22 - Centonove
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22 - Centonove
Sicilia 27 GENNAIO 2012 centonove IL CASO. Una denuncia riaccende le polemiche sugli sbarchi del marzo 2010 Tunisini spariti, c’è un testimone Un “sopravvissuto” presenta un esposto alla Digos di Parma su un presunto attacco della Marina militare ai danni di un barcone di clandestini. Ma ora nel mirino c’è anche il Consolato di Palermo DI ETTORE IACONO PARMA. Tra le acque del Mediterraneo e la sabbia di Lampedusa, dal marzo 2010 si sono perse le tracce di centinaia di giovani tunisini. Un mistero ancora irrisolto che alimenta proteste e che ora sembra generare fantasmi. Qualcuno prova a soffiare sulle braci ancora ardenti della “primavera dei gelsomini”, additando fra i responsabili delle sparizioni la Marina militare italiana. In una realtà tutt'altro che rasserenata e dagli equilibri ancora piuttosto labili, insinuare dubbi di questa natura potrebbe rivelarsi un pericoloso detonatore. E forse a qualcuno potrebbe far comodo continuare ad agitare le acque nel dopo Ben Alì. Ma sulla vicenda è stato presentato un dettagliato esposto alla Digos della Questura di Parma, in cui si fa riferimento a una nota che il Consolato tunisino di Palermo, con l'avallo dell'Ambasciata di Roma, avrebbe inviato al ministero degli Affari esteri di Tunisi. I viaggi dei barconi finiti sotto la lente d'ingrandimento sono quelli dell'1, del 14, del 22 e del 29 marzo 2010. LA DENUNCIA. A far esplodere il caso, la testimonianza di un presunto sopravvissuto, Mohammed Elhadi, pubblicata in lingua araba dal giornale tunisino “Assabah”. L'uomo sostiene che il 29 marzo scorso, a poche miglia da Lampedusa, una delle unità navali della Marina avrebbe aperto il fuoco contro un barcone di disperati in navigazione verso le coste italiane. Nell'affondamento della carretta del mare sarebbero morti quasi tutti. Il testimone parla di 101 vittime abbandonate al loro destino, mentre lui sarebbe stato tratto in salvo dagli stessi militari italiani e condotto nel centro di identificazione ed espulsione di Trapani. Versione che, secondo il giornale africano, sarebbe in qualche modo sostenuta da una Rebeh Kraiem, guida un nutrito gruppo di donne per rintracciare i connazionali. In basso, in una foto in primo piano segnalazione arrivata da Palermo al ministero degli Affari esteri tunisino. MA POCHI CI CREDONO. Una ricostruzione alla quale i tunisini residenti in Italia non credono. Ma temono che notizie gonfiate o false, magari fatte circolare ad arte, possano innescare una escalation di violenze e un odio immotivato verso l'Italia e i tanti italiani che nel Paese africano lavorano. Oltre a minare il percorso di democratizzazione faticosamente avviato con la rivolta dei gelsomini. Un rischio che vogliono scongiurare ad ogni costo, anche attraverso l'esposto presentato alla Digos di Parma da Rebeh Kraiem, 54 anni, rifugiata politica, fuggita oltre vent'anni fa dal regime di Zine El Abidine Ben Alì, arrivato al potere alla fine degli anni Ottanta tramite un cosiddetto “golpe bianco” favorito dall'allora governo italiano presieduto da Bettino Craxi. La Kraiem che con la sua associazione “Giuseppe Verdi” coordina la ricerca degli scomparsi ed è in contatto costante con i loro familiari rimasti in Tunisia - solleva dubbi sull'operato del Consolato di piazza Ignazio Florio. Davanti al quale ha anche guidato un presidio di protesta il 12 e il 13 settembre scorsi (insieme al Cub palermitano, al sindacato Alba, al Coordinamento migranti di Verona, al Comitato immigrati in Italia, all'Associazione El Waad, alla Comunità tunisina in Sicilia), accusando la rappresentanza diplomatica di Tunisi in Sicilia – dal 2008 guidata dal console Abderrahmane Ben Mansour - di non essersi impegnata nella ricerca di queste centinaia di desaparecidos e di avere troppi legami con il passato regime di Ben Alì. I PUNTI OSCURI. La testimonianza pubblicata da “Assabah”, fra l'altro, non sembra sostenuta dalla logica. Perché la nave italiana avrebbe sparato al barcone? Perché i militari avrebbero salvato quel “pericoloso” testimone dopo aver lasciato annegare tutti gli altri clandestini nel Canale di Sicilia? L'uomo ha fornito anche l'elenco dei morti, ben 101 nomi, con tanto di anno di nascita: come faceva a conoscere così bene tutti i suoi compagni di viaggio stipati su un barcone dove certamente non è prevista la lista dei passeggeri? Ma c'è di più: quel “sopravvissuto”, stando alle L’INTERVISTA «Non infangate i militari» La paladina Rebeh Kraiem difende le autorità italiane. E sui suoi giovani connazionali spiega... PARMA. Rebeh Kraiem è sempre in prima fila nel tentativo di richiamare l'attenzione delle autorità tunisine. Insieme a un nutrito gruppo di donne africane e italiane, da un anno si batte per rintracciare i suoi connazionali svaniti nel nulla. «La Marina militare e le forze dell'ordine italiane – dice con slancio Rebeh - ci hanno sempre dato una grande mano nell'accoglienza di quei ragazzi che lasciano la Tunisia. Non posso permettere che qualcuno infanghi così il loro non facile lavoro, né che si infanghi il nome dell'Italia, Paese che ci ha dato la possibilità di credere in un futuro. Con l'esposto alla Digos ho voluto informare le autorità italiane del rischio che qualcuno possa agitare fasce di popolazione tunisina, lasciando credere loro che i barconi siano stati affondati o che questi ragazzi siano stati fatti sparire volutamente». Rebeh, ha qualche idea su dove possano essere finite tutte queste persone, si parla di ben ottocento? «La traversata tra la Tunisia e la Sicilia con imbarcazioni fatiscenti stracariche di vite umane è sicuramente molto rischiosa. Siamo consapevoli che possono essere accaduti tanti incidenti. Ma molti giovani che stiamo cercando, sono stati riconosciuti nelle immagini degli sbarchi a Lampedusa. Il nostro sospetto è che possano essere ancora rinchiusi, sotto falso nome, nei centri di identificazione ed espulsione. Per il passato regime, così come per alcune autorità tunisine tutti coloro che hanno lasciato clandestinamente la Tunisia sono traditori da torturare e incarcerare. Sotto Ben Alì erano a rischio anche le loro famiglie. Ecco perché i tunisini non dicono il loro vero pagina 22 nome e neppure quale sia la loro nazionalità». Non potrebbe anche essere che in tanti siano riusciti ad eludere la sorveglianza e ad allontanarsi facendo perdere le tracce? «Può essere. Ma in questo caso non avrebbero avuto difficoltà a contattare le loro famiglie, evitando così di essere cercati». Lei punta da mesi l'indice contro il Consolato tunisino di Palermo. Perché? «Visto che questi ragazzi sono sbarcati in Sicilia, l'8 di agosto ho pensato di prendere contatti con il Consolato tunisino di Palermo per avere un incontro. Volevo portare nomi, foto, materiale di cui sono in possesso per chiedere l'aiuto delle autorità del mio Paese nella ricerca di questi giovani. Il console Abderrahmane Ben Mansour mi ha dato appuntamento il 3 settembre a mezzogiorno, alla fine del Ramadan, perché dopo sarebbe partito per le ferie. Sono arrivata a Palermo il 2 settembre e ho subito chiamato al Consolato per confermare l'incontro del giorno