Invecchiamento: fisiologia e patologia

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Invecchiamento: fisiologia e patologia
CAPITOLO 8
Invecchiamento: fisiologia e patologia
Claudio Doglioni
Senectus ipsa morbus, la famosa frase di Terenzio, va sicuramente oggi rimeditata.
L’allungamento della vita media umana e le più recenti acquisizioni sui complessi meccanismi biologici che governano la vita, sia delle singole cellule che degli organismi
multicellulari, con ordini di complessità crescenti dal nematode Cenorhabditis elegans
all’uomo, ci impongono un ripensamento e una rivalutazione del significato biologico
dell’invecchiamento.
Il confine fra invecchiamento e malattie legate all’invecchiamento è spesso assai sottile e incerto: è però opportuno mantenere una netta distinzione, almeno dal punto di
vista concettuale, per poter meglio comprendere i complessi fenomeni biologici che
regolano la senescenza sia della singola cellula che di organismi complessi. L’invecchiamento non va considerato di per sé una malattia, anche se facilita la comparsa di alterazioni patologiche correlate all’età quali l’aterosclerosi, il diabete, le osteoartropatie
involutive, le malattie degenerative del sistema nervoso centrale e dell’apparato visivo
e il cancro. L’invecchiamento è un processo fisiologico che coinvolge i singoli costituenti cellulari e si ripercuote nei sistemi cellulari più complessi modificandone le interazioni e creando nuovi, a volte precari, equilibri. Questo processo è condizionato da fattori intrinseci - genetici - e da fattori estrinseci quali per esempio la dieta, le condizioni ambientali, sociali e la malattie intercorrenti.
L’invecchiamento che coinvolge ogni singola cellula si ripercuote quindi nel processo di invecchiamento dell’organismo. Per poter meglio comprendere il processo dell’invecchiamento dell’individuo è perciò necessario studiare il processo di senescenza
nella singola unità cellulare e ancor meglio nelle singole unità cellulari facenti parte
dei diversi sistemi tessutali e d’organo.
L’invecchiamento cellulare
Numerose funzioni cellulari si riducono o vengono alterate con l’età. Esse comprendono la ridotta capacità di fosforilazione ossidativa dei mitocondri, la ridotta efficienza nei complessi di sintesi e di riparazione degli acidi nucleici, la diminuita capacità di assicurare il turnover delle proteine strutturali, degli enzimi, dei recettori e
dei fattori di trascrizione, la riduzione nell’efficienza di assorbire nutrienti e di rispondere a stimoli esterni. Tali alterazioni hanno anche degli equivalenti morfologici evidenziabili soprattutto in microscopia elettronica con anomalie nella morfologia dei
mitocondri, dell’apparato di Golgi e del nucleo. Un fenomeno frequente è l’accumulo di pigmento lipofuscinico che rappresenta un prodotto di perossidazione lipidica
legato a fenomeni di danno ossidativo. Altra anomalia, biochimicamente dimostrabile,
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è l’accumulo di prodotti di glicosilazione, derivanti da processi di glicosilazione non
enzimatica, in grado di creare legami con proteine alterandone la funzione, come
avviene nelle proteine del cristallino con conseguente cataratta. Altra alterazione biochimica frequente nell’invecchiamento cellulare è l’accumulo di proteine con anomala conformazione, imputabili a una ridotta efficienza del proteasoma e ad anomalie di sintesi proteica: la cellula non riesce a degradare completamente queste proteine che possono accumularsi fino a livelli nocivi per la cellula stessa, come avviene
nell’amiloidosi e nelle malattie prioniche. Queste alterazioni non sono sufficienti di
per sé a giustificare l’invecchiamento cellulare: esse, più che causa, sono un effetto di
modificazioni più profonde che sottendono l’invecchiamento cellulare. Varie sono le
chiavi interpretative che la ricerca scientifica utilizza per comprendere il fenomeno
dell’invecchiamento: fra di esse la teoria metabolica e quella dell’orologio cellulare
meritano un breve approfondimento.
Danno ossidativo e invecchiamento
Nella teoria metabolica i danni ossidativi provocati dai ROS (reactive oxygen species) sono
l’elemento caratterizzante. L’attività metabolica che produce i ROS è in qualche modo
correlata alla durata della vita: così gli animali con elevata velocità metabolica hanno
vita breve, mentre è l’opposto per quelli con bassa velocità metabolica. I ROS sono un
prodotto del normale metabolismo e hanno funzioni fisiologiche utili, ma potenzialità altrettanto dannose per i vari costituenti cellulari quali proteine, lipidi e acidi nucleici; il danno ossidativo che ne deriva è una componente fondamentale per la senescenza cellulare. Sperimentalmente si è visto che la restrizione calorica applicata a vari organismi, dai lieviti agli animali da laboratorio, permette di allungare la vita [1] grazie al
silenziamento di una serie di geni, meccanismo questo che comporta una riduzione
del metabolismo cellulare. L’aumentata produzione, in animali transgenici, di molecole che in qualche modo tampona il danno ossidativo, come la superossido dismutasi
(SOD) e la catalasi, ritardano la senescenza dell’animale. Si è visto per esempio che in
alcuni organismi utilizzati per studiare l’invecchiamento come, il nematode Caenorhabdtis elegans, specifiche modificazioni del metabolismo, in particolare del glucosio,
condizionano la longevità dell’organismo. Meccanismi similari potrebbero quindi
influenzare la longevità umana. L’attività dei ROS può essere indotta da stimoli fisiologici
e patologici. Essi - come detto - hanno funzioni che possono divenire dannose se sono
prodotti in eccesso e non vengono controbilanciati da meccanismi di tamponamento biochimico: così l’ossido nitrico, mediatore chimico importante nella vasodilatazione, se
non adeguatamente controbilanciato può contribuire all’invecchiamento cellulare fino
alla morte. Questi pericolosi metaboliti sono prodotti a livello mitocondriale, e possono attivare molte vie metaboliche che a loro volta agiscono a livello nucleare portando
alla trascrizione di specifiche sequenze geniche e all’innesco di ulteriori reazioni come
l’arresto di crescita o la senescenza. L’utilizzo di molecole antiinfiammatorie (es. i polifenoli) sembra efficace nel ridurre il danno ossidativo, in particolare quando combinato con una riduzione dell’apporto calorico. Uno fra i più studiati di questi composti
è il resveratrolo, un polifenolo delle piante abbondante nel vino rosso e considerato il
principale responsabile dei benefici effetti legati all’uso moderato di questa bevanda. Tut-
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tavia, considerando il problema dell’obesità nei Paesi industrializzati e il problema della
malnutrizione in molte popolazioni del mondo, appare difficile proporre la restrizione
calorica per controllare gli effetti dell’invecchiamento. Di certo, l’utilizzo di farmaci che
ottengano gli stessi effetti della restrizione calorica potrebbe essere più desiderabile anche dall’industria farmaceutica.
L’orologio cellulare e la senescenza replicativa
Secondo la teoria dell’orologio cellulare ogni cellula ha un suo contatore temporale. Il
concetto che ogni cellula abbia una limitata capacità di replicazione fu sviluppato da un
semplice modello sperimentale. Quando, messe in coltura, le cellule umane hanno generalmente un numero limitato di replicazioni - circa 30-40 - per poi andare incontro a senescenza e a morte cellulare. Le cellule umane in genere (es. i fibroblasti) hanno nel neonato potenzialità maggiori che nell’adulto o nell’anziano. La senescenza cellulare comporta l’iperespressione di una serie di proteine che inibiscono il ciclo cellulare, fra cui
p16 e p21. Vi sono evidenze sperimentali e osservazioni in patologia umana in favore
di questa teoria. Nelle sindromi progeroidi umane, caratterizzate da precoce invecchiamento degli individui, vi è una ridotta capacità replicativa cellulare. Le sindromi
progeroidi sono malattie genetiche autosomiche recessive piuttosto rare; la meno rara
è la malattia di Werner, caratterizzata da prematura senescenza con elevata frequenza
di malattie età-correlate. Esse sono un modello naturale per facilitare la comprensione
dei meccanismi della senescenza e sono tutte legate a mutazioni diverse di un singolo
gene (l’elicasi), un enzima implicato nella riparazione e replicazione del DNA: questo
fa supporre che l’accumulo di danni genetici e il silenziamento dell’espressione genica
siano momenti molto importanti nel determinismo della senescenza cellulare. A favore della teoria dell’orologio cellulare sta la scoperta della funzione dei telomeri e della
telomerasi [2]. I telomeri sono sequenze ripetitive di DNA situate all’estremità di ciascun cromosoma: essi assicurano la completa replicazione del cromosoma, proteggendolo nel contempo da fenomeni di fusione e di degradazione che potrebbero provocare danni letali o addirittura la trasformazione neoplastica delle cellule. I telomeri sono
mantenuti integri da un complesso enzimatico, la telomerasi. L’attività telomerasica
viene a mano a mano persa nelle cellule somatiche e viene riattivata in quelle neoplastiche. A ogni divisione cellulare si perde una porzione di telomero, sino alla sua consunzione e al conseguente arresto replicativo. Nell’uomo i telomeri sono relativamente corti e la telomerasi va incontro a progressiva inibizione fin dalla nascita: questo
fenomeno porta alla senescenza cellulare, di pari passo con l’accumulo di proteine, ad
alterazioni del ciclo cellulare, all’arresto mitotico ed eventualmente alla morte cellulare. Se invece dovessero verificarsi ulteriori mutazioni, per nuovi danni genetici, si può
avere la cosiddetta crisi con innesco di altri cicli cellulari, riattivazione della telomerasi e trasformazione neoplastica. Questo è un aspetto che lega la senescenza cellulare
all’elevata incidenza di neoplasie dell’anziano: peraltro oltre gli 80 anni si raggiunge
un plateau di crescita, come se in qualche modo entrassero in campo dei meccanismi
protettivi. Il sistema telomeri-telomerasi è quindi legato alla senescenza cellulare, ma
qualora vi siano perturbazioni nel lento consumarsi dei telomeri esso può divenire un
meccanismo di immortalizzazione cellulare e favorire lo sviluppo di neoplasie.
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Geni che influenzano l’invecchiamento
La ricerca di geni implicati nei processi di senescenza è stata condotta in vari modelli
cellulari e animali. Questi studi hanno dimostrato che l’invecchiamento è regolato da geni
specifici. Nel nematode Caenorhabditis elegans, di cui si conoscono l’intero genoma e
la funzione e il destino di ogni singola cellula, l’inattivazione di geni coinvolti nella via
metabolica dell’insulina e del fattore di crescita insulino simile 1 (insulina/IGF1) porta
a un prolungamento della vita del 50% correlato a un ridotto consumo calorico. Gli
studi sulla longevità negli organismi semplici hanno notevolmente ampliato le nostre
conoscenze su come la restrizione calorica possa prolungare la vita. Un enzima particolarmente importante per prolungare la longevità in alcuni lieviti è Sir2; un enzima omologo è attivo e ha le stesse caratteristiche anche nel nematode Caenorhabditis elegans.
L’enzima Sir2 appartiene a una ampia famiglia di molecole evolutivamente conservate, chiamate sirtuine [1]. L’omologo umano è denominato Sirt1. Negli organismi inferiori questi enzimi regolano varie attività cellulari che condizionano la longevità. Nei
mammiferi, le sirtuine agiscono da regolatori della differenziazione e della morte programmata cellulare. Queste osservazioni suggeriscono un potenziale meccanismo di
convergenza fra attività metabolica e longevità. È interessante il fatto che il resveratrolo sia un potente attivatore delle funzioni di Sir2. Sono ormai numerosi i geni che sembrano influire sull’invecchiamento identificati nei vari organismi. L’ultimo in ordine di
segnalazione è il gene klotho, la cui overespressione allunga la durata di vita nei topi
[3]. La proteina klotho agisce come un ormone ed è coinvolta nei meccanismi di regolazione della via metabolica insulina/IGF1: questa proteina potrebbe agire come ormone anti invecchiamento nei mammiferi. Il nome della proteina deriva dalla mitologia
greca: la dea Cloto, una delle tre figlie di Zeus e Temi, era la dea della filatura, e assieme a Lachesi e a Atropo costituiva il trio delle Moire, o Parche.
Cellule staminali e invecchiamento
Lo studio delle cellule staminali e il loro possibile utilizzo nella riparazione di danni
causati da malattie croniche rappresentano un argomento di grande attualità che suscita speranze e anche non pochi timori. Tralasciando il controverso argomento dell’utilizzo di cellule staminali fetali, grande attenzione è posta attualmente al ruolo delle cellule staminali adulte mesenchimali. Poiché queste cellule hanno un’importanza fondamentale nel mantenimento e nella rigenerazione dei vari tipi tessutali, sorge spontanea la domanda su quale sia il loro ruolo nell’invecchiamento e quale il loro possibile
utilizzo terapeutico nel prevenire o limitare i danni dell’invecchiamento [4].
Considerazioni finali
La ricerca scientifica è intensamente impegnata nell’individuare i meccanismi coinvolti nella senescenza cellulare: i possibili risvolti di carattere economico, sociale e culturale che potrebbero derivare dalla possibilità di rallentare o addirittura arrestare i
processi di invecchiamento sono difficilmente immaginabili. Probabilmente l’invec-
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chiamento è un processo legato all’accumulo di danni derivanti da una ridotta capacità riparativa e proliferativa delle cellule. È verosimile che i geni che condizionano la
longevità e la senescenza siano assai numerosi: però, a differenza di altri fattori genetici che regolano la vita umana, probabilmente non vi sono geni che abbiano avuto una
selezione naturale ai fini della longevità. Infatti l’invecchiamento è un artefatto prodotto dalla civilizzazione umana, strettamente legato alla specie umana e che si verifica solo negli animali allontanati dall’ambiente naturale e protetti dall’uomo: esso è perciò, teleologicamente, un processo innaturale. Ogni organismo giunge alla maturazione, alla riproduzione e al perpetuamento della specie: quello che avviene successivamente non è più governato dalla selezione naturale, non essendo stato selezionato per
questo scopo. Vi sono animali, detti big bang animals, che spendono tutte le loro energie per arrivare al momento riproduttivo e poi morire, come i salmoni del Pacifico; vi
sono altri animali, come le tartarughe, che non sembrano invecchiare e muoiono solo
per selezione naturale. I rapidi progressi delle conoscenze scientifiche e le sempre maggiori possibilità di intervenire sui processi biologici lasciano intravedere scenari sconcertanti. Si può ipotizzare la possibilità di allungare notevolmente la vita, anche oltre quel
limite di 110-120 anni che sembra attualmente il limite massimo. Ci si deve ricordare del
mito di Titone e Aurora: Aurora aveva chiesto a Zeus di prolungare la vita dell’amato,
dimenticandosi però di chiedergli di mantenerlo giovane, cosicché Titone visse a lungo
- oltre 1500 anni - ma da vecchio. Al giorno d’oggi Aurora chiederebbe a Zeus anche
una buona scorta di cellule staminali per l’amato.
Bibliografia
1. Bordone L, Guarente L (2005) Calorie restriction, SIRT1 and metabolism: understanding longevity. Nat Rev Mol Cell Biol 6:298-305 (review)
2. Blasco MA (2005) Telomeres and human disease: ageing, cancer and beyond. Nat Rev Genet
6:611-622
3. Chang Q, Hoefs S, van der Kemp AW et al (2005) The beta-glucuronidase klotho hydrolyzes
and activates the TRPV5 channel. Science 310:490-493
4. Bell DR, Van Zant G (2004) Stem cells, aging, and cancer: inevitabilities and outcomes.
Oncogene 23:7290-7296 (review)
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