WTO, Codex Alimentarius e biotecnologie
Transcript
WTO, Codex Alimentarius e biotecnologie
WTO, Codex Alimentarius e biotecnologie di Luca Colombo Con l’avvicinarsi del vertice del World Trade Organization (WTO) ad Hong Kong (13-18 dicembre), dove l’agricoltura continuerà a rappresentare uno dei terreni più ostici e potenzialmente risolutivi del negoziato, si tornerà a prestare attenzione alle condizioni di competitività nel commercio degli alimenti. Ogni volta che si accendono i riflettori sul binomio agricoltura-WTO, il focus sul trade alimentare è sempre posto sugli aspetti quantitativi dell’intervento pubblico in agricoltura (entità di tariffe e dazi, sussidi interni e sovvenzioni all’esportazione) o sul riconoscimento a livello internazionale delle denominazioni di origine (tema importante per l’Italia), mentre scarsa attenzione è stata posta sugli aspetti “qualitativi” di processi e prodotti alimentari. La nascita nel 1995 del WTO porta con sé il varo di due trattati, quello sulle Misure Sanitarie e Fitosanitarie (accordo SPS) e quello sulle Barriere Tecniche al Commercio (accordo TBT), che rappresentano un potente strumento di regolazione del mercato internazionale. Questi trattati fanno riferimento al Codex Alimentarius, in qualità di organismo tecnico di riferimento per la fissazione di standard sulla sicurezza degli alimenti, all’Ufficio Internazionale delle Epizoozie, per le zoonosi e la salute animale, e alla Convenzione Internazionale per la Protezione delle Piante, per le patologie vegetali e i conseguenti trattamenti fitosanitari: organismi, questi ultimi, di gran lunga meno importanti per impatto e rilevanza rispetto al Codex. Il WTO conferisce dunque al Codex Alimentarius un ruolo che assume una rilevanza ancor più stringente alla luce della crescente importanza assunta dall’Organo di Risoluzione delle Dispute (DSU), ossia l’organo di arbitrato gergalmente chiamato il “Tribunale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio”: dal 1995 al 2002 sono state adite 241 vertenze presso il DSU su presunte infrazioni dell’accordo SPS; a queste si deve aggiungere la vertenza sugli OGM che vede l’Europa sul banco degli imputati per la ormai decaduta moratoria de facto, a seguito della causa indetta da USA, Canada e Argentina nel giugno 2003 su cui il panel del WTO dovrebbe esprimersi nel gennaio 2006. È evidente che nelle 241 vertenze adite presso il DSU il Codex rappresenti uno degli strumenti tecnici cui ricorrere per giungere a giudizio: a differenza quindi delle misure quantitative contenute nell’Accordo sull’Agricoltura, la cui modifica è oggetto del negoziato fra blocchi di paesi e che ha il suo momento di emergenza e di visibilità nel corso dei vertici del WTO (Seattle, Doha, Cancun e ora Hong Kong) o dei Consigli Generali di preparazione, gli aspetti di conformità sanitaria vengono governati attraverso la fissazione di standard presso il Codex (senza godere dei riflettori che si illuminano durante le riunioni del WTO) o tramite l’esercizio giurisprudenziale del cosiddetto tribunale del WTO. Due momenti, quello negozial-sotterraneo e quello giurisprudenziale, che rischiano di minare in forma surrettizia la sovranità alimentare dei paesi e che producono il “conformismo della conformità”. Se infatti la qualità continua a essere evocata come termine di riferimento per i processi e i prodotti alimentari, quando si discute di commercio internazionale, questa non viene mai declinata in termini organolettici, ma in funzione del must delle garanzie sanitarie omologanti e dell’adesione a procedure standardizzate di produzione e commercializzazione del cibo, da perseguire attraverso la chiave della qualità strumentale (HACCP, contenuto tecnologico, codificazione merceologica delle materie prime). Accade così che il Codex Alimentarius, organismo deliberante, attivo ed estremamente rilevante in materia di sicurezza degli alimenti, non sia “famoso” come il suo mandato lascerebbe presumere. Varato nel 1962 come organo congiunto della FAO e dell’OMS con il fine di rispondere alle esigenze di vigilare sulla salute dei consumatori e di assicurare pratiche corrette nel commercio del cibo, il Codex Alimentarius ha adottato da allora all’anno 2000: 237 standard per commodities; 41 codici di buone prassi tecnologiche o igieniche; 185 valutazioni di pesticidi; 3.274 limiti per residui di pesticidi; 25 linee guida per contaminanti; 1.005 valutazioni di additivi alimentari; 289 valutazioni di farmaci veterinari. Si tratta di un corpus di norme tecniche estremamente articolato che oggi costituiscono un riferimento operativo per i 166 paesi membri, comportando al contempo anche ricadute impegnative per i pochi paesi che non vi aderiscono e che sono implicitamente chiamati a ispirarsi e conformarsi agli standard del Codex per garantire sbocchi commerciali alle proprie esportazioni alimentari. La questione biotecnologica è trattata nel Codex Alimentarius a partire dal 1993 con l’apertura di un negoziato nel Comitato sull’Etichettatura e ha preso maggior vigore con il lavoro prodotto dalle Task Force sui cibi biotecnologici. La Task Force del Codex sugli alimenti derivanti da moderna biotecnologia ha infatti riaperto i suoi lavori nello scorso mese di settembre, a Chiba (Giappone), dopo la chiusura del primo ciclo (1999/2003) che ha portato alla redazione di linee guida sulla valutazione del rischio di alimenti derivanti da piante o microrganismi geneticamente modificati. Lo scope della seconda Task Force, destinata a sviluppare standard, linee guida o raccomandazioni, e che dovrebbe concludere i lavori nell’arco di un quadriennio, è stato inizialmente suggerito nelle seguenti aree di lavoro da definire in via formale al tavolo negoziale di Chiba: 1. alimenti derivati da animali: – animali transgenici, inclusi pesci; – animali clonati; 2. alimenti derivati da piante: – piante che esprimono sostanze bioattive o piante nutrizionalmente potenziate; – piante con stacked genes (ossia più geni che conferiscono differenti tratti nella stessa pianta); – piante che esprimono sostanze farmaceutiche o altre sostanze non alimentari; 3. bassa presenza di alimenti geneticamente ingegnerizzati non autorizzati in cibi autorizzati; 4. analisi comparativa della composizione degli alimenti. Al termine della settimana di negoziato di Chiba è stato stabilito di avviare un percorso di definizione di linee guida sugli animali transgenici e di valutazione di impatto sanitario su OGM a modificato profilo nutrizionale (del tipo Golden rice), e le deliberazioni che si produrranno al termine dei quattro anni di lavoro rappresenteranno una pietra angolare a partire dalla quale si definiranno le sorti di una nuova potenziale generazione di alimenti transgenici. Diversamente, temi più scottanti nell’agenda attuale, come la contaminazione da eventi non autorizzati (si veda il caso del Bt10 che ha scosso le relazioni commerciali transatlantiche nella scorsa primavera) o il cosiddetto “biopharming”, con la seria problematica degli effetti sanitari da molecole di carattere farmaceutico introdotte accidentalmente nella catena alimentare, sono state escluse dal tavolo del negoziato quadriennale. Come per altri aspetti legati alla sicurezza degli alimenti, anche il tema dei cibi transgenici rischia di essere trattato in ambito Codex (sia nei Comitati tecnici che nelle Task Force) attraverso la definizione di una baseline normativa (in materia di valutazione di impatto, registrazione, etichettatura) definita sulla base di un minimo comune multiplo fra i diversi paesi. Analogamente, anche il ricorso a strumenti giudiziari che sanzionino le anomalie può determinare una pericolosa erosione di sovranità nel governo della qualità e salubrità del cibo: è quanto potrebbe accadere con la minaccia di vertenza contro i Regolamenti europei sulla Tracciabilità ed Etichettatura degli OGM, già invocata dalle lobby agricole e biotecnologiche nordamericane, che potrebbe trovare nelle norme in corso di negoziazione nel Comitato Etichettatura del Codex lo strumento di sabotaggio, privando di strumenti di governo del rischio biotecnologico (la tracciabilità) e di diritto all’informazione dei consumatori (l’etichettatura). Il Consiglio dei Diritti Genetici ha riconosciuto nel Codex un terreno di definizione delle norme alimentari (a partire da quelle che investono la sfera delle biotecnologie) tanto importante quanto oscuro, costituendo un luogo decisionale poco monitorato e partecipato dalle organizzazioni della società civile. Anche per questa ragione ha creduto di dover seguire (e inseguire) il Codex fino in Giappone, partecipando, in seno alla delegazione italiana, ai lavori della Task Force. Per saperne di più: http://www.consigliodirittigenetici.org/new/missionecodex.pdf