Relazione: La Medicina Difensiva in Italia, spunti
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Relazione: La Medicina Difensiva in Italia, spunti
LA MEDICINA DIFENSIVA IN ITALIA: SPUNTI PER UNA PROPOSTA DI RICERCA di VINCENZO ATELLA E EMILIANO MARCHISIO Draft version Documento preparato in occasione del convegno su “Medicina difensiva: un problema per il futuro dell’assistenza sanitaria tra regole che la inducono e regole che la riducono”, tenutosi presso il CEIS Tor Vergata il 18 dicembre 2014. 1 INDICE Introduzione ..................................................................................................................................... 3 La medicina difensiva e la c.d. “medicinadell’obbedienza giurisprudenziale" ...................... 6 Le conseguenze della "medicina difensiva" ................................................................................. 8 3.1 Medicina difensiva c.d. “attiva................................................................................................. 8 3.2 Medicina difensiva c.d. “omissiva”. ...................................................................................... 11 4 Profili di inefficienzadell'attuale regime di responsabilità medica rispetto alla sua funzione. ................................................................................................................................................. 11 5 L'iniziativa congiunta CEIS Tor Vergata- Università Tor Vergata - Università Giustino Fortunato e le linee della futura ricerca.............................................................................................. 12 6 Profili economici: l’analisi del sistema di incentivi nelle decisioni di praticare la medicina difensiva e valutazione del fenomeno. ............................................................................................... 12 6.1 Quanto vale la medicina difensiva in Italia? ........................................................................ 15 7 Profili giuridici: proposte di riequilibrio della disciplina della responsabilità (risarcitoria) medica, per disincentivare l’adozione di misure “difensive”. ........................................................ 16 7.1 Differenziare la disciplina del "rapporto medico-paziente" da quella delle organizzazioni medico-sanitarie complesse.Il problema della responsabilità per i fatti del terzo e la c.d. responsabilità da equipe. ........................................................................................ 17 7.2 Programmare un riequilibrio razionale della posizione tra medico e paziente.Ripensamento della nozione di "colpa". Abbandono delle ipotesi di responsabilità "oggettiva" e dei modelli di "onniscienza" ed "onnipresenza" medica. ........ 19 7.3 Consentire al medico la possibilità di programmare un intervento "utile" ma "sicuro".Il problema del "nesso di causalità". L'opportunità delle linee guida. ...................................... 22 7.4 L'esigenza di certezza del diritto e di prevedibilità della sentenza. Linee guida e protocolli anche per gli organi giurisdizionali? L’esperienza delle “tabelle” del danno biologico. ......................................................................................................................................... 26 7.5 Incentivare l'adozione di "assetti organizzativi adeguati" da parte delle strutture medico-sanitarie e sanzionarne la violazione."Informazione" e "consenso informato". ...... 27 7.6 La de-conflittualizzazione della richiesta di risarcimento: il "rischio tipico" dell'attività medica.Proposte di “giustizia ripartiva”. Dalla interposizione di Ordini e Collegi medici alle ADR e conciliazione.Creazione di un "fondo" ad hoc di indennizzo dei danni. ............ 28 8 Conclusioni ..................................................................................................................................... 30 9 Bibliografia...................................................................................................................................... 32 1 2 3 2 “The real problem is that far too many tests and procedures are being performed in the name of defensive medicine, as physicians fear they could be sued if they don’t order them…. It is not the payouts that are bankrupting the system, it’s the fear of them” “Il problema reale è che troppi test e procedure sono fatte in nome della medicina difensiva, poiché i medici potrebbero essere denunciati se non li facessero… Non sono le denunce che stanno mandando il sistema in bancarotta, ma la paura delle stesse. Marty Makary MD, Assoc. Prof. Surgery Johns Hopkins 1 Introduzione Nel settore sanitario l’insieme di comportamenti che, al di fuori dell’obiettivo di tutela del paziente, tendono a limitare il rischio di un contenzioso giudiziario nello svolgimento dell’attività professionale identifica quel modo di operare che comunemente prende il nome di medicina difensiva. Essa può essere praticata attraverso un’eccessiva prescrizione di esami e analisi non necessari a scopo cautelativo (modalità positiva), o astenendosi dall'intervento di cura in casi ritenuti ad alto rischio (modalità negativa). Negli ultimi anni questo fenomeno ha rappresentato un vero e proprio meccanismo di autodifesa da parte dei professionisti del settore, modificando in modo sostanziale il rapporto medico-paziente. Con la medicina difensiva si tende, infatti, a spostare in modo rilevante l’asse della responsabilità sanitaria verso un assetto di tutela rafforzata del paziente al fine di evitare il contenzioso legale per medical malpractice, contenzioso che si è intensificato in modo anomalo. Secondo l’OCSE, la diffusione e pervasività di tali comportamenti sta rappresentano un serio problema per i sistemi sanitari di tutti i paesi industrializzati. Infatti, dal 2000 gravità e frequenza dei sinistri per malpractice medica sono aumentati nella maggior parte dei paesi OCSE. Gli Stati Uniti sono certamente il paese in cui maggiormente il problema è sentito, ma anche negli altri paesi OCSE la crescita dei danni da malpractice medica è diventata preoccupante, anche se le cifre globali rimangono più basse. In Italia, secondo i dati della Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori e i disavanzi sanitari della Camera dei Deputati presentati a gennaio 2013,tale 3 fenomeno è stimato essere pari a oltre 10 miliardi di euro (circa lo 0,75% del PIL), una somma di poco inferiore a quanto investito dallo Stato in R&S. Inoltre, l’eccesso di interventi determina, a cascata, una serie di effetti negativi sul sistema sanitario, tra cui l'allungamento delle liste d'attesa per gli esami specialistici, l'ingolfamento dell'accesso al pronto soccorso e l'occupazione più del dovuto di posti letto nelle strutture ospedaliere. Un’altra conseguenza negativa di questo fenomeno è che, negli ultimi 10 anni, nella maggior parte dei paesi dell'OCSE l'aumento dei risarcimenti per danni da negligenza medica ha rappresentato uno dei principali motivi per cui le compagnie di assicurazione del settore risultassero meno redditizie o in perdita. Dal 2002 molte imprese di assicurazione e riassicurazione hanno deciso o di ridurre la loro esposizione o di ritirarsi completamente, creando non pochi problemi di funzionamento del mercato, con effetti ancor più negativi sui premi pagati.1 Inoltre, l’adeguamento dei premi a causa del re-pricing del rischio ha portato aumenti che sono difficilmente gestibili per i professionisti del settore medico. Nella maggior parte dei paesi dell'OCSE, i premi per i medici coinvolti nelle specialità più rischiose (tra questi ci sono di sicuro i chirurghi generali, e in particolare gli ostetrici/ginecologi, i neurochirurghi, i chirurghi plastici, gli anestesisti e gli ortopedici) sono aumentati in modo notevole, creando notevoli problemi nella fornitura dei servizi. Esistono poi delle situazioni limite per cui questi professionisti non riescono a trovare più copertura o la trovano solo a prezzi eccessivi. Ad esempio, negli Stati Uniti, l'American College of Ostetrici e Ginecologi (ACOG) già nel 2003 aveva identificato 23 Stati "Red Alert" in cui l'accesso alle cure era compromessa per mancanza di offerta (ACOG, 2004). Inoltre, dalla stessa indagine risultava che oltre il 30% dei chirurghi di cardiotoracica aveva trasferito o chiuso l’attività, o smesso di fornire servizi ad alto rischio, il più delle volte citando l’aumento del premio come causa principale delle loro decisioni. E’, infatti, ampiamente provato che ci sia una relazione positiva tra l'aumento del contenzioso e dei risarcimenti a favore dei pazienti e il rifiuto da parte dei medici di impegnarsi in specialità a rischio. In un sondaggio promosso da Harris Interactive (2004), già agli inizi del 2000 negli USA un terzo dei medici intervistati aveva Un caso molto famoso di questa tendenza è il ritiro, nel dicembre 2001, di St. Paul Companies dai mercati statunitensi ed europei. Poiché St. Paul era una delle principali imprese di assicurazione di responsabilità di malasanità, la sua decisione ha comportato una forte riduzione della copertura nei mercati di alcuni dei paesi interessati (ad esempio negli Stati Uniti, in Francia e in Irlanda). Inoltre, sempre negli Stati Uniti, altre due importanti assicurazioni nel settore della responsabilità medica (PHICO e FrontierInsurance Group) sono completamente uscite nello stesso periodo, mentre l'Inter MedicalInsurance Exchange (Miix) decise di scrivere restringere le sue attività solo al New Jersey. 1 4 ammesso di non aver scelto specialità a rischio perché temevano li avrebbe potuti sottoporre a una maggiore esposizione di responsabilità. Allo stesso modo, ospedali e case di cura tendono sempre di più a tagliare posti letto nelle specialità ad alto rischio di contenzioso. Risultati simili sono stati ottenuti anche i paesi come l’Australia (AHMAC, 2002),dove i giovani medici evitano specialità ad alto rischio e che i medici in servizio in quelle specialità tendono ad andare in pensione prima a causa dell’impatto finanziario dei premi assicurativi. Negli ultimi anni la situazione è, semmai, peggiorata. E’ chiaro quindi che il problema della distorsione nella scelta della specializzazione da parte dei medici e dell’offerta dei servizi da parte dei provider è particolarmente rilevante ai fini della salute dei pazienti e, quindi, di fondamentale importanza per la politica sanitaria. E’ opinione abbastanza condivisa tra gli addetti ai lavori che ciò che ha generato l’incremento del ricorso alla medicina difensiva, dei costi di tale comportamento per la collettività e della correlazione tra ricorso alle condotte difensive e disciplina della responsabilità medica è da ritrovarsi nella ridefinizione che negli anni c’è stata nel concetto di responsabilità medica e che forse è opportuno ridisegnare i confini di questa ultima al fine di arginare il fenomeno in esame. Ciò è tanto più vero se si osserva, sulla scorta di analisi empiriche, che il ridimensionamento della disciplina sulla responsabilità medica non comporta incrementi apprezzabili del rischio sopportato dai pazienti e dagli utenti di servizi sanitari. Occorrerebbe quindi prendere atto da subito dell’esistenza di sacche di inefficienza nella vigente disciplina della responsabilità medica, e agire di conseguenza per pensare ad una sua riscrittura. Tale affermazione, sia ben chiaro, non deve necessariamente implicare una scelta di favore per qualcuno degli attori operanti nel settore a discapito di altri. In altri termini, il problema non è, come pure talvolta viene proposto, di “ridurre” o “aumentare” responsabilità o tutele. Al contrario, è da ritenere che il problema sia di incentivare il funzionamento “corretto” del sistema, a maggior tutela di tutti i suoi attori, sia essi medici o pazienti/utenti. Inoltre, contrariamente a quanto è avvenuto negli ultimi anni, è necessario che tale riscrittura avvenga secondo un progetto consapevole di politica legislativa, lasciando all'intervento giudiziario (spesso incoerente, mutevole e comunque frammentato e occasionale) il solo compito di adeguare il sistema della responsabilità medica alle esigenze del momento. A tal fine, l’iniziativa congiunta del CEIS Tor Vergata e dell’Università di Roma Tor Vergata e dell’Università Telematica Giustino Fortunato è un’occasione per dibattere sul problema, discutendone con i vari stakeholder in modo aperto e costruttivo. Sarà, inoltre, l’occasione per presentare le attività di ricerca nel settore della medicina 5 difensiva del CEIS Tor Vergata, che utilizzeranno un approccio multidisciplinare in cui le diverse prospettive assicurative, economiche, giuridiche e mediche saranno analizzate e integrate. 2 La medicina difensiva e la c.d. “medicina dell’obbedienza giurisprudenziale" Secondo la definizione dell’Office of Technology Assessment americano, il fenomeno della medicina difensiva si «verifica quando i medici prescrivono test, procedure diagnostiche o visite, oppure evitano pazienti o trattamenti ad alto rischio, principalmente (ma non esclusivamente) per ridurre la loro esposizione ad un giudizio di responsabilità per malpractice. Quando i medici prescrivono extra test o procedure, essi praticano una medicina difensiva positiva; quando evitano certi pazienti o trattamenti, praticano una medicina difensiva negativa» (Office of Technology Assessment, US, Congress 1994). Con tale concetto si intende far riferimento a tutte quelle condotte ispirate non dall’obiettivo della tutela del bene del paziente, proprio dell’arte medica, ma dall’intento di limitare il rischio di un contenzioso giudiziario nello svolgimento dell’attività professionale. Il fenomeno della medicina difensiva è antico quanto la medicina stessa. Nel suo significato e contenuto “moderno”, essa ha avuto origine negli Stati Uniti durante gli anni ’70 del secolo scorso, in ragione di numerosi fattori, quali la modificazione delle condizioni del rapporto medico-paziente, anche in ragione della sempre maggiore affermazione del movimento c.d. “consumeristico”; l’aumento della consapevolezza sociale del problema della medical malpracticee delle esigenze di tutela asimmetrica dei pazienti, considerati contraenti “deboli”; l'evoluzione della scienza e della complessità delle discipline mediche; l’incremento della cultura media della popolazione e la estrema facilità di accesso ad informazioni anche specialistiche mediante Internet. Tali fattori hanno determinato, nella legislazione ma soprattutto nel diritto vivente (che non si limita a quello vigente),una progressiva e sempre maggiore estensione dei confini della responsabilità medica, sia civile che penale, e - per quanto ora più interessa - dell’ammontare dei risarcimenti del danno concessi. La classe medica, socialmente percepita sempre più come responsabile degli episodi di malasanità (anche se spesso solo in ragione della sua posizione di ultimo anello della catena di prestazione del servizio medico), è stata esposta, pertanto, a un numero sempre maggiore di azioni legali. Tale incremento di litigiosità è dipeso, tuttavia, anche da evoluzioni normative e socio-culturali, non strettamente correlate alla materia in esame, ma nondimeno per questa assai rilevanti, come l’incremento dell’associazionismo (che ha portato alla formazione di associazioni a tutela degli interessi dei pazienti danneggiati da interventi medici), la progressiva 6 liberalizzazione della professione di avvocato (che ha incrementato le possibilità di promozione pubblicitaria dei servizi di assistenza forense, così promuovendo la possibilità di azione giudiziaria in caso di danni di natura medica) e l’abolizione delle relative tariffe minime obbligatorie (con conseguente riduzione dei costi di giudizio). Tale spostamento ha rappresentato, in parte, il superamento di un vetusto privilegio in favore dei medici e il recepimento di una nuova visione giuridica della "persona", non più limitata ai profili patrimoniali, ma allargata anche ai suoi aspetti relazionali ed emotivi (si pensi all'estensione del risarcimento dei danni alla vita di relazione o derivanti da sofferenza). Esso, tuttavia, sembra aver determinato uno sbilanciamento della direzione opposta, nel senso di un eccessivo aggravamento della posizione del medico, potenzialmente considerato responsabile anche in ipotesi in cui questi sia estraneo al fatto (vedi ad esempio il caso, cui si è dato ampio risalto mediatico, del medico in vacanza chiamato a rispondere dei danni cagionati dal suo sostituto) o non possa essergli imputata alcuna colpa in termini strettamente medici (quando, ad esempio, il danno derivi da problemi di natura organizzativa della struttura in cui opera). L'estensione dei confini della responsabilità anche oltre i limiti delle variabili sotto il controllo dei medici ha portato questi ultimi a ispirare la propria condotta sempre meno ai dettami dell’arte medica e sempre più ai criteri adottati dalla giurisprudenza ai fini del giudizio di responsabilità (criteri, val la pena segnalarlo, talvolta ben lontani da quelli della professione medica e dalla sua realtà), così dando luogo a una vera e propria “medicina dell’obbedienza giurisprudenziale”, che sembrerebbe aver rimpiazzato i “Medical standards” con i “Medical-legal standards”. Relativamente agli USA, la situazione è tale che in un recente intervento alla conferenza internazionale della Physician Insurers Association of America (PIAA) il CEO di THE DOCTORS COMPANY ha affermato: “The notion of the standard of care, being what similarly trained physicians would reasonably do under the same circumstances (locality rule), has little relevance in court. In any case, community standards of care are not necessarily those with best supporting evidence, but rather the care that physicians most commonly provide to keep themselves out of court.” In Italia, dallo studio condotto in materia dal Centro studi “Federico Stella” sulla Giustizia penale e la Politica criminale è emerso che il 69,8% dei chirurghi intervistati ha proposto il ricovero di un paziente in ospedale nonostante fosse gestibile ambulatorialmente; il 61,3% ha prescritto un numero maggiore di esami diagnostici rispetto a quello necessario; il 58,6% ha fatto ricorso alla consultazione non necessaria di altri specialisti; il 51,5% ha prescritto farmaci non indispensabili2. Cfr. G. FORTI, M. CATINO, F. D'ALESSANDRO, C. MAZZUCATO e G. VARRASO (2010). I dati citati nel testo si leggono in 2 7 Lo stesso sondaggio evidenziava come il dato non sia affatto trascurabile sotto un profilo quantitativo: sembra che ben l'80,4% dei comportamenti di "medicina difensiva" siano dipesi dal timore di un contenzioso medico-legale e ben il 65,7% all’influenza di precedenti esperienze di contenziosi a carico dei propri colleghi. Il trend delle condotte mediche difensive è in aumento, con ciò reagendo in maniera direttamente proporzionale all'incremento delle azioni legali e segnalazioni da parte dei pazienti insoddisfatti: secondo il XV Rapporto PiT Salute del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva 2011, rispetto all'anno 2010, “le segnalazioni dei pazienti sulle dimissioni ritenute improprie sono enormemente aumentate, passando dal 63,9% del 2009 all’82,7% del 2010; quasi 20 punti percentuali in più”3. 3 Le conseguenze della "medicina difensiva" Tanto premesso, occorre ricapitolare, seppure solo sommariamente, i problemi conseguenti all’esercizio della medicina difensiva, nella prospettiva, sopra dichiarata, di descrivere con chiarezza le inefficienze prodotte dall’attuale disciplina della responsabilità medica. In via generale, la medicina difensiva determina la conseguenza perversa per la quale i medici orientano le proprie scelte non sulla base delle regole dell’arte medica, ma sulla base dei precedenti giurisprudenziali (i c.d. “Medical-legalstandards”). 3.1 Medicina difensiva c.d. “attiva” Più specificamente, la medicina difensiva positiva determina, tra le conseguenze negative, le seguenti: a. incremento della spesa per servizi sanitari. Non esistono dati e stime certe sul fenomeno. Anche negli USA dove il fenomeno ha una storia più lunga e radicata, le stime disponibili sono molto diverse tra loro: a dispetto di un impegno maggiore nella misurazione del fenomeno, le stime fino ad oggi prodotte dei costi della medicina difensiva variano da un massimo di 650/850 miliardi di dollari a un minimo di 50/60 miliardi di dollari. I dati più recenti che circolano in Italia sembrano, invece, indicare che nel 2012 il costo di tale comportamento da parte dei medici si aggiri nell’ordine dei 10-13 miliardi di lire, ovvero lo 0,75-0,80% del PIL, una cifra uguale o superiore a quella incassata nello stesso anno per l’Imposta Municipale Unificata (Imu), somma solo di poco inferiore a quanto investito in ricerca e sviluppo nel nostro Paese. Ma queste http://www.collegiochirurghi.it/public/legislazioni/Progetto_Riforma_Responsabilita_Penale_Prof_Forti. pdf. 3 Abstract disponibile in http://www.cittadinanzattiva.it/aree-di-interesse/salute/216-dimissioniforzate.html. 8 cifre potrebbero essere tranquillamente sottostimate se si potesse mettere in conto il costo di lungo periodo di cambiamenti comportamentali da parte dei medici che, ad esempio, stanno abbandonando alcune specializzazioni (ortopedia e ginecologia) particolarmente colpite dal contenzioso legale tra medico e paziente. Evidentemente, l’emorragia di risorse economiche determina una conseguente contrazione delle risorse disponibili per utilizzi alternativi, tra i quali il finanziamento della ricerca e della sperimentazione applicativa; b. inefficienza e riduzione di qualità del sistema sanitario complessivo e burocratizzazione. Il ricorso alla medicina difensiva attiva determina anche ulteriori inefficienze al livello sistemico. In primo luogo, l’eccesso di esami e analisi determina, oltre al segnalato incremento dei costi, l'allungamento delle liste d'attesa per gli esami specialistici; l'ingolfamento dell'accesso al pronto soccorso (luogo dove il fenomeno ha maggiore incidenza, considerando che i giovani medici tirocinanti hanno meno esperienza e più timore di essere colpiti da un provvedimento giudiziario); l'occupazione più del dovuto e necessario i posti letto nelle strutture ospedaliere. Inoltre, la medicina difensiva vulnera il rapporto tra medico e paziente, come avviene quando il primo si veda costretto al pedissequo rispetto di protocolli e linee guida che impedisce, in molti casi, di somministrare con serenità il trattamento opportuno, sacrificando la salute del paziente sull’altare della "sicurezza giudiziaria". A detta di alcuni osservatori, il pericolo maggiore è quello che il medico possa sviluppare una progressiva perdita di coscienza della peculiarità delle proprie competenze e degli obblighi intrinseci alla propria professione, quale l’esercizio autonomo e responsabile della discrezionalità tecnica delle proprie conoscenze e competenze mediche (delegando invece le scelte a terzi, a macchinari, a esami etc.). Altra conseguenza del fenomeno in esame è un incremento esponenziale della burocratizzazione medica e ospedaliera volta alla produzione di "materiale probatorio" potenzialmente utile in sede contenziosa. Così, peraltro, creando un circuito vizioso, là dove «il carico burocratico imposto dalle normative vigenti riduce il tempo che il medico ha a disposizione da dedicare al paziente e questo provoca un aumento esponenziale del contenzioso medico-paziente legato alla carente comunicazione» (Paglia, 2011). c. i rischi per la salute e l’incremento dei “falsi positivi” correlato all'incremento esponenziale degli esami medici. Essere sottoposti a esami diagnostici o terapie mediche non è quasi mai un evento neutrale dal punto di vista dello stato di salute dei pazienti (eventi iatrogenici), ciò tanto più in 9 relazione al fatto di dover sottoporsi a esami spesso rischiosi, come avviene, ad esempio, nel caso di esposizione (inutile) ai raggi delle radiografie o ai liquidi di contrasto delle Tac di pazienti avanti con gli anni e che presentano più patologie. Inoltre, la moltiplicazione degli esami medici senza una giustificazione razionale comporta un corrispondente rischio di “falsi positivi”. Il falso positivo può essere scoperto e verificato solo dopo altri accertamenti e talvolta dopo un intervento chirurgico: più esami si fanno e più aumentano i falsi positivi. d. le ricadute per le imprese assicurative. Tra i costi indiretti della medicina difensiva si annovera sicuramente il costo di copertura assicurativa della responsabilità civile. In quindici anni le denunce per malpractice a carico dei professionisti sanitari sono triplicate: nel 1994 i casi erano 9.567 arrivando a 33.682 nel 2010 (Audizione Ania presso la Commissione errori del SSN della Camera dei deputati4). L’incremento del contenzioso ha determinato, negli ultimi quindici anni, un incremento di oltre il 200% dei premi (Fondazione ISTUD, 2012).Anche in conseguenza di tale trend, nel 2011 sono state disdette il 15% delle polizze alle strutture sanitarie. Di queste, un terzo è stato disdetto per volontà dell’impresa assicuratrice che non di rado ritiene che il sistema di prevenzione della struttura sia talmente poco efficace che è impossibile assicurarle. Il rischio è quello evidenziato dal presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori e disavanzi sanitari, Antonio Palagiano: se le Asl «non sono coperte da alcuna polizza […] non si rendono in grado di garantire al paziente, in caso di procedimenti per eventi avversi conclusi con una condanna, eventuali rimborsi dovuti»5. Ma il vero problema per le imprese assicuratrici non è tanto l'incremento del rischio di contenzioso quanto, piuttosto, l'impossibilità di quantificare tale rischio e, conseguentemente, di determinare premi coerenti con l'equilibrio finanziario dell'impresa. Tale impossibilità, in buona parte legata allo sviluppo frammentato e disorganico della disciplina della responsabilità medica, sconta anche la carenza di dati attendibili sugli eventi dannosi e sulle richieste di risarcimento del danno in Italia. È soprattutto in conseguenza di ciò che sempre più compagnie ritirano dal mercato prodotti di garanzia della responsabilità civile professionale medica. Si legge in http://www.ania.it/export/sites/default/it/pubblicazioni/monografie-edinterventi/Audizioni/Audizione-ANIA-Camera-dei-Deputati-10.09.2013-Esigenze-del-SSN-e-obiettivi-difinanza-pubblica.pdf. 5 L'intervento si legge in http://www.janusonline.it/news/medicina-difensiva-una-scelta-obbligata. 4 10 3.2 Medicina difensiva c.d. “omissiva”. Anche la medicina difensiva "omissiva" determina ingenti costi, tuttavia meno facili da misurare rispetto a quelli della medicina difensiva "attiva". Ad esempio: a. rifiuto delle cure. Al livello micro-sistemico, si assiste a un incremento dei casi di pazienti che non ricevono adeguata assistenza a causa dell'elevato rischio di esito sfavorevole dell'intervento medico richiesto dalla patologia che li interessa; b. abbandono delle specializzazioni "rischiose". Sempre meno studenti e specializzandi in medicina, poi, sono disposti a seguire percorsi formativi in aree ad alto rischio (soprattutto: medicina d’urgenza, chirurgia, anestesia e rianimazione, ortopedia, ginecologia e ostetricia); c. "ristrutturazione" dell'offerta ospedaliera. Al livello macrosistemico, si assiste all'abbandono, da parte di organizzazioni ospedaliere, di aree ad alto rischio di contenzioso in favore di attività a rischio contenuto. 4 Profili di inefficienza dell'attuale regime di responsabilità medica rispetto alla sua funzione. L'attuale estensione dei confini della responsabilità medica rappresenta una regolamentazione inefficiente del problema della malpractice medica, nel senso che essa determina conseguenze in contrasto con le sue funzioni. In linea teorica, la disciplina della responsabilità civile medico-sanitaria svolge, al vertice, due funzioni fondamentali: risarcire il danno subito dal paziente vittima di un episodio di malpractice e creare un corretto sistema di incentivi, all'esercizio diligente della professione medica da parte dei singoli ed all'organizzazione di un corretto sistema di risk management da parte delle strutture ospedaliere. È agevole verificare come l'attuale disciplina della responsabilità medica si palesa inefficiente sotto il secondo profilo, quello degli incentivi, là dove è empiricamente dimostrabile che essa, nella sua attuale applicazione, incentiva condotte inefficienti sia al livello individuale che, soprattutto, sistemico. La pretesa giurisprudenziale di interventi diagnostici e terapeutici ulteriori (o anche talvolta, alternativi) rispetto a quelli ritenuti opportuni nell’arte medica impongono costi ingenti a carico della collettività senza un correlativo incremento dei benefici per i pazienti ed utenti del sistema sanitario. È, infatti, empiricamente dimostrato che l'incremento della responsabilità, oltre a determinare gli ingenti costi sopra riferiti, non determina un corrispondente incremento della diligenza medica - il che vale a dire: non determina un corrispondente decremento dei casi di malpractice medica. 11 Insomma: non è vero che aumentare la responsabilità dei medici aumenta la sicurezza dei pazienti. Al contrario, non è infrequente che il ricorso alla medicina difensiva comporti addirittura il peggioramento dei rischi medici sopportati dai pazienti ed utenti (c.d. "danni iatrogeni", cioè causati proprio dall'intervento medico: esposizione inutile a raggi, assunzione inutile di farmaci, sottoposizione inutile ad interventi chirurgici etc.). 5 L'iniziativa congiunta CEIS Tor Vergata- Università Tor Vergata - Università Giustino Fortunato e le linee della futura ricerca. Le dimensioni del problema, i suoi costi e la sua rilevanza sotto i molteplici profili evidenziati sopra fanno ritenere necessario investire di più in ricerca in questo settore. Il CEIS Tor Vergata, unitamente all’Università Tor Vergata di Roma e all’Università Giustino Fortunato di Benevento, hanno inaugurato la propria iniziativa di ricerca in materia di responsabilità medica e medicina difensiva istituendo un centro ad hoc che guarderà al fenomeno lungo due direttrici: a. da un lato quella di ispirazione economica e clinica, che intende procedere ad una quantificazione attendibile del fenomeno della medicina difensiva e definire meglio la struttura degli incentivi che la determina (cfr. § 6); b. dall’altro, contribuire a una riduzione del fenomeno nella prospettiva della indagine giuridica, ricostruendo i profili inefficienti della disciplina vigente e proponendo, anche alla luce dell'esperienza comparativa, ipotesi di riforma del settore o di sue aree rilevanti (cfr. § 7). Tutto ciò avverrà con un approccio multi-disciplinare, coerente con l'intervento su un problema di enorme impatto economico e sociale e intrinsecamente complesso. 6 Profili economici: l’analisi del sistema di incentivi nelle decisioni di praticare la medicina difensiva e valutazione del fenomeno. Da un punto di vista teorico, a seconda delle circostanze, la medicina difensiva può ridurre o migliorare qualità dei servizi sanitari. Molti dei comportamenti di medicina difensiva “attiva”, come ulteriori test diagnostici, non sono dannosi per i pazienti e forse possono anche offrire benefici marginali. Anche il rinvio dei casi più difficili a medici specializzati o a ospedali migliori e più attrezzati può migliorare la qualità. Allo stesso tempo, procedure invasive inutili creano rischi di danno ai pazienti (vedi il caso, ad esempio, delle biopsie). Inoltre, risultati di falsi-positivi ottenuti da test con scarso potere diagnostico possono avere effetti negativi sulla qualità, in particolare quando risultati ambigui producono ansia e angoscia nel paziente e richiedono ulteriori procedure invasive e/o pericolose. 12 Tuttavia, il pensiero prevalente è che la medicina difensiva sia una cattiva medicina, incredibilmente costosa e con importanti effetti collaterali. E’ un fenomeno sempre più avvertito su scala internazionale, fortemente radicato in tutte le economie più avanzate e sempre più se ne parla come un problema sociale che genera numerose inefficienze, non limitate al settore medico. Infatti, secondo l’indagine Eurobarometro sugli errori medici del 2006, l’80% dei cittadini dell'UE riteneva che l’errore medico fosse una questione importante e circa il 50% dei cittadini riteneva che saranno sicuramente coinvolti in modo personale in un caso di malpractice medica. Purtroppo, negli ultimi dieci anni la frequenza delle cause è aumentata del 50% in Gran Bretagna ed è più che raddoppiato in Germania, Italia e Spagna. Al contrario, in Francia e nei paesi scandinavi il numero di cause è notevolmente diminuito grazie a importanti riforme procedurali. Da un punto di vista schematico, il problema della medicina difensiva lo si può immaginare come rappresentato nella figura 1. Ogni qual volta per via legislativa o giurisprudenziale si modificano i confini delle responsabilità del medico si finisce per innescare una serie di meccanismi a catena che incidono sui comportamenti delle imprese (e del mercato assicurativo) e dei medici. L’effetto finale è quello di generare effetti sull’offerta di servizi medici (uscita dal mercato o selezione delle specialità), sui costi del sistema sanitario (pubblico e privato) e, quindi, sulla salute dei pazienti. 13 Fig. 1 - Schema degli effetti della responsabilità medica Cambiamento confini responsabilità medica Aumento risarcimen e contenziosi Crisi compagnie assicura ve Cambia salute dei pazien Cambiamento comportamento medici Aumento premi assicura vi e riduzione coperture Uscita dal mercato e selezione specialità Aumenta spesa SSN e spesa privata Riduzione numero imprese in mercato Se questo è lo stato delle cose, da una prospettiva tipicamente economica viene normale formulare una serie di domande: 1. Che relazione esiste tra gli aumenti degli indennizzi per malpractice medica e gli aumenti dei premi assicurativi per i medici? 2. L’aumento della responsabilità dei medici per malpractice gli spinge a uscire dal mercato? 3. L’aumento nella responsabilità dei medici per malpractice fa cambiare il modo in cui la medicina è praticata aumentando l'uso di alcune procedure? 4. La medicina difensiva facendo aumentare i costi del sistema e riducendo la disponibilità di offerta sanitaria incide sulla salute dei pazienti? 5. Quanto vale il “burden” della medicina difensiva? Su questi temi esiste un’ampia letteratura internazionale che in diversi momenti e in diversi contesti ha provato a dare risposte a tali interrogativi. In molti casi le evidenze 14 empiriche sono anche abbastanza consolidate e, quindi, vi sono sufficienti informazioni per i policy maker per poter agire di conseguenza. La cosa che maggiormente interessa mettere in risalto in questo contesto è che, purtroppo, alla base di tutti questi meccanismi rimane il sistema con il quale si disegnano i confini della responsabilità professionale medica, che se non sarà radicalmente modificato continuerà sempre a produrre i suoi effetti. 6.1 Quanto vale la medicina difensiva in Italia? Stimare il valore dell’impatto della medicina difensiva sul sistema economico e sociale è un compito molto difficile. A livello internazionale esistono solo delle stime ed è molto difficile reperire dati e stime certe sul fenomeno. Anche negli USA dove il fenomeno ha una storia più lunga e radicata, le stime disponibili sono molto diverse tra loro: a dispetto di un impegno maggiore nella misurazione del fenomeno, le stime fino ad oggi prodotte dei costi della medicina difensiva variano da un massimo di 650/850 miliardi di dollari a un minimo di 50/60 miliardi di dollari. I dati più recenti che circolano in Italia sembrano, invece, indicare che nel 2012 il costo di tale comportamento da parte dei medici si aggiri nell’ordine dei 10-13 miliardi di lire, ovvero lo 0,75-0,80% del PIL, una cifra uguale o superiore a quella incassata nello stesso anno per l’Imposta Municipale Unificata (Imu), somma solo di poco inferiore a quanto investito in ricerca e sviluppo nel nostro Paese. Tuttavia, queste stime non risultano attendibili per almeno due motivi: a. definizione di costo della medicina difensiva. A ben vedere, i costi complessivi della medicina difensiva fanno riferimento a tre voci fondamentali: i) i costi legati ai risarcimenti e quelli legali; ii) i costi dovuti all’’eccesso di prestazioni legate alla medicina difensiva attiva; e iii) i costi legati alla medicina difensiva negativa, quale, ad esempio, il costo di lungo periodo di cambiamenti comportamentali da parte dei medici che stanno abbandonando alcune specializzazioni (ortopedia e ginecologia) particolarmente colpite dal contenzioso legale tra medico e paziente. A oggi non sono state condotte ricerche che siano riuscite a quantificare congiuntamente le tre voci di costo; b. metodologia di misurazione del fenomeno. Inoltre, in tutti i casi in cui delle stime sono state prodotte, queste sono sempre state affette da un problema di errore di misurazione, in quanto o la stessa veniva fatta attraverso questionari in cui si chiedeva di fornire una stima del fenomeno, o raccogliendo informazioni più precise ma su campioni ristretti di professionisti. A tal proposito, basta considerare ciò che accade negli USA, dove a dispetto di un impegno maggiore nella misurazione del fenomeno, le stime fino ad oggi prodotte dei costi della medicina difensiva variano da un massimo di 650/850 miliardi di dollari a un minimo di 50/60 miliardi di dollari. 15 Riuscire a quantificare correttamente i costi del fenomeno sarebbe un primo passo per adeguare le politiche pubbliche di finanziamento e spesa. Allo stesso modo consentirebbe di risolvere il problema dell’abbandono del mercato della responsabilità civile medica da parte delle compagnie assicurative, che dipende non tanto (e non solo) dall’incremento del relativo contenzioso e dell’ammontare dei risarcimenti quanto, piuttosto, dalla impossibilità di predeterminare modelli di copertura dei rischi in ragione dell’assenza di informazioni complete ed attendibili su quantità e qualità di eventi risarcibili verificatisi storicamente. 7 Profili giuridici: proposte di riequilibrio della disciplina della responsabilità (risarcitoria) medica, per disincentivare l’adozione di misure “difensive”. Si è notato come l’attuale disciplina della responsabilità medica non assolva correttamente alla propria funzione di incentivare i medici al rispetto delle regole di diligenza nell’esercizio della loro professione. L’incremento del ricorso alla medicina difensiva, infatti, testimonia un incentivo al rispetto della medicina c.d. della “obbedienza giurisprudenziale” anche a danno del miglior interesse del paziente; determina, inoltre, un considerevole incremento dei costi senza che a ciò corrisponda una effettiva riduzione dei rischi per pazienti ed utenti. Preso atto della inefficienza della vigente disciplina della responsabilità medica, appare necessario ridisegnare i confini di questa ultima al fine di arginare il fenomeno in esame. Ciò tanto più quando si osservi, sulla scorta di analisi empiriche, che il ridimensionamento della disciplina sulla responsabilità medica non comporta, a fronte della riduzione degli incentivi a porre in essere condotte difensive, alcun incremento apprezzabile del rischio sopportato dai pazienti ed utenti di servizi medici. Tale ripensamento, occorre rilevarlo sin da subito ed in termini espressi, non implica alcuna scelta di favore per alcuno degli attori operanti sulla platea della prestazione dell’assistenza medico-sanitaria. In altri termini, il problema non è, come pure talvolta viene proposto, di “ridurre” o “aumentare” responsabilità o tutele in favore del medico o del paziente. Al contrario, riteniamo che il problema sia quello di incentivare il funzionamento “corretto” del sistema, a maggior tutela di tutti i suoi attori, medici e pazienti/utenti. In tal senso, esistono ambiti nei quali la responsabilità medica deve essere radicalmente ridimensionata (come ad esempio nel caso della responsabilità del medico per il fatto di altri o per cause organizzative), proprio perché in tali casi l’imposizione di una responsabilità in capo al medico non discende da una sua colpa individuale nell’evento produttivo del danno; ma anche ambiti in cui essa deve essere rafforzata (mediante un più attento utilizzo della disciplina deontologica, anche rispetto al ruolo del medico all'interno del processo civile) ed 16 aree in cui la prestazione medica deve essere radicalmente migliorata (mediante un più consapevole utilizzo della comunicazione medico-paziente). Sembra possibile, seppure in misura sommaria ed in linea di principio, definire alcuni ambiti di intervento che possono contribuire alla riduzione degli incentivi alla medicina difensiva. 7.1 Differenziare la disciplina del "rapporto medico-paziente" da quella delle organizzazioni medico-sanitarie complesse. Il problema della responsabilità per i fatti del terzo e la c.d. responsabilità da equipe. In primo luogo, deve prendersi atto come il mercato della prestazione dei servizi medico-sanitari sia, oggi, ben diversa da quello degli anni '40 dello scorso secolo, epoca in cui è stata emanata la disciplina della responsabilità professionale e del risarcimento del danno. Al giorno d'oggi, infatti, solo per alcuni rapporti è ancora pensabile di organizzare la materia della responsabilità medica intorno ai concetti ordinatori di "atto medico" e "rapporto medico-paziente" - che ancora caratterizza, ad esempio, i rapporti terapeutici "uno ad uno", come le terapie dentali. Deve prendersi atto, invece, che un numero sempre maggiore di trattamenti medicosanitari avviene secondo un paradigma completamente nuovo, consistente nella prestazione di servizi integrati in organizzazioni complesse. Secondo tale paradigma, il modello di cura del paziente da parte di un medico si trasforma in quello del paziente assistito da una o più equipe di medici di diversa specializzazione, ognuno dei quali interviene in relazione ad un singolo frammento della prestazione medicosanitaria complessiva. Tale evoluzione comporta, in primo luogo, la necessità imputare le competenze dell'organizzazione a soggetti specifici e, pertanto, a gravare della relativa responsabilità risarcitoria la struttura medico-ospedaliera e non il singolo medico. Si corre il rischio, in caso contrario, di scollamenti della responsabilità dalla partecipazione all’evento dannoso, come accade per il dirigente di Struttura Complessa (SC), cui la disciplina vigente (art. 7 DPR n. 128 del 27.3.1979; art. 63 DPR n. 761 del 20.12.1979) impone l’obbligo di fornire istruzioni e direttive adeguate per il trattamento del paziente nonché di verifica dei risultati. Ritiene la giurisprudenza, al proposito, che «il primario ospedaliero … ha la responsabilità dei malati della divisione (per i quali ha l'obbligo di definire i criteri diagnostici e terapeutici, che gli aiuti e gli assistenti devono seguire)» e pertanto «deve avere puntuale conoscenza delle situazioni cliniche che riguardano tutti i degenti, a prescindere dalle modalità di acquisizione di tale conoscenza (con visita diretta o interpello degli altri operatori sanitari), ed è, perciò obbligato ad assumere informazioni precise sulle iniziative intraprese dagli altri medici cui il paziente sia stato affidato, indipendentemente dalla responsabilità degli stessi, tanto al fine di vigilare sulla esatta impostazione ed esecuzione delle terapie, di prevenire errori e di adottare 17 tempestivamente i provvedimenti richiesti da eventuali emergenze» (Cass., 29.11.2010, n. 24144). Appare evidente che tale pretesa di onniscienza del dirigente appare utopistico ed ingiustificato in presenza di reparti di grandi dimensioni, con elevato turn over di pazienti o con modalità di intervento particolari (si pensi alla chirurgia d’urgenza o al pronto soccorso, i cui tempi di reazione brevissimi impediscono, di fatto, la condivisione delle informazioni con il dirigente nello stesso interesse del paziente). Pertanto, se è ragionevole imporre al dirigente la predisposizione di adeguati assetti organizzativi del reparto e la relativa responsabilità in caso di danno causato da difetti organizzativi, totalmente irragionevole, e giuspoliticamente errato, è imporgli una responsabilità oggettiva per gli eventi dannosi verificatisi nel suo reparto, indipendentemente dalla sua compartecipazione a tali eventi. In secondo luogo, il risarcimento del danno cagionato nell'ambito di un’attività di equipe non può essere disciplinato semplicemente estendendo ad una pluralità di soggetti una regola pensata per una relazione "uno ad uno". È impensabile, ad esempio, che il medico possa dover rispondere del danno anche quando il fatto dannoso sia stato posto in essere dalla condotta di un terzo, in ipotesi anche in assenza dello stesso medico chiamato a rispondere del danno. Va da sé che sussistono e sono ben fondate, nel diritto vigente, ipotesi in cui un soggetto può essere chiamato a rispondere del fatto dannoso posto in essere dal terzo, qual è il caso, ad esempio, della responsabilità per aver designato per il compimento di una certa attività un soggetto palesemente inadeguato (c.d. culpa in eligendo). Sono attestati, tuttavia, anche casi nei quali la condanna non sembra fondata su alcuna logica, giuridica o d’altra natura; si pensi al caso della dottoressa di Firenze condannata in solido con la sua sostituta e un medico di guardia medica al pagamento di circa 3 milioni di euro per una errata diagnosi fatta dalla sua sostituta e dal medico di guardia, che ha comportato il decesso di una bambina di 11 anni, morta per una peritonite non diagnosticata, nonostante essa fosse in ferie6. Altrettanto impensabile è che nelle attività di equipe si imponga a ciascun medico «un dovere generico di reciproco controllo, a prescindere dal ruolo rivestito all’interno dell’equipe», indipendentemente dalle diverse specializzazioni, solo sulla base delle “conoscenze comuni del professionista medio” (c.d. principio dell’affidamento relativo o temperato) (Cass. Pen., 24.1.2005, n. 18548).Si desume, da tale regola, l’esistenza di un obbligo, in capo a chiunque sia «presente in sala operatoria… di controllare e seguire ogni fase dell’intervento, non solo a sostegno del chirurgo, ma anche per eventualmente sostituirlo in La notizia del caso si trova, tra i molti, in http://firenze.repubblica.it/cronaca/2011/01/21/news/bimba_mor_di_peritonite_colpevole_la_pediatra_in _vacanza-11479015/. 6 18 caso di evidenti difficoltà operatorie» (Cass. Pen., 5 gennaio 1982, n. 7006). È stato anche affermato che tutti i membri della equipe medica, «per ciò solo», debbano ritenersi responsabili dell’evento lesivo prodotto dall’operazione chirurgica errata, seppure in conseguenza della violazione di regole di perizia, prudenza e diligenza da parte di uno solo di essi (Cass. Pen., 26.1.2005, n. 18568). Ciò significa, tra le altre, che nell’ambito di interventi di equipe potrebbe non essere consentita ad un medico la “distrazione” pur se nell’ambito di attività di un diverso professionista, ipotesi invece relativamente normale quando, ad esempio, nel rispetto della divisione dei ruoli si stiano svolgendo attività che non interessano e non richiedono la presenza di alcuni dei medici componenti l’equipe. Insomma, come affermato dalla giurisprudenza, se una pinza viene lasciata nell’addome del paziente può esserne chiamata a risponderne l’intera equipe, anestesista compreso, indipendentemente da chi è chiamato alla chiusura del taglio (Cass. Pen., 26.1.2005, n. 18568). 7.2 Programmare un riequilibrio razionale della posizione tra medico e paziente. Ripensamento della nozione di "colpa". Abbandono delle ipotesi di responsabilità "oggettiva" e dei modelli di "onniscienza" e "onnipresenza" medica. Come notato, la responsabilità medica è stata oggetto, negli ultimi decenni, di un processo di evoluzione che ha cercato di recepire, nella sfera del diritto, le modificazioni nel rapporto medico-paziente che andavano verificandosi nella realtà dei fatti, con conseguenze economiche e giuridiche spesso non previste. Tale estensione non si è sviluppata, tuttavia, secondo un progetto esplicito, in sede legislativa, ma è avvenuta nelle aule giudiziarie, secondo un percorso frammentato e disorganico. L’evoluzione della materia ha interessato vari livelli, primo fra tutti quello della natura giuridica della responsabilità civile medica, passata dalla iniziale qualificazione extracontrattuale a quella contrattuale. Stante la mancanza di un “contratto” in senso stretto, a tale risultato si è pervenuti mediante la contrattualizzazione del rapporto in ragione del “contatto sociale” intercorrente tra medico e paziente, contatto che si instaura tramite la relazione terapeutica (Cass 22 gennaio 1999, n. 589, in Corr. giur., 1999, 441). La definizione in termini contrattuali della responsabilità del medico non rappresenta una variazione meramente lessicale ma porta con sé conseguenze rilevantissime. In primo luogo, la prescrizione dell’azione per il risarcimento del danno si verifica dopo un decennio, così raddoppiando il termine quinquennale applicabile alle ipotesi di risarcimento da fatto illecito. D’altra parte, il riferimento alla disciplina contrattuale penalizza il medico sotto il versante probatorio: qualora l’azione di risarcimento del danno spiegata dal paziente fosse qualificabile come 19 risarcimento da fatto illecito, questi, nella veste processuale di attore, sarebbe chiamato a fornire la prova, tra le altre, della imputabilità del fatto dannoso al medico a titolo di colpa o dolo. La qualificazione dell’azione come contrattuale, invece, consente di presumere lo stato soggettivo di colpa in capo al medico in presenza del semplice inadempimento, attribuendo a quest’ultimo l’onere di provare l’assenza di colpa per liberarsi dalla responsabilità. Questa regola risponde, in principio, al principio di "prossimità della prova" (Cass. 30 ottobre 2001, n. 13533), nel senso che è razionale ritenere che il medico abbia maggiori capacità e possibilità di provare la propria assenza di colpa di quante ne abbia il paziente di dimostrare la colpa del medico. In numerose ipotesi, tuttavia, tale regola ha portato ad una sorta di "responsabilità oggettiva" in capo al medico, che è stato chiamato a risarcire un danno indipendentemente dal fatto che esso fosse stato causato dal medico stesso, solo in ragione della difformità tra il risultato del trattamento ed il risultato "atteso" dal paziente. Ne sono conseguiti tentativi, per la verità ridotti nel numero e nella rilevanza, di “riequilibrio” delle regole di responsabilità medica. Tra i più rilevanti, l’art. 3, co. 1, del d.l. 158/2012 (c.d. Decreto Balduzzi), che, nell’escludere la rilevanza penale della colpa lieve del medico che si attenga a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, mantiene “comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile” (cioè l’obbligo del risarcimento del danno di natura extracontrattuale).L’interpretazione di tale disposizione conferma l’esistenza di molteplici esigenze, punti di vista e obiettivi di politica del diritto. A un primo orientamento che ha escluso la rilevanza della norma citata, considerata quasi una “svista” da parte del legislatore, in ambito civile [Cass. (ord.) 17.4.2014, n. 8940], è seguito un precedente di merito (Trib. Milano, 17 luglio 2014) che l’ha ritenuta un tassello normativo volto a mitigare gli effetti distorsivi prodotti dal precedente regime contrattuale. Ancora a monte, deve ripensarsi radicalmente la nozione stessa di "colpa medica". La responsabilità colposa discende dal fatto che un soggetto abbia cagionato un danno a seguito di una condotta difforme dal modello di condotta "corretta" definito dalla legge o recepito dalle regole di comune prudenza. La valutazione di tale difformità è effettuata in riferimento al parametro di "diligenza", di cui all'art. 1176 cod. civ.. Il grado di diligenza richiesto per una data attività dipende, evidentemente, dal tipo di attività esercitata. In punto di attività medica, la giurisprudenza richiede, seppure con alcune eccezioni (come Cass. 18 ottobre 1994, n. 8470), al medico una diligenza superiore alla media, là dove nella valutazione della diligenza si fa riferimento a quella «del regolato ed accorto professionista, ossia del professionista esercente la sua attività con scrupolosa attenzione ed adeguata preparazione professionale» (Cass. 8 marzo 1979, n. 1441; Cass. 22 febbraio 1988, 20 n. 1847; Cass. 11 marzo 2002, n. 3492; Cass. 19 maggio 2004, n. 9471; Cass. 18 settembre 2008, n. 23846). Da tale regola, in astratto pure condivisibile, la giurisprudenza ha fatto conseguire conseguenze inaccettabili, ad esempio là dove ha richiesto al medico una sorta di "onniscienza", imponendogli «il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica» (Cass. 3 marzo 1995, n. 2466; Cass. 19 maggio 1999, n. 4852). Tale regola, ove non temperata da una valutazione di tutti gli elementi del fatto concreto, può comportare l'irragionevole pretesa che tutti i medici, in ogni momento, siano informati su tutte le innovazioni del proprio campo e, quindi, condannare al risarcimento del danno derivante da ritenuta «inadeguatezza od incompletezza di preparazione» anche in caso di carenza lieve ed in concreto scusabile, posto che, nel modello ideale e concretamente irrealizzabile, le conoscenze del medico (di ciascun medico) devono «necessariamente comprendere la conoscenza di tutti i rimedi che non siano ignoti alla scienza ed alla pratica della medicina» (Cass. 8 marzo 1979, n. 1441). Al medico pure si richiede, almeno in alcuni precedenti, una sorta di "onnipresenza". Se pure è ragionevole che «la prestazione professionale del chirurgo non si esaurisce nel compimento del puro e semplice atto operatorio, ma comprende tutto il complesso di cure e di rimedi cui il paziente deve essere assoggettato allo scopo di praticare l'intervento con il minore rischio e di assicurare in seguito un rapido e favorevole decorso dell'infermità», meno ragionevole è farne discendere che «tale responsabilità non viene meno ove il chirurgo non abbia l'obbligo di trattenersi nella clinica ove ha effettuato l'intervento operatorio, dal momento che dal compimento dell'intervento stesso discende il suo obbligo di praticare tutti i necessari trattamenti post-operatori e quindi di fare in modo di essere prontamente avvertibile per apprestare i necessari rimedi contro possibili complicanze» (Cass. 8 marzo 1979, n. 141). Anche in questo caso, l'applicazione della regola non può prescindere da considerazioni di contesto relative all'esistenza di turnazioni tra medici, del tipo di reparto e di intervento coinvolto, dalla imprevedibilità delle complicanze etc.. Come si osserverà al successivo § 6.4, infatti, non è corretto (ed è sistemicamente inefficiente) imputare al medico, a titolo di colpa, carenze che sono indipendenti dalla sua condotta ed attengono, invece, a profili organizzativi della struttura medicoospedaliera. Appare opportuno anche un ripensamento sul "grado" di colpa richiesto per il giudizio di responsabilità medica. Se la violazione delle regole di diligenza è sempre fonte di responsabilità quando derivi da condotte dolose, infatti, anche alla luce del principio, dettato dall'art. 2236 cod. civ. ed applicabile a qualsiasi professionista, per il quale «se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà», il medico è tenuto al risarcimento dei danni solo se abbia agito in modo gravemente colposo. Tale principio è stato oggetto di una revisione limitativa da parte della giurisprudenza. In primo luogo, dal principio per il quale il medico è chiamato a 21 rispondere anche in caso di colpa lieve in caso di interventi di routine o di facile esecuzione, si è desunto l'ulteriore principio - discutibile - per il quale, a determinate condizioni, l'obbligazione gravante in capo al medico consista nella produzione di un risultato utile invece che, come più tradizionalmente ritenuto, una obbligazione "di mezzi" (così addossando al medico la responsabilità di eventi difformi da quanto programmato ma conseguenti a fatti imprevedibili o imponderabili). In secondo luogo, si ritiene che la limitazione della responsabilità alla sola colpa grave viga solo per i danni derivanti da imperizia (Cass. 18 novembre 1997, n. 11440; Cass. 28 maggio 2004, n. 10297), mentre lo standard di responsabilità debba essere fissato sulla soglia della colpa lieve per i casi di imprudenza o negligenza. Il tutto in un contesto giurisprudenziale che, in ragione della evoluzione tecnica e tecnologica (cui non sempre corrisponde una maggiore disponibilità di mezzi da parte delle organizzazioni medico-ospedaliere), estende in misura sempre maggiore il novero degli interventi considerati "di facile esecuzione". Infine, a livello prettamente processuale, una più bilanciata applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., in materia di condanna alle spese della parte soccombente, apparirebbe idonea a ridurre il contenzioso medico futile e quello puramente strumentale. 7.3 Consentire al medico la possibilità di programmare un intervento "utile" ma "sicuro". Il problema del "nesso di causalità". L'opportunità delle linee guida. Uno dei maggiori problemi riscontrabili nella giurisprudenza in materia di responsabilità medica consiste in una mancanza di omogeneità nei principii regolatori della materia, circostanza che rende non agevole l’individuazione delle regole precauzionali poste a fondamento dell’imputazione colposa. Detto in altri termini, l'incertezza (e talvolta l'eccesso di produzione) normativa sulle regole di responsabilità determina l’incertezza del medico sulla condotta richiesta per mettersi al riparo dal rischio di imputazione colposa di un evento dannoso. Da tale incertezza deriva l'incentivo, in capo al medico, a sottovalutare il riferimento (invece primario) all’interesse del paziente in favore della strategia giudizialmente meno rischiosa. Incentivo tanto maggiore in presenza di materie che concedono al medico ampi margini di discrezionalità valutativa o operativa. Appare, invece, evidente la necessità che il medico possa effettuare il proprio intervento secondo le regole dell'arte medica nella certezza che, rispettate tali regole, in caso di danno andrà esente da responsabilità. Anche in questo caso viene in gioco, seppure in termini differenti, la definizione del concetto di "colpa" già esaminato al § 5.2. È impensabile, infatti, che la condotta del medico sia affrontata ex post, sulla base delle conoscenze successive all'evento ed avendo a disposizione un tempo idealmente illimitato, e non ex ante, sulla base delle 22 conoscenze disponibili al momento di decidere la condotta medica e con i vincoli di tempo del caso concreto (in alcune ipotesi, come nella medicina d'urgenza, ridotti a questione di pochi secondi).Si propone, pertanto, il superamento della interpretazione che ritiene dovute, da parte del medico, condotte che (ex post) si ritengono idonee a neutralizzare il rischio od a controllarlo in termini sostanzialmente assoluti – anche se difformi ed incongrue con le prassi consolidate e comunque orientate alla sola riduzione del rischio e non alla ponderazione dei molteplici interessi in gioco. Lo stesso vale nel caso limite (ma non infrequente) del medico che si trovi a fronteggiare una urgenza esulante dalle sue competenze. In assenza di urgenza appaiono ragionevoli le regole che impongono al medico di valutare «con prudenza e scrupolo i limiti della propria adeguatezza professionale», ricorrendo ad appositi consulti e, in caso di carenze strutturali ed organizzative potenzialmente idonee ad influire sugli accertamenti diagnostici e sui risultati dell'intervento, suggerire al paziente il ricovero in altra struttura più idonea. Il problema inerisce, come è facilmente immaginabile, alla definizione di "urgenza" al ricorrere della quale il medico parrebbe comunque legittimato ad intervenire senza consulto o in assenza di adeguata dotazione organizzativa della struttura in cui opera. Di nuovo, non può condividersi un approccio che verifichi la ricorrenza dell'urgenza sulla base dei dati raccolti dopo il verificarsi dell'evento dannoso e della loro elaborazione, dovendosi invece verificare mettendosi nella posizione concreta del medico, con tutte le incertezze in concreto esistenti al momento della decisione e con i vincoli temporali vigenti nella pratica medica. In caso contrario, il medico si troverebbe nella situazione contraddittoria in cui sarebbe chiamato a risarcire il danno in ogni caso: se interviene, perché incompetente, se non interviene, perché inattivo, anche in riferimento al ritardo nella esecuzione di esami diagnostici (Cass. 19 aprile 2006, n. 9085). In realtà, ancora a monte, la stessa ricostruzione del nesso di causalità dovrebbe essere ripensata ed adeguata alle particolari caratteristiche dei mercati della prestazione dell'assistenza medico-sanitaria. Come noto, perché il fatto dannoso possa essere imputato ad una condotta medica, è necessario che sussista un nesso di causalità tra questa e quello; in particolare, occorre che la condotta abbia leso l'interesse del paziente (c.d. "causalità materiale") e, cumulativamente, che la lesione di tale interesse abbia determinato un danno (c.d. "causalità giuridica", da accertarsi alla luce dell'art. 1223 cod. civ.) [Cass., SS.UU., 26 gennaio 1971, n. 174 ("caso Meroni"); Cass. 2 febbraio 2001, n. 1516]. Bene: l'attuale disciplina del nesso causale determina l'estrema difficoltà, se non impossibilità, per i medici, di effettuare scelte efficienti in relazione ad interventi medici e terapeutici a rischio. In materia di colpa commissiva, ad esempio, si ritiene ricorrente un nesso causale tra una condotta medica ed un danno non solo quando sia certo che il danno è derivato 23 da tale condotta, ma anche quando tale effetto sia solo scientificamente probabile, seppure tale probabilità debba essere seria, ragionevole e corroborata da ulteriori elementi oggettivi (Cass. 11 novembre 2005, n. 22894; Cass. 30 ottobre 2009, n. 23059; Cass. 26 giugno 2007, n. 14759). Deve riconoscersi che tale regola, apparentemente chiara nella sua formulazione teorica, è foriera di disomogeneità e contraddizioni in sede applicativa. In particolare, sono attestati in giurisprudenza dei casi in cui il nesso causale è stato ritenuto sussistente solo e semplicemente a seguito dell'accertamento di una condotta carente in punto di diligenza e perizia scientifica, avendo ritenuto da Corte di Cassazione che, accertata la condotta colposa, «in assenza di altri fattori alternativi, [possa ritenersi] che tale omissione sia stata causa dell'evento lesivo e che, per converso, la condotta doverosa, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito il verificarsi dell'evento» (Cass. 8 luglio 2010, n. 16123, inedita). Senza alcuna prova positiva che la condotta aveva causato il danno. Non v'è dubbio, al proposito, che l'accertamento del nesso causale debba essere diverso, e preliminare, rispetto all'accertamento della colpa, posto che il primo consente di ricondurre l'evento dannoso ad una condotta del medico mentre il secondo consente di imputare l'obbligo risarcitorio al medico stesso (Cass. 26 giugno 2007, n. 14759). La causalità omissiva è, com’è facilmente intuibile, ipotesi ben più complessa nell'ambito della causalità materiale ed ha condotto nel tempo a posizioni differenziate. In sede penale il nesso causale omissivo può dirsi ricorrente se la condotta omessa dal medico, qualora posta in essere, avrebbe impedito la verificazione dell'evento dannoso all'esito di un giudizio di «probabilità logica», che consiste, a sua volta, nella verificazione della possibilità statistica di successo dell'intervento omesso, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto (Cass., SS.UU., 11 settembre 2002, n. 30328). La Corte di Cassazione, in sede civile, per le medesime norme(artt. 40 e 41 cod. pen.) ha adottato una interpretazione differente rispetto a quella adottata in sede penale, ritenendo ricorrere la causalità omissiva in tutti i casi in cui la condotta omessa dal medico, qualora posta in essere, avrebbe avuto «serie ed apprezzabili possibilità» di evitare il danno (Cass.11 maggio 2009, n. 10743; Cass. 26 giugno 2007, n. 14759; Cass. 4 marzo 2004, n. 4400; Cass. 13 maggio 1982, n. 3013). Può, insomma, dirsi sussistente il nesso di causalità tra una condotta omissiva e la produzione dell'evento dannoso nei casi in cui, sulla base dei fatti di causa, può affermarsi che la condotta omessa dal medico, qualora posta in essere, avrebbe impedito l'evento dannoso con una probabilità superiore al 50%, «secondo il criterio (ispirato alla regola della normalità causale) del “più probabile che non» (Cass., SS.UU. civili, 11 gennaio 2008, n. 581; Cass. 16 ottobre 2007 n. 21619). In altri termini: mentre in sede penale la causalità omissiva può dirsi ricorrente solo se venga accertato che senza l'omissione l'evento dannoso non si sarebbe verificato «con alta o elevata credibilità razionale», in sede civile è sufficiente, al medesimo fine, che l'accertamento sia effettuato con ragionevole probabilità (Cass. 11 maggio 2009, n. 24 10741). Sia consentita una ulteriore precisazione sul punto. La ragionevole probabilità richiesta ai fini della sussistenza del nesso di causalità omissiva non coincide con la probabilità statistica di successo del tipo di intervento omesso; al contrario, essa consiste nella probabilità di successo nel singolo caso, sulla base degli elementi acquisiti in atti (e, quindi, secondo un giudizio ex post, non condivisibile, come chiarito al § 5.3). Potrebbe ritenersi, ad esempio, "ragionevolmente probabile", nel singolo caso, una percentuale di successo che riferita, invece, al tipo di intervento sarebbe inferiore al 50% dei casi - il che determina l'impossibilità, ex ante, di determinare la linea di condotta "corretta" nel singolo caso, non potendosi disporre di alcun benchmark statistico o esperienziale ad orientare la scelta terapeutica o diagnostica. Il disegno del sistema di responsabilità risarcitoria medica, al contrario, non dovrebbe essere incentrato sul dato obiettivo dei "fatti", per come ricostruiti ex post, ma sulla posizione soggettiva del medico al momento di prendere la decisione, quindi ex ante. In questa prospettiva dovrebbe riconoscersi una minore rilevanza al "caso concreto" ed una proporzionalmente maggiore rilevanza ai benchmark statistici. Ciò non con l'intento di deresponsabilizzare i medici o di privare la loro attività dell’inevitabile, e necessaria, discrezionalità tecnica che la caratterizza. Al contrario, ciò nella prospettiva di consentire ai medici la possibilità di prefigurarsi, prima del loro intervento, i parametri al rispetto dei quali essi possano ragionevolmente ritenere di andare esenti da responsabilità medica anche in caso di esito non conforme alle aspettative. Il riferimento, nel giudizio di responsabilità medica, a linee guida potrebbe riportare il giudizio di responsabilità (soprattutto da fatto colposo) nell’alveo della scienza ed arte medica, allontanandolo invece da quello della “obbedienza giurisprudenziale”. Indipendentemente dalla loro espressa previsione normativa (cfr. il già citato art. 3 del Decreto Balduzzi), tuttavia, non esistono linee guida uniformi emanate da organismi univocamente riconosciuti come espressione delle best practices attestate in un dato momento. Sul punto, tuttavia, occorrono alcune puntualizzazioni. Da una parte, ci sembra eccessiva la posizione di quei giudici che ritengono non sufficienti a mandare esente da responsabilità quelle linee guida elaborate con riferimento ad esigenze (anche) "economiche" di prestazione efficiente del servizio, in quanto il bilanciamento "efficiente" tra costi e benefici potrebbe (e dovrebbe) avere una razionalità e condivisibilità al livello dei grandi numeri, pur in presenza di singoli casi in cui in ipotesi possa verificarsi un danno. In secondo luogo, assai spesso esistono linee guida divergenti in ragione di incertezze in campo medico sulle migliori modalità di intervento. In tutte tali ipotesi è impensabile che il danno derivante dal rispetto di linee guida opinabili, se accreditate, possa determinare la responsabilità del medico che le ha seguite. Da ultimo, in una prospettiva di sistema, le linee guida «devono 25 essere mediate dalla professionalità ed esperienza del medico affinché rimangano strumenti utili e non annientino l’autonomia e la responsabilità professionale del medico attraverso una cieca e pericolosa osservanza». 7.4 L'esigenza di certezza del diritto e di prevedibilità della sentenza. Linee guida e protocolli anche per gli organi giurisdizionali? L’esperienza delle “tabelle” del danno biologico. Sempre al fine di garantire l'esigenza di certezza del diritto, appare necessaria l'adozione di strumenti che consentano una misura minima di standardizzazione dei criteri di valutazione giudiziale della condotta medica e, quindi, una certa prevedibilità dei giudizi di responsabilità medica. Ciò anche nella prospettiva di ridurre la attuale "cacofonia risarcitoria" che impedisce alle assicurazioni la costruzione di modelli di rischio attendibili e che sta determinando il rischio di mancata copertura di importanti aree di attività medica. Non è infrequente che i Tribunali italiani o specifiche loro sezioni adottino “linee guida” interne per garantire uniformità di applicazione di discipline di interpretazione problematica, a tutto vantaggio del funzionamento degli uffici giudiziari, della pratica forense e, ad un livello sistemico più ampio, del sistema giustizia e dei mercati collegati. Si pensi, a mero titolo di esempio, alle “linee guida” del Tribunale di Milano sulle novità in materia di fallimento, adottate dalla II sezione civile del Tribunale di Milano in composizione plenaria e risultanti dal verbale riassuntivo del 20 settembre 2012 o alle “soluzioni interpretative condivise” in materia di “Principali problematiche e possibili soluzioni, nell'interpretazione e applicazione dell'art. 445-bis c.p.c.”, adottate dalla Sezione Lavoro del Tribunale Civile di Roma e risultanti dal verbale del 26 gennaio 2012. Misure simili consentirebbero di fornire un "ancoraggio" ai giudici del medesimo tribunale, così incentivando, almeno a livello locale, uniformità di criteri di valutazione e decisione. Evidentemente, l’uniformazione nell’applicazione delle norme non potrebbe spingersi fino a privare i giudici dell’esercizio del proprio potere discrezionale nell’applicazione delle regole ma potrebbe fornire un importante contributo nel senso della uniformità interpretativa. Un ulteriore ambito di uniformazione riguarda la standardizzazione delle somme riconoscibili a titolo di risarcimento del danno. In tal senso ha operato l'art. 3, co. 3, del Decreto Balduzzi, là dove ha previsto che «il danno biologico conseguente all'attività dell'esercente della professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209» (c.d. Codice della Assicurazioni). 26 7.5 Incentivare l'adozione di "assetti organizzativi adeguati" da parte delle strutture medico-sanitarie e sanzionarne la violazione. "Informazione" e "consenso informato". Numerosi casi esaminati nel testo evidenziano l'esistenza di un ambito di competenze organizzative distinto dall'ambito delle competenze mediche in senso stretto. L’attuale disciplina vivente sembra, nella maggior parte dei casi, non tenere in adeguato conto, nel giudizio di responsabilità medica, del contesto entro il quale l’attività medica viene svolta; essenzialmente, il riferimento è alla organizzazione dei mezzi, degli orari e del personale da parte degli enti ospedalieri. I dati empirici, al proposito, forniscono importanti indicazioni, là dove, ad esempio, in una ricerca del 2010 è risultato che la responsabilità risarcitoria medica è stata ritenuta, dagli stessi medici, attribuibile al 75,4 % alla mancanza di posti letto, al 50,2 % alla stanchezza e alla paura di sbagliare e ben al 71% all’eccessivo afflusso di pazienti (M. Catino, C. Locatelli. Il problema della medicina difensiva nell’urgenza. Dipartimento di sociologia e ricerca sociale. Università degli studi di Milano-Bicocca. Ottobre 2010). A ben vedere, tutti fattori estranei al controllo del medico e legati, invece, ad un problema di organizzazione dell’ente ospedaliero. Al livello micro sistemico, tale considerazione dovrebbe comportare un’evoluzione giurisprudenziale che tenesse in maggior conto il contesto entro il quale il medico è chiamato ad operare al fine di verificare e graduare la sua responsabilità. Appare, infatti, necessario adeguare la disciplina della responsabilità e la definizione dei ruoli e delle responsabilità all’incremento della complessità dell’articolazione organizzativa delle strutture ospedaliere, al fine di non addossare al singolo medico, anello finale della catena della prestazione del servizio, il risultato di scelte (o carenze) organizzative a lui del tutto estranee. Tale ipotesi evolutiva attiene alla definizione del concetto di colpa, esaminata al precedente § 5.2. Al livello macro sistemico, la legislazione dovrebbe invece promuovere un sistema di incentivo alla corretta gestione delle strutture ospedaliere, premiando l’adozione di protocolli, linee guida e sistemi di risk management e sanzionando, invece, le organizzazioni inadeguate sotto tale punto di vista. Tra le policy adottabili al fine di un migliore risk management, ad esempio, viene correntemente proposta la riduzione degli orari di lavoro ed un miglior bilanciamento dei tempi di lavoro con quelli di riposo. Tema fondamentalissimo, in tale prospettiva, è quello della "informazione". Nel più recente paradigma di disciplina della materia, l’informazione e il consenso informato rappresentano il momento centrale del rapporto medico e struttura ospedaliera-paziente. Ciò che oggi viene acquisito è, invece, molto spesso un "consenso infirmato", molto spesso percepito come un adempimento di legge 27 necessario (c.d. approccio box ticking) e non come una opportunità di confronto e codecisione dell'intervento con il paziente. Un paziente che ha percepito il proprio coinvolgimento consapevole nelle scelte terapeutiche si sentirà compartecipe delle scelte effettuate, così che, qualora dovesse verificarsi un evento inatteso, saprà meglio distinguere e accettare ciò che talvolta risulta inevitabilmente indipendente dalle capacità di chi lo ha in cura. Da una recente ricerca, tuttavia, risulta che ciascun medico dedica al dialogo con il proprio paziente non più di qualche minuto. Una più appropriata gestione dei flussi informativi, inoltre, potrebbe determinare un ridimensionamento del numero di cause di risarcimento strumentali, sia preventiva rispetto all’intervento (ad esempio: chiarendo se un dato risultato sia “garantito”, “probabile” o solo “possibile”), sia successiva al verificarsi dell’evento dannoso. Basti pensare che in oltre 1/3 dei casi le liti e le segnalazioni dei cittadini di malpractice medica sono provocate da una comunicazione/informazione insufficiente, ed in alcuni casi fuorviante, tra chirurgo e paziente (Tavola rotonda su "Comunicazione in Sanità e la capacità di relazione del chirurgo", I Congresso nazionale "Unità e valore della Chirurgia Italiana).Risulta evidente, al proposito, la necessità che la gestione dei flussi informativi non sia lasciata all'iniziativa ed alla "buona volontà" dei singoli medici ma sia disciplinata in protocolli organizzativi ben disegnati e soggetti a verifica. 7.6 La de-conflittualizzazione della richiesta di risarcimento: il "rischio tipico" dell'attività medica. Proposte di “giustizia ripartiva”. Dalla interposizione di Ordini e Collegi medici alle ADR e conciliazione. Creazione di un "fondo" ad hoc di indennizzo dei danni. In un ottica sistemica più ampia, deve riconoscersi che il sistema del risarcimento del danno medico-sanitario sia costruito interamente secondo un modello oppositivo, che vede il paziente in una posizione di contraddittorio con il medico e che sviluppa l'esito del giudizio secondo una logica c.d. zero sum: il "guadagno" di una parte (il risarcimento) corrisponde alla "perdita" dell'altra (il medico). Tale modello, coerente con le ipotesi di dolo o colpa grave, diventa invece disfunzionale nei casi di danno derivante da colpa lieve o, addirittura, da danno risultante da caso fortuito. In tali ipotesi il modello concettuale di riferimento non è tanto quello dell'inadempimento quanto, piuttosto, quello del rischio tipico dell'attività. In tutte tali ipotesi, la logica oppositiva del giudizio civile limita fortemente, se non impedisce del tutto, la possibilità delle parti di adottare una logica win-win, nella quale entrambe le parti vedono soddisfatto il proprio interesse. Le strategie di de-conflittualizzazione della richiesta di risarcimento del danno non sono nuove; se ne rinviene un modello già nel d. lgs. C.p.S. 13 settembre 1946, n.233, a mente del quale (art. 3) «al Consiglio direttivo di ciascun Ordine e Collegio spettano le seguenti attribuzioni: … g) interporsi, se richiesto, nelle controversie fra sanitario e sanitario, 28 o fra sanitario e persona o enti a favore dei quali il sanitario abbia prestato o presti la propria opera professionale, per ragioni di spese, di onorari e per altre questioni inerenti all'esercizio professionale, procurando la conciliazione della vertenza e, in caso di non riuscito accordo, dando il suo parere sulle controversie stesse». La disposizione ricordata, virtuosa nell’intento di “mediare” la lite tra i diretti interessati mediante l’interposizione di un collegio “tecnico”, risente, tuttavia, di un’impostazione corporativa ed una concezione fortemente asimmetrica dei rapporti – là dove la partecipazione all’Ordine o Collegio di soli medici rende la posizione del paziente danneggiato istituzionalmente e strutturalmente suvvalente rispetto a quella del medico. Ciò non toglie che la medesima “interposizione” potrebbe avere un maggior bilanciamento nella rappresentanza degli interessi contrapposti quando il collegio chiamato ad interporsi fosse rappresentato in maniera equilibrata da rappresentanti dei medici e dei pazienti. Un risultato equivalente sarebbe disponibile mediante l’adozione di tecniche di ADR o il ricorso a procedimenti di mediazione e conciliazione rimessi a organismi professionali e “terzi“. Una simile esigenza di de-conflittualizzazione è a fondamento delle proposte, in ambito penale, di ricorso a meccanismi di “giustizia riparativa”; a modelli, cioè, in cui la vittima, il reo e la comunità sono coinvolte «nella ricerca di soluzioni agli effetti del conflitto generato dal fatto delittuoso, allo scopo di promuovere la riparazione del danno, la riconciliazione tra le parti e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo ... La sfida che la giustizia riparativa lancia, alle soglie del XXI secolo, è quella di cercare di superare la logica del castigo muovendo da una lettura relazionale del fenomeno criminoso, inteso primariamente come un conflitto che provoca la rottura di aspettative sociali simbolicamente condivise»7. In questa medesima prospettiva è stata proposta la costituzione di un fondo ad hoc, finanziato da medici e strutture ospedaliere (o, al limite, dall'intera cittadinanza mediante fiscalizzazione), che si faccia carico di corrispondere indennizzi predeterminati al verificarsi di danni non imputabili alla condotta dolosa o gravemente colposa dei medici, così, in buona sostanza, socializzando i costi di tale indennizzo anziché imputarli ai soli medici dal cui intervento sia emerso un danno (secondo la nota tesi di Salvatore Aleo8. Un tale meccanismo avrebbe dimensioni tali da consentire un pooling dei rischi medici particolarmente efficiente; d'altra parte, determinerebbe il rischio di inefficienze di gestione di varia natura - non ultima quella da burocratizzazione della struttura. Nondimeno, la proposta impone di essere Commissione di studio sulla mediazione penale e la giustizia ripartiva, 26 febbraio 2002, disponibile al link: http://www. giustizia.it/giustizia/it/mg_1_12_1.wp?facetNode_1=0_2&previsious Page=mg_1_12&contentId=SPS31448. 8 Da ultimo formulata in S. ALEO, Introduzione, in S. ALEO, R. DE MATTEIS e G. VECCHIO (2014). 7 29 considerata là dove, appropriatamente, sottolinea l'esigenza di non imporre ai singoli medici le conseguenze dannose incolpevoli dell'attività medico-sanitaria; di non renderli, in altri termini, garanti del risultato positivo in presenza di rischi tipici inevitabili dell'attività. 8 Conclusioni Negli ultimi anni il fenomeno della medicina difensiva ha modificato in modo sostanziale il rapporto medico-paziente, con i medici che hanno attuato meccanismi di autodifesa contro i sempre più frequenti casi di citazione in giudizio da parte dei pazienti. Infatti, come ampiamente discusso nel documento, la medicina difensiva tende a spostare in modo rilevante l’asse della responsabilità sanitaria verso un assetto di tutela rafforzata del paziente al fine di evitare il contenzioso legale per medical malpractice, incidendo in modo rilevante sui costi dei sistemi sanitari. La diffusione e pervasività di tali comportamenti sta rappresentano un serio problema per i sistemi sanitari di tutti i paesi industrializzati. Ma le conseguenze innescate da tali comportamenti hanno una portata più ampia del semplice rapporto medico-paziente o dell’aumento dei costi sanitari. Infatti, un’altra conseguenza negativa di questo fenomeno è che, negli ultimi 10 anni, nella maggior parte dei paesi dell'OCSE l'aumento dei risarcimenti per danni da negligenza medica ha rappresentato uno dei principali motivi per cui le compagnie di assicurazione del settore risultassero meno redditizie o in perdita. Inoltre, è ampiamente provato che ci sia una relazione positiva tra l'aumento del contenzioso e dei risarcimenti a favore dei pazienti e il rifiuto da parte dei medici di impegnarsi in specialità a rischio. Questi effetti costituiscono una chiara evidenza dell’esistenza di situazioni di inefficienza nella vigente disciplina della responsabilità medica, che dovrebbero inevitabilmente portare a pensare a una sua riscrittura. Riscrittura che dovrebbe avvenire non effettuando una scelta di favore per qualcuno degli attori operanti nel settore a discapito di altri, quanto piuttosto incentivando il funzionamento “corretto” del sistema, a maggior tutela di tutti i suoi attori, sia essi medici o pazienti/utenti. Inoltre, contrariamente a quanto è avvenuto negli ultimi anni, è necessario che tale riscrittura avvenga secondo un progetto consapevole di politica legislativa, lasciando all'intervento giudiziario (spesso incoerente, mutevole e comunque frammentato e occasionale) il solo compito di adeguare il sistema della responsabilità medica alle esigenze del momento. Purtroppo, ad oggi i tentativi di riforma in sede legislativa sono stati occasionali e privi di respiro sistematico. E’ mancato, infatti, un progetto chiaro e razionale di riforma, fondato su una definizione degli interessi in gioco e delle relative regole di prevalenza. 30 Ciò forse è anche dipeso da una mancanza di condivisione del progetto tra tutti gli attori coinvolti (medici e pazienti, giudici, compagnie assicurative, etc.). E’ nostro convincimento che ciò sia dipeso soprattutto dall’assenza di un approccio multidisciplinare al problema. Approccio che noi riteniamo fondamentale per permettere di superare tensioni e contrapposizioni tra i vari stakeholder in gioco e per poter scrivere un testo di riforma di legge basato sullo studio dei meccanismi di incentivo/disincentivo e sull'analisi della loro coerenza con gli obiettivi che si perseguono. 31 9 Bibliografia AHMAC Legal Process Reform Group (2002), Responding to Medical Indemnity Crisis: An integrated Reform Package, Chaor: Professor Marcia Neave. ALEO S., DE MATTEIS R. e VECCHIO G. (2014), Le responsabilità in ambito sanitario, I, Padova, Cedam. American College of Obstetricians and Gynaecologists (2004), “ACOG’s Red alert on OB-Gyn care reaches 23 states”, August. ANIA (XXXX), “Audizione presso la Commissione errori del SSN della Camera dei Deputati”, Roma. Fondazione ISTUD (2012), “Impatto sociale, economico e giuridico della pratica della medicina difensiva in Italia e negli Stati Uniti” http://www.istud.it/up_media/pw_scienziati/medicina_difensiva.pdf FORTI G., CATINO M., D'ALESSANDRO F., MAZZUCATO C. e VARRASO G. (a cura di), Il problema della medicina difensiva. Una proposta di riforma in materia di responsabilità penale nell'ambito dell'attività sanitaria e gestione del contenzioso legato al rischio clinico, Edizioni ETS, Pisa, 2010. Harris Interactive (2004), “Most Doctors Report Fear of Malpractice Liability HasHarmed Their Ability to Provide Quality Care”, in the Harris Poll Vol. 22, May. Paglia L., (2011),“Problemi e soluzioni dell'odontoiatria di oggi: intervista a Luigi Paglia”, Panorama dentale, Ottobre 2011 https://d1029qjbfn721s.cloudfront.net/media/content-Medicina difensiva.pdf Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva, XV Rapporto PiT Salute, 2011 32