1 Luglio Sanità24 La «complicanza» non salva il medico dalla

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1 Luglio Sanità24 La «complicanza» non salva il medico dalla
Luglio 2015
Rassegna Responsabilità Professionale
1 Luglio
Sanità24
La «complicanza» non salva il medico dalla responsabilità patrimoniale
Al medico convenuto in un giudizio di responsabilità, per superare la presunzione posta a suo carica
dall'articolo 1218del codice civile , non basta dimostrare che l'evento dannoso occorso al paziente rientri
«astrattamente» nel novero di quelle che nel lessico clinico vengono chiamate «complicanze», benché
rilevate dalla statistica sanitaria. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 13328/2015 ,
chiarendo che il sanitario deve sempre fornire la dimostrazione positiva di aver agito secondo la leges artis.
Il fatto - La domanda di risarcimento del danno proveniva da una donna costretta a dover ripetere più volte
un intervento agli occhi prima di arrivare ad un esito positivo. Secondo la Corte di appello di Roma che ne
aveva accolto la domanda, la nozione di «complicanza» agitata dal medico e dalla clinica per andare esenti
da responsabilità, era «giuridicamente irrilevante» in quanto «il medico ha l'onere di provare in concreto
l'esatto adempimento della propria obbligazione, e non gli è sufficiente che la sussistenza d'una causa di
esclusione della colpa possa essere solo astrattamente ipotizzabile».
La motivazione - Una ricostruzione condivisa dalla Cassazione secondo cui «al diritto non interessa se
l'evento dannoso non voluto dal medico rientri o no nella classificazione clinica delle complicanze: interessa
solo se quell'evento integri gli estremi della "causa non imputabile": ma è evidente che tale accertamento va
compiuto in concreto e non in astratto». Mentre la circostanza che un evento indesiderato sia qualificato
dalla clinica come "complicanza" «non basta a farne di per sé una "causa non imputabile" ai sensi dell'art
1218 c.c. ; cosi come, all'opposto, eventi non qualificabili come complicanze possono teoricamente costituire
casi fortuiti che escludono la colpa del medico». Dunque, spiega la sentenza, sul piano della prova nel
giudizio di responsabilità tra paziente e medico: o il medico riesce a dimostrare di avere tenuto una condotta
conforme alle Ieges artis, ed allora egli va esente da responsabilità a nulla rilevando che il danno patito dal
paziente rientri o meno nella categoria delle "complicanze"; o, all'opposto, il medico quella prova non riesce
a fornirla: ed allora non gli gioverà la circostanza che l'evento di danno sia in astratto imprevedibile ed
inevitabile, giacché quel che rileva è se era prevedibile ed evitabile nel caso concreto. Prevedibilità ed
evitabilità che è onere dei medico dimostrare.
Il principio - Riguardo poi la domanda incidentale della paziente che lamentava la mancata liquidazione del
danno patrimoniale dovuto alla sostituzione delle cornee, operazione ripetuta per ben due volte, i giudici,
affermando un principio di diritto, chiariscono che: «Chi domanda in giudizio il risarcimento del danno ha
l'onere di descrivere in modo concreto i pregiudizi dei quali chiede il ristoro, senza limitarsi a formule vuote e
stereotipe come la richiesta di risarcimento dei "danni subiti e subendi"». Come aveva fatto la paziente
ritenendo la domanda implicita.
«Domande di questo tipo – conclude la sentenza - , quando non ne sia dichiarata la nullità ex art. 164 c.p.c. ,
non fanno sorgere in capo al giudice alcun obbligo di provvedere in merito al risarcimento dei danni che
fossero descritti concretamente solo in corso di causa».
3 Luglio
Quotidiano Sanità
Errori in sanità. Solo in 1 caso su 3 è colpa del medico. Serve prevenzione del rischio clinico
Il dibattito in corso alla Camera sulla responsabilità dei medici e dell'ente è necessario e deve anzi essere
accelerato; ma bisogna affrontare con forza il tema degli standard tecnologici, strumentali e organizzativi
degli ospedali
Ho letto con interesse l’articolo pubblicato su Quotidiano Sanità del 29 giugno sugli errori in sanità. I dati
emersi sul numero di denunce a carico dei medici e sull’entità delle cause pendenti confermano due
elementi: il dibattito in corso, alla Camera, sulla responsabilità dei medici è necessario e deve anzi essere
accelerato; bisogna affrontare con forza il tema degli standard tecnologici, strumentali e organizzativi degli
ospedali. In particolare quest’ultimo punto, spesso sottovalutato, è molto importante. Come emerso di
recente, infatti, nella maggior parte dei casi i problemi derivano da un’organizzazione inadeguata, dall’uso di
strumenti obsoleti, da incomprensioni banali sulla cartella clinica. Solo un terzo degli errori sarebbe
riconducibile a condotte del medico.
Questi elementi sono molto importanti anche sul piano concettuale perchè, come per esempio osservato
dall’Avv. Vania Cirese, autorevole esperta del settore, ai giorni nostri è ormai anacronistico riferirsi solo
all'attività svolta dal libero professionista e non anche a quella della struttura sanitaria, la quale (anche in
base a disposizioni di legge già vigenti: si veda il decreto legislativo 502 del 1992) deve garantire sul piano
strutturale, tecnologico e organizzativo un adeguato livello delle cure. Vi è insomma necessità di un contesto
che consenta al medico di lavorare bene e in serenità. Questo significa parlare di temi quali la responsabilità
degli enti e dei loro dirigenti preposti, appunto, agli aspetti organizzativi, strutturali e gestionali.
La mia riflessione è che questi elementi debbano spingerci ancor di più ad affrontare in modo adeguato e
strutturale il tema del sistema di analisi e di prevenzione del rischio clinico a livello nazionale. L’ultimo
Luglio 2015
Rassegna Responsabilità Professionale
intervento in materia, contenuto nel “Decreto Balduzzi” del 2012, fu del tutto inadeguato in quanto si passò
da un testo iniziale del provvedimento positivo a un testo poi modificato in peggio e soprattutto privo delle
necessarie risorse economiche: questo fu peraltro uno dei motivi che mi spinsero, allora, a votare contro
quel provvedimento in dissenso dalle indicazioni del mio gruppo parlamentare.
Oggi in Italia non esiste, a differenza di altre realtà anche europee e a noi vicine come la Francia, un vero e
univoco modello nazionale di gestione del rischio che si rifaccia a una metodologia riconosciuta. Se in
alcune realtà locali (capofila sono stati il Veneto e la Toscana) ci sono unità sul rischio clinico già operative e
questo rappresenta un elemento positivo sul piano territoriale, è altrettanto vero che tali interessanti
esperienze non sono nelle condizioni di "fare rete".
Evidenzio questo tema sia per la sua oggettiva importanza, sia perchè esso viene in parte trattato nelle
proposte di legge sulla responsabilità all'esame della Commissione Affari Sociali della Camera. In altre
parole il dibattito in atto alla Camera, pur con tempi che io stesso non esito a definire troppo lunghi, va
seguito anche per l'interesse di questo specifico punto, il cui esame deve a mio parere procedere di pari
passo con quello relativo alla responsabilità del medico e dell'ente. Senza infine dimenticare che un efficace
sistema di gestione del rischio clinico contribuirebbe anche a ridurre le dimensioni oggi notevoli, e quindi
anche la portata delle loro conseguenze sul piano economico per il Ssn, della “medicina difensiva” che,
secondo i dati di un’indagine portata all’attenzione della Camera, ha un’incidenza sulla spesa sanitaria pari a
circa il 10 per cento.
Benedetto Fucci
Segretario della Commissione Affari Sociali della Camera
Doctor33
Consenso informato, mancata raccolta implica negligenza del medico
Il consenso informato è sempre più importante per le sorti del medico e il non raccoglierlo non è solo una
violazione di diritti ancora non punita dalla legge; può benissimo essere infatti anche una manifestazione di
negligenza professionale. Lo sa bene il chirurgo condannato da una recente sentenza della IV Cassazione
Penale, la 21537/2015, per danno a un paziente a seguito di un intervento pur riuscito. Malgrado
l'esecuzione "a norma", rilevano i giudici, il consenso non è stato raccolto e proprio per questo il medico non
ha potuto sapere che il paziente poteva subire effetti collaterali dalla cura. La mancata raccolta del consenso
in questo caso per i giudici è indice di superficialità nell'approccio al malato, e se a quest'ultimo accade
qualcosa la negligenza in questione riveste un profilo di colpa medica. La Cassazione introduce così un
tassello ulteriore a una normativa che non è disciplinata dalla legge. Pur essendo la raccolta del consenso
imposta dal Codice deontologico all'articolo 35, il "saltarla" non è penalmente sanzionabile - come rileva la
Cassazione penale con sentenza 40252 del 2008 - perché nessuna legge punisce il medico. In compenso la
Corte Costituzionale con la sentenza 438/08 ha ribadito il diritto al consenso come costituzionalmente
protetto agli articoli 13 e 32 della Costituzione, e senza consenso - come ha specificato poi la Cassazione
con sentenza 1572/2001- il medico non può curare né il chirurgo "mettere le mani addosso" al paziente, a
meno che quest'ultimo non sia impossibilitato dalle sue condizioni a dire sì o no alla cura (sentenza
16543/2011 III sezione civile) o dallo stato di necessità di salvare la persona (articolo 54 del codice penale).
In passato Tribunali e Cassazione si sono occupati dei danni da mancato consenso anche in presenza di
interventi che hanno salvato la vita al paziente e lo hanno fatto stare meglio. Il 29/03/2005 il Tribunale di
Milano ha deliberato che anche in presenza di un miglioramento delle condizioni psico-fisiche, la lesione del
diritto all'autodeterminazione produce un danno non patrimoniale anche sse di entità economica non
apprezzabile. Nel 2009 (sentenza 2437) la Cassazione penale a sezioni unite ha invece affermato che, se il
paziente migliora, la condotta del medico è priva di rilevanza penale, tanto sotto il profilo delle lesioni
personali quanto sotto quello della violenza privata. Al contrario, se il paziente peggiora, la Corte d'Appello di
Roma, sez. II, 22/06/2006 ha ravvisato che il medico che non ha chiesto il consenso incorre in violazioni di
legge (addirittura la Costituzione articoli 32 su divieto trattamenti sanitari obbligatori e 13 violazione libertà
personale, oltre che la 833/78 articolo 22, interventi eseguiti contro volontà del paziente)
anche ove non sussistano profili di imperizia, imprudenza o negligenza. Una casistica ampia è reperibile nel
CD "il consenso informato in medicina" a cura di Eolo Parodi Marco Perelli Ercolini e Renato Mantovani
consultabile al sito www.enpam.it nella collana Universalia. Mauro Miserendino
9 Luglio
Doctor33
Concetto medico di "complicanza" è irrilevante per il diritto
Col lemma "complicanza", la medicina clinica e la medicina legale designano solitamente un evento
dannoso, insorto nel corso dell'iter terapeutico, che pur essendo astrattamente prevedibile, non sarebbe
evitabile. Tale concetto è inutile nel campo giuridico. Quando, infatti, nel corso dell'esecuzione di un
intervento o dopo la conclusione di esso si verifichi un peggioramento delle condizioni del paziente, delle
due l'una:
Luglio 2015
Rassegna Responsabilità Professionale
- o tale peggioramento era prevedibile ed evitabile, ed in tal caso esso va ascritto a colpa del medico, a nulla
rilevando che la statistica clinica lo annoveri in linea teorica tra le "complicanze";
- ovvero tale peggioramento non era prevedibile oppure non era evitabile: ed in tal caso esso integra gli
estremi della "causa non imputabile" di cui all'art. 1218 c.c., a nulla rilevando che la statistica clinica non lo
annoveri in linea teorica tra le "complicanze".
Al diritto non interessa se l'evento dannoso non voluto dal medico rientri o no nella classificazione clinica
delle complicanze: interessa solo se quell'evento integri gli estremi della "causa non imputabile".
[Avv. Ennio Grassini - www.dirittosanitario.net]
10 Luglio
Quotidiano Sanità
Assicurazioni sanitarie. Il 70% dei contenziosi finisce nel nulla. Ma i premi per i medici e i
professionisti salgono del 10%. Il Rapporto Ania
Nel 2013 i sinistri scendono del 2,5% (ma quelli a carico dei professionisti salgono del 2,4%). E i premi
crescono mediamente del 3,8% con il boom di quelli stipulati dai professionisti che salgono del 10%. Calano
invece quelli delle Asl (- 5,5%). Per Ania l'aumento dei premi è dovuto al "persistente disequilibrio economico
del settore". IL RAPPORTO - http://www.quotidianosanita.it/allegati/create_pdf.php?all=5832122.pdf
Scendono nel 2013 rispetto all’anno precedente i sinistri sanitari del 2,5% ma aumentano i premi delle
polizze del 3,8%. È quanto evidenzia l’Ania nel suo ultimo Rapporto annuale dove ha analizzato anche la
situazione della Rc Sanitaria sia per quanto riguarda le strutture che i professionisti.
Come dicevamo il numero dei sinistri nel 2013 ha registrato una lieve riduzione (-2,5% rispetto al 2012),
proseguendo la tendenza già avviata nel 2010: nel periodo 2010-2013 sono diminuiti dell’11%. Ma nello
specifico Ania evidenzia come mentre “i sinistri relativi alle strutture sanitarie diminuiscono del 5,5%, quelli
relativi alle polizze dei professionisti tornano nel 2013 ad aumentare del 2,4%, dopo tre anni consecutivi di
riduzione”.
La stima dei premi del lavoro diretto italiano per l’esercizio 2013 è pari a 564 milioni di euro, ripartiti al 50%
tra le polizze stipulate dalle strutture sanitarie e quelle sottoscritte dai professionisti sanitari. In ogni caso si
deve tenere conto che la statistica non comprende i premi raccolti dalle imprese europee operanti in Italia in
regime di libertà di prestazione di servizi. Rispetto all’anno precedente in ogni caso i premi sono aumentati
del 3,8%. “Vi ha contribuito essenzialmente l’aumento di oltre il 10% registrato dal volume premi relativo alle
polizze dei professionisti, probabilmente anche a causa di una rivisitazione dei prezzi assicurativi resasi
necessaria per il persistente disequilibrio economico del settore”. Risultano invece in lieve contrazione (2,1% rispetto al 2012) i premi relativi alle strutture sanitarie. Il tasso annuo di crescita dei premi complessivi
nel periodo 2003-2013 si attesta al 6,9% (rispettivamente 4,1% per le strutture sanitarie e 10,9% per i
professionisti).
Per quanto la situazione del numero dei sinistri che la compagnia chiude senza effettuare nessun
pagamento (c.d. senza seguito). “Se si esaminano le generazioni più mature (dal 1994 al 2003),
mediamente oltre i due terzi dei sinistri denunciati alle compagnie, per il totale della r.c. medica, vengono
chiusi senza seguito”. In particolare la percentuale è più elevata per i sinistri relativi alle strutture sanitarie
(mediamente pari nel periodo al 70%). “Questo potrebbe essere causato da fenomeni di duplicazione di
denunce per lo stesso sinistro (che possono colpire ad esempio sia la struttura sia il personale medico
coinvolto singolarmente) e che sono poi chiuse senza seguito dalla compagnia in quanto riconducibili ad un
unico sinistro per l’impresa assicurativa”. Per i sinistri relativi alla r.c. professionale mediamente il 60% dei
sinistri denunciati non dà seguito a un risarcimento.
16 Luglio
Doctor 33
Medici a rischio, non esistono le complicanze: Cassazione restringe campo alea
Nel diritto non esistono le complicanze di un intervento chirurgico. La fatalità è ammessa in questi termini: il
peggioramento del paziente o era inevitabile o era imprevedibile. Se il medico dimostra nello specifico una di
queste due situazioni o entrambe, non paga il risarcimento danni, altrimenti nella causa intentatagli rischia di
soccombere. Lo afferma la III Sezione Civile della corte di Cassazione con la sentenza 13328 depositata il
30 giugno scorso e riportata sul sito Fnomceo. La sentenza mette la parola fine a un lungo contenzioso nato
nel 1988 quando una paziente riceve la cornea da un donatore all'occhio destro; lo stesso chirurgo con un
collega la opera l'anno dopo per correggere un difetto della vista all'altro occhio. Ma qui nell'iter terapeutico
insorgono le complicanze che causano danni perenni. Se in primo grado il tribunale ha rigettato la domanda
di risarcimento, in secondo grado è stato evidenziato dai Ctu un nesso tra le complicanze del secondo
intervento e il primo intervento, pur restando esclusa la responsabilità dei medici. A sorpresa però il giudice
ha ravvisato quelle responsabilità e si è pronunciato due volte, la prima nel 2009 per condannare a sorpresa
il collega del chirurgo, unico superstite dei due convenuti, la seconda nel 2012 per quantificare il danno in 35
Luglio 2015
Rassegna Responsabilità Professionale
mila euro. Il medico ha fatto ricorso in Cassazione (così come la paziente per i danni "subiti e subendi") e ora
quest'ultima dichiara inammissibili le sue eccezioni, sia sull'assenza di nesso causale tra intervento e danno,
sia sul fatto che il secondo intervento avrebbe solo portato in luce le pecche del primo (qui il giudice vede
comunque l'ammissione che c'è stato un aggravamento per il secondo intervento). Il medico ha contestato
soprattutto che la sua colpa, pur esclusa dai Ctu, sia stata ravvisata dalla Corte d'Appello. La Cassazione
sottolinea come le affermazioni del consulente d'ufficio, secondo cui il danno patito dalla paziente doveva
ritenersi una "complicanza", ai fini del diritto siano generiche e giuridicamente irrilevanti «posto che il medico
per andare esente da condanna ha l'onere di provare in concreto l'esatto adempimento della propria
obbligazione, e non gli è sufficiente che la sussistenza d'una causa di esclusione della colpa possa essere
solo astrattamente ipotizzabile».
Mauro Miserendino
18 Luglio
LaLeggeperTutti.it
Infermieri: responsabili in sala operatoria anche con l’equipe medica
Durante un’operazione medica, in caso di cooperazione multidisciplinare anche non contestuale, ogni
sanitario non solo è tenuto a rispettare la massima diligenza e prudenza con riferimento alle proprie
prestazioni, ma deve anche osservare gli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine
comune ultimo: tale principio si applica anche al personale paramedico nell’ambito delle proprie competenze
come, per esempio, gli infermieri. È quanto chiarito dalla Cassazione in una recente sentenza [1]. La
vicenda Nel caso di specie, due infermieri generici venivano dichiarati colpevoli di omissione di controllo e
vigilanza su di una paziente che, dopo aver subito l’anestesia in attesa di un’operazione ancora da
compiersi, cadeva dal lettino cui non era stata legata, procurandosi gravi lesioni. I giudici hanno ritenuto
colposa la condotta dei due infermieri per aver erroneamente posizionato il paziente nel lettino e per aver
omesso il controllo successivo delle sue condizioni. Nell’equipe ciascuno deve verificare quanto svolto prima
dai colleghi La Corte ha ritenuto che il responsabile dell’incidente non dovesse essere considerato il medico
addetto all’anestesia che somministrava il farmaco in assenza dei colleghi addetti all’operazione. Infatti, in
tema di colpa professionale in caso di cooperazione multidisciplinare, anche se non contestuale, ogni
sanitario deve agire secondo cautela e diligenza per il fine comune: il che significa verificare l’attività
precedente o contestualmente svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina. Dovrà dunque
controllarne per quanto possibile, la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui “che siano
evidenti, non settoriali rilevabili ed emendabili secondo l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del
professionista medio”.
La sentenza
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 6 febbraio – 16 luglio 2015, n. 30911
Presidente Brusco – Relatore Izzo
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 25/11/2013 la Corte di Appello di Palermo dichiarava non doversi procedere nei
confronti di P.S., V.A. e C.C. per il delitto di lesioni colpose in danno di G.C., perché estinto il reato per
intervenuta prescrizione; con la sentenza venivano confermate le statuizioni civili in favore della parte civile.
Agli odierni ricorrenti, P. e V. era stato addebitato di avere cagionato, in qualità di infermieri generici presso il
reparto di unità operativa di gastroenterologia dei presidio Ospedaliero Civico “Benfratelli” di Palermo (in
servizio in sala esami radiografici in occasione dell’esecuzione di un’endoscopia, per visionare il colèdoco di
G.C.), con condotta colposa consistita nell’erroneo posizionamento della paziente sul lettino ove doveva
essere eseguito l’esame e nella omissione di controllo e di successiva vigilanza della stessa nelle fasi di
attesa antecedenti all’inizio dell’intervento, lesioni personali alla detta G., consistite in un trauma cranico con
emorragia subdurale occipitale, frontale e temporale da ferita lacero contusa, a seguito della rovinosa caduta
a terra della donna dal lettino operatorio, successiva alla somministrazione della anestesia in vista della
operazione (acc. in Palermo il 19/12/2005).
Nel confermare la condanna, ai limitati effetti civili, la corte di merito rilevava che dai fatti emergeva chiara la
condotta colposa dei due infermieri che avevano omesso di legare la paziente in prossimità dell’inizio
dell’intervento diagnostico-terapeutico.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore degli imputati P. e V., lamentando la
erronea applicazione della legge ed il vizio della motivazione laddove la corte di merito non aveva tenuto
conto delle precise censure formulate, richiamando in modo generico la tematica della colpa da equipe. Nel
caso di specie l’unico responsabile del fatto andava individuato nel dott. C. il quale, senza ordine del
primario operatore, aveva iniziato la fase di sedazione della paziente mentre gli altri medici erano ancora
impegnati in attività preparatoria dell’intervento e nel settaggio degli strumenti. Pertanto la paziente, che era
stata correttamente posizionata sul fianco dagli infermieri, persa coscienza era scivolata in terra cadendo dal
lettino. La responsabilità andava ricondotta, quindi, esclusivamente al comportamento dell’anestesista che
era stato dei tutto anomalo ed imprevedibile.
Luglio 2015
Rassegna Responsabilità Professionale
Considerato in diritto
1. Va premesso che la Corte di merito ha ritenuto che la responsabilità nei fatti dei due infermieri (e
dell’anestesista C.) emergesse dalle seguenti circostanze – la paziente G. era ricoverata presso l’ospedale
“Benfratelli” per essere operata di calcolosi biliare e dei colèdoco;
– in attesa dell’intervento endoscopico, il giorno dei fatti si trovava presso il reparto di radiologia;
– pur non essendo ancora legata, il dott. C. le aveva somministrato l’anestesia alla presenza dei due
infermieri P. e V.;
– la paziente, in stato di incoscienza, era caduta dal lettino provocandosi le lesioni di cui al capo di
imputazione.
Ha osservato la Corte che la responsabilità dei tre imputati (ai residui fini civili) si desumeva dal fatto che il
posizionamento della paziente sul lettino, senza legatura, era stato effettuato dal P. alla presenza del collega
V.; l’anestesia era stata somministrata dal C., pur non essendo ancora legata la paziente.
2. Ciò detto va ricordato che questa Corte di legittimità ha statuito che in tema di colpa professionale,
qualora ricorra l’ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, ogni
sanitario è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni
svolte, all’osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed
unico. Ne consegue che ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o
contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se
del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con
l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 46824
del 26/10/2011 Ud. (dep. 19/12/2011), Rv. 252140; conf. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 41317 del 11/10/2007
Ud. (dep. 09/11/2007), Rv. 237891).
Il principio richiamato, sebbene prenda in considerazione la sinergia tra medici in sala operatoria, ben può
essere applicato anche al personale paramedico, nei limiti delle competenze per cui è richiesta la loro
prestazione.
Nel caso concreto, ha osservato il giudice di merito che una volta posizionata la paziente sul lettino, adagiata
su un fianco, tale posizionamento lasciava intendere che la procedura di intervento diagnostico-terapeutico
era già iniziata e stava per snodarsi attraverso tutte le successive fasi della anestesia, intubazione ed
endoscopia.
Una volta iniziata la procedura, nessuno dei presenti, chiamato a volgere le specifiche attività di
competenza, poteva addurre la imprevedibilità del comportamento altrui, soprattutto quando, come nel caso
di specie, l’anestesista, sebbene imprudentemente, aveva svolto proprio il compito per il quale era presente
in sala e cioè la sedazione della paziente. Il rispetto di regole di normale prudenza, come rilevato dal giudice
di merito, avrebbe imposto agli infermieri, una volta messa la paziente sul lettino in una posizione innaturale,
sul fianco, ma funzionale all’intervento da svolgere, di legarla immediatamente; ovvero era esigibile da parte
loro che non perdessero di vista la paziente, accorgendosi in tal modo dello svolgersi delle fasi
dell’intervento e quindi della erogazione della anestesia.
La colpevole omissione di tali doverose condotte, pertanto, correttamente è stata ritenuta concausa
dell’evento. Inoltre non potendo la condotta dell’anestesista considerarsi imprevedibile, coerentemente il
giudice di merito ha ritenuto la carenza di attenzione dei due infermieri integrare il coefficiente psicologico
colposo del delitto contestato.
Valutata pertanto la infondatezza delle censure, il ricorso deve essere rigettato. Segue, a norma dell’articolo
616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese dei procedimento
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Corriere della Sera Milano
Errori medici, l’avviso della Corte dei conti
La Corte dei conti interviene sulla riforma della Sanità. Con una lettera riservata al governatore Maroni, il
procuratore regionale Antonio Caruso segnala il preoccupante aumento delle spese per risarcire i pazienti
che hanno denunciato errori medici. I casi esaminati dai giudici contabili sono quintuplicati in cinque anni.
Mentre i risarcimenti, come emerge da un dossier di Arca, hanno superato i 134 milioni annui. Così,
intervenendo nel dibattito sul futuro assetto del sistema sanitario lombardo, la Corte dei conti ammonisce il
Pirellone sui rischi legati agli episodi di malaSanità e approva la scelta di adottare una rete regionale di
coperture assicurative: «Si condivide — scrive il procuratore Caruso — la previsione di una gestione del
rischio clinico attraverso la tutela assicurativa da parte della Regione dei medici coinvolti in casi di
malpractice ». a pagina 5
Errori clinici, allarme Corte dei conti «La Regione tuteli i medici coinvolti» Dal ‘99 risarcimenti per 1,3
miliardi. Lettera a Maroni: sì al piano assicurativo lombardo
In gioco c’è una cifra astronomica: un miliardo e 338 milioni di euro. Sono i soldi pubblici impegnati in
Lombardia, tra il 1999 e il 2014, per risarcire i pazienti che hanno denunciato errori medici. E il fenomeno si
aggrava di anno in anno: le somme da liquidare sono in costante aumento e ora hanno superato i 134 milioni
Luglio 2015
Rassegna Responsabilità Professionale
di euro annui (contro i 35,8 del 1999 e i 105,7 del 2009). Così adesso interviene la Corte dei conti: «Sono
noti i più recenti eventi giudiziari che hanno coinvolto gli ospedali lombardi, anche privati, riguardanti non
solo eclatanti e diffusi casi di corruzione, ma anche singoli e sempre più frequenti casi di malpractice
(altrimenti conosciuta come malasanità, ndr ) — scrive il procuratore regionale Antonio Caruso al Pirellone
—. Essi inducono a ritenere prioritaria una sempre più penetrante azione di controllo. (...) E non vanno
trascurati i riflessi di ordine economico e finanziario derivanti dai possibili risarcimenti dei danni».
La Corte dei conti prende posizione in una lettera inviata il 13 luglio in via riservata al governatore Roberto
Maroni. L’occasione è l’approvazione in corso della riforma della sanità: «Si condivide la previsione di una
disciplina da parte della giunta regionale di gestione del rischio clinico attraverso la tutela assicurativa da
parte della Regione dei medici coinvolti in casi di malpractice medica», continua il procuratore regionale
Antonio Caruso, che segnala un dato su tutti: «Le denunce alla Corte dei conti sono quintuplicate rispetto a
cinque anni fa».
Il motivo della crescita dei casi in esame davanti ai giudici contabili è, senza dubbio, da ricondurre alla
maggiore sensibilità della Corte dei conti stessa all’argomento rispetto al passato: ora la segnalazione dei
casi viene sollecitata agli ospedali per la presenza di un possibile danno erariale, mentre nel passato la
questione non era all’ordine del giorno. Nello stesso tempo, però, c’è maggiore attenzione al problema
proprio perché è sempre più grave e coinvolge cifre da capogiro. Di qui il richiamo dei giudici contabili,
favorevoli alla nascita di un sistema di assicurazione a livello lombardo (nei limiti previsti dalla legge).
Del resto, il risarcimento dei danni per (eventuale) malasanità tormenta da anni ospedali, dottori e pazienti.
Gli uni devono riuscire ad assicurarsi contro gli errori medici senza spendere cifre astronomiche in premi; gli
altri devono tutelarsi dal rischio di pagare di tasca propria eventuali richieste di risarcimento; gli ultimi, i
malati, se danneggiati, devono essere sicuri (almeno) di essere risarciti. Tenere insieme il tutto non è
semplice: le assicurazioni sono in fuga perché il mercato della sanità fatica a essere redditizio davanti alla
pioggia di richieste di risarcimento; i dottori rischiano di essere chiamati a rispondere in prima persona per
danni all’erario, mentre i malati possono ritrovarsi ad affrontare un’odissea anche dopo che il giudice ha
stabilito che il risarcimento è dovuto.
Negli ultimi sedici anni i pazienti (o le famiglie) che in Lombardia hanno presentato denuncia per malpractice
sono stati 33.848. Tutta l’urgenza del problema emerge anche dall’ultimo dossier della Centrale degli
acquisti del Pirellone (Arca), che provvede alle gare pubbliche per trovare le assicurazioni agli ospedali
pubblici: «A fronte di un trend di riduzione dei sinistri — si legge in un report del maggio 2015 firmato dal
direttore generale Luciano Zanelli — si registra un incremento degli importi».
Per correre ai ripari il Pirellone ha scelto di fare bandi di gara aggregati per assicurare gli ospedali per i
sinistri superiori ai 250 mila euro, mentre per le somme inferiori ogni struttura sanitaria risponde con un
fondo riservato all’interno del proprio bilancio. La strategia, giurano da Arca, si è dimostrata vincente, con un
contenimento globale delle spese assicurative. Ma ora la Regione, con la riforma sanitaria messa a punto da
Fabio Rizzi (Lega) e Angelo Capelli (Ncd) prevede di fare un passo in più. L’idea è, va ripetendo Rizzi, quella
«di una presa in carico a livello regionale del rischio clinico e della creazione di un fondo lombardo che
intervenga con risarcimenti certi in caso di malpractice, evitando tutti i problemi e le spese connesse alle
assicurazioni e alle lungaggini giuridico-burocratiche».
Simona Ravizza
22 Luglio
Corriere della Sera
Medici distratti per il cellulare in sala operatoria: polemica negli Usa
L’uso del telefonino in sala operatoria divide i medici Usa. I messaggi di testo o il semplice controllo delle
chiamate ricevute possono distrarre chirurghi e operatori sanitari durante l’intervento, mettendo anche a
rischio la salute dei pazienti. Nel 2011, in Texas, un anestesista è stato accusato del decesso di un paziente
perché durante il monitoraggio dell’ossigeno si era distratto inviando mail e messaggi senza guardare per 20
minuti i monitor di controllo durante un’operazione.
Distrazione da cellulare: tra i primi rischi per i pazienti
Secondo l’Ecri Institute, un’organizzazione no-profit che monitora la qualità dell’assistenza sanitaria, la
distrazione al cellulare dei medici è tra i primi 10 rischi tecnologici per il paziente. Per questo il motivo riporta la rivista online The Atlantic - l’American College of Surgeons e l’American Academy of Orthopaedic
Surgeons hanno pubblicato un documento che mette in guardia dall’uso dei telefonini in sala operatoria,
chiedendo norme più chiare in materia che stabiliscano se e come utilizzare questi dispositivi mobili.
Cosa succede in Italia
E in Italia? «La regolamentazione dei telefoni cellulari in sala operatoria è affidata alle direzioni sanitarie
delle strutture - Diego Piazza, presidente dell’Acoi (l’Associazione dei chirurghi ospedalieri italiani) - e non
sono previste disposizioni nazionali. Questo libero arbitrio crea situazioni a “macchia di leopardo”, mentre
dovrebbero essere sempre garantite la sicurezza e la privacy del paziente. Ma c’è anche un altro aspetto:
non si può lasciare il chirurgo isolato per ore durante lunghe operazioni. La soluzione - suggerisce Piazza - è
Luglio 2015
Rassegna Responsabilità Professionale
predisporre fuori dalla camera operatoria un desk dove lasciare il cellulare, magari con un operatore che
possa intercettare chiamate d’emergenza o altro. In Italia non mi risultano episodi come quello avvenuto in
Texas, ma è chiaro che i l problema va risolto».
Il Sole 24 Ore Sanità – Il Settimanale
30 Luglio
Studio Cataldi – Newsletter giuridica
Il chirurgo capo-equipe risponde penalmente anche per gli errori dei suoi collaboratori
Con una nuova pronuncia in materia di malasanità, la Corte di cassazione ha sancito la responsabilità
penale del chirurgo capo-equipe, in caso di decesso del paziente, anche per gli errori dei suoi collaboratori.
Secondo la Corte, infatti, la cooperazione tra più soggetti con competenze diverse, che connota il lavoro in
equipe, va sottratta all'anarchismo e deve essere necessariamente diretta e coordinata dal capo del gruppo
di lavoro. Il capo-equipe, in sostanza, è parzialmente sottratto al principio di affidamento e ha la
responsabilità di una costante e diligente vigilanza sull'attività del gruppo, anche successiva alla conclusione
dell'atto operatorio in senso stretto.
Dinanzi alle molteplici e differenti situazioni che possono verificarsi durante un intervento, il chirurgo
Luglio 2015
Rassegna Responsabilità Professionale
responsabile dovrà quindi avvalersi necessariamente del ruolo istituzionale che gli è stato affidato. In ogni
caso i giudici precisano che la sua responsabilità non può essere di certo considerata priva di limiti ma
emerge solo con riferimento a determinazioni che rientrano nel sapere comune di ogni accorto terapeuta o
che riguardano gli ambiti interdisciplinari, mentre è da escludersi con riferimento a determinazioni che
presuppongono un sapere altamente specialistico.
Nel caso di specie, il chirurgo capo-equipe, pur avendo manifestato un'opinione che poi si dimostrò corretta,
non impedì all'anestesista di addormentare la paziente, nonostante le complicanze che ne causarono il
decesso. Secondo i giudici egli, in possesso delle conoscenze necessarie per ponderare le implicazioni
connesse all'anestesia curarica, avrebbe dovuto sospendere l'atto operatorio che, peraltro, era urgente ma
non impellente.
A causa del suo comportamento negligente, sulla base della sentenza n. 33329/2015 il chirurgo dovrà quindi
rispondere penalmente per il decesso del paziente. Avv. Valeria Zeppilli
Doctor33
Linee guida devono essere specificate e allegate in giudizio
L'assunto difensivo concernente l'avvenuto rispetto da parte del medico imputato delle regole di diligenza e
dei protocolli ufficiali resta mera enunciazione laddove sia stata omessa la necessaria allegazione delle linee
guida alle quali la condotta del medico si sarebbe conformata. L'allegazione si rende necessaria ai fini della
verifica della correttezza e scientificità delle stesse: solo nel caso di linee guida conformi alle regole della
migliore scienza medica è possibile, infatti, utilizzare le medesime come parametro per l'accertamento dei
profili di colpa ravvisabili nella condotta del medico ed attraverso le indicazioni dalle stesse fornite sarà
possibile per il giudicante valutare la conformità ad esse della condotta del medico al fine di escludere profili
di colpa. [Avv. Ennio Grassini - www.dirittosanitario.net]
31 Luglio
Corriere della Sera Brescia
Tra stress e rischio denunce anche il medico è «malato» Stretta sulla medicina difensiva.
«Meglio intervenire su assicurazioni e responsabilità»
La medicina difensiva sta diventando una presenza costante nell’attività lavorativa di ogni medico. Che sia
attiva (eccedere nella prescrizione per allontanare il rischio di eventuali contenziosi legali e accuse di
negligenza) o passiva (evitare di prescrivere determinati esami) oggi tutti i medici si misurano con questa
tendenza. A conferma della diffusione della medicina difensiva gli ultimi provvedimenti a livello centrale: di
pochi giorni fa la fiducia chiesta e ottenuta dal governo al senato sul decreto legge sugli enti locali,
documento che contiene anche le norme sulla sanità e in particolare la stretta sulle prescrizioni inutili che
ogni anno costano 13 miliardi di euro. Con questa mossa il ministro Beatrice Lorenzin ha infatti introdotto un
tetto a visite, esami strumentali ed esami di laboratorio. Prossimamente verrà stilata una lista degli esami
ammessi per ogni patologia, chi vorrà farne di extra dovrà pagare di tasca propria. E per il medico che
sgarra, al via una decurtazione delle stipendio. Un argomento molto sentito questo anche dai medici della
provincia di Brescia.
Nel sondaggio promosso dall’ordine dei medici viene sottolineato quanto i medici bresciani vivano un
crescente disagio derivante dalla diffusione della medicina difensiva. La paura di essere denunciati è sempre
dietro l’angolo e ciò è causa di stress e rabbia e frustrazione. «L’intervento nel campo delle scelte mediche
da parte dello Stato è sempre rischioso, detto questo è chiaro che in qualche modo bisogna intervenire per
contrastare il problema — commenta Ottavio Di Stefano, presidente dell’ordine —. Secondo me però lo si
dovrebbe fare attuando per esempio un sistema assicurativo che abbassi i premi e intervenendo sulla
rivisitazione della responsabilità penale del medico». L’opinione di molti addetti ai lavori è che quello della
professione medica sia un campo talmente sfaccettato da rendere talvolta molto difficoltoso l’irrigidimento in
schemi prefissati. «Si possono fare tutti i protocolli che si vogliono ma - continua Di Stefano - poi di fronte al
singolo caso il medico deve avere la libertà clinica di derogare al protocollo perché magari per esperienza o
perché ha una sensazione che, facendo un determinato esame, si possa arrivare a capire qual è il vero
problema che affligge il paziente, problema prima magari poco chiaro. Se si ha una motivazione fondata
secondo me è bene che il medico possa derogare dal protocollo». In base al sondaggio - a cui ha
partecipato l’11 per cento degli oltre 7 mila medici iscritti all’ordine - si capisce che ad affliggere la categoria
è anche l’eccessiva burocrazia (32 per cento), la scarsa tutela giuridica (15 per cento) e i turni di lavoro
sempre più impegnativi (12 per cento). Dal punto di vista clinico, invece, accanto alla diffusione della
medicina difensiva (30 per cento) i medici hanno messo anche il deterioramento del rapporto pazientemedico (21 per cento). «Dal sondaggio è emerso che il 91 per cento dei medici bresciani ritiene di vivere
oggi la professione in un crescente disagio - spiega Gianpaolo Balestrieri, consigliere dell’ordine -. È bene
che oggi si consideri anche questa componente perché fino a qualche hanno fa l’indicatore “benessere del
medico” mancava. Avere dei medici soddisfatti significa anche avere un sistema sanitario migliore».
Silvia Ghilardi
Luglio 2015
Rassegna Responsabilità Professionale
CASI
1 Luglio
Il Secolo XIX
In coma dopo un’operazione: la perizia inguaia due anestesisti
La mancata intubazione di un paziente che doveva essere sottoposto a un intervento per estrarre un corpo
estraneo dalla gola, forse una lisca di pesce, sarebbe la causa dei danni cerebrali irreversibili subiti
dall’uomo che ora si trova in coma. È questo il risultato della perizia del prof. Antonio Osculati, ordinata dal
pm, secondo il quale la responsabilità andrebbe individuata nei confronti dei due anestesisti che sarebbero
intervenuti durante l’endoscopia all’esofago.
La perizia è stata discussa oggi davanti al gip Annalisa Giacalone nell’ambito dell’inchiesta che vede
indagate sei persone. L’episodio risale al 5 gennaio 2012 quando l’uomo si era recato al pronto soccorso
dell’ospedale di San Martino per un corpo estraneo in gola dopo aver cenato al ristorante. Secondo il perito
l’uomo era stato sedato ma non intubato e il contenuto gastrico è finito nelle vie aeree provocandogli un
broncospasmo e un danno cerebrale. Secondo la versione dei consulenti della difesa dei due anestesisti non
vi sarebbe certezza esatta del momento della comparsa del vomito che ha fatto andare il contenuto gastrico
nei polmoni e il broncospasmo potrebbe anche essere compatibile come conseguenza del riflesso che il
paziente potrebbe aver avuto durante l’inserimento del gastroscopio e delle pinze con le quali è stato tentato
di estrarre il corpo estraneo.
3 Luglio
La Repubblica Roma
Muore in clinica a dieci anni dopo l’intervento alle tonsille
La bambina operata a Villa Luisa poi il decesso al Bambino Gesù Il pm indaga per omicidio colposo
FRANCESCO SALVATORE
L’INGRESSO in sala operatoria, la forte emorrogia, il trasferimento in un altro ospedale e poi il decesso.
Sono questi i passaggi che hanno segnato le ultime ore di vita di una bambina di 10 anni. Eleonora, finita
sotto i ferri per sottoporsi a una operazione migliorativa per l’asportazione di tonsille e adenoidi, che non ha
più ripreso conoscenza dopo essere stata addormentata.
Mercoledì mattina, prima di essere condotta nella sala operatoria della clinica privata Villa Luisa, nel
quartiere Aurelio, a due passi dal Vaticano, la bambina ha salutato e abbracciato mamma e papà. Poi il buio.
Circa tre ore dopo i genitori, ancora in sala d’attesa nella clinica, sono stati messi al corrente che era insorta
una forte emorragia e che la figlia era stata trasferita al Bambino Gesù, poco distante dalla clinica. Quando
la piccola è arrivata all’ospedale pediatrico, alle ore 13, era già in arresto cardiocircolatorio. I medici hanno
tentato il tutto per tutto ma la bambina dopo alcune ore è morta. Lascia il fratellino e i suoi genitori.
Sul caso la procura ha aperto un fascicolo per omicidio colposo. Il pm Elisabetta Ceniccola ha disposto il
sequestro delle cartelle cliniche e incaricato il medico legale e uno specialista in otorinolaringoiatria per
l’autopsia.
I genitori della bambina, dopo aver appreso la notizia della morte della figlia, si sono rivolti allo studio legale
Angelini-Barucco per formalizzare la denuncia.
Al momento ancora non ci sono iscritti nel registro degli indagati. Eleonora soffriva di disturbi alle tonsille e
per questo i genitori avevano deciso di rivolgersi ad uno specialista in materia. Diversi consulti, in cui i medici
avevano consigliato ai genitori di sottoporre la piccola all’intervento. Un’operazione per l’asportazione dei
fastidiosi organi ghiandolari come se ne fanno tante da farsi in day hospital. Per questo i genitori avevano
accettano e si erano rivolti alla clinica privata Villa Luisa, nel quartiere Aurelio. Mercoledì mattina Eleonora è
entrata in sala operatoria alle dieci. Poco prima delle tredici i medici avevano comunicato ai genitori che
c’era stata una forte emorragia e quindi la figlia era stata portata in ambulanza al Bambino Gesù:
un’urgenza, visto che la mamma e il papà non erano stati neanche contattati dal personale della clinica per
poter dare il loro consenso.
Appena arrivata in ospedale la bambina è già in condizioni critiche. Lì i medici le riscontrano un arresto
cardiocircolatorio e dei valori di emoglobina molto bassi. Provano a salvarle la vita ma qualcosa
nell’intervento a cui si è sottoposta è andato storto. Non c’è più nulla da fare. Il cuore di Eleonora smette di
battere.
4 Luglio
La Repubblica Roma
La bimba morta sotto ai ferri il pm agli anestesisti “Imperizia e negligenza”
RORY CAPPELLI
Luglio 2015
Rassegna Responsabilità Professionale
IL PM Mario Ardigò ha chiuso un’altra parte delle indagini sui medici che il 29 marzo dello scorso anno
parteciparono all’operazione di timpanoplastica che portò alla morte della piccola Giovanna Fatello, 10 anni:
quella che riguarda i due anestesisti Pierfrancesco Dauri e Federico Santilli. Che adesso rischiano il rinvio a
giudizio per concorso in omicidio colposo: è infatti questo il reato formulato dal pm, il quale, nell’avviso di
conclusioni indagini, ipotizza — in base alle consulenze, alle perizie tecniche e allo studio della cartella
clinica — che i due medici avrebbero agito «con imperizia e negligenza» perché pur «venendo sorpresi
dall’allarme visivo e sonoro per il parametro di saturazione di ossigeno emesso dal monitor dell’apparato
elettromedicale per anestesia e che segnalava una ipossia», non avrebbero eseguito le «opportune manovre
necessarie per ripristinare l’ossigenazione della Fatello, ritardandole di alcuni minuti per eseguire nuove
misurazioni ». Una negligenza che, insieme al mancato rispetto delle «linee guida di società nazionali e
internazionali in materia», avrebbe finito per risultare fatale alla paziente.
Poche settimane fa la gip aveva archiviato le posizioni degli operatori medici e tecnici di Villa Mafalda: le
dottoresse Laura Battistini e Anna Piazza, gli infermieri Roberta Bernardini, Giovanna Lotti e Ramond
Sabbatucci, il caposala Valter Fianco e l’anestesista Azzurra Grasso.
Adesso, su richiesta della gip, il pm dovrà approfondire il comportamento medico del professor Giuseppe
Magliulo e del chirurgo Dario Marcotullio, che diressero l’intervento.
La Repubblica Roma
Fatale l’operazione alla gola i quattro medici nel mirino della procura
FRANCESCO SALVATORE
È ENTRATA in sala operatoria per un intervento di rimozione delle tonsille e delle adenoidiche ma non ha
più riaperto gli occhi. Una morte drammatica e prematura quella di Eleonora, una bellissima bambina di 10
anni. Oggi verrà effettuato l’esame autoptico. Al momento nel fascicolo, aperto per omicidio colposo, oltre
alla denuncia dei familiari della vittima, formalizzata allo studio legale Angelini-Barucco, ci sono le cartelle
cliniche sequestrate. Ancora non ci sono iscritti nel registro degli indagati anche se, nel mirino della pm
Elisabetta Ceniccola, ci sono i4 medici intervenuti durante l’operazione nella clinica privata Villa Luisa, nell’
Aurelio.
Eleonora, dopo aver perso molto sangue, è stata trasferita d’urgenza al Bambino Gesù. Arrivata in arresto
cardiocircolatorio, è morta poco dopo. L’intervento è iniziato alle 10 e alle 13 la bambina è stata trasferita
d’urgenza, senza che i genitori ne fossero informati.
Il personale della casa di cura Villa Luisa, prima di contattare il Bambino Gesù, aveva chiesto disponibilità al
San Carlo di Nancy ma la struttura aveva risposto negativamente.
Addormentata sul lettino, durante l’operazione in clinica, la piccola ha subito una forte emorragia. Due i
momenti: il sangue le è fuoriuscito una prima volta dopo la rimozione delle tonsille. Quindi il problema si è
ripetuto e i due chirurghi che stavano operando Eleonora sono stati supportati da altri due camici bianchi.
Ancora ignote le cause della morte. Il medico legale, dopo l’autopsia, avrà 60 giorni per stabilire come è
andata.
Eleonora aveva 10 anni Era entrata in clinica per l’intervento alle tonsille Oggi l’autopsia
LA CLINICA Villa Luisa
Corriere della Sera
Aperta un’inchiesta a Roma
Bimba di 10 anni muore dopo intervento alle tonsille.
Una bambina di 10 anni è morta lo scorso 1 luglio dopo un intervento per la rimozione delle adenoidi e delle
tonsille. La tragedia è avvenuta nella clinica privata Villa Luisa. Sul decesso della piccola è stata aperta dalla
procura un’inchiesta con l’accusa di omicidio colposo. Ora l’équipe sanitaria — composta da tre medici e un
infermiere — che ha eseguito l’operazione, rischia l’iscrizione nel registro degli indagati. Oggi è prevista
l’autopsia della piccola.
Corriere della Sera Roma
Bimba di 10 anni muore per l’intervento alle tonsille
L’altra tragedia a Villa Mafalda: due anestesisti dal gip E’ morta in poche ore dopo un intervento per la
rimozione delle adenoidi e delle tonsille. Vittima del sospetto caso di malasanità una bambina di 10 anni,
ricoverata la mattina dello scorso 1 luglio nella clinica privata Villa Luisa, all’Aurelio. Adesso l’equipe
sanitaria che ha eseguito l’operazione, rischia l’iscrizione nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio
colposo. A finire nel mirino della procura, sono stati i tre medici e l’infermiere intervenuti per interrompere
un’improvvisa emorragia seguita alla conclusione dell’operazione. Oggi si procederà all’autopsia i cui risultati
sono attesi entro la fine di settembre. Il caso si prospetta delicato per via del tipo di operazione ritenuta di
routine.
Sono le dieci di mercoledì mattina quando Lara (nome di fantasia) entra in sala operatoria. L’asportazione
delle tonsille – resa necessaria dai disturbi alla gola manifestati per mesi dalla piccola - avviene con
Luglio 2015
Rassegna Responsabilità Professionale
successo. Poi però due improvvise perdite di sangue provocano complicazioni che impongono l’immediato
trasporto della piccola al Bambino Gesù dove, però, Lara arriva in condizioni ormai disperate.
Nel frattempo la procura ha terminato l’inchiesta sulla morte di Giovanna Fatello, la bambina di 10 anni
deceduta lo scorso 29 marzo dopo un intervento all’orecchio a Villa Mafalda. Il pubblico ministero Mario
Ardigò ha chiuso l’indagine nei confronti di due anestesisti, Pierfrancesco Dauri e Federico Santilli, che ora
rischiano la richiesta di rinvio a giudizio per l’accusa di omicidio colposo. Sono ancora nella fase delle
verifiche le posizioni dei chirurghi Giuseppe Magliulo e Dario Marcotullio, entrambi indagati con l’accusa di
omicidio colposo.
«La direzione di Villa Mafalda ha correttamente adempiuto ai compiti relativi al proprio ruolo» aveva reso
noto il responsabile della casa di cura privata, il dottor Paolo Barillari.
Giulio de Santis
5 Luglio
Messaggero Veneto
A Udine non c’è posto, muore in ambulanza nella corsa verso Trieste
UDINE. Un’ora di strada per trasportare in ambulanza il 57enne Andrea Liut all’ospedale di Trieste visto che
al Santa Maria della Misericordia di Udine non c’era posto. Troppo per garantire al presidente dell’Asd di
Aquileia, colpito da infarto acuto, una reale possibilità di sopravvivenza.
L’uomo è spirato durante il trasferimento nella notte fra il 25 e il 26 maggio scorso in ambulanza, poco prima
di arrivare a Cattinara.
Su quella morte ora il consigliere regionale di Forza Italia Roberto Novelli ha presentato un esposto. Tutto è
partito da una busta contenente una lettera anonima che è stata recapitata al consigliere regionale nei giorni
scorsi.
«Siamo un gruppo di infermiere che non ne può più – esordiva la missiva –, vorremmo gridare al mondo la
nostra rabbia per l’ennesima vittima di questo sistema perverso, ma proprio non possiamo, la rappresaglia
sarebbe certa e questa, sì, rapida».
Nel documento c’era il racconto di quanto accaduto ad Aquileia fra il 25 e il 26 maggio alle 2 di notte, quando
Liut fu colto da forti dolori al petto.
«Viene chiamato il 118 – si legge nella lettera –, parte la Croce Verde di Cervignano, arriva in dieci minuti,
viene mandato l’elettrocardiogramma in unità coronarica, l’uomo ha un infarto acuto al cuore, e da qui tutto si
fa più confuso, sembra che Udine non abbia posto, allora l’ambulanza si dirige all’ospedale di Palmanova,
sale a bordo un medico, l’ambulanza fa dietrofront e corre verso Trieste, ma poco prima di arrivare a
Cattinara il paziente si aggrava e muore.
Nel cuore del Friuli – è il commento – di notte senza traffico ci vuole un’ora per portare un uomo con un
grave infarto in ospedale. Da Palmanova a Udine 30 chilometri, a Trieste 60, quindi meno di venti minuti per
arrivare all’ospedale di Udine, il doppio invece per Cattinara».
Quindi le amare considerazioni del gruppo di infermiere che denunciano come «mentre i soloni della regione
si trovano ogni due per tre a decidere i massimi sistemi del 118, gli infermieri restano soli sul campo a
tappare i buchi che si aprono dappertutto con i tagli sempre più devastanti di risorse, lasciati allo sbaraglio
proprio dai loro capi che si occupano di grandi progetti e il servizio sprofonda sempre di più».
Il consigliere di Forza Italia, dopo aver avviato una prima verifica sulla dinamica dei fatti, si è presentato alla
Questura di Trieste e ha depositato un esposto agli uffici della Digos.
«Mi sono sentito in obbligo di presentare l’esposto che denuncia un presunto caso di malasanità sul quale è
necessario sia fatta chiarezza – precisa Novelli – nel frattempo
ho mandato una segnalazione all’assessore regionale alla salute Maria Sandra Telesca, chiedendo una
verifica della veridicità fatti narrati, nella speranza che l’accaduto non sia imputabile a mancanze da parte del
sistema sanitario regionale» conclude.
La Repubblica Palermo
Il caso Il gip accoglie la richiesta del pm e ordina il processo per medici e ostetriche di Villa Serena. L’accusa
è di omicidio colposo. La tragedia nell’estate 2013
IL NEONATO SPIRO’ IN CLINICA “PRIMA GLI ERRORI, POI I FALSI” IN SETTE RINVIATI A GIUDIZIO
Una catena di errori e omissioni che ha provocato la morte di un bambino appena nato alla casa di cura Villa
Serena. Medici e ostetriche che sbagliano la lettura dei tracciati, non si accorgono di una sofferenza fetale,
ritardano il parto cesareo che doveva essere disposto d’urgenza e infine cercano di coprire gli errori
falsificando le cartelle. Così sarebbe morto Francesco Musicò, un neonato che ha vissuto per meno di 24
ore tra il 29 e il 30 agosto del 2013.
Adesso per quei medici e per quelle ostetriche il giudice Riccardo Ricciardi ha deciso il rinvio a giudizio su
richiesta del pm Siro De Flammineis. Sotto processo finiscono con l’accusa di omicidio colposo Daniela
Bisconti, pediatra, Salvatore Porrello, ginecologo, Salvatore Pirri, anestesista, Isabella De Roberto, Giusi
Luglio 2015
Rassegna Responsabilità Professionale
Martino, Maria Russo, Irene Ribaudo, tutte ostetriche. La pediatra Bisconti è accusata anche di «falsità
ideologica in certificati », mentre per l’ostetrica Ribaudo è scattata anche l’accusa di «falsità materiale».
Una perizia tecnica richiesta dalla procura inchioda il personale del reparto di Ostetricia e ginecologia di Villa
Serena che, quando per il piccolo non c’era più nulla da fare, in fretta e in furia chiese il trasferimento
d’urgenza all’ospedale Ingrassia dove morì per un arresto cardiaco. La causa: una ipossia, cioè mancanza di
ossigeno, già iniziata in grembo. Un vero calvario per quel neonato.
Alla casa di cura Villa Serena Maria Di Capo era arrivata il 28 agosto perché aveva già le contrazioni. Quel
giorno avrebbe finalmenteabbracciato il suo bambino, il primo. Un tracciato venne eseguito alle 9,15, il
secondo alle 15,39. Già lì – scrivono i periti – erano riscontrabili «contrazioni irregolari che però non vennero
segnalate dalle ostetriche Russo e Martino». Anche il terzo tracciato, delle 21,15, non venne valutato con
scrupolo e l’ostetrica De Roberto «non annotò le complicanze sul diario infermieristico ». Già era presente
un’ipossia fetale, ma anche la quarta ostetrica, Irene Ribaudo, non riportò sulla cartella della paziente,
accompagnata nel frattempo in sala parto, le anomalie. Ma, anzi, secondo le indagini dei carabinieri di
Mezzo Monreale, staccò anzitempo il tracciato e sostituì poi il referto con un quinto tracciato falsificato dal
quale emergevano parametri regolari. Fece di più, praticò una compressione sull’addome della donna per
accelerare la nascita del bambino.
Il ginecologo, invece, «compilò la cartella clinica omettendo le alterazioni dei cinque tracciati e interruppe la
verifica dell’evoluzione del travaglio facendo passare un’ora e 44 minuti tra il secondo e il terzo tracciato, e
altri 27 minuti prima di effettuare il quarto». Inoltre, il ginecologo non dispose il cesareo d’urgenza fino a dieci
minuti dopo la mezzanotte. Francesco nacque con parto cesareo, estratto con il forcipe, una tecnica ormai in
disuso.
Il destino del piccolo Francesco fu davvero beffardo da quanto emerge dalle indagini di procura e carabinieri.
Anche la pediatra Bisconti, infatti, nella cartella che consegnò al Servizio di trasporto di emergenza
neonatale, quando il bambino venne trasferito d’urgenza all’ospedale Ingrassia, annotò parametri vitali
sbagliati in riferimento ai primi attimi di vita del neonato e poi non intubò e non rianimò il piccolo Francesco.
La pediatra Bisconti è anche accusata di avere attestato falsamente che «le condizioni generali del neonato
erano scadenti» e non «di estrema generalizzata insufficienza cardiaca ». Infine, anche l’anestesista
Salvatore Pirri sbagliò in cartella la frequenza cardiaca (maggiore di 100) e non intrevenne «con adeguate
manovre rianimatorie sul neonato».
Un errore dietro l’altro che, hanno ricostruito gli investigatori, non diedero scampo al piccolo Francesco. I
suoi genitori, dopo la tragedia, decisero di mettersi nelle mani di un avvocato, Giacomo Cortese, e di
sporgere denuncia alla procura. Dopo due anni di indagini e l’iscrizione sul registro degli indagati dei medici
e delle ostetriche, arriva la battaglia in aula. Il processo è stato rinviato al 3 novembre.
8 Luglio 2015
Corriere del Veneto
Fa un’iniezione, sta male e muore
Sei medici indagati per omicidio La donna si era medicata, poi era andata in ospedale. Là non
avrebbe ricevuto cure
PADOVA La domanda a cui cerca di rispondere la procura è semplice: come mai nessuno si è accorto
dell’infezione che, veloce, stava uccidendo la 45enne cinese Jianfei Miao?
La donna è morta a causa di una fascite necrotizzante il 16 ottobre dell’anno scorso dopo quarantottore
d’agonia. Sul caso, dopo l’esposto del marito della donna, assistito dall’avvocato Pietro Someda, il pm
Francesco Tonon aveva aperto un’inchiesta, ora arrivata a un punto di svolta. Nei giorni scorsi dalla procura
sono partiti sei avvisi di garanzia nei confronti di altrettanti medici dell’Azienda Ospedaliera di Padova,
accusati di cooperazione in omicidio colposo. Sono i camici bianchi - tre medici del Pronto soccorso, un
radiologo, uno specializzando in Chirurgia plastica e uno in Anestesia - che tra il 14 e il 15 ottobre scorso
avevano visitato la donna, madre di due bambini e residente in via Buonarroti, all’Arcella. E per capire come
siano andate le cose, il pm Tonon ha chiesto al gip un incidente probatorio in cui verificare il comportamento
dei medici sulla base dell’autopsia che ha individuato nella fascite necrotizzante il killer di Jianfei Miao. Che
all’ospedale c’era andata dopo una puntura intramuscolare di Voltaren fatta da sola, in casa. E’ in quel
momento, secondo la ricostruzione della procura, che la donna ha contratto l’infezione fatale. Dopo alcune
ore dall’iniezione di Voltaren, i primi sintomi: febbre alta, sudori freddi, vertigini che col passare del tempo
non ne volevano sapere di andarsene nemmeno dietro il trattamento di diversi farmaci. Così lei e il marito,
un 44enne connazionale, si sono rivolti all’ospedale. Qualcosa però non ha girato per il verso giusto e i
dottori del Pronto soccorso, nonostante si siano accorti della gravità della situazione, non sono stati in grado
di identificare la malattia e quindi curarla e salvare la vita alla paziente. Anche perché la fascite necrotizzante
si sviluppa in modo rapido e aggressivo fino a svilupparsi in una lesione cutanea, accompagnata da bolle,
vescicole e trombosi capillare che portano alla morte.
Così è successo per Jianfiei Miao, morta dopo circa due giorni d’agonia, il 16 ottobre. L’autopsia ha dato un
nome alle cause della morte. Ora c’è da capire, e sarà il compito dell’incidente probatorio chiesto dalla
Luglio 2015
Rassegna Responsabilità Professionale
procura, se il comportamento dei medici abbia influito sul destino della donna, o se invece si sia trattata di
una tragica fatalità. A cui nessuno, seppur individuando in tempo la malattia, poteva opporsi.
Nicola Munaro
9 Luglio
Il Resto del Carlino
Morta dopo l’intervento. “Non c’è alcun nesso”
Caso Mainetti, le motivazioni del giudice
NON C’È PROVA del nesso causale tra le condotte colpose poste in essere dai medici imputati e la morte di
Loredana Mainetti (nella foto), la donna di 59 anni morta nel 2010 al Maggiore. Era il 25 settembre, la donna
spirò dopo un intervento per l’asportazione di un polipo al duodeno. Per quella vicenda, il giudice Paola
Palladino lo scorso 13 aprile ha assolto perché il fatto non sussiste l’ex primario di gastroenterologia, Nicola
D’Imperio (difeso dall’avvocato Mazzacuva), il medico che fece l’intervento, Paola Billi (l’avvocato è
Giuseppe Coliva), e i suoi colleghi Angela Alberani (avvocati Di Giampietro e Sacchi Morsiani) e Carmelo
Luigiano.
SECONDO il giudice, l’istruttoria ha accertato che l’intervento sia stato eseguito correttamente e che le
condizioni della paziente consentivano l’attesa fino alle 3 del 23 settembre, quando ci fu un repentino
peggioramento. Alla donna si perforò il duodeno, ma per il giudice la corretta esecuzione della procedura
endoscopica consente di ritenere che se anche la lacerazione fosse riconducibile a uno strumento impiegato
la lacerazione «rientrerebbe nel rischio insito nella procedura». Infine le perizie hanno accertato che se
anche vi fosse stato un tempestivo intervento chirurgico sulla lacerazione, questo, ragionevolmente, non
avrebbe evitato la morte, per la presenza nel liquido addominale di un batterio resistente agli antibiotici e «di
cui verosimilmente la paziente era portatrice sana».
La Repubblica
Dopo l’operazione la paziente morì chirurgo assolto
NEL febbraio del 2010 una donna di 57 anni morì per un’emorragia poco dopo un intervento per ernia del
disco a Careggi. Il chirurgo che la operò, di origine libanese, era indagato per omicidio colposo e ora è stato
assolto perché il fatto non costituisce reato. La donna avrebbe perso la vita per una complicanza
«ineluttabile e non meglio prevedibile». Non ci fu dunque responsabilità da parte del medico, difeso da Mario
Taddeucci Sassolini.
Quanto successo in sala operatoria ebbe conseguenze anche sull’allora primario della neurochirurgia
universitaria di Careggi, Nicola Di Lorenzo. Il medico che svolse l’intervento, infatti, era uno specialista che in
quel momento non avrebbe avuto un contratto con l’ospedale, perché era concluso il suo periodo formativo.
Venne avviato un procedimento disciplinare contro Di Lorenzo, la commissione di ospedale e università
decise di togliergli la posizione di primario. Il medico andò via da Careggi e fece ricorso al giudice del lavoro
per essere reintegrato nel suo ruolo di direttore di unità operativa. In primo grado la sua richiesta è stata
respinta, tra qualche mese inizierà l’appello. (mi.bo.)
Corriere del Veneto
Neonato muore dopo il parto Sequestrate le cartelle cliniche
Dramma a Vittorio Veneto, si muove la procura. I genitori: vogliamo la verità
VITTORIO VENETO Avrebbe dovuto essere un giorno di festa, mercoledì, per una giovane coppia e per le
loro famiglie. Il figlio che aspettavano con amore e trepidazione da nove mesi sarebbe venuto al mondo. Ma
il parto, per i giovani genitori Alberto Meneghin, 31 anni, e Anita Masut, 36, impiegata della Confartigianato
di Vittorio Veneto, si è trasformato in tragedia e il loro bambino, Domenico, è spirato mezz’ora dopo il taglio
cesareo con il quale era stato fatto nascere nel reparto di ostetricia dell’ospedale di Costa, a Vittorio Veneto.
Una vicenda tragica sulla quale dovrà far luce la procura, alla quale si sono rivolti i genitori attraverso un
esposto chiedendo «che si accerti la verità sulla morte del piccolo».
La notizia di reato è arrivata ieri al Palazzo di giustizia di Treviso, nelle mani del magistrato di turno Laura
Reale, e riferiva della morte sospetta di un neonato. Subito sono scattati i primi accertamenti con la
decisione di far acquisire le cartelle cliniche della partoriente e disporre l’autopsia sul corpicino del neonato.
Mercoledì la mamma aveva lasciato la sua casa di Serravalle alle prime avvisaglie delle doglie ed è arrivata
in ospedale, dove era attesa per il monitoraggio, avendo superato il tempo: Domenico sarebbe dovuto
nascere il 4 luglio. La gravidanza fino a quel momento non aveva presentato problemi. Appena avviati i
controlli, però , il piccolo - come sostengono i familiari nella denuncia - avrebbe mostrato segni di sofferenza
e i medici hanno deciso di procedere con il cesareo d’urgenza. La giovane è stata trasferita in sala parto e in
pochi minuti il bimbo è nato. Era vivo, respirava ma le sue condizioni sono apparse gravissime. Lo staff ha
provato per mezz’ora a rianimare Domenico, tentando di tutto, ma alla fine il suo cuoricino si è fermato e i
medici non hanno potuto fare altro che dichiararlo clinicamente morto, precipitando mamma e papà in un
incubo senza fine. «Siamo vicini alla famiglia in questo momento di grave lutto – commenta Gian Antonio
Luglio 2015
Rassegna Responsabilità Professionale
Dei Tos, il direttore sanitario dell’azienda sanitaria Usl 7 -. Abbiamo piena fiducia nella magistratura, con la
quale abbiamo collaborato fin dal primo momento consegnando tutta la documentazione clinica
relativamente a questo caso». Una prima risposta al perché della morte del neonato potrebbe arrivare
dall’autopsia che la procura disporrà in queste ore. Un esame che dovrà chiarire se il piccolo sia deceduto
per cause naturali o se si sia verificato un errore medico durante il travaglio o il cesareo. La famiglia del
piccolo, infatti, vuole la verità. Per questo ha deciso di sporgere denuncia. M.Cit.
17 Luglio
La Repubblica Roma
Muore sotto i ferri: indagata l’équipe
L’INCHIESTA DOPO IL DECESSO DI UNA 63ENNE A TOR VERGATA
HA accusato un malore a inizio mese ed è stata portata al policlinico Tor Vergata, dove le hanno riscontrato
un meningioma, un tumore al cervello solitamente benigno. Dopo dieci giorni di ricovero in Neurochirurgia,
tesi a far riassorbire la neoplasia, è stata sottoposta a un intervento chirurgico ma qualcosa è andato storto e
una donna di 63 anni, Rosangela T., lunedì scorso ha perso la vita. Sulla vicenda il pm Pierluigi Cipolla ha
aperto un fascicolo per omicidio colposo e indagato nove fra medici e infermieri dello stesso reparto.
L’autopsia si terrà nei prossimi giorni.
A denunciare l’episodio sono stati i figli della donna i quali, prima dell’intervento, avevano ricevuto
rassicurazione sul fatto che l’operazione fosse un intervento “di routine”. La vittima, fino ad inizio mese in
buone condizioni fisiche, è entrata in sala operatoria all’alba di lunedì mattina. Dopo dieci ore di intervento i
medici hanno riferito ai figli che c’era stata una “complicazione”. Mezz’ora dopo il decesso per arresto
cardiaco. (fra. salv.)
Corriere del Mezzogiorno
«Partorì in ritardo, per questo il feto morì il medico va processato»
BARI Avrebbe ritardato di oltre sei ore il parto, provocando così la morte del feto arrivato già alla sua
41esima settimana. E’ l’accusa che il pm della Procura di Bari, Fabio Buquicchio, rivolge ad una dottoressa
del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale Di Venere che, la sera del 6 ottobre del 2014, era in
servizio nella clinica e non intervenne con tempestività nonostante «la presenza di gravi e protratte
alterazioni del tracciato», si legge nel capo d’imputazione con il quale il magistrato inquirente ha chiesto il
rinvio a giudizio.
La professionista, 58 anni, è accusata di omicidio colposo, le indagini hanno stabilito che il feto morì per una
«prolungata sofferenza ipossica». Adesso bisognerà attendere la fissazione dell’udienza preliminare da
parte del giudice dell’ufficio gip-gup del Tribunale di Bari. (V. Dam.)
18 Luglio
Corriere della Sera
Operato al femore sano, muore
Era stato vittima di un caso di malasanità. Tomaso Stara, 86 anni, professore odontotecnico che viveva a
Torre Annunziata, è morto ieri sera dopo che a fine giugno l’avevano operato al femore sbagliato i medici
(sospesi) dell’ospedale Sant’Anna e Madonna della Neve di Boscotrecase (Napoli). Forse fatali le due
anestesie subite nel giro di poche ore: la prima per errore alla gamba destra e poi alla gamba sinistra
effettivamente fratturata. L’Asl e la Procura hanno aperto due inchieste.
Corriere del Mezzogiorno
Operato al femore sbagliato, muore dopo venti giorni
NAPOLI È deceduto ieri Tomaso Stara, l’86 enne che il 29 giugno scorso, fu operato al femore sbagliato dai
medici dell’ospedale di Boscotrecase. L’uomo era ricoverato pochi giorni dopo l’intervento al San Leonardo
di Castellammare di Stabia ed è lì che è morto. Non ce l’ha fatta a superare i diversi interventi a cui è stato
sottoposto nel giro di pochi giorni: dopo essere stato operato a quello sbagliato, infatti, Tommaso Stara fu
poi rioperato, stavolta all’arto buono.
L’uomo, originario di Sassari, era stato ricoverato per una frattura al femore alla gamba sinistra. Ma poi, per
una assurda fatalità, accade qualcosa di sbagliato. L’uomo viene portato in sala operatoria e quando ne
esce le figlie dell’uomo, entrambe medico, si accorgono che la gamba operata è quella sana. Così
denunciano l’errore dei medici dell’ospedale Sant’Anna di Boscotrecase. « Doveva essere un intervento di
routine, senza particolari difficoltà - spiegano - Invece hanno commesso questo gravissimo errore. L’autorità
giudiziaria deve andare fino in fondo». Nelle prossime ore le cartelle cliniche dell’anziano potrebbero essere
sequestrate dai magistrati, in attesa della formalizzazione di una inchiesta a carico dei medici che hanno
commesso l’errore.
Luglio 2015
Rassegna Responsabilità Professionale
20 Luglio
Corriere della Sera Roma
Pensionata cadde dal letto in clinica e morì 2 mesi dopo: medici a giudizio
La donna entrò in coma per un incidente avvenuto in una casa di cura dell’Eur Primario e dottore di guardia
accusati di omicidio colposo. «Negligenze nei controlli»
Avrebbero dovuto sottoporla a un controllo costante dopo averla somministrato un farmaco antipsicotico
necessario a tranquillizzarla. Ed invece non c’era nessuno a vigilare Raffaella Toso, mentre si agitava nel
letto da dove cadde procurandosi un trauma cranico che ne causò la morte due mesi dopo. La donna, 84
anni, si era ricoverata il 21 maggio del 2012 presso la casa di cura di Addominale Eur per un intervento
all’anca e mori due mesi dopo all’Aurelia Hospital dove fu trasferita nel tentativo disperato di salvarle la vita.
Responsabili dell’incidente sarebbero - come ritiene la procura – il chirurgo della clinica Enrico Pescatore e il
medico di guardia Annunziata Rotondaro, accusati di non aver sottoposto la signora ad un monitoraggio
costante, obbligatorio dopo la somministrazione via endovena del Tolafen, un farmaco antipsicotico. per
calmarla. Ora entrambi i medici sono stati rinviati a giudizio con l’accusa di omicidio colposo. Ad aggravare
la posizione dei due camici bianchi ci sono anche le quattro ore di ritardo con cui fu effettuata la tac dopo la
caduta. La signora fu rimessa nel letto dai paramedici che la trovarono in terra alle 4.20 del mattino. Al
contrario, come prevede il protocollo ospedaliero, la donna avrebbe subito dovuto essere sottoposta a un
esame diagnostico per accertare le conseguenze dell’incidente. La richiesta della tac fu invece inviata solo
alle 8.30, un differimento che potrebbe aver peggiorato l’emorragia alla testa all’origine del coma. «l
processo consentirà di accertare le omissioni degli odierni imputati, in occasione della caduta dal letto di
degenza della signora Toso» dice l’avvocato Luigi Infante, legale di parte civile della famiglia della vittima. È
il 20 maggio del 2012 quando la donna viene ricoverata per un intervento di artroprotesi all’anca destra. A
indicarle la struttura sanitaria è il suo chirurgo di fiducia Enrico Pescatore. L’operazione termina con
successo, anche perché la signora, nonostante gli 84 anni, gode di ottima salute. Quando però si sveglia, la
paziente è nervosa, ed allora vengono svolte delle analisi da dove emerge un’improvvisa anemia dovuta
all’abbassamento dei livelli di ematocrito rispetto ai valori precedenti al ricovero. A quel punto - secondo la
ricostruzione del pm Pantaleo Polifemo - sarebbe stato necessario procedere a una trasfusione, trattamento
che, invece, non viene disposto dal chirurgo. Anzi per cercare di calmare la signora, Pescatore e Rotondaro
decidono di somministrarle il Talofen. Il medicinale, però, ha l’effetto di inquietarla. Alle tre di notte del 23
maggio la signora è sorpresa ad aggirarsi tra i corridoi della clinica. E’ rimessa a letto, da scivola un’ora e
mezza dopo e cade in coma da dove non uscirà più. La donna è trasferita all’Aurelia Hospital dove muore
dopo due mesi. Giulio De Santis
22 Luglio
Corriere del Veneto
Morta dopo l’intervento: nove medici nel mirino Vittima una 71enne operata al femore.
La famiglia: «Cure inappropriate». La procura indaga per omicidio colposo
ROVIGO La Procura ha aperto le indagini su nove medici con l’ipotesi di omicidio colposo, in relazione al
decesso di M.C., settantunenne originaria di Lendinara, venuta a mancare nei giorni scorsi alla casa di cura
Città di Rovigo, dove era stata trasferita per la riabilitazione seguita a un intervento chirurgico all’ospedale
civile Santa Maria della Misericordia.
La richiesta di chiarimenti, cui le indagini seguono come atto dovuto rispetto alla segnalazione, è arrivata dai
congiunti della signora, convinti che vi possano essere state responsabilità da parte dei medici che hanno
avuto un cura la paziente. La donna era stata ricoverata alla fine dello scorso giugno, in seguito a una
caduta in cui aveva riportato la rottura di un polso e di un femore. Le fratture avevano suggerito l’opportunità
di un intervento chirurgico ortopedico, per ridurre l’entità delle lesioni.
Dopo alcuni giorni di degenza all’ospedale civile, la donna è stata trasferita nell’altra struttura con finalità
riabilitative. Nel corso di entrambi i periodi di ricovero, segnalerebbero i parenti, la paziente sarebbe stata
afflitta da un costante stato febbrile. La situazione si sarebbe progressivamente aggravata, fino all’esito
irreversibile, rispetto al quale i familiari non escluderebbero incongruità nei percorsi di cura. Le procedure di
garanzia riguarderebbero tutti i medici che, a vario titolo nelle diverse strutture, hanno seguito la signora, nel
corso della permanenza a fini di cura. Ieri mattina, sono stati individuati i consulenti tecnici delle parti,
nell’ottica di contribuire al percorso di chiarimento, a tutela di tutte le persone interessate e per capire se
effettivamente le supposizioni dei parenti siano fondate. Nel tempo, le richieste di rivalsa sui medici sono
divenute più frequenti, al punto che molte sigle sindacali di categoria dei medici hanno strutturato per i propri
iscritti apposite convenzioni, per sostenere i professionisti nella tutela legale e nell’affrontare le
problematiche legate all’accertamento di colpe gravi eventuali. N.C.
Luglio 2015
Rassegna Responsabilità Professionale
27 luglio
La Repubblica Bari
Taranto, donna muore per emorragia. Al pronto soccorso le dissero: "E' solo un mal di testa"
La Procura di Taranto ha aperto un'inchiesta per fare luce sulle cause del decesso di Irene Francia, una
donna di quarant'anni morta all'ospedale Santissima Annunziata, sabato scorso, tre giorni dopo essere stata
operata alla testa per una forte emorragia. Secondo l'esposto presentato dall'avvocato Maria Letizia Serra
per conto del marito della paziente, la donna il 14 e il 17 luglio scorsi si era rivolta prima all'ospedale Moscati
e poi al Santissima Annunziata per un forte mal di testa, chiedendo una tac urgente perché sua madre era
morta di aneurisma e temeva che potesse capitare anche a lei la stessa sorte.
In entrambe le occasioni, ha spiegato l'avvocato, la donna era stata dimessa senza il ricorso all'esame
strumentale con diagnosi di cefalea o gastroenterite, visto che aveva anche nausea e annebbiamento della
vista. Il 22 luglio scorso, d'urgenza, la 40enne è stata riportata all'ospedale Moscati già in coma e
successivamente trasferita con ambulanza al Santissima Annunziata, dove è stata sottoposta a un
intervento chirurgico alla testa.
Sabato la donna, che lascia tre figlie di cinque, nove e 23 anni, è morta. Il marito ha presentato denuncia nei
confronti dei medici dei due ospedali e della Asl chiedendo il sequestro delle cartelle cliniche. Nell'esposto
l'uomo fa riferimento anche ai ritardi dovuti alla burocrazia, nonché alla tutela del diritto alla salute e alla vita,
frenata dai turni estivi delle strutture sanitarie. Fonti della Asl di Taranto fanno comunque sapere che
nessuno dei reparti in cui è stata visitata o ricoverata la donna è stato interessato "da alcun tipo di
ridimensionamento di personale o di accorpamento con altre strutture mediche".
I reparti in questione sono Neurochirurgia e Neurologia dell'ospedale Santissima Annunziata, Cardiologia
dell'ospedale Moscati e Rianimazione di entrambe le strutture. Le stesse fonti esprimono "vicinanza alla
famiglia", annunciano nel contempo "l'avvio di una indagine interna", come da prassi, e auspicano "che
l'inchiesta della magistratura faccia rapidamente chiarezza sull'accaduto", confidando "che non vi siano state
responsabilità da parte del personale medico e infermieristico".
28 Luglio
La Repubblica
I pm: “Serviva il cesareo” Sei medici sospesi per la morte di Nicole
«Si sarebbe dovuto procedere con un parto cesareo d’urgenza», dice il procuratore facente funzione di
Catania, Michelangelo Patanè, comunicando la svolta nell’inchiesta sulla morte della neonata alla clinica
Gibiino. Le indagini sulla drammatica notte del 12 gennaio si sono concentrate su tre medici, che sono stati
sospesi dal servizio per dieci mesi. Il provvedimento del gip riguarda il neonatologo Antonio Di Pasquale, la
ginecologa Maria Ausilia Palermo e l’anestesista Giovanni Alessandro Gibiino. Sono accusati di omicidio
colposo e falso ideologico.
«Nel momento in cui la bambina ha lasciato la clinica non aveva alcuna speranza di sopravvivenza », è
l’accusa della procura. Alla dottoressa Palermo viene contestato di aver effettuato un «monitoraggio
inadeguato» della partoriente. Gli inquirenti hanno scoperto che nella sala parto della clinica mancavano
alcuni strumenti per il kit di emergenza neonatale.