2014/2-Romena in cammino

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2014/2-Romena in cammino
Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XVIII n° 2 / 2014
in cammino
Romena
SOMMARIO
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Romena in cammino
Le radici di Romena
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Bellezza e tenerezza
Vieni, chiunque tu sia
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Il pane di tutti i giorni
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12 L’oro nelle ferite
16 La voce del silenzio
Ciò che serve per vivere
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20 Chi arriva a Romena, insegna a Romena
Paginone
22
24 Un cammino per le strade dell’anima
Una libreria di novità
26
Notizie varie
31
28 Romena incontri 2014
trimestrale
Anno XVIII - Numero 2 - Giugno 2014
REDAZIONE
località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR)
tel. 0575/582060 - [email protected]
Il giornalino è anche online su
www.romena.it
DIRETTORE RESPONSABILE:
Massimo Orlandi
REDAZIONE e GRAFICA:
Raffaele Quadri, Massimo Schiavo
FOTO:
Piero Checcaglini, Massimo Schiavo
Copertina: Raffaele Quadri, Marta Togni
Hanno collaborato:
Luigi Verdi, Pier Luigi Ricci, Maria Teresa Marra Abignente, Giorgio Bonati, Wolfgang Fasser
Filiale E.P.I. 52100 Arezzo
Aut. N. 14 del 8/10/1996
Romena in cammino
Sulla strada di ritorno da una viaggio a Urbino, 23 anni fa, don Luigi mi spiegò per la prima
volta che cosa pensava di realizzare a Romena. Non capii nulla, anche perché di tutto quello
che mi stava dicendo mi entrò nel cuore solo una notizia: tornava. Tornava dopo un anno
sofferto e lacerante. Tornava da dove se n’era andato con una valigia piena di dubbi sulla
sua vocazione e ciò che conteneva.
Iniziava la prima tappa di un cammino di svolte, di passi in avanti, di rischi, di cambiamenti.
Mai di pause. Di Gesù Gigi ha sempre amato l’animo pellegrino, il “non aver dove posare
il capo” lo ha tradotto in una progettualità senza sosta, unico albergo permanente la sua
inquietudine.
Non deve essere per niente facile vivere così, sulla frontiera dell’oltre. Ci si deve sentire spesso soli. Negli anni, da fedele e appassionato compagno di viaggio di quest’uomo e dei suoi
sogni, non mi sono mai abituato neanch’io: molte volte mi sono fidato, altre volte l’ho invitato a fermarsi un attimo. Un appello, quest’ultimo, sempre inutile.
Come voi, anch’io mi sono chiesto se il progetto della fattoria, con i nuovi, enormi spazi, era
davvero funzionale al nostro percorso di autenticità. In molti la preoccupazione è diventata
un dubbio: il dubbio che con questo allargamento l’essenza di Romena si potesse perdere.
Gigi ha raccolto e spero digerito tanti timori e mal di pancia. Ed è andato avanti, come ha
sempre fatto, ascoltando soprattutto la voce del suo cuore, e quell’intuito che gli viene
chissà da dove.
I lavori sono iniziati tre anni fa e non sono finiti. Personalmente però c’è un passaggio che
vi voglio segnalare. Perché è quello che mette in moto questo numero speciale del nostro
giornalino.
A gennaio, durante una riunione, Gigi ha annunciato una nuova porzione di lavori: “La cappella di Nazareth, dentro la casa colonica, non ha un accesso diretto, e molti non la trovano.
Faremo un corridoio che passa nell’attuale falegnameria e va verso l’esterno”. Neanche tre
mesi dopo Gigi mi ha invitato a vedere il lavoro ultimato. Non c’era nessun corridoio, ma due
nuovi spazi di preghiera: una cappellina dedicata alla misericordia e una alla tenerezza che si
collegavano alla terza. “Com’è?” mi ha chiesto. Avevo gli occhi lucidi e una scia di emozione
che mi girava dalla testa ai piedi. Non ho detto nulla. Ma lì ho capito tutto. Tre anni dopo.
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Gigi non ha pensato ai nuovi spazi per allargare Romena, ma perché lo stile di Romena
potesse delicatamente rendersi presente di fronte a ogni esigenza. Dentro le nuove cappelline l’idea di bellezza e tenerezza da cui nasce la fraternità non va spiegata. Si respira, è
impastata nei muri, è scritta delicatamente in ogni oggetto.
Quando sono entrato io, con la mia fede incerta, ho sentito una voglia di stare, una spinta a
fermarmi, un ardore di silenzio. Romena mi parlava, senza dir nulla.
Gigi ha pensato ognuno dei nuovi spazi così: la nuova sala dei gruppi, “L’arca e la colomba”
emana una voglia di condivisione e di festa; la libreria, con il recupero delle mangiatoie
della vecchia stalla, restituisce al libro la sua sacralità, nella via della resurrezione c’è l’anima
contadina di Romena, c’è la grazia della natura, c’è il lievito del cammino che rinnova l’aria
nei polmoni. Nulla sa di troppo: ogni spazio non è pensato per accumulare folla, ma per
rendersi unico nei confronti di chi in quel momento lo sta utilizzando.
Questa attenzione ai dettagli architettonici l’ho sempre considerata un dono di Gigi, ma non
l’avevo mai vista come l’espressione di un suo linguaggio, alternativo alla parola, come un
suo modo rispettoso, ma caldo, di accogliere.
Il percorso che abbiamo imboccato contiene dunque un ‘oltre’ e in questo oltre c’è una
bellezza nuova. Ma quest’oltre nasconde anche un’inadeguatezza, la nostra: il cammino di
fraternità è ancora acerbo per sostenere queste novità.
Gigi vaga tra una quantità inverosimile di impegni, di incontri e di lavoro fisico, ma ha occhi
non fermi quando si tratta di decidere come orientare le persone dopo aver orientato, e
bene, i mattoni. Segno che ancora una strada certa non c’è.
Noi collaboratori più stretti siamo ancora più indietro, stretti tra un voto fatto a metà che
non apre i giusti spazi a mente e cuore, e ancora a traino del cambiamento in corso, incapaci
di farcene protagonisti.
E così i tanti, meravigliosi volontari che ci aiutano sentono nell’aria, specie in quella organizzativa, corde ancora dissonanti.
Per fortuna chi viene a Romena saltuariamente non si accorge di nulla, anzi è proprio lui, il
viandante, che ci guarisce di continuo.
Perchè questa è la verità più vera di tutte: che, a dispetto delle luci e delle ombre, quando
l’umanità entra nei nostri spazi, c’è sempre una sorgente meravigliosa di bellezza e di autenticità pronta a sgorgare. Ne vale la pena quindi. Ne vale sempre la pena.
Ed eccoci qui. Questo giornalino vuol proprio rispecchiare le cose che vi stavo dicendo:
innanzitutto mostrare i luoghi, specie quelli nuovi, lasciando che evochino i bisogni per cui
sono stati ideati, ma allo stesso tempo indicare ciò che è Romena, nei nostri sogni, nei nostri
tentativi, nelle nostre speranze.
Non è una fotografia statica. È una Romena in cammino. Parte dalle radici di questo luogo,
prosegue in ciò che abbiamo trovato per strada sentendo che ci era necessario: accoglienza
e silenzio, condivisione e preghiera, incontri e semplicità.
Quando si cammina un piede poggia e l’altro spinge. Quando si cammina si conosce solo
il passo che sta per essere superato da quello successivo. È la vita che è così. È alla vita, alla
vita vera, che Romena sogna di assomigliare.
Massimo Orlandi
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Siamo schiavi
di realtà imperfette,
abbiamo innalzato idoli
che ci comprano,
abbiamo messo nomi eterni
a persone e realtà
che non lo sono.
Torniamo a camminare
coi piedi sulla polvere
e con gli occhi nel sogno
che noi tutti avevamo
quando abbiamo varcato
questa soglia.
foto di Massimo Schiavo
Lu ig i Ve rd i
Le radici di Romena
di Massimo Orlandi
Ai miei occhi bambini Romena era solo il
nome di uno svantaggio. Lo svantaggio di
essere periferia di tutto. Il luminoso presente
era altrove, qui c’era solo un mondo contadino che arretrava.
Gli amici dell’estate venivano da Firenze,
Roma, Milano, abitavano in villette nuove
e ben curate. Bevevo i loro racconti di città,
tutto ciò di cui parlavano luccicava.
mena, poco dolci per chi avesse voluto vivere di agricoltura e troppo lontane dalla città
per chi avesse cercato un destino diverso da
quello della terra, stavano vivendo una fase
crepuscolare. Molti giovani se n’erano andati negli anni del boom economico a cercare
lavoro in città. Erano rimasti in pochi, spesso
i più anziani, in bilico tra le tradizioni mezzadrili e il bisogno di trovare un posto a libro
paga, per far quadrare i conti.
Non sapevo allora, me ne sono reso conto
poi, di aver avuto il privilegio di sfiorare un
mondo, una cultura, un modo di vivere di cui
ancora così tanto profuma Romena, in cui è
così profondamente inserito tutto il cammino della nostra fraternità. Le nostre radici.
Erano i primi anni settanta. Le colline di Ro-
Ho conosciuto quei contadini spesso già
Non c’è solo una storia antica nella nostra
pieve e nella sua atmosfera. C’è anche un
passato neppure troppo remoto, ma poco
conosciuto. È un passato di vita contadina e
di fede semplice di cui, pur da piccolo, sono
stato testimone.
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anziani. Li ricordo quando accompagnavo il
parroco per l’acqua santa: le donne avevano
la corona del rosario tra le dita, i capelli raccolti, gli occhi abbassati, gli uomini il berretto ripiegato in mano, gli scarponi spruzzati
di fango, impronte di fieno sulla schiena.
Si faceva silenzio e Dio entrava, entrava per
davvero. Li ricordo per le ricorrenze a Romena: persone ritte in piedi, dignitose, capaci
di riconoscere il valore del lavoro, ma anche
quello della festa.
Tra tutti loro vorrei presentarvene due, con
una motivazione speciale: sono stati gli ultimi custodi della pieve. Gli
ultimi, prima di anni di abbandono e di silenzio, prima
dei timidi esordi della nostra
fraternità. Si chiamavano Tonio e Beppa.
Non erano custodi solo perché avevano le chiavi della
chiesa e perché ci vivevano.
Lo erano perché rendevano
quel luogo vivo, abitandolo,
amandolo, custodendolo con
una attenzione amorosa.
Vivevano nella canonica, la
loro cucina era dove ora abbiamo messo una piccola saletta d’accoglienza, accanto alla segreteria. Tante volte,
dopo una messa, ci si soffermava lì.
Contadini, entrambi, vivevano dei frutti della terra nei campi intorno alla pieve.
Tonio era un uomo di fede. Il suo modo di
inginocchiarsi in chiesa, un’offerta semplice
e devota di se stesso, è stato il mio primo
corso di catechismo. Era un uomo piccolo,
leggermente ingobbito, la sua voce, specie
in chiesa, era un caldo sussurro. Per preparare le celebrazioni, pulire o portarci le persone poteva entrare in pieve cento volte al
giorno: ma ogni volta che entrava si faceva
piccolo rispetto al mistero mostrando anche
fisicamente che quello era un luogo sacro.
Quando penso al ‘timore di Dio’ penso a lui:
che mostrava nei fatti come il timore di Dio
non sia fatto di paura, ma di rispetto, rispetto per qualcosa di bello che ci sovrasta, ma
ci contiene.
E poi Beppa. Beppa era una tipica donna di
campagna, fisico abbondante, modi schietti,
tanta giovialità. Una donna festosa, solare,
diretta. Anche lei attentissima nella custodia
di quel bene grande che era la pieve. I nipoti
mi raccontano della sua attenzione per gli oggetti e le abitudini dei preti che venivano a
dir messa: nulla, a partire dalle
tazze che avrebbero usato per
bere un caffè, doveva mai essere in disordine.
Tonio, Beppa, i quattro figli, e
poi i nipoti che sin da piccoli
frequentavano gli spazi di Romena per stare con i nonni. È
questa la comunità che ci precede, l’anello di congiunzione
con il nostro passato.
Spesso a Romena, mi sembra di sentire il
parlare sottovoce di lui, e il controcanto corposo di lei. E li immagino felici, e con loro
tutti i loro coetanei contadini, felici di sapere
che la loro storia non si è estinta. Che il loro
cammino silenzioso, umile, operoso, continua a dare frutti, in altro modo.
Quando a Romena sentiamo il sapore della semplicità, quando avvertiamo il valore
di una spiritualità autentica, liberata dagli
schemi, dobbiamo ricordare da dove inizia
la scia di quel profumo. È una scia che parte
dalla terra, e guarda, rispettosa, il cielo.
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Bellezza e tenerezza
di Luigi Verdi
Guardo le pietre della nostra Pieve: non ce
n’è una simile all’altra. Stanno lì ferme ad
appoggiarsi, quasi carezzandosi, come se
ognuna aspettasse di accogliere l’altra per
farle posto e sostenerla. Sono semplicemente, nella loro nudità, belle.
E mi ritornano in mente tutti gli attimi in
cui ho scorto negli occhi di chi mi parlava
la stessa semplice nudità e la stessa bellezza.
Se la Pieve potesse parlare forse racconterebbe tutti gli attacchi, gli sfregi, le guerre che ha dovuto subire e combattere da
quasi mille anni a questa parte. Ci racconterebbe di una vita non facile, di un continuo resistere e appigliarsi alle fondamenta;
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e la sua bellezza diventa allora ancora più
preziosa, perchè scampata a pericoli e ferite che avrebbero potuto devastarla.
E ritrovo la stessa ricchezza nella voce di
chi mi racconta le sue fatiche, nelle lacrime
silenziose di chi piange un distacco o una
perdita, nelle tante lacerazioni che subisce
il nostro cuore.
Ha un peso la bellezza, non è eterea ed
evanescente né tantomeno la si trova preconfezionata sullo scaffale di un supermercato, ma ha la sua fatica e il suo sudore ed
è impastata di queste cose: un capolavoro
dell’arte, un quadro meraviglioso, una scultura imponente, una musica celestiale racchiudono tutto il tormento e l’impegno del
suo autore, così come lo splendore di un
fiore porta con sé lo sforzo e l’attenzione
della gemma.
Sembra perfetta la bellezza, ma nasce
dall’imperfezione, dal superamento dei limiti e delle fragilità. Nei momenti di crisi,
come quelli che stiamo vivendo oggi, abbiamo bisogno di questa certezza: quando
tutto ci sembra brutto e irrimediabilmente
compromesso, quando le nostre relazioni
ci sembrano aride e sterili proprio allora
possiamo far nascere la bellezza, possiamo regalare un gesto o uno sguardo che
addolciscano la bruttura e l’aridità.
E mi sorprende sempre pensare a quanto
la bellezza sia unita alla tenerezza: un verso di Alda Merini
dice: “La bellezza
non è che il disvelamento di una
tenebra caduta e
della luce che ne
è venuta fuori”.
Questa scintilla
di luce che scaturisce da una
frattura, questo
lampo che improvvisamente
rischiara quel
che sembrava
una rovina o una
maceria, è quanto di più grande possiamo
vivere, è l’esperienza più vicina al mistero
della creazione.
Quando Dio creò l’universo e si fermò, ammirando quel che aveva creato, un guizzo
di tenerezza avrà sicuramente attraversato
il suo cuore: perchè il bello è sempre intimamente connesso al bene, alla capacità
di restituire alla vita il senso della meraviglia. Come se il male non fosse che un pro-
gressivo allontanarsi da una sorgente segreta e cristallina che sempre fluisce in noi,
a cui l’improvvisa irruzione della bellezza ci
fa tornare, ci immerge, ci vivifica.
Mi tornano in mente le parole di Christiane Singer: “La domanda che ci sarà fatta alla
fine della nostra vita sarà semplice. Non “chi
sei stato?”, ma: “che cosa hai lasciato passare attraverso di te?” Che qualità, che suono?
Che cosa hai salvato, nascosto nel cuore? A
chi hai riflesso il suo splendore segreto? Che
libro hai fatto vivere amandolo? Quale concerto ascoltandolo di continuo? Di che cosa
ti sei preso cura? A che cosa hai aperto il passaggio?”.
Aprire il passaggio, spalancare porte e
finestre, raccogliersi e concentrarsi sulla cura e
l’attenzione alle
minime cose, lasciarsi sorprendere dal passaggio improvviso
di una luce…
Sono legate
bellezza e tenerezza, sono abbracciate l’una
all’altra, cam minano unite, a
passi leggeri, nel nostro cuore quando ne
veniamo accarezzati. Ne restiamo sorpresi
e quasi sconvolti, sembra quasi che ci pungano dolcemente il cuore. Come quando ci
sentiamo stretti dall’abbraccio della nostra
Pieve. Una tenebra si è squarciata, un buio
si è illuminato, lasciando il posto al calore
e al bagliore di una piccola luce, la nostra.
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Vieni, chiunque tu sia
di Giorgio Bonati
Anni fa questa frase era scritta su un vecchio tronco d’albero adagiato per terra fuori dalla pieve, poi consumato e scomparso.
Ma quel “vieni, sognatore, devoto, vagabondo, anche se hai infranto i tuoi voti mille volte”, è sempre affissa all’ingresso della casa,
è la scritta che apre ogni nostro calendario,
ogni anno.
Sono parole antiche di mille anni, di un mistico musulmano. E lo stupore non può che
smisurarsi: una frase di un altro mondo, di
un’altra religione come benvenuto ad una
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pieve romanica, sorta proprio in tempo di
crociate. Ma è proprio oggi che le parole
del poeta persiano Rumi continuano a invitarci ad un’apertura ancor più di quello
che racconta la storia: una pieve luogo di
sosta per viandanti in cammino, in ricerca.
Chi oggi non sogna un mondo senza palizzate, senza muri, senza divisioni? Chi non
ha pianto lacrime amare pensando all’orrore delle guerre di religione? Chi non sogna
un tempo in cui la spiritualità diventi un
ponte sopra il quale camminare finalmente uniti?
Quel “vieni, nonostante tutto vieni” è un invito puntato dritto al cuore della vita, alla
sostanza senza i suoi accidenti, alla profondità del messaggio più che al messaggero:
e questo è ciò che siamo andati sempre
cercando, quello che sentiamo sempre più
necessario e questo luogo sperduto sulle
colline del Casentino prova a viverlo, cerca
di trovare una strada per mostrarlo ai viandanti di oggi.
Accogliere è una delle parole chiavi di
Romena, e chiunque,
svoltato l’angolo della curva, si trova dinnanzi l’abside della
pieve, si sente baciato dalla bellezza, si
sente rapito dall’armonia, e questo è
un biglietto da visita
prezioso per ogni
pellegrino. Acco glienza è come scritto nel DNA di queste
pietre logorate dal
tempo, ma sempre
così vive. Chi ha provato a tenere braccia
e mente spalancate,
aperte al nuovo, schiuse al diverso sa, sa
che non è un’illusione o una forzatura accogliere. E questo è contagioso, è un virus
che si trasmette per contatto, nell’incontro
degli occhi, delle mani.
Abbiamo scoperto che la ricchezza dell’accoglienza è spropositata: anche se ognuno
sembra giungere col pesante fardello della
propria vita, il sentirsi accolti fa il miracolo.
Tutti portano energia nuova, ognuno riaccende la scintilla divina che ha, e questo
basta ad aggiungere un pezzo di legna al
fuoco della vita, a far scorrere nuova linfa
nella fraternità.
“Ognuno è in cerca di un luogo dove sentirsi a casa da qualche parte” recita l’ultima
scritta di Gigi impressa su vecchi legni che
hanno ripreso a vivere. È la semplice conclusione di anni in cui abbiamo provato ad
accogliere chiunque, non senza fatiche,
non senza delusioni
o incomprensioni,
ma con una certezza:
le porte siano sempre
aperte, per una sosta
di poco o di qualche
giorno, con l’unico
desiderio di far trovare ad ognuno un
pezzo di pane e un
po’ d’affetto, provando a fare un pezzo di
strada insieme.
“Vorrei una fraternità
che fosse semplicemente quel granello
di senape da cui nasce
un albero «dove gli uccelli del cielo possano
ripararsi alla sua ombra»; vorrei che la gente trovasse in noi uno
spazio di libertà, una foglia che sia riparo nei
momenti di scoraggiamento; vorrei che, chi
vuole, potesse trovare un posto per cantare
e la nostra unica parola fosse: «Effatà – apriti»”. Queste parole racchiudono ancor oggi
i nostri desideri.
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L’oro nelle ferite
di Maria Teresa Abignente
C’è uno spazio, vicino al grande prato di
Romena e all’ombra di un maestoso gelso
in cui, nelle belle domeniche mattina, un
gruppo di persone si riunisce. Hanno occhi
stanchi e mani che tremano e in gola un
grido soffocato. Sono i genitori del gruppo
Nain, genitori orfani dei propri figli, genitori che cercano di ritrovare nel dramma che
li ha colpiti un senso che sembra sfuggire o
portarli lontano, sulle spiagge della disperazione o di una incerta speranza.
In questo luogo raccolto, che somiglia per
la forma e per quel che si vive quasi ad un
utero, è infissa nella roccia il simbolo della
croce, una croce dove il vuoto occupa il posto principale. Ma proprio attraverso quel
vuoto lo sguardo può aprirsi e spaziare su
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un vasto panorama, sulle verdi colline che
circondano Romena, su un cielo che sembra un po’ più vicino.
Su quella croce, come a voler sottolineare
un volo, il crocefisso non c’è: al suo posto,
al posto delle sue ferite, delle gocce di oro.
Quando il dolore ti consuma e consuma
tutto quello che nella tua vita sembrava
darti respiro, quando il dolore ti strema e
prosciuga ogni vena di senso, resta un cuore in attesa. Sospeso. Sospeso come quel
crocefisso che ti invita a guardare oltre. Oltre le ferite, oltre il vuoto.
Certe cose non si possono spiegare, certe
cose si sentono col cuore e faticano ad esser dette con le parole: cosa sono quelle
gocce d’oro e chi le mette sulle nostre ferite a impreziosirle, a renderle inviolabili?
Il Risorto porta con sè le sue ferite: Lui che
ha sentito il brivido del germogliare di una
carne intatta e nuova non ha rinunciato
a quel che di più prezioso aveva ricevuto,
mani e piedi aperti, ferite da toccare increduli, per riconoscerlo. Mi piace pensare che
anche le nostre cicatrici,
quelle che portiamo sul
corpo, ma soprattutto
quelle del cuore, servano a identificarci, a farci
riconoscere. Servono a
distinguerci l’uno dall’altro, come ora ci distingue il colore degli occhi
o dei capelli, la statura
e la costituzione fisica,
così le nostre ferite ci
renderanno straordinariamente unici. E quindi
preziosi.
Ma è anche vero che il
dolore cambia il nostro modo di vedere la
realtà, ci apre nuove prospettive, ci affida il
“peso” diverso delle cose che avevamo vissuto prima che, bruscamente e senza permesso, quel dolore entrasse nelle nostre
vite. Un peso e un colore che vanno all’essenziale, che virano verso la scarna sostanza
della vita, ormai liberata dalle zavorre della
superficialità. Ci riportano al midollo della
vita, a quanto cioè abbiamo di più prezioso
e bisognoso di protezione. Come un aratro
il dolore ha scavato dentro il nostro cuore,
lasciando terra aperta e dolorante, costringendoci a guardare l’erba dalla parte delle
radici. Da quel punto cioè da cui parte e si
trasmette la vita.
Si impara, attraversando il dolore: si impara a sopravvivergli, si apprendono strategie per fare in modo che faccia un po’
meno male, si riesce a schivarlo quando
è necessario e ad abbracciarlo quando è
altrettanto necessario. Ma soprattutto il
dolore ti insegna una cosa difficile e per la
quale non ti saresti mai sentito pronto: ad
amare al buio. Ad amare
cioè senza più la persona per la quale questo
amore era destinato,
nell’azzardo di una speranza che ti fa sentire
che questa persona ancora può ricevere il tuo
amore e ancora te ne
può regalare. Amare al
buio, con il brivido e la
paura di stare rischiando grosso, ma intuendo
che è la sola cosa che
puoi fare per raggiungere quel che hai perso.
E diventa così un amore
trasfigurato, che deve lentamente subire come un passaggio di stato: da solido,
concreto, materiale a invisibile, intangibile,
etereo. Eppure, come prima, vivo e reale.
Un amore che, con il passare del tempo e
dello sfinimento che ti fa assaggiare il dolore, si trasforma in dolce e succoso, distillato
di essenze, denso e ricco come un balsamo. Maturato, come i frutti del gelso sotto
al quale sostiamo.
Il vuoto del crocefisso è riempito da un
cielo che altrimenti non avremmo potuto
vedere: al sole brillano unicamente le sue
ferite.
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Il pane di tutti i giorni
di Pier Luigi Ricci
Primo, secondo, terzo corso: si chiamano
così perché siamo gente creativa, che va
forte sui nomi. Spesso questa battuta mi
scappa quando alla fine del primo corso
provo a dire due parole su Romena.
In realtà è difficile dare un nome che rappresenti in modo compiuto cosa può essere uno dei nostri corsi. All’inizio, il venerdì
sera, quando si comincia, spesso dico: “Non
vi aspettate cose nuove da questo corso,
che avremmo potuto mettere insieme per
stupire e per avere tanta gente. Abbiamo
preferito fare un’altra scelta e presentarvi il
pane di sempre”.
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Il pane di sempre sono le cose più antiche
e più semplici, il cuore del vangelo e della
saggezza popolare, tutto ciò che è vero e
che fa bene oggi, ma che funzionava, forse
istintivamente, anche per gli uomini di tremila anni fa. Sono le chiavi della vita, quei
principi che la fanno funzionare con un po’
di fatica in meno e che le danno significato. Il pane di sempre è la verità sull’uomo
e la verità è una. È quella che il vangelo,
ma anche i grandi testimoni della storia
ci hanno spiegato. Questa verità è scritta
nel cuore dell’uomo, è quella che quando
la senti raccontare ti prende un sussulto, la
riconosci, la ami, staresti delle ore a sentirne parlare.
Questo sono i corsi di Romena, un incontro
col pane di sempre. Fatto di cose semplici,
a volte le “solite cose” come spesso dice il
Gigi quando ironizzando, dice la sua meraviglia sul fatto che la gente venga così
spesso e così in gran numero ad ascoltarci.
Il nostro merito è tutto qua. È quello di
non aver messo insieme
cose create da noi, cose
fatte per meravigliare,
ma quelle che a noi per
primi hanno cambiato
la vita. Si, questo pane
di sempre credo che lo
stiamo confezionando
bene, questo forse è il
nostro merito. C’è la nostra vita, ci sono le cose
più care e più sofferte,
c’è la nostra passione il
nostro entusiasmo, ma
ci sono anche le nostre
paure e le nostre fatiche. Non il mestiere,
non l’abitudine. Ne è
testimonianza l’agitazione che proviamo ogni volta prima di
cominciare e quella faccia stravolta dalla
fatica che i nostri parenti vedono quando
torniamo a casa.
Il pane di sempre lo riconosci dal fatto che
quando te lo trovi davanti avverti la sensazione che si stia parlando di te. Avverti
un richiamo dentro, riconosci qualcosa che
ti appartiene. La sapevi già, ma ti stupisce
come se fosse la prima volta che la senti.
Questa magia appartiene al messaggio,
non alla nostra bravura. Una cosa vera unisce, riporta energia, è come un abbraccio
che contiene le ansie e ti fa sentire più vicino a te stesso. Ed infatti è l’abbraccio il
gesto che meglio rappresenta i nostri corsi. È quell’istante in cui toccando l’altro, si
avverte la sensazione di riappacificarsi con
sé stessi. È bellissimo quando qualcuno mi
racconta che i gesti, le parole al corso hanno avuto effetto prima di tutto dentro di
lui. Magari si sono calmati i conflitti interiori, le ansie, i sensi di colpa e si sono risvegliati i desideri, i sogni…
Spesso quando vengo
via da Romena alla fine
di un corso, mentre sono
per strada ringrazio Dio
e tutti quelli che mi hanno permesso di essere
stato ancora una volta lì,
a far da ponte e niente
di più, mentre quel pane
di sempre risvegliava
qualcosa di intimo e di
antico nelle persone e
nei gruppi. Credo poi
che dobbiamo tanto
anche alle persone che
arrivano, qualsiasi sia la
loro aspettativa e il loro
bisogno, perché sono
loro che ci spingono ad andare avanti e a
metterci in gioco ogni volta.
Certo, poi tutto dipende dalle intenzioni di ciascuno. Si può salire alla Pieve per
cercare il pane di un giorno o per cercare
il pane di sempre. Ci si può accontentare
di risolvere un problema o di far fronte ad
un momento di ansia o si può desiderare
e cercare qualcosa che sostenga la nostra
vita e la orienti. E questa è una scelta che
non spetta a noi, non la forzeremo mai, ma
rimane una libertà di ciascuno.
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La voce del silenzio
di Luigi Verdi
Disciplina. Una parola vecchia, desueta,
abbandonata.
Ma è da qui che si parte per abitare Dio,
per farci abitare da Dio.
In questi tempi veloci, dove tutto scorre
e poco rimane, è diventato urgente fermarsi, e ogni giorno allenarsi a sentire
che la vita è fatta di corpo e spirito, mente e cuore. Non si può lasciare nulla al
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caso, perché ogni preghiera richiede attenzione, preparazione, scelta del luogo,
del momento, creatività, senza il bisogno
di cercare risultati. Nella preghiera non
occorrono tante parole perché l’amore
non ha bisogno di parole.
Più questo mondo ha bisogno di Dio, più
urgente diventa il dovere di una regolarità di preghiera quotidiana, di silenzio,
di una pausa che riallacci rapporti con la
nostra identità profonda e autentica.
Il romanico è semplice, armonico, umano. Così è la nostra pieve, e quando vi entri incontri il volto di Gesù, con gli occhi
socchiusi, occhi che non sanno giudicare,
ma abbracciare; lo sguardo poi si sofferma sulla mensa, dove Gesù si offre, mai
prepotente; poi gli occhi sono attratti
dalla luce delle bifore e delle trifore, dal
cielo che si scorge e che ci dice: cammina, vai avanti.
“O amici, come è bello stare
insieme, dolci le vostre parole, gioia le vostre mani piene
d’affetto: perché nei vostri
occhi c’è una luce che dice
che l’Amato è oltre, sempre
oltre?” Con queste parole
Giovanni Vannucci sembra
invitarci a spingere il nostro
sguardo sempre oltre, a non
fermarci mai, perché la vita
muore se la fermiamo, inaridisce se non coltiviamo le
sue radici e non custodiamo
i suoi sogni.
La vita spirituale è una via senza ritorno
perché la preghiera è un’avventura pericolosa, non possiamo intraprenderla
senza rischio, il rischio di un mutamento
radicale di vita.
Come è bella la povertà inutile del silenzio e della preghiera, questo spreco
amabile, questo spazio di profumo, di
casa aperta al mondo.
Come sono belle le cappelline che abbiamo creato per dar la possibilità ad
ognuno di riposare con Dio. Riconoscere
la ‘misericordia’ per lasciarci abbracciare
da Dio e attingere acqua nuova per diventare amorevoli, incantarci dinnanzi al
volto femminile di Dio per lasciarci accarezzare dalla tenerezza e diventare veri,
contemplare il volto di Cristo adagiato
sul tavolo da falegname per dare anima
alla quotidianità.
Come è salutare la Via della
Resurrezione, quanto è prezioso sostare davanti alle icone di ferro vecchio che come
prima cosa abbiamo saputo
far rinascere; quanto è luminoso per l’anima nutrirsi delle parole sacre; quanta meraviglia per gli occhi nutrirsi
dei colori della natura che
ti accompagna passo dopo
passo verso l’Amore.
“Quando incontrerete Dio
non sarà come inginocchiarvi davanti a un
imperatore ma sarà come il bacio vergine
dell’universo”. Mi fa venire i brividi questa frase di Mallarmè, perché credo che
incontrare Dio sarà come il primo bacio.
Dio è come il tuo primo bacio, come colui che ti apre gli orizzonti e ti fa abbracciare tutto quello che c’è.
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Ciò che ci serve per vivere
di Wolfgang Fasser
Quali sono i nostro bisogni essenziali per
star bene? Venendo da una vita del ‘troppo’, poche cose, semplici, servono per riavviare il cammino di vita. Ma di tutto questo
bisogno di essenzialità, cosa può offrire
Romena? Ho provato a racchiudere tutto
questo in alcuni punti.
Semplicità e leggerezza
Partiamo da qui. Semplice non significa
poco e di poco valore. È una qualità. Significa provare la libertà di dire: sono felice
con quello che ho, quello che ho è gia sufficiente per vivere, non ho bisogno di più.
In tutti questi anni più volte sia a Romena
che a Quorle abbiamo sentito l’impulso a
perfezionare, a portare le nostre realtà su
un livello più maturo di organizzazione e
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prestazione, ma cosi avremmo abbandonato un valore basilare nella nostra scelta:
perché la semplicità ci fa bene.
Le domeniche che vi invitiamo a passare a
Romena sono fatte di questo: sono un invito a interrompere il flusso frenetico della
settimana e a rigenerarci. Non è turismo
spirituale: sono occasioni di riscoperta di
quella semplicità e di quella leggerezza che
ci servono per affrontare meglio la vita di
ogni giorno.
Nuovi occhi
La nostra fraternità propone tante attività,
molto diverse, corsi, lavoro, incontri, gruppi,
veglie, ma con un unico obiettivo: invitare
ciascuno ad ascoltare la sua voce interiore,
a leggere i segni della sua vita, a fidarsi di sé
e ad alimentarsi di un colloquio autentico
con gli altri. Non vogliamo offrire soluzioni
per la vita di nessuno, non abbiamo bacchette magiche.
Siamo però certi che il mistero della vita
non è un problema da risolvere, ma una
realtà da vivere. Per scoprire questo proponiamo quello che Marcel Proust dice in
una frase: “per scoprire un nuovo mondo non
dobbiamo andare in altri paesi, ma cambiare
il modo di guardare”.
In questo percorso dobbiamo costantemente evitare un rischio: quello dell’attivismo a tutti i costi, delle troppe iniziative per
sfamare i desideri e le richieste. Ci siamo giù
fermati almeno due volte per potare. Lo dovremo fare ancora, se serve: siamo chiamati
a vivere la vita, non solo a parlarne o a rappresentarla.
Silenzio
Ne disponiamo nelle nostre realtà immerse nella natura. Il silenzio deve essere
custodito, cercato e ricordato. Ci vuole il
coraggio di proteggerlo e di viverlo non
farlo soltanto nei momenti di preghiera e
di lode. Il mio occhio critico cade sui nostri
momenti speciali, sugli incontri: troppo
spesso ci sono tantissime parole, musiche,
immagini, ma pochissimi spazi riservati al
silenzio o a gesti semplici. Anche l’occhio
vuole il suo silenzio, anche la mente vuole il
suo silenzio, anche il desiderio di fare tanto
ha bisogno del suo silenzio. E aggiungo di
più: desidero anche un po’ di silenzio delle
nostre voci maschili per poter sentire di più
la voce femminile.
Provvisorietà
Pensando al nostro cammino come fraternità vedo la provvisorietà come uno dei valori più consistenti del percorso: è proprio
la sana provvisorietà che ci ha permesso di
svilupparci, di accogliere la vita e anche di
sbagliare per poter trovare meglio la stra-
da. Arturo Paoli ci ha detto la settimana
scorsa: “Il segreto è di non pretendere la vita,
di lasciarla fare”. Per vivere questa saggezza
del nostro amico di 102 anni ci vuole fiducia
nella sana provvisorietà. Credo che siamo
stati capaci di viverla e proteggerla in tutti
questi anni e mi auguro di continuare.
Voglia di camminare
Abbiamo sempre voluto che Romena fosse vissuta come una casa di passaggio, un
luogo con una vita che ispira alla vita. Un
luogo dove trovo qualcosa per poter vivere
meglio e più volentieri a casa mia.
Quanto è importante custodire questa fedeltà alla vita di tutti noi. Romena non è
un’isoletta della felicità, è soltanto un luogo
nutriente per chi cerca la vita.
Vivendo Romena così possiamo anche scoprire una verità più profonda nella vita: siamo in cammino, siamo di passaggio, siamo
effimeri e proprio per questo siamo invitati
a vivere la vita come un grande privilegio.
Imperfezione e incompiutezza
Siamo sanamente imperfetti e incompiuti.
Non per trascuratezza, no, semplicemente
per la natura della vita. Vogliamo vivere
volentieri anche di fronte a questo nostro
essere e rapportarci serenamente all’incompiutezza e all’imperfezione degli altri.
Libertà nutriente
Vogliamo proporre un cammino in libertà, un cammino di crescita. Senza pretese.
Ecco la libertà: tu che vieni a Romena o a
Quorle legati a noi attraverso la tua partecipazione, legati a noi quanto tempo vuoi,
come vuoi, ma slegati anche quando e
come voi. Non ci sono tesserini di appartenenza: Romena vuol essere un contributo
nutriente nella società italiana e non più di
quello. Questa libertà è il mezzo per essere
fedeli al cammino e ai valori che ci stanno
a cuore.
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Chi arriva a Romena,
ci insegna Romena.
di Massimo Orlandi
Scrivo questo articolo con gli occhi e il cuore tuffati nell’energia di un incontro, a Rovereto, con tanti amici di Romena. Serate
come queste sono il mio personale distributore di carburante. Una riserva di senso
che mi accompagna tutto l’anno. E non è
per la Romena che porto, ma per quella
che ricevo.
Da lontano Romena viene colta nella sua
essenzialità: come un luogo che trasmette
un desiderio di autenticità. Chi sta lontano
attribuisce a Romena il valore più vivo della parola ‘nostalgia’: ne misura la distanza
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con la propria distanza da se stesso. Romena è l’unità di misura di uno scarto.
Noi che ci stiamo qui, noi che respiriamo
continuamente l’aria della pieve, spesso riusciamo a contaminarla con le nostre piccolezze. Chi arriva da fuori ha così il compito di risollevarci continuamente dalle
nostre gabbie di mediocrità.
Ricordo, un anno fa, una riunione organizzativa alla vigilia del primo grande incontro
di luglio. Era la prima volta che ospitavamo quattrocento persone tutte insieme ed
erano anche legittimi i dubbi, le preoccu-
pazioni, le riserve. Ma l’atmosfera, caricata
dai malesseri di ognuno, era irrespirabile.
Pochi giorni dopo, non appena cominciarono a arrivare persone da tutta Italia,
cambiò tutto: ciascuno di noi, riflettendosi
nella carica naturale di chi arrivava, si specchiò nella Romena accogliente che avrebbe voluto e riuscì a riconoscerla.
È sempre stato così: chi arriva a Romena
ci insegna Romena. Deve essere così: Romena deve essere uno spazio libero, uno
spazio dove ciascuno, arrivando, anche
solo per due ore, possa imprimere la sua
traiettoria di vita e, con la sua, modificare
quella della Fraternità.
Capirete perciò cosa siano gli incontri per
Romena: il suo dna, il suo alimento, la sua
parte migliore. Perché è bello il posto, bella la pieve, bello quello che c’è, ma non è
paragonabile alla varietà, alla bellezza, alla
profondità dei rapporti umani che possono
nascere. Questa è la nostra vera ricchezza.
Tutto ciò che facciamo per consentire a
Romena di allargare la cerchia dei suoi incontri ha questa finalità: aumentare questo
tesoro di incontri, far crescere questo forziere di umanità.
A questo servono i corsi, i gruppi, i libri,
le domeniche di Romena, gli incontri su e
giù per l’Italia, le veglie. Vi siete mai chiesti
perché tante veglie, 70 città, un tour sfiancante? Perchè la veglia sprigiona l’identità
di Romena senza aver bisogno di Romena.
Perché in una sera crea in tante persone un
desiderio, una voglia, una spinta, che non
dipendono da noi, ma che sappiamo di
aver alimentato. Non conta quante di quelle persone verranno poi a trovarci, conta
aver soffiato su un fuoco forse spento, conta aver trasmesso un profumo di buono,
conta aver creato una nostalgia.
Sappiamo bene quanto i rapporti umani oggi abbiano perso quella freschezza
bambina, quella disponibilità di fondo che
è una loro esigenza primaria. Romena, senza invadere, prova a tirar via questa scorza
artificiale che ci siamo costruiti. Il suo compito è quello di invitare ciascuno a recuperare uno sguardo che la sua anima sappia
riconoscere.
Quando questo accade, ciascuno di noi,
collaboratore, assistente, semplicissimo
viandante, sente di aver partecipato a un
miracolo.
Da 23 anni amo Romena per questo: per
i miracoli cui ho assistito, per quelli che
mi hanno riguardato. E per la voglia mai
spenta che mi trasmette questo luogo di
cercare il cuore e lì, dal cuore, abbracciare
l’uomo.
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Abbiamo accolto, perché avevamo vicino al cuore
la stessa ferita di chi passava,
e non abbiamo avuto paura
della confusione dei loro occhi.
Ci siamo fermati
nei tanti crocevia furiosi del mondo
dove s’invola il gemito degli uomini,
facendo circolare l’amore che apprezza e profuma.
Abbiamo visto che non è il dolore
che annulla la speranza,
non è il morire,
ma l’essere senza conforto.
Che il tuo vento o Dio
continui a spingere la nostra barca,
non ci importa nulla della rotta
se continueremo a sentire su di noi
il tuo vento di vita.
La nostra debolezza è stata la nostra forza
e quando i nostri occhi si chiudevano
da qualche parte dentro di noi il roveto ardeva.
È la fame negli occhi che ci ha spinto fino a qua
a non offendere la vita piccola dei piccoli
e coltivare la speranza di una umanità più umana.
Luigi Verdi
Un cammino per le strade dell’anima
di Angelo Casati
“Pellegrino della terra e della parola”, don Luca Buccheri accompagna periodicamente
gruppi di cercatori nei luoghi della Bibbia, in Terra Santa.
Da oggi le sue meditazioni bibliche ci consentono di camminare con lui anche stando fermi:
è nato così il libro di Meditazioni bibliche “Dove vieni e dove vai?” nel quale la lettura dei
testi sacri e la riflessione sulle domande esistenziali che sollevano, si collega al contesto
geografico in cui sono nati.
Il libro è introdotto da una prefazione di Angelo Casati, prete-poeta, che vi anticipiamo.
Libro per un viaggio, il libro di don Luca. Libro
per gli innamorati dei viaggi, donne e uomini
sacco a pelo e zaino. O forse anche, me lo auguro, libro per chi si è lasciato, forse senza accorgersene, espropriare dei sogni, ritrovandosi
uomo in pantofole, in case senza finestre, nella
immobile pesantezza dei sedentari.
Oso augurarmi che chi di noi si trovasse per disavventura in questa condizione di opaca immobilità, scorrendo una pagina dietro l’altra e
indugiandovi, possa sentire finalmente filtrare
il vento, che rialza i volti ed è sangue nelle vele
per ripartenze.
Capitò un giorno al paralitico del vangelo, sino a
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quel momento tutt’uno a incastro con la sua barella: alla voce del maestro si drizzò dietro spinta
di forza per cammini di libertà.
Partire come condizione per nascite, e non contano gli anni. Nella bibbia da grembi avvizziti
avvengono per potenza dall’alto nascite fuori
da ogni immaginazione. Dirà don Luca: “Il Signore chiama Abram a (letteralmente) «lasciare
la sua nascita e la casa di suo padre» (12,1). Perché ogni partenza è come una nuova nascita”.
Libro dunque per un viaggio che prima di essere su sabbie o asfalto è cammino per le strade dell’anima. Che siano quelle a decidere una
vita? Dietro il pulsare
di domande assolute: “Da dove vieni?
Chi sei? Dove vai?”.
La domanda, se ci
pensiamo, fa la differenza tra pellegrino e vagabondo. Un
libro per pellegrini.
Di Terra Santa certo,
ma anche della terra
santa della vita, la nostra. Un viaggio in cui
in un certo senso sei
solo, solo con la tua
nascita, che ancora
deve compiersi.
Nel taccuino di viaggio di don Luca c’è,
lo avverti, il colore
dei suoi occhi, che
non sono da turista,
ma da cercatore, cercatore di stelle come
Abramo, uomo di miniere che porta l’oro alla
luce, uomo del racconto. Ti viene voglia di sedere al fuoco e sotto le stelle ascoltare la voce. Prima delle parole, la voce. Occhi e voce a custodia
di memorie, le memorie dei padri e di Gesù, memorie che ardono come brace nel Libro Santo e
nella Terra Santa. Per questo don Luca racconta
storie, o meglio, la Storia, dialogando tra Sacra
Scrittura e terra dei padri. Le storie dei padri, la
storia di Gesù hanno incrociato una terra. E la
terra custodisce, per chi la sa scrutare, memorie.
Troverai puntuali nel libro, come in mappa, ma
accese, accese dalla memoria, le note di don
Luca sulla terra: un lembo di cielo, la congregazione delle stelle, l’immensità di un monte,
un lago o un pozzo o una sorgente, un fiume
o un filo d’acqua e luoghi, luoghi a non finire,
che hanno assistito rabbrividendo al passaggio
della salvezza, note che colorano i racconti che
spesso noi impallidiamo quasi non avessero
luogo o fossero risucchiati a mezz’aria, senza rispetto nè devozione per un Dio che ha cammi-
nato piedi per terra,
senza sospetto che
sulla terra siano rimaste impigliate, come
sorprese da emozione, le orme.
Cantore della terra,
don Luca, ma insieme appassionato lettore e indagatore di
Scritture, starei per
assegnargli l’appartenenza alla scuola
dello scriba del vangelo che dal tesoro
estrae cose nuove e
cose antiche. Quasi
che l’emozione gli
rimanesse impigliata
prima nelle mani che
toccano e sfogliano il
Libro e poi nella scrittura che dà forma ai
pensieri del cuore e
di tanto in tanto odora di poesia.
Vorrei concludere questo mio azzardo di parole
con quelle di don Luca, che chiudono (o riaprono?) il libro, parole che come gli succede, sposano in continuazione terra e Scritture, parole
per assetati:
“Nell’oasi di En-Ghedi, sulle sponde del Mar
Morto, si sperimenta la bellezza di una sorgente di acqua dolce che fa rinascere la vita dappertutto, una sorgente che il profeta Ezechiele
vede nascere dal monte di Sion, dal luogo in cui
quel “fratello” muore (cfr. Ez 47,10). È il fratello
crocifisso, dal cui costato sgorga ogni benedizione”.
“I nostri cammini di fango diventano morbida
creta”: sono parole di Monica Rovatti, suonano
come un augurio per i lettori del libro. Gli occhi
di Monica come quelli di Gesù. Lui vedeva un
biondeggiare delle messi in anticipo di quattro
mesi.
È l’augurio per i lettori di un libro.
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Una libreria di novità
Gli scaffali, nella nostra libreria, sono le mangiatoie della vecchia stalla, oggi ristrutturata.
Non è un caso: un libro è fatto per essere ‘ruminato’: le sue parole, alla luce del nostro modo
di ‘masticarle’ possono entrarci dentro, e trasformarci.
In quest’ultimo periodo sono entrati nella nostra libreria, oltre al libro di don Luca Buccheri,
altri tre volumi che proponiamo alla vostra masticazione…
Mendicanti di luce
Questo libro, pubblicato dalla EMI, nasce
come sviluppo della veglia di Romena di due
anni fa. Con parole dolci e forti, grazie a una
personalissima capacità di ridare corpo alle
pagine del Vangelo, il nostro don Luigi Verdi
ci conduce sui luoghi in cui il Risorto si manifesta: «Come coloro che hanno seguito Gesù
e che per paura lo hanno lasciato solo sotto la
croce, così anche noi siamo dei mendicanti di
luce, come loro abbiamo bisogno di una parola
che ci scaldi il cuore, di un brivido sulla pelle, di
piangere lacrime innamorate».
Nella sua interpretazione della Parola di Dio,
ci conduce nei luoghi in cui Gesù si manifesta: strade, case, sentieri, giardini, dove possiamo quotidianamente riscoprire la bellezza
della nostra vita. Questa ricerca del Risorto
si tinge della tenerezza e delle attenzioni
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che Dio ci riserva e che don Luigi, con parole
dolci e forti, descrive così: «L’attenzione è un
po’ d’ombra, un pugno di datteri, un po’ d’acqua. La tenerezza è un gesto regale, è il gesto
dei credenti e degli amanti. Scusate se termino
sempre con la tenerezza. Ma da ogni crisi ho
imparato che dobbiamo almeno salvare la bellezza e la tenerezza».
A regola d’arte
Una fede nuda
“L’arte non ci insegna nulla, tranne il senso della vita”. In questa frase di Henri Miller c’è il
cuore del libro “A regola d’arte”, a cura di Massimo Orlandi e Paolo Ciampi. Il libro racconta
cinque incontri con altrettanti artisti che, con
percorsi molto diversi, hanno sempre saputo tenere il fuoco dell’arte acceso: sono Alessandro Benvenuti, regista e attore, Gianmaria
Testa, cantautore e poeta, Simona Atzori, ballerina e pittrice, Elisabetta Salvatori, autrice e
attrice, Eraldo Affinati, educatore e scrittore.
Cinque vite, in questo libro, si offrono con
tanta passione e autenticità nella bellezza
coinvolgente del loro cammino e per dirci
che la vita è un filo d’amore da tenere sempre stretto, anche quando i tempi sono difficili, perché è quel filo che dà senso a tutto il
resto. Il libro è stato edito dalla Fraternità in
collaborazione con la Fondazione Giuseppe
e Adele Baracchi: gli incontri “A regola d’arte”
sono infatti parte del percorso “Le Parole e il
silenzio” organizzato dalla Fondazione.
È l’ultimo arrivo delle Edizioni Romena. Il
libro è il testimone fedele del bellissimo incontro omonimo tenuto da Ermes Ronchi e
da Marina Marcolini a Romena. Un delicato,
poetico percorso di autenticità al maschile
e al femminile, di un religioso e di una laica
per rappresentare la bellezza, la forza, il bisogno, della fede. Il frate poeta, conduttore
della trasmissione di Rai Uno “Le ragioni della
speranza” e la scrittrice e insegnante, coautrice dello stesso programma, duettano sul
filo della poesia regalandoci continue perle
di una bellezza resa ancor più viva dalla testimonianza personale del loro cammino di
vita. “Il cristiano – scrive Marina – non è uno
che obbedisce a una legge, ma uno che depone
le armi di fronte all’amore. E questo dà gioia. Io
credo che la gioia sia il termometro della vita
spirituale”. “La mia fede – sono parole di Ermes – è sapere e sentire di essere dentro una
corrente inarrestabile, una energia di vita che
mi raggiunge, mi avvolge, penetra, incalza, fa
fiorire”. “Una fede nuda”, come si capisce è sì
un libro sulla fede, ma è soprattutto un libro
che parla dell’energia che muove l’universo:
l’amore.
I nostri libri si possono acquistare direttamente a Romena, e nelle librerie, oppure si possono ordinare inviando una mail a [email protected] specificando titoli e quantità richiesti e indicando
l’indirizzo dove devono essere spediti. Ulteriori informazioni su www.romena.it
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Romena incontri 2014
È
il coraggio, il coraggio di dar voce alla propria autenticità, il
coraggio di andare oltre la fatica del presente, il coraggio di far fare
un passo alla propria vita il protagonista dei due percorsi di incontro,
che la Fraternità di Romena propone quest’anno, rispettivamente dal
18 al 20 luglio e dal 19 al 21 settembre. Giornalisti e scrittori, poeti e
teologi, e soprattutto tanti testimoni di vita proveranno a offrire ciò che
hanno sperimentato nel loro cammino di vita provando a trasmetterci
preziosi germogli di coraggio.
I due incontri svilupperanno il tema in due modi diversi: a luglio
vi saranno soprattutto testimonianze di vita che mostreranno la
possibilità, con il coraggio, di affrontare situazioni anche molto difficili,
a settembre centrale sarà soprattutto la ricerca di quei primi, decisivi
passi per attivare dinamiche di cambiamento e di crescita.
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Rischiamo il coraggio
18 -19 - 20 luglio
È
questa la grande sfida umana che ci propone l’incontro di luglio. Una sfida nella quale
cercheremo di fortificarci ascoltando bellissime storie di vita, testimonianze di grande spessore e alimentandoci con la passione e la forza trasmessa dall’arte. E proprio un momento di
arte, di arte applicata alla vita che aprirà la tre giorni, venerdì 18, ore 21, con lo spettacolo di
Elisabetta Salvatori dedicato alla vita travagliata di Dino Campana. Sabato l’apertura a
tutto tondo sul tema con lo sguardo appassionato del filosofo Roberto Mancini cui seguirà
l’incontro in videoconferenza con Alberto Maggi: il noto teologo dedicherà il suo intervento
a un versetto del Vangelo di Giovanni: “Coraggio, io ho vinto il mondo!”. Il pomeriggio e la sera
saranno declinati interamente al femminile: nel pomeriggio Caterina Migliazza ci parlerà
del coraggio dell’attesa che lei vive da 9 anni dopo la sparizione del figlio Fabrizio, durante
un cammino della pace ad Assisi, Claudia Francardi e Irene Sisi affronteranno invece
il coraggio del perdono: Claudia è la moglie di un appuntato dei carabinieri che fu ucciso tre
anni fa a un posto di blocco nel grossetano; autore materiale dell’omicidio il figlio di Irene. La
serata ci consentirà infine un abbraccio musicale con la poesia e la forza della musica proposta
da Katia Lari e Elena de Renzio.
La domenica, per chi vorrà, ci si sveglierà prestissimo, con un concerto all’alba (ore 5.51) nel
cortile della fattoria del pianista Cesare Picco: un evento organizzato in collaborazione con
la manifestazione Piano Forte sostenibile. Quindi in programma il coraggio di comunicare un
coraggio grandissimo perché lo ha saputo esprimere un giovane autistico, Giacomo De Nuccio, autore di poesie e racconti di grande valore e sensibilità. Quindi Francuccio Gesualdi,
allievo di don Milani e fondatore del Centro nuovo modello di sviluppo che porrà la sua attenzione sul coraggio della responsabilità. Infine nel pomeriggio di domenica con un testimone
speciale di coraggio: il presidente di Libera e fondatore del gruppo Abele don Luigi Ciotti.
Mancini · Maggi · Gesualdi · Ciotti
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Osare passi nuovi
19 - 20 - 21 settembre
S
i prevedono grandi testimonianze anche per l’incontro di settembre dedicato ai
‘passi nuovi’ da introdurre nella nostra vita grazie a un riconquistato coraggio. Saranno con noi, tra gli altri, due teologi molto speciali come Vito Mancuso e Antonietta Potente, e ancora lo scrittore e educatore Eraldo Affinati, la scrittrice e
conduttrice radiofonica Gabriella Caramore (autrice e voce di “Uomini e profeti”),
la giornalista, scrittrice nonché esponente di primissimo piano dell’ambientalismo italiano Grazia Francescato. L’intervento conclusivo sarà al affidato al Cardinale
Walter Kasper. Anche a settembre ci accompagnerà l’arte con il concerto (il sabato
sera) di Luca Mauceri, artista poliedrico, musicista, attore, che ci proporrà, tra l’altro,
l’ultimo suo lavoro discografico, “Secrets”.
Mancuso · Potente · Affinati · Kasper
Francescato · Caramore
Per gli incontri è attiva una Segreteria organizzativa:
contattare telefonicamente 339.7055339 (il numero è attivo dalle 15.30 alle
18.30 dal lunedì al venerdì) o via mail: [email protected]
Tutte le informazioni, le novità, gli aggiornamenti
sono disponibili sul sito www.romena.it.
Notizie varie
Appuntamenti del
Gruppo Famiglie
È nato quest’anno, a Romena si sono
già tenuti i primi appuntamenti mensili.
Una domenica al mese dedicata alle famiglie per condividere difficoltà ma anche risorse dell’essere genitori, figli…
famiglia! I prossimi appuntamenti sono:
Mancato recapito del Giornalino
Riceviamo numerose segnalazioni di
mancato recapito del Giornalino: se
siete a conoscenza di qualcuno a cui
non è stato recapitato, vi preghiamo di
segnalarcelo a [email protected] oppure telefonicamente al n. 0575.582060:
chiederemo una verifica sulla spedizione a Poste Italiane.
•domenica 24 agosto
•domenica 19 ottobre
•domenica 16 novembre
•domenica 8 dicembre
Per articoli, pubblicazioni delle Edizioni
Romena, foto, audio degli incontri e
altro ancora seguici su:
Per info e contatti è a disposizione
la mail [email protected]
Iscriviti alla nostra newsletter per essere aggiornato
su tutti gli eventi organizzati dalla Fraternità.
Domande su Dio e sull’uomo
corso dal 29 al 31 agosto 2014
Un corso per parlare in modo semplice
e diretto su chi e in che cosa cresciamo.
Un tempo di scambio e di interrogativi, oltre gli schemi e le abitudini, per scrutare
responsabilmente l’orizzonte delle nostre
relazioni e scelte. Conduttore speciale del
corso, assieme a Gianni Novello, sarà
Raniero La Valle: giornalista e cronista al
tempo del Concilio, Raniero è da sempre
impegnato sul fronte del rinnovamento
della Chiesa e sulle tematiche di pace e a
favore dei popoli oppressi.
Le domeniche di Romena
Un giorno da trascorrere assieme in Fraternità. È questo quello che accade ogni
domenica a Romena, una possibilità
aperta a tutti, in semplicità. Venite liberamente: alle ore 11 si fanno le lodi del
Mattino e si riflette sul vangelo del giorno,
alle 15,30 prepariamo sempre un incontro
(con un ospite, con un artista) e poi alle
17 la messa. I locali della Fraternità e il
punto ristoro offrono spazi per consumare
il proprio pic-nic o una merenda.
www.romena.it
UN CONTRIBUTO: il giornalino è una
pubblicazione gratuita e viene inviato a
tutte le persone che hanno partecipato ai
corsi di Romena o ne abbiano fatto richiesta. Aiutateci a sostenere le spese di realizzazione e spedizione inviando il vostro
contributo col bollettino allegato, oppure
effettua un’offerta ai seguenti conti correnti
intestati a Fraternità di Romena ONLUS,
Pratovecchio (Arezzo):
postale IBAN:
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bancario IBAN:
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PASSAPAROLA: se sai di qualcuno a cui
non è arrivato il giornale o ha cambiato indirizzo, se desideri farlo avere a qualche altra
persona scrivi a [email protected] o collegati
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SEGRETERIA: per iscriversi ai corsi è
necessario telefonare al nostro numero
0575.582060.
Le iscrizioni ai corsi si aprono il primo
giorno del mese precedente al corso stesso.
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T
ra i cespugli ha trovato
una gabbietta per colombi
l’ha presa e la tiene
perchè resti vuota.
foto Piero Checcaglini
Wislawa Szymborska