Una biografia per immagini

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Una biografia per immagini
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I luoghi di Dante attraverso la Commedia
Una biografia per immagini
■ La casa di Dante
Fiorenza dentro da la cerchia antica,
ond’elle toglie ancora e terza e nona,
si stava in pace, sobria e pudica.
(Parad., XV, 97-99)
■ La città di Firenze
La casa di Dante, nel quartiere medievale di Firenze, non lontano dal duomo, è in realtà una
ricostruzione del 1910. Attualmente adibita a
museo e riconosciuta come una delle più importanti
dimore della memoria, ospita al primo piano
una documentazione della Firenze al tempo di
Dante, dei primi anni del poeta, della battaglia
di Campaldino; al secondo è documentato il periodo che va dall’esilio alla morte e al terzo
sono raccolti ritratti di Dante e varie edizioni
della Divina Commedia.
I’ fui nato e cresciuto
sovra ’l bel fiume d’Arno a la gran villa
(Inf., XXIII, 94-95)
Il dipinto, anche se riferito alla Firenze di oltre
un secolo dopo, dà un’idea della città abbastanza vicina a quella dell’epoca di Dante, il
quale vi nacque tra il 14 maggio e il 13 giugno
1265 da una famiglia della piccola nobiltà
guelfa. Si noti come gli edifici religiosi e pubblici sovrastino gli altri privati a indicare anche
visivamente il primato del potere politico e del
potere spirituale.
(fotografia tratta da una cartolina della Casa editrice GIUSTI di
Becocci – Firenze)
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(fotografia tratta da una cartolina della Casa editrice GIUSTI di Becocci – Firenze)
■ Dante e Beatrice
Quella che ’mparadisa la mia mente
■ Il più antico volto di Dante
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.
(Parad., XXVIII, 3)
Il dipinto (1883) è del pittore inglese preraffaellita Henry Holiday (1839-1927), si trova nella
Walker Art Gallery di Liverpool in Inghilterra e
(Inf., I, 1-3)
Questo è il più antico ritratto di Dante che sia documentato. Fa parte di un importante ciclo di affreschi
della seconda metà del Trecento, che comprende
anche ritratti di altri poeti (Petrarca, Boccaccio ecc.)
e che si trova nella sede dell’arte dei Giudici e Notai in
via del Proconsolo a Firenze. Il restauro, terminato
qualche anno fa, ci rivela un Dante dalla carnagione
scura, dal naso lungo ma non aquilino, come invece
afferma Boccaccio, e quindi un po’ diverso dalla tradizionale iconografia rinascimentale.
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si riferisce a un episodio della Vita nuova.
Dante è sul Ponte di Santa Trinita (sullo sfondo
è ben visibile il Ponte Vecchio) e incontra tre
donne: quella al centro, vestita di chiaro è Beatrice, che però rifiuta di salutarlo in quanto
Dante, precedentemente, per celare il suo
amore per lei, aveva finto di rivolgere le sue
attenzioni ad altre donne (le donne «dello
schermo»); le conseguenti chiacchiere della
gente avevano provocato lo sdegno di Beatrice.
L’altra col vestito rosso, che invece osserva la
reazione di Dante, è Monna Vanna, la donna di
Guido Cavalcanti (quella menzionata nel celebre sonetto Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed
io). La terza è una domestica. Holiday in un
viaggio a Firenze si era documentato accuratamente per rappresentare fedelmente la Firenze
del tempo (ad esempio la pavimentazione dei
Lungarni in mattoni).
Nel verso sopra riportato, Beatrice è vista da
Dante come colei che è capace di elevarlo all’altezza del Paradiso.
(fotografia tratta da una cartolina della Casa editrice GIUSTI di
Becocci – Firenze)
(fotografia tratta da un articolo sul Corriere della Sera via internet)
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Canto XXXIV
Quando noi fummo là dove la coscia
si volge, a punto in sul grosso de l’anche,
78 lo duca, con fatica e con angoscia,
volse la testa ov’elli avea le zanche,
e aggrappossi al pel com’om che sale,
81 sì che ’n inferno i’ credea tornar anche.
«Attienti ben, ché per cotali scale»,
disse ’l maestro, ansando com’uom lasso,
84 «conviensi dipartir da tanto male».
Poi uscì fuor per lo fóro d’un sasso,
e puose me in su l’orlo a sedere;
87 appresso porse a me l’accorto passo.
Io levai li occhi e credetti vedere
Lucifero com’io l’avea lasciato,
90 e vidili le gambe in sù tenere;
e s’io divenni allora travagliato,
la gente grossa il pensi, che non vede
93 qual è quel punto ch’io avea passato.
«Lèvati sù», disse ’l maestro, «in piede:
la via è lunga e ’l cammino è malvagio,
96 e già il sole a mezza terza riede».
Non era camminata di palagio
là ’v’eravam, ma natural burella
99 ch’avea mal suolo e di lume disagio.
«Prima ch’io de l’abisso mi divella,
maestro mio», diss’io quando fui dritto,
102 «a trarmi d’erro un poco mi favella:
ov’è la ghiaccia? e questi com’è fitto
sì sottosopra? e come, in sì poc’ora,
105 da sera a mane ha fatto il sol tragitto?».
Ed elli a me: «Tu imagini ancora
d’esser di là dal centro, ov’io mi presi
108 al pel del vermo reo che ’l mondo fóra.
Di là fosti cotanto quant’io scesi;
quand’io mi volsi, tu passasti ’l punto
111 al qual si traggon d’ogne parte i pesi.
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76-81. Quando noi fummo là nel punto in cui la coscia si
piega (si volge), esattamente (a punto) dove le anche s’ingrossano (in sul grosso de l’anche), la mia guida (lo duca),
con fatica e affanno (angoscia), si capovolse (volse la
testa ov’elli avea le zanche = gambe), e si aggrappò al
pelo come uno (com’om) che sale, così che io credevo di
ritornare ancora (anche) nell’inferno.
82-84. «Tieniti ben stretto a me (Attienti ben), poiché per
scale di questo genere (cotali)», disse il maestro respirando a fatica (ansando) come uno che è stanco (lasso), «è
necessario (conviensi) allontanarsi (dipartir) dall’inferno
(da tanto male)».
85-87. Poi uscì fuori attraverso una spaccatura (fóro) nella
roccia (sasso), e mi depose a sedere sull’orlo di quell’apertura; dopo avanzò prudentemente (porse ... l’accorto passo) verso di me (a me).
88-93. Io sollevai (levai) lo sguardo e credetti di vedere
Lucifero nella posizione in cui lo avevo lasciato, e vidi invece che teneva le gambe in su; pensi la gente ignorante
(grossa), la quale non comprende qual è il punto che
avevo superato (cioè il centro della Terra), se io rimasi, in
quel momento (allora), confuso e sbalordito (travagliato).
94-99. Il maestro allora mi disse: «Alzati in piedi: la via da
percorrere è lunga e il cammino difficile (malvagio), e
sono già le sette e mezza del mattino (già il sole a mezza
terza riede)». Il luogo dove (là ’v’) eravamo non era certo
una sala di palazzo (camminata), ma una caverna (burella) naturale dal fondo sconnesso (ch’avea mal suolo) e
male illuminata (e di lume disagio).
100-105. «Prima che io mi distacchi (mi divella) dall’inferno (de l’abisso), o mio maestro», dissi io quando fui in
piedi, «parlami (mi favella) un poco per fugare i miei
dubbi (a trarmi d’erro): dov’è la palude ghiacciata di
Cocito? E Lucifero (questi) com’è che si trova conficcato
(fitto) a testa in giù? Come mai il sole, in così poco tempo,
ha compiuto il tragitto dalla sera alla mattina (mane)?».
106-111. Ed egli a me: «Tu credi ancora di essere di là dal
centro della Terra, dove io mi aggrappai (mi presi) al pelo
del verme malvagio (vermo reo; cioè Lucifero), che perfora (fóra) il mondo. Fosti nell’emisfero boreale (Di là) per
tutto il tempo che (cotanto quant’) io discesi; quando io mi
capovolsi (volsi), tu oltrepassasti il punto (cioè il centro
della Terra) verso il quale sono attratti (al qual si traggon)
i corpi pesanti (i pesi) da ogni parte della Terra.
76-81 > Quando ... anche: la manovra descritta è di fondamentale importanza, in quanto segna un’inversione di percorso dei due poeti, dal
movimento verso il basso, tipico del
tragitto infernale, a quello verso l’alto, tipico del percorso purgatoriale.
Virgilio è disceso fino alle anche di
Lucifero, che rappresentano il centro esatto della Terra, in quanto la
parte superiore del corpo del demone è collocata nell’emisfero boreale,
mentre la parte inferiore (le gambe e
i piedi) è situata in quello australe.
Virgilio, capovolgendosi dunque in
corrispondenza del bacino di Lucifero, ha invertito la rotta e preso a salire, lungo le sue gambe, nell’emisfero
dove si trova il purgatorio.
85-87 > Poi uscì ... accorto passo:
i due poeti sono ormai fuori dell’inferno e si trovano in una grotta che
corrisponde, nell’altro emisfero, allo
stagno ghiacciato della Giudecca.
96 > già il sole ... riede: “già il sole
ritorna a metà dell’ora terza”. Con
l’ora terza s’indicavano le prime tre
ore della mattina (dalle 6 alle 9), per
cui la metà di tale ora saranno le 7 e
mezza. «Riede» è un latinismo dal
verbo latino redire (= ritornare). Al
calare della notte nell’emisfero boreale corrisponde lo spuntare del
giorno in quello australe.
97 > camminata: letteralmente “caminata” (o “camminata” nell’uso fiorentino) indica una sala di palazzo dotata di camino, spaziosa e luminosa.
98 > burella: termine fiorentino che
indica una cavità naturale.
100 > mi divella: è il latino devèllere, cioè “sradicare”, “strappare”.
102 > erro: dal latino error (= dubbio).
110-111 > ’l punto ... i pesi: secondo la filosofia aristotelica, il centro
della Terra è anche il centro di massima gravità, oltreché centro dell’universo.
inferno
inferno
XXXIV Canto
vedere
la commedia
Angeli e demoni
Per accentuarne la sua disumanità e ferocia il miniatore
aggiunge a Lucifero una quarta testa e introduce altri due
dannati che si contorcono tra
i suoi artigli. Ai due differenti
momenti del canto corrispondono due scene: a sinistra è
raffigurata l’arrampicata di
Dante e Virgilio lungo il corpo
di Lucifero; a destra la figura
di Lucifero è replicata in posizione capovolta, segno dell’avvenuto passaggio dei due
poeti all’altro emisfero. Il verde chiaro dello sfondo indica
che stanno giungendo all’uscita dell’inferno, prossimi
alla vista delle stelle splendenti nell’angolo superiore
destro della miniatura.
Maestro senese, 1440-1450,
I traditori della patria e degli ospiti, Ugolino; frate Alberigo, miniatura dal codice
Yates Thomson, 36, f. 61r.,
Londra, British Library
vedere
la commedia
Angeli e demoni
Il Lucifero di Zardo ha ben poco della bestiale macchina
“tritadannati” descritta da
Dante: «Lo ’mperador del doloroso regno» è descritto dal
poeta come un essere mostruosamente brutto e totalmente disumanizzato, laddove il pittore lo raffigura come
un maestoso gigante dallo
scultoreo torso michelangiolesco. Egli elimina dalla sua
rappresentazione ogni accenno alla deformità del sovrano
infernale, al suo avere tre teste di colori diversi e tre bocche bavose che maciullano i
traditori, per sposare la linea
interpretativa tardoromantica che lo trasforma nella potenza metafisica che contende al Cristo la sovranità sul
mondo.
Alberto Zardo, Apparizione di Lucifero, 1902, collezione
privata, Firenze.
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Canto
Canto
paradiso
I
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Per correr miglior acque alza le vele
omai la navicella del mio ingegno,
3 che lascia dietro a sé mar sì crudele;
e canterò di quel secondo regno
dove l’umano spirito si purga
6 e di salire al ciel diventa degno.
Ma qui la morta poesì resurga,
o sante Muse, poi che vostro sono;
9 e qui Calïopè alquanto surga,
seguitando il mio canto con quel suono
di cui le Piche misere sentiro
12 lo colpo tal, che disperar perdono.
Dolce color d’orïental zaffiro,
che s’accoglieva nel sereno aspetto
15 del mezzo, puro infino al primo giro,
a li occhi miei ricominciò diletto,
tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta
18 che m’avea contristati li occhi e ’l petto.
Lo bel pianeto che d’amar conforta
faceva tutto rider l’orïente,
21 velando i Pesci ch’erano in sua scorta.
I’ mi volsi a man destra, e puosi mente
a l’altro polo, e vidi quattro stelle
24 non viste mai fuor ch’a la prima gente.
Goder pareva ’l ciel di lor fiammelle:
oh settentrïonal vedovo sito,
27 poi che privato se’ di mirar quelle!
Com’io da loro sguardo fui partito,
un poco me volgendo a l’altro polo,
30 là onde ’l Carro già era sparito,
vidi presso di me un veglio solo,
degno di tanta reverenza in vista,
33 che più non dee a padre alcun figliuolo.
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1-6. La barchetta (navicella) del mio ingegno, che lascia
dietro di sé un mare così tempestoso (sì crudele), alza le
vele ormai per percorrere (correr) acque più tranquille
(miglior); e tratterò (canterò) di quel secondo regno dell’aldilà dove gli spiriti umani si purificano (si purga) (dalle loro
colpe) e diventano degni di salire al cielo.
7-12. Ma a questo punto la poesia che ha trattato di coloro che sono morti spiritualmente (la morta poesì) s’innalzi
(resurga), o sante Muse, dal momento che (in qualità di
poeta) vi appartengo (vostro sono); e Calliope alzi un po’ il
tono della poesia (alquanto surga) accompagnando (seguitando) il mio canto con quella melodia (suono) a causa
della quale le disgraziate (misere) Piche provarono (sentiro) un senso di sconfitta tale (lo colpo tal), che persero la
speranza (disperar) di essere perdonate.
13-18. Un dolce colore azzurro, come quello di uno zaffiro orientale, che si diffondeva (s’accoglieva) nell’aria serena (nel sereno aspetto del mezzo), pura fino all’orizzonte
(primo giro), restituì gioia (ricominciò diletto) ai miei occhi,
non appena (tosto ch’) uscii fuori dall’aria infernale (aura
– vedi Storie di parole, p. 000 – morta) che mi aveva rattristato (contristati) gli occhi e il cuore (petto).
19-21. Il bel pianeta Venere, che induce ad amare (d’amar
conforta), faceva risplendere (rider) tutta la parte orientale del cielo, velando con la sua luce la costellazione dei
Pesci che era in sua compagnia (scorta).
22-24. Io mi voltai a destra e concentrai la mia attenzione
(puosi mente) sull’emisfero antartico (a l’altro polo), e vidi
quattro stelle non viste mai da nessuno fuorché dai primi
uomini (la prima gente).
25-27. Il cielo sembrava godere della loro luce (di lor fiammelle): o emisfero boreale (settentrïonal ... sito) spoglio
(vedovo) dal momento che (poi che) non hai la possibilità
di ammirarle!
28-33. Non appena ebbi allontanato lo sguardo da loro,
rivolgendomi un poco verso il polo artico (l’altro polo), là
dove l’Orsa Maggiore (’l Carro) era già scomparsa, vidi
vicino a me un vecchio (veglio), solo, degno, a guardarlo
(in vista), di tanto rispetto (reverenza) quanto ne deve un
figlio nei confronti del padre.
1 > miglior acque: il purgatorio.
3 > mar sì crudele: l’inferno.
4-6 > quel secondo ... degno: ancora il purgatorio. I versi 1-6 costituiscono la proposizione del tema o
protasi che, insieme all’invocazione
alle Muse (vv. 7-12), fa parte del
proemio, che si conclude appunto
col verso 12. Riguardo a ciò vedi Microsaggio 3, p. 00.
7 > la morta poesì: quella che ha
trattato dell’inferno.
8-9 > o sante Muse ... Calïopè: le
Muse sono le divinità che presiedono
alle arti; Calliope è la Musa della poesia epica, la massima tra esse (vedi
Microsaggio 3, p. 00).
10-12 > seguitando ... perdono:
qui si allude al mito secondo cui le figlie di Pierio, re di Tessaglia, osarono
sfidare nel canto Calliope, la quale,
dopo averle sconfitte, le trasformò in
gazze (picae in latino) per punire la
loro superbia. Il mito è in Ovidio
(Metamorfosi, V, vv. 302 e ss.).
15 > mezzo: è il termine scientifico
che indica il canale, cioè l’elemento
attraverso il quale gli oggetti celesti
vengono percepiti dai nostri sensi.
19-21 > Lo bel ... scorta: Venere,
in primavera, è in congiunzione con
la costellazione dei Pesci che anticipa quella dell’Ariete.
23 > quattro stelle: allegoricamente rappresentano le quattro virtù
cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza).
24 > non viste mai ... gente: solo i
primi uomini, cioè Adamo ed Eva, ebbero la possibilità di vederle, in quanto collocati nel paradiso terrestre che
si trova appunto sulla sommità della
montagna del purgatorio e quindi nell’emisfero australe. Allegoricamente
significa che i due progenitori, almeno prima del peccato originale, furono illuminati dalla luce delle quattro
virtù cardinali nella loro condotta di
vita moralmente ineccepibile.
26-27 > oh ... quelle!: l’emisfero
boreale è stato privato della visione
delle quattro stelle dopo il peccato
originale commesso da Adamo ed
Eva, a causa del quale l’uomo ha perduto quel particolare stato di grazia
e di perfezione morale in cui si trovava. «Sito» significa “luogo”, “posto”,
dal latino situs (= posizione).
28 > loro sguardo: «sguardo» è un
nome con funzione di verbo, come se
fosse “guardare”, e «loro» ha valore
di complemento oggetto.
31 > veglio: è un gallicismo; vedi il
francese vieil e il provenzale velh,
che significano “vecchio”. Il «veglio» è Catone (vedi Personaggi, p.
000).
IL SAPERE DEL DOTTO MEDIEVALE
■
Virtù teologali e cardinali
I
paradiso
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La virtù è una naturale disposizione dell’animo
volta al bene. La teologia cattolica distingue le virtù
in intellettuali e morali; le prime perfezionano
l’intelletto, le seconde orientano la volontà al bene.
Dante, sulla scorta dell’Etica di Aristotele individua
undici virtù morali: fortezza, temperanza, liberalità, magnificenza,
magnanimità, onore, mansuetudine, affabilità, verità, eutrapelìa (il
moderarsi nel godimento dei piaceri), giustizia (Convivio IV, XVII, 4-6).
Secondo invece una codificazione tradizionale, anch’essa risalente ai filosofi greci antichi le principali virtù morali sono quattro e sono dette cardinali (fanno cioè da cardine, sono il fondamento per una vita virtuosa): prudenza (la capacità di distinguere il bene dal male), fortezza (il resistere
alle tentazioni, il superare le avversità), giustizia (l’intendere e operare il
bene), temperanza (il saper moderare i propri istinti e passioni).
Queste virtù riguardano la vita terrena e sono considerate dai cristiani il fondamento delle tre virtù teologali: fede (l’accettazione delle verità rivelate da Dio), speranza (l’attender con fiducia la venuta del regno
dei cieli), carità (l’amare Dio e il prossimo); queste sono infuse da Dio
e consentono il raggiungimento della beatitudine nella vita eterna.
Un riferimento alle virtù cardinali è in Purgatorio, XXXI, versi 103111 (ove si allude simbolicamente anche a quelle teologali). Di queste
ultime si tratta diffusamente nei canti XXIV, XXV, XXVI del Paradiso e
sono menzionate anche in Purgatorio, VII, versi 34-36.
vedere
la commedia
I paesaggi
Guttuso illustrò la Commedia
nel 1970, concependo un ciclo
che oggi ci appare molto segnato dalla sensibilità di quegli
anni. Sceglie qui di rappresentare «il tremolar de la marina»
(v. 117), sottolineando lo
splendore della natura, con la
sua alternanza di colori; la
temporalità, marcata dal poeta con l’insistenza sull’alternanza del giorno e della notte;
il recupero delle esperienze
sensoriali umane. La spiaggia
di Guttuso appare dunque come una metafora del ritorno
alla vita dopo la morte.
Renato Guttuso, La spiaggia del Purgatorio, 1970, acquerello, eredi dell’artista.
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Canto
Canto
purgatorio
I
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Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch’è sì cara,
72 come sa chi per lei vita rifiuta.
Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara
in Utica la morte, ove lasciasti
75 la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara.
Non son li editti etterni per noi guasti,
ché questi vive e Minòs me non lega;
78 ma son del cerchio ove son li occhi casti
di Marzia tua, che ’n vista ancor ti priega,
o santo petto, che per tua la tegni:
81 per lo suo amore adunque a noi ti piega.
73-75. Tu lo (’l) sai, poiché (ché) non ti dispiacque per
essa di morire (non ti fu per lei amara ... la morte) a Utica,
ove lasciasti il corpo (la vesta) che nel giorno del giudizio
universale (al gran dì) sarà così luminoso (sì chiara).
76-81. Le leggi (editti) eterne non sono state violate (guasti) da parte nostra (per noi), poiché costui è vivo e io non
sono sotto la giurisdizione di Minosse (Minòs me non lega);
ma la mia sede è nel limbo (son del cerchio) dove si trova
la tua casta Marzia, che nell’atteggiamento (che ’n vista)
ancora ti prega, o anima (petto) santa, che tu la consideri
(tegni) sempre tua moglie: per il suo amore dunque soddisfa le nostre richieste (a noi ti piega).
Lasciane andar per li tuoi sette regni;
grazie riporterò di te a lei,
84 se d’esser mentovato là giù degni».
82-84. Lasciaci (Lasciane) andare per le sette balze (regni)
di cui sei custode (tuoi); riferirò a lei cose gradite al tuo
riguardo (grazie riporterò di te a lei), se ti degni di essere
ricordato (mentovato) laggiù nell’inferno».
«Marzïa piacque tanto a li occhi miei
mentre ch’i’ fu’ di là», diss’elli allora,
87 «che quante grazie volse da me, fei.
85-90. «Marzia mi piacque tanto finché vissi (mentre ch’i’
fu’ di là)», disse egli allora, «che quanti favori (grazie: vedi
Storie di parole, p. 000) volle (volse) da me, io glieli concessi (fei). Ora che si trova di là dall’Acheronte (dal mal
fiume dimora), non mi può più commuovere (muover), in
base a quella legge che fu decisa quando uscii dal limbo.
Or che di là dal mal fiume dimora,
più muover non mi può, per quella legge
90 che fatta fu quando me n’usci’ fora.
Ma se donna del ciel ti move e regge,
come tu di’, non c’è mestier lusinghe:
93 bastisi ben che per lei mi richegge.
Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
d’un giunco schietto e che li lavi ’l viso,
96 sì ch’ogne sucidume quindi stinghe;
ché non si converria, l’occhio sorpriso
d’alcuna nebbia, andar dinanzi al primo
99 ministro, ch’è di quei di paradiso.
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70-72. Ora degnati di accettare (ti piaccia gradir) la sua
venuta: egli è alla ricerca della libertà, che è tanto preziosa, come sa chi per lei rinuncia alla vita.
91-93. Ma se una donna (donna: vedi Storie di parole, p.
000) del paradiso ti spinge (move) e guida (regge), come
tu dici (di’), non c’è bisogno di lusingarmi (non c’è mestier
lusinghe): è ben sufficiente (bastisi ben) che tu me lo
richieda (richegge) in suo nome (per lei).
94-99. Va’ dunque, e fai in modo di cingere (ricinghe)
costui con un giunco diritto (schietto) e di lavargli il viso, in
modo tale che (sì ch’) si cancelli (stinghe) di lì (quindi: vedi
Storie di parole, p. 00) ogni sudiciume (sucidume); poiché
(ché) non sarebbe conveniente (non si converria) presentarsi all’angelo del paradiso che è custode di questo regno
(al primo ministro, ch’è di quei di paradiso), con l’occhio
offuscato (sorpriso) dalla nebbia (di qualche colpa).
71-72 > libertà ... rifiuta: Catone
aveva preferito uccidersi, piuttosto
che rinunciare alla libertà politica,
quando Cesare aveva di fatto soppresso le libertà repubblicane. La libertà che va cercando Dante è, però,
quella morale dal peccato.
74 > Utica: città africana a nord di
Cartagine, dove Catone, al seguito
dell’esercito di Pompeo, ormai sconfitto dalle milizie di Cesare, si suicidò nel 46 a.C. (vedi Personaggi, p.
00).
75 > la vesta ... chiara: dopo il giudizio universale Catone siederà tra i
beati, in quanto il purgatorio non
avrà più motivo di essere.
76 > per noi: da noi (complemento
di agente); «per», in questo caso,
equivale al par francese.
77 > Minòs me non lega: la giurisdizione di Minosse comincia infatti
dal secondo cerchio. Il limbo si trova
invece nel primo cerchio.
79 > Marzia tua: Marzia era la moglie di Catone, al quale aveva dato
tre figli; poi era stata ceduta, come
racconta Lucano, all’amico Quinto
Ortensio che non ne aveva. Alla morte di quest’ultimo, la donna ritornò
da Catone. La vicenda, che non deponeva a favore della moralità di
Catone, fu interpretata da Dante in
senso allegorico, come il ritorno dell’anima a Dio alla fine della vita.
89 > quella legge: quando Cristo
discese nel limbo ne trasse fuori i
grandi patriarchi dell’Antico Testamento, e altre anime degne, per renderle beate; da quel momento fu in
vigore la legge, in base alla quale i
salvati sono nettamente divisi dai
dannati. Catone rimase nel limbo per
quasi ottanta anni.
97-98 > l’occhio ... nebbia: è l’ablativo assoluto latino. «Sorpriso»: letteralmente significa “sorpreso”.
FILI ROSSI NELLA COMMEDIA
Inferno e purgatorio
a confronto
Inferno:
si scende
Purgatorio:
si sale
peccati in ordine crescente di gravità
peccati in ordine decrescente di gravità
Lussuria
(II cerchio)
Superbia
(I cornice)
Gola
(III cerchio)
Invidia
(II cornice)
Avarizia e
prodigalità
(IV cerchio)
Ira
(III cornice)
Ira e accidia
(V cerchio)
I
purgatorio
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Accidia
(IV cornice)
Eresia
(VI cerchio)
Avarizia e
prodigalità
(V cornice)
Violenza
(VII cerchio)
Gola
(VI cornice)
Frode
(VIII e IX cerchio)
Lussuria
(VII cornice)
Le differenze fra i due regni dell’oltretomba riguardo ai peccati sono dovute ai seguenti fattori:
a) nell’Inferno Dante segue l’etica aristotelica predominante nel mondo pagano fino alla nascita di Cristo (tripartizione in peccati d’incontinenza, di violenza, di frode). In quelli d’incontinenza sono compresi cinque dei peccati capitali, ma sono esclusi la superbia e l’invidia (presenti invece nel Purgatorio);
b) nel Purgatorio Dante segue lo schema dei sette peccati capitali, tipico della dottrina cristiana
(vedi Il sapere del dotto medievale, p. 00).
Il fatto ad esempio che alcuni peccati s’incontrino in ordine inverso nel passaggio dall’Inferno al
Purgatorio, è dovuto al mantenimento per essi dello stesso criterio di gravità.
Ad esempio la lussuria è il primo che s’incontra nell’Inferno: essendo un peccato d’incontinenza e
quindi di minore gravità, è collocato alla maggiore distanza da Lucifero (il male assoluto). Nel
Purgatorio la lussuria s’incontra invece per ultima (VII cornice), sempre alla maggiore distanza da
Lucifero e alla minore da Dio. Ciò vale, quanto a collocazione, per tutti gli altri peccati.
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