ASCOM - Città metropolitana di Bologna

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ASCOM - Città metropolitana di Bologna
Osservazioni sul Documento Preliminare e sul Quadro
Conoscitivo del PTCP
LE ‘ATTIVITÀ COMMERCIALI’
Premessa
Il decreto Bersani ha cominciato a dispiegare i suoi effetti in modo consistente a partire
dal 2000. La riforma, con il suo disegno volto alla liberalizzazione delle licenze
commerciali, si è inserita in una fase indubbiamente critica per il settore, condizionato
(allora ed oggi) da una situazione economica incerta, da una contrazione ormai
‘strutturale’ dei consumi e soprattutto dalla crisi della rete distributiva, sempre più
interessata da profonde e rapide trasformazioni.
La nuova normativa, nei primi due anni di attuazione, ha comprensibilmente alimentato
incertezza sulle prospettive del settore, e si è esposta anche a valutazioni negative: non
tanto perché con una liberalizzazione tout-court, nella sostanza, non si risolvono tutti i
problemi del comparto, ma soprattutto perché con la riforma, dato lo scenario nel quale
essa si è andata a calare, si poteva fare di più, rappresentando essa un'occasione - fino
ad oggi non colta - per creare le premesse necessarie ad un riequilibrio della rete
commerciale.
E' chiaro, infatti, che una riforma, tesa a valorizzare i principi del libero mercato e della
concorrenza attraverso una drastica liberalizzazione, è del tutto vana, se applicata ad una
rete distributiva che ha conosciuto, in particolare nella nostra area, uno sviluppo
distorto, orientato a favorire i grandi insediamenti commerciali e a tutto svantaggio del
commercio tradizionale, nei centri storici così come nelle aree commerciali della
periferia.
Più volte abbiamo richiamato l'attenzione sul fatto che nell'ultimo decennio, a causa del
massiccio e troppo rapido sviluppo della grande distribuzione, si sono creati
preoccupanti scompensi nel nostro sistema distributivo. In particolare, si è determinato
un grave impoverimento della rete commerciale, soprattutto nelle aree periferiche e
nella cintura urbana, ma anche nei centri storici, piccoli e grandi, nonché nelle realtà
decentrate della nostra provincia.
Di fronte a questo fenomeno, nondimeno, il commercio di vicinato, la rete dei piccoli
esercizi che si è storicamente strutturata in modo diffuso e capillare sul territorio,
continua a mantenere la propria fondamentale funzione. Anzi, si può dire che proprio la
‘desertificazione’ commerciale di tante aree dimostra l’insostituibile valore di questo
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tessuto, in termini di presidio non solo commerciale, ma anche sociale e civile del
territorio e in termini di servizio garantito alla popolazione, soprattutto delle fasce più
deboli.
In molte occasioni, ben prima della riforma Bersani, Ascom Bologna ha rappresentato
alle Amministrazioni locali l'esigenza di contrastare gli squilibri della rete distributiva
attraverso una programmazione a largo respiro, tesa ad una politica di riqualificazione e
di valorizzazione della rete distributiva nelle aree urbane.
Tale politica dovrebbe condurre, nel rispetto delle vocazioni espresse dal territorio,
all'elaborazione di soluzioni articolate, praticabili con gradualità all’interno di aree
omogenee, nella città e nei comuni del territorio provinciale, che abbiamo come
obiettivo quello di consentire un’adeguata fruizione della funzione commerciale con
interventi che riguardino: l’accessibilità, la viabilità, il trasporto pubblico, i parcheggi,
le piste ciclabili, le aree di carico e scarico merci, tutta la rete dei servizi, l’arredo
urbano, il recupero delle situazioni di degrado architettonico e monumentale e, in
genere, l’eliminazione di quegli elementi che costituiscono ostacolo allo sviluppo
sociale ed economico.
L’entrata a regime della nuova normativa sul commercio
La fase di transizione per l’entrata a regime delle norme del Decreto Bersani, recepite
dalla Regione Emilia Romagna con l.r 14/99, ha mostrato che le scelte effettuate dagli
Amministratori hanno profondamente modificato nella prassi concreta le aspettative
delle piccole e medie imprese del commercio che andavano nella direzione di una
valorizzazione delle rete commerciale di vicinato.
In sede della Conferenza Provinciale dei Servizi, prevista dall’art. 7, l.r. 14/99, Ascom
Bologna ha del resto ripetutamente sostenuto che per favorire uno sviluppo equilibrato
del commercio sul territorio, evitando così il rischio di produrre gravi lacerazioni socioeconomiche, si doveva prevedere, da parte dell’Ente Provinciale, la fissazione di criteri
generali guida per definire le aree destinate agli insediamenti della grande distribuzione.
Ciò avrebbe permesso di limitare gli effetti distorsivi.
La richiesta poggiava le sue fondamenta su tre semplici constatazioni che qui si
riformulano. In primo luogo, la normativa vigente considera prioritari il mantenimento e
la valorizzazione del tessuto commerciale esistente nonché la rivitalizzazione del
commercio di vicinato nei centri storici, nelle periferie e nelle frazioni. Questi devono
essere i presupposti per guidare l’azione pianificatoria dei grandi insediamenti.
In secondo luogo, per non perdere la visione complessiva delle trasformazioni del
territorio, la programmazione di nuovi insediamenti va condotta a livello provinciale e
non può essere lasciata alle singole Amministrazioni locali.
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In terzo luogo, nella provincia di Bologna si registra una forte presenza della grande
distribuzione le cui strutture di vendita sono in serrata competizione. Altre aperture non
adeguatamente pianificate possono quindi avere effetti negativi (e non soltanto in
termini di distruzione della rete distributiva di vicinato).
Nonostante le osservazioni critiche presentate dalla nostra Associazione, la Conferenza
Provinciale dei Servizi si è conclusa con una omologazione delle proposte localizzative
avanzate dai comuni, anche se va dato atto all’Ente Provincia di aver condotto
un’importante azione di filtro che senza dubbio ha limitato le pretese insediative delle
Amministrazioni locali e introdotto requisiti urbanistici come condizione per la
realizzazione delle grandi strutture.
Il disegno pianificatorio è stato successivamente portato avanti, con la scelta dei
Comuni, fatta propria dalla Provincia, di convocare, invece di un'unica Conferenza di
Pianificazione (prevista dalla delibera del Consiglio Regionale n. 1410/2000) per
l’Ambito di Bologna (non comprendente il comprensorio di Imola che costituisce a sua
volta un Ambito di pianificazione specifico), più Conferenze mano a mano che
venivano presentati i programmi di attuazione dei Comuni per la grande distribuzione.
Ciò ha prodotto come conseguenza l’impossibilità di verificare, valutandone gli impatti
prima delle Conferenze di Servizi ex art. 9 d.lgs. 114/98, l’effetto cumulativo dei nuovi
insediamenti della grande distribuzione autorizzabili.
Il passaggio delle Conferenze di Pianificazione ha avuto inoltre la connotazione di un
mero “adempimento” anche perché, come era largamente prevedibile, le Conferenze
hanno assunto il ruolo di “luoghi di compensazione” in cui si sono ratificate le scelte
localizzative dei nuovi insediamenti senza che tra i comuni interessati si instaurasse un
reale confronto.
Quindi: omologazione delle scelte localizzative di potenziali insediamenti e mancata
valutazione degli effetti cumulativi degli insediamenti previsti nei piani comunali della
grande distribuzione.
.
I range (cioè gli intervalli di variazione della superficie delle grandi strutture rispetto
alla situazione esistente) che sarebbero dovuti servire come riferimento per i programmi
di attuazione dei comuni e per le stesse decisioni in sede di Conferenza di Pianificazione
sono stati definiti dalla Provincia sulla base di parametri non ben individuati addirittura
dopo la prima Conferenza di Pianificazione.
Superata la fase delle valutazioni di ordine pianificatorio, si sono svolte a partire dalla
fine del 2000 le Conferenze di Servizi ex art. 9 d.lgs. 114/98 dove il tema oggetto di
decisione è stato solo quello autorizzatorio del singolo insediamento, non più quello di
una valutazione complessiva a livello provinciale dell’impatto economico-viabilistico-di
inquinamento delle varie aperture.
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La Conferenza di Servizi ex art. 9 d.lgs. 114/98 non costituisce d’altronde una sede di
pianificazione in senso stretto tant’è che nel decreto Bersani si sancisce che essa decide
in base alla conformità dell’insediamento ai criteri di programmazione (che, quindi, si
presume, dovevano essere definiti in una fase antecedente).
Il meccanismo che si è venuto a formare durante le fasi pianificatorie ha condotto
successivamente a dei sostanziali automatismi. Infatti, una volta definite le scelte
localizzative e definiti i programmi dei Comuni per gli interventi ammissibili nei primi
due anni, le autorizzazioni sono state concesse, sia pure dopo una attività istruttoria in
Conferenza di Servizi, a tutti i soggetti proponenti: non vi è stato alcun diniego.
E non avrebbe potuto essere diversamente stante l’architettura pianificatoria adottata
che è di carattere esclusivamente urbanistico. Nelle conferenze di servizi è stata
richiesta la documentazione sull’impatto economico del singolo insediamento che, in
quella fase autorizzatoria, è stata di utilità quasi nulla. Valutazioni sull’impatto socioeconomico si sarebbero dovute fare nelle fasi precedenti, per costruire un quadro
analitico di riferimento, sia in Conferenza Provinciale dei Servizi ex art. 7, l.r 14 , sia
nella successiva Conferenza di Pianificazione unitaria.
Il procedimento pianificatorio adottato in fase di prima attuazione della normativa
regionale, non ha tenuto conto quindi degli aspetti socio-economici collegati alle nuove
aperture né tantomeno alle conseguenze delle nuove aperture sul tessuto urbano dal
punto di vista degli effetti cumulativi sulla viabilità, sull’inquinamento, e sulla stessa
funzione sociale di integrazione delle nostre città.
La programmazione commerciale nel PTCP
Dopo una fase di due anni in cui sono state adottate scelte rilevantissime in termini di
sviluppo della rete distributiva ci si attendeva di tornare a ragionare in termini di
pianificazione anche economica e non solo urbanistica dei nuovi insediamenti della
grande distribuzione in sede di predisposizione del PTCP.
.
Non sembra però che ciò si stia verificando nonostante le nostre osservazioni espresse
in tutte le Conferenze di Servizi autorizzatorie ed in un nostro recente documento di
commento al primo manifesto del PTCP.
Con riferimento alla documentazione preparatoria per il PTCP che è stata inviata alle
Associazioni, per quanto riguarda la parte dedicata al commercio, non si può
innanzitutto condividere, perché fortemente riduttiva rispetto alla portata della riforma
del commercio, l’affermazione contenuta nel Quadro conoscitivo a pag. 221 secondo la
quale lo spirito del Decreto Bersani va “nella direzione di una programmazione delle
medie e grandi strutture non più basata sulle barriere all’entrata e sugli equilibri
interni al settore, ma sul servizio offerto al consumatore, sulla concorrenza,
sull’idoneità della collocazione degli insediamenti”.
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E’ vera sì l’importanza data dal legislatore al servizio reso al consumatore, ma è
altrettanto cogente la finalità che il decreto pone inequivocabilmente di equilibrio della
rete distributiva. Equilibrio che si manifesta in una pluralità di offerta che va proprio
letta in termini di potenzialità di servizio per il consumatore.
Se appare condivisibile l’analisi sui dati relativi al settore, non si comprendono però le
ragioni per cui - posto che si è rilevata una forte contrazione del numero totale dei punti
vendita tra il 1991 e i1 1998 e che la novità più allarmante degli ultimi anni, sempre
usando le parole del documento oggetto di analisi, è però il verificarsi di una
significativa flessione anche nel comparto non alimentari (p. 224 del Quadro
conoscitivo) - in sede di definizione di range l’Amministrazione Provinciale abbia
voluto prevedere un aumento del 75% delle grandi superfici di vendita non alimentari
dell’Ambito Bolognese portandole, in base a criteri non definiti, da mq 76.000 a mq
134.000.
D’altronde come si afferma a pag. 225 del Quadro Conoscitivo, quasi con tono
darwiniano “Gli ipermercati diventano così, nel corso degli ultimi dieci anni, la
tipologia emergente, quella che più ha contribuito a cambiare le abitudini di acquisto
della popolazione e a fornire risposte alle nuove famiglie che sono andate ad abitare in
periferia e in provincia”.
E poi, a pag.122 del Documento Preliminare, con enfasi si aggiunge: “Dopo la stagione
in cui sono sorti i grandi centri commerciali, l’evoluzione dei consumi e del tempo
libero propone oggi nuovi tipi di grandi attrattori di utenza nella forma di parchi
tematici, multisale cinematografiche, family park, grandi complessi di attrezzature
ricreative, sportive, commerciali e ricettive”.
Da queste poche note sembra intendersi una visione favorevole allo sviluppo di un
segmento distributivo, quello della grande distribuzione nella forma del parco
commerciale che difficilmente si può conciliare con il quadro di equilibrio auspicato dal
legislatore se gli insediamenti autorizzati o autorizzabili superano soglie dimensionali
che complessivamente sono già elevate.
L’approccio per poli funzionali del commercio, o se si vuole, per parchi commerciali
crea le premesse per rendere limitati gli effetti degli interventi di sostegno alla rete
commerciale di vicinato che non possono avvenire in un quadro in cui le modalità di
consumo non si modificano ‘naturalmente’ ma ‘razionalmente’ con la creazione di poli
commerciali dotati di grande capacità attrattiva che ambiscono a diventare le nuove
‘città’ dove si spende il tempo libero. Città dove si perde oramai la dimensione del
commercio tradizionale, rappresentata dalle gallerie di negozi, per dare lo spazio a
grandi superfici specializzate.
Diventa difficile comprendere come l’obiettivo, inserito nei documenti preparatori del
PTCP, di creazione di nuovi poli funzionali terziari e commerciali, possa coesistere con
quello della valorizzazione dei centri storici anche in termini di consolidamento del
commercio di vicinato.
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Il tema dei parchi commerciali richiama quello della viabilità perché è evidente che il
traffico generato dai grandi parchi commerciali su una rete viaria insufficiente crea
problemi rilevanti per lo sviluppo della nostra comunità economica. L’apertura
concomitante delle nuove grandi superfici autorizzate renderà ancor più evidente tale
aspetto e comporterà dei ‘costi’ per la collettività, non solo oneri di urbanizzazione.
Si comprende pertanto come la scelta di campo della Provincia abbia portato, come si
legge nel Quadro Conoscitivo a pag. 226, “ad un atteggiamento ‘virtuoso’, di
contenimento e di realistica previsione di sviluppo” che però ci condurrà nel giro di due
anni ad avere nell’Ambito Bolognese circa 230.000 mq di grande distribuzione che
rappresenta una soglia dimensionale elevatissima tenendo conto anche della sostanziale
liberalizzazione delle autorizzazioni per medie strutture (fino a 2500 nei comuni con più
di 10.000 abitanti, fino a 1500 mq per gli altri e nella nostra provincia esistono almeno
19 comuni con più di dieci mila abitanti).
L’aumento dimensionale della grande distribuzione nell’Ambito Bolognese si attesterà
complessivamente sul 44% in più rispetto alla situazione antecedente con il rischio che
altre aree già potenzialmente insediabili vengano inserite nei programmi dei Comuni.
Si tenga presente che Bologna, secondo le anticipazioni di una ricerca di MinindustriaAnci-IPI su 14 aree metropolitane, è già la città con la quota maggiore in Italia della
superficie commerciale utilizzata da ipermercati e grandi magazzini con oltre cento
metri quadrati per mille abitanti. Casalecchio, che non viene considerata dalla ricerca,
probabilmente, supera di gran lunga Bologna con la presenza di due parchi commerciali.
Della situazione che si è venuta a creare nella provincia si è accorta la Regione che,
tardivamente, dopo aver espresso sempre pareri positivi nelle Conferenze di Servizi ex
art. 9 d.lgs 114/98, tramite alcuni suoi autorevoli esponenti, ha evidenziato anche sulla
stampa che tra il nostro territorio e quello restante della regione si è creata una profonda
differenza in termini di presenza della grande distribuzione e nella fattispecie di
ipermercati. Nel solo settore alimentare la provincia di Bologna ha il 24% della
superficie commerciale destinata a iper, contro il 12% regionale.
Questi dati non rappresentano “astratti indicatori“ come invece vengono definiti nel
Documento Conoscitivo a p. 230, ma sono strumenti, chiavi di lettura e di
interpretazione di fenomeni di cui non si può non tenere conto nella pianificazione.
L’elencazione di una serie di criteri, pur importanti, di natura ‘geografica’ o
morfologica da utilizzarsi in sede di PTCP nell’individuazione delle aree a vocazione
commerciale, sconta quindi la mancata indicazione di importanti elementi di natura
socio-economica, per determinare in senso compiuto gli intervalli ed i range di sviluppo
degli insediamenti commerciali.
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Pur non volendo rappresentare in questa sede una posizione netta di contrasto alla
necessaria modernizzazione della rete distributiva, sempre in un quadro generale
di equilibrio, riteniamo tuttavia che non vi siano obiettivamente più spazi per la
previsione di nuove aperture.
Lo stesso trend demografico, in calo nella nostra provincia, ed i dati sull’elevata età
media della popolazione rivelano l’esigenza di assicurare una forte differenziazione
dell’offerta distributiva a tutela delle fasce più deboli.
A ciò si deve aggiungere che il fatturato commerciale si continua a rivelare stagnante
per tutte le tipologie distributive: un’analisi effettuata dal Centro Studi Confcommercio
sui dati diffusi dall’Istat evidenzia che anche in febbraio il valore delle vendite del
commercio al dettaglio in sede fissa, depurato della variazione dei prezzi dell’aggregato
dei soli beni, pari all’1,8%, ha registrato un trascurabile incremento dello 0,3%, rispetto
al febbraio dell’anno precedente.
L’incremento tendenziale, cioè rispetto a febbraio 2001, delle vendite al dettaglio delle
micro-imprese (massimo due addetti), è stato di appena lo 0,2% e addirittura nullo per
le imprese medie (3–5 addetti), ma anche per la grande distribuzione (6 addetti ed oltre)
la crescita si è attestata, sempre in termini reali, su un modesto + 0,8%.
Queste dinamiche, particolarmente contenute, riflettono a nostro avviso un
atteggiamento di grande prudenza da parte delle famiglie nei comportamenti di spesa,
che conferma l’assenza di una sostenuta ripresa dei consumi.
Aumenti consistenti delle grandi superfici non trovano al momento riscontro nelle
previsioni di crescita dei consumi. Ci sentiamo però di condividere la necessita,
avvertita dalla stessa Amministrazione provinciale, “che la liberalizzazione sia
accompagnata da ricchi contributi conoscitivi sugli aspetti di natura fisico territoriale e
socio economica degli ambiti di insediamento” come evidenziato pag. 230 del
Documento Conoscitivo.
Al riguardo si ritiene che eventuali nuove scelte localizzative e nuove aperture siano
oggetto di valutazione solo dopo l’effettuazione di un articolato studio socio-economico
sull’evoluzione della distribuzione nella nostra provincia nel quale siano delineate
complessivamente anche le linee di intervento per contrastare i fenomeni di
desertificazione commerciale in atto.
Poste queste argomentazioni, si manifesta la piena contrarietà rispetto alla
previsione di nuovi poli funzionali ad alta attrattività con funzioni terziarie di
commercio realizzabili in caso di presenza di progetti imprenditoriali. Si manifesta
anche la completa contrarietà al rilascio di nuove autorizzazioni che eccedano i
range già stabiliti dalla Provincia.
Più specificatamente, la proposta che qui si formula è di inserire nel PTCP i range
di variazione attualmente fissati e di non modificarli per i prossimi tre anni. Nel
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contempo non si dovrebbe procedere alla validazione di ulteriori aree destinate ad
insediamenti commerciali di rilievo sovracomunale alimentari e non alimentari.
In conclusione, si sottolinea come in molti casi fino ad oggi sia stato eluso da parte delle
Amministrazioni comunali un aspetto che a nostro avviso dovrebbe invece costituire
parte integrante della riforma: l’articolo 10 del decreto Bersani invita le
Amministrazioni locali, una volta individuate le aree commerciali da valorizzare, a
prevedere anche specifiche misure di agevolazione tributaria e di sostegno finanziario
alle attività commerciali.
Per questo è necessario che le Amministrazioni comunali sappiano avviare una politica
attiva a sostegno del settore commerciale, con meccanismi di finanziamento e di
accesso agevolato al credito - come è già avvenuto, ad esempio, in alcuni comuni della
provincia - insieme con forme di sgravio su tariffe, imposte e tributi.
A tre anni dall’entrata in vigore della riforma del commercio è forse giunto il momento
di dare applicazione a queste disposizioni ed a quanto previsto, in attuazione, dalla l.r.
14/99, art. 8 ‘Progetti di valorizzazione delle aree urbane’.
Al riguardo, si ritiene opportuno condurre un’azione politica nei confronti della Regione
per aumentare gli stanziamenti previsti per l’art. 10 della l.r. 41/97 . Le domande di
nostri comitati di commercianti tendono costantemente ad aumentare per la difficoltà ad
operare in presenza di un numero di grandi strutture che è notevolmente al di sopra della
media regionale.
LA ‘MONTAGNA’
La conferma e il consolidamento dei servizi sovra comunali presso i capisaldi principali
della montagna di Porretta Terme, Vergato, Castiglione dei Pepoli e Loiano sono
condivisibili in quanto affondano le radici nella loro storica funzione al servizio della
montagna. sin dai tempi nei quali questo territorio, era costretto ad una vita molto più
autonoma rispetto agli attuali collegamenti ed integrazioni con la città.
Occorre comunque prestare molta attenzione all’insediamento e alla diversificazione del
comparto mercantile mediante aperture di superfici di vendita di media grandezza per
evitare una ulteriore e grave desertificazione delle località ubicati sui crinali, dove già
ora mancano gli esercizi di prima necessità al servizio dei residenti, degli anziani, delle
fasce più deboli e di un turismo residuale o del mordi e fuggi.
In queste località gli esercizi che sono stati costretti a cessare la loro attività,
difficilmente sono sostituibili nonostante la legge Bersani consenta le riaperture di
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esercizi polifunzionali supportati da facilitazioni, da deroghe ai regolamenti comunali e
da parziali detassazioni dei tributi locali.
Il turismo invece, componente fondamentale per lo sviluppo economico della montagna,
deve poter contare di una politica di forte incentivazione mediante una efficace ed
efficiente promozione affiancata da una seria ed attrattiva commercializzazione del
prodotto.
La legge regionale 7/98 affida all’APT Regionale, alle Unioni di Prodotto (Appennino
Verde) e all’Assessorato Provinciale al Turismo le competenze e le indicazioni per la
realizzazione delle progettualità promozionali e di commercializzazione. La predetta
legge dispone che gli enti pubblici svolgano la promozione del territorio e le imprese
private, la commercializzazione del prodotto turistico (pacchetti turistici).
Le imprese turistiche con le loro aggregazioni hanno già iniziato un serio lavoro
finalizzato alla commercializzazione dotandosi di tutti quegli strumenti (cartacei,
informatici e telematici) indispensabili per la vendita dell’accoglienza beneficiando
delle opportunità contributive previste dalla legge 7 aderendo all’Unione di Prodotto.
Gli enti pubblici, comuni e comunità montane, invece non hanno ancora compreso
l’importanza di far parte del sistema regionale che regola il comparto.
Quindi affinché il turismo possa assumere un ruolo trainante
dell’economia della montagna è necessario che tutto il territorio
competere con le altre località montane, migliorando l’organizzazione
parchi regionali ponendo in essere tutte le salvaguardie e le tutele
natura. Occorre poi perfezionare i servizi pubblici, migliorare l’arredo
consolidare gli eventi e crearne dei nuovi.
per lo sviluppo
si predisponga a
e la fruibilità dei
per il verde e la
urbano dei centri,
Gli stabilimenti termali di Porretta Terme e gli impianti sciistici del Corno alle Scale, i
parchi e i laghi potranno finalmente decollare a condizione che la viabilità primaria e
quella secondaria, sia finalmente ristrutturata, ampliata e resa facilmente percorribile, al
servizio delle popolazioni montane e delle imprese che operano in questo territorio.
Le potenzialità turistiche della nostra montagna ci sono. Il territorio può collocarsi sul
mercato nazionale ed europeo come bacino di eccellenza. Di fronte a risorse così
importanti, mai valorizzate e promosse si evidenzia la latitanza della progettualità e
delle iniziative da parte delle Amministrazioni locali.
Bologna, 22 maggio 2002
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