2. Socrate, Platone, Aristotele.pptx

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Casa di Cultura Popolare – Società generale di mutuo soccorso – Vicenza 2. SOCRATE, PLATONE, ARISTOTELE Corso di Filosofia “0” Socrate •  Socrate è un filosofo del V sec. a. C.. •  Vive e opera da filosofo ad Atene. •  Non ha scriLo nulla: la scriLura anziché chiarire le idee le offusca, la scriLura indebolisce la memoria, non è amica della conoscenza. •  Socrate fu maestro di Platone e questo di Aristotele. Socrate •  Ha rivoluzionato (non solo lui, però) il modo di fare filosofia. •  Con i filosofi a lui contemporanei, i cosiddeV SofisW, ha spostato l’aLenzione dell’indagine filosofica dalla natura all’uomo. •  Socrate non si pone domande intorno al principio del tuLo, ma intorno alla vita, all’esistenza umana e al modo di renderla migliore. Socrate interpreta il “conosci te stesso” pronunciato dall’oracolo di Delfi come imperaWvo a sondare la natura umana, i suoi limiW, ma anche la sua perfezione (aretè). Socrate •  Il suo insegnamento potrebbe essere riassunto in questa frase: prendiW cura della tua anima. •  Cosa significa prendersi cura della propria anima? Socrate O Ci*adini ateniesi, vi sono grato e vi voglio bene; però ubbidirò più al Dio che non a voi; e finché abbia fiato e sia in grado di farlo, io non sme*erò di filosofare, di esortarvi e di farvi capire, sempre, chiunque di voi incontri, dicendogli quel Apo di cose che sono solito dire, e cioè questo: “oDmo uomo, dal momento che sei ateniese, ci*adino della ci*à più grande e più famosa per sapienza e potenza, non A vergogni di occuparA delle ricchezze per guadagnarne il più possibile e della fama e dell’onore, e invece non A occupi e non A dai pensiero della saggezza, della verità e della tua anima, in modo tale che divenA il più possibile buona?” Platone, Apologia di Socrate, 29D Socrate •  Prendersi cura della propria anima significa innanzituLo soLrarsi a ciò che inganna, a ciò che è effimero: i beni materiali sono importanW ma non cosWtuiscono l’essenza della natura umana. Così come gli onori, perché si può essere consideraW degni e onorevoli dagli altri e comportarsi in modo disonorevole in privato. Socrate •  Chiedersi cos’è l’essenza di qualcosa, porsi la domanda A esL?, che cos’è? significa far emergere solamente gli elemenW, le caraLerisWche, le qualità senza le quali la cosa di cui cerchiamo l’essenza non è più la tal cosa. •  Immaginiamo degli esempi (chiediamoci qual è l’essenza dell’uomo, dell’albero, della sedia). Socrate •  Per perfezionare la risposta non basta essere da soli, in una stanza, con un libro davanW. È indispensabile essere insieme agli altri, dialogare con gli altri. •  Socrate era solito affermare “l’unica cosa che veramente so è di non sapere”; andava poi alla ricerca di chi potesse aiutarlo nelle sue ricerche, e arrivava a mostrare come la presunzione di sapere (dei suoi interlocutori) poteva essere smascherata solo aLraverso il dialogo. Socrate •  Socrate guidava i suoi interlocutori, e anche i suoi allievi, nel ragionamento, aiutandoli a partorire qualcosa di vero. •  Si traLa dell’arte maieuWca, quella della levatrice e dell’ostetrica. Socrate non partorisce ma aiuta a far partorire gli altri. •  Se la verità è un parto, dove sta la verità? Socrate •  Sta dentro di noi, coincide con la virtù, ossia con la nostra perfezione: la conoscenza. Ancor di più essa coincide con la ricerca conWnua, aLraverso il dialogo e il confronto. •  L’altro, con cui si instaura il dialogo, ci aiuta a guardare dentro di noi (“conosci te stesso”), a far emergere la conoscenza, come se essa fosse già scriLa nella nostra anima in un linguaggio che impariamo ad uWlizzare un po’ alla volta, con l’esercizio. Socrate Se poi vi dicessi che il bene più grande per l’uomo è fare ogni giorno ragionamenA sulla virtù e sugli altri argomenA intorno ai quali mi avete ascoltato discutere e so*oporre ad esame me stesso e gli altri, e che una vita senza ricerche non è degna d’essere vissuta; ebbene, se vi dicessi questo, mi credereste ancora di meno. Platone, Apologia di Socrate, 38A Socrate •  Bene per Socrate è tuLo ciò che permeLe di realizzare la nostra natura. Il bene coincide quindi con la conoscenza. •  Male è tuLo ciò che ostacola questa realizzazione. Ciò significa che il male è l’assenza della conoscenza. Chi fa il male lo fa perché non sa cosa sta facendo, o non sa che cosa è bene, o pensa di farlo ingannando se stesso. (IntelleLualismo eWco, non è un complimento) Platone •  Platone, allievo di Socrate nacque nel 427 a.C., e visse in un’Atene diversa da quella in cui era vissuto il suo maestro. Non nell’Atene democraWca, ma in quella egemonizzata dal governo dei Trenta Wranni, dopo la sconfiLa con Sparta nella guerra del Peloponneso (431-­‐404 a.C.). Platone •  È anche per questo moWvo che Platone dedicherà un intero libro, il più importante che ha scriLo alla Res publica. La filosofia non solo interroga ma anche costruisce (lo Stato pensato da Platone assegna al filosofo il compito di guidare la società intera) •  Tirannia e democrazia per Platone sono forme di governo molto lontane dal governo ideale (quello aristocraWco, dei migliori, dei filosofi). Platone •  Platone ci dice che come esiste un governo ideale, così per ogni categoria o gruppo di oggeV con le stesse caraLerisWche esiste un oggeLo ideale, un modello perfeLo su cui ogni cosa parWcolare è plasmata. Platone •  Facciamo un esempio: dopo aver visto un cavallo non faccio molta faWca a definire cavalli gli animali simili, ma con caraLerisWche fisiche (altezza, colore, portamento, movimento) diverse rispeLo al primo che ho visto. Riconosco che c’è qualcosa che accomuna i cavalli. Così vale per ogni altra cosa. Questo qualcosa è per Platone un oggeLo ideale. Platone •  Ma che cos’è l’idea? È forse il conceLo di cavallo? Le cose per Platone non stanno propriamente così. Mentre per noi il conceLo è astraLo e le cose sono concrete, per Platone è tuLo l’opposto. •  Il conceLo è il vero essere, la concretezza, la pienezza dell’esistenza. Il conceLo è un oggeLo; il mondo delle cose è invece apparenza. Al di là del mutare conWnuo del mondo sensibile, c’è per Platone la stabilità e la perfezione del mondo delle idee. «Ora», seguitai, «paragona la nostra natura, per quanto concerne l'educazione e la mancanza di educazione, a un caso di questo genere. Pensa a uomini chiusi in una specie di caverna soLerranea, che abbia l'ingresso aperto alla luce per tuLa la lunghezza dell'antro; essi vi stanno fin da bambini incatenaW alle gambe e al collo, così da restare immobili e guardare solo in avanW, non potendo ruotare il capo per via della catena. Dietro di loro, alta e lontana, brilla la luce di un fuoco, e tra il fuoco e i prigionieri corre una strada in salita, lungo la quale immagina che sia stato costruito un muricciolo, come i paravenW sopra i quali i buraVnai, celaW al pubblico, meLono in scena i loro speLacoli». «Li vedo», disse. «Immagina allora degli uomini che portano lungo questo muricciolo oggeV d'ogni genere sporgenW dal margine, e statue e altre immagini in pietra e in legno delle più diverse fogge; alcuni portatori, com'è naturale, parlano, altri tacciono». «Che strana visione», esclamò, «e che strani prigionieri!». «Simili a noi», replicai: «innanzituLo credi che tali uomini abbiano visto di se stessi e dei compagni qualcos'altro che le ombre proieLate dal fuoco sulla parete della caverna di fronte a loro?» «E come potrebbero», rispose, «se sono staW costreV per tuLa la vita a tenere il capo immobile?» «E per gli oggeV trasportaW non è la stessa cosa?» «Sicuro!». «Se dunque potessero parlare tra loro, non pensi che prenderebbero per reali le cose che vedono?» «è inevitabile». «E se nel carcere ci fosse anche un'eco proveniente dalla parete opposta? Ogni volta che uno dei passanW si meLesse a parlare, non credi che essi aLribuirebbero quelle parole all'ombra che passa?» «Certo, per Zeus!». «Allora», aggiunsi, «per quesW uomini la verità non può essere altro che le ombre degli oggeV». «è del tuLo inevitabile», disse. «Considera dunque», ripresi, «come potrebbero liberarsi e guarire dalle catene e dall'ignoranza, se capitasse loro naturalmente un caso come questo: qualora un prigioniero venisse liberato e costreLo d'un traLo ad alzarsi, volgere il collo, camminare e guardare verso la luce, e nel fare tuLo ciò soffrisse e per l'abbaglio fosse incapace di scorgere quelle cose di cui prima vedeva le ombre, come credi che reagirebbe se uno gli dicesse che prima vedeva vane apparenze, mentre ora vede qualcosa di più vicino alla realtà e di più vero, perché il suo sguardo è rivolto a oggeV più reali, e inoltre, mostrandogli ciascuno degli oggeV che passano, lo costringesse con alcune domande a rispondere che cos'è? Non credi che si troverebbe in difficoltà e riterrebbe le cose viste prima più vere di quelle che gli vengono mostrate adesso?» «E di molto!», esclamò. «E se fosse costreLo a guardare proprio verso la luce, non gli farebbero male gli occhi e non fuggirebbe, voltandosi indietro verso gli oggeV che può vedere e considerandoli realmente più chiari di quelli che gli vengono mostraW?» «è così », rispose. «E se qualcuno», proseguii, «lo trascinasse a forza da lì su per la salita aspra e ripida e non lo lasciasse prima di averlo condoLo alla luce del sole, proverebbe dolore e rabbia a essere trascinato, e una volta giunto alla luce, con gli occhi accecaW dal bagliore, non potrebbe vedere neppure uno degli oggeV che ora chiamiamo veri?» «No, non potrebbe, almeno tuLo a un traLo», rispose. «Se volesse vedere gli oggeV che stanno di sopra avrebbe bisogno di abituarvisi, credo. InnanzituLo discernerebbe con la massima facilità le ombre, poi le immagini degli uomini e degli altri oggeV riflesse nell'acqua, infine le cose reali; in seguito gli sarebbe più facile osservare di noLe i corpi celesW e il cielo, alla luce delle stelle e della luna, che di giorno il sole e la luce solare». «Come no? » «Per ulWmo, credo, potrebbe contemplare il sole, non la sua immagine riflessa nell'acqua o in una superficie non propria, ma così com'è nella sua realtà e nella sua sede». «Per forza», disse. «In seguito potrebbe dedurre che è il sole a regolare le stagioni e gli anni e a governare tuLo quanto è nel mondo visibile, e he in qualche modo esso è causa di tuLo ciò che i prigionieri vedevano». «è chiaro», disse, «che dopo quelle esperienze arriverà a queste conclusioni». «E allora? Credi che lui, ricordandosi della sua prima dimora, della sapienza di laggiù e dei vecchi compagni di prigionia, non si riterrebbe fortunato per il mutamento di condizione e non avrebbe compassione di loro?» «Certamente». «E se allora si scambiavano onori, elogi e premi, riservaW a chi discernesse più acutamente gli oggeV che passavano e si ricordasse meglio quali di loro erano soliW venire per primi, quali per ulWmi e quali assieme, e in base a ciò indovinasse con la più grande abilità quello che stava per arrivare, W sembra che egli ne proverebbe desiderio e invidierebbe chi tra loro fosse onorato e potente, o si troverebbe nella condizione descriLa da Omero e vorrebbe ardentemente "lavorare a salario per un altro, pur senza risorse” e paWre qualsiasi sofferenza piuLosto che fissarsi in quelle congeLure e vivere in quel modo?» «Io penso», rispose, «che acceLerebbe di paWre ogni genere di sofferenze piuLosto che vivere in quel modo». «E considera anche questo», aggiunsi: «se quell'uomo scendesse di nuovo a sedersi al suo posto, i suoi occhi non sarebbero pieni di oscurità, arrivando all'improvviso dal sole?» «Certamente», rispose. «E se dovesse di nuovo valutare quelle ombre e gareggiare con i compagni rimasW sempre prigionieri prima che i suoi occhi, ancora deboli, si ristabiliscano, e gli occorresse non poco tempo per riacquistare l'abitudine, non farebbe ridere e non si direbbe di lui che torna dalla sua ascesa con gli occhi rovinaW e che non vale neanche la pena di provare a salire? E non ucciderebbero chi tentasse di liberarli e di condurli su, se mai potessero averlo tra le mani e ucciderlo?». «E come!», esclamò. Platone, La Repubblica Platone •  Il mondo ideale è faLo di tante idee: dagli enW matemaWci (i numeri per esempio, ma anche gli assiomi della geometria), alle idee delle cose, naturali e arWficiali, ai valori, come la bellezza e il coraggio, alle giusWzia, al bene. Platone •  Ma se le idee sono l’essere come possono essere molteplici? Il parricidio di Parmenide è ormai compiuto… Ciò che è partecipa infaV dei cosiddeV generi sommi: ogni cosa è, è idenWca a se stessa, diversa dalle altre, è in quiete o in movimento. Parmenide parlava del non essere come dell’assoluta negazione dell’essere; così tuLo ciò che non era propriamente l’essere, semplicemente non era. Ora Platone esclude che si possa parlare dell’assoluto nulla, e in questo concorda con Parmenide, ma afferma che di una parWcolare forma di non essere è essenziale poter parlare: il non essere come diverso. Platone •  Le idee per Platone sono il vero oggeLo della conoscenza: infaV non si può conoscere pienamente ciò che è apparenza, l’effimero mondo delle cose, ma soltanto ciò che è immutabile, perfeLo ed eterno. •  Solo rivolgendosi alle idee la nostra conoscenza coincide con l’“episteme”. •  Solo le idee sono in grado di fondare la nostra conoscenza. (Es. somiglianza). Platone •  Soffermiamoci un pochino sull’idea di cavallo. Essa è, ci permeLe di conoscere i cavalli e, secondo Platone, è anche la causa dell’essere dei cavalli; così vale per l’idea di uomo, per l’idea di penna, ecc. •  Possiamo immaginare l’idea di cavallo? Possiamo disegnarla? Possiamo descriverla? Nel momento in cui proviamo a immaginarla, compare nella nostra mente l’immagine di un cavallo, ma un cavallo in carne ed ossa, se così si può dire. Platone •  Se la definiamo come “quadrupede, dotato di pelo, erbivoro, ecc.” ci avviciniamo molto all’idea, ma ancora non riusciamo a coglierla nella sua interezza: possiamo allora definirla come la modalità razionale con cui costruire la definizione di un oggeLo. Un insieme di regole che ci permeLono di conceLualizzare, di definire le cose che ci circondano. Platone •  Prima si diceva che dopo aver visto un cavallo riconosco con facilità i suoi simili. La realtà sensibile, quella che mi sta di fronte, suscita in me il ricordo, la reminiscenza dell’idea di cavallo. Per mostrare la bontà della sua teoria Platone fa vedere che la conoscenza delle idee è contenuta nella nostra anima e che le cose ne suscitano il ricordo. Platone •  Nel Menone è presentata la teoria della reminiscenza. Conoscere significa ricordare. Uno schiaveLo senza istruzione riesce, guidato da una serie di domande, a uWlizzare il teorema di Pitagora. •  Questa teoria risolve il paradosso della conoscenza: come posso conoscere ciò che ignoro completamente (non potrei comprendere la sua aVnenza all’oggeLo della ricerca) e come potrei dire di produrre la conoscenza di ciò che già so? Platone •  Da dove proviene questo ricordo? Platone ce lo racconta con un mito. Il mito della biga alata contenuto nel Fedro: Questo ricordo proviene da uno degli innumerevoli viaggi compiuW dalla mia anima nella “pianura della verità”, al cospeLo delle idee. Ma questo mito richiede a chi legge un salto al di fuori del discorso razionale: si traLa di accogliere la doLrina della metempsicosi, appartenente all’Orfismo. Platone, Aristotele •  La difficoltà di spiegare il rapporto tra mondo delle idee e mondo sensibile in Platone è cosa riconosciuta dallo stesso autore (Parmenide) •  Ma sarà Aristotele a soLolineare la difficoltà di spiegare tale rapporto se le idee restano enWtà separate dal mondo sensibile. Si traLa dell’argomento del “terzo uomo”. Aristotele •  Se l’idea di uomo è “trascendente” e tuV gli uomini partecipano di tale idea per essere tali, è necessario ammeLere l’esistenza di una terza enWtà che abbia qualcosa in comune con l’idea di uomo e con gli uomini concreW. TuLavia questo “terzo uomo”, a sua volta, deve aver qualcosa in comune con l’idea; ciò richiede quindi l’esistenza di un’altra enWtà intermedia e così via all’infinito. Aristotele •  Per risolvere tale corto circuito Aristotele rivisita la teoria platonica delle idee, affermando che le idee, che lui chiama forme, sono “immanenW”, non separate cioè dalle cose sensibili. •  Secondo Aristotele gli aspeV intellegibili della realtà, non sono separaW da essa, ma contenuW in essa. Aristotele •  Aristotele è un allievo di Platone, nasce nel IV sec. a. C., e sarà ricordato anche per essere stato il maestro di Alessandro Magno, al quale insegnò i fondamenW della cultura greca. •  Fondò il Liceo, la sua scuola, pensata come luogo di ricerca e produzione di saperi che spaziano dalla filosofia, all’eWca, alla zoologia, allo studio della natura. Aristotele •  Ogni cosa materiale, per Aristotele, possiede una forma determinata che la fa essere ciò che è. Per esempio un cavallo, di carne e ossa, è un cavallo perché possiede la forma intellegibile del cavallo. Un uomo, che è sempre di carne e ossa, è tale perché possiede la forma uomo. •  La forma è l’aspeLo razionale del mondo: se la materia non fosse connessa alla forma sarebbe impossibile conoscerla. Aristotele •  Forma e materia cosWtuiscono la sostanza, la cosa, l’oggeLo. •  La sostanza, afferma Aristotele nella Metafisica, è il sostrato cui ineriscono gli accidenW, ovvero le caraLerisWche parWcolari delle cose. Una sedia, per esempio, per essere di legno, marrone, con un’ampia seduta, robusta, dentro in una stanza, deve innanzituLo essere qualcosa di determinato: una materia unita ad una forma. Aristotele •  L’essere, indipendentemente dall’oggeLo che si considera, ha quindi delle caraLerisWche generali e universali: Aristotele le chiama categorie. •  Esse sono la sostanza, la qualità, la quanWtà, il luogo, il tempo, l’essere in relazione, l’agire, il subire, il giacere. Aristotele •  Aristotele riWene, al contrario del suo maestro, che la realtà concreta non sia apparenza, ma vera realtà. Trasformazione e movimento, che per Parmenide erano illusorie e per Platone apparenza (di cui, al più si può avere una conoscenza confusa) sono caraLerisWche della realtà. •  Il cambiamento c’è perché la materia è sempre disposta ad assumere una forma: è potenzialità di essere qualcosa di determinato. La forma è invece l’aLo (un ragazzo è adulto in potenza; ma ragazzo in aLo). Aristotele •  Il divenire è quindi il passaggio da una forma depotenziata di essere, ad una forma piena: il passaggio dalla potenza all’aLo. •  Nel mutamento e nel divenire delle cose si compie la disposizione della materia di assumere una forma: non c’è un passaggio dall’essere al nulla o dal nulla all’essere, come aveva affermato Parmenide. Aristotele •  L’allievo di Platone si spinge anche a riformulare il principio di non contraddizione introdoLo dal filosofo di Elea: non è possibile che il medesimo aLributo nello stesso tempo e soLo le stesse condizioni, appartenga e non appartenga al medesimo oggeLo. •  Ma è veramente superato Parmenide? C’è qualcosa che sfugge ad Aristotele? Aristotele •  Anche Aristotele si pone la domanda intorno al principio di ogni cosa. Qual è la causa ulWma della realtà. Noi vediamo che ogni cosa ha la sua causa: formale (ha una forma), materiale (ha una materia), finale (ha uno scopo, su questo punto è necessario pensare al modo di concepire la scienza nell’anWchità), efficiente (qualcosa l’ha prodoLa). Aristotele •  Ma c’è qualcosa all’inizio della catena delle cause? Esiste una causa prima, un motore che muove tuLo? Si, per Aristotele, altrimenW non sarebbero giusWficaW i passaggi intermedi e nemmeno l’effeLo finale. •  Che caraLerisWche deve avere questo primo motore? Deve essere immobile, eterno, incausato; deve essere puro aLo, perché la potenza può cambiare forma. Deve quindi essere immateriale. E cosa c’è di immateriale? Aristotele •  Di immateriale c’è il pensiero. E che cosa conWene il pensiero? Non può contenere altro se non se stesso, perché se contenesse qualcos’altro sarebbe determinato da altro, e quindi conterrebbe delle potenzialità. •  Il motore di tuLo è quindi pensiero di pensiero: la cosa più perfeLa e alta, per Aristotele, che aLrae a sé il mondo, senza muoversi; come causa finale. TuLo tende alla perfezione della propria natura, tuLo ha in sé un frammento di quella cosmica intelligenza, ma ciò che gli si avvicina di più è l’essere umano che quel pensiero riesce a produrlo. FINE