Analisi storica e prospettica della marcia e del giudizio
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Analisi storica e prospettica della marcia e del giudizio
ANCONA – 6-7 Febbraio 2016 Convegno GGG marcia Credo che nel guardare al mondo del giudizio sia assolutamente indispensabile poter avere una visione storico/tecnica che possa permettere di collegare passato e futuro nel contesto evolutivo della disciplina e del conseguente mondo del giudizio. Pertanto ho voluto incentrare il mio intervento, nel rispetto del ruolo internazionale che ricopro in seno alla IAAF quale Presidente del Comitato marcia, ed aprire questa mia relazione introduttiva partendo da un piccolo excursus storico degli ultimi 40 anni del movimento in chiave tecnica e di giudizio, guardando quindi a presente e futuro. Ho voluto legare questo passaggio tra passato e futuro della marcia alle domande che ci si pone più frequentemente sulla natura stessa della disciplina: dove stiamo andando? E’ tutto cambiato o solamente tutto è divenuto più difficile da controllare? Servono nuove strategie e tecnologie adeguate? Guardare indietro ha un senso o è solo nostalgia? Domande che, credo, richiedono risposte adeguate, ma soprattutto soluzioni certe, ragionate, studiate con attenzione nel rispetto di tempi che non possono comunque essere infiniti Non ho voluto utilizzare una presentazione power-point, ma semplicemente lasciare quale sottolineatura al mio intervento le immagini che vedrete sullo sfondo e che attraversano la marcia negli anni. Stili che cambiano, giudizi che si adeguano all’evoluzione tecnico-stilistica, ritmi di gara che incrementano e danno il senso dell’evolversi prestativo della specialità. Immagini fotografiche che seppure statiche aiutano a ricordare e confrontare. Inevitabile partire da una considerazione che in occasione di questo incontro è giusto evidenziare: ogni volta che un evento internazionale ci interroga su dove stia andando la marcia e quale legame mantiene con il passato le polemiche, le tesi più diverse, i dibattiti si aprono a titolo personale e sui social media. Anche chi poco conosce evoluzioni e lavori fatti si sente autorizzato a giudicare, ma in fondo sono giudizi poco attenti alla reale situazione, alla storia, alla tradizione. Spesso gioca un ruolo prevalente l’emotività del momento, il giudizio personale e magari la delusione del risultato. Le analisi e gli interventi hanno invece bisogno di essere rielaborati alla luce di un’emotività meno diretta e in tempi più adeguati. Chi ha avuto la fortuna negli ultimi decenni di mai staccare il contatto con la disciplina, e chi ha avuto la possibilità di assistere dal vivo ad alcune delle grandi gare internazionali, può effettivamente rendersi conto del cambiamento a volte piuttosto evidente nel confronto con lo stesso sport di decenni prima – la discussione e le riflessioni naturalmente ci porteranno a confrontarci sulla positività o meno di questo cambiamento -, e capire che questa evoluzione ha un percorso storico innegabile, ma non certo causa di un totale stravolgimento. Come prima cosa è giusto non dimenticare la globalizzazione del mondo sportivo. Se sino all’inizio degli anni ’70 la marcia era prevalentemente Europea e per piccole parti fuori Europa rappresentata da Paesi di influenza britannica, con l’Olimpiade di Città del Messico diviene terra di grande interesse per i paesi Centro-Americani, Messico in testa. La difficoltà del controllo della sua evoluzione, data dall’allargarsi dei territori interessati alla disciplina, e la maggior difficoltà a far circolare rapidamente e bene idee, aspetti di tradizione, comprensione della disciplina etc… sono divenuti sempre più complessi. La prima grande rivoluzione tecnica avviene però qualche anno prima delle Olimpiadi Messicane con i Tedeschi dell’est, che portano la marcia a passo aperto, con ricerca di un contatto molto avanzato rispetto al baricentro e conseguente mantenimento molto basso del piano del bacino e spesso con un bloccaggio scarso o ritardato rispetto ad oggi (la regola del bloccaggio più o meno come la conosciamo oggi è solo degli inizi degli anni ‘70), ad un gesto fatto di maggior rapidità, con una forte riduzione del passo ed un appoggio che si avvicina notevolmente al baricentro, il bacino è mantenuto alto al fine di poter sfruttare al meglio il gesto dinamico (qualcuno chiamerà, a mio avviso erroneamente, quel tipo di azione “trazione”). I Sovietici, che da sempre hanno rappresentato un’isola a se stante dovuta al loro isolamento, hanno mantenuto nel tempo, perlomeno sino agli inizi degli anni ’90, un contesto tecnico più tradizionale rappresentando per decenni un punto di riferimento per tutti coloro che amano una certa “tradizione” nel gesto della marcia (specialmente per gli specialisti della 50 Km). I Messicani, con il prof. Hausleber, che faranno scuola per decenni, rivoluzionano ancora la tecnica rispetto alla scuola della DDR, puntando su mobilità ed agilità, forza muscolare e rapidità. Il passo è aperto, anche se meno rispetto alla vecchia scuola europea pur mantenendo però una certa vicinanza ai canoni del modello tradizionale. La più evidente diversità sta nella maggior mobilità articolare (che facilita anche un bloccaggio molto evidente) ed agilità. Nei primi anni il grande lavoro sulla mobilità, e le velocità non ancora esasperate, hanno permesso ai Messicani (i migliori interpreti del pensiero di Hausleber, come Gonzales, Colin, Bautista) di mantenere un buon equilibrio tra correttezza e prestazione. Personalmente credo che col tempo quel modello si sia molto inquinato e la ricerca prevalente della prestazione sia andata a discapito della tecnica. Ultimo grande interprete di quella scuola è stato Jefferson Perez che, specialmente negli ultimi anni di carriera, ha saputo interpretare al meglio quel modello tecnico. Dalla metà degli anni ’70, quindi con l’avvento dei Messicani e con la vittoria olimpica a Montreal di Daniel Bautista, l’evoluzione (?) è pressoché inarrestabile. Il messaggio fortemente innovativo, ma comunque legato alla tradizione nel pensiero tecnico che Hausleber aveva elaborato viene letto ed interpretato in modo sempre più liberale da parte di tantissimi atleti e scuole di pensiero. La rivoluzione messicana non produce però scossoni particolari per oltre un decennio, specialmente in Europa che rimane la culla della disciplina, e ad alto livello arrivano comunque atleti che sono un buon mix tra il gesto più antico e le nuove tendenze in fatto di dinamismo d’azione, mobilità e rapidità. Ciò anche perché in Europa il dominio della Germania Est si protrae sino alla fine degli anni ’80 mantenendosi fedele al suo modello tecnico. Perché con la fine degli anni ‘80/inizio anni ’90 molto cambia? Bisogna dire che la IAAF inizia a ricercare, certamente sotto la spinta politica della Presidenza, un interesse a globalizzare sempre più l’atletica e la specialità. Servono paesi nuovi. Ma pur non essendo ciò negativo il problema per la nostra disciplina è di tradizione, di tecnici, di giudici, di filosofia. I modelli più moderni, decisamente più rapidi nel raggiungimento di buone prestazioni, prendono il sopravvento e spesso sono letti in modo esasperato così da andare incontro anche a vere e proprie specifiche interpretazioni del gesto tecnico. Il giudizio è molto influenzato da questo allargamento mondiale, soprattutto per mancanza di tradizione, di confronto, di uniformità interpretativa. Lo attesta lo stesso panel IAAF dei giudici internazionali che in breve tempo porta il suo numero ben oltre il centinaio (pensate che oggi siamo ad una trentina, numero che potrebbe ancora essere ridotto a mio parere, garantendo per il livello internazionale dei grandi eventi la maggior uniformità interpretativa possibile), ed il fatto che per un lungo periodo a giudicare le gare di maggior prestigio come Olimpiadi e Mondiali fossero chiamati unicamente i membri del Comitato Marcia IAAF. Spesso persone non sufficientemente qualificate (per l’Italia giudicava il vice-presidente Tosi), ma soprattutto con un sistema che non era, e non è stato, in grado di dare un indirizzo al giudizio, cosa che io credo ancora oggi stiamo pagando a livello di uniformità mondiale sia nel giudizio che nel modello tecnico di riferimento, e ciò nonostante da quasi 10 anni il Race Walking Committee non perda occasione in fase di formazione di raggiungere lo scopo di una uniformità di veduta a livello mondiale. Questo fa sì che tutto diviene più difficile da mantenere ancorato al solco della tradizione. Uno dei motivi, secondo me, è da ricercarsi anche nell’impostazione tecnica a livello giovanile. Se in Europa la tendenza dei tecnici tradizionali, spesso ex marciatori di alcuni decenni prima, è stata per diversi anni ancora quella di impostare i giovani partendo dal buon gesto del camminare, di un passo classico, in molti altri paesi ha da subito il sopravvento il lavoro di agilità, di rapidità, di dinamicità (oggi anche in buona parte d’Europa). Questo permette di accorciare i tempi nella crescita dei talenti e di ottenere in fretta buone prestazioni, ma la base tecnica debole e da subito già molto esasperata porta ad un progressivo difficile controllo tecnico via via che le velocità incrementano. Uno dei motivi più frequenti che caratterizzano tecniche non proprio condivisibili è un’eccessiva rotazione nell’azione di gambe, spesso ciò è dovuto ad un’impostazione giovanile indirizzata alla ricerca di elasticità di azione (una marcia un po saltata, anche se non obbligatoriamente fuori dalle regole visti i ritmi utilizzati). Se a basse velocità ciò non porta ad un’immediata forte perdita di contatto, innalzando i ritmi e migliorando la forza (di conseguenza sfruttando un passo più ampio) diviene inevitabile che l’atleta richiami sempre più anticipatamente e sempre più verso l’alto la gamba di spinta compiendo quel tipo d’azione e “volando” sempre più. In molti atleti i difetti si evidenziano con la stanchezza via via che la gara avanza, e in conseguenza di una scarsa capacità nel controllo neuro-muscolare a causa di un apprendimento non indirizzato ad un controllo motorio lineare dell’avanzamento nel rapporto tra velocità e tecnica di marcia (specialmente nella fase di passaggio, dove è determinante che il piede si mantenga piuttosto vicino al suolo e il ginocchio non si innalzi troppo sino a superare l’allineamento tra le ginocchia delle due gambe). Certamente credo non si possa dimenticare che gli scandali che hanno in questi anni coinvolto l’atletica non hanno fatto male solo alla nostra immagine, ma hanno accentuato queste difficoltà. Il raggiungimento di certi risultati “aiutati”, hanno portato tutti a ricercare prestazioni sempre più elevate dal punto di vista cronometrico. La tecnica ne ha quindi obbligatoriamente risentito. Il giudizio, di fronte ad un numero sempre più grande di atleti così impostati allarga l’ottica di interpretazione delle regole, la tecnica più diffusa (anche perché non circoscritta per tempo e questa è colpa del sistema), che potremmo chiamare meno legata alla tradizione, e che diviene largamente utilizzata, influenza e a volte destabilizza l’uniformità nel giudicare. Oggi, io credo, diviene quindi sempre più importante poter avere aggiornamenti costanti per i giudici. Un confronto continuo, serio e rispettoso tra tecnici e giudici. Lavorare, come cerchiamo di fare a livello internazionale, per trovare punti di incontro chiari sui metri di giudizio, oppure interrogandoci e confrontandoci su sistemi che possano aiutare a dare maggior oggettività al giudizio riducendo la soggettività dello stesso. Strada che tutti noi sappiamo non facile perché spesso sfocia nell’ipocrisia di critiche a tutto ciò che non va a toccare il proprio lavoro, per cui si è portati a criticare il mondo e assolvere se stessi. Qui si apre il dibattito: Ma questa marcia è tutta da buttare? Leggendo diversi commenti si sarebbe portati a dire di sì, ma in effetti sono commenti che spesso si basano su una visione televisiva o cinematica degli eventi. Il giudizio viene filtrato attraverso solw-motion o fermi immagine e pochi, veramente pochi di coloro che commentano hanno mai visto dal vivo questi atleti. Certamente il livellamento verso alte prestazioni (non sempre tecnicamente convincenti) di tanti marciatori non agevola un confronto tecnico semplice. Dare però tutte le responsabilità ai giudici è poco corretto. Vi è l’ambizione del risultato che spesso porta oltre le regole il rischio. Una non sempre attenta gestione dell’aspetto tecnico: a volte prevale l’allenamento organico su quello tecnico e in una specialità come la marcia ciò non è positivo. In molti casi il problema della esasperata ricerca di risultato porta atleti non preparati adeguatamente dal punto di vista tecnico, ma certamente forti dal punto di vista organico, a tenere per lunghi tratti o per tutta la gara posizioni di testa. La testa di una gara deve essere giudicata con forza e con il mai venuto meno principio che il riferimento è la regola e l’applicazione è la tutela di chi marcia meglio. Attendere tempi lunghi nell’assumere una decisione può portare a falsare molto la gara e aumentare la difficoltà tecnica degli atleti in gara e dei giudici a bordo strada, oltreché l’incomprensione ed insoddisfazione in chi è squalificato. Bisogna però anche dire che tanti sono stati e sono ancora gli esempi di marciatori capaci di compiere gesti tecnici belli e sostanzialmente corretti (non amo il termine accettabili perché starebbe a significare che ci vedo l’errore ma lo considero giustificabile, o ancor peggio lo giustifico per incertezza). Certamente, come detto, il crescere del numero di prestazioni elevatissime ha anche aumentato il numero di coloro che usano una tecnica meno consona e tradizionale. Vorrei quindi sottolineare come oggi serve, e lo spiegherò tra poco, rigore nel giudizio. Un rigore che nasce da delle certezze e che non può non avere nella continua formazione e professionalizzazione il suo centro. Ecco perché quanto oggi si realizza qui ad Ancona è molto importante. Cari amici giudici, non sottovalutate l’importanza di questi momenti di confronto e formazione, sono il bagaglio indispensabile per operare bene, così come lo è il poter giudicare od assistere al maggior numero di gare – e di livelli diversi – nel corso dell’anno. Una sempre maggiore conoscenza, e un elevare le certezze rispetto a questa conoscenza, permette anche al giudice di acquisire più personalità e sicurezza. Qual’è allora, alla luce della domanda precedente, ossia dove sta andando la specialità, la marcia che si vorrebbe vedere e come si vorrebbe fosse giudicata? Indubbiamente una marcia che aiuti a comprendere, pur se a velocità elevate e con una qualità atletica sempre maggiore, che il gesto tecnico che l’atleta compie mantiene l’identità di un gesto sportivo caratterizzato da un’evidente radice con la biomeccanica del cammino. Un procedere lineare, con un’escursione verso l’alto limitata, una buona spinta posteriore indirizzata ad avanzare gli arti in modo il più possibile radente con il suolo. Direi che non è quindi la velocità il limite assoluto (certamente la velocità ha la sua importanza e la sua difficoltà ad essere governata in questo contesto), ma la capacità del marciatore di mantenere un corretto equilibrio tra la velocità e il controllo del movimento per produrre un gesto corretto. La parte tecnica di questo incontro credo che aiuterà ancor meglio a capire e individuare un modello o modelli tecnici adeguati e a cui riferirsi. Se la fase di volo è l’argomento che maggiormente è al centro delle discussioni, ed anche giustamente visto che è l’aspetto che più può avvantaggiare un atleta rispetto ad un altro, le nostre regole hanno due punti sui quali il giudice è chiamato ad intervenire: per l’appunto la sospensione e poi il bloccaggio del ginocchio. Per tutti naturalmente il bloccaggio è l’aspetto più facile da giudicare. Un ginocchio sbloccato é fortemente segno di una marcia non in linea con il regolamento; la sospensione, più difficile da individuare con certezza, é quindi il punto di maggiore difficoltà nell’assumere le decisioni. Vedo però spesso un uso troppo sbilanciato (specialmente nelle gare corte e veloci) di segnalazioni per sbloccaggio rispetto alla sospensione. L’impressione (e non me ne vogliate) spesso è che di fronte a qualcosa che non convince, che sembra non andare bene, si usa la paletta dello sbloccaggio. Mi rifaccio a quanto ho detto poco fa: la formazione aiuta la certezza del giudizio e per questo motivo è molto importante che il giudice assuma una decisione chiara, netta e sicura anche quando va ad indicare uno dei due errori. Ciò aiuta anche atleti e tecnici a capire. Il giudizio umano, che implica sensibilità personale, esperienza, capacità visiva, conoscenza tecnica è però obiettivamente soggettivo. Non può coincidere al 100% tra i vari componenti la giuria. E’ una sciocchezza quando in passato si valutava la cosiddetta consistency, ossia l’uniformità della giuria, considerare il giudizio ideale quello in cui tutti i giudici non avevano dato squalifiche o dove si squalificava tutti, ossia il 100% di consistency. A mio parere una buona giuria la si vede dal rapporto tra ammonizioni e squalifiche, ossia dove la uniformità non si misura solo sui provvedimenti di squalifica ma anche sugli avvertimenti dati agli atleti, di cui alcuni si saranno tramutati in squalifica e altri no, e che indicano l’insieme della visione della gara da parte della giuria. Quali decisioni è quindi giusto prendere? A livello di regolamento la risposta sarebbe: solo ciò che si mantiene attinente alla regola. A livello visivo, quindi soggettivo: ciò che valutiamo possa rispettare la regola. E’ tutto ciò sufficiente od accettabile? Si presume che tutti preferirebbero un giudizio più oggettivo: si giudica la correttezza tecnica non lo stile! Quale soluzione al problema del contatto con il terreno? Pare evidente che solamente un’introduzione tecnologica può portare tutto e tutti ad essere parametrati a misure di controllo univoche, uguali per tutti. Attenti però: ciò non significa solo quanto avviene in gara. La tecnologia è in effetti un importantissimo strumento anche in fase di allenamento. Poter essere misurati e conoscere i parametri con i quali si sarà giudicati (potendosi tra l’altro giudicare da se stessi) non può che portare ad un miglioramento, e comunque ad una maggiore unificazione tecnica (perlomeno dal punto di vista dei limiti indicanti la fase di volo). Le tecnologie potranno essere molte: solette che misurano il distacco dal terreno (dove si è orientata la IAAF), sistemi esterni basati su punti di riferimento, moviole od altro, ma non vi è dubbio che è la strada per cancellare, o ridurre al minimo, ogni sorta di polemica, dando comunque al giudice un ruolo ed una figura professionale elevata, non certo sminuita dall’utilizzo di un sistema tecnologico. In ogni caso la tecnologia dovrà essere adattata anche lei. Almeno inizialmente o sino a quando la sua diffusione non sarà alla portata di tutte le gare, a tutti i livelli e per tutte le tasche. Servirà una tecnologia tarata a quello che la scienza ci dice essere il livello in cui l’occhio umano è in grado di rilevare come fuoco per due punti distinti, ossia con tempi di volo non inferiori ai 30/35 millesimi di secondo, forse anche 40 millesimi (in termini pratici significa fasi di volo che sono poco più dello sfiorare il terreno con punta e tacco). Quello che oggi ci interessa è però pensare a come la figura del giudice possa essere vista in questa prospettiva. Probabilmente nulla cambierà nell’immediato (se la tecnologia sarà introdotta), almeno dal punto di vista pratico e di educazione. Il giudice continuerà a fare il giudice valutando i due aspetti fondamentali della regola, bloccaggio e sospensione, e nei casi in cui sarà disponibile la tecnologia sarà aiutato dalla stessa per quanto riguarda il non contatto con il terreno. Ciò che può cambiare è come avvicinarci a questo. Il vero cambio è sicuramente quello che fa riferimento a questi due aspetti: 1) il confronto tra il prima ed il dopo, ossia la piena soggettività del giudizio e il confronto invece con momenti giudicati oggettivamente dal sistema tecnologico. Ciò comporta la ricerca di una maggior consistenza possibile tra i due aspetti. Sarebbe poco piacevole scoprire che la disparità (seppure comprensibile) tra il giudizio tradizionale e quello elettronico è enorme. 2) Servirà una sempre maggiore capacità di studio per portare gli aspetti teorici nel contesto pratico, maggiore allenamento attraverso il giudizio diretto e l’analisi di video e materiale cinematico e continuità di aggiornamento. A proposito del primo punto è piuttosto chiaro ciò che dovrà avvenire attraverso un sempre più elevato rigore nel giudizio. Ciò non significa che il giudizio deve divenire punitivo od ossessivo, significa che il giudizio dovrà cogliere con maggior tempismo e sicurezza l’infrazione. Il punto 2 è soggettivo. Chi più si adatterà a questa necessità di aggiornamento e qualificazione avrà maggiore opportunità di trovare un buon equilibrio tra il giudizio personale e quello tecnologico. Naturalmente ciò vale non solo per i giudici italiani ma per tutto il mondo. I cambiamenti sono globali e l’adeguamento vale per tutti. Siamo in Italia e rimaniamo quindi alla situazione italiana. Un giudizio più stringente, più rigoroso, come detto non obbligatoriamente severo nel senso di punitivo non è però un male. Aiutare tecnici ed atleti a capire e meglio interpretare il giudizio che ricevono è molto importante. Uscire all’estero e saper gestire situazioni di giudizio poco favorevoli, è meglio che trovarsi persi di fronte a giudizi più severi, e questo dipende molto dall’impostazione di giudizio a livello locale/nazionale. Inoltre è un grande vantaggio di serenità per l’atleta ed il tecnico sapere di affrontare le gare arrivando da un giudizio rigoroso ricevuto in casa propria. Questo implica un tema anche di comunicazione. Vanno superate le difficoltà di dialogo e confrontarsi è indispensabile per rasserenare il clima e permettere a tutti di lavorare al meglio. L’insieme è anche culturale, ed allora tocca a tutti i soggetti implicati, Federazioni in testa, lavorare in questa direzione. Quanto é importante a tale proposito la figura del capo settore, un filtro indispensabile nel dialogo tra tecnici e giudici. Parlando di futuro e di cultura è evidente che il tema del “Pit Lane”, ancor più della tecnologia, va un attimo inquadrato per non incorrere in preclusioni che nascono proprio e spesso dal non conoscerne le motivazioni. Molti hanno parlato in questo ultimo periodo di Pit Lane (Nicola Maggio approfondirà per voi il tema) ma spesso lo hanno fatto senza conoscere le ragioni e le motivazioni di questa introduzione. Si è criticato l’aspetto realizzativo senza conoscerne ne la filosofia ne i presupposti. In parte ciò vale anche per lo studio che si sta realizzando a livello IAAF per l’introduzione (qualora realizzabile nel pratico) della tecnologia per il controllo della perdita di contatto. I motivi da cui è partito il ragionamento, circa 4 anni fa per il Pit Lane e un anno dopo per la tecnologia, si possono sintetizzare in due aspetti: 1) La tutela e l’educazione dell’atleta nei confronti del giudizio 2) La ricerca della maggior oggettività di giudizio per la sospensione Il primo punto riguarda il fatto di permettere una crescita culturale verso la conoscenza e l’accettazione del giudizio da parte dei giovani (spesso anche dei loro tecnici) per un’introduzione a livello seniores di atleti preparati anche ad affrontare la squalifica “senza appello”, passando attraverso uno strumento che permette ai giovani di poter comunque terminare la loro gara e di ridurre od azzerare le squalifiche a livello giovanile. Il principio sta nel mutare l’idea di ricevere una squalifica senza appelli, spesso senza neppure comprenderne i motivi reali, in una penalità da assolvere in un’area denominata appunto Pit Lane potendo, una volta uscito, avere l’opportunità comunque di terminare la propria gara e di capire bene il senso della squalifica. L’idea è che il ragazzo possa capire meglio il senso delle palette gialle (ammonizioni) e dei simboli rossi (richieste di squalifica), rispettando con il tempo sempre più i segnali di giudizio che la gara gli offre. Nelle gare delle categorie giovanili (da quest’anno juniores compresi) il Pit Lane permette comunque un reintegro in gara, ma soprattutto insegna che se di fronte a molte ammonizioni e a qualche paletta rossa si gestisce meglio la propria gara si può evitare di entrare in Pit Lane o in futuro di essere squalificati (rallentando è possibile perdere meno tempo di quanto sancito dalla sanzione di sosta in Pit Lane). Questo significa tutela dell’atleta e educazione culturale al giudizio. Il pensiero del Race Walking Committee sostenuto poi dal Consiglio IAAF si è mosso proprio in questa direzione. Credo che chi lo contesta mai abbia voluto fare sino in fondo mente locale su questo argomento (oggi molte meno persone di quante fossero all’inizio lo criticano). Oggettività del giudizio è invece la ricerca sviluppata, e giunta alla seconda fase, per quanto riguarda la realizzazione di uno strumento elettronico per il controllo della perdita di contatto (la speranza è che entro l’anno si possa concludere ed iniziare la sperimentazione pratica). Tutti noi crediamo possa essere, qualora la sperimentazione che seguirà la realizzazione dei primi prototipi sia di successo, un passaggio fondamentale per chiudere certe assurde ed a volte strumentali polemiche, e possa permettere ai giudici di affinare sempre più la propria personalità. Come si è detto il processo di introduzione sarà comunque progressivo, pertanto per un po di tempo il giudizio ad occhio nudo continuerà ad essere il prevalente a livello nazionale, giovanile e di meeting di area. Ciò che sarà importante è il portare sempre più vicino il giudizio tradizionale a quello tecnologico, e questo si rifà a quanto si diceva a proposito della formazione ed allenamento che i giudici dovranno sempre più utilizzare. Non vorrei però neppure dimenticare che la tecnologia potrà aiutare tutti a individuare un modello tecnico/regolamentare più uniforme. Legato a ciò è giusto richiamare un ulteriore aspetto. A livello di giudizio il consiglio forte e persistente è quello di utilizzare sempre la paletta gialla dell’ammonizione prima di passare alla rossa (in Italia ciò avviene quasi sempre), naturalmente esclusi casi clamorosi o finali di gara complessi dove i tempi non permettono i due interventi. Tutto ciò è veramente coerente con quanto si diceva poco prima: la tutela dell’atleta e la maggior equità possibile nel giudizio. E’ però evidente che il fatto culturale, educativo, di attenzione diviene fondamentale. Abituare gli atleti a conoscere i segnali della gara (e questo è proprio uno degli aspetti legati al Pit Lane) è fondamentale affiché ciò abbia un senso. L’atleta, ma anche il tecnico, deve capire che è diverso gestire una gara dove su 8 giudici si sono ricevute 7 ammonizioni e magari anche 1 o 2 rossi, piuttosto di una gara in cui si hanno 2 sole ammonizioni e 2 rossi. Il risultato parrebbe lo stesso, ma il rischio è totalmente diverso e questo gli atleti devono imparare a misurarlo. Se non succede allora è giusto appoggiare il pensiero di coloro che dicono che il giallo non serve (perché atleti e tecnici non lo tengono in considerazione) e sarebbe sufficiente il rosso diretto. Il pensiero dominante, che è anche il mio, è invece quello di come sia indispensabile tutelare l’atleta perché possa gestire al meglio la sua gara, naturalmente questo va fatto ben capire ai marciatori e ai loro tecnici. Dopo questo discorso non si può non fare accenno all’utilizzo e distribuzione dei summary sheets o fogli riassuntivi del giudizio. Se utilizzati con la finalità di capire e leggere la situazione della gara sono utilissimi. A livello IAAF il consiglio è di distribuirli o pubblicarli sempre dove possibile. E’ indubbio che rimanga comunque il rischio che qualcuno ne faccia un uso meno serio, o strumentale, o polemico, ma meglio essere trasparenti che dare l’impressione di voler nascondere qualcosa. I temi del mondo della marcia in fondo sono tanto semplici quanto complessi, e se volessimo dirla sino in fondo lo sono quanto lo è per qualsiasi sport giudicato o controllato da un arbitro, calcio compreso, anzi forse proprio ad iniziare da lì. Nel concludere credo potremmo riflettere su questi 3 temi che rappresentano punti toccati in questi anni dai governi sportivi internazionali, dagli esperti, dai media e dagli stessi praticanti. 1) La marcia per il futuro ° CIO e IAAF puntano a una modernizzazione dello sport ° Troverà ancora posto la marcia, tanto quella di ieri come quella di oggi, in questo contesto? ° La nostra tradizione è la nostra forza, ma dobbiamo coniugarla con il mondo attuale e l’appeal verso i giovani 2) la necessità che la marcia riconquisti l’identità ° la nostra storia è fatta di persone e gente semplice per una filosofia semplice: camminare a lungo e rapidamente ° E’ necessario ritrovare lo spirito popolare e andare in mezzo alla gente, coinvolgere la gente ° L’idea dei governi sportivi di unire sempre più lo sport alla quotidianità delle persone ci può aiutare, ma dobbiamo essere bravi e capaci a cogliere l’opportunità sotto questo punto di vista lo sport del camminare di massa rappresenta una risorsa utile per valorizzare la marcia ° Il giudizio ed un gesto comprensibile sono una risposta inevitabile 3) giudizio, credibilità e partecipazione, una sintesi necessaria ° Il giudizio ci deve aiutare a riportare l’idea della marcia come sport comprensibile da tutti. ° serve una strada di giudizio più rigorosa dove il percorso degli atleti possa essere ben delimitato ed accompagnato, dove l’integrazione tra metodi tradizionali e nuove tecnologie provochi il minor distacco possibile tra le due azioni, anzi, dovremmo puntare a far sì che si possano avvicinare il più possibile ° nuove idee (pit lane ed altro), uso della tecnologia, oggettività maggiore nell’applicazione della regola, identificare nel modo più chiaro possibile la nostra disciplina rispetto alla sua radice: camminare ° Vi sono poi i new media, un’insidia ma anche una risorsa per farci ragionare e capire dove andare, e per sviluppare il dialogo a patto che sia ben mediato. Siamo tutti chiamati a dare forza a queste prospettive di supporto e maggiore integrazione della marcia nel contesto sportivo. Limitare lo sguardo in modo estremamente focalizzato unicamente sugli aspetti sportivi, agonistici, di livello è nella natura delle finalità di un sistema specialistico, ma non bisogna dimenticare che ci sono aspetti fondamentali per far sì che il movimento regga l’impatto con le esigenze del sistema. Oggi la modernizzazione dello sport, le proposte popolari che garantiscono numeri maggiori (i numeri sono determinanti nell’ottica dello sport di oggi), un livello organizzativo di qualità, un buon appeal esterno sono elementi indispensabili per mantenere identità e forza. Questo è l’impegno complesso al quale siamo chiamati: mantenere il centro focale dell’attività sugli aspetti tecnico/prestativi integrandoli con un sistema di coinvolgimento capace di fare della marcia, nelle diverse forme del fare sport a piedi, un sistema collegato e popolare. GRAZIE PER L’ATTENZIONE