Conversando con Tobia Scarpa

Transcript

Conversando con Tobia Scarpa
Conversando con Tobia Scarpa
Il mondo di oggi è un gran caos che riporta allegoricamente alla mente
il film Prova d’orchestra di Fellini. C’è scarsezza di afflato: ognuno
suona il suo strumento, spesso senza accompagnarlo con gli altri.
A risentirne, naturalmente, è anche il panorama contemporaneo
dell’architettura e del design in cui, a mio giudizio, diventa sempre più
difficile e impegnativo comunicare e raccordarsi.
Chiacchiererò con l’architetto Tobia Scarpa; curiosa e attenta lo ascolterò ricordando la concretezza del suo lavoro schivo ai “fili di fumo”.
Insieme cercheremo di riflettere per poi, magari, tentare di accordare
una musica in scala maggiore…
Architetto, in che modo e perché inizia la sua carriera?
La fame.
Era il dopoguerra, io ho cominciato a lavorare tra il 1956 e il 1957.
Erano anni in cui non c’era benessere: le nuove generazioni che si affacciavano, pur avendo il desiderio di rendere concreto il mondo a
propria immagine, mostravano molta titubanza su quali strumenti potere usare. Soprattutto nell’area veneziana non esistevano fabbriche,
attività: la guerra aveva assopito tutto. C’erano delle industrie ma erano quelle chimiche, di natura diversa e per un architetto di allora la
plastica non esisteva. La progettazione verteva ancora su materiali antichi; c’era la preoccupazione di non potere fare, di non trovare un posto che ti potesse accettare. In questo senso ciò che mi ha spinto a lavorare era la fame.
Era una motivazione molto forte, è possibile che manchi a molti
giovani contemporanei?
I giovani contemporanei hanno una visione completamente diversa
con altre problematiche e vedranno il mondo con prospettive dissimili
dalle nostre. Io compirò 76 anni alla fine di quest’anno, penso che sia
quasi un secolo e fa tanta cosa! É sempre la trasformazione quella cui
si assiste; un mutamento di comportamenti… Sono reduce da un viaggio in Africa e lì sono tutti con il telefonino: è impressionante che nel-
la costa dell’Africa Settentrionale tutti lo abbiano. L’hanno, oramai,
come strumento radicato, come un’appendice. Per noi è qualcosa di
recente mentre per loro si è connaturato in maniera rapidissima, come
per i giovani da noi. Probabilmente non sanno nemmeno da quando
tempo sia venuto fuori e questo fa la differenza.
Come nasce la sintonia con le aziende con cui lavora o ha lavorato? Sono stati rapporti maturati nel tempo, istantanei o, magari,
costruiti sul nascere di entrambi?
Ciò che mi muove è la speranza di realizzare un’azienda illuminata,
colta, capace di un pensiero rivolto al futuro. L’unico industriale che
ho conosciuto è stato Adriano Olivetti, a voltarsi per guardare indietro: fallimento su tutta la linea.
È una risposta dura.
In verità è così. La forma, la mentalità, l’atteggiamento degli industriali che ho conosciuto io erano un prodotto che aveva avuto origine
nell’artigianato; erano persone che sapevano e avevano in mano un
mestiere e non una visione. La prima cosa che a loro interessava era il
guadagno, il quanto e subito. Era tutto diverso da come si sognava: noi
siamo degli intellettuali e quindi con poca esperienza nella prassi del
mondo della contrattazione e della gestione dei prodotti sul mercato.
Ho trovato una grande intelligenza, un’ampia sensibilità, nella famiglia Benetton però non è nel mondo del design nella maniera più precisa; sono degli industriali che hanno lavorato nel settore della moda.
Lo hanno fatto con molta attenzione, con molta capacità di visione;
adesso che sono trascorsi molti anni hanno anche il desiderio di rappresentare questo loro successo in maniera sostanziale attraverso le architetture. Forse sono state le buone prove che ho avuto occasione di
offrire io a loro a farli convinti che l’architettura è un grande strumento di comunicazione “nel tempo”.
Cito alcuni passi delle Affinità elettive di Goethe:
L’architetto, lo scultore hanno tutto l’interesse che l’uomo si attende da
loro, dalla loro arte, dalla loro mano un prolungamento della propria esistenza; per questo vorrei monumenti ben ideati e ben fatti, che non siano disseminati qua e là a caso, ma vengano eretti in un luogo in cui possano durare. […] In generale il problema è quello dell’invenzione e della
sua giusta esecuzione. […] Schizzi per monumenti di ogni tipo ne ho rac-
colti molti e, se verrà l’occasione, li potrò mostrare: ma il più bel monumento resta pur sempre l’immagine stessa dell’uomo.
Li trova attuali? Che peso dà nel suo percorso progettuale alla
“immagine stessa dell’uomo”?
Ho sempre pensato che ogni azione, che realizza un manufatto destinato a durare nel tempo, diventi per se stessa immagine del suo creatore. L’architettura o la moda del nostro tempo è il perfetto ritratto di chi
siamo.
Chi siamo?
Vede lei ha inserito una cosa molto particolare che è quella che fluisce
dentro le cose e che è quella dell’innamoramento.
Tutti gli artisti sono narcisisti, sono narcisi che si guardano nel fiume
e poi alla fine capitombolano mentre muoiono. Innegabilmente non
bisogna essere narcisi, d’altra parte la logica del narciso è di chi si offre.
In un'epoca buia l’artista rappresenta l’intelligenza che, pur essendo
sempre presente, non ha strumenti per rifulgere e potersi rappresentare. I momenti migliori sono quelli di grande magia quelli in cui avvengono le grandi trasformazioni. Vediamo personaggi come Leonardo: non era l’unico che inventava le macchine, ma era l’unico artista
che lo faceva e questo gli dava qualcosa in più che allo specialista
mancava. Ecco il narciso che viene fuori e che si prodiga per
l’invenzione affinché sia straordinaria! L’elemento della straordinarietà è la parte profonda del narciso che vuol farsi amare. È uno dei modi
di vedere la cosa, ma indubbiamente è uno dei modi che si lega anche
al lato della rappresentazione.
La società è anche lei narcisista e vuole rappresentarsi: quando è miserabile, stolta, ignorante è allora che vuol farsi bella. Io posso comunicare solo informazioni in negativo di questo tempo in cui vivo: pur
cercando di ottenere risultati e avendo occasioni fortunate, quando mi
guardo in giro trovo un elemento ostile a quello che è il canto pieno, a
piena voce. Si deve invece cantare modulati, bassi perché altrimenti
s’infrangono regole non scritte, non condivise soprattutto.
C’è troppo egocentrismo?
Io direi che c’è troppo egoismo, una società come la nostra è come un
grande formicaio in cui le formiche vorrebbero farsi riconoscere una
per una e quindi c’è qualcosa che non funziona. Nella società del
grande numero non si può essere più il singolo perché, se si è tali, si è
in distonia con la struttura; questo produce, anche sul piano della politica ad esempio, il fatto di non accettare delle regole comuni ma sempre delle opportunità. Ciò causa un disagio non solamente formale, ma
di sostanza.
Come riesce a concentrare creatività e coerenza?
Un fiume è composto da un alveo e dal flusso dell’acqua. Similmente
la fantasia e il rigore procedono come il fiume, magari le regole che
governano il percorso di un progetto sono diverse da quelle che governano il fiume o un corso d’acqua, ma l’immagine mi sembra corretta.
Mi sembra perfetta.
Noi siamo in questo flusso del fiume (potrebbe essere anche il flusso
del tempo) in cui tutti gli elementi che compongono l’acqua si muovono armoniosamente oppure, invece, sono tormentati da velocità disordinate e discordanti e quindi sono dissonanti nel loro muoversi…
Oggi esiste un confine netto tra artigianato e industria o i ruoli si
stanno frapponendo? Se sì, con che conseguenze?
La distinzione non ha basi veritiere oggi abbiamo artigiani con tecnologie molto evolute e industrie ancora nell’età della pietra.
Basta pensare che per fare una navetta che va nello spazio si realizza
un solo oggetto e che quello successivo è già evoluto rispetto a quello
mandato prima… C’è, però, tutta una scienza dietro, tutto un calcolo,
una preparazione. Lo stesso fa l’artigiano che produce secondo una
conoscenza, una sapienza propria acquisita in molto tempo della sua
esistenza per apprenderla e per realizzare l’oggetto felicemente.
L’industria pretende che l’oggetto sia anonimo, cioè senza anima e lo
produce automaticamente senza riflettere intorno alla qualità. Questa
non riflessione impedisce all’industria di reagire al muoversi del tempo. Quando le cose cambiano, l’industria non se ne rende conto.
L’esempio probante è questo: quando l’Italia è uscita dalla disfatta
della guerra e ha incominciato a ricostruirsi aveva le industrie più avanzate rispetto ai paesi che avevano vinto ma che possedevano le industrie vecchie e che non si erano rinnovate. È stato stupefacente il
boom italiano e ancora non era letto nella chiave giusta.
Lo stesso vale per i paesi emergenti di oggi come l’India, la Cina, di là
dal fatto che consumano l’energia in maniera scorretta (ma questo non
dipende solamente da loro) hanno delle produzioni qualitativamente e
potenzialmente sopra le nostre. Ecco queste sono le differenze.
Le pongo una domanda che sta sorgendo adesso, è più poetico il
prodotto di un artigiano o quello che esce da una macchina?
La strutturazione dei meccanismi di veicolazione dei prodotti sul mercato che danno origine all’immagine del design, del prodotto del disegno, deve avere immancabilmente un timbro che è offerto dal progettista design. Potrebbe darlo benissimo anche il progettista artigiano,
solamente che questi ha un percorso di apprendimento diverso dal
primo che gli impedisce di accedere correttamente all'informazione di
sé. La conoscenza del fluire delle informazioni tiene a margine l'artigiano perché la cultura del mercato o, diciamola più brutalmente, la
cultura della moda è un qualcosa di mostruoso che passa attraverso
l’esercizio dei media: io faccio qualcosa e la trasmetto prima attraverso l’informazione e poi attraverso la vendita. L’artigiano fa fatica a
compiere questo passo. Nel discorso della poeticità si può passare da
una che è vera a una che è retorica: il designer che trasmette la propria
attività attraverso i media fa della retorica e la dimostrazione è il ripetersi dei suoi gesti; l’artigiano, che è rimasto indietro, non è capace di
dare una risposta ed è silenzioso. L’artigianalità è semplicemente, nel
percorso del tempo, un modo di un essere umano che parte dal presupposto di conoscere profondamente i metodi e gli strumenti che si
usano per ottenere un risultato attraverso il quale riesce a dominare la
capacità poetica. Nella media attuale la capacità di dominare strumenti
per esprimere poesia è limitata dall’ignoranza.
Questo è quello che credo sia ragionevolmente vicino alla realtà.
Come vive il passaggio attraverso la modernità?
La modernità è già passata ora dobbiamo essere consci di cosa vogliamo dalla contemporaneità. Oggi tutto è presente, da qui la grande
cacofonia.
Il moderno è finito nel 1500 e noi lo stiamo usando ancora in maniera
pubblicistica diciamo: “la modernità”, “il moderno”… È una forma
profondamente pubblicitaria di un atteggiamento che corrispondeva
alla volontà di trasformare il mondo da parte di un pensiero, il Bauhaus, di tutti i modernisti come Le Corbusier, Gropius e di tutti i movimenti che si sono mossi. L’Italia non c’era naturalmente, perché
c’era il fascismo. L’unica cosa che ha espresso è stato il futurismo che
è stato poi trasformato in quanto detto e si è fatta confusione perché
esso non lo era all’inizio, ma lo diventò dopo.
Lei crede che in un processo progettuale occorrano obbligatoriamente tempi lunghi e di meditazione?
Dipende.
Per esempio se un problema mi è familiare o mi rappresenta diventa
più facile accondiscendere a delle soluzioni. Dico accondiscendere
perché evidentemente sono passaggi in cui si analizzano temi che possono essere risolti in più maniere. Naturalmente il gusto, la cultura, la
scelta emozionale fanno sì che uno di questi sia premiato e una di queste soluzioni sia accolta divenendo l’oggetto finale.
Ogni persona, ogni situazione è differente; l’intuizione che illumina
tutto può essere istantanea mentre in altre occasioni bisogna che ci sia
una sedimentazione lenta, sempre per arrivare a quel punto di semplicità del passaggio. Bisogna che tutti gli elementi componenti la soluzione del problema siano pacificati fra loro, altrimenti abbiamo distonie. Si possono risolvere i problemi brutalizzando però non abbiamo
poeticità. La poetica nasce dall’armonia.
Mi racconterebbe qualche esperienza progettuale che ha particolarmente catturato la sua attenzione? Non mi riferisco solamente
al design, ma anche all’architettura e agli interventi di restauro.
Guardando indietro nel tempo la cosa che m’inorgogliva era quella di
trovare sempre, appena entrato in un cantiere, la situazione che abbisognava del mio intervento.
La trovo una risposta onesta.
Ero molto orgoglioso di conoscere il mio mestiere, perché io l’ho imparato da bambino. Le cose si devono imparare da piccoli non da
grandi, quando si va all’università è troppo tardi. Il mestiere del vetraio, ad esempio, lo imparavano i bambini a 6, 7 anni: andavano a servire tirando su il pallino di vetro o rompendo dentro il contenitore i vetri
che dopo erano riutilizzati nelle fusioni successive. Queste cose che
sono del passato e che danno esempi folgoranti di eleganza sono date
da gente che, soffrendo la fatica del quotidiano, aveva anche il merito
di presentarsi con umiltà.
Come spiegherebbe a un bambino curioso che cos’è ’architettura?
È talmente tante cose che a un bambino curioso, veramente curioso,
dovrei dedicare completamente tutto il mio tempo. Diventerei, allora,
il suo maestro e lui il mio discepolo. Non sarebbe più necessario tentare di spiegare cos’è l’architettura.
Insegnare una cosa a una persona significa accompagnarla durante
l’arco di esperienze che non possono essere le sue ma quelle di chi insegna. Costui deve essere così modesto da sapere che sta aprendo il
suo cuore a un altro che potrebbe anche essere libero di rifiutare. È
molto difficile: perché significa donare se stesso; se questo non avviene non è un insegnamento ma un’applicazione di informazioni che è
diverso!
Quanto esiste di magico nella progettazione e cosa?
Tutto anche i sogni.
Lei cosa sogna?
Uno dei miei sogni sarebbe di avere la mia piccola barca a fianco della
mia casa oppure una barca sufficiente a contenermi per tutta la vita e
andare alla deriva.
L’immagine dell’acqua è presente sempre…
Sono nato a Venezia amo il mare, amo questa solitudine solare oppure
notturna del mare. L’acqua è un senso di vitalità sommessa, grandissima, è bella.
Regalerebbe a un amico architetto delle cose che per lei sono importanti (anche in senso allegorico), se sì quali? In questo mestiere
che rilievo si deve dare alla “generosità”?
La generosità è la cosa più importante nelle sue innumerevoli fattezze.
Non ha risposto, però, alla prima domanda…
Regalerei qualsiasi cosa, tutto. Potrei farlo anche con una persona che
conosco da poco, mi spoglierei delle cose che desidero di più o che
amo di più. In questo modo do vita all’oggetto, do vita al gesto. Molto
spesso rimpiango di averlo fatto, però alla fine resto soddisfatto lo
stesso.
È una memoria che mi sta affiorando adesso: qualche tempo fa ho
ascoltato un’intervista all’attrice Franca Valeri. Mi ha colpito
molto un’affermazione in cui dichiarava che ai suoi tempi le persone più grandi erano molto più generose con i più giovani. Lei
concorda con questa testimonianza, erano più prodighi?
Non sono in grado di andare troppo indietro nel tempo, posso tornare
al periodo della guerra e devo dire che il rapporto fra le persone era
molto più sollecito nei bisogni dell’altro. C’era il riconoscimento di un
obbligo in cui si dava soddisfazione ai bisogni primari. Era facile salvare un uomo.
Esiste un racconto bellissimo sulla storia dei ritorni dei soldati che
scappavano dalla Russia: a un certo momento della narrazione un soldato si rifugia in un casolare, entra e trova tutti i soldati russi là ed è
disperato, affamato, mezzo morto di stanchezza. La padrona di casa
gli dà da mangiare, lo fa dormire e l’indomani l’uomo va via senza
che nessuno gli abbia fatto niente. Io trovo questo un basamento sufficiente per costruire un universo umano di valore che è un riconoscimento dei bisogni dell’altro; non è generosità.
I ragazzi a cui insegna le trasferiscono qualcosa? Che differenze
nota con la sua generazione scolastica?
I giovani per loro natura sono generosi e questo è bellissimo.
L’insegnamento nella scuola, università, è molto difficile; il tempo è
poco e le cose che si dovrebbero insegnare abbisognano di molto più
tempo. Molto.
La scuola è qualcosa di strano, così com’è ora, è come un grande formaggio dove tutti i topi, i professori, vanno a mangiare facendo buchi
profondi. Gli studenti purtroppo coabitano con questi sorci. Il formaggio apparentemente dovrebbe essere la conoscenza in realtà è la scusa
per appropriarsi di aree, di situazioni. Non so cosa dire, io trovo questi
ragazzi meravigliosi quando arrivano, poi si appoggiano al sistema e
si perdono e diventano uguali ai docenti. I giovani sono ancora puliti e
sono straordinari, la difficoltà è mantenersi tali durante l’arco della
propria vita. Non importa quale sia la ragione che ti salvi: puoi essere
stupido, impotente, incapace, intelligentissimo e fare delle scelte opportune, un santo… tutte queste cose sono indifferenti, l’importante è
il risultato.
Concludendo, identifica il futuro con il termine “problema” o “soluzione”?
A sentire Chatwin quando racconta le storie degli aborigeni ne Le vie
dei canti sembrerebbe che il futuro sia la parte mancante di una pista.
C’è questo messaggio: gli aborigeni australiani dividono la vita di un
uomo, la considerano come se fosse un passaggio, una traccia lasciata
e il cacciatore che segue quella traccia sente ancora il profumo
dell’uomo che è passato. Si utilizza il termine profumo in senso positivo per indicare la memoria che formula un desiderio di conoscere, di
appartenere insieme a una certa situazione, proprio perché la qualità
che emana da questa traccia è una cosa che ti fa stare bene. È come
entrare in una casa in cui si è felici e sentire il profumo del buon cibo,
della buona manutenzione della casa pulita: trovi il sorriso delle persone gioiose che vi abitano.
Figura 25. Palazzo della Ragione (Cortile del Mercato Vecchio), Tobia Scarpa con
G.D. Cocco, Studio Lagrecacolonna, G. Mar, Verona 2000. Ph. ORCH © Studio
Scarpa
Figura 26. Cantina Tenuta delle Ripalte, Tobia Scarpa con L. Cocco, G. Ficai, L.
Lagrecacolonna, Capoliveri (Isola D’Elba) 2003 © Studio Scarpa
Figura 27. Magazzino robotizzato Benetton Group, Tobia Scarpa con L. Cocco, G.
Fragonese, A. Lagrecacolonna, E. Tranquilli, Tecnobrevetti, Castrette di Villorba
(Treviso) 2008 © Studio Scarpa
Figura 28. Quasar oval, lampada da terra, Tobia Scarpa, GPE 2010-2011 © Studio
Scarpa
Note biografiche di Tobia Scarpa
Classe 1935, Tobia Scarpa si laurea alla Facoltà di architettura di Venezia nel 1969.
Dal 1959 al 1999 progetta insieme all’architetto Afra Bianchin per poi
proseguire da solo.
Dal 2002 insegna alla Facoltà di design dell’Istituto Universitario di
Architettura di Venezia.
Lavora nel campo dell’architettura, del restauro di monumenti e del
design. Nel settore architettonico i suoi committenti sono sia pubblici
che privati. È, inoltre, uno dei maggiori progettisti di tutta
l’architettura industriale del Gruppo Benetton.
Nell’ambito del design lavora con le aziende B&B Italia, Cassina,
Flos, Gavina (Knoll Internetional), Goppion, IB Office, Maxalto, Meritalia, San Lorenzo, Stildomus, Unifor, Veas, Cadel, Casas, Molteni e
molte altre. L’Istituto Italiano di Cultura gli dedica un’importante esposizione personale itinerante a Chicago (2004), Los Angeles (2005),
Washington (2006).
Nel 2008 riceve il Compasso d’oro alla carriera.
I suoi progetti sono documentati nei più importanti periodici quali: Abitare, Domus, Ottagono, G.I. (Global Interior), M.D. (Moebel Interior Design), Casa Vogue, Interni, Gran Bazar, A.D., Gap Casa, Modo, Casabella, Architecture, DDN (Design diffusion news), per citarne
solamente alcuni. Tanti i libri in cui sono presenti tra cui: Storia del
mobile moderno, K. Mang (ed. Laterza 1982); Parere sull’architettura
di Afra e Tobia Scarpa, D. Boudinet (Mondadori 1985); Compasso
d’oro 1954-1984 (ed. Electa 1985); Storia del design, R. De Fusco
(ed. Laterza 1985); La materia dell’invenzione, E. Mancini (ed. Arcadia 1986); Io e i miei fratelli. La storia del nostro successo, L. Benetton e A. Lee (ed. Sperling & Kupfer, 1990); Nel mondo di Afra e Tobia Scarpa, R. Masiero (catalogo, Traviso 1992); Italian design, N.
Börnsen Holtmann (ed. Taschen 1994); Strumenti Ambiente Territorio
Edilizia Urbanistica Architettura e Leggerezza, A. Papasso (ed. Maggioli 1998); Afra e Tobia Scarpa. Architetture, R. Masiero (ed. Electa
1998); Tobia Scarpa, F. Valente, prefazione di R. Masiero e
M.Vignelli (ed. Arti grafiche La Moderna 2004); Progettare un museo: le nuove gallerie dell’Accademia di Venezia, R. Codello (ed. Electa
2005); Afra e Tobia Scarpa architetti 1959-1999, Tobia Scarpa architetto 1999-2009 (ed. Electa architettura 2009).
Tra i progetti di architettura ricordiamo:
Fabbrica C&B Italia, Novedrate (1966); Casa Zamprogno, con C.
Maschietto, Treviso (1968); Casa Scarpa, Trevignano (1969); villa
Fragiacomo, con G. Fragiacomo, Trieste (1975); Casa Lorenzin, con
S. Ballini e G.D. Cocco, Abano Terme (1976); Casa Tonolo, con S.
Ballini e Studio Greggio, Ponzano (1978); Casa Molteni, con Studio
Gregotti, Carimate (1985); Casa Meroni, con G. Cocco e A. Lagrecacolonna, Carimate (1992); lo Stadio di atletica polifunzionale, con
G.D. Cocco, A. Paolucci, V. Simoni, L.Vanroye, Lommel (Belgio,
1995); il Palazzo dello Sport, con E. Maiorino, G.D. Cocco, A. Lagrecacolonna, A. Paolucci, Salerno (1998); il Centro servizi dell'Interporto, con C. Caramel e G. Turrini, Padova (2003); Cantina Tenuta delle
Ripalte, con L. Cocco, G. Ficai, L. Lagrecacolonna, Capoliveri (Isola
d’Elba, 2003); il Magazzino robotizzato Benetton Group, con L. Cocco, G. Fragonese, A. Lagrecacolonna, E. Tranquilli, Tecnobrevetti,
Castrette di Villorba (Treviso, 2008).
Sono inoltre da tenere presente la progettazione e gli allestimenti realizzati per 30000 punti vendita Benetton Group (dal 1969) e per quelli
di Wind, Geox, Blue Point.
Tra le opere di restauro:
Palazzo del Monte, con C. Casali e F. Lotti, Reggio Emilia (1979);
Puntosip, Treviso (1984); Villa Loredan, con G. Cocco, A. Lagrecacolonna, P. Mora, L. Mora, Venegazzù (Treviso 1992); Villa Lia, con G.
Cocco e A. Lagrecacolonna, Treviso (1994); Villa Minelli, con C. Maschietto, E. Tranquilli, P. Greggio, A. Lagrecacolonna, L. e P. Mora,
Ponzano Veneto (Treviso, 1972-1994); Palazzetto Brusati e Bonasi,
con F. Navone, Carpi (Modena, 1994-1999); la Loggia dei Cavalieri,
con Afra Bianchin, G. D. Cocco, B. Zandigiacomi, L. e P. Mora, Treviso (1997-1999); Palazzo della Ragione (Cortile del Mercato Vecchio), con G. D. Cocco, Studio Lagrecacolonna, G. Mar, Verona
(2000); Gallerie dell’Accademia di Venezia, con G. D. Cocco, L.
Cocco, A. Lagrecacolonna, Venezia (2000); ristrutturazione fabbricato agricolo e riconversione in abitazione per C&M Roversi, Pogognaga (Mantova, 2005).
Tra i lavori di design riportiamo:
I battuti, vasi e coppe in vetro, Venini (1959); Pigreco, poltroncinascranno, Santabona (1960-1962), Gavina; Bastiano, poltrona, divano,
Gavina (1962); Fantasma, lampada da terra, Flos (1961); Vanessa;
letto, Gavina (1962); Jucker, lampada da tavolo o parete, Flos (1964);
Torcello, mobili contenitore con ante in vetro, tavolo in legno, Stildomus (1965); Coronado, poltrona, divano, C&B (1966); Carlotta, poltrona, Cassina (1967); Biagio, lampada da tavolo, Flos (1968); Ciprea, poltrona, Cassina (1968); Soriana, poltrona, Cassina (1969); Bonanza, poltrona, C&B Italia (1970); oggetti in argento, borraccia, contenitori, apribuste, posacenere in argento 925, San Lorenzo (1971);
Vasi poligonali, San Lorenzo (1971); Scatole, scatole in argento 925,
San Lorenzo (1971); Ariette, lampada a parete, Flos (1973); Mount,
mobili contenitori componibili, Molteni (1974); Mou, tavolo, Molteni
(1974); Accademia, mobili contenitori, Stildomus (1975); Artona, poltrona, poltroncina, divani, tavoli, letto, contenitori, Maxalto (1975);
Baldacco, tendaggi scorrevoli, Stildomus (1975); Papillona, lampada
da terra, Flos (1975); Torcello, tavolo bar, scrivania e tavolo ellittico
con piede scatolare, Stildomus (1977); Posate, posate in argento 925,
San Lorenzo (1979); Mastro, Meo, sedia, divano letto, Molteni (1980);
Mats, tavoli direzionali, Unifor (1980); Perpetua, lampada da tavolo,
Flos (1981); Falefusa, mobili per cucina, Noalex (1982); I molati, vasi
in vetro, VeArt (1983); Butterfly, lampada da terra, Flos (1985); Veronica, poltroncina, Casas mis (1986); Libertà, sedia, Meritalia (1989);
Sfere, Dischi, collana e orecchini in argento 999, San Lorenzo (1990);
Vasi, San Lorenzo (1993); Galeto, lampada da tavolo, Fabbian
(1997); Tobio, mobili, tavoli, Meritalia (1999); Revers, poltroncina,
Meritalia (2001); Sfere, anelli in argento 925, San Lorenzo (2003);
Cuna 1, Cuna 2, Space, lampade da sospensione, Lucente (2003);
Cuadronda, poltrona, Meritalia (2004); Magis, putter in argento 925,
San Lorenzo (2004); Silk, sistema di illuminazione, Mizar (2004); Nodo, collana in argento 925, San Lorenzo (2005); Vasi Ciao Papà, collezione di vasi in vetro, Leucos 2006; Nastro, lampada da sospensione, Andromeda (2007); Va col vento, collana in argento 925, San Lorenzo (2008).
A testimoniare le sue eccezionali capacità:
il Compasso d'oro ADI (1970) per la poltrona Soriana, produzione
Cassina; il Compasso d'oro, segnalazione d'onore ADI (1979) per la
serie dei mobili Accademia, produzione Stildomus; il Resource Council Inc. (1981) per il basamento tavolo Piediferro, produzione B&B; il
Neocom merit Award a Chicago (1982) per i Mobili direzionali, produzione Unifor; il Primer, Premio Nacional De Diseño Otorgado
(1987) per Ronda; poltroncina, poltrona e divano, Albero, contenitori,
Veronica, sedia, produzione Cassina; l’Auszeichnung für hohe Design
Qualität , Design Zentrum Nordrhein Westfalen Design-Innovationen
(1992) per Pierrot, lampada da tavolo, produzione Flos; l'IF Industrie
Forum Design Hannover (1992) per Menu, tavolo per collettività,
produzione Flos; il Compasso d’oro ADI alla carriera (2008).
Le sue opere sono presenti nei più importanti musei del mondo:
Cooper Hewitt Museum, New York, sedia Veronica, produzione Casas
(1986); Design-Zentrum, Essen, lampada Pierrot, produzione Flos
(1990); Galleri Asbaek, Copenaghen, lampada Butterfly, produzione
Flos (1985); Galleri Jerome, Copenaghen, lampada Papillona, produzione Flos (1977); Kunstindustrimuseum, Copenaghen, lampade Biagio, Ariette, Quarto, produzione Flos (1970-1974-1974); Jolla Museum of Contemporary Art, La Jolla, California, set di posate, produzione San Lorenzo (1979); Musèe du Louvre, Parigi, sedia Libertà,
produzione Meritalia (1989); Museum fur Angewandte Kunst, Colonia, lampade Papillona, Bollo, Perpetua, Butterfly, produzione Flos
(1977-1979-1983-1985); Museum fur Kunst and Gewerbe, Amburgo,
lampada Papillona, produzione Flos (1977); Museum of Contemporary Art, Chicago, Set di posate, produzione San Lorenzo (1979);
National Museum of Design, New York, sedia Veronica, produzione
Cassina (1986); Osterreichisches Museum fur Angewandte Kunst,
Vienna, Set di posate, produzione San Lorenzo (1979); Philadelphia
Museum of Art, Filadelfia, poltrona Soriana, produzione Cassina
(1969); Staatliehcs Museum fur Angewandte Kunst, Monaco di Baviera, lampada Pierrot, produzione Flos (1990); Staats Museum, Monaco
di Baviera, Accessori per il camino, produzione Dimensione Fuoco
(1983); The Museum of Modern Art, New York, Poltrone 925, Cipria,
Soriana, produzione Cassina (1966-1968-1969); Victoria & Albert
Museum, Londra, lampada Papillona, produzione Flos (1977).
Molte le mostre dedicategli tra cui citiamo:
Afra e Tobia Scarpa architetti e designers, Padiglione d'arte contemporanea, Milano, 1985; Afra e Tobia Scarpa architetti e designers, In-
ternational Design Center, New York, 1985; Nel mondo di Afra e Tobia Scarpa, Bornello la Piazza, Preganziol (Treviso), 1992-93; Architettura per l'industria. Il caso Benetton, Palazzo Foscolo, Oderzo
(Treviso), 1995; Design aus Italien, Karlsruhe, 1970; Italy: The New
Domestic Landscape, The Museum of Modern Art, New York, 1972;
Dal cucchiaio alla città nell'itinerario di 100 designers, Triennale di
Milano, 1983; Le affinità elettive, Triennale di Milano, 1985; Biennale
Architettura, Venezia, 1991; Maitres d'Ouvrage '94, Chapiteau di
Monte Carlo, 1994 ; The Work of the Silversmith’s Studio San Lorenzo
- Milano, Victoria and Albert Museum, Londra, 1995; Tobia Scarpa,
personale, Istituto Italiano di cultura, Chicago 2004; Tobia Scarpa,
personale, Istituto Italiano di cultura, Los Angeles 2005.