La scienza del Kriya Yoga - Autobiografia di uno Yogi

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La scienza del Kriya Yoga - Autobiografia di uno Yogi
CAP ITOLO
:
26
La scienza del Kriya Yoga
L
Kriya Yoga, cui si fa riferimento così di frequente in
queste pagine, divenne ampiamente nota in India in epoca moderna
a opera di Lahiri Mahasaya, il guru del mio guru. La radice sanscrita
di Kriya è kri: “fare, agire, reagire”; la stessa radice si trova nella parola
karma, il principio naturale di causa ed effetto. Il Kriya Yoga, pertanto, è
“l’unione (yoga) con l’Infinito attraverso una determinata azione o rito”.
Lo yogi che segue fedelmente tale tecnica viene gradualmente liberato
dal karma, la catena universale di causalità.
Per rispetto di alcuni antichi precetti yogici, non posso fornire una spiegazione completa del Kriya Yoga nelle pagine di un libro destinato a un
vasto pubblico. La tecnica vera e propria deve essere appresa da un Kriyaban o Kriya Yogi; in questa sede ci si dovrà limitare a cenni generali.
Il Kriya Yoga è un semplice metodo psico-fisiologico mediante il quale
il sangue umano viene depurato dall’anidride carbonica e ricaricato di ossigeno. Gli atomi di questo ossigeno supplementare vengono trasformati
in corrente vitale per rigenerare il cervello e i centri spinali.* Bloccando
l’accumulo di sangue venoso, lo yogi è in grado di ridurre o prevenire la
degenerazione dei tessuti; gli yogi progrediti tramutano le proprie cellule
in pura energia. Elia, Gesù, Kabir e altri profeti del passato furono maestri nell’uso del Kriya o di una tecnica simile, grazie alla quale riuscivano
volontariamente a smaterializzare il proprio corpo.
Il Kriya è una scienza antica. Lahiri Mahasaya la ricevette dal proprio
guru, Babaji, che riscoprì e chiarì la tecnica dopo che era andata perduta
nelle Epoche Oscure.
a scienza del
* Il noto scienziato George W. Crile di Cleveland spiegò durante il congresso del 1940 dell’American Association for the Advancement of Science gli esperimenti mediante i quali aveva
dimostrato che tutti i tessuti del corpo sono elettricamente negativi, a eccezione del cervello
e dei tessuti del sistema nervoso che restano elettricamente positivi in quanto assorbono ossigeno vivificante a un ritmo più rapido.
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Autobiografia di uno yogi
«Il Kriya Yoga che, per tuo tramite, mi accingo a trasmettere al mondo
in questo diciannovesimo secolo» disse Babaji a Lahiri Mahasaya «è la
stessa scienza, rinata, che Krishna trasmise ad Arjuna millenni or sono
e che in seguito fu nota a Patanjali e a Cristo, San Giovanni, San Paolo
e altri discepoli».
Il Kriya Yoga viene menzionato da Krishna, sommo profeta dell’India,
in un versetto della Bhagavad Gita: «Offrendo il fiato dell’inspirazione
nell’espirazione e il fiato dell’espirazione nell’inspirazione, lo yogi neutralizza entrambi questi respiri; egli libera così la forza vitale dal cuore e
la pone sotto il proprio controllo».* L’interpretazione è la seguente: «Lo
yogi arresta il decadimento del corpo mediante un supplemento di forza
vitale e arresta i mutamenti prodotti nel corpo dalla crescita mediante
l’apan (corrente eliminatoria). In tal modo, acquietando il cuore, lo yogi
neutralizza il decadimento e la crescita, imparando a controllare la forza vitale».
Krishna riferisce inoltre† che fu lui stesso, in una precedente incarnazione, a trasmettere lo yoga imperituro a un illuminato di epoca remota,
Vivasvat, che lo passò a Manu, il grande legislatore.‡ Questi, a sua volta,
istruì Ikshwaku, capostipite della dinastia di guerrieri solari dell’India.
Tramandato così dall’uno all’altro, lo yoga regale fu custodito dai rishi
fino all’avvento delle epoche materialistiche.§ Fu allora che, a causa del
segreto sacerdotale e dell’indifferenza degli uomini, la sacra conoscenza
divenne via via inaccessibile.
Il Kriya Yoga viene citato due volte dall’antico saggio Patanjali, il più
autorevole esponente dello yoga, che scrisse: «Il Kriya Yoga consiste in
disciplina fisica, controllo mentale e meditazione sull’Aum».¶ Patanjali
* Bhagavad Gita iv,29.
†Ibid. iv,1-2.
‡ L’autore dei Manava Dharma Shastra [o Leggi di Manu]. Questi istituti di diritto canonico
consuetudinario sono tuttora in vigore in India. Lo studioso francese Louis Jacolliot afferma
che l’epoca in cui visse Manu «si perde nella notte del periodo preistorico dell’India; nessuno
studioso ha mai osato rifiutargli il titolo di più antico legislatore del mondo». In La Bible
dans l’Inde, alle pagine 33-37, Jacolliot riporta riferimenti testuali paralleli per dimostrare che
il Codice giustinianeo segue fedelmente le Leggi di Manu.
§ L’inizio delle epoche materialistiche, secondo il calcolo delle Scritture indù, risale al 3102
a.C. È il principio dell’epoca discendente del Dwapara (si veda p. 167 e seguenti). Gli studiosi moderni, ritenendo avventatamente che diecimila anni fa l’intera umanità fosse sepolta in
una barbara Età della pietra, liquidano sbrigativamente come “miti” tutte le testimonianze e
le tradizioni delle antichissime civiltà dell’India, della Cina, dell’Egitto e di altri Paesi.
¶ Sutra (Aforismi) di Patanjali ii,1. Nell’utilizzare il termine Kriya Yoga, Patanjali faceva riferimento o alla tecnica esatta insegnata da Babaji o a un’altra alquanto simile. Che si trattasse
di una tecnica specifica di controllo vitale è dimostrato dall’aforisma ii,49 di Patanjali.
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parla di Dio come del vero e proprio Suono Cosmico dell’Aum che si ode
in stato di meditazione.* L’Aum è il Verbo Creatore,† il suono del Motore
Vibratorio. Perfino i principianti nella pratica dello yoga iniziano ben
presto a percepire interiormente il suono meraviglioso dell’Aum. Ricevendo questo beatifico incoraggiamento spirituale, il devoto è rassicurato
di essere effettivamente in contatto con le sfere divine.
Patanjali fa riferimento una seconda volta al controllo della forza vitale, o tecnica del Kriya: «La liberazione può essere raggiunta mediante
quel pranayama che si consegue disgiungendo il corso dell’inspirazione
e dell’espirazione».‡
San Paolo conosceva il Kriya Yoga o una tecnica assai simile, mediante
la quale era in grado di dirigere le correnti vitali verso i sensi o di ritrarle
da essi. Ciò gli consentiva di affermare: «Com’è vero per la gloria che di
noi ho in Cristo, io muoio ogni giorno».§ Ritraendo ogni giorno la propria forza vitale corporea, egli la congiungeva mediante l’unione yogica
con la gloria (eterna beatitudine) della coscienza cristica. In tale stato di
felicità perfetta egli era consapevole di essere morto all’illusorio mondo
dei sensi di maya.
Negli stati iniziali di contatto con Dio (sabikalpa samadhi), la coscienza del devoto si fonde con lo Spirito Cosmico; la sua forza vitale si ritrae
dal corpo, che appare come “morto”, ossia immobile e rigido. Lo yogi è
pienamente consapevole della propria condizione corporea di animazione
sospesa. Progredendo fino a stati spirituali superiori (nirbikalpa samadhi), tuttavia, egli entra in comunione con Dio senza fissità del corpo
e rimanendo nel proprio stato ordinario di veglia, persino durante lo
svolgimento di difficili compiti terreni.¶
«Il Kriya Yoga è uno strumento con il quale si può accelerare l’evoluzione umana» spiegava Sri Yukteswar ai suoi allievi. «Gli yogi dell’antichità
* Ibid. i,27.
† «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio ... Tutto è stato fatto per
mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Giovanni 1,1-3). L’Aum
(Om) dei Veda divenne la sacra parola Amin dei musulmani, l’Hum dei tibetani e l’Amen dei
cristiani (il cui significato, in ebraico, è “sicuro, fedele”). «Così parla l’Amen, il Testimone
fedele e verace, il Principio della creazione di Dio» (Apocalisse 3,14).
‡ Aforismi ii,49.
§ i Corinzi 15,31. La traduzione corretta è: «La gloria che ho di noi», non quella che viene
riportata di solito: «La gloria che ho di voi». San Paolo alludeva all’onnipresenza della coscienza cristica. [La traduzione del versetto in italiano corrisponde alla versione inglese citata
dall’Autore; non è conforme alla versione ufficiale della C.E.I. N.d.C.]
¶ Kalpa significa “tempo” o “eone”. Sabikalpa significa “soggetto al tempo o al cambiamento”; resta un collegamento con prakriti, o materia. Nirbikalpa significa “eterno, immutabile”;
è questo lo stato supremo del samadhi.
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avevano scoperto che il segreto della coscienza cosmica è intimamente
collegato al dominio del respiro. Questo è il contributo peculiare e imperituro dell’India al patrimonio di conoscenze dell’umanità. La forza
vitale, normalmente assorbita dalla funzione di alimentare la pompa cardiaca, deve essere liberata e destinata ad attività più elevate, grazie a un
metodo per calmare e acquietare le incessanti esigenze del respiro».
Il Kriya Yogi dirige mentalmente la propria energia vitale facendola ruotare, verso l’alto e verso il basso, attorno ai sei centri spinali (i plessi midollare, cervicale, dorsale, lombare, sacrale e coccigeo) che corrispondono ai
dodici segni astrali dello Zodiaco, il simbolico Uomo Cosmico. Mezzo minuto di rivoluzione dell’energia attorno al sensibile midollo spinale dell’essere umano determina progressi sottili nella sua evoluzione; quel mezzo
minuto di Kriya equivale a un anno di evoluzione spirituale naturale.
Il sistema astrale dell’essere umano, che comprende sei costellazioni
interiori (dodici a causa della polarità) che ruotano attorno al sole dell’occhio spirituale onnisciente, è interrelato con il sole fisico e con i dodici segni zodiacali. Tutti gli esseri umani sono dunque influenzati da
un universo interiore e da uno esterno. Gli antichi rishi scoprirono che
sia l’ambiente terreno sia quello celeste sospingono l’uomo, in cicli di
dodici anni, lungo il suo percorso naturale. Le Scritture affermano che
all’essere umano occorre un milione di anni di evoluzione normale, priva
di infermità, per perfezionare sufficientemente il proprio cervello così da
poter esprimere la coscienza cosmica.
Mille Kriya praticati in otto ore danno allo yogi, in un solo giorno,
l’equivalente di mille anni di evoluzione naturale: 365.000 anni di evoluzione in un anno. In tre anni, un Kriya Yogi può pertanto ottenere, con il
proprio impegno intelligente, lo stesso risultato che la natura consente di
raggiungere nell’arco di un milione di anni. La scorciatoia del Kriya, ovviamente, può essere presa soltanto da yogi profondamente evoluti. Con
la guida di un guru, tali yogi hanno preparato accuratamente il corpo e il
cervello ad accogliere la potenza generata da una pratica tanto intensa.
Il principiante del Kriya esegue il suo esercizio yogico soltanto da quattordici a ventotto volte, due volte al giorno.* Alcuni yogi raggiungono
l’emancipazione in sei, dodici, ventiquattro o quarantotto anni. Lo yogi
che muore prima di aver conseguito la piena realizzazione porta con sé il
buon karma del suo precedente impegno nel Kriya; nella sua nuova vita
egli sarà armoniosamente sospinto verso la sua Meta Infinita.
* Di solito il principiante esegue quattordici Kriya due volte al giorno, per un totale di ventotto. ( N.d.C.)
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Il corpo dell’uomo medio è come una lampadina da cinquanta watt,
che non può reggere i miliardi di watt di potenza generati da una pratica eccessiva del Kriya. Attraverso l’incremento graduale e regolare dei
metodi del Kriya, semplici e alla portata di tutti, il corpo umano viene
trasformato a livello astrale, giorno dopo giorno, ed è infine idoneo a
esprimere le infinite potenzialità dell’energia cosmica, la prima espressione dello Spirito attiva sul piano materiale.
Il Kriya Yoga non ha nulla in comune con gli esercizi di respirazione
non scientifici insegnati da molti fanatici disinformati. I loro tentativi di
trattenere forzatamente il respiro nei polmoni non sono soltanto innaturali, ma anche decisamente sgradevoli. Il Kriya, viceversa, è accompagnato fin dall’inizio da un grande senso di pace e da sensazioni calmanti
che hanno un effetto rigenerante sulla spina dorsale.
L’antica tecnica yogica converte il respiro in mente. Per effetto dell’evoluzione spirituale, si giunge a comprendere come il respiro sia un
atto della mente: un respiro di sogno.
Si potrebbero fornire numerosi esempi del rapporto matematico che
esiste fra il ritmo respiratorio dell’essere umano e le variazioni dei suoi
stati di coscienza. Una persona la cui attenzione è totalmente assorbita
nel seguire un’argomentazione intellettuale assai intricata o nel tentare
un’impresa fisica difficile e delicata, automaticamente respira con molta
lentezza. La fissità dell’attenzione dipende da una respirazione lenta;
respiri accelerati o irregolari si accompagnano, inevitabilmente, a stati
emotivi dannosi come la paura, la concupiscenza, la rabbia. La scimmia
irrequieta respira trentadue volte al minuto, a differenza dell’uomo, che
respira in media diciotto volte. L’elefante, la tartaruga, il serpente e altri
animali noti per la loro longevità hanno un ritmo respiratorio inferiore
a quello umano. La tartaruga, ad esempio, che può raggiungere l’età di
trecento anni,* respira soltanto quattro volte al minuto.
Gli effetti rigeneranti del sonno sono dovuti alla temporanea inconsapevolezza del corpo e del respiro da parte dell’essere umano. L’uomo,
nel sonno, diventa uno yogi; ogni notte egli compie inconsciamente
il rito yogico di liberarsi dall’identificazione corporea e di fondere la
forza vitale con le correnti risanatrici nella regione cerebrale principale
e nelle sei “dinamo secondarie” dei suoi centri spinali. Il dormiente attinge così, a sua insaputa, alla riserva di energia cosmica che sostiene la
vita intera.
* Secondo la Lincoln Library of Essential Information, p. 1030, la tartaruga gigante vive fra i
duecento e i trecento anni.
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Autobiografia di uno yogi
Lo yogi compie tale processo semplice e naturale in modo intenzionale e consapevole, anziché inconsapevolmente come il dormiente, i cui
ritmi sono rallentati. Il Kriya Yogi utilizza la propria tecnica per saturare
e alimentare di luce incorruttibile tutte le cellule fisiche e per mantenerle
così magnetizzate. Scientificamente, egli rende il respiro superfluo, senza
produrre gli stati di sonno subconscio o d’incoscienza.
Per mezzo del Kriya, la forza vitale in uscita non viene sperperata e
abusata nei sensi, bensì costretta a ricongiungersi alle più sottili energie
spinali. Grazie a un tale potenziamento della forza vitale, le cellule corporee e cerebrali dello yogi sono ricaricate d’energia dall’elisir spirituale.
Lo yogi si sottrae così alla sistematica osservanza delle leggi naturali, che
possono condurlo soltanto – con mezzi indiretti quali la corretta alimentazione, la luce solare e i pensieri armoniosi – a una Meta lontana milioni
di anni. Occorrono dodici anni di vita sana normale per ottenere anche
solo un cambiamento appena percettibile della struttura cerebrale, e un
milione di cicli solari per affinare a sufficienza la struttura cerebrale così
da poter manifestare la coscienza cosmica.
Sciogliendo il laccio del respiro che lega l’anima al corpo, il Kriya serve a prolungare la vita e a espandere la coscienza all’infinito. Il metodo
dello yoga supera il braccio di ferro fra la mente e i sensi vincolati alla
materia e libera il devoto affinché possa ereditare nuovamente il suo regno eterno. Questi riconosce che la propria natura reale non è soggetta
né all’involucro fisico né al respiro, simbolo dell’asservimento dei mortali
all’aria, alle costrizioni degli elementi della natura.
L’introspezione, ossia il “rimanere seduti nel silenzio”, è un modo non
scientifico per cercare di separare forzatamente la mente dai sensi, uniti
fra loro dalla forza vitale. La mente contemplativa, nel suo tentativo di
ritornare alla divinità, è costantemente trascinata indietro verso i sensi
dalle correnti vitali. Il Kriya, controllando la mente in modo diretto attraverso la forza vitale, è la via più facile, più efficace e più scientifica
per accostarsi all’Infinito. A differenza del cammino teologico verso Dio,
lento e incerto come un carro trainato da buoi, il Kriya può essere giustamente definito “la rotta aerea”.
La scienza yogica è fondata sulla considerazione empirica di ogni forma di esercizio di concentrazione e meditazione. Lo yoga permette al
devoto di accendere o spegnere a volontà la corrente vitale nei cinque
telefoni sensoriali della vista, dell’udito, dell’odorato, del gusto e del tatto. Avendo acquisito questa capacità di disconnessione dai sensi, lo yogi
riesce senza difficoltà a congiungere volontariamente la propria mente
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con le sfere divine o con il mondo della materia. Egli non viene più ricondotto dalla forza vitale, contro la propria volontà, alla sfera mondana
delle sensazioni turbolente e dei pensieri irrequieti. Padrone del proprio
corpo e della propria mente, il Kriya Yogi ottiene infine la vittoria sul
“nemico finale”, la morte.
Così ti nutrirai di Morte, che di uomini si nutre:
e, morta la Morte, non vi sarà più il morire.*
La vita di un Kriya Yogi progredito è influenzata non dalle conseguenze
delle azioni precedenti, bensì unicamente dalle direttive dell’anima. Il
devoto evita in tal modo i condizionamenti delle azioni egoistiche, buone
e cattive, della vita ordinaria, che frenano la sua evoluzione e appaiono
macchinosi e lenti come una lumaca a chi ha un cuore d’aquila.
Tale metodo superiore di vita dell’anima libera lo yogi che, affrancato
dalla prigione del proprio ego, assapora a fondo l’aria dell’onnipresenza.
La schiavitù del vivere naturale ha un ritmo d’umiliante lentezza. Conformando la propria vita all’ordine evolutivo, l’essere umano non può
pretendere dalla natura il beneficio di accelerarne il corso e, pur vivendo senza contravvenire alle leggi che regolano le proprie facoltà fisiche
e mentali, deve indossare per circa un milione di anni le maschere delle
diverse incarnazioni prima di conoscere la definitiva emancipazione.
I metodi telescopici degli yogi, i quali si svincolano dalle identificazioni fisiche e mentali a favore dell’individualità dell’anima, si addicono
a coloro che si ribellano alla prospettiva di attendere mille migliaia di
anni. Questa periferia numerica si estende ulteriormente per l’uomo comune, che non vive neppure in armonia con la natura e, tanto meno, con
la propria anima, ma persegue invece complessità innaturali, violando
in tal modo, nel corpo e nei pensieri, le dolci armonie della natura. Per
lui, un paio di milioni di anni potranno a stento bastare per ottenere la
liberazione.
L’uomo poco evoluto non si rende mai conto, o alquanto di rado,
che il suo corpo è un regno governato dall’Imperatrice Anima, la quale
siede sul trono del cranio e ha reggenti sussidiari nei sei centri spinali
o sfere di coscienza. Questa teocrazia si esercita su una moltitudine di
sudditi obbedienti: ventisettemila miliardi di cellule – dotate di un’intelligenza certa, per quanto automatica, mediante la quale assolvono a
tutte le funzioni di crescita, trasformazione e dissoluzione del corpo – e
un sostrato di cinquanta milioni di pensieri, emozioni e mutevoli varia* Shakespeare: Sonetto 146.
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Autobiografia di uno yogi
zioni di stati della coscienza umana che si susseguono in una vita media
di sessant’anni. Qualsiasi apparente insurrezione delle cellule corporee
o cerebrali contro l’Imperatrice Anima, che si manifesti sotto forma di
malattia o depressione, non è dovuta all’infedeltà degli umili cittadini,
bensì al cattivo uso presente o passato da parte dell’essere umano della
sua individualità o libero arbitrio, ricevuta simultaneamente all’anima
e mai revocabile.
Identificando se stesso con un futile ego, l’essere umano dà per scontato di essere colui che pensa, vuole, percepisce, digerisce i pasti e si mantiene in vita, senza mai ammettere attraverso la riflessione (ne basterebbe
ben poca!) che nella vita ordinaria egli non è null’altro che un burattino
in balia delle azioni passate (karma) e della natura o ambiente. Le reazioni
intellettive, i sentimenti, gli stati d’animo e le abitudini di ciascun essere
umano sono condizionati dagli effetti di cause precedenti, che risalgono a
una vita passata o a quella attuale. Ben al di sopra di tali influssi, tuttavia,
si eleva la sua anima regale. Disdegnando le verità e le libertà transitorie,
il Kriya Yogi supera ogni tipo di disillusione fino a penetrare nel proprio
Essere liberato. In tutte le Scritture si afferma che l’essere umano non
è un corpo corruttibile, ma un’anima immortale; con il Kriya gli viene
offerto un metodo per comprovare la verità delle Scritture.
«Il rituale esteriore non può distruggere l’ignoranza, poiché essi non
sono reciprocamente contraddittori» scrisse Shankara nel suo celebre
Sata-Sloki [Cento versi]. «Solo la conoscenza realizzata distrugge l’ignoranza ... La conoscenza non può scaturire da nessun altro mezzo, se non
dall’indagine. “Chi sono io? Com’è nato questo universo? Chi ne è l’artefice? Qual è la sua causa materiale?”. È questo il tipo d’indagine a cui si
fa riferimento». L’intelletto non ha risposte per tali quesiti, perciò i rishi
svilupparono lo yoga come metodo d’indagine spirituale.
Il Kriya Yoga è il vero “rito del fuoco” più volte decantato nella Bhagavad Gita. Le fiamme purificatrici dello yoga portano l’illuminazione
eterna, a differenza delle cerimonie religiose del fuoco, esteriori e poco
efficaci, in cui spesso, con l’accompagnamento di inni solenni, si brucia
la percezione della verità, insieme all’incenso!
Lo yogi progredito, ritraendo tutta la sua mente, la sua volontà e il suo
sentimento dalla erronea identificazione con i desideri corporei e congiungendo la propria mente con le forze supercoscienti nei tabernacoli
dei centri spinali, vive in questo mondo così come Dio ha previsto, non
sospinto da impulsi del passato e neppure da nuove futilità dettate da
motivazioni umane più recenti. Un tale yogi ottiene l’appagamento del
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suo Desiderio Supremo, approdando al sicuro nel porto finale dell’inesauribile Spirito beato.
Lo yogi sacrifica le proprie labirintiche brame in un falò monoteistico
dedicato al Dio impareggiabile. Questa è, invero, l’autentica cerimonia
yogica del fuoco, nella quale tutti i desideri passati e presenti sono il
combustibile consumato dall’amore divino. La Fiamma Suprema riceve
il sacrificio di tutte le follie umane e l’essere umano è purificato dalle
scorie. Spogliate le sue ossa di tutta la carne bramosa, sbiancato il suo
scheletro karmico al sole antisettico della saggezza, egli è infine mondo,
innocente al cospetto degli uomini e del Creatore.
Riferendosi all’efficacia certa e sistematica dello yoga, il Signore Krishna loda lo yogi che si avvale di tecniche scientifiche con le seguenti
parole: «Lo yogi è superiore agli asceti che disciplinano il corpo, superiore
anche a coloro che seguono la via della saggezza ( Jnana Yoga) o la via
dell’azione (Karma Yoga); sii tu, o discepolo Arjuna, uno yogi!».*
* Bhagavad Gita vi,46.

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