primo tracciatore della strada fu suo padre Druso. Il riferimento è a un episodio signicativo delle cosiddette “guerre alpine” che videro impegnate le legioni di Augusto nel 15 a.C. con l’obiettivo di annettere all’impero romano i due versanti della catena delle Alpi Orientali. In quell’occasione il comando venne afdato ai gliastri del principe, Tiberio (il futuro imperatore) e il fratello Druso, secondi nella linea di successione al trono imperiale. Dai resoconti storiograci e letterari dei contemporanei possiamo apprendere le fasi e le modalità delle azioni incrociate con cui i legati dell’imperatore impostarono la campagna congiunta. Tiberio, proveniente dalle Gallie, si diresse da Basilea verso il territorio compreso tra il lago di Costanza e la valle inferiore dell’Inn, nella cosiddetta Vindelicia, no alle sorgenti del Danubio. Druso invece, provenendo dall’Illirico e utilizzando il percorso della futura via Claudia Augusta, raggiunse e occupò la cosiddetta Rezia penetrando quindi in Baviera, dove si ricongiunse con le forze del fratello. Foto 14: Ponte Lamon lungo un tratto della via Claudia Augusta (14 Ponte Lamon.jpg) Assai problematica si presentò in proposito la denizione del percorso seguito da Druso, cominciante da Altino ed avente ne a Pons Drusi, la località presso l’attuale Bolzano così nominata nella cartograa antica perché derivò da lui il proprio nome. È probabile infatti che l’esercito Drusiano, nell’intento di snidare e annullare ogni resistenza, operasse rastrellamenti a raggiera nelle vallate alpine, seguendo più di un tracciato viario. Ma per Druso il successo dell’operazione alpina non costituì che la premessa di una ben più ambiziosa impresa militare in Germania. Egli infatti, nel corso di 4 campagne dal 12 al 9 a.C., sconsse ripetutamente le tribù germaniche, costruì un canale articiale nel territorio dei Batavi, chiamato Fossa Drusiana, costeggiò con navigazione di cabotaggio il Mare del Nord, risalì il ume Elba e ottenne per i suoi brillanti successi ben due salutazioni imperatorie, gli ornamenti trionfali e il consolato. Morì fra l’ottobre e il novembre del 9 a.C., appena ventinovenne, per i postumi di una caduta da cavallo. La sua memoria, coltivata con affetto da Augusto, conobbe un parziale oscuramento al tempo del regno del fratello Tiberio il quale si appropriò in parte del merito dei suoi successi; a riscattare dall’oblio il suo ricordo e la sua gura fu il glio, l’imperatore Claudio, che non mancò di riconoscergli la primogenitura del tracciato della strada destinata ad unire Adriatico e Mitteleuropea. - La grande importanza della via Claudia Augusta La peculiarità della Claudia Augusta rispetto alle altre strade che intercettavano il centro abitato di Altino consiste nella sua lunga conservazione: se a via Annia e la via per Oderzo decaddero presto ed il loro tragitto andò perduto, la Claudia Augusta rimase invece vitale sia nel periodo della decadenza dell’Impero, sia per i lunghi secoli dell’agonia di Altino. Questa arteria infatti mantenne una vera e propria valenza in funzione dei collegamenti con Feltre e con le regioni transalpine: mai si interruppero i commerci tra le regioni politicamente diversicate. Le strade furono oggetto di trattati ed accordi, di concessioni ad aprire stazioni di scambio e luoghi di mercato tra la fascia lagunare dominata dai bizantini e l’entroterra longobardo e poi franco, tale che nell’alto medioevo la Claudia Augusta conservò tutta la tua funzione di utile tragitto negli scambi tra il commercio orientale e dei Venetici e la realtà economica e mercantile di importanti città come Feltria e Tridentum. Foto 20 Monete Romane (20 Monete Romane.jpg) Trovandosi collocata in prossimità del mare - allora la laguna non si era ancora formata, almeno nella consistenza che oggi conosciamo- Altino, che era dotata di un porto rinomato, si poneva inoltre quale anello di scambio intermodale tra i tragitti marittimi, che avevano per il celebre itinerario detto dei Septem Maria la via uviale del Sile-Piave (giacché pareva certo che un grande ramo del Piave passasse allora per il corso inferiore del Sile) e le tradizionali vie di terra che partivano a raggiera dal centro urbano. Quei segni topograci, oggi tutti ben documentati e rilevati mediante ricerca archeologica, sono attualmente ben visibili soprattutto per quando attiene alla via Claudia Augusta. A nord nell’antico insediamento Altinate, si può osservare il suo tracciato che passa in mezzo ai campi e poi si trasforma in viabilità comunale no al centro moderno di Quarto D’Altino, dove un ponte dai contorni leggendari (si favoleggiava fosse di bronzo) consentiva il passaggio in destra Sile, dove il paese di Musestre conserva tuttora vestigia storiche alto-medievali (la torre di un castello) che evidenziano la continuità storica di una funzione strategica. Sul tratto di pianura, da Altino a Falzè di Piave, si riscontra l’unanimità degli studiosi, mentre in seguito le cose si complicano per cui l’approccio alle Prealpi ed il successivo tracciato vengono individuati addirittura attraverso cinque o sei diversi percorsi. - Perplessità e dubbi sulla via Claudia Augusta Una prima questione ampiamente dibattuta riguarda l’esistenza di una Claudia Augusta “padana” e di una Claudia Augusta “Altinate”, aventi percorso distinto oppure composto da due rami unicatisi a Trento. Le varie ipotesi, com’è noto, sono state suggerite dalla menzione di due diversi punti di partenza, a Pado e ab Altino, nei due monumenti di Rablà e Cesiomaggiore che citano la strada. Pare tuttavia che sia stato ribadito in modo convincente che l’unica strada cui Claudio volle dare il suo nome vada riconosciuta in quella che, con origine ad Altino, attraversava tutta la X regio per poi superare le Alpi al passo di Resia e dirigersi quindi ad Augusta Vindelicum (Augsburg). La forte carica celebrativa presente nelle due iscrizioni depone infatti a favore della possibilità che anche il punto di partenza ricordato nel monumento di Rablà, a Pado, non abbia un signicato realistico ma simbolico: in quella sede, al conne tra Italia e Rezia, era rilevante segnalare che con le imprese di Druso era stato aperto, e con l’opera di Claudio era stato denitivamente consolidato, il collegamento tra l’arco dell’Alto Adriatico (compreso tra le foci del Po ed Altino) e i territori danubiani, raggiunti ed acquisiti dalle province Augustee e dall’impero romano. Foto 13: Ponte romano a Castel Tesino (13 Ponte romano a Castel Tesino.jpg) In tale prospettiva la via Claudia Augusta venne a costituire parte integrante di una rete articolata, che ad Altino, Feltre e Trento, aveva i tre punti di snodo principali. Nella parte orientale della regione, Altino rappresentava forse solo una tappa all’interno dei collegamenti terrestri, endolagunari e marittimi, che permettevano le più facili comunicazioni tra Aquileia e il delta del Po e quelle tra il litorale e le molteplici realtà insediative dell’entroterra. Al centro, il fulcro era dato da Feltre, dove, con la direttrice sudest-nordovest, rappresentata dalla Claudia Augusta, convergeva il prolungamento verso nord della via Aurelia tra Padova ed Asolo. Da qui poi proseguiva verso nord la strada che, riprendendo sicuramente piste precedenti, attraversava il Cadore no al passo di Monte Croce Comelico. Nella parte nord occidentale della regione, a Trento, avveniva inne l’intersezione con la strada proveniente da Ostiglia e da Verona, che collegava la valle dell’Adige col Po, e con la via Postumia, e che doveva essere attiva n dai tempi più antichi. Poco a nord di Trento, dalla Claudia Augusta si staccava la diramazione che, per il passo del Brennero, raggiungeva i paesi d’Oltralpe, percorso su cui conuì in seguito la strada di grande percorrenza che da Aquileia seguiva la valle della Drava e la Val Pusteria. In tale ottica dunque la strada di Claudio non solo veniva a sancire la denitiva integrazione della Venetia in stato romano, ma concludeva anche la stesura del complesso sistema viario che ne aveva scandito le tappe fondamentali Un secondo problema, di recente posto all’attenzione, riguarda il primo tratto della Claudia Augusta, per il quale si è sempre vista una corrispondenza col tronco stradale del “Lagozzo”, cittadina nei pressi di Altino, il cui nome si era fatto derivare da “Augusta”: la coincidenza del toponimo, con la presenza di tratti di argine stradale e col ritrovamento di vari manufatti sino all’incrocio con la Postumia sembrava infatti non lasciare dubbi sull’andamento della Claudia Augusta in direzione del Piave, superato all’altezza di Ponte della Priula. Dal punto di vista linguistico ora invece nel nome “Lagozzo” è stato riconosciuto un derivato da “lacuus” senza alcuna congiunzione con Augusta. È possibile dunque pensare anche ad una direttrice diversa per la Claudia Augusta, pur senza negare che le strutture del Lagozzo corrispondessero ad una strada antica, funzionale al controllo idraulico di un ambito di pianura a regime instabile e allo sfruttamento delle potenzialità economiche, legate alla transumanza de territori pedemontani. Se si elimina infatti il vincolo del Lagozzo appare molto più logico che la Claudia Augusta, lasciata Altino, toccasse, evitando un duplice attraversamento del Piave, Treviso (che così non restava esclusa dal circuito fondamentale del sistema stradale della X regio), Montebelluna (centro di sicura rilevanza in epoca antica) e Fener ( col punto nodale di convergenza segnalato dalla presenza di una colonna miliare), per arrivare quindi a Feltre, e proseguire poi lungo la Valsugana. In conclusione il tracciato sostenibile della Claudia Augusta in questo settore sulla scorta delle precedenti argomentazioni è questo: Altino, ponte sul Sile, Lagozzo nel comune di Roncade, guado preparato sul Piave accompagnato da un ponte ligneo presso Nervose della Battaglia, immediato incontro funzionale con una via sulla sinistra Piave (proveniente da Oderzo e diretta a Trento) per Colfosco di Susegagna dove venivano superati ben sei ponti romani. Quindi, seguendo il Bosio, la strada doveva proseguire il percorso verso Valdobbiadene e, procedendo sulla sinistra Piave, volgere subito verso Feltre passando per il suo Foro (che recenti scavi hanno individuato proprio in Piazza Maggiore, davanti al Municipio), o comunque ai piedi del colle urbano; da qui, senza girovagare pericolosamente per il sovramonte, doveva imboccare la Valsugana toccando Borgo Valsugana, notoriamente citato come suo principale centro abitato dagli itinerari antichi, e quindi raggiungere Trento. Un confronto tra tale percorso, per buona parte mantenutosi nella moderna “strada feltrina”, e i tracciati più tortuosi e costretti ad attraversare il Piave e superare valichi non agevoli, variamente ipotizzati dagli studiosi che si sono occupati del problema, non può che rendere evidente come il primo meglio corrisponda al signicato e al ruolo di una grande via quale fu la Claudia Augusta. 6. L’ANTICA CITTA’ DI FELTRIA Foto 17: La città di Feltria nella rete stradale della Venetia (17 La città di Feltria nella rete stradale della Venetia.jpg) Nell’ampia conca dominata dal prolo fusiforme del Colle delle Capre e percorsa dai torrenti Uniera e Colmeda, indiretti afuenti del Piave, la città romana di Feltria o Feltriate, non diversamente da ora, si sviluppava con andamento digradante sul versante soleggiato del colle e si estendeva quindi nella fascia pianeggiante immediatamente adiacente, contenuta fra il corso del Colmeda ad ovest e Borgo Ruga ad est. Sulla base delle attuali conoscenze, si suppone che il suo limite corresse poco oltre l’attuale via Garibaldi per risalire verso i dintorni del Duomo, e da qui al ridosso del raccordo collinare no appunto a Borgo Ruga. In quest’area testimonianze archeologiche, per ora modeste, documentano una presenza insediativa almeno dall’età del Ferro (V-IV secolo a.C.), con tracce di strutture e pochi manufatti che sembrano riportare ad un ambiente culturale composito, largamente partecipe della cultura retico-alpina, ma aperto anche a quella degli antichi Veneti, attestati lungo tutta la valle del Piave. Feltria si trovava inoltre lungo la naturale via di raccordo tra la valle del Piave e quella dell’Adige attraverso la Valsugana, in posizione quindi di cerniera tra la pianura veneta centro-orientale e l’area alpina; lo scrittore latino Plinio la ricorderà invece tra i raetica oppida (principali centri urbani delle alpi retiche) insieme a Trento e a Berua, (Nat. Hist, III, 130): “In mediterraneo regionis decimae coloniae Cremona, Brixia Cenomanorum agro, Venetorum autem Ateste et oppida Acelum, Patavium, Opitergium, Belunum, Vicetia. Mantua Tuscorum trans Padum sola reliqua. Venetos Troiana stirpe ortos auctor est Cato, Cenomanes iuxta Massiliam habitasse in Volcis. Feltrini et Tridentini et Beruenses Raetica oppida, Raetorum et Euganeorum Verona, Iulienses Carnorum. dein, quos scrupulosius dicere non attineat, Alutrenses, Asseriates, Flamonienses Vanienses et alii cognomine Carici, Foroiulienses cognomine Transpadani, Foretani, Nedinates, Quarqueni, Tarvisani, Togienses, Varvari”. Ciò è testimonianza che nel I sec. d.C., quando egli scriveva, era ancora chiara la consapevolezza della stretta connessione del nucleo preromano con l’ambito alpino, in particolare quello trentino. Dopo un lento processo di romanizzazione di cui abbiamo scarsi riscontri archeologici e dopo la concessione del diritto di cittadinanza romana alle comunità dell’Italia a nord del Po tra il 49 e il 42 a.C., l’antico centro divenne municipium, cioè città con amministrazione locale autonoma, propri magistrati e un territorio da gestire, e fu ascritto alla tribu Menenia. Dopo questo fatto, il suo territorio arriverà a comprendere anche gran parte della Valsugana con le alture alpine a nord no alla catena del Lagorai, dove possiamo trovare ancora oggi, in val Cadin, un’iscrizione incisa nella roccia del monte Pergol che dice “Finis inter Tridentinos et Feltrinos limes latus pedes quattruor”, e segna il conne tra Trentini e Feltrini. Il centro si manterrà orido ed importante no all’età tardo-antica, sede di associazioni professionali di rilievo come quelle dei fabri (addetti alla lavorazione dei metalli), dei centonarii (addetti al riciclaggio di vesti usate e scarti della lavorazione della lana, con cui realizzavano sia coperte, centones, che venivano utilizzate anche per spegnere il fuoco in caso di incendio, sia indumenti per la parte della popolazione meno abbiente), dei dendrophori (associazione a cui appartenevano boscaioli, artigiani, mercanti e trasportatori di legname), e di magistrature di prestigio quali i quattuorviri iure dicundo, i praefecti iure dicendo, gli adlecti erario ed i decuriones, come testimoniato da diverse epigra pervenuteci. I membri di tali associazioni - una sorta di industriali del tempo - gestivano aspetti importanti della vita economica della città, tra i quali appunto il commercio del legname, che giungeva per uitazione no alla pianura, al quale era legata l’attività dei dendrophori, o quello della lavorazione delle stoffe e della produzione di vestiti e coperte , attività dei centonarii. La produzione dei tessuti era talaltro strettamente collegata con l’allevamento e quindi con la grande risorsa che doveva essere costituita dai pascoli: ed è probabile che a controversie con i Trentini proprio sull’utilizzo dei pascoli d’alta quota fosse legata la presenza dell’iscrizione del monte Pergol di cui abbiamo parlato in precedenza, che segnava esattamente i conni dei due municipia in quella zona impervia. Sempre alla lavorazione dei tessuti - e in particolare alle operazioni di lavaggio e di coloritura che venivano effettuate nelle lavanderie e tintorie (fullonicae) - sembrano anche da riferire le laminette in piombo iscritte in latino corsivo rinvenute negli scavi di Piazza del Duomo, che, come in più di un caso documentato sia in Italia che in altre regioni, si ritiene fossero targhette con nomi di persone ed indicazioni (colore, tipologia, numero di capi) verosimilmente relative alle stoffe o ai capi di tessuto a cui venivano applicate. Una buona rete di comunicazioni, sia viarie che uviali, potenziò ulteriormente lo sviluppo della città romana: essa si trovava infatti sul percorso della via Claudia Augusta, il grande asse che da Altino, risalendo il Piave, procedeva per la Valsugana verso Trento e quindi verso nord. Altri percorsi stradali collegavano l’antico centro con Belunum (Belluno), e quindi con il Bellunese settentrionale, e con Acelum (Asolo), mentre il tragitto della via Opitergium-Tridentum (Oderzo-Trento), riportato dall’Itinerarium Antonimi, attesta Feltria come tappa posta a 56 miglia (= 83 km circa) da Opitergium. Le vie uviali, inne, erano costituite dai corsi del Piave e del Brenta, che offrivano un’ulteriore possibilità di trafci di merci speciche con la pianura ed integravano questo sistema di comunicazioni,. Anche l’assetto planimetrico dell’antica Feltria si sta via via ricomponendo nella sua articolazione: questa è molto particolare perché si presenta adattata all’originaria morfologia dell’area insediativa, il versante meridionale del colle, anche se questo non si prestava alla realizzazione di un impianto ortogonale. L’area, come nella situazione attuale, doveva essere attraversata da vie di percorrenza longitudinale con raccordi trasversali integrati da scalinate. Lungo queste strade si sviluppava un’edilizia abitativa con case disposte su piani digradanti, o meglio terrazzamenti, il cui standard qualitativo è difcilmente determinabile, allo stato attuale, per la generale non buona conservazione dei resti. Sappiamo inoltre che la necropoli principale di Feltria si trovava nell’area dell’odierno cimitero e che l’importanza di quest’ultima derivava dall’essere lungo la via che si dirigeva ad occidente, con successive diramazioni: verso Serèn del Grappa e il Piave, verso il Vicentino e inne verso il Trentino, attraversando la Val Sugana. Inne si è venuti a conoscenza che l’acquedotto romano di Feltria riceveva l’acqua da una sorgente poco più a nord e doveva avere la pressione sufciente per portare l’acqua no alla città alta, dove probabilmente era situato il serbatoio da cui si diramavano le condutture destinate ad alimentare fontane, edici pubblici (terme) e ricche domus private. Numerose sono invece le testimonianze di edilizia privata, che attestano più fasi di vita del centro urbano. Foto 22 Resti di edici di edilizia privata (22 Resti di edici di edilizia privata.jpg) Esse si trovano sia sul versante collinare, sia soprattutto fra porta Imperiale e i dintorni del Duomo, dove si può cogliere un frammento di quello che doveva essere un quartiere di Feltria tra il II ed il IV sec. d.C. Qui infatti correvano con andamento grosso modo est-ovest la via basolata provvista di marciapiedi messa in luce sotto piazza Duomo ed una seconda una seconda strada che si staccava dalla prima procedendo verso sud. Di fronte alla convergenza delle due strade si apriva verso la pendice collinare uno slargo lastricato in pendenza, da cui prendeva l’avvio una scalinata che doveva servire a superare più velocemente, come accade anche nella città attuale, un tratto di dislivello dell’impianto urbano che risaliva verso il monte. Soprattutto in questa zona, che pare aver rivestito nell’organizzazione urbana un ruolo di tipo residenziale-commerciale, è documentata l’esistenza di abitazioni di buon livello, spesso con resti di pavimentazione a mosaico ed intonaci affrescati, e talora con impianto di riscaldamento ad ipocausto. Foto 18: Centro Storico - Particolare di casa con affresco (18 Centro Storico - Particolare di casa - affresco.jpg) Questi ritrovamenti, assieme ad altri elementi rinvenuti negli scavi, come ad esempio cinque capitelli di ottima fattura di tipo ionico-italico a volute diagonali, databili tra la ne del I sec. a.C. e gli inizi del I sec. d.C., concorrono a ricostruire il quadro di una piccola città ricca e dalla vita orente, che sembra archeologicamente documentata no alla ne del IV e gli inizi del V sec. d.C. quando già, a causa dei pericoli delle invasioni barbariche, la posizione strategica doveva averne aumentato il peso politico ed economico. Foto 04: Capitello (04 Capitello.jpg) 7. I RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI In un clima economico relativamente orente che le testimonianze archeologiche documentano tale no alla ne del IV secolo d.C., i programmi di edilizia pubblica di Feltria non dovevano essere modesti. Nulla se ne conosceva no ai rinvenimenti effettuati in tempi recenti in Piazza Maggiore, presso la sommità del colle. Qui, dopo l’accertamento dell’esistenza di un grande spazio lastricato a poca profondità rispetto alla platea attuale della piazza, alcuni sondaggi condotti in occasione della sistemazione della piazza stessa nel 1997/1998 hanno rivelato l’esistenza di un insieme di strutture che, in attesa di ulteriori ritrovamenti, si ritiene probabile che possano essere attribuite al complesso del Foro, il centro politico e religioso della città romana. Tali strutture si articolano essenzialmente in rapporto a due spazi lastricati che, posti ad un dislivello di circa 2,50 m fra di loro (a quota inferiore si trova quello ampio 1000 mq, situato più a nord) , dovevano essere raccordati da un edicio stretto ed allungato. Un elegante podio modanato, che si erge sul lastricato inferiore, reggeva con ogni probabilità il prospetto di questo edicio, rivolto verso la sommità del colle, mentre un’altra costruzione, forse un portico di cui ci rimangono solamente le murature di fondazione, concludeva lo sviluppo del complesso verso il lato opposto, poco più a monte dell’attuale tracciato di via Mezzaterra. Se è valida l’ipotesi che si tratti effettivamente del Foro, con gli edici pubblici ad esso afferenti, non sembrerebbe improbabile che il capitolium, cioè il tempio principale della città, fosse ubicato più o meno in corrispondenza dell’attuale chiesa di San Rocco in Piazza Maggiore, in posizione dominante, a scenograca conclusione sulla sommità del colle dell’impianto urbano dell’antica Feltria. 8. LO SCAVO ARCHEOLOGICO DI PIAZZA DUOMO Foto 28 Scavi archeologici sotto Piazza Duomo (28 Duomo1.jpg) L’indagine archeologica nella piazza del Duomo fu iniziata nell’autunno del 1970 con l’intento di scoprire i resti antichi lì esistenti, in particolare quelli pertinenti al battistero, già individuato nel 1926 in occasione di lavori di sistemazione della piazza. Nel corso di tre successive campagne di scavo condotte dal 1970 al 1972 furono messe in luce buona parte delle strutture attualmente in vista; ulteriori accertamenti furono effettuati nel 1976 dopo il ritrovamento di una grande statua marmorea di Asclepio presso il limite sudorientale del cantiere. Foto 05: Statua di Esculapio o Asclepio (05 Statua di Esculapio.jpg) L’importanza del complesso rinvenuto pose il problema della sua valorizzazione e quindi della realizzazione di una struttura di copertura che, una volta ripristinata la piazza, consentisse anche l’utilizzo della sottostante area archeologica. In concomitanza con l’avvio dei lavori del relativo progetto, che furono iniziati nel 1983, venne quindi ripreso anche lo scavo per effettuare l’ampliamento del perimetro del cantiere (che ebbe uno sviluppo totale di circa 1000 mq) e gli approfondimenti necessari per l’esecuzione delle opere in cemento armato: interventi questi che consentirono l’indagine stratigraca della sequenza archeologica, con veriche sulle strutture già messe in luce in rapporto anche alla cronologia dell’intero complesso. Foto 09: Scavo sotterraneo del Duomo (09 Scavo sotterraneo del Duomo.jpg) Complesso che in un frammento di spazio urbano sintetizza le testimonianze della storia di Feltre dalle prime fasi insediative, solo individuate in alcuni approfondimenti, alla tarda età medievale, e quindi, con l’uso cimiteriale dell’area, no all’età moderna, in una sovrapposizione di stratigrae e strutture che coprono un arco cronologico di circa 2000 anni. Le opere di costruzione furono concluse dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto nel 1987. I successivi lavori di restauro dei resti antichi fornirono la possibilità di effettuare ulteriori veriche archeologiche dei dati già acquisiti. - La fase romana, dal ii al iv sec. D.C. Le strutture romane attualmente a vista appartengono a una porzione di un quartiere urbano di Feltria, e sono per la maggior parte riferibili alla fase edilizia che sembra corrispondere al periodo più orente della città antica, presumibilmente tra il II e il IV sec. d.C. L’asse portante dell’organizzazione planimetrica è una strada basolata, con orientamento est-ovest, raccordata ad uno slargo lastricato, in salita, da cui partiva verso la pendice collinare una scala. In direzione opposta si staccava un altro percorso viario, ancheggiato verso ovest da un edicio, probabilmente un’abitazione, caratterizzata dalla presenza di intonaci decorati ed alcuni ambienti pavimentati a mosaico: ne resta ancora visibile una piccola parte. Foto 16: Esempio di pavimento romano in mosaico (16 Pavimento romano.jpg) Nella zona centrale all’incrocio tra le due vie si sviluppava una grande costruzione e, adiacente ad essa, una struttura isolata: ma di questi due particolari edici parleremo più avanti. Sul lato opposto, affacciati alla via principale, vi sono alcuni ambienti interpretati come botteghe. Una apparteneva ad una costruzione articolata su livelli diversi a ridosso della pendice collinare, con destinazione residenziale al livello superiore; ne resta a vista parte di un vano con pavimento a mosaico. Presso il margine orientale dello scavo, inne, un lungo muro, con orientamento leggermente obliquo rispetto all’impianto, delimitava un piano lastricato, più elevato di quota, che si estendeva al di sotto della chiesa attuale. Non se ne conosce la funzione, anche se la sua posizione, in rapporto all’ubicazione della chiesa nei suoi primi e non noti sviluppi è da considerare, soprattutto in epoca tardo-romana, di particolare interesse. La grande costruzione della zona centrale, solo parzialmente messa in luce è costituita da ambienti di notevoli dimensioni, con sviluppo assiale (nord-sud) ed accesso dalla strada principale. Il primo ambiente ha un ricco pavimento a quadri di marmo bianco e grigio scuro posti a scacchiera e tracce su di esso di sei basi quadrangolari, probabilmente statue disposte a coppie a ridosso di tre dei muri perimetrali. Foto 21 Ipotesi di ricostruzione dell’ambiente con pavimento in riquadri marmorei sotto il Duomo (21 Ipotesi di ricostruzione.jpg) Due porte simmetriche, aperte nella parete opposta a quella dell’ingresso, conducevano al secondo ambiente, più ampio, pavimentato in mosaico a tessere bianche e cornice a fascetta in tessere nere da questo si accedeva, attraverso un portale di quasi due metri di ampiezza, ad un terzo ambiente, che proseguiva oltre i limiti dello scavo e che doveva costituire una corte lastricata, ancheggiata da portici. Intonaci accuratamente affrescati, di cui si sono rinvenuti molti frammenti, dovevano decorare le pareti di tutti gli ambienti. In un momento tardo dell’utilizzo delle strutture, le due porte simmetriche del primo vano e il portale di accesso alla corte lastricata vennero tamponati e gli ambienti ebbero una diversa organizzazione, con ingressi indipendenti. Anche se solo parzialmente messa in luce, questa costruzione si distingue per alcuni caratteri peculiari che non ne consentono un’immediata identicazione con qualcuna delle tipologie usuali dell’edilizia privata o pubblica del tempo. Un’ipotesi è che il complesso, a cui forse è da riferire la grande statua di Asclepio (o Esculapio) rinvenuta non più nella sua postazione originaria all’interno dello scavo, costituisse la ricca sede (schola) di alcune delle associazioni professionali di cui si è già parlato in precedenza, cioè di dendrophori, centonarii e fabri, la cui esistenza è documentata da due basi scritte recuperate proprio in quest’area nel corso di scavi effettuati in passato. Foto 06: Tavole che attestano l’esistenza di una schola nell’antica Feltria (06 Tavole documentazione schola.jpg) La costruzione adiacente, sulla quale successivamente si impostò il battistero, era costituita da una grande aula aperta sulla via principale e separata dall’edicio n qui esaminato da uno stretto vicolo. Qui, sotto il piano pavimentale in “battuto di malta con cocciopesto”, resta a vista, per un breve tratto, un impianto di riscaldamenti ad ipocausto, ovvero con piccole volte sorrette da pilastrini: questi consentivano il passaggio dell’aria calda fuoriuscente dall’imboccatura del forno di combustione (praefurnium) sotto il pavimento. Purtroppo non vi sono, per ora, dati sufcienti per un’ipotesi interpretativa sulla destinazione d’uso di questa struttura. - Gli edici medievali Dopo il crollo dell’impianto romano è documentata nell’area una continuità insediativi, seppur in forme modeste, con un progressivo innalzamento delle quote d’uso che determinò un interro notevole delle rovine della città antica. In un momento successivo, forse tra l’VIII e il IX sec., la zona fu occupata da una grande costruzione che si impostò con orientamento obliquo rispetto all’impianto precedente e con sviluppo in estensione in un’area ampia oltre i limiti dello scavo. L’edicio di cui viene qui proposta, sulla base dei pochi tratti rilevati, un’ipotesi di ricostruzione planimetrica ancora in corso di elaborazione, era costituito da ambienti disposti in corpi stretti ed allungati, articolati a quanto pare attorno ad un’ampia corte. La tipologia, le dimensioni e la qualità della costruzione, di cui resta conservato a vista un tratto dell’ala settentrionale, ne sottolineano l’importanza e - considerata anche la collocazione rispetto alla Cattedrale - giusticano l’ipotesi di una sua stretta connessione con il più antico complesso episcopale. Successivamente all’edicio appena descritto, e in corrispondenza di una parte dello stesso, si impostò il battistero, che della sua struttura precedente conserva nella zona centrale, sotto la quota del piano pavimentale, due tratti murari rasati a livello di fondazione. Foto 23 Il Battistero (23 Il Battistero.jpg) Il battistero è a pianta circolare, con abside a ferro di cavallo ad ovest e ingresso ad est. Sette pilastri, impostati sopra un anello murario di fondazione tramite grandi lastre romane di reimpiego, delimitavano il deambulatorio; lo spazio centrale era occupato originariamente da una vasca battesimale di forma poligonale individuata nel 1926. In quell’occasione ne furono asportate le lastre di rivestimento, che successivamente andarono perdute; resta, come unica documentazione, una foto dell’epoca mal leggibile. La costruzione conserva ancora la soglia, a poco più di un metro di profondità rispetto a quella del Duomo attuale, un piccolo tratto di piano pavimentale in pietra presso uno dei pilastri e, in due tratti del muro perimetrali, resti di intonaco bianco. La copertura doveva essere a volta. La robustezza dei pilastri e il rapporto delle proporzioni dimensionali non fanno escludere un’ipotesi ricostruttiva che preveda la presenza di un secondo piano con galleria. Argomentazione stratigrache e caratteristiche costruttive concorderebbero per una collocazione cronologica del battistero in piena età medievale (XI - XII sec.), epoca in cui, anche per suggestioni derivanti dalla chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme, questa tipologia di edicio ad impianto circolare trovò un certo riscontro.