(LAMARQUE VIVIAN) MARIA VERZA
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(LAMARQUE VIVIAN) MARIA VERZA
Corso di Laurea Magistrale in Lettere Moderne VIVIAN LAMARQUE: LE RACCOLTE IN VERSI Relatrice: Chia.ma Prof. Giuliana Nuvoli Tesi di laurea di: Maria Verza Matr. 769589 Anno Accademico 2011 - 2012 1 Introduzione In questo mio lavoro prenderò in esame la produzione in versi di Vivian Lamarque pubblicata fra il 1981 e il 2009. Poesia esplicitamente autobiografica, richiede la contestualizzare il personaggio nel momento storico-letterario a lei contemporaneo e un fitto e costante riferimento al vissuto. Utilizzando alcuni componimenti dell’autrice ho così individuato le linee principali della sua esperienza di vita, soffermandomi soprattutto sui momenti che più hanno influenzato la sua poesia: l’adozione e la scoperta di avere due madri, la morte del padre Dante, il matrimonio col marito Paolo, la nascita della figlia Miryam, il lungo percorso di analisi intrapreso col Dottor B.M., oltre all’ossessiva dichiarazione della necessità di scrivere, fin da bambina. Un posto importante nell’opera della Lamarque occupa però anche la letteratura per l’infanzia, così come il lavoro al “Corriere della Sera” e quello di traduttrice, soprattutto di storie per bambini. Per questo nel capitolo introduttivo ho dedicato un paragrafo ad ognuno di questi ambiti, delineando così un quadro complessivo e il più possibile rappresentativo della poetessa. Il corpo principale della tesi è costituito dall’analisi delle sue raccolte poetiche, partendo da Teresino, vincitrice nel 1981 del Premio Viareggio Opera Prima, per poi affrontare le tre opere successive: la trilogia psicanalitica dedicata al proprio terapeuta, il Dottor B.M., nei confronti del quale l’autrice visse un forte transfert, narrato appunto ne Il signore d’oro, ne Il signore degli spaventati e in Poesie dando del Lei. Segue la raccolta Una quieta polvere, dal titolo di dickinsoniana memoria, nella quale la Lamarque oltre alle sue usuali tematiche si occupa anche di temi naturalisti e umanitari. E’ del 2002 la riedizione di tutte le precedenti opere poetiche, realizzata dalla casa editrice Mondadori col volume intitolato Poesie 1972-2002, nel quale viene inserita una sezione di inediti che continuano gli argomenti più universali trattati nel precedente lavoro poetico col poemetto L’albero e la 2 sezione Poesie dedicate. Il tema della morte, affrontato in questi nuovi componimenti, percorre in modo più o meno evidente tutta la produzione della Lamarque, diventando più invadente soprattutto dal 1996. E’ centrale anche nei dialoghi col suo gatto Ignazio, protagonista e committente della raccolta del 2007, Poesie per un gatto. Analizzo infine una raccolta apparentemente distonica rispetto alle pubblicazioni precedenti: le poesie in dialetto milanese. In ognuno di questi capitoli, dopo un’introduzione nella quale presento la storia editoriale della raccolta e quella biografica dell’autrice, ne espongo la struttura interna e gli eventuali apparati testuali che la accompagnano. Un’ampia parte è dedicata all’analisi delle tematiche e dei contenuti che accomunano le poesie della raccolta presa in considerazione, per poi passare all’individuazione dei caratteri del narratore e dei personaggi, figure spesso coincidenti, essendo la poesia della Lamarque una poesia autobiografica. Dopo aver considerato l’aspetto metrico e strutturale dei testi, concludo l’analisi ricercando i principali modelli di scrittura oltre che i testi associabili per affinità alla poesia dell’autrice, primi tra tutti Penna, Pascoli e Dickinson, oltre ovviamente alla tradizione della fiaba. Nell’ultimo capitolo affronto infine l’aspetto linguistico della poesia della Lamarque, caratterizzata della scelta di una lingua semplice e colloquiale, infantile e, per alcuni aspetti, fiabesca. 3 4 CAPITOLO I LA VITA, LE OPERE 5 1. L’ambito culturale Nella seconda metà del secolo la poesia appare in una condizione di crisi, determinata dalla spettacolarizzazione della cultura e dal trionfo dei massmedia. Gli scrittori reagiscono ora in modo restaurativo e tradizionalistico, ora con rinnovate istanze sperimentali. Il movimento della Neoavanguardia occupa tutti gli anni Sessanta e si estingue all’inizio dei Settanta. La sua parabola è parallela a quella della contestazione studentesca e operaia che ebbe il suo epicentro nel 1968 facendo così corrispondere rivolta sociale e fenomeni di radicale rinnovamento letterario e artistico. In Italia il panorama appare assai frastagliato. La linea ermetica è originalmente proseguita, con molti aggiornamenti, dai poeti della così detta “linea lombarda”, i cui caratteri consistono in una poetica delle cose connotata da un senso civile e razionale di tipo illuministico, e tuttavia malinconicamente lirica e “novecentesca”. Punti di riferimento di questi poeti, nati attorno al 1920, sono il più anziano Vittorio Sereni, e alcuni maestri del Novecento come Montale e Rebora. Alla linea lombrada possono essere ascritti soprattutto Bartolo Cattafi, Luciano Erba, Giorgio Orelli, Nelo Risi; alcuni tratti in comune con essa hanno anche Elio Pagliarani, ai suoi esordi, e soprattutto il più giovane Giudici, che punta sui temi quotidiani e autobiografici, fino a fornire una specie di diario dell’alienazione negli anni del miracolo economico. Si può parlare per questi poeti di un secondo tempo della linea lombarda, in quanto avente il suo momento di massimo sviluppo nel decennio tra 1965 e 1975, così come il primo tempo si definisce particolare nel decennio tra il 1955 e il 1965. Al secondo tempo della linea lombarda sono riconducibili anche Giorgio Cesarano, Giancarlo Majorino, Giovanni Raboni e Tiziano Rossi. Un diverso superamento dell’Ermetismo si registra in Andrea Zanzotto, che affida a un crescente sperimentalismo formale la propria ricerca sul linguaggio, inteso quale deposito della storia e dell’esperienza psichica. Contro il Neorealismo e contro l’Ermetismo si muovono i poeti della rivista bolognese Officina, che propongono una scrittura narrativa e civilmente impegnata. Tra di essi spiccano Pier Paolo Pasolini, Paolo Volponi e Franco Leonetti. Una forma 6 diversa di sperimentalismo, che rifiuta l’impegno e intende piuttosto registrare l’alienazione sociale e denunciare l’inautenticità dei linguaggi (poesia compresa), è praticata dai poeti “novissimi” (Alfredo Giuliani, Antonio Porta, Nanni Balestrini, Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti), poi riuniti nel gruppo 63. Alla Neoavanguardia è in qualche modo riconducibile anche la poesia emozionale di Amelia Rosselli. Viene anche ripresa la poesia in dialetto, lingua vista come veicolo per una ricerca di autenticità espressiva, insieme con la coscienza della marginalità culturale. Scrivono in dialetto Pasolini e Zanzotto; ma i maggiori poeti dialettali sono Albino Pierro e Franco Loi. Il periodo successivo, che si apre alla metà degli anni Settanta, è quello del riflusso e del ritorno al privato. Venute meno le utopie e le speranze di cambiamento, in campo letterario prevale una prospettiva di disimpegno, ora intimistica e neoromantica, ora ludica e postmoderna. I nuovi poeti che si affermano nel quindicennio che va dal 1970 alla fine degli anni Ottanta vengono talvolta definiti “poeti innamorati” in quanto appaiono insieme in un’antologia intitolata appunto La parola innamorata, che uscì nel 1978 a cura di Pontiggia e Di Mauro. Essi propongono un ritorno al soggettivismo lirico, alla concezione orfica della poesia e alla linea della tradizione simbolista. La centralità della bellezza affermata da questi poeti sconta in partenza un rifiuto di misurarsi con tematiche storico-sociali forti: la poesia è coltivata al di fuori del mondo e magari contro di esso, quale alternativa radicale o quale residuo momento di verità e di autenticità in un mondo inautentico. Il successo di questa tendenza negli anni Settanta e Ottanta dipende in egual misura, oltre che dalla immediata spettacolarizzazione di massa (fino ai festival di poesia), dalla delusione generazionale dinanzi alla riorganizzazione del neocapitalismo dopo la contestazione degli anni Settanta, con il conseguente ritorno consolatorio al privato, e dalla disponibilità a ricaricare un’istituzione come la poesia di aspettative consolatorie non prive di ingenuità. E’ d’altra parte con questa nuova generazione di poeti che si passa dai poeti-intellettuali che dominano fino agli anni Cinquanta e Sessanta ( come Luzi, Fortini, Zanzotto, Pasolini, Sanguineti e molti altri) ai poeti-poeti che dominano i due decenni seguenti, spesso rivendicando la superiorità della 7 propria purezza, tra cui Milo de Angelis, Giuseppe Conte, Maurizio Cucchi, Cesare Viani. Dei molti altri poeti legati alla dominante tendenza neo-orfica, Dario Bellezza intreccia nella sua poesia grazia e scandalo, armonia e orrore, ricollegandosi alla lezione di Penna e di Pasolini (cui lo legano anche le tematiche omosessuali), mentre la romana Biancamaria Frabotta sullo sfondo di una ricerca femminista colloca lo scontro fra lingua letteraria e rivendicazione di un nuovo orizzonte espressivo. Valerio Manganelli, nella cui poesia al centro sta il soggetto, risulta tuttavia interessato a ragionare sulle condizioni (e i limiti) della conoscenza e dell’espressione. Appartata si è svolta fin dagli anni Cinquanta la poesia di Alda Merini, nata a Milano nel 1931, la cui ispirazione si è fatta nuovamente notare dopo un ventennio di silenzio trascorso per lo più nella cura di una grave crisi psichica, a partire dagli anni Ottanta. Continuano d’altra parte ad essere attivi in questo periodo molti dei poeti più anziani (persino Montale, che muore nel 1981), mentre non pochi nuovi poeti proseguono consapevolmente la traccia della Neoavanguardia, mentre altri tentano percorsi alternativi che rifiutano però l’antisperimentalismo regressivo dei poeti innamorati. Tra questi Gianfranco Ciabatti, impegnato nelle lotte della contestazione poi si dedica alla poesia come attività secondaria, in cerca non di illuminazioni ma di verifiche teoriche ed esistenziali. Nuove esperienze contrapposte al neo-orfismo si affacciano con forza e consapevolezza teorica a partire soprattutto dalla fine degli anni Ottanta. Esse sono rappresentate dai nati tra il 1955 e il 1965 che rifiutano ogni qualifica generazionale e si ricollegano invece esplicitamente ai maestri dello sperimentalismo degli anni Cinquanta e Sessanta, non senza essere talvolta sostenuti da alcuni vecchi esponenti della Neoavanguardia. Hanno in qualche modo introiettato il nuovo contesto culturale e sociale del Postmoderno, e rivendicano tuttavia, in modi diversi, la necessità di vivere quel clima senza adeguarvisi ideologicamente e anzi in modo critico. La loro poesia si fonda dunque sulla commistione dei generi e dei linguaggi, sul riuso di modelli metrici e stilistici del passato, sulla citazione e sul montaggio, nell’intento di 8 denunciare l’orizzonte del presente facendone esplodere i conflitti e mettendone in mostra le interne tensioni irrisolte. I poeti riconducibili a questa sorta di post-modernismo critico sono legati ad alcuni gruppi e riviste attivi soprattutto a Genova e a Milano. Genovesi sono Marco Berisso, Marcello Frixione e Paolo Gentiluomo; di Napoli ma legati alla rivista milanese “Baldus” sono Mariano Baino, Biagio Cepollaro, Lello Voce, mentre ai margini si colloca Gabriele Frasca. Tutti questi poeti si sono riconosciuti nei loro intenti tra la fine degli anni Ottanta e lo scioglimento annunciato nel 1993 del gruppo ‘93, nato nel 1990 in assonanza con il movimento di trent’anni prima, in una prospettiva di proseguimento e aggiornamento dell’esperienza della Neoavanguardia. 1.1 Poesia al femminile Negli anni Cinquanta, apparentemente poco propizi alla poesia, percorsi come sono da una prepotente esigenza rappresentativa di timbro neorealista, fanno il loro esordio alcune delle voci poetiche più autorevoli e forti del Novecento: Alda Merini, Cristina Campo, Maria Luisa Spaziani, Rossana Ombres, Amelia Rosselli. La debuttante più giovane è Alda Merini, che nel 1953, poco più che ventenne, pubblica La presenza di Orfeo. Aveva conosciuto a Milano Giorgio Manganelli, Salvatore Quasimodo, Davide Maria Turoldo, Maria Corti: ma già all’altezza dell’esordio poetico si stavano manifestando i primi segni della malattia mentale, che scandirà dolorosamente la sua vita, tenendola internata dal 1965 al 1972 nel manicomio di Milano e poi ancora negli anni Ottanta nell’ospedale psichiatrico di Taranto. Ritorna l’immagine di Orfeo in Vuoto d’amore, del 1991, dove amore passionale e furore mistico di nuovo si congiungono con esiti di straordinaria potenza espressiva. Cristina Campo, pseudonimo di Vittoria Guerrini, traduttrice e saggista esordisce con Passo d’addio nel 1956. E’ la sua passione per la bellezza e per 9 la perfezione la nota dominante della sua scrittura e di tutta la sua produzione poetica, costituita da pochi componimenti di assoluta luminosità. Al 1954 data l’esordio di Maria Luisa Spaziani, con Le acque del Sabato. Risultano già evidenti i suoi temi più cari: la solitudine e la distanza, il luminoso ricordo di una pienezza vitale promessa e non goduta. Comporre poesia è per lei il modo per annullare silenzi e distanze, stando vigili, pronti a cogliere l’occasione. Tra la poesia e la narrativa si colloca Rossana Ombres, autrice di alcune opere dal gusto surreale passa dai paesaggio della prima raccolta del 1956, Orizzonte anche tu, alle figure mitiche protagoniste di Bestiario animale del 1974 nel quale raffigura un universo agli albori della creazione. Il suo linguaggio poetico, sa essere morboso e cantabile fino alla filastrocca, all’espressione dialettale ma anche subdolo e spiazzante non sempre di facile comprensione. Anche le poesie di Amelia Rosselli spesso tramano ai danni dell’intelligibilità, intessute come sono di lapsus, di scambi, di intrecci plurilinguistici. I primi esperimenti degli anni Cinquanta, pubblicati solo nel 1980, sono effettuati nelle tre lingue conosciute: francese, inglese e italiano, ma è nelle poesie di Variazioni belliche che la Rosselli esprime a pieno la sua poesia. Il linguaggio è una partitura fortemente ritmata, intessuta di richiami poetici tra cui Campana, Montale, Rimbaud, i surrealisti, combinati e incrociati con vari effetti di assonanza e di distorsione, fino quasi alla dissolvenza del nucleo logico. Più di ogni altra poetessa è Rosselli ad essere letta e avidamente commentata dalle autrici che s’affacciano negli anni Settanta e le sue poesie vengono raccolte delle antologie: Donne in poesia del 1976 e in Poesia femminista italiana del 1978. Proprio in questi anni, infatti, risuona forte anche nella poesia la dolente e irata voce della donna, attraverso un tipo di poesia definita da Mariella Gramaglia, una delle sue teorizzatrici, “poesia non letteraria, ma culturale nel senso antropologico della parola, poesia che ti definisce e ti esprime”. 10 Dacia Maraini partendo dalle poesie cupamente e furiosamente viscerali di Donne mie, del 1974, e di Mangiami pure, del 1978, approda nel 1991 ai quadretti di viaggi reali e immaginari composti con desiderio di fiaba e leggerezza, con Viaggiando con passo di volpe. Nel 1977 esordisce Bianca Maria Frabotta, studiosa del movimento femminista e della letteratura femminile, ma è con le raccolte Appunti di volo del 1985 e Viandanza del 1995 che esprime appieno una combattiva vitalità che sfugge ai confini e alla insidie della vita sedentaria, con versi percorsi da un ritmo inquieto e in fuga perenne. Lampi di colore e di disperazione, resi in un linguaggio frantumato, percorrono le poesie di Nadia Campana, pubblicate postume nel 1990, mentre la quotidianità è il luogo in cui si svolgono le poesie di Dacia Maraini, che aveva esordito negli anni Sessanta, e quelle di Vivian Lamarque, di un’ironia apparentemente scherzosa e giocosa. Non conosce ironia la furente Jolanda Insana, che può ricordare, per certe sue passionali intemperanze, il timbro espressivo di Silvana Grasso: entrambe siciliane, esperte officianti di un linguaggio allucinato. Nelle forme delle terzine è invece ordinata la voce di Patrizia Valduga, che nelle sue poesie compone cataloghi di accoppiamenti, di deformazioni e malattie, con forti effetti finali. Lea Canducci mostra un autentico e ricco mondo di sentimenti mascherati con motivi forti e parole tecniche con un lavoro simbolico, sempre attenta al rapporto tra vita psichica ed esperienza del mondo. Recupera un lessico tradizionale Maria De Lorenzo le cui pagine addensano in dissapori e i contrasti del mondo, con la tacita certezza che l’utopia sia parte della donna e che la parola ne sia strumento imprescindibile. Va infine ricordata l’opera poetica di Anna Maria Ortese che, pur nata nell’arco di un cinquantennio, tra il 1930 e il 1980, solo tra il 1996 e il 1998 viene pubblicata in due raccolte, Il mio paese è la notte e La luna che trascorre, con echi leopardiani e talora di un’apparente semplicità. In realtà questi strumenti senza tempo si prestano a raccontare l’infelicità e la solitudine, la memoria e la sofferenza, l’attesa e la disillusione con un’energia visionaria, a volte quasi mistica o affabulatoria. 11 2. Biografia Sono nata a Tesero in Trentino nel 1946, e queste quattro cifre contengono anche il mio giorno natale, 19, e il mese, 4. Non sono un mio postero e non conosco la statura della mia poesia. Di certo comunque io, Vivian, metri 1.59, non sono alla sua altezza (cioè della poesia), non sono nemmeno come lei leggera, 60 Kg, non so nemmeno come lei parlare (la poesia). Lei trova con naturalezza le parole, io a voce no.1 Aprile dal bel nome quando sono nata io stessa con nomi curiosi di bei significati per dire che ero pratolina e questo e quest’altro e che dovevo vivere (da una parte o dall’altra) per dire donata (o donanda) insomma sono nata d’aprile in montagna.2 Vivian Lamarque nasce il 19 aprile 1946 a Tesero, paesino con meno di 3.000 abitanti in val di Fiemme, provincia di Trento, ma cresce e vive a Milano. Mia madre naturale era figlia di un moderatore Valdese, pastore Valdese, il nonno Ernesto Comba ( autore di un’importante Storia dei Valdesi nel 1935), professore di teologia, e essendo nata io illegittima, non stava bene che un pastore avesse una figlia con una figlia illegittima. E’ come nelle telenovele:mi hanno abbandonato i ricchi e colti e sono stata adottata dai semplici. Come nelle telenovele. Tutto il contrario. Un feuilleton.3 Valdesina trascinata per una mano giù fino a Milano appena appena finito Natale zitta guardava attorno il nuovo presepe la nuova mamma.4 1 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, in Gente di Milano, Associazione Locus, Milano 2008 V.Lamarque, Aprile dal bel nome, in Teresino, Società di Poesia & Guanda, Milano 1981, p.9 3 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit. 4 V.L., Valdesina, in Teresino, cit., p.10 2 12 A nove mesi la frattura/ la sostituzione il cambio di madre.5 Vivian viene data in adozione a una giovane coppia di Milano, Maria Rosa Pellegrinelli e Dante Provera, lei cassiera del cinema Ambasciatori in Corso Vittorio Emanuele, lui vigile del fuoco. Caro babbo II (ma primo) che ti chiamavi Dante che facevi il Campione d’Italia di Sollevamento Pesi e il Vigile del Fuoco che salvavi le persone che hai fatto in tempo a salvare anche me prima di morire a 34 anni. Nel 1950 muore il padre adottivo di Vivian e la madre Rosy conclude da sola le pratiche per l’adozione. Vivian si ritrova così ad avere tre cognomi, Comba 5 V.L., A nove mesi, ivi, p.9 13 Provera Pellegrinelli: avevo sette anni/ e a scuola mi chiedevano/ perché tanti cognomi.6 Madre adottiva Mi ricordo che era lunghissimo da dire: sono la figlia della cassiera dell’Ambasciatori. E allora loro mi facevano passare, entravo. E spesso anche con compagni di scuola, ero molto amata dalle compagne di scuola perché andavamo in corso Vittorio 6 V.L., Amavo il gesso, ivi, p.10 14 Emanuele in tutti i cinema gratis. E poi siccome la proprietaria del cinema, per esempio del Garibaldi, non voleva che la cassiera si portasse la bambina al cinema ( i biglietti avevano tanti colori diversi) e mi ricordo che stavo sotto la cassa nascosta a giocare con questi biglietti, oppure entravo in sala e lì mi vedevo tre quattro volte la… per questo mi è rimasto il desiderio quando vado al cinema di vederlo due volte di fila, perché allora lo vedevo due o tre volte di fila.7 In via Castellino da Castelli frequenta la Scuola Elementare Rinnovata Pizzignoni, ogni classe aveva una porta-finestra sul giardino, avevamo orti da curare, animali da cortile e persino due asinelli, ricordo centinaia di misteriosi bachi da seta, e le lezioni di disegno sotto i ciliegi in fiore.8 Nel 1956 all’età di dieci anni Vivian scopre di essere stata adottata. Inizia così a scrivere. La signora M. buona e La signora M. cattiva sono le sue prime poesie, che parlano appunto delle sue due madri. Ho scritto la mia prima poesia a dieci anni, quando, da documenti trovati in casa, ho scoperto di avere due madri, che la madre con cui vivevo era la madre adottiva. Non ho detto a nessuno di questa mia scoperta, ma forse era troppo grande per essere taciuta: è finita, camuffata, obliqua, indiretta, nelle mie prime poesie.9 Scrivevo poesie perché non parlavo mai e perché “avevo un segreto”. Usavo qua e là vocaboli difficili per imitare i grandi. Oggi non li imito più, per questo a volte portano le mie poesie all’asilo.10 Bambina Col punto erba col punto croce diligente si cuciva le labbra faceva il nodo.11 Terminato il ciclo scolastico dell’obbligo, dal 1960 al 1965 Vivian frequenta il liceo linguistico alla Civica Scuola Manzoni a Palazzo Dugnani, in via Manin, dove impara il tedesco e il francese e nel frattempo prende lezioni private di latino. 7 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit. M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.L., La gentilèssa: poesie in dialetto milanese, Stampa, Varese 2009, p.62 9 http://www.adolgiso.it 10 M.Marchi (a cura di), Vivian Lamarque, in Viva la poesia!, Vallecchi, Firenze 1985, p.187 11 V.L. Bambina, in Una quieta polvere, Mondadori, Milano 1996, p.20 8 15 Tutte le mattine salivo la bella scalinata di Palazzo Dugnani, sede della Civica Scuola Manzoni, affacciata sui Giardini Pubblici di Porta Venezia e sullo Zoo. Durante le lezioni ridevamo delle estroverse chiacchierate delle foche, nelle interrogazioni mi suggeriva Gianna Tanini ( che mi suggerisce tuttora come fare la dichiarazione dei 16 redditi e altre diavolerie), nell’ora di educazione fisica ci portavano a correre intorno alla fontana e per i vialetti dei Giardini.12 Conoscendo a 19 anni la madre Ecco il privilegio: ha conosciuto sua madre volendo (quale bambino?) e fresca di parrucchiere con una camicia azzurra e una gonna grigia alle cinque o sei era in ritardo credo d’inverno aveva la pelliccia. […]13 A 19 anni il primo incontro con la madre naturale. Successivamente conoscerà anche i suoi tre fratellastri trasferitisi a Firenze: Marzio, Fabrizio e Orietta. In un’intervista parlando del suo esordio poetico a dieci anni, dice: da allora non ho più interrotto questa vita parallela, di carta, che accompagna, come una stampella, l’altra14. E infatti come quando scoprì di avere due madri come reazione scrisse, anche per tutti questi incontri Vivian compone delle poesie: Conoscendo un fratello, dedicata a Marzio, Conoscendo l’altro fratello, a Fabrizio (quei bambini in cortile/ potevo essere io) e per Orietta Cara sorella: Cara sorella oggi capisco che ti eri spaventata quando ero nata avevi tredici anni e anche tu l’infanzia un po’ minata ma credi non era colpa mia se ero nata.15 Vivian ha 21 anni quando, interrompendo gli studi universitari da poco iniziati, nel 1967 sposa Paolo Lamarque, il più pittore di tutti16, a cui dice di aver 12 M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.L., La gentilèssa: poesie in dialetto milanese, cit., p.62 13 V.L., Conoscendo a 19 anni la madre, in Poesie 1972-2002, Mondadori, Milano 2002, p.7 14 http://www.adolgiso.it 15 V. L., Cara sorella, in Una quieta polvere, cit., p.29 16 V.L., L’amore mio è buonissimo, in Teresino, cit., p.13 17 rubato il cognome il giorno delle nozze, come ripeterà nella dedica alla raccolta Una quieta polvere17: A Paolo, il mio cognome è suo. Paolo A Paolo Lamarque Quel conoscerti tra il tavolo e il mobile con lo specchio tu parlavi in fretta dei quadri. un’ora dopo noi due andavamo già più avanti dietro venivano gli altri e ricordo benissimo che portavi i cappello girando per via Lazzaretto. Era dicembre. In gennaio a casa tua mi salutava già la tua portiera.18 17 18 V.L., Una quieta polvere, Mondadori, Milano 1996 V.L., Paolo, ivi, p.34 18 L’anno dopo, nel 1968 nasce la figlia Miryam, per la quale scriverà le poesie tra le più serene della sua produzione e alla quale dedicherà un’intera sezione nella raccolta Teresino del 1981. Ho una bella bambina/ se mi date la Lidia intera io non la do/ se mi date l’amabile… io non la do scrive, citando Saffo, in epigrafe alla poesia Alla mia figlia gallinella: Oggi torna dal mare la mia gallinella bianca con le sue due ali che non sanno volare e le piume leggere e spettinate e i due occhi attenti a dove meglio beccare.19 E in Febbre scrive: Miryam bella già di nuovo la febbre le guancine rosse stai sotto sotto adesso vengo anch’io a nanna che sono la tua mamma.20 Dal 1971 si trasferisce nel quartiere QT8 di Milano col marito Paolo, la figlia Miryam, degli amici al piano di sopra, per vent’anni, fino all’inizio degli anni ‘90. Nell’intervista con Silvio Soldini Vivian mostra con gioia il giardino, le margherite pratoline che non erano mai abbastanza, parla con la vicina delle primule che ha sul balcone, mostra l’edera e le piante che aveva piantato quando viveva in quella casa […] ho imparato qui a zappare, a seminare, continua a raccontare. La passione per il giardinaggio, la cura delle piante, l’amore per i fiori si sono sviluppati proprio nel giardino della casa in via Moretti, ai piedi del Monte Stella, nel silenzio e nel verde del QT8, con alberi da frutta, giardino e orto attraversati da gatti e merli21, passioni che poi ritorneranno oltre che nella poesia anche in molte sue fiabe, come la bambina giardiniera di La bambina bella e il bambino bullo22, che grazie alla sua 19 V.L., Alla mia figlia gallinella, in Teresino, cit., p.45 V.L., Febbre, in Una quieta polvere, cit., p.36 21 M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.L., La gentilèssa: poesie in dialetto milanese, cit., p.62 22 V.L., La bambina bella e il bambino bullo e altri bambini e bambine, Einaudi Ragazzi, Milano 2008 20 19 passione per il giardinaggio riuscì a far diventar verde con piante e fiori una città tutta grigia. E parlando di Milano oggi, dice: io d’estate vado in giro con una bottiglietta d’acqua, appena vedo dei fiori aggiungo dell’acqua come un tentativo di intervenire.23 23 Intervento di V.Lamarque al ciclo di incontri Città amica, città nemica, ass.culturale Ambrosianeum, Milano 28 marzo 2012 20 Queste erano le case dei miei amici. Continua, mostrando a Soldini le abitazioni intorno alla sua. Era bello parlarsi da una casa all’altra. Poi ci scambiavamo le piantine24 con le vicine ricordate in Dediche senza poesie: A Luisa, Marghe, Loredana, Danila, ai loro giardini tutti in fila […]25 Grazie al fratello di Paolo, Lucio Lamarque, e a Giovanni Raboni, Vivian pubblica per la prima volta otto poesie sulla rivista Paragone nel 1972 e, nel 1978, la prima raccolta, L’amore mio è buonissimo, nei quaderni collettivi di Guanda ideati da Raboni. Sempre in via Manin, salivo un’altra scalinata […], quella del palazzo di fronte a Palazzo Dugnani, dove aveva sede la Guanda, andavo e venivo per la pubblicazione nei Quaderni della Fenice e per quella del mio primo libro, Teresino. Com’era vivo e generoso con noi Giovanni Raboni, com’era giovane e ricco Maurizio Cucchi, Diego Paolini e Marianto Prina preparavano bellissimi numeri dell’Illustrazione Italiana, erano pallidi e seri, mi facevano soggezione, sulle scale incrociavo Franco Cordelli alto e biondo, Roberto Rossi magro magro, di libri sapeva tutto, riconosceva dal profumo la carta dell’editore.26 Gli anni vissuto nella casa del quartiere QT8, soprattutto tra il 1972 e il 1975, sono gli anni più produttivi per la poetessa. Qui ho scritto… forse gli anni in cui ho scritto più poesie in questa casa. Trecento all’anno quasi. Negli anni ‘73… quando son venuta… qui son venuta nel ‘71, ecco nel ’72-‘73 son stati gli anni… scrivevo continuamente. 27 Io senti ero tua moglie il pianoforte nostro poi talmente lungo che suonavamo insieme a dieci mani: io e Tiziano un po’ male il marito di Ornella benino Irlando proprio bene E tu così così.28 24 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit. V.L., Dediche senza poesie, in Una quieta polvere, cit., p.132 26 M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.L., La gentilèssa, cit., p.63 27 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit. 28 V.L., Io senti ero tua moglie, in Poesie 1972-2002, cit., p.47 25 21 … poi avevo preso un pianoforte, prendevo lezioni di pianoforte, un momento di vita, per qualche tempo speciale, poi… son stati gli anni più disturbati, dal punto di vista mentale. Infatti poi ho iniziato l’analisi.29 Risale a quegli anni la separazione dal marito Paolo, che però continuerà a tornare nelle sue poesie, come nella raccolta Il tuo posto vuoto in Teresino: Il tuo posto vuoto a tavola parla racconta chiacchiera ride forte non sta mai fermo si alza ritorna mangia avanza sempre un boccone ritaglia nel formaggio forme di animali il tuo posto vuoto a tavola a destra di Miryam è di fronte a me.30 Separazione Quando spegne la luce la sera e si racchiude nella posizione fetale il tepore materno paterno coniugale le viene da uno scaldaletto metallico contenente acqua calda.31 Dopo la separazione oltre a scrivere poesie inizia ad insegnare, prima stenografia in tedesco, poi italiano agli stranieri e letteratura nei licei privati fino al 1997, anno in cui chiude l’istituto dove insegna. Intensifica così la collaborazione con il “Corriere della Sera”, cominciata già nel 1992, mentre continua il suo lavoro di traduttrice di poesie e fiabe. Dopo di te sposerò il mio pennino e nessun altro e nessun altro il mio pennino d’acciaio affilato per sempre l’ho sposato.32 29 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit. V.L., Il tuo posto vuoto, in Teresino, cit., p.37 31 V.L., Separazione, ivi, p.37 32 V.L., Pennino (I), in Una quieta polvere, cit., p.45 30 22 Nel 1984 comincia un percorso terapeutico di circa vent’anni con l’analista junghiano Dottor B.M., per il quale proverà un transfert gigantesco33 e al quale dedicherà tre raccolte poetiche: Il Signor d’oro nel 1986, Poesie dando del Lei nel 1989 e nel 1992 Il Signore degli spaventati, più la sezione Poesie dando del Lei (altre) nella raccolta Una quieta polvere del 1996. Un altro indirizzo caro è via Comerio, per più di vent’anni al n.3 sono andata nello studio del Dott.B.M., […] con lui l’analisi junghiana è stata fertilissima di risultati. E a pochi metri dallo studio c’era il Liceo Beccaria frequentato da mia figlia Miryam, la sua adolescenza con il Rocci in spalla.34 E poi dopo un po’ di anni gli amici sono andati via, il marito pure e son rimasta io con mia figlia e gatto e cane…35 Vivian scrive anche dei suoi animali domestici: al gatto Ignazio, che la seguirà anche nell’appartamento di via Arimondi, dedicherà la raccolta del 2007, Poesie per un gatto mentre per l’amato cane Brigante, sepolto nel giardino di via T.Moretti scrive una poesia con in epigrafe gli affettuosi versi: dei cani un po’ brutti/ eri il più bello di tutti.36 Io in tutte le case più di quattro cinque anni non resisto.37 Così si trasferisce, e anche del cambio di casa parla nelle sue poesie, nella sezione Cercasi: poesie per un trasloco della raccolta Una quieta polvere. Vive per circa cinque anni nella casa in via Arimondi, dalla quale si vede la caserma dei soldati della poesia Condòmino e di Finestra, poesia dedicata proprio a questa via: Quanto cara mi è questa finestra che mi separa e unisce a Milano. ma questa caserma coi soldatini di stagno e questo castellino finto o che sia vero? qual è il giusto tempo? cosa quel RAI lassù, a mezzo cielo? e da piazza Firenze […] 33 L.Sica, Mio caro dottore abusi pure di me, Rebubblica, 30 gennaio 1993 M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.L., La gentilèssa, cit., p.63 35 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit. 36 V.L., Al mio cane Brigante, in Una quieta polvere, cit., p.55 37 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit. 34 23 Poi un nuovo trasloco in viale Certosa. Ora abito in una casa su 8 (otto!) corsie di auto, alle stanze che danno su strada posso cambiare aria solo di notte. Male per i miei polmoni, ma bene per la mia fame di rumore dei vivi, in casa non mi dispiace la solitudine, ma fuori dalle finestre ho bisogno di vedere che tutto si muove. Di vedere passanti, gente che sale sul tram o più spesso l’aspetta, che entra in un negozio, che compra il giornale, di vedere automobili, più spesso auto immobili, in coda. Grazie a un cavalcavia vedo auto persino a mezz’aria come uccelli in cielo.38 Quasi tutti gli amici che ho sono amici di balcone … no, in viale Certosa no, perché se andiamo a parlare sul balcone non ci sentiamo. Metter fuori le teste poi ognuno come delle tartarughe, mettiamo fuori la testa, io almeno, metto fuori la testa come la tartaruga un attimo, poi… poi basta, torno nel mio guscio. Ma tra un po’ cambierò casa di nuovo, è bello cambiar casa, no?39 Anche il matrimonio della figlia Miryam con Giorgio, nel 1996, è ricordato con una poesia: Per le nozze di Miryam e Giorgio (sei sei del novantasei)40, così come la nascita della loro prima figlia: A Micòl Buongiorno vita, vita nuova nata. Il latte è pronto e un padre e quasi tutto il resto. Brindo con i gerani e con la clivia in fiore. Dose d’acqua doppia a tutti oggi!41 Nasce Micòl, prima nipotina di Vivian, e poi Davide. Ai due nipoti l’autrice dedica la maggior parte delle fiabe pubblicate dopo il 2000. Prima del 2000 ho vissuto dando la precedenza soprattutto alla poesia, il mondo non lo vedevo, … mentre da quando nel 2000 sono diventata nonna, ma non è solo la nonnità, ho proprio come modificato l’impostazione, per cui do la precedenza … cerco di accontentare chi ha bisogno di me diciamo. Che sia mia madre, che sia mia figlia, che siano i bambini.42 Come scrive anche in epigrafe a una poesia: le poesie possono aspettare/ non possono aspettare le persone care.43 38 M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.L., La gentilèssa, cit., p.62 39 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit. 40 V.L., Per le nozze di Miryam e Giorgio, in Poesie 1972-2002, cit. p.240 41 V.L., A Micòl, ivi, p.241 42 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, cit. 43 V.L., Preghiera delle mamme, in Una quieta polvere, cit. p.39 24 Attualmente Vivian Lamarque vive a Milano, collabora col Corriere della Sera e continua a comporre poesie e fiabe. 3. Produzione poetica Tenevo le poesie per me, le leggevo solo a pochi amici, non pensavo alla pubblicazione. Invece mio marito Paolo Lamarque, grande appassionato di poesia, le fece leggere a suo fratello Lucio Lamarque che lavorava alla Garzanti e che le fece leggere a Giovanni Raboni. Raboni le fece uscire prima su “Paragone”, poi su “Nuovi argomenti”. Scrisse che componevo poesie “come se questo non avesse a che fare con la letteratura” ed era esattamente così. 44 Grazie all’aiuto di Raboni, nel dicembre 1972 Vivian pubblica otto poesie sul numero 274 della rivista Paragone: Sognando la famiglia d’origine45; Quel gesto46; Amore; Sai la parola mai?47; Sempre più mi sembri48; Il giorno 28; Non è accaduto; Ne è da poco passata la morte49. Una breve nota introduttiva di Giovanni Raboni accompagna l’esordio dell’autrice: Vivian Lamarque […] ha ventisei anni. Non credo che, prima d’ora, abbia mai pubblicato poesie. Questi suoi versi, e altri di lei che ho avuto modo di leggere, mi sembrano decisamente fuori dell’ordinario per la precisione (insieme curata e rabbiosa) dei sentimenti, e più ancora per una trasparenza, una lievità linguistica che è anche nello stesso tempo, senso concreto, pesante, addirittura doloroso della parola comune, inghiottita e barattata giorno dopo giorno, e capacità di coglierne il ritmo implicito, lo spontaneo disporsi in sospensioni, clausole, figure. […] di assolutamente suo la Lamarque ha questa grazia, questa ingenuità di scrivere poesie come se si trattasse di compiere un gesto che non ha nulla a che fare con la letteratura.50 L’anno successivo, il 1973, l’autrice pubblica altre otto poesie su “Nuovi argomenti” n.32 di marzo-aprile, come racconta in un componimento pubblicato qualche anno dopo: 44 http://www.adolgiso.it Poi in L’amore mio è buonissimo, in Quaderni della fenice 30, Guanda, Milano 1978, p.61 46 Poi in ivi, p.60; e in Teresino, Società di Poesia & Guanda, Milano 1981, p.33 47 Poi in Teresino, cit., p.25 48 Poi in L’amore mio è buonissimo, cit., p.58; e in Teresino, cit., p.27 49 Poi in L’amore mio èbuinissimo, cit, p.60 50 G.Raboni, Otto poesie, in “Paragone”, n. 274, dicembre 1972, pp.42-43 45 25 l’amore mio una volta l’ho incontrato che tornava dalla spesa con due sacchetti e siccome io guidavo la macchina lui mi ha detto accosta allora io mi sono molto emozionata e ho scritto quella poesia che c’è su Nuovi argomenti n.32.51 La piccola sezione poetica proposta dalla Lamarque sulla rivista letteraria prende il titolo di Era detto aquilone52, come la prima delle otto poesie lì pubblicate, i cui altri titoli sono: Felice; Levati bambina53; Chiedere dove il tempo; Ho ventisei anni54; Devastata da un suo guardare55; Credere di proporre; Ecco, li presentano56. Nel 1976 l’antologia Donne in poesia57 ripropone tre poesie dell’autrice, che nell’introduzione complessiva all’opera sono dette brevi aforismi58. Una breve nota biografica indica la prima pubblicazione di ognuno dei testi poetici raccolti in quest’opera: “Sempre più mi sembri” è tratta da Paragone, dicembre 1972, n.274; “Chiedere dove il tempo” e “Levati bambina” da Nuovi argomenti, marzo-aprile 1973, n.32. Più articolata è l’opera pubblicata nel 1978 con la casa editrice Guanda nel secondo quaderno collettivo, collana ideata da Giovanni Raboni. Prima opera organica dell’autrice, la piccola raccolta di sessantatre poesie si intitola L’amore mio è buonissimo, realizzato sotto la supervisione redazionale di Maurizio Cucchi. Oltre alle poesie della Lamarque, il Quaderno raccoglie Ornitologia semplice di Piero Draghi, Il Mattino di Angelo Fiocchi, Un altro po’ di diluvio di Luisito Pellisari, Muro della notte di Giovanni Ramella Bagneri e La lepre nei campi di Francesco Serrao. Anticipa di un anno la pubblicazione della prima raccolta a solo dell’autrice, la rivista Prato pagano, che nel 1980, sul n.2 pubblica il poemetto Teresino, poesia che chiude la raccolta omonima edita nel 1981 dalla Società di Poesia & 51 V.L., L’amore mio una volta l’ho incontrato, in Teresino, cit., p.13 Poi in L’amore mio è buonissimo, cit., p.52; e in Teresino, cit., p.26 53 Ibidem; e in Teresino, cit., p.29 54 Poi in L’amore mio è buonissimo, cit., p.52 55 Poi in Teresino, cit., p.29 56 Poi in L’amore mio è buonissimo, cit., p.53; e in Teresino, cit., p.25 57 B.Frabotta (a cura di), Donne in poesia, Savelli, Roma 1976, pp.73-74 58 B.Frabotta (a cura di), Donne in poesia, ivi, p.23 52 26 Guanda. Con questa raccolta Vivian Lamarque vince il Premio Viareggio Opera Prima con la seguente motivazione: l’incanto della fiaba e le spine della realtà, riscontrandosi in una forma artistica di rara grazia e limpidezza, concorrono ad attuare un risultato di notevole rilevanza critica e una poesia intimamente giovane, accattivante, aperta a molteplici livelli di lettura, che autorizza a guardare con sicura fiducia alle future prove dell’autrice.59 Nel 1984 Vivian inizia il percorso analitico col Dottor B.M. e nel 1986, pubblica in anteprima sull’antologia Poesie d’amore cinque brevi componimenti con un titolo che si ripete: Il signore sognato; Il signore dispettoso; Il signore accarezzabile; Il signore lontano; Il signore tesoro. Nello stesso anno, presso la casa editrice Crocetti, esce Il signore d’oro, raccolta composta dai “signori” già pubblicati nell’antologia e di altri settantaquattro inediti. Nel 1989 esce Poesie dando del Lei, nuova opera edita da Garzanti e anch’essa dedicata al percorso psicanalitico dell’autrice. Lo stesso argomento è trattato dall’opera successiva della poetessa, Il signore degli spaventati, pubblicata nel 1992 dalla casa editrice toscana Pegaso, insignita in quell’anno del Premio Montale. Un altro premio, il Premio Pen Club, viene vinto dalla Lamarque per Una quieta polvere, edita nel 1996 da Mondadori. Sempre la casa editrice milanese allestisce un opera che comprensiva di tutte le raccolte precedentemente pubblicate dall’autrice, in occasione dei trent’anni dall’esordio poetico della Lamarque nel 1972 su Paragone, con l’aggiunta di trentatre testi inediti. Intitolato Poesie 1972-2002, la raccolta nello stesso anno vince il Premio speciale Camajore. L’autrice, che alla scrittura poetica da sempre affianca la produzione di letteratura per l’infanzia, nel 2004 si cimenta in un’opera poetica per il suo giovane pubblico, Poesie di ghiaccio, pubblicata nella collana Pesci d’argento da Einaudi Ragazzi, con illustrazioni di Alessandro Sanna. Nel 2005 Vivian Lamarque vince il Premio Elsa Morante come Figura Femminile Internazionale per l’opera poetica e l’anno successivo, nel 2006, le viene assegnato il Premio Cardarelli-Traquinia per la sezione Poesia. Riprende 59 F.Bogliari (a cura di), Premio Viareggio 1976-1985, Diapress, Milano 1987, p.93 27 il sodalizio con la casa editrice Mondadori nel 2007, con la pubblicazione di Poesie per un gatto, duetti fra l’autrice e il suo gatto Ignazio. Nel 2009 escono due volumi di poesie della Lamarque: il volume di poesia in dialetto milanese a cura di La gentilèssa, pubblicato per la casa editrice Stampa di Varese ne La collana curata da Maurizio Cucchi, e una seconda raccolta per bambini Poesie della notte realizzata per Rizzoli sulle musiche di Chopin con illustrazioni di Sophie Fatus. Sempre per l’infanzia è la raccolta Poesie di dicembre, edita da Emme Edizione nel 2010 e ripubblicata nel 2011 dalle triestine Edizioni EL, modificandone il titolo in Neve neve dove sei? ma mantenendo le illustrazioni di Alessandro Sanna. 4. Letteratura per l’infanzia Vivian Lamarque oltre ad essere conosciuta e prolifica poetessa, è nota e apprezzata scrittrice per bambini sempre illustrati con belle immagini di disegnatori60 sia per i libretti che per gli albi illustrati. Proprio nel 1981, lo stesso dell’uscita della sua prima raccolta poetica, l’autrice esordisce anche nelle letteratura per l’infanzia, con un piccolo libro composto da cinque fiabe intitolato La bambina di ghiaccio e altri racconti di Natale, edito dalle Edizioni EL, pubblicato nel 1992 anche a Parigi, tradotto in francese dall’autrice stessa61. E’ del 1984 la seconda opera per l’infanzia della Lamarque. La storia intitolata La bambina che erano due, viene pubblicata sulla rivista Psychopatologia, n.2, del dicembre 1984, con testo a fronte tradotto in inglese da Egidia d’Errico: The little girl who was two. 60 Maria Battaglia, Alessandro Sanna, Nicoletta Costa, Pia Valentinis, Angelo Ruta, Giulia Orecchia, Donata Montanari, Manuela Santini, Anna Curti e altri . 61 V.L., La petite fille de glace, Ipomé-Albin Michel, Paris 1992 28 Per le edizioni Paoline nel 1989 esce Il libro delle ninne nanne, che l’autrice in un’intervista62 racconta di aver scritto per la figlia, che alla pubblicazione del testo ha ormai ventun anni. Seguono nel 1991 La bambina e la montagna63, racconto scritto per una raccolta regionale Rusconi e nello stesso anno un piccolo libro per bambini piccolissimi, L’orsalfabeto spiritoso, edito da Nuova Edibimbi. Nel 1992 la casa editrice Mursia pubblica la fiaba La bambina che mangiava i lupi, alla quale segue La bambina senza nome nel 1993, per la stessa casa editrice. Spiega l’autrice in un’intervista: Per anni ho scritto poesie e fiabe unicamente perché dentro avevo poesie e fiabe che volevano essere scritte. Basta leggere i titoli delle mie prime fiabe per rendersene 62 G.Borghese, Vivian Lamarque: le fiabe dell’infanzia e l’amore di oggi in un breve respiro, in “Corriere della Sera”, 19 marzo 1989 63 V.L, La bambina e la montagna, in Bella Italia perché le leghe? Uno scrittore per ogni regione d’Italia, a cura di M. Costanzo, Rusconi, Milano 1991, pp. 42-7 29 conto: “La bambina senza nome”, “La bambina di ghiaccio”, “La bambina che mangiava i lupi”…64 L’interesse per il mondo esterno che l’autrice mostra nel 1996 con la raccolta poetica Una quieta polvere, si ritrova già nell’anno precedente anche nella letteratura per l’infanzia, con la pubblicazione del racconto sull’antisemitismo durante la seconda guerra mondiale, Arte della libertà : il sogno di Sara65. Del 1996 è invece la fiaba Il Bambino che lavava i vetri, per le Edizioni C’era una volta, con la quale Vivian Lamarque ottiene il Premio Rodari. Continua la serie delle bambine con La bambina che non voleva andare a scuola del 1997 e Cioccolatina la bambina che mangiava sempre, del 1998, entrambe storie con finalità educative: l’importanza e la bellezza dell’imparare è raccontata nella prima fiaba, edita da La Coccinella, mentre invita ad avere una corretta e sana alimentazione il libretto Bompiani. Nel 1999 escono tre libri per bambini della Lamarque che continuano il filone educativo della produzione favolistica dell’autrice: UNIK, storia di un bambino unico, per Bompiani; Coloriamo i diritti dei bambini e il racconto La bambina Non-MiRicordo, pubblicato in Il tempo dei diritti, entrambi editi dalla casa editrice Fabbri. Ritornano sui toni delle prime favole sulle bambine La minuscola bambina B66 e La pesciolina innamorata67, usciti nel 2000, come anche La bambina Quasi Maghina del 2001 per la casa editrice Fabbri. Nello stesso anno esce a Torino, presso Castalia, La luna con le orecchie, mentre a Trieste la Emme Edizioni pubblica Piccoli cittadini del mondo, fiaba che ripropone la tematica educativa interrotta nelle ultime edizioni. Nel 2003 escono Fiaba di neve68 e La Timida Timmi69, mentra l’anno successivo la Fabbri pubblica La gallinella disperata, mentre Emme Edizioni con Stella dei Pirenei ripropone una storia che ricorda le montagne e la neve, tanto care all’autrice originaria del trentino. La stessa tematica torna con le Tre 64 http://www.adolgiso.it V.L., Arte della libertà. Il sogno di Sara, Mazzotta, Milano 1995 66 V.L, La minuscola bambina B, Feltrinelli, Milano 2000 67 V.L., La pesciolina innamorata, Colors Edizioni, Genova 2000 68 V.L., Fiaba di neve, Castalia Casa Editrice, Torino 2003 69 V.L., La Timida Timmi, Piemme junior, Milano 2003 65 30 storie di neve che l’autrice pubblica nel 2006 con la casa editrice Fabbri, e dello stesso anno è l’ambientalista Storie di animali per bambini senza animali, pubblicato per Einaudi Ragazzi. Per questa casa editrice la Lamarque scrive altre tre raccolte di brevi e divertenti racconti: Mettete subito in disordine! Storielle al contrario nel 2007, La bambina bella e il bambino bullo e altri bambini e bambine nel 2008 e I bambini li salveranno (Chi? Gli animali) nel 2010. Ripropone la fantastica storia di una bambina con una qualità speciale la fiaba de La bambina sulle punte, uscita nel 2009 per la Mondadori, mentre di un mondo immerso nella neve tanto amata da Vivian scrive nelle poche parole dell’albo illustrato Nel bianco, pubblicato nel 2010 dalla casa editrice La Margherita. Dal 1999 al 2007 l’autrice intraprende per le edizioni Fabbri un lavoro di ritrascrizione di opere musicali in cave fiabesca, cominciando con Il flauto magico. Dell’opera di Wolfgang Amadeus Mozart, col quale vince nel 2000 il Premio Andersen. Seguono al fortunato esordio, nel 2001 Petruska. Dall’opera di Igor Stravinskij, nel 2002 Il lago dei cigni di Cajkovskij, l’anno successivo escono Pierino e il lupo. Dalla favola musicale di Sergej Prokofiev e Lo schiaccianoci e il Re dei topi, di E.T.A. Hoffmann. Nel 2007 la raccolta di brevi racconti Pezzetti d’infanzia. Dalle Kinderszenen di Robert Schumann conclude la serie di fiabe della Lamarque ispirate alle grandi opere musicali. I racconti e le storie che l’autrice scrive, sono dolci e leggeri, ma anche ironici e ambigui, proponendo spesso quei giochi di parole tanto cari alla poetessa. Se già nella poesia è il mondo dell’infanzia e della fantasia ad essere protagonista, a maggior ragione nei suoi testi di letteratura per bambini può accadere di tutto, nonostante permanga un senso di quotidianità che attualizza ogni sua narrazione ricollegandola al mondo degli adulti pieno di impegnato e sempre di fretta e che spesso ha da imparare dai bambini. Fiabe giuste per i bambini e per i bambini invecchiati che noi siamo, ancora disponibili a godere di ciò che, non funzionale e non incombente, gli sciocchi chiamano futile, e che dura ben oltre le meste necessità del vivere.[…] Aver conservato nella epifania della parola la chiara naturalezza del suo nascere, è ciò che 31 fa il miracolo della poesia, la sua capacità di comunicarsi in stupore e incanto in chi le si avvicina. Per questo le fiabe dovrebbero scriverle i poeti.70 5. Le traduzioni La produzione di fiabe dell’autrice non si compone solo di suoi testi, ma anche di numerose traduzioni da autori contemporanei e classici di letteratura per l’infanzia, soprattutto francesi e tedeschi. Nel 1983 pubblica per le edizioni Guanda Sole di notte di Jacques Prevert, riedito poi nel 1998 dalla casa editrice TEA con introduzione di Giovanni Raboni, mentre sempre per Guanda sono gli Scritti sull’arte di Paul Valéry, usciti nel 1984. L’ultima traduzione poetica dell’autrice è del 1987 con il lavoro per la casa editrice SE su Baudelaire intitolato Lo spleen di Parigi: piccoli poemi di prosa. Dopo questa pubblicazione, l’autrice inizia una prolifica attività di traduzioni di libri per bambini. Proprio in francese è la prima prova di trascrizione di una fiaba La petite fille de glace dall’italiano al francese, traduzione del suo libretto di racconti La bambina di ghiaccio e altri racconti di Natale per la pubblicazione parigina del 1992 con la casa editrice Ipomé-Albin Michel,mentre nel 1996 Vivian Lamarque collaborando con la De Agostini pubblica la sua prima fiaba tradotta in italiano: L’intrepido sartino, dei fratelli Grimm. Nel 1997 con Pit, il piccolo pinguino di Marcus Pfister l’autrice inizia a collaborare con la casa editrice di Pordenone Nord-Sud per la pubblicazione di una serie di fiabe di autori tedeschi contemporanei. Del 1997 infatti sono anche Miu, gattino di mare: storia di una vacanza di Wolfram Hanel e Tutti lo chiamavano Pomodoro di Ursel Scheffler, e mentre per la Rizzoli traduce Storia del piccolo Mouck, di L.F.Céline, nello stesso anno, il 1998, continua la collaborazione con la casa editrice Nord-Sud tornando a lavorare sui libri di Marcus Pfister con Nuovi amici per Pit. Nel 1999 pubblica la versione italiana di Pit e Pat e Ciao ciao, Pit!, concludendo il ciclo di quattro racconti dell’autore svizzero dedicati al personaggio del pinguino Pit. Sempre nel 1999, 70 G.Lagorio, Così dalle poesie nascono le fiabe, in “Corriere della Sera”, 23 dicembre 1990 32 e sempre per la Nord-Sud, Vivian Lamarque traduce Il topo di campagna e il topo di città di Bernadette Watts, mentre del 2000 sono il racconto di Coby Hol Come è nata la luna e la storia di Aurora di Binette Schroeder. Ma nel 2000 l’autrice collabora anche con la Fabbri Editori pubblicando un classico della letteratura per l’infanzia, Il principe felice di Oscar Wilde. Continua il lavoro per la Nord-Sud, con la traduzione nel 2001 di due libri per bambini dall’inglese: Il viaggio senza fine di Fulvio Testa e Per chi è il mondo? di Tom Pow. Nello stesso anno riprende però a lavorare sugli autori tedeschi, scrivendo la versione in italiano di La piccola indiana Foglia Danzante: una storia di Geraldine Elschner. Nel 2002, dopo la pubblicazione di Sei malato, Berto? di Katja Reider e di Fino ai confini del mare di Hermann Moers, la Lamarque traduce, per la stessa casa editrice, due racconti dal francese: Rosso Timido di Gilles Tibo e Fratellino lupo di Danièle BallSimon. Sempre nel 2002, per la casa editrice Fabbri per la quale aveva già tradotto Wilde, traduce un classico della letteratura per l’infanzia russa: L’uccello di fuoco. Una fiaba russa, come un altro classico pubblice nel 2004 sempre per la Fabbri: L’usignolo dell’imperatore. Dalla fiaba di H.C.Andersen. 6. Corriere della Sera Vivian Lamarque inizia la sua collaborazione al “Corriere della Sera” nel 1992 vivendo il cambio di direzione della testata giornalistica da Ugo Stille a Paolo Mieli. Il 23 aprile 1997 Mieli viene nominato Direttore editoriale del Gruppo RCS e lascia la direzione a Ferruccio de Bortoli, nello stesso anno l’autrice intensifica la collaborazione al giornale, successivamente alla chiusura dell’istituto privato in cui insegnava. Oltre che sul Corriere l’autrice scrive sui suoi inserti, tra cui IoDonna e TvSette, su quest’ultimo settimanale tiene una rubrica fissa, Gentilmente i cui articoli pubblica nel 1998 raccogliendoli nel volume Gentilmente: (cari giudici, 33 gentili gerani), edito da Rizzoli. Sono lettere da lei indirizzate per quasi un anno, a persone e cose, dalle pagine del settimanale "Sette", brevi messaggi che spesso vanno a finire in versi, si rivolgono a conosciuti e sconosciuti, umili e potenti, ma anche a fiori, a case, a paesaggi o animali. Sono proteste e lodi, interrogazioni, invocazioni e ringraziamenti. […] brevi scritti, tutti beneducati, tutti gentilissimi, ma pieni fino all'orlo di fuoco. Fuoco che s'indirizza certo contro sbadataggini, cretinate, follie e ingiustizie del mondo, ma anche, semplicemente, contro tutto quello che va storto alla stessa autrice, contromano e contropelo alle convinzioni e ai pensieri suoi. Voce d'insieme che e' il suo messaggio di sempre, che ritroviamo in tutta la sua opera, nei libri per bambini come nelle poesie per adulti, e che si ostina a rivendicare per noi il diritto all'umanità, sia pure inquinata, assediata e semisommersa.71 Proprio questo concetto ribadisce l’autrice in un intervista, a proposito del suo lavoro per la testata giornalistica: Scrivo molto anche per i giornali e lì, sotto sotto, senti una patetica donchisciottesca testardaggine da aspirante strampalata “miglioratrice di almeno qualche millimetro di mondo”.72 Durante una conferenza del marzo 2012 l’autrice, in uno scambio di battute col direttore de Bortoli racconta: Anche il Corriere della Sera mi ha accolto a braccia aperte, non a nove mesi… però da una ventina d’anni circa scrivo un po’ sulle pagine degli animali, un po’ su quelle culturali che fa rima con animali, e soprattutto sulle pagine di Milano questa rubrica: Gentilmente.73 71 I.Bossi Fedrigotti, Vivian Lamarque, diario di un anno in forma di poesia, in “Corriere della Sera”, 11 giugno 1998 72 http://www.adolgiso.it 73 Intervento di V.Lamarque al ciclo di incontri Città amica, città nemica, ass.culturale Ambrosianeum, Milano 28 marzo 2012 34 CAPITOLO II TERESINO 35 1. Genesi e Storia Teresino uscì a Milano presso l’editore Guanda, per la Società di Poesia, nel 1981. Prima raccolta autonoma di Vivian Lamarque dopo le pubblicazioni su riviste e sui Quaderni Guanda 74, viene riedita poi nel 2002, nell’opera omnia uscita per i tipi della Mondadori. Vivian da Tesero si trasferisce a Milano, ma il ricordo della città natale non sparisce del tutto, sembra anzi ritornare proprio nel titolo della raccolta Teresino, quasi anagramma di Tesero. Nell’edizione 2002 Rossana Dedola segnala, però, che il titolo dell’opera richiama alla memoria anche Terezin75, il campo di concentramento nazista riservato ai bambini. 74 Prima del 1981 Vivian Lamarque ha pubblicato poesie su Paragone (1972), Nuovi argomenti (1973), nell’antologia Donne in poesia (1976), nel secondo quaderno collettivo di Guanda (1978), su Quinta generazione (1980) e su Prato pagano n.2 (1980). 75 Il ghetto di Terezin ( Theresienstadt) si trova a circa 60 chilometri da Praga. Edificato nel 1780 da Giuseppe II come complesso fortificato, fu così chiamato in onore della madre Maria Teresa. Dal 24 novembre 1941 fino alla liberazione, l’8 luglio 1945, i tedeschi lo utilizzarono come ghetto speciale, dove raccogliere gli ebrei non subito destinati allo sterminio. Da qui partirono circa 35.000 detenuti verso i vicini campi di Auschwitz e Treblinka. Passarono per Terezin 150.000 ebrei, la popolazione media era di 30.000. Molti abitanti del ghetto di Terezin erano bambini, circa 15.000. Dopo la guerra non ne ritornò nemmeno un centinaio e di questi nessuno aveva meno di quattordici anni. Oltre alle condizioni igieniche e abitative e il problema della fame, un’altra fonte di sofferenze per i bambini era il distacco dalle loro famiglie e dalla loro madre. Per un certo periodo i prigionieri adulti riuscirono ad alleviare le condizioni di vita dei ragazzi facendo sì che vivessero insieme nel collettivo infantile (case per bambini), che aiutava specialmente sotto l’aspetto psichico. Nelle case operarono educatori e insegnanti prigionieri che riuscirono ad organizzare per i bambini una vita giornaliera e l’insegnamento clandestino: fondarono circoli di recitazione e di canto, facevano teatro per bambini, scrivevano poesie. Molti dei disegni dei bambini rappresentavano prati pieni di fiori e farfalle in volo, motivi di fiaba, giochi, ma su altri ritraevano motivi del ghetto di Terezin, la cruda realtà in cui i bambini erano costretti a vivere, le caserme e le baracche di Terzin, i guardiani, i malati, l’ospedale, il trasporto, i funerali e le esecuzione. Nonostante tutto però i piccoli di Terezin credevano in un futuro migliore. Espressero questa speranza in alcuni disegni in cui hanno raffigurato il ritorno a casa, anche se la stragrande maggioranza dei bambini di Terzin morì. Il 23 giugno 1944, alcuni ispettori della Croce Rossa Internazionale visitarono una parte del ghetto. Precedentemente alla visita, i nazisti si adoperarono per dare ad alcune sue parti un aspetto dignitoso in modo che facesse da “vetrina”. Fu girato addirittura un film di propaganda per ordine di Himmler. Per l’occasione fu organizzata una rappresentazione dell’operina per ragazzi e orchestra di Hans Kràsa, Brundibàr. Oggi l’opera è diventata il simbolo della sofferenza dei bambini nel ghetto di Terezin. (www.lager.it/ghettoterezin.html) 36 Accanto ad ogni poesia viene riportato tra parentesi un numero, che indica l’ordine cronologico di scrittura dei testi, composti tra il 1972 e il 1980. Circa l’origine e le date di stesura, il volumetto reca in chiusura la nota: Il numero che accompagna le poesie indica in l’ordine cronologico di composizione. La struttura del libro ha determinato una successione diversa. In indice, per ogni sezione viene indicato l’arco temporale di composizione delle poesie: Conoscendo la madre (1972-79) L’amore mio è buonissimo (1974-75) Il primo mio amore erano due (1972-79) Il tuo posto vuoto (1977-79) Ho una bella bambina (1972-79) Poeti (1977-80) Teresino (1980) Vivian Lamarque ha trentacinque anni quando pubblica la sua prima raccolta Teresino, questo perché ha maturato a lungo la sua scelta. A lunghissimo.76 L’arco temporale di stesura delle poesie pubblicate va dal 1972 al 1980, ossia dai ventisei ai trentaquattro anni d’età dell’autrice. Nell’intervista con Silvio Soldini, l’autrice sfoglia il registro sul quale prendeva nota delle poesie scritte ogni anno: Nel ’64, trentotto, vedi che poche, poche. Ecco, ’72, che è l’anno in cui mi sono trasferita in quella casa col giardino, 245, quasi una al giorno. Qua ci son tutti i titoli. Nel 73, ecco, già il crollo, 58. Poi sempre meno. Nel ’76 due poesie solo, fossi una ditta ci sarebbe il crollo in verticale.77 Dal 1971 Vivian vive nel quartiere QT8 a Milano, con il marito Paolo, la figlia Myriam e alcuni amici. E’ un periodo che l’autrice ricorda come un momento di vita, per qualche tempo speciale, poi… gli anni più disturbati, dal punto di vista mentale (nel 1984 inizierà un percorso di analisi). E parlando di quegli anni ricorda: scrivevo continuamente. E aggiunge: 76 G.Mozzato, Intervista a Vivian Lamarque, in Albatross, http://digilander.libero.it/ccalbatross/poesia/lamarque.htm 77 S.Soldini, Quattro giorni con VIvian, in Gente di Milano, cit. 37 Adesso sento un po’ la nostalgia di poter lavorare come lavoravo una volta. Avevo sempre lì il mio quaderno di poesie, stavo ore alle finestre, scrivevo, leggevo… ho un po’ di nostalgia di quei tempo. Perché se tu sei… non fai nulla, sei seduto da solo in casa, senti proprio le voci, senti la voce, senti i pensieri i versi. Se tu sei in mezzo… sei circondato dal rumore (no dal rumore della strada quello va bene) delle persone, delle richieste, delle… non senti più la voce. 78 Già nella raccolta L’amore mio è bellissimo parlando del periodo che stava vivendo aveva scritto: di giorno dicono che non faccio niente/ ma lo nego.79 Questi sono gli anni vissuti con Paolo e con Myriam, la sua famiglia, come la descrive in Io tra voi: A letto, io tra voi come a volte siamo scivolati nel sonno tutti e tre da una parte e perciò vi sento respirare benissimo: una come ancora giocando e l’altro così familiare80. Ma sono anche gli anni della separazione dal marito Paolo, del nuovo abbandono che ritornano in tante poesie della raccolta. Ridimensionare Quest’operazione che la costringete sempre a fare “ridimensionare” Non è come stringere un vestito Non è indolore Si taglia la pelle del cuore.81 Il 1972, in dicembre, è anche l’esordio poetico della Lamarque, che grazie a Giovanni Raboni pubblica le Otto poesie su Paragone n.274. Da allora una serie di pubblicazioni su riviste e antologie anticiperanno la pubblicazione di Teresino del 1981, summa di tutto questo periodo poetico e di vita. Gli anni tra il 1972 e il 1980 sono gli anni di presa di coscienza della propria vocazione poetica e di uscita allo scoperto dell’autrice, che finalmente inizia a pubblicare 78 Ibidem V.Lamarque, Ti scriverei, in L’amore mio è buonissimo, in Quaderni della Fenice 30, Guanda, Milano 1978, p.59 80 V.L., Io tra voi, in Teresino, cit., p.46 81 V.L., Ridimensionare, ivi, p.63 79 38 entrando così nel panorama poetico del periodo. Infatti nel 1973 pubblica su Nuovi argomenti, nell’antologia Donne in poesia nel 1976, nel secondo quaderno collettivo di Guanda (L’amore mio è bellissimo del 1978), e infine nel 1980 su Quinta generazione e su Prato pagano n.2. 1.1 Dalle poesie sparse alla raccolta La raccolta Teresino ripropone testi precedentemente pubblicati nel 1972 su Paragone e nel 1978 nei Quaderni della Fenice con L’amore mio è buonissimo. Vengono riprese nella raccolta del 1981 numerose poesie già pubblicate nel 1978 in L’amore mio è buonissimo per i Quaderni Guanda. Della prima sezione del 1978, Pane e pesche, entrano nella raccolta Teresino quattro poesie: due vengono inserite nella sezione Conoscendo la madre ( Aprile dal bel nome e Amavo il gesso), mentre invece le ultime poesie della sezione, In mezzo a indiani e Pinoli pinoli, nel 1981 sono nella sezione Ho una bella bambina. In Aprile dal bel nome i vv. 9-10 Per dire donata/(o donanda) formavano un unico verso nei Quaderni Guanda, e anche i vv. 2-3 e a scuola mi chiedevano/ perché di tanti nomi erano uniti nel 1978. La sezione L’amore mio è buonissimo dell’edizione 1978, viene ripresa in Teresino con lo stesso titolo e con la riproposta di dieci poesie82 delle diciotto della sezione originaria. Ma nell’edizione 1981 le poesie vengono trascritte una dopo l’altra, senza il titolo che invece avevano nei Quaderni Guanda. Inoltre le due poesie L’amore mio che ha sonno e L’amore mio insonnolito non sono riprese, ma la tematica viene rielaborata e riproposta nel 1981 in All’amore mio si chiudono gli occhi dal sonno. 82 La sezione L’amore mio è buonissimo di Teresino, contiene le seguenti poesie già edite nel 1978 per i Quaderni Guanda: L’amore mio è buonissimo, L’amore mio quando era bambino, L’amore mio la prima volta, L’amore mio dice che sono un po’ distratta, L’amore mio capisce quasi tutto, L’amore mio chissà com’era, All’amore mio mi piacerebbe fare tanti piaceri, All’amore mio, Chissà se l’amore mio ci sarà, L’amore mio è cattivo. 39 La raccolta del 1978 ha altre due sezioni: Levati bambina e Sogni. Quindici poesie83 di queste sezioni vengono riproposte in Il primo mio amore erano due di Teresino: dieci poesie di Levati bambina e cinque di Sogni. L’ordine con cui vengono inserite nell’edizione del 1981 è completamente rivisto rispetto all’edizione precedente. Resta invariato l’ordine di successione nelle due raccolte solo per la poesia Era detto aquilone, che precede L’albero delle ciliegie. In ordine inverso rispetto al 1978 risultano Prendimi a cuore e Formica, nonché Senza occhiali intravedo, Lingua straniera (nel 1981 Di due persone) e Così tante trame. Cambia il titolo di due poesie, che però restano identiche per quanto riguarda il testo. Su non vedi che sono del 1978, in Teresino diventa Formica, titolo che verrà mantenuto anche in Poesie 19722002, mentre invece ritornerà il titolo Lingua straniera del 1978 anche nell’edizione del 2002, che invece nel 1981 era stato modificato in Di due persone. Nel Teresino edito nel 2002 aggiunge al suo corpus due poesie di L’amore mio è buonissimo che non erano state riprese nel 1981. Ne è da poco passata la morte (già pubblicata su Paragone) viene inserita nel 2002 a conclusione della sezione Il tuo posto vuoto, che invece nel 1981 si concludeva con la poesia Fate piano, poesia che nel 2002 viene spostata al penultimo posto. Nella sezione Poeti l’edizione 2002 inserisce anche Io senti ero tua moglie, già pubblicata in L’amore mio è buonissimo nella sezione Sogni. Dalle Otto poesie pubblicate su Paragone, la raccolta Teresino riprende le già citate Quel gesto e Sempre più mi sembri oltre al componimento Sai la parola mai?. Quest’ultima è riproposta con due variazioni: i vv.3-4 per esempio di stare uno più avanti/ sulla sedia della versione di Paragone si uniscono a formare il v.3 nelle edizioni successive con l’ellissi delle prime due parole del verso, ottenendo: v.3 di stare uno più avanti sulla sedia; inoltre l’ultimo verso 83 Della sezione Levati bambina del 1978, l’edizione 1981 ripropone Levati bambina, Era detto aquilone, L’albero delle ciliegie, Ecco li presentano, Su non vedi che sono, Prendimi a cuore, Sempre più mi sembri (già pubblicata su Paragone nel 1972), Così tante trame, Lingua straniera, Senza occhiali intravedo; dalla sezione Sogni invece l’edizione 1981 prende E’ ora di dormire anima mia, Lo guardava, Quel gesto (già pubblicata su Paragone nel 1972), Eri la mia vicina, Andavi in chiesa, Io naturalmente volavo. 40 della poesia in Teresino è posto tra parentesi, (sai la parola mai? fino in fondo?). Ulteriori varianti si riscontrano anche confrontando l’edizione di Teresino del 1981 con la versione pubblicata nella raccolta Poesie 1972-2002. Il titolo del 1981 Conoscendo la madre si precisa nell’edizione 2002 diventando Conoscendo a 19 anni la madre, ma il testo poetico resta invariato. I titoli delle tre poesie Vento I, Vento II, Vento III nell’edizione Mondadori sono unite in un'unica poesia di tre strofe numerate coi numeri romani (I,II,III) intitolata Vento. Si enfatizza ulteriormente il titolo dell’edizione Guanda di Il primo mio amore con la ripetizione nell’edizione 2002 Il primo mio amore il primo mio amore. In questo caso il gioco viene poi ripreso all’interno del testo, sostituendo di nuovo il sintagma con la sua ripetizione : v.10 ma il primo mio amore il primo mio amore/ erano due. L’edizione Mondadori modifica il testo di altre poesie. In Sai la Rita viene eliminata la parola smorfiettine che apriva il v.3. In Sole invernale si uniscono i vv.1-2 Fa bene/ al mio male in un unico verso e nello stesso modo si opera per i vv. 4-5 fa male/ al mio cuore. Al contrario in Tienimi nella versione del 2002 viene spezzato il v.2 del 1981 che diventa mangiami/ a Natale. Viene decisamente ridotta la poesia Prendimi a cuore, che nel 1981 contava dodici versi. L’autrice per Poesie 1972-2002 elimina la prima parte della poesia lasciando solo gli ultimi cinque versi della versione Guanda: Prendimi a cuore./ Dimmi di mangiare./ Potrei dimenticarmene/ o cadere dalla seggiola/ al primo segno di disinteresse. Altra modifica evidente tra le due edizioni è la sostituzione della poesia Tu, che concludeva la sezione Il primo mio amore erano due del 1981, con Caro nome mio dell’edizione 2002. Si aggiunge la dedica a Paolo e Miryam alla poesia Io tra voi a ulteriore precisazione del soggetto della poesia nella raccolta del 2002 e anche la poesia Regali di Natale si apre con una dedica, ma questa volta meno esplicita: a G. Infine la disposizione sulla pagina. Apre la sezione Ho una bella bambina la poesia Alla mia figlia gallinella, che nell’edizione 2002 viene lasciata come unica poesia della pagina, cosa che non accade nel 1981. Situazione inversa per 41 le poesie Poesia illegittima e Poesia malata che solo nel 1981 vengono poste sulla stessa pagina, mentre nell’edizione Mondadori oltre ad essere su due pagine diverse sono anche seguite e precedute dalle altre poesie della sezione, annullando così l’effetto di isolamento dell’impaginazione dell’edizione Guanda. gemelli 2. Struttura della raccolta Nel 1981 in occasione dell’assegnazione del premio Viareggio opera prima a Teresino di Vivian Lamarque, Vittorio Sereni così scriveva sul n.42 dell’Europeo: […] fondato sul recupero e un’accorta distribuzione di singoli “pezzi” sottratti alla loro cronologia effettiva, finisce col farci partecipare a una storia personale magari facilmente decifrabile nelle sue fasi. Ma non è una storia che si vesta o si camuffi con dei versi: al contrario, nasce e piano piano si impone da una poesia all’altra, in una successione che quasi non ammette una sosta su questo o quel testo da privilegiare 42 rispetto ad altri, sebbene sia poi inevitabile eleggere le proprie favorite come avviene per tutti i “canzonieri”.84 Autobiografia in versi, feuilleton come lo definisce l’autrice, Teresino seleziona e organizza a posteriori le parecchie centinaia di liriche prodotte da Vivian Lamarque, strutturando così un’attività poetica non preordinata, ma sollecitata da eventi quotidiani in qualche modo privilegiati: un libro, quindi, organizzato a posteriori, con quel tanto di escatologico che un atto del genere implica sempre.85A questo proposito si ricordi l’indicazione dell’autrice stessa in chiusura del libro, dove appunto si ricorda che la successione delle poesie raccolte non segue l’ordine cronologico di composizione dei testi. Muovendo dall’adozione all’età di nove mesi, Teresino narra della vita di Vivian con la nuova famiglia, dell’infanzia, degli anni della scuola, dell’incontro con Paolo Lamarque, cui segue il matrimonio, la nascita della figlia Miryam, poi la separazione dal marito e la vita senza lui. L’autrice è sempre protagonista o voce narrante. Filo conduttore di tutta la raccolta è la vita vista e sentita da lei, Vivian dai tre cognomi ma che preferisce farsi chiamare con quello rubato al marito, e che racconta di lei, del suo vivere e del suo sentire in queste poesie, delle quali Raboni dice: C’è da restare a bocca aperta davanti alla misteriosa semplicità, all’eleganza impalpabile e tuttavia quasi feroce di queste poesie.86 2.1 Sezioni poetiche Teresino raccoglie 117 poesie organizzate in sette sezioni che scandiscono i principali momenti della vita dell’autrice, più o meno esplicitamente: 84 V.Sereni, Cuore fa rima con intelligenza, in “Europeo”, n.42, 19 ottobre 1981, p.115 F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in “Paragone”, n.382, dicembre 1981, p.79 86 G.Raboni in, R. Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 19702002, cit., p.V 85 43 Conoscendo la madre, L’amore mio è buonissimo, Il primo mio amore erano due, Il tuo posto vuoto, Ho una bella bambina, Poeti, Teresino. Conoscendo la madre, prima breve sezione della raccolta, con sole sei poesie sintetizza in modo chiaro ed efficace l’infanzia dell’autrice. Si inizia dall’inizio, dalla nascita a Tesero con Aprile dal bel nome per poi ripercorrere a passo cadenzato e sicuro i momenti determinanti dei primi anni di vita: l’adozione, le origini valdesi. Un'unica poesia descrive le difficoltà dell’infanzia a sette anni: le conseguenze dell’adozione, i tanti cognomi, la difficoltà di esprimere ciò che provava, ma io parlavo poco./ […] Anche fuori per via parlavo poco.87 Poi l’incontro con la madre naturale, a diciannove anni (come specificherà nel titolo dell’edizione del 2002)88. La sezione si chiude con Sarebbe stata, poesia al condizionale nella quale Vivian ripercorre la propria infanzia. La seconda sezione di Teresino riprende il titolo della raccolta del 1972, L’amore mio è buonissimo. Alle dieci poesie dell’omonima sezione di quaderni Guanda, l’autrice unisce altre diciotto brevi liriche. Le diciotto poesie sono proposte una dopo l’altra, senza titoli, lettere maiuscole o segni di punteggiatura. La sezione racconta l’amore-disamore per il marito Paolo, L’amore mio. Tutte le liriche sono però percorse da un gioco di sottile ironia che all’apertura innamorata della prima poesia, L’amore mio è buonissimo, contrappone l’ultimo testo, che esprime esattamente il contrario dell’inizio: L’amore mio è cattivo. Facendo un passo indietro nel tempo , con la terza sezione Il primo mio amore erano due, si ripercorrono le varie vicende e delusioni d’amore di Vivian. Le poesie sono di nuovo proposte col titolo e il testo torna ad essere più lungo rispetto alle liriche della seconda sezione. Così sebbene le poesie siano solo ventitré, la sezione risulta più corposa della precedente. Di nuovo in apertura una poesia dallo stesso titolo della sezione: Il primo mio amore erano due, amore adolescenziale di Vivian per due fratelli gemelli (e nel 2002 una nota 87 88 V. L, Amavo il gesso, ivi, p.6 V.L, Conoscendo a 19 anni la madre, ivi, p.7 44 specifica: Jurgen e Bernd Becker, a Colonia, amore adolescenziale, ma qui si allude anche alle due madri). Seguono le due poesie del matrimonio e del viaggio di nozze con Paolo. Un ricordo porta indietro, al momento in cui Paolo e Vivian erano stati presentati e poi al loro innamoramento. Ma la conclusione amara del ricordo che ormai si sta perdendo viene subito ripreso dalla lirica successiva, Sai la parola mai?. Tutta la sezione è percorsa da un senso di sconforto sempre più forte, interrotto solo un attimo, sul nascere, con le due poesie Era detto aquilone (che però parla di un uomo innamorato non di Vivian ma di un’altra donna, Maria) e L’albero delle ciliegie dove di nuovo torna un senso di irraggiungibilità dell’amore, che si può solo guardare. Col componimento Devastata si esplicita la sensazione che ci si trascinava dalle poesie precedenti e che continua nelle poesie successive. Nelle ultime poesie la sezione cambia tono, Vivian sembra più descrivere i suoi sogni d’amore, rappresentando situazioni oniriche piuttosto che realmente vissute. Infine due poesie, Quel gesto, che richiama l’idea dell’affetto paterno e Eri la mia vicina dove Vivian cerca un rapporto di amicizia. La sezione nell’edizione del 1981 si conclude con la poesia Tu dove l’interlocutore, il tu a cui ci si rivolge, torna ad essere l’amato. Nell’edizione 2002 la scelta è molto diversa. La poesia Tu è sostituita da Caro nome mio, dove di nuovo l’autrice ripercorre tutta la sua vita fino ad arrivare a prima dell’adozione, nel grembo materno per infine concludere dicendo: non sono mai nata. Il tuo posto vuoto si apre con la durezza della parola Separazione, prima poesia della sezione. Il testo però non parla del concreto atto di separazione dal marito, ma delle conseguenze dell’abbandono, di quel posto vuoto che intitola la sezione. Il tepore materno paterno coniugale/ le viene da uno scaldaletto metallico/contenente acqua calda, recita in conclusione la prima poesia. Il gioco dell’omonimia, per il quale il titolo della sezione riprende il titolo di una poesia, continua anche questa volta col secondo testo, appunto Il tuo posto vuoto, che continua la tematica introdotta col testo precedente: la separazione vissuta nella quotidianità. Tutte le poesie della raccolta evidenziano la solitudine di Vivian, sempre più sola, sempre più isolata. La terza poesia è un 45 sogno Come ai tempi, ma nei testi successivi torna la difficoltà del vivere di Vivian. Al mortificarsi perché incapace di vivere e di essere amata, passa a rappresentarsi mentre parla solo con gli animali e le piantine, per poi intitolare una poesia Non parla. Penultima lirica è Dell’intelligenza del cuore, quella che Vittorio Sereni disse essere caratteristica innata di Vivian Lamarque. Dell’intelligenza del cuore vi interessa poco nulla. Io vi sono marziana. Ma dopo questo sfogo, con Fate piano Vivian torna al suo posto, di nuovo sola, ma questa volta finalmente addormentata, sta sognando di essere amata La sezione Ho una bella bambina sospende il senso d’angoscia e di frustrazione che Vivian nella sezione precedente era riuscita un poco a sfuggire solo dormendo, in Fate piano. La breve quinta sezione è composta da otto poesie dedicate alla figlia Miryam, come recita la lirica di apertura Alla mia figlia gallinella. Compare l’immagine della famiglia al completo nella terza poesia, Io tra voi, che nell’edizione del 2002 dedicherà al marito e alla figlia. Nel resto della sezione l’autrice racconta i giochi di Miryam ai quali a volte Vivian partecipa, altre volte si limita a osservare felice, anche se non può trattenersi dall’osservare: mia figlia e i suoi amici/ hanno in corso l’infanzia/ e come avvertirli? Tutto questo in un susseguirsi di giochi e momenti divertenti (riflessi anche nei titoli come In mezzo a indiani o C’era un castello) per concludersi però con la poesia Funghi , dove accanto ai funghi buoni spuntano quelli velenosi. Composta da trentanove liriche, Poeti è la sezione più lunga della raccolta e anche la meno lineare nell’organizzazione interna. La poesia Sui vetri della finestra apre la sezione con Vivian che legge dichiarazione di non amore. Seguono due poesie che richiamano l’universo infantile della sezione precedente, ma nel suo lato spaventoso come è venuto il babau e non s’è vista 46 più89 o in Lupo cattivo dove scrive Tutte se le sbranava/ ogni giorno un morso/ con impietosi denti affilatissimi. 89 V.L, Sai la Rita, in Teresino, cit., p.51 47 I toni si smorzano nelle poesie successive, dove Vivian sembra di nuovo cercare di ricreare una relazione, riconquistare affetto. Ma il tentativo diventa sempre più insistente ed infantile, come in Tienimi oppure in Posso? Alle poesie di richieste continue di affetto si alternano poesie oniriche, dove l’illusione sembra realizzarsi, ma si conclude inevitabilmente male, scontrandosi col reale: Sera è ora di andarcene a dormire io e te di spogliarci accarezzarci e se uno di noi due qui non c’è allora vada solo l’altro a letto che ore saranno senti piove di nuovo aveva smesso.90 Il titolo della sezione viene ripreso anche questa volta, però modificato, con la poesia Siamo due poeti, ma due poeti infreddoliti/raffreddati/ […] leggermente malati. E al centro della sezione si trovano anche due poesie che parlano di poesia, Poesia illegittima e Poesia malata. Così pure nella poesia successiva si torna a ripetere il titolo della sezione nell’epigrafe: (non è la Musa della Poesia/ è il tuo bel Muso di Poeta/ che mi ispira). Con questa poesia ritorna il tono un po’ più giocoso e sognante, già incontrato precedentemente nella sezione, in Pesce che vola, stemperato dalle tre poesie Vento I,II,III. Ritorna la negatività delle prime poesie della sezione subito dopo con Precipizio. Continuano così ad alternarsi illusione e disillusione nella continua ricerca della condivisione di un affetto impossibile da ottenere. Conclude la sezione la poesia In-fanzia (età del non parlare) dove Vivian si scopre spaventata e sintetizza la sensazione provata e combattuta per tutta la sezione che però si conclude sul verso tentare, propositivo e rappresentativo di tutti i tentativi e i crolli della sezione, così altalenante nell’andamento generale. Un poemetto conclude la raccolta Teresino. Poesia lunghissima rispetto al metro solito della Lamarque, raccontando “le avventure” di Teresino, riassume e ripercorre tutto il percorso narrato nelle sezioni precedenti. L’ultima sezione, 90 V.L., Sera, ivi, p.53 48 omonima della raccolta, si compone così di un’unica poesia, lunga filastrocca di piccole strofe giustapposte. Il tono già nelle altre sezioni spesso sognante e infantile, qui si estremizza, proponendo un racconto tutto in chiave onirica. Vi guarda dal basso come i bambini, diceva appunto nell’ultima poesia della sezione precedente, anche se con la sua lunghezza e le molte cose che descrive si pone come contrario di In-fanzia (età del non parlare). Teresino è la più recente composizione della raccolta ed ha una funzione palesemente sintetica rispetto alle poesie precedenti; insieme rivela, forse la promessa di una svolta. Vivian Lamarque, abbandonando il riferimento ai dati biografici minimi e l’organizzazione diaristica, punta a un processo astrattivo svolto in quella dimensione di favola a lei congeniale da tempo[…].91 2.2 Le Petit Pouchet Otto epigrafi tratte dalla fiaba di Charles Perrault Le Petit Pouchet fanno da cornice e da trait d’union tra le sezioni della raccolta. La storia di Pollicino accompagna così l’autobiografia poetica Teresino come una esemplare storia parallela e filtra la storia personale dell’autrice a cui dà una voce e un punto di vista.92 I frammenti di fiaba, proposti in lingua originale in apertura di ogni sezione, seguono lo svolgersi cronologico della vicenda del protagonista della fiaba di Perrault. Nella prima sezione, in cui Vivian Lamarque parla della propria adozione, i genitori abbandonano nel cuore della foresta Pollicino e i suoi fratelli che disperati ils se mirent à crier et à pleurer de toute leur force. Ma lui non si dispera, perché grazie ai sassolini lasciati cadere lungo la via potrà condurre i fratelli a casa, recita l’epigrafe a L’amore mio è buonissimo. In Il tuo posto vuoto i bambini si sono ormai persi, e più si va avanti più ci si perde nel profondo della foresta, riflettendo la sensazione di smarrimento delle liriche 91 92 F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in “Paragone”, n.382, dicembre 1981, p.81 Ibidem 49 della terza sezione. La foresta però concede une petite lueur: la figlia Miryam, protagonista della sezione Ho una bella bambina . Con Poeti ritorna l’atmosfera spaventata delle epigrafi precedenti. La citazione riporta infatti le parole dell’Orchessa, che rivela ai poveri bambini spaventati che quella è la casa di un Orco che mangia i bambini, non un luogo di salvezza, come speravano. Così nella sezione anche le poesie soffrono della sofferenza dell’autrice, si ammalano, muoiono. I bambini però riescono a fuggire proprio grazie a Pollicino, come recita l’epigrafe alla sezione Teresino. La stessa poesia Teresino sembra ridare speranza e voglia di vivere alla narrazione. Ma il Teresino che chiude il poemetto è sparito, si rivela essere solo un sogno. Così anche la citazione che chiude il libro non coincide con il lieto fine della fiaba di Perrault. La Lamarque conclude prima il racconto: “Ils coururent presque toute la nuit, toujours en tremblant et sans savoir où ils allaient”, si riferisce al momento in cui Pollicino e i suoi fratelli si allontanano di corsa dalla casa dell’Orco che ha appena tagliato la gola alle proprie figlie scambiandole per i fratellini. Non c’è un vero e proprio punto d’arrivo, la fuga continua, rimane sospesa. La raccolta risulta così racchiusa all’interno di una vicenda di abbandono e fuga da una casa che invece di accogliere i bambini si è rivelata pericolosissima.93 2.3 Altre memorie Altre citazioni, tratte questa volta dalla letteratura classica, vengono proposte nelle sezioni Il tuo posto vuoto, Ho una bella bambina e Poeti. Le prime due sezioni affiancano alla poesia d’apertura un breve frammento della poesia di Saffo. Proprio il titolo della parte della raccolta dedicata alla figlia Miryam è ripreso dai versi della poetessa greca posti accanto alla poesia Alla mia figlia gallinella: 93 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1970-2002, cit., p.V 50 Ho una bella bambina … Se mi date la Lidia intera io non la do se mi date l’amabile… io non la do. La sezione Poeti, prestando fede all titolo, propone ben quattro citazioni dalla letteratura antica: i poeti Asclepiade, Alceo, Orazio, e un frammento della famosa fiaba di Fedro, Il lupo e l’agnello, che recita: superior stabat lupus. Franco Zabagli, su Paragone, riguardo alle citazioni proposte dalla Lamarque nel suo Teresino parlò di scelta –felicissima- di epigrafi davvero funzionali ai testi, specie quelli dal Petit Pouchet […]. Va infine ricordata la citazione che apre tra parentesi la raccolta, (curriculum/vitae cucù), tratta da una poesia di Tomaso Kemeny (anche lui adottato, come Vivian Lamarque, e segnato dal confronto con due padri, mentre l’autrice più volte parla delle sue due madri). L'opera di Kemeny, è percorsa da un bisogno improrogabile di dar spazio al sogno, alla fiaba mitologica, ai sogni ad occhi aperti per entrare in contatto con una dimensione, quella del sogno e dell'inconscio, la sola che permetta di combattere proprio quel "tradimento quotidiano" di fronte al quale i mezzi dell'avanguardia appaiono al poeta troppo limitati.94 Con toni molto diversi dal poeta rumeno, anche Vivian Lamarque in Teresino ci propone molte immagini oniriche e dell’inconscio, come fondamentale nel suo stile è la dimensione della fiaba. E Rossana Dedola aggiunge: Tutte le tappe della vita […] sono contrassegnate dalla perdita originaria che richiama ancora a sé tutta l’energia vitale e che costringe a un feroce e ossessivamente ripetitivo gioco del cucù per capire dalla reazione che si suscita negli altri se si esiste.[…] Il plurale “mamme” (della poesia Levati bambina ) ribadisce la presenza di una pesante doppia realtà che si ritrova anche nell’apparente più giocosa poesia della raccolta: “Il primo mio amore il primo mio amore erano due”. 95 94 95 http://tomasolkemeny.blogspot.it R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1970-2002, cit.,p.VI 51 2.4 L’ abbandono A dieci anni la scoperta di avere due madri le fa scrivere le prime due poesie: La signora M. buona e La signora M. cattiva e proprio dall’evento traumatico dell’adozione parte la raccolta del 1981. Tutte le tappe della vita, l’innamoramento, il matrimonio, la maternità sono contrassegnate dalla perdita originaria (cui si aggiunge, già tre anni dopo, la morte improvvisa del giovane padre adottivo). Teresino è racchiusa all’interno di una vicenda di abbandono e fuga da una casa che invece di accogliere i bambini si è rivelata pericolosissima, la fiaba di Perrault Le Petit Pouchet. Inoltre il titolo della raccolta ricorda il nome del paese natale dell’autrice, ricordo indelebile, nonostante dopo quei primi nove mesi l’autrice abbia sempre vissuto a Milano. Così il tema dell’abbandono apre la raccolta con l’adozione. Nella prima poesia si spiega il suo terzo nome Donata per dire donata/ (o donanda)96, nella poesia Nove mesi parla di frattura, e in Sarebbe stata parlando in condizionale dice sarebbe stata davvero capace di essere felice sottintendendo un se che evidentemente si riferisce alle vicissitudini della vita, ma soprattutto all’adozione, che da valdesina l’ha fatta diventare milanese (valdesina trascinata per una mano/ giù fino a Milano)97. L’abbandono viene poi rivissuto nell’innamoramento, nel matrimonio, e soprattutto nel suo fallimento. Già nella sezione L’amore mio è buonissimo l’autrice scrive l’amore mio non lo sa come sono triste a stare sempre così/ senza l’amore mio per poi arrivare a dire l’amore mio l’amore mio quale amore mio?/ l’amore mio non c’è/ se no certo non mi lascerebbe qui così per poi concludere con che bello se l’amore mio c’era invece non c’è. La seconda sezione (che nel 2002 scrive caro nome mio mi lasci sola98) preannuncia il dolore e il ripetersi dell’abbandono esplicitati poi in Il tuo posto vuoto, che si apre coi versi di Saffo: io dormo sola. L’altro è assente, come “un posto vuoto”(in questo caso il tuo posto vuoto, cioè del marito) che 96 V.L., Aprile dal bel nome, in Teresino, cit., p.9 V.L., Valdesina, ivi, p.10 98 V. L., Caro nome mio, in Poesie 1972-2002, cit., p.28 97 52 parla racconta chiacchiera ride forte non sta mai fermo si alza ritorna mangia avanza sempre un boccone ritaglia nel formaggio forme di animali ma non può non rimanere il tuo posto vuoto a tavola/ a destra di Miryam/ è di fronte a me. E il senso di abbandono è sentito anche nell’indifferenza dell’altro dal quale non si vorrebbe essere stati lasciati: chiedi come campa Vivian/ usando il verbo campare/ perché del suo vivere/ non ti importa nulla. In Io tra voi Vivian mentre osservala figlia giocare con gli amici si lascia scappare hanno in corso l’infanzia/ e come avvertirli? Insinuando così quel ricordo della sofferenza della sua infanzia anche nella serena sezione Ho una bella bambina. Continua la tematica dell’abbandono e della conseguente assenza in Poeti, ma in modo più variegato. A volte viene riproposta in modo giocoso o di ripicca infantile, come quando scrive sai la Rita quella che hai visto tu/ è venuto il babau e non s’è vista più99 o chiudo gli occhi per vederti meglio100 o anche in Rebus difficile (?,?,?,?), dove il gioco enigmistico parte appunto come un gioco per risultare però qualcosa d’altro, non solo incomprensibile, ma anche pericoloso e concludersi dicendo se almeno tu mi aiutassi a capirci qualcosa invece di far finta di niente. Altre volte il tono ritorna quello della sezione precedente, E se uno di noi due qui non c’è scrive in Sera o in Vento I e III che si aprono entrambi col verso non sei venuto questa sera all’appuntamento. La raccolta si conclude con un altro abbandono, replica e sintesi di tutti i precedenti, quello di Teresino, dove per quattro volte Vivian ripete Teresino Teresino sparito. 99 V. L., Sai la Rita, in Teresino, cit., p.51 V. L., Nel bosco, ivi, p.54 100 53 2.5 La ricerca d’amore Ritornando al legame tra la cornice e la vicenda autobiografica narrata nelle liriche, Vilma de Gasperin evidenzia il fatto che la fiaba francese Le Petit Pouchet agisce nella costruzione del testo scandendone i diversi momenti, tutti legati alla dimensione affettiva. Nella sezione “L’amore mio è buonissimo” l’illusione di poter cancellare la ferita del passato costringe la persona adulta nella condizione impotente della bambina che chiede di essere amata; da questa dimensione infantile vengono le richieste, gli appelli, un bisogno d’amore e di attenzione insaziabili. Nell’altro viene ricercata una rispondenza assoluta, all’amore mio è demandata una funzione materna di nutrimento e di accadimento che l’io non è in grado di assumere su di sé. Il tuo posto vuoto rivela la difficoltà di questo tentativo segnando un’ulteriore esperienza di separazione. La sezione Poeti coincide con l’arrivo di Pollicino nella casa dell’Orco; qui l’amore è vissuto come totale dipendenza e sottomissione, come condizione non libera da cui può nascere solo una “poesia illegittima”.101 Zabagli, a tale riguardo sottolinea come Vivian Lamarque, dando alle varie sezioni titoli come Conoscendo la madre, Ho una bella bambina o Il tuo posto vuoto evidenzi da subito la condizione essenziale e necessaria alla sua poesia: la presenza, l’assenza, comunque la ricerca, di un oggetto d’amore.102 Dimostra quindi come la tematica dell’abbandono sia fortemente legata all’affannosa e mai sazia ricerca di affetto della protagonista. Nella prima sezione della raccolta per quanto riguarda la tematica adozioneabbandono, questo aspetto è visibilissimo in A nove mesi e nell’amarezza di Sarebbe stata. Nei versi apparentemente più sereni di Aprile dal bel nome, Vivian cerca di farsi una ragione della propria sorte investigando il significato del proprio nome (io stessa con nomi curiosi/ di bei significati): il nome Vivian starebbe quindi a significare che dovevo vivere/ (da una parte o dall’altra), mentre il nome Donata viene letto come chiaro segnale di adozione. Così anche nelle poesie la sostanza biografica ritorna nei moduli di una tipologia ricorrente che evidenzia ulteriormente la dipendenza e la correlazione delle due tematiche: l’urgenza di un amore fermo e assoluto non viene realizzato, causa 101 V. De Gasperin, in R. Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1970-2002, cit., p.VI 102 F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in “Paragone”, n.382, dicembre 1981, p.79 54 la mancata rispondenza dell’altro, segue quindi immancabilmente l’inevitabile trauma della separazione. Lo schema è visibile soprattutto negli effetti adulti , in L’amore mio è buonissimo, Il primo mio amore erano due e in Poeti,dove l’amore passa dalla tenere effusioni alla dipendenza assoluta. Ti sono affidata fino alla maggiore età/ […] dimmi di mangiare scrive in Prendimi a cuore, titolo che già esplicita la richiesta di affettiva, in Formica mendica briciole, ovvero parole buone da mettere via per l’inverno, sensazione che ritroviamo in Eri la mia vicina dove si legge io alzavo gli occhi dal libro/ e poiché sorridevi/ giravo la testa e dicevo/ guardi i pomodori che belli/ e domani il tempo chi sa, quasi la reazione di Vivian fosse dovuta solo a un compiacere l’altro per l’attenzione dimostratale. Ma questa dipendenza affettiva equivale inevitabilmente all’essere preda, concetto che si concretizza soprattutto nella sezione Poeti. Aspetto la tua zampata scrive in Muso di volpe, poesia che fino a quest’ultimo verso sembrerebbe solo un’amorevole descrizione, sensazione molto più forte e spaventata in Rebus facile ( 9,10) e in Rebus difficile (?,?,?,?). Una figura china a mettere tagliole:/ RE L’AZIONE PERICOLOSA scrive nella prima poesia, per continuare nella successiva coi versi più confusi e allarmati: Si vede un pollaio con dentro una gallina che ha paura […] una donna con un fucile […] non si capisce chi è in pericolo se la gallina (le ali sbattono forte ha molta paura) o la vecchia volpe (ha gli occhi furbi ma sta guardando il fucile), per poi concludere con un o sconsolato se almeno tu mi aiutassi a capirci qualcosa invece di far finta di niente. Nelle poesie non sparisce nemmeno la consapevolezza che l’altro vive di una vita inaccessibile ed è quindi superior e quindi lupus, come recita l’epigrafe di Sui vetri della finestra. E’ la sezione Il tuo posto vuoto a raccogliere le poesie della massima debilitazione, dell’amore assente o concluso. Si pensi all’esplicito titolo della prima poesia Separazione, e al testo della lirica, dove gli affetti traditi (il tepore materno paterno coniugale) sono ricercati in 55 surrogati risibili, uno scaldaletto metallico/ contenente acqua calda, o come in Fate piano, dove Vivian finalmente si addormenta, sognando di essere amata, dolcemente cullata non dalla madre, bensì dalla televisione. Altre volte implora attenzioni minime, sempre nel tentativo di conquistarsi quell’affetto, oggetto di desiderio irraggiungibile, o comunque mai duraturo. Non lasciate che si isoli così103 implora descrivendo la propria solitudine, Fate piano si è addormentata104 bisbiglia al lettore quasi fosse madre di se stessa. 2.6 L’infanzia L’infanzia unisce le due tematiche della ricerca d’affetto e dell’adozione: In-fanzia (età del non parlare) Spaventata le sta succedendo di avanzare giorno per giorno indietro nel tempo adulta sta toccando il traguardo/ di un letto a forma di culla dal basso vi guarda le ombre giganti passate muovete le labbra le bocche lei non comprende la lingua spaventata vi guarda che andate di là piange vi vuole lì accanto toccarvi mettervi in bocca incantata vi guarda dal basso le ombre le bocche vuole scoprire decifrare la lingua vi chinate le date un gioco di gomma andate di là lei non riesce a parlare nel silenzio la sentite fare piccoli versi tentare. Vivian Lamarque attraverso la paziente ricostruzione di una plausibile sensibilità infantile, filtra ogni esperienza adulta , rendendola conforme a una sorta di manicheismo elementare fatto di bambini persi, anzi abbandonati nel bosco e di invisibili lupi in agguato.105 103 V.L., Quasi San Francesco, in Teresino, cit., p.40 V.L., Fate piano, ivi, p.41 105 F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in Paragone, n.382, dicembre 1981, p.80 104 56 I gesti degli adulti sembrano compiuti da giganti, come i gesti dell’Orco per Pollicino e i suoi fratelli. Proprio questo senso di inadeguatezza porta la donna adulta ad affiancarsi ai veri bambini reclamando, fuori luogo e fuori tempo, attenzione e quindi amore. Già Vilma De Gasperin aveva sottolineato come nella sezione L’amore mio è buonissimo l’autrice, persona adulta, venga costretta dalla sua stessa illusione, nella condizione impotente della bambina che chiede di essere amata,106 di poter in questo modo cancellare la ferita del passato. Tutte le richieste di affetto e di attenzione derivano proprio da questa dimensione infantile. bambina ha Vivian un bisogno d’amore e di attenzione insaziabili. Da qui la sensazione di continuo fallimento affettivo e di abbandono e indifferenza delle persone amate troppo. E’ il troppo amore (dato e desiderato) a portare la protagonista a cercare nell’altro una rispondenza assoluta, che proprio per la sua caratteristica di assolutezza appare già a priori impossibile da realizzarsi, fallimentare. All’amore mio è demandata una funzione materna di nutrimento e di accadimento che l’io non è in grado di assumere su di sé.107 Così in tutta la sezione, Vivian cerca di catturare l’attenzione dell’amato con regali, piccole attenzioni, bigliettini: l’amore mio non ha una poltrona molto comoda se l’amore mio era mio gliela compravo all’amore mio malato mi piacerebbe fare una sorpresa per esempio comprargli un libro che voleva lui io un giorno ho messo sotto il tergicristallo dell’amore mio un bigliettino all’amore mio mi piacerebbe fare tanti piaceri per esempio commissioni in centro o battere a macchina o delle cose anche un po’ noiose come per esempio fare le code. 106 V. De Gasperin, in R. Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1970-2002, cit., p.VI 107 Ibidem 57 Tutte le sue attenzioni però non vengono apprezzate come vorrebbe, così che lei stessa è costretta a concludere l’amore mio purtroppo non vuole niente da me. Di infantile però rimane l’insistenza, basti pensare che la constatazione del disinteresse dell’altro è la quarta delle ventotto brevi liriche della sezione. E così continua ad alternarsi all’illusione la disillusione, che porta ad amare constatazioni, come di sicuro allora me lo sono sognata/ che bello se l’amore mio c’era invece non c’è, disillusione che però non riesce a fermare il continuo meccanismo di tentativo di conquistare il rassicurante (ma irraggiungibile) affetto dell’altro. La dipendenza affettiva dalla figura dell’amato investito della funzione materna che nutre e accudisce continua nella sezione, Il primo mio amore erano due, come Vivian esplicita chiaramente in Prendimi a cuore. Va inoltre notato che con l’edizione 2002, che taglia i primi versi del componimento, si acuisce l’effetto di disarmata dipendenza affettiva e vitale della protagonista dall’amato, sensazione che nel 1981 era alleviata dal più consapevole e realistico ( quindi anche più adulto) inizio: avere ancora quell’età/ che a chieder certe cose/ non ti guarda nessuno in modo strano, anche se dopo le due poesie successive, la Lamarque utilizza l’ambiguo levati bambina, riferibile a sé stessa come alla figlia (o forse a entrambe). La disillusione torna anche nei sogni, come in Quel gesto, dove l’affetto di un gesto paterno de la mano sulla testa è fatto sul capo della piccola Vivian, solo che avevo la testa molto più riccia/ -cioè io non sono riccia affatto, quindi non era lei la destinataria dell’affetto sognato, di nuovo una delusione. In E’ ora di dormire anima mia cerca di essere madre per se stessa, di cullarsi e consolarsi da sola: perché non dormi? vengono i pensieri?/ Fa’ così con la mano che vanno via. In Fate piano della sezione Il tuo posto vuoto la lirica si apre con Vivian in posizione fetale108. Nella sezione Poeti l’amore è vissuto come totale dipendenza e sottomissione, condizione non libera da cui non può nascere altre se non una Poesia illegittima frutto di un amore mentale e segreto del quale l’amato non sospetta niente di niente. Continua però la richiesta di aiuto e di amore dalla prospettiva 108 V.L., Separazione, in Teresino, cit., p.37 58 della bambina Vivian che dice tienimi ancora un po’preziosa/mangiami a Natale109o che dall’esterno constata Le sue ali infantili spiccano ogni volta felici il volo incontro a chi spara110. Ritorna anche l’insistente tentativo di guadagnarsi l’amore dell’altro (come già nella sezione L’amore mio è buonissimo)dove si dimostra l’amore per l’altro con tanti regalini, senza riuscire ad ottenere l’affetto sperato, come accade in Regali di Natale. La richiesta si fa a volte ancora più esplicita. Si pensi alla lirica Posso? nella quale si succedono una dopo l’altra domande senza risposta, che non desistono però dal continuare a chiedere: Posso saltarti al collo? fare un sogno di te? guardarti e toccarti? assaggiarti un pezzettino? farmi i codini fischiare? giocare al lupo avere paura? mangiarmi tutta con la tua bocca? Sì? Insomma, sia dalla scelta delle epigrafi, che dai testi poetici si può concludere che ci si trova davanti a una storia di “grandi” riportata al livello puerile. Sintesi e affinamento di quanto finora descritto è l’ultima sezione, Teresino, dove la precarietà dell’unione e il male del distacco si risolvono in puri simboli fiabeschi, la lusinga e il rifiuto dell’altro diminuiscono nella fisionomia evanescente di un bambino fantastico che accetta di fare ai balocchi per dopo sparire a metà gioco.111 Proprio la prospettiva della fiaba si accosta al mondo infantile e giocoso della raccolta Teresino, elaborazione fiabesca del dato quotidiano. Così nel poemetto conclusivo l’autrice scrive senti ascolta questa fa/ vola che ti racconto vicino al tuo letto/ di c’era una volta in una città lon/ tana lon tana, per poi 109 V.L., Tienimi, ivi, p.58 V.L., Le sue ali infantili, ivi, p.55 111 F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, cit., p.81 110 59 concludere con c’era una volta il tempo/ passato c’era teresino/ ma poi è volato […] avevo sognato un bambino/ a forma di teresino. 2.7 Il tema del doppio Altro tematica incisiva nell’opera di Vivian Lamarque è il doppio. La perdita e il ritrovamento, la serietà e il gioco, il desiderio e la realtà si accompagnano ripetutamente nelle poesie di Teresino, tensione degli opposti uniti e inconciliabili. Fin dalle origini l’amore è duplice, ambivalente. Sdoppiamenti, reciprocità, dualismi sono ricorsivi. Si pensi alla poesia Il primo mio amore erano due: Il primo mio amore il primo mio amore erano due. Perché lui aveva un gemello/ e io amavo anche quello. Il primo mio amore erano uguali/ ma uno più allegro dell’altro e l’altro più serio a guardarmi/ vicina al fratello. Alla finestra di sera stavo sempre con quello ma il primo mio amore il primo mio amore erano due lui e il suo fratello gemello. Il testo è tutto giocato sulla sua doppiezza, non solo tematica, ma anche nella struttura sintattica e semantica. Simili-diversi oggetti d’amore, l’uno allegro e l’altro serio. I due rivali in amore sono l’uno l’immagine speculare dell’altro, fratelli gemelli, che non possono non richiamare alla mente l’immagine l’uno dell’altro. E a questo gioco di specchi va aggiunta la nota in calce all’edizione 2002 che avverte di come l’allusione all’amore adolescenziale per i due gemelli, alluda anche alle due madri. Due madri che ritornano nella poesia Levati bambina, gioca più in là a mamma sempre di Il primo mio amore erano due, sezione che già nel titolo stigmatizza l’importanza del tema nella biografia dell’autrice. Il gioco dello sdoppiamento continua con Sempre più mi sembri, dove Vivian si contrappone con un’altra donna (reale o fittizia), di cui l’amato è innamorato. Qui, come nelle altre poesie, il gioco della ripetizione ritorna anche nel testo, in questo caso con e so che con me questo non ha a che vedere/ 60 e so che con me questo non ha a che vedere. Confronta l’identica immagine dell’amato guardato indossando gli occhiali o senza in Senza occhiali intravedo. Nonostante lui resti sempre lo stesso, le due percezioni sono completamente diverse, quasi si trattasse di due persone e due situazioni: senza occhiali intravedo/ che quasi quasi mi vuoi bene/ […] ma con gli occhiali non si scherza/ metto a fuoco perfettamente[…]. In Quel gesto alla bambina riccia del sogno si affianca la bambina Vivian,coi capelli ricci, quindi non lei, eppure la poesia recita: quel gesto esatto/ m’è stato fatto[...] e sempre di sogno sembra si tratti nella poesia Andavi in chiesa, dove Vivian è sia sposa che invitata, quindi causa di confusione ed equivoco: Andavi in chiesa per sposarti un’altra volta. Con la stessa persona di prima. Io stavo in mezzo agli invitati ma anch’io ero vestita da sposa. Certi si confondevano e fotografavano me ma tu chiarivi immediatamente l’equivoco. Molto più esplicitamente le due mamme vengono nominate nella prima sezione della raccolta, parlando dell’adozione. Della confusione e del disorientamento determinato da questo cambio di madre si legge in A nove mesi, dove Vivian dice di vedere solo copie e di non trovare l’originale: ogni volto ogni affetto/ le sembrano copie cerca l’originale/ in ogni cassetto affannosamente. Così in Valdesina si parla del nuovo presepe e della nuova mamma, mentre in Sarebbe stata oltre alle due madri, compaiono anche i padri, che sparivano uno a uno. Il tema del doppio e il gioco degli opposti ritorna anche ne L’amore mio è buonissimo, quando scrive una cosa per subito affermarne il contrario. Così avviene in L’amore mio certe volte mi fa piangere così tanto/ che non so più come fare/ […] appena penso all’amore mio mi viene subito da sorridere, oppure in l’amore mio l’amore mio non esiste dove nel verso di apertura si riprende anche il gioco della ripetizione di il primo mio amore il primo mio amore/erano due. In questo caso il componimento proporre anche il tema dello sdoppiamento nei contrari, mostrando anche la sensazione di confusione e dolore legata a questa sensazione che dall’età di nove mesi sembra accompagnare Vivian: 61 l’amore mio l’amore mio non esiste cioè esiste ma non è come lo penso io è abbastanza diverso non che sia peggiore ma comunque è un altro solo che io me lo dimentico e dopo quando me ne accorgo ogni volta è una tragedia. Portatrice di una simile contraddizione è la stessa sezione , che si apre con l’amore mio è buonissimo per concludersi con l’amore mio è cattivo. In Poeti una poesia si intitola Destra o sinistra, mentre nelle tre poesie intitolate Vento si alternano la presenza e l’assenza dell’amato all’appuntamento con Vivian. Proprio nell’ultima parte della sezione sembra Vivian si stia innamorando di un altro uomo, o forse dello stesso, amore immaginato o forse solo ricordato: lo si ritrova in tutte le poesie, da Previsioni del tempo fino a Reperto meraviglioso. Così di nuovo, seppur in veste diverse si ripropone il tema dello sdoppiamento, che sempre crea confusione e disorientamento. 2.8 Chi è Teresino? Proprio Teresino diventa massima espressione di quel gioco di rimandi, di travestimenti, di sdoppiamenti che hanno già percorso tutta la raccolta. La storia di Pollicino, che filtra la storia personale dell’autrice a cui dà voce e un punto di vista, nei suoi versi interferisce a tal punto da far sì che lo stesso Pollicino, divenga l’ubiquitario polimorfo Teresino dell’ultimo conponimento. Teresino minuscolino […] teresino filo di voce vocina scrive l’autrice, richiamando sì l’immagine di Pollicino, ma soprattutto la più generica idea del mondo dei bambini, dei piccoli, quel mondo infantile che tanto influenza la sua poetica. Il personaggio Teresino non è quindi solo replica del piccolissimo protagonista della fiaba di Perrault, ma anche sé e un altro sé, l’altro, il vicinolontano. Di nuovo quindi torna il gioco degli opposti che genera confusione e ambiguità. Ambiguità che questa volta Vivian Lamarque porta agli esiti 62 estremi in questa figura che riassume, riproponendo in sintesi astratta e fantastica tutti il percorso biografico incontrato nelle precedenti sezioni. All’inizio del libro di Lamarque si allude a un trauma, si parla di una frattura, di un cambio di madre e di un’esperienza di abbandono ripetuto da parte dei genitori. L’abbandono, l’indole contemplativa e silenziosa del sé, attento alle piccole cose del mondo catturate dalla lente d’ingrandimento dell’infanzia (mosche piume foglie), sono requisiti di Pollicino. Diversi i richiami alla fiaba, oltre agli esergo: “nel bosco nel cuore del cuore del bosco/ gli occhi dei lupi ti sbranavano poverino”, o “teresino che hai perso la strada prova/ a incamminarti di lì anzi/ no prova anzi teresino”. Teresino è il sé dell’autrice e un altro sé, l’altro vicino-lontano, perché è interno ed esterno, nel tempo e senza tempo, passato e presente, vegetale animale e umano, malattia convalescenza guarigione, adulto e bambino, padre e figlio, destra e sinistra, amante e amore, medico e paziente, sogno e realtà, simulacro e cosa vera, assenza e presenza, sparizione orma residuo: segnale. Teresino non ha età poiché ha tutte le età.112 Come nota Caddeo, proprio all’inizio del poemetto Teresino viene definito bambino e piantina rara per poi definirlo senza età, o con tutte le età, vecchio e bambino. Al v.6 quanti anni hai teresino tre quattro[…] e Vivian deve accompagnarlo per mostragli a destra e/ sinistra della primavera, ma al v.9 Teresino è già vecchio, quanti anni hai teresino novantanove cento. Così anche il teresino teresino malato del v.30 diventa subito dopo, al v.33, il dottore di Vivian: anch’io mi sono malata/ visitami sto qui buona buona sdraiata. Al v.138 Vivian scrive non andavi via per sempre la fine/ non era ancora finita/durava tanto la vita, eppure alla fine Teresino sparisce, se ne va via e quella narrata si rivela non essere nemmeno stata vita, come l’aveva definito prima, bensì sogno, o vita sognata. Così la conclusione nega ciò che i v.138-140 avevano precedentemente affermato: avevo fatto un bel sogno avevo sognato un bambino/ a forma di teresino. E sempre riguardo a Teresino e alla sua ambiguità Caddeo continua: Grazie a lui e con lui gli opposti si invertono, le antitesi collimano, l’intero si suddivide e moltiplica (“ti seminavo spuntavano/tanti teresini”, “eravamo bianchi leggeri/ nevicavamo teresino”), l’uno nel molteplice il molteplice nell’uno, la morte partecipe della vita e viceversa, le palpitazioni della paura infantile del buio si intersecano e fanno gruppo con l’eros, il desiderio abbraccia il rimpianto. Teresino è poeta e poesia. 112 R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’arma della scrittura, in “Concertino”, n.14-15, Milano, novembre 1995, p.23 63 Interessante è anche il suggerimento che da questa affermazione ne consegue. Se Teresino è sia poeta che Pollicino, allora anche i sassolini bianchi che Pollicino aveva lasciato sul suo cammino per rintracciare la strada di casa, possono essere considerati le poesie stesse che di questo amore ci parlano. Entrambi sono mezzo per superare le insidie e le sofferenze legate a un’esperienza di amore trovato e perduto, presente-assente, insistentemente ricercato, ma non per questo raggiunto. A questo proposito si ricordi la decisione dell’autrice di eliminare il lieto fine della fiaba di Perrault, facendo così coincidere il non raggiungimento dei genitori di Pollicino con la non realizzazione della ricerca d’affetto di Vivian. Eppure non tutto è perduto, perché ci sono le poesie che come i sassolini di Pollicino, consentono il ritorno, o una sorta di ritorno, perché raffigurano un percorso compiuto. Risvegliano la memoria e la orientano. Ma queste poesie non sono solo come i bianchi sassolini del primo ritorno di Pollicino, ma anche come le briciole del secondo abbandono, sono deperibili. Una poesia della sezione Poeti si intitola Poesia malata, e si è ammalata proprio per il disinteresse dimostrato dal destinatario, che non le ha prestato l’attenzione dovuta: appena tu l’hai letta distaccatamente senza fermarti e senza dirle niente si è sentita girare un po’ la testa si è appoggiata si è svestita si è messa a letto dice che è malata[…] come Mimì finge di dormire per poter con te sola restare. E in L’amore mio è cattivo leggiamo anche che le poesie si sono malate ecco e poi sono morte sono morte tutte e quattrocento e quel che adesso scrivo già non c’è più a meno che nel vento. 64 2.9 Il tema dello sguardo Nelle sue poesie Vivian spesso si descrive nell’atto di guardare, e la maggior parte delle volte è proprio il verbo guardare il vocabolo prescelto, che solo raramente è sostituito da sinonimi. Interessante è anche notare che nella maggior parte dei componimenti il “guardare” sia legato a due situazioni: il guardare l’amato o il guardare dalla finestra. Per quanto riguarda il secondo caso, l’intervista di Silvio Soldini conferma questo aspetto del modo di vedere (o guardare) dell’autrice. Raccontando al regista di quando viveva al QT8 Vivian Lamarque dice: “E io stavo delle ore a guardare dalla finestra”, lo stesso ripete guardando fuori dalla finestra di casa sua: “Io starei tutto il giorno qua”, per infine concludere, proprio di fronte alla finestra di casa: ”Tu prova a pensare di star sempre in casa, sempre da sola. Se guardasse su un interno mi intristirebbe, ma io qui, per esempio al mattino c’è sempre una ventina di persone che aspettano l’autobus, anche trenta. Diventan come dei parenti, li vedi tutte le mattine, sono lì che aspettano che… quello che mi manca appunto, non c’è una bella famiglia da guardare, di fronte. C’è l’ufficio e poi vedi, tutte finestre buie, lavorano tutti. E’ tutto spento, poi alla sera vedi la lucina azzurrina della televisione e basta. Non vedi le… da certe case invece vedi gli interni familiari. Da qua no. Nemmeno a andare in via Arimondi vedevi la caserma. Non vedo mai gli interni familiari.” Aggiunge poi divertita : “Guarda i piedi di quel signore sul tram, sul 14, vedi questi piedi qua? Sembra un signore senza testa, solo coi piedi. Che bei piedi. Ecco, tac si è alzato. Ecco”. Una poesia della sezione Il tuo posto vuoto recita: sta dietro i vetri un po’ più del normale intendo i vetri di casa se fossero vetrine allora sì che direste che è normale.113 113 V.L., Sta dietro ai vetri, in Teresino, cit., p.40 65 Io sono il re del balcone che resta a guardare si legge nella sezione Ho una bella bambina, ma questa volta il guardare passa all’atto concreto nel componimento successivo, C’era un castello, dove Vivian gioca con la figlia in giardino. La finestra, come prima il balcone, ritorna in un’altra poesia per la figlia, La finestra delle farfalle, in cui Vivian mostra con allegro stupore le piccole bellezze del loro giardino. Invita anche l’amato a guardare fuori dalla finestra in I mattini ghiro mio, dicendo che la mattina è bello svegliarsi se quando apri le finestre subito hai lì alberi perfetti immobili ma a guardar bene con anche un punto dove le foglie tremano per un uccello appena volato via al rumore della finestra. In poesie più sofferenti le finestre tornano quasi come una barriera di vetro, che impedisce il contatto con il mondo esterno. Ora davvero sembra ci si possa solo limitare a guardare. In Levati bambina Vivian scrive disperata m’attacco al vetro/ che tra un minuto casco e nella poesia d’apertura alla sezione Poeti con dolore legge dichiarazioni di non amore scritte dall’amato proprio sui vetri della finestra/ […] con un pennarello rosso. Eppure è proprio quella finestra ad alleviare un po’ la sofferenza di lei, che tra un articolo e un sostantivo scorge formine di cielo.114 Amaramente in L’amore mio è buonissimo scrive: l’amore mio non ha finestre sulla strada/ l’amore mio poverino gode di una brutta vista. Il non vedere bene e il non avere finestre da cui poter guardare rivelano ciò che più chiaramente si esprime in l’amore mio non c’è, ossia il non amore dell’Amore mio. Il guardarsi è proprio di ogni innamorato, ma nelle poesie di Vivian Lamarque nessuno si guarda reciprocamente115. E’ sempre solo uno dei due che guarda l’altro, molto spesso lei, qualche volta lui. In Il primo mio amore Vivian e il gemello di cui si era innamorata stavano alla finestra la sera, ma l’altro più serio scrive che stava a guardarmi/ vicina al fratello, continuando il gioco di rimandi e sdoppiamenti. Il marito Paolo è 114 115 V. L., Sui vetri della finestra, ivi, p.51 V.L., Di due persone, ivi, p.30 66 descritto guardare la moglie nella poesia che descrive il loro viaggio di nozze. Compiaciuta Vivian si scopre a ripeter per ben due volte ti fermi la guardi che mangia la neve/ ti fermi la guardi che mangia la neve. L’immagine di un altro uomo innamorato ritorna con Era detto aquilone, soprannome dato all’innamorato di Maria, che quando la vedeva pareva innalzarsi/ portato dal vento e dall’emozione. L’idea del volo nella raccolta rappresenta, insieme al guardare, l’innamoramento. Io naturalmente volavo Sono passata dalla tua finestra che lavoravi con la testa piegata così io naturalmente volavo felice come chissà chi. Nella sezione L’amore mio è buonissimo Vivian innamorata racconta: lo guardavo tanto senza dire niente e in Lo guardava lei rimane impietrita per sempre/ in quella posizione proprio per uno sguardo del marito, che la guardò così profondamente solo un attimo, poco prima di mostrarle un dipinto. L’amore è irraggiungibile ne L’albero delle ciliegie, dove di nuovo lei si limita a guardarlo e a guardarlo/ a guardarlo lei perde colore. L’impossibilità di questo amore ormai solo sognato apre la poesia Nel bosco col verso chiudo gli occhi per vederti meglio; Posso/ guardarti e toccarti? chiede Vivian nell’insistente serie di domande all’amato e nel sognante Tu conclude scrivendo io ti guardo trasognata/ mentre mi usi le gentilezze le più svariate. Nel contesto onirico del poemetto conclusivo, il verbo guardare torna nel testo per ben sette volte. Ti voglio guar dare vieni, lo invita Vivian all’inizio della lirica; alla fine però non solo Teresino non guarderà Vivan, ma nemmeno lei potrà più vederlo,dato che era solo un sogno. Con l’affermazione Teresino teresino sparito si ripropone così il tema dell’abbandono e dell’impossibilità del raggiungimento di una relazione reciproca. Il verbo guardare torna anche nelle poesie che narrano dell’infanzia di Vivian e della sua adozione. In-fanzia (età del non parlare) intitola una sua poesia, e a questo non parlare corrisponde un continuo guardare. Il “guardare” sembra un’azione che le appartiene fin da piccola, quando dalla culla[…]/ se ne stava 67 ore e ore zitta e sorridente/ a giocare con le sue mani a guardare/ una mosca che volava; dell’adozione ricorda: zitta guardava attorno/ il nuovo presepe/ la nuova mamma. 2.10 La morte Il ricatto affettivo che la bambina Vivian cerca di compiere ai danni della persona a cui chiede insistentemente affetto si estremizza a conclusione delle sezioni poetiche, introducendo la possibilità della morte. A questo proposito chiarissimo appare questo tentativo nella sezione L’amore mio è buonissimo in cui la persona adulta è costretta nella condizione della bambina impotente proprio nell’intento di conquistare l’amore assoluto dell’amato, cercando di cancellare le ferite e le delusioni affettive dei passati abbandoni. Derivano proprio da questa dimensione infantile le continue e insaziabili richieste d’amore e di attenzioni. Nessuno però sembra rispondere alle domande di Vivian, così ecco l’ultimo tentativo: mettere l’amato di fronte alla possibilità della morte, come per ricordargli che scaduto il tempo della vita non sarà più possibile per loro due stare insieme. Chissà se l’amore mio ci sarà quando sarò in punto di morte mi piacerebbe tanto di sì e che mi stesse vicino vicino tanto è l’ultima volta e che mi dicesse delle cose commoventi per esempio mi spiace molto che tu muoia. Ma di nuovo Vivian è da sola nel suo immaginare il futuro, e così la possibilità della morte è più che altro un ulteriore arrovellarsi e girare su se stessa, senza nulla ottenere dall’interlocutore assente: L’amore mio se morirà prima lui non creda! perché anch’io morirò immediatamente e così dopo due giorni riceverà una lettera con dentro l’ultima poesia e anche con spiegato come sono morta. 68 In il tuo posto vuoto le riflessioni sugli effetti che la propria morte potrebbero produrre sull’amato sono più cupi e sofferenti, il suo viso già sfuma nella tua memoria scrive in Ne è da poco passata la morte. Con questo testo l’autrice fa un passo ulteriore, immaginando il proprio annullamento con la morte, del resto sarà all’incirca così là sotto dove di lei saranno sfumate ormai con la miopia la vulnerabilità, e le unghie. Non solo sparirà dalla mente dell’amato il ricordo di lei, ma anche lei scomparirà dal mondo, e questo aspetto non le era pervenuto nel gioco di ricatti della seconda sezione. Ci si trova quindi nella situazione inversa rispetto a Caro nome mio, dove la conclusione era non sono mai nata, eppure il risultato finale è lo stesso: l’annullamento di sé stessa, la sparizione ( come il Teresino sparito che chiude la raccolta). Di nuovo l’autrice chiama in causa la morte, questa volta in tono più scherzoso, quando nel poemetto teresino insite sul desiderio di non essere cancellati dalla memoria di chi si ama una volta morti: i morti vogliono essere ricordàti leggere/ il giornale mangiare i gelati. La mancata rispondenza dell’amore cercato causa dolore e tanta sofferenza unita alle mancate cure richieste con altrettanta insistenza porta infine alla morte. Questo iter tragico viene presentato in L’amore mio è buonissimo, quando nell’ultimo testo scrive: L’amore mio è cattivo infatti non legge mai le mie poesie e allora si sono malate ecco e poi sono morte sono morte tutte e quattrocento e quello che adesso scrivo già non c’è più a meno che ne vento. L’ultimo riferimento a un orizzonte di morte è proprio la citazione di Le Petit Pouchet con cui si chiude il libro. Il frammento proposto narra della fuga dei fratelli dalla casa dell’Orco il quale, con l’intenzione di uccidere i bambini, ha 69 invece appena tagliato la gola alle proprie figlie, scambiandole nel buio per i fratellini. La fiaba che finisce male, dopo tanti momenti che facevano sperare in un lieto fine è il modo personalissimo e struggente che ha Vivian Lamarque per parlare di sé116, come già evocando la propria morte si erano concluse le sezioni L’amore mio è buonissimo, Il primo mio amore erano due e Il tuo posto vuoto. 3. Narratore, personaggio e interlocutore Narratore e personaggio - Vivian Lamarque, e Vivian - molto spesso coincidono: dipende quindi dall’intenzione della voce narrante la possibilità o meno di distinguere tra le due Vivian (anche qui si ripropone il gioco, o la confusione, dello sdoppiamento). Con l’eccezione della sezione Ho una bella bambina, dove la terza persona di cui si parla è dichiaratamente la figlia, nella raccolta oltre alla prima persona singolare, anche la terza persona femminile è quasi sempre Vivian, come risulta evidente in Chiedi come campa Vivian, che utilizza il nome dell’autrice, o meglio, esplicita il nome del personaggio Vivian, svelandone l’identità (e in molti altri componimenti di Teresino). Questo accade, in particolare, in Il tuo posto vuoto, sezione che raccoglie le poesie della massima debilitazione per l’amore assente o concluso, come un personaggio delle fiabe parla di sé in terza persona, nel tentativo forse di distaccarsi e di elaborare le proprie angosce, o come se fossero gli altri a bisbigliare di lei, di quanto sta male, poverina, per il nuovo lutto della separazione dal marito, in cui cercava padre e madre. Anche nelle sezioni precedenti e successive a Il tuo posto vuoto l’autrice ci propone liriche in terza persona, sebbene non con una così alta frequenza. La prima sezione si conclude con Conoscendo la madre e Sarebbe stata, entrambe alla terza persona. Così anche in Il primo mio amore erano due troviamo Ecco li presentano, 6 maggio 1967 viaggio di nozze e Così tante trame, tre 116 R.Bagneri, Santagosti e Vivian Lamarque, in “Uomini e libri”, n.85, 1981, p.40 70 componimenti nei quali Vivian si nasconde dietro la terza persona. In Poeti torna a proporsi più spesso la terza persona singolare nei componimenti forse più sofferenti, come in Sui vetri della finestra, dolorosa ouverture che richiama il clima della sezione Il tuo posto vuoto, come anche Le sue ali infantili, Ridimensionare, Declinazione, 19 aprile e In-fanzia (età del non parlare). Curioso gioco viene proposto in Pesce che vola, nella cui fantasiosa descrizione enciclopedica Vivian si identifica nell’animale. E’ il Tu dell’amato di Il tuo posto vuoto, Ho disegnato, Posso?, Tu, Nel bosco e di moltissime altre poesie della raccolta uno dei principali interlocutori delle poesie dell’autrice: Comincio a conoscerti mascherina117; Per Natale ti faccio i seguenti regali118; Poverino/ che ti hanno fatto ammalare119; Tienimi ancora un po’ preziosa/ mangiami a Natale120; Senza occhiali intravedo che quasi quasi mi vuoi bene121. In alcuni testi però Vivian interloquisce con un voi imprecisato, quasi volesse coinvolgere il lettore. Fate piano si è addormentata bisbiglia in chiusura della sezione Il tuo posto vuoto, subito dopo aver perentoriamente accusato “gli altri” di estraneità nei suoi confronti in Dell’intelligenza del cuore: Dell’intelligenza del cuore vi interessa poco nulla. Io vi sono marziana, mentre già aveva chiesto Non lasciate che si isoli così, una supplica in Quasi San Francesco. Tornano questi “altri” nell’ultimo componimento di Poeti, quando bambina spaventata dal basso vi guarda che andate di là/ piange vi vuole là accanto/ toccarvi mettervi in bocca/ incantata vi guarda dal basso[…]122. L’autrice utilizza il pronome anche nella sezione Ho una bella bambina, nella poesia che nel 2002 dedica al marito e alla figlia. La lirica Io 117 V.L., Mascherina, in Teresino, cit., p.62 V.L, Regali di Natale, ivi, p.59 119 V.L, Poverino, ivi, p.61 120 V.L, Tienimi, ivi, p.58 121 V.L, Senza occhiali intravedo, ivi, p.30 122 V.L, In-fanzia (età del non parlare), ivi, p.71 118 71 tra voi propone quindi un “voi” d’eccezione, il voi degli affetti vicini, della famiglia unita, un voi che compone il noi. Il pronome noi torna di rado nella raccolta, che narra appunto di una storia di continui abbandoni e solitudine. In Sera il noi è preceduto da io e te entità separate quindi, così come a conclusione del testo poetico, dove Vivian si scopre a parlare con un tu assente, impossibile noi, come già aveva anticipato in Sempre più mi sembri scrivendo per ben due volte e so che con me questo non ha a che vedere, concetto ripetuto anche in Lingua straniera. Persino nei componimenti che narrano del viaggio di nozze e dell’innamoramento l’autrice sceglie di non usare il pronome noi. Siamo due poeti infreddoliti123 scrive nella sezione Poeti e poco dopo in Io senti ero tua moglie aggiunge il pianoforte nostro poi talmente lungo/ che suonavamo insieme a dieci mani, noi che oltre a Vivian e il marito questa volta conta anche gli amici Tiziano, il marito di Ornella e Irlando. E noi eccezionale appare anche il noi-voi di Io tra voi, componimento sereno non a caso posto nel petit leur della sezione Ho una bella bambina: tutti e tre da una parte/ […] siamo scivolati nel sonno racconta felice Vivian. Va infine citata la confusione di interlocutori dell’onirica Andavi in chiesa, dove il tu si rivolge chiaramente al marito, mentre la sposa è al tempo stesso io, Vivian, e altro, il lei che più volte torna in Il tuo posto vuoto: Andavi in chiesa per sposarti un’altra volta. Con la stessa persona di prima. Io stavo in mezzo agli invitati ma anch’io ero vestita da sposa. Certi si confondevano e fotografavano me ma tu chiarivi immediatamente l’equivoco. Anche nel poemetto Teresino Vivian si rivolge a Teresino direttamente, con apostrofi e discorso diretto dandogli del tu: quanti anni hai teresino […] vieni / che ti porto a vedere; teresino che ti fa male forte la testa ; senti ascolta questa fa/ vola che ti racconto; mi scrivevi una lettera firmata teresino. Nell’ultimo componimento della raccolta torna però la terza persona per rivolgersi 123 V.L, Siamo due poeti, ivi, p.54 72 all’amato, teresino che gioca e gioca, io guardo teresino che gioca e gioca, o ancora, teresino che era una stella, anticipazione della conclusione finale, ossia della sparizione di teresino, al quale quindi non si può più parlare direttamente, usando cioè il tu. Questa distinzione tra seconda e terza persona, svela la distinzione tra Vivian personaggio, che vive al presente insieme a Teresino le “avventure”del loro immaginoso gioco della vita, e invece Vivian voce narrante, che racconta dopo aver vissuto la sparizione di Teresino, narratore onnisciente, sa già come si concluderà quel sogno che avevo sognato. 4. Metro La poesia di Vivian Lamarque è una poesia di cose più che di parole, e la sua scrittura si caratterizza per una levità che meglio si presta al tocco rapido. Brevissimi sono alcuni componimenti della raccolta Teresino: soli due versi conta la poesia Immobile, mentre di tre versi si compongono Tienimi (posta 73 immediatamente prima della brevissima poesia di un solo distico), Le sue ali infantili e Non parla; gli altri testi poetici sono composti da non più di dieci versi ciascuno. Particolare la struttura della seconda sezione, dove quasi come una litania si susseguono ventotto strofe libere (o lasse) composte da pochi ma lunghi versi, che volentieri superano la misura dell’endecasillabo. Si può parlare di poesia in prosa per lasse come: l’amore mio quando era bambino era timidissimo con le bambine anch’io quando ero bambina ero timidissima con i bambini forse però l’amore mio un giorno mi avrebbe chiesto come mi chiamo e dopo avrebbe giocato con me un po’ a palla. Qui il testo si compone di soli quattro versi, rispettivamente di 22 , 19, 21 e ancora 19 versi. Di bene 25 sillabe si compone il primo verso del distico Io un giorno ho messo sotto il tergicristallo dell’amore mio un bigliettino lui ha pensato a una multa invece no ero io. Nella sezione però si inseriscono anche testi più corposi e rispettosi della tradizione metrica, come chissà se l’amore mio ci sarà. I suoi sette versi si compongono di un numero minore di sillabe, l’autrice utilizza novenari, settenari, decasillabi con il verso più lungo di quattordici sillabe. Più contenuta è la sintesi metrica delle liriche nella prima sezione e in Il primo mio amore erano due, anche se già in quest’ultima sezione vengano proposto tre poesie di soli quattro versi e altri tre composte da cinque versi. I componimenti più brevi, escludendo l’eccezionalità della seconda sezione, sono raccolti in Il tuo posto vuoto e Ho una bella bambina, due sezioni che si contrappongono per la tematica trattata, sofferente la prima, confortante e amorevole la seconda. In entrambi i casi però l’autrice utilizza il metro breve per proporci con un sintetico schizzo, la densità delle sensazioni positive e negative provate. Riguardo alla brevità e alla sintesi dei versi della Lamarque Raboni scrisse: 74 I suoi versi mi sembrano decisamente fuori dell’ordinario per la precisione (insieme cauta e rabbiosa) dei sentimenti, e più ancora per una trasparenza, una levità linguistica che è anche, nello stesso tempo, senso concreto, pesante, addirittura doloroso della parola comune, inghiottita e barattata giorno dopo giorno, e capacità di coglierne il ritmo implicito, lo spontaneo disporsi in sospensioni, clausole, figure…124 Poeti è la sezione metricamente, e non solo, più varia, nella quale testi di lunghezze diversissime si susseguono creando un ritmo mosso e irregolare. Media lunghezza hanno i primi componimenti , come Sai la Rita, di nove versi, I mattini ghiro mio, di undici versi, o Lettera dal balcone, con i suoi quattordici versi. Ma già Siamo due poeti si compone di quattro versi e Le sue ali infantili propone soli tre versi che precedono il primo lungo testo poetico della raccolta: Pesce che vola. Altrettanti brevissimi testi poetici (Tienimi e Immobile) seguono la lunga lirica, composta di cinque strofe ( di cui due distici) e da trentacinque versi (e introdotta dalla citazione di Alceo). La poesia risulta così posta in una cornice di brevi poesie con le quali contrasta. Seguono altri testi più corposi, considerando l’esiguità usuale dell’autrice. Si pensi a Rebus difficile (?,?,?,?) o a Poesia illegittima e a Poesia malata, che superano ampiamente i dieci versi di lunghezza. Torna la misura lunga in Previsioni del Tempo con 59 versi divisi in dieci strofe, a cui va aggiunta l’epigrafe di tre versi. Anche la poesia successiva Vento può essere considerata eccezione alla brevitas della Lamarque, essendo la poesia composta di tre sezioni, semplicemente contrassegnate dalla cifra romana, che se considerate insieme formano un testo di 25 versi. Vera eccezione è però l’ultimo testo poetico della raccolta, che da solo ne costituisce l’ultima sezione. Come in una lunga filastrocca, 212 versi divisi in 86 strofe danno forma al poemetto Teresino. Continuità rispetto al metro delle sezioni precedenti, è però garantita dalla brevità delle strofe, molto spesso distici, e mai composte da più di otto versi (misura solo della terza strofa). Il testo, come già in Vento, è divisibile in cinque sezioni, di lunghezza molto varia, introdotte da una brevissima strofa in corsivo (di uno o due versi): Camminavi avevi/ il tuo pallone sotto il braccio; Ma poi la guerra guardavi i/ 124 G. Raboni, in F.Cordelli, Schedario, in F.Cordelli, Lerici, Cosenza, 1975, p.291 Il pubblico della poesia, di A.Berardinelli, 75 voli delle bombe; Teresino squisito; Teresino teresino sparito. Anche in questo caso il testo poetico è introdotto da un’epigrafe, che però, essendo ripresa con lievi modifiche alla fine del testo, assurge al ruolo di refrain, proprio come nelle filastrocche dei giochi dei bambini. 5. Fonti e modelli L’abbandono vissuto al momento dell’adozione segna l’infanzia dell’autrice, e con essa la sua poesia, luogo di rifugio per superare il dolore e la confusione, conseguenza alla scoperta di avere due mamme. Ma in Teresino il ricordo dell’infanzia non torna solo come una tra le principali tematiche, bensì permea anche stilisticamente la raccolta, con forti richiami alla dimensione infantile. Si potrebbero trovare collegamenti con la poetica del fanciullino di Pascoli125, analogia che si potrebbe riscontrare anche nell’autobiografia dei due scrittori: le poche liriche della prima sezione “Conoscendo la madre” centrano subito il dramma della diserzione materna: evento forse meno mitizzabile di un padre ucciso mentre tornava al suo nido, ma sufficiente a instaurare un definitivo sistema di passioni fatto di passività verso le manovre dei grandi.126 Tralasciando il confronto tra l’infanzia di Pascoli e quello della Lamarque, è invece interessante notare le numerose consonanze tra la poetica dell’autrice e quella del Fanciullino. Presente potenzialmente in ogni uomo, solo il poeta è però in grado di farlo rivivere e parlare dentro di sé, sapendo scorgere il significato profondo delle piccole cose normalmente invece trascurate dagli adulti. E proprio di piccole cose scrive Vivian Lamarque, come ne La finestra delle farfalle quando chiama la figlia per ammirare la domestica natura del loro giardino: vieni corri a vedere ce ne sono tre ce ne sono quattro ce ne sono cinque! ancora una guarda! 125 R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’arma della scrittura, in “Concertino”, n.14-15, novembre 1995, p.23 126 F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in “Paragone”, n.382, dicembre 1981, p.80 76 e sotto c’è un’ape e c’è una mosca127. Anche l’abilità analogica dell’autrice, sottolineata da Sereni, è per Pascoli una qualità del poeta, che riesce infatti ad individuare accordi segreti tra le cose stabilendo legami nuovi e inconsueti tra di esse: […] si erano innamorate reciprocamente. Hai pronunciato le due parole come fosse niente […] e però la forza di quel verbo e di quell’avverbio usati vicini mi ha fatto pensa girare la testa […] mi gira la testa pensa resto lì incapace stordita come un bambino da una lingua straniera.128 Il fanciullino, e quindi il poeta, riesce a creare questi legami analogici e nuovi sottraendosi alla logica ordinaria, grazie alla propria capacità di fantasticare. Ma proprio a causa di questa sua fervida immaginazione Vivan soffre ulteriormente quando le si chiede di ridimensionare: Quest’operazione che la costringete sempre a fare “ridimensionare” non è come stringere un vestito non è indolore si taglia la pelle del cuore.129 A due prospettive poetiche molto distanti una dall’altra è riconducibile tale fantasia che caratterizza l’autrice: il reale mondo dei bambini cantato da Gianni Rodari, e il sogno, la dimensione onirica rappresentata da Andrea Zanzotto. Per quanto riguarda le filastrocche per l’infanzia, spesso la poesia della Lamarque è tacciata di infantilismo o eeessiva semplicità e chiarezza, le mie poesie le hai accompagnate di corsa all’asilo130, con il suo metro irregolare che però spesso richiama le cantilene dei bambini e la dimensione della fiaba o delle filastrocche: 127 V.L., La finestra delle farfalle, in Teresino, cit., p.45 V.L., Di due persone, ivi, p.30 129 V.L., Ridimensionare, ivi, p.63 130 V.L., Affinità elettive, ivi, p.70 128 77 C’era un castello e avevo un manto e sotto il manto avevo bambini. C’era un castello con intorno giardini volava il manto volava il cielo volava il verde di tutti i giardini. C’era al castello un re molto bello che in piedi nell’erba rideva forte. E il cielo volava e il sole volava volava anche il manto con sotto i bambini. Così come lo stesso ritmo ripetitivo viene riproposto nrl lungo poemetto conclusivo, Teresino: teresino che ti fa male forte la testa chi è stato che ti ha bastonato dimmelo di che colore erano gli occhi che ti hanno guardato chi è stato che ti ha stregato?131 Proprio in questo poemetto si fanno, però, spazio alcuni giochi di parole che ricordano le ricerche linguistiche di Zanzotto: perché si don do la va su un piede; senti ascolta questa fa/ vola […] di c’era una volta in una città lon/ tana lon tana un bambino.132 Inoltre in molte poesie viene proposta, senza alcuna didascalia, la descrizione di una situazione che evidentemente non può essere altro che un sogno, ricreando ambientazioni indeterminate e sdoppiate, proposte per primo da Poe, Volevo sognare il postino/ con una lettera in mano/ invece ho sognato il postino/ senza una mano133, ma riprese con note che richiamano la levità cantilenante e surreale del primo Palazzeschi (“passavano le suore cattive vestite di/ nero le suore buone vestite di/ bianco”p.77).134 Ricorda infine la levità penniana la delicatezza della maggior parte della poesia dell’autrice: 131 V.L., Teresino, ivi, p.73 Ibidem 133 V.L., Volevo sognare il postino, ivi, p.55 134 R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’arma della scrittura, in “Concertino”, cit., p.23 132 78 E’ ora di dormire anima mia perché non dormi? vengono i pensieri? Fa’ così con una mano che vanno via/ a’ presto fa’ presto anima mia.135 Siamo due poeti infreddoliti Raffreddati restiamo così sotto le coperte fino a domani leggermente malati136 così come in Ho una bella bambina, raccontando della figlia, Vivian Lamarque la veste con le “piume leggere” di un memorabile fanciullo penninano.137 135 V.L., E’ ora di dormire anima mia, in Teresino, cit., p.31 V.L., Siamo due poeti, ivi, p.54 137 F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in “Paragone”, cit., p.81 136 79 CAPITOLO III TRILOGIA PER B.M. 80 1. Genesi e storia Una trilogia sul transfert (amoroso) in analisi,138 così Giuliana Petrucci definisce le tre raccolte che Vivian Lamarque pubblicò tra gli anni ’80 e ’90, dopo Teresino. I testi prendono spunto dall’esperienza di analisi junghiana iniziata dall’autrice nel 1984 e terminata dopo circa vent’anni. Racconta in un suo articolo: Ho solo un rimpianto: di avere cominciato l'analisi tardi, a 38 anni. Era il 1984 e già da decenni vivere mi era diventato difficile. Alcuni «colleghi poeti» mi suggerivano la terapia di Lacan, altri la psicologia analitica di Jung, nel dubbio le affrontai tutte e due contemporaneamente. Ma bastò il primo colloquio: i generosi 75 minuti concessi dallo psicanalista junghiano contro gli scarsi 20 minuti del lacaniano. Ebbe così inizio il viaggio più lungo della mia vita. E iniziò anche un nuovo libro. […] L' analisi non mi ha allontanata dalla scrittura né dalla vita. Anzi, ha permesso la stipulazione di un patto d' alleanza tra le due.139 Proprio all’analista della Lamarque, il dottor B.M., sono dedicate tutte le poesie qui pubblicate. Tra l’84 e l’86, agli inizi della terapia analitica junghiana, scrivevo ogni giorno al mio Dottore lunghissime lettere, racconta nella Premessa alla raccolta edita nel 1992, a proposito dei testi poi raccolti nella trilogia. Vivian Lamarque pone in primo piano il proprio rapporto con l’analista, tentando di dare una forma poetica all’esperienza di traslazione vissuta in terapia, ossia la relazione di transfert. La prima raccolta della trilogia , Il signore d’oro, uscì nel 1986 per le edizioni Crocetti. Sul frontespizio, sotto il titolo, è riportato il periodo di composizione delle poesie pubblicate: 1984-1986. Dell’anno 1989 è invece Poesie dando del Lei, edita da Garzanti. Come già per la raccolta Teresino, l’autrice in calce al testo aggiunge una Nota, nella quale informa il lettore riguardo all’ordine cronologico con il quale i testi furono composti: 138 G.Petrucci, Il sonno di Alice: l’enunciazione del transfert nella poesia di Vivian Lamarque, in “Italianistica”, n.1, gennaio aprile 1998, p.89 139 V. Lamarque, Grazie alla terapia, nei miei versi ho ritrovato la gioia di vivere, in “Corriere della Sera”, 03 settembre 2005 81 il numero che accompagna le poesie indica […] l’ordine cronologico di composizione. La struttura del libro ha determinato una successione diversa e l’esclusione della maggior parte dei testi. Il percorso svolto, tra i tanti possibili, lascia inedite più di mille poesie. L’ultimo testo della trilogia ad essere pubblicato fu Il signore degli spaventati, che uscì, per le edizioni Pegaso, nel 1992, vincendo il Premio Montale nello stesso anno. Come già per Poesie dando del Lei, l’autrice in quest’ultima raccolta dà un’indicazione temporale riguardo al periodo di stesura dei componimenti pubblicati. Questa volta le informazioni sono poste in apertura al libro, nella Premessa, dove l’autrice dichiara di avere scritto duecento “signori” : ottanta sono ne “Il signore d’oro” […], ottanta li ho scartati, quaranta eccoli qui ne “Il signore degli spaventati” . L’edizione Mondadori Poesie 1972-2002 ripropone le tre raccolte in ordine variato rispetto alla loro cronologia di pubblicazione. Nel 2002 infatti la trilogia mantiene Il signore d’oro come prima opera del gruppo, mentre inverte l’ordine delle altre due raccolte, ponendo prima Il signore degli spaventati e concludendo la triade con Poesie dando del Lei. La scelta era già stata anticipata dalla premessa all’edizione Pegaso 1992, dove si dichiarava che i testi della prima e dell’ultima opera appartenevano allo stesso periodo temporale. Modificando l’ordine nella raccolta del 2002 l’autrice ha infatti voluto ristabilire la cronologia di composizione dei testi. Le due raccolte dei Signori appartengono infatti al primo periodo dell’analisi, che va dal 1984 al 1986, mentre Poesie dando del Lei raccontano una fase successiva del percorso analitico. 82 1.1 Le edizioni La nuova edizione delle tre raccolte per la casa editrice Mondadori apporta alcune modifiche ai testi, anche se gli interventi non sono stati tanti quanto per Teresino, opera che apre la raccolta Poesie 1972-2002. La scelta di invertire l’ordine sequenziale della trilogia, preferendo rispettare l’ordine cronologico a quello di pubblicazione delle raccolte poetiche risulta essere la modifica più evidente dell’edizione 2002, ma alcune piccole correzioni vengono apportata anche ai testi di Il signore d’ore e di Poesie dando del Lei. Ne Il signore degli spaventati, invece, unica modifica rispetto all’edizione del 1992 è la soppressione dell’aggettivo nera che concludeva in modo più cupo l’ultimo verso di La signora del bosco, diventando quindi nell’edizione 2002: […] la notte stava per calarle addosso come una montagna. Per quanto riguarda la raccolta Poesie dando del Lei, la differenza è sostanzialmente grafica: nel 2002 l’inizio delle sezioni viene inidicato con un numero romano, e utilizzato il corsivo nel componimento introduttivo (come già nell’edizione 1989). Per quanto riguarda i testi poetici della raccolta, le modifiche consistono in alcune sostituzioni di vocaboli, ritenuti più adeguati al contesto e al concetto da esprimere. Nella prima sezione, il componimento Lontanissime vacanze al v.4 recitava vedevano i bellissimi mari nell’edizione 1989, mentre nel 2002 il verbo vedere è sostituito con guardavano, vocabolo caratteristico della poetica dell’autrice. Un’altra piccola correzione è apportata all’ultimo testo della raccolta, Le sue carezze. Questa volta però la scelta risulta più significativa, in quanto pur esprimendo lo stesso concetto, nel 1989 il v.2 aggiungeva la negazione davanti ad un concetto espresso in positivo, non me le concederà, mentre invece nella versione del 2002 si preferire inserire la negazione direttamente nel verbo, così che il sintagma risulti più incisivo e impossibilitante: me le negherà. 83 Infine la prima delle tre raccolte, Il signore d’oro, dove le differenze tra la versione del 1986 e quella del 2002 sono in maggior numero, fatto probabilmente dovuto anche alla pubblicazione molto vicina alla data di composizione dei testi (1984-1986). Intervento più rilevante nell’edizione 2002 è la soppressione del testo La signora allagata presente invece nell’edizione del 1989. Il signore degli orientamenti nell’edizione 1986 recitava: Gli orientamenti futuri avrebbero dovuto propendere in direzione di maggiori coccole?/ Oh naturalmente./ Maggiori coccole di maggiori baci?/ Oh sì. Sempre maggiori sempre maggiori finché la quantità a suo tempo dovuta fosse alfine raggiunta. Nell’edizione Mondadori il testo viene ridotto, con la soppressione dei vv.2-3, mentre al vocabolo coccole si preferisce il meno colloquiale affettuosità. Altre differenze intercorrono tra i componimenti delle due edizioni, ma costituite solo da alcune sostituzioni di parole. Il signore delle finestre nell’edizione Crocetti al verso conclusivo recita: I fiocchi stavano per scendere dal cielo tantissimo. Per la pubblicazione del 2002 l’autrice preferire sostituire l’aggettivo superlativo con il più enfatico a mille a mille. Sempre un aggettivo superlativo coinvolge l’intervento di modifica che sostituisce fievolissima a fiochissima. L’aggettivo ricorre nel testo per due volte, ed in entrambi i casi è stato sostituito: a conclusione del v.1 a fievolissima voce gridava e nel titolo del componimento, che così risulta diverso nelle due edizioni. Minimi accorgimenti paiono le altre modifiche per l’edizione Poesie 1972-2002: l’aggiunta dell’accento alla parola marronblu di Il signore delle barchette, l’aggiunta dell’avverbio di luogo lì nel componimento Il signore infondo al mare al v.1 (diversissimi pesci lì passavano) ed infine lo scioglimento della sigla P.S. dell’edizione 1986, che viene scritta per esteso. 84 2. La struttura Dopo la pubblicazione di Teresino l’autrice continua a raccontare di sé nella propria poesia. Cambiano però i modi. Più esplicita e articolata la vicenda personale narrata nel 1981, nelle tre opere successive Vivian Lamarque si focalizza su di un'unica esperienza, l’esperienza analitica. La dimensione privata del setting analitico si precisa ed esplicita di raccolta in raccolta. Pochi i riferimenti al contesto terapeutico ne Il signore d’oro, dove oltre alla dedica al Dottor B.M., quindi molto generica, solo nell’ultimo componimento lascia traccia di uno strano primo incontro tra la Signora e il Signore che a posteriori è facile identificare come appuntamento dall’analista: Erano un signore e una signora che si erano conosciuti lo stesso giorno. Che ore erano? Le dieci e trenta. E dove erano? Erano sotto il livello stradale di 4 o 5 gradini. E come avvenne? La signora suonò alla porta e il signore aprì.[…]. Anche Poesie dando del Lei è dedicata al Dottor B.M. la cui specializzazione medica però resta ancora nel vago. Certo aumentano i riferimenti alla realtà dello studio dell’analista, e in La sua porta sprangata compare anche il nome di Jung, indirizzo psicoterapico dell’analista B.M. E’ con la pubblicazione del 1992 che la Lamarque dichiara apertamente che lo spunto per Il signore degli spaventati, come anche per le due raccolte precedenti, è stato il suo percorso analitico. A questo riguardo Giovanni Giudici scrive in prefazione alla raccolta: Nel chiedermi di premettere un paio di pagine al suo nuovo libro, Vivian Lamarque tiene a precisarmi (così come, nella breve nota introduttiva fa sapere, direttamente, anche al Lettore) che l’occasione di queste “poesie” è da riportarsi a un’esperienza di terapia analitica junghiana. Esse sono, infatti, parte di una sezione inedita dei “materiali” da lei elaborati e trascelti per dar corpo a un altro suo libro del 1986: Il signore d’oro.140 140 G.Giudici, Un minuscolo puntino laggiù, in Il signore degli spaventati, Pegaso, Forte dei Marmi 1992, p.11 85 Dalle parole di Giudici (e dalla Premessa dell’autrice) apprendiamo quindi che i testi dell’edizione 1992 e 1986 appartengono allo stesso periodo. Il signor d’oro e Il signore degli spaventati, oltre al periodo cronologico, sono associabili per l’organizzazione dei testi al loro interno e per l’elaborazione del materiale “poetico”, per non parlare dei titoli modello uno dell’altro dove a cambiare è solo l’attributo riferito al signore, d’oro nella prima raccolta, degli spaventati nell’ultima. Pur trattando la stessa tematica, Poesie dando del Lei si distanzia invece dagli altri due testi, per stile, struttura oltre che per il titolo. In tutte le raccolte viene così posto in primo piano il rapporto col proprio analista, e di conseguenza assumono importanza anche le esperienze vissute da Vivian nel presente dell’analisi e nell’attualità della propria storia personale, filtrate dagli occhi della paziente del Dottor B.M. 2.1 Il signore d’oro La raccolta del 1986, Il signore d’oro, raccoglie ottanta poesie e si divide in tre parti disomogenee tra loro per quantità di componimenti contenuti. Il filo conduttore che struttura invisibilmente tutta la raccolta è una persona di cui Vivian Lamarque tace il nome ma scrive le iniziali (con dedica) nella prima parte del volume: al Dottor B.M. La prima parte de Il signore d’oro, nonché la più lunga, è dedicata al signore, già nominato nel il titolo della raccolta, la seconda, più breve, parla della signora per infine concludere con un’ultima brevissima parte riguardante entrambi, il signore e la signora. L’opera risulta quindi suddivisa a seconda di quale tra i due personaggi del signore e della signora è il protagonista dei componimenti della sezione. Sebbene la maggior parte dei testi sia dedicata al signore, anche se la signora, essendo sempre presente, è in realtà una co- 86 protagonista: è lei infatti ad essere innamorata del signore d’oro, a idealizzarlo, a sognarlo, ad aspettarlo. Il signore d’oro è anche il titolo di un componimento della raccolta: Era un signore d’oro. Un signore d’oro fino, zecchino. Per il suo carattere duttile e malleabile, per il suo caldo dorato colore, per il luccichio dei suoi occhi, era un signore molto ricercato […]. 87 Questo il personaggio maschile protagonista della raccolta alter ego immaginato dell’analista Dottor B.M. Ma il signore d’oro è il Lontano, come recita la raccolta in apertura col testo programmaticamente intitolato Il signore mai: Era un signore bello e meraviglioso. Vicino a lui non si poteva stare sempre sempre, bensì mai. Co-protagonista è una signora che voleva tanto bene a un signore141 e che in tutta la raccolta fa di tutto per poter far si che il suo amore per il signore venga ricambiato, senza però riuscirci. Composta da cinquantotto componimenti, la prima parte vede come protagonista il signore. Ogni testo ripropone insistentemente il nome signore, seguito da attributi caratterizzanti che lo raccontano nei modi più svariati e contraddittori. Il signore mai del primo testo già nel terzo diventa Il signore qui, per poi ritornare Il signore intoccabile, Il signore lontano, Il signore andato via. La sezione non sembra seguire un vero e proprio ordine, quanto piuttosto una serie di fantastiche evoluzioni e peripezie dell’immaginazione dell’autrice che gioca ogni volta a porre il signore ovunque: sulla luna, in un nido, su un treno, in una stanzetta o in una scatolina, in un cinema, in uno studio pieno di verdi prati e ruscelli, tra le stelle e così via. L’autrice spiega la natura dei propri componimenti proprio in un testo della raccolta, Il signore sognato, dove chiarisce: Splendidissima era la vita accanto a lui sognata. Nel sogno tra tutte prediletta la chiamava. E nella realtà? La realtà non c’era, era abdicata. Splendidissima regnava la vita immaginata. Continua nella stessa direzione fantastica la seconda parte della raccolta. Nessun titolo di sezione o spazio bianco indica l’inizio di una nuova parte, ma i componimenti cambiano protagonista. Sono venti i componimenti ce hanno come protagonista la signora, e che ci mostrano l’innamorata che nella prima sezione guardava il signore amato, ovvero Vivian. La situazione non cambia, a 141 V.L., La signora della neve, in Il signore d’oro, Crocetti, Milano 1986, p.67 88 nulla servono le mille peripezie della signora per conquistare l’amore del signore perché nonostante lei volesse tanto dargli dei baci, non dico troppi, anche solo 7-8 (mila)/ invece non si poteva perciò non glieli dava anche se non può non chiedere infastidita a cosa servono i baci se non si danno? Anche in questo caso i titoli ai testi riportano appellativi diversissimi e immaginosi per descrivere la signora: la signora mulinello, la signora passerotto, la signora dei fiori, la signora fievolissima, la signora della neve, la signora della valigetta e altre signore ancora. Finalmente nella terza e ultima parte i due personaggi si ritrovano protagonisti dello stesso testo, unico della sezione. Ma l’unione da Vivian tanto desiderata si realizza solo nel titolo del componimento, Il signore e la signora, descrizione di uno strano primo incontro, un appuntamento in un luogo sotto il livello stradale di 4 o 5 gradini./ La signora suonò alla porta e il signore aprì./ E dopo? chiede incuriosito l’interlocutore alla voce narrante. Ma la storia rimane in sospeso, o forse riprende da capo, in modo circolare e indeterminato, come appare la storia del signore e della signora narrata in quest’opera. 2.1.1 Post Scriptum Segue l’ultimo componimento e conclude la raccolta un Post Scriptum, dove né il signore né la signora sono più protagonisti. La poesia, intitolata Il bambino delle cantine, ripropone un testo che sembra una reminescenza del mondo dei bambini narrati in Teresino. Come in tutta la raccolta de Il signor d’oro, anche quest’ultimo testo ripropone la tematica amorosa, ma in modo diverso, quasi parodia della raccolta stessa. A differenza del signore intoccabile a cui è proibito dare baci, questo bambino dava baci a tutte le bambine. Ma il bambino avendo bevuto tanto vino, era un bambino ubriachino. La conseguenza dell’essere ubriaco non è il barcollare, bensì proprio l’affettuosità verso le altre bambine. Forse anche il Dottor B.M. se bevesse troppo vino darebbe qualche bacio all’innamorata paziente? Certo è che questa ipotesi non 89 può eliminare il non innamoramento del dottore. La breve poesie concludendosi con nelle cantine, propone un luogo che ricorda lo studio del Dottor B.M., che proprio nel componimento conclusivo è detto essere sotto il livello stradale di 4 o 5 gradini, come la cantine. 2.2 Poesie dando del Lei Settantacinque brevi testi compongono la raccolta Poesie dando del Lei. La scena, dove appunto il paziente e il dottore si danno del lei, è esplicitamente una scena medica, se non ancora dichiaratamente analitica. La raccolta è divisa dall’autrice in due sezioni che prendono il titolo dal componimento proposto in apertura di ogni parte: Il mio Dottore è sparito e Il mio Dottore è gentile. Il libretto racconta la storia di una relazione impossibile di una donna innamorata con un uomo che non ricambia il suo sentimento amoroso. La tematica è quindi la stessa de Il signore d’oro, così come anche i personaggi dei brevi testi continuano ad essere Vivian e il suo analista, a cui rivolgendosi dà appunto del Lei. Ma in Poesie dando del Lei non si parla più in modo vago di un signore e di una signora, come invece nella raccolta del 1986. Ora ognuno viene nominato col suo nome: Vivian e Dottore. In più di un’occasione nella raccolta ritorna il nome dell’autrice, oltre che alle frequenti allocuzioni al Dottore. Lei con sapienza mi ha curata/ sono la Sua Vivian/ quasi risanata142 scrive l’autrice al suo caro Dottore con la lettera maiuscola, nome proprio dell’analista nel gioco interlocutorio dei componimenti. La storia appare più strutturata rispetto alla raccolta precedente, infatti i testi non sono divisi a seconda del personaggio che agisce nel testo, ma seguono l’evolversi della rielaborazione dell’innamoramento che Vivian vive in conseguenza del transfert. 142 V.L, Per il suo compleanno, in Poesie dando del Lei, Garzanti, Milano 1989, p.35 90 Il mio Dottore è sparito/ tra Ponente e Levante/ io mi affaccio e lo cerco e lo chiamo/ come un amante. Così si apre la prima sezione, mettendo da subito in chiaro il tema della raccolta. Il Dottore è come un amante per Vivian, ma solo nei suoi desideri, infatti non risponde alle sue parole di innamorata, e anzi, è da subito definito assente, sparito. Nei cinquantasei componimenti di questa prima parte si narra quindi dei tentativi, delle suppliche, degli espedienti che Vivian cerca per far innamorare di sé il suo analista. La consapevolezza dell’impossibilità della relazione non riesce a disilludere la paziente. La seconda sezione della raccolta, molto più breve della precedente, si compone di diciannove testi. Cambia l’atteggiamento dell’innamorata protagonista, che ormai sembra intenzionata a farsi una ragione della situazione impossibilitante in cui l’innamoramento ha avuto luogo: il setting analitico. Questa impossibilità però non ristabilisce l’equilibrio sentimentale della paziente, la quale ai continui slanci vitali della prima sezione fa seguire la reazione esattamente antitetica: il tema della morte si insinua nella narrazione. Il mio Dottore è gentile,/ ma io vorrei morire scrive la Lamarque nel breve testo che introduce la seconda parte. La sezione però non risulta drammatica, infatti continua la consapevole ironia che caratterizza tutta la raccolta. Comunque i testi si velano di una sottile malinconia, creata appunto da quell’impossibilità di realizzazione di un sentimento apparentemente così sentito, se non fosse per la consapevolezza di stare vivendo il transfert d’amore per il proprio psicanalista. Tutti i testi dell’opera sono proposti senza titolo, ma conclude la raccolta un testo che fa eccezione: Le sue carezze. Questo testo porta alle estreme conseguenze la storia dell’impossibile amore tra Vivan e il Dottor B.M: Se il tempo terrestre/ me lo negherà/ chiederò il favore alle mani/ dell’Eternità. La paziente conclude così cercando di trovare un escamotage per riuscire a superare l’impossibilità ultima, ossia la morte e ironizzando sembra quindi aver trovato un modo, così che la raccolta può concludersi senza più tensioni. 91 2.2.1 Goethe Apre Poesie dando del Lei una citazione del Faust di Goethe: Margherita… Dov’è? L’ho udito chiamare! Che prelude all’ironia dei componimenti della raccolta, che si apre proprio con la ricerca del Dottore: Il mio Dottore è sparito143. Così con un generico paragone tra il rapporto di Faust e Margherita l’autrice riesce a sintetizzare molti degli aspetti che caratterizzano la relazione tra il Dottore e la paziente. Il frammento riportato dalla Lamarque è tratto dall’Ester Teil, la prima parte del Faust.144 Durante il periodo del patto con Mefistofele, Faust si avvale dell’aiuto di questo per sedurre una ragazza bella e innocente, Margherita, la cui vita verrà distrutta proprio dall’amore per Faust. Il dramma di Margherita inizia con la 143 V.L, Il mio Dottore è sparito, ivi, p.9 Il Faust fu scritto da Gothe in tre momenti successivi. l'Urfaust, scritto tra il 1773 e il 1775, influenzato dalle rappresentazioni del Faust di Christopher Marlowe, appartiene culturalmente alla corrente letteraria tedesca dello Sturm und Drang e venne pubblicato, con alcune aggiunte, nel 1790 con il titolo di Faust. Ein Fragment. Nel 1808 , nella corrente letteraria del classicismo, Goethe pubblicò l’Erster Teil, o Faust. Prima parte. Nel prologo in cielo Mefistofele (un diavolo) vuole scommettere con Dio che riuscirà a portare alla perdizione l'integerrimo medico-teologo Faust; Dio non accetta la scommessa (essendo Dio, non si abbassa a scendere a patti né a scommettere con alcuno) ma gli dà il permesso di tormentare Faust, così che il dottore non sia mai indotto a riposarsi o arrendersi. Dio sa che Faust è un uomo buono ed è fiducioso che si salverà comunque. Così Mefistofele appare a Faust promettendogli di fargli vivere un attimo di piacere tale da fargli desiderare che quell'attimo non trascorra mai. In cambio avrebbe avuto la sua anima. Faust è sicuro di sé: tale è la sua brama di piacere, azione e conoscenza, che è convinto che nulla mai al mondo lo sazierà tanto da fargli desiderare di fermare quell'attimo. Mefistofele gli fa conoscere la giovane Margarete (Margherita) - detta Gretelchen (Margheritina) e Gretchen (Greta) - la quale si innamora perdutamente di Faust, inconsapevole del fatto che lo slancio (in tedesco Streben) che ispira Faust è nient'altro che il dominio della materia e la ricerca del piacere. La sorte di Margherita sarà tragica. Del 1832 è infine il Faust. Zweiter Teil, o Faust. Seconda parte, nel quale si celebra l'unione tra letteratura classicistica e mondo classico. Faust seduce e viene sedotto da Elena di Troia. Hanno un figlio, Euforione (nel mito, figlio di Elena e Achille), destinato, però, a morire giovinetto. In seguito, preso da nostalgia e rimpianti (ripensa a Margherita, Elena ed Euforione) Faust si stabilisce in un appezzamento costiero, applicandosi costantemente per bonificare la zona. È molto vecchio ormai, e l'Angoscia (un diavolo che personifica la depressione) lo tenta continuamente, e per farlo cadere nello sconforto lo priva della vista. Ma Faust non si abbatte neanche nella cecità. Immaginando un futuro roseo dove un popolo laborioso e libero avrebbe realizzato grandi opere per la propria felicità, Faust afferma che, se fosse vissuto tanto da vederlo, avrebbe desiderato che quell'attimo si fermasse. Mefistofele non capisce, e crede che Faust stia davvero chiedendo a quell'attimo di fermarsi. Perciò, fa morire Faust, convinto di aver vinto la scommessa. Mefistofele reclama la sua anima, che però sale al cielo per il suo costante impegno a favore del bene e della società. Nel finale, un angelo spiega il motivo per il quale Faust è stato salvato: la sua continua aspirazione all'infinito. 144 92 decisione della ragazza di darsi a Faust. Il mondo di Margherita è semplice e idilliaco, stridente e incompatibile col mondo di Faust, il quale creerà la distruzione di quella piccola società protettiva. Per permettere l’incontro amoroso Faust le dà delle gocce da mettere nella bevanda della madre affinché dorma, ma il narcotico troppo potente uccide la madre della ragazza. Anche Valentino muore, il fratello maggiore di Margherita, ucciso da Faust perché non svergogni pubblicamente la sorella. A causa dell’omicidio Faust è costretto a fuggire dalla città e Margherita si ritrova sola, proprio a causa di quell’amore che le aveva fatto superare tutte le barriere: la differenza sociale, religiosa, il ritegno morale per una notte d'amore senza matrimonio. La citazione che la Lamarque riporta in Poesie dando del Lei riguarda il momento in cui Faust scopre che Margherita è in prigione e vuole farla fuggire. Ormai il protagonista non è più innamorato della ragazza, da qui l’analogia con la situazione tra l’autrice e il suo analista. E proprio come il Dottor B.M. Faust salva la ragazza dal carcere, ma non per amore, bensì per il suo dovere di uomo, oltre che per pietà. Come Margherita anche Vivian capisce che il suo amore non è realizzabile e che l’amato non ricambia l’amore. Ma il finale tragico di Margherita è ripreso con ironia dalla Lamarque. In Margherita comincia ad affiorare il senso dell'errore commesso, perciò non vorrà seguirlo e dichiarerà la sua volontà di espiazione, che le permetterà di salvarsi dall’inferno. Ma quando vede Mefistofele alle spalle di Faust sente che lui, l’uomo amato, è perduto, e l’invocazione finale "Heinrich, Heinrich!", ossia il nome dell’amato Faust, è la promessa di un amore dopo la morte. Con altri toni rispetto alla tragedia di Goethe, la Lamarque ripercorre le tappe vissute da Margherita, dalla prima sezione dove l’amore potrebbe realizzarsi, alla seconda, dove la mancanza dell’amato è anche vicinanza della morte per infine concludersi con un personalissimo “Heinrich!Heinrich!”, Le sue carezze, chiedendo così di potersi amare nell’Eternità. 93 2.3 Il signore degli spaventati Edito nel 1992 dalla casa editrice Pegaso il sottile libretto si compone di quarantuno brevi testi; l’opera raccoglie brani composti tra il 1984 e il 1986 e rimasti inediti dopo la pubblicazione della raccolta del 1986. Il signore degli spaventati forma così con Il signore d’oro un dittico coerente e conseguente, nei cui testi si susseguono le peripezie della signora per conquistare l’inconquistabile signore, e insieme con Poesie dando del Lei una trilogia sull’esperienza di analisi e di transfert. Come ne Il signore d’oro, anche nel 1992 la Lamarque mantiene la divisione dei testi a seconda del protagonista, in modo tale da dividere la raccolta in due parti, la prima dedicata al signore e la seconda alla signora. Rispetto alla prima raccolta però, nei testi pubblicati nel 1992 il desiderio della signora di stare accanto al signore è meno favoloso e più complesso e articolato, incupito dal clima generale della raccolta degli spaventati. Apre la raccolta la poesia I bambini persi, che riporta il lettore nel fitto del bosco dove le stelle erano gli occhi dei lupi e la luna le fauci dei lupi, in boschi bui e spaventosi come quello in cui i genitori avevano abbandonato Pollicino della raccolta Teresino. I bambini persi erano spaventati? chiede l’interlocutore alla voce narrante, riprendendo l’attributo spaventati che già caratterizza il signore del titolo della raccolta, e a questa domanda il narratore risponde affermativamente. Così fin dall’inizio della raccolta si ha la conferma che Il signore degli spaventati sia quel signore che risponde alle richieste di aiuto dei bambini, o dei pazienti, che persi chiamavano/ per essere trovati e spaventati chiamavano tanto./ Svegliavano gli animali addormentati nel bosco. Lo spunto alla composizione dei testi è ormai palese, rivelato dall’autrice nella Premessa e dalla Prefazione di Giovanni Giudici. Così ancora più esplicito appare il componimento Il signore di fronte che apre la prima sezione: 94 Era un signore seduto di fronte a una signora seduta di fronte a lui. Alla loro destra-sinistra c’era una finestra, alla loro sinistra-destra c’era una porta. Non c’erano specchi, eppure in quella stanza, profondamente, ci si specchiava. Questo il primo dei ventuno testi che compongono la prima parte, in cui il signore si ripropone per ventun volte in vesti diverse, anticipate dai sintetici titoli: Il signore degli spaventati, il signore degli dei, il signore delle trappole, il signore che faceva male, titoli molto più spaventati rispetto agli allegri e luccicanti testi di Il signore d’oro, anche se in alcuni componimenti ritorna uno scenario meno cupo, come in Il signore puntino, Il signore della lavanda, Il signore del cuore. Ma è proprio la profondità del rispecchiamento raccontato nel primo componimento a permettere che i sentimenti spaventati e inquieti di Vivian trovino nello studio analitico il luogo riparato da cui affrontare il difficile mondo. Di nuovo i testi si succedono senza un vero e proprio ordine logico, ma piuttosto analogico. Così Il signore degli spaventati, che aveva una stanza grande e una stanza piccola, introduce il testo successivo, Il signore degli dei, dove l’autrice scrive più dettagliatamente di quella stanza piccola introdotta nel testo precedente; su dati uditivi si fondano Il signore della caravoce e Il signore delle aquile, dove alla bellezza della voce del signore del primo testo si contrappone, nel secondo, il fragore spaventoso dei tuoni; Il signore della lavanda racconta di due figlie del signore, e nel componimento successivo la Lamarque scrive come avrebbe voluto essere nipote cugina sorella figlia di quel signore145. La sezione dedicata al signore si conclude con l’inserimento di un altro personaggio, nuova proiezione di Vivian, una vecchina che aveva cento anni ma non li dimostrava. Anche lei, come la signora, è innamorata del signore, ma con più pudore nasconde il sentimento, data la sua età: la vecchina voleva segretamente bene al signore della febbre ma, poiché aveva cento anni, pudicamente non lo rivelava.146 145 V.L., Il signore non parente, in Il signore degli spaventati, Pegaso, Fonte dei marmi 1992, p.25 146 V.L., Il signore della febbre, ivi, p.35 95 La sezione della signora, coi suoi diciassette testi, si apre con un’immagine già di Teresino, il bosco. Sembrava un bosco facile ripete l’autrice, ma quella signora non riusciva a uscirne più./ Il cuore le batteva a mille a mille, il sentiero era finito su se stesso, la notte stava per calarle addosso come una montagna nera.147 Per tutta la sezione a titoli come La signora del parasole, La signora felice, La signora della primavera, La signora libera, si alternano titoli più cupi e spaventosi, come già nella sezione precedente accadeva al signore. Con La signora e l’inverno torna anche in questa sezione il personaggio della vecchina che aveva già fatto il suo ingresso nella raccolta nella parte sui signori. Come nella raccolta del 1986, anche Il signore degli spaventati si conclude con un testo in cui i due protagonisti si incontrano, Il signore e la signora stelle, ma piccola variatio rispetto al modello de il signore d’oro, nel 1992 l’autrice pone il componimento Il signore e la signora anche al termine della prima parte della raccolta, che anticipa il componimento finale, concludendosi parlando di stelle. 2.3.1 Dichiarazione setting analitico: Premessa e Prefazione Decisa a trasformare la sua esperienza di dolore in metafora poetica, la Lamarque ha insistito a raccontare in versi l’innamoramento per il suo terapeuta pubblicando di recente da Pegaso Il signore degli spaventati, raccolta di poesie che completa una trilogia psicoanalitica, dopo Il signore d’oro (Crocetti) e Poesie dando del Lei (Garzanti)148, si legge su La Repubblica in una recensione all’ultima pubblicazione della trilogia. Nonostante alcuni accenni all’esperienza di analisi junghiana vissuta dall’autrice compaiano già ne Il signore d’oro e in Poesie dando del Lei, solo 147 148 V.L., La signora nel bosco, ivi, p.37 L.Sica, Mio caro dottore abusi pure di me, in “La Repubblica”, 30 gennaio 1993 96 con la pubblicazione de Il signore degli spaventati Vivian Lamarque dichiara apertamente la reale fonte di ispirazione dei componimenti raccolti nei tre testi. L’informazione al lettore è chiara e ribadita sia nella premessa che nella prefazione. Apre la raccolta la Premessa firmata con le iniziali dell’autrice. Parla dell’analisi junghiana, indirizzo psicoterapico già accennato in Poesie dando del Lei, cominciata tra il 1984 e il 1986, data che già aveva accompagnato il titolo de Il signore d’oro come riferimento cronologico per la composizione dei testi allora pubblicati. Nella breve introduzione la Lamarque parla anche del suo dottore, il Dottor B.M. a cui la trilogia è dedicata, spiegando: scrivevo ogni giorno al mio Dottore lunghissime lettere. Invitata a diminuirne il numero, un po’ ubbidendo un po’ disubbidendo, scrissi duecento “signori” (con qualche “signora” qua e là). Inoltre dichiara anche la comune origine dei testi della prima e dell’ultima raccolta pubblicate sul tema psicoanalitico: ottanta sono ne “Il signore d’oro” (Crocetti 1986), ottanta li ho scartati, quaranta eccoli qui ne “Il signore degli spaventati”. Conclude il breve testo un ulteriore chiarimento, il senso della parola spaventati posta accanto al signore, che tutt’altre caratteristiche pareva avere nel titolo della prima raccolta su di lui, dove era detto d’oro. A questo riguardo parlando dei brani che compongono l’ultima opera della trilogia scrive: lo so, sono ossessivi, impauriti, un po’ infantili e assillanti come anch’io allora ero. E conclude: per questo li dedico a tutti gli spaventati. Firmata da Giovanni Giudice, la Prefazione a Il signore degli spaventati si intitola un minuscolo puntino laggiù, richiamandosi all’ottavo brano della raccolta della Lamarque, Il signore puntino, dove proprio gli ultimi versi recitano: il signore diventava sempre più piccolo, ormai era quasi del tutto irriconoscibile, eppure lei lo riconosceva benissimo, anche sottoforma di puntino laggiù. 97 Nel componimento, parlando della brevità degli incontri tra il signore e la signora, l’autrice si riferisce alle sedute col Dottor B.M. e così ecco che già dal titolo Giovanni Giudici riprende il contesto analitico della raccolta. Anche nella Prefazione fin da subito è messa in chiaro l’intenzione dell’autrice di parlare apertamente del proprio percorso di analisi, spunto alla composizione dei testi delle tre raccolte. Nel chiedermi di premettere un paio di paginette al suo nuovo libro, scrive Giovanni Giudici, Vivian Lamarque tiene a precisarmi (così come, nella breve nota introduttiva fa sapere, direttamente, anche al Lettore) che l’occasione di queste “poesie” è da riportarsi a un’esperienza di terapia analitica junghiana. Esse sono, infatti, parte di una sezione inedita dei “materiali” da lei elaborati e trascelti per dare corpo a un altro suo bel libro del 1986: Il signore d’oro. 2.4 Le dediche al Dottor B.M. Tutte le opere della trilogia hanno uno stesso dedicatario, il Dottor B.M., psicanalista di Vivian Lamarque, dal 1984 per circa vent’anni. La raccolta del 1989 aggiunge anche la madre, ulteriore riferimento all’esperienza di transfert vissuta e al ruolo che rivestì l’analista per l’autrice: il mio dottore ha rappresentato tutte le madri e tutti i padri che avevo perso per strada149, racconta infatti in un’intervista. Al dottor B.M. recita in apertura la raccolta Il signore d’oro, con la dedica al dottor B.M. e a mia madre inizia Poesie dando del Lei mentre al Dott. B.M. si ribadisce in Il signore degli spaventati con un’aggiunta, un’ironico (ancora) consapevole dell’insistenza ossessiva dei componimenti (come infatti l’autrice dichiara nella premessa al volumetto del 1992). Il dottor B.M. analista junghiano, non gradiva che le poesie della sua paziente Vivian Lamarque fossero puntualmente dedicate alla sua austera persona e date alla stampe. La “materia analitica” ripeteva inutilmente,” dovrebbe sempre rimanere privata”. Ma il dottor B.M., seppure a malincuore, col tempo ha dovuto rassegnarsi.150 149 150 Ibidem Ibidem 98 Dedicatario e protagonista della raccolta, insieme a Vivian, il dottor B.M. è così la fonte d’ispirazione per le tre raccolte, che narrano dell’impossibile amore che la paziente provò durante l’analisi per il suo psicanalista vivendo un “classico psicoanalitico”, il transfert. La trilogia sul transfert amoroso dell’autrice non poteva che avere come dedicatario l’oggetto del proprio transfert. 99 3. Contenuti 3.1 Il Transfert L’esperienza analitica e la dimensione privata del setting analitico sono narrate nelle tre raccolte che Giuliana Petrucci ha definito trilogia sul transfert (amoroso) in analisi151. Il problema di fondo che esse affrontano è quello del transfert, o traslazione analitica, a riguardo del quale Rossana Dedola spiega: come risulta dal Glossario dei termini junghiani, per transfert e controtransfert si intende la “particolare modalità di proiezione comunemente usata per descrivere il legame emotivo inconscio che nasce tra due persone in una relazione analitica o terapeutica”.152 Come si capisce dalla definizione, nella relazione di transfert il rapporto con l’analista è in primo piano come di primaria importanza risultano anche le esperienze che vengono vissute nel presente dell’analisi e nell’attualità della propria storia personale, che vengono dal paziente proiettate nel contesto analitico. Anche l’esperienza terapeutica di Vivian Lamarque, narrata nelle tre raccolte dedicatele, è giocata sul sentimento d’affetto e d’amore provato per l’analista e sull’inevitabile dell’impossibilità frustrazione di quella conseguente alla relazione amorosa presa tanto di coscienza desiderata. Dell’impossibilità di questo amore si rende conto l’autrice stessa, che infatti dal Il signore d’oro e Il signore degli spaventati a Poesie dando del Lei cambia tono e modi di raccontare dell’innamoramento. In quest’ultima raccolta, l’autrice tratta l’argomento in modo più diretto e consapevole, oltre che con molta più ironia, arrivando in fine ad ammettere a se stessa il perché del distacco del Dottor B.M., il signore mai, a cui non si poteva 151 G.Petrucci, Il sonno di Alice: l’enunciazione del transfert nella poesia di Vivian Lamarque, in “Italianistica”, cit., p.89 152 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi novecenteschi”, n.41, giugno 1991, p.225 100 stare sempre sempre153 vicini, e di cui nella prima raccolta scriveva nei sogni baciabilissimo, intoccabile come un filo scoperto nella realtà, era quel signore.154 Credevo non mi amasse/ perché è vietato/ forse invece non mi ama/ perché non è innamorato155 ammette lucidamente in Poesie dando del Lei, ma prima di arrivare a questa ammissione, le altre due raccolte della trilogia propongono un’alternanza continua tra l’illusione di poter realizzare il proprio amore per il Dottore, e la delusione per la di lui distanza e “freddezza” amorosa. Una signora si innamorava sempre di più e un signore si innamorava sempre di meno./ Era tutto il contrario di un amore corrisposto, scrive in Il signore della scaletta, dove proprio la scaletta dovrebbe essere l’escamotage per raggiungere eventualmente l’altissimo letto del signore, permettendo così la realizzazione di quell’amore irraggiungibile. Anche in il signore meno ammette la distanza affettiva dell’analista amato: Ognuno era più innamorato di lui. Non sentiva la tua mancanza, non gli venivi mai in mente, non ti veniva a trovare, non ti faceva mai una telefonatina, non ti scriveva da nessun luogo, non ti accarezzava minimamente. Almeno dava baci? Mai. Nessuno era meno innamorato di lui. Era il meno innamorato di tutti i signori del mondo. Queste constatazioni della resistenza del Dottore ad amare la sua paziente non frenano però Vivian nei suoi tentativi di conquistarlo con mille attenzioni, regalini, bigliettini, poesie, ricordando l’ossessività fantasiosa di L’amore mio è buonissimo della raccolta Teresino. Nel 1981 all’amore mio la Lamarque scriveva di aver messo sotto il tergicristallo dell’amore mio un bigliettino156, di volergli regale una poltrona, perché la sua non è molto comoda157, e poi anche di potergli fare tanti piaceri/ per esempio commissioni in centro/ o battere a macchina/ o delle altre cose anche se un po’ noiose/ come per esempio fare le code158. Così anche nella trilogia Vivian porta al suo signore regali addirittura 153 V.L., Il signore mai, in Il signore d’oro, cit., p.9 V.L., Il signore intoccabile, ivi, p.20 155 V.L., Credevo non mi amasse, in Poesie dando del Lei, cit., p.54 156 V.L., Io un giorno ho messo, in Teresino, Società di Poesia & Guanda, Milano 1981, p.13 157 V.L., L’amore mio non ha una poltrona molto comoda, ivi, p.13 158 V.L., All’amore mio mi piacerebbe fare tanti piaceri, ivi, p.13 154 101 ne Il signore della lettera il regalo è Vivian stessa: a un signore per le vacanze partito una signora inviò in fretta in fretta una lettera con dentro- se stessa. Con l’esuberanza di una bambina felice la signora di lui innamorata esclama Buonapasqua buonapasqua159 e in un altro componimento ammette che Gli scriveva lunghi foglietti che il signore leggeva meticolosamente, prima di accantonare.160 Anche in Poesie dando del Lei sono molti i regali che la paziente fa al suo dottore, nel tentativo di conquistarne se non l’amore almeno l’affetto: Millissimi uccellini/ io Le mando!161; Conoscessi il punto esatto/ dove comincia il cielo/ immediatamente mi ci recherei/ a prenderne un pezzetto da recapitarLe –con fiocco162; Attraverso il suo finestrino abbassato/ un furtivo sacchetto di pane fresco fresco/ ho infilato…163 Un intero testo è dedicato all’elenco dei regali per l’amato (una simile lista compariva anche in Teresino, nel testo dedicato a G. e intitolato emblematicamente Regali di Natale): In dote io Le porto foglioline di salvia e di rosmarino più mille poesie circa più quello stralunato ritrattino tutto qui? no anche un fiore con dentro un’ape in velo da sposa più una goccia di miele più una spina di rosa tutto qui? no anche il resto del modo più un cielo gentile più i colori che vuole più il doppio della metà di tutto il mio cuore.164 A proposito di questi continui piccoli regali e pensieri per il Dottor B.M., l’autrice in un’intervista racconta: 159 V.L., Il signore della Pasqua, in Il signore d’oro, cit., p.57 V.L., La signora dei foglietti, ivi, p.76 161 V.L., Millissimi uccellini, in Poesie dando del Lei, cit., p.15 162 V.L., Conoscessi il punto esatto, ivi, p.25 163 V.L., Sorpresa!, ivi, p.37 164 V.L., In dote Le porto, ivi, p.63 160 102 All’inizio lui, il mio analista, era la mamma e io- proprio come una bambina che vuole disperatamente essere amata, gli portavo di tutto: fiori, rami, sassolini, pane, latte, disegni, piantine, giocattoli dell’infanzia. E soprattutto lettere e poesie…165 La complessità dei sentimenti provati dalla Lamarque durante la terapia nei confronti del proprio analista non si limitano così al solo innamoramento per il Dottor B.M. Il mio Dottore ha rappresentato tutte le madri e tutti i padri che avevo perso per strada. Una catena di separazioni, di lutti, che mi rendeva la vita insopportabile166 dichiara l’autrice. Spaventosissimi tuoni, ma sotto quel signore si stava quieti, bene, non c’erano paure. Nessuna nessuna? Nessuna. Come sotto le grandi ali delle aquile, gli aquilotti.167 Per quanto riguarda il ruolo materno assunto dall’analista durante la prima fase della terapia, Rossana Dedola parla degli studi dello psicoanalista inglese Donald W.Winnicott a proposito dell’importanza nell’infanzia di un oggetto transazionale, un “oggetto non me” che permetta al bambino di imparare a distinguere tra l’io ed il tu, oltre che affrontare positivamente l’esperienza della solitudine conseguente al distacco dal forte legame che da neonato aveva con la madre. La figura del signore, ne Il signore d’oro e ne Il signore degli spaventati, sembra avere proprio tale funzione, permette alla signora di esprimere i propri desideri, le proprie angosce, le attese, le disillusioni in un dialogo con se stessa oltre che con l’analista e anche di poter accettare le frustrazioni a cui si è sottoposti dalla distanza obbligata del setting. Fra l’analista lontano e la signora sola si apre uno spazio riempito dai foglietti di poesie che la voce innamorata, parlando con se stessa, gli dedica. Così il tipo di rapporto che unisce il signore alla signora è il “materno buono” che fornisce un adeguato oggetto transizionale di Winnicott, con cui si cerca un contatto, attraverso gesti minimi, regalini, pensierini come quelli dei bambini. 165 L.Sica, Mio caro dottore abusi pure di me, in “La Repubblica”, 30 gennaio 1993 Ibidem 167 V.L., Il signore delle aquile, in Il signore degli spaventati, cit., p.21 166 103 Esplicita diventa la funzione materna dell’analista nella raccolta Poesie dando del Lei, dove appunto il testo si apre con la doppia dedica all’analista e alla madre. Testo chiave per questo tipo di transfert è Amante Neonata dove la Lamarque scrive succhia l’uomomamma perdutamente, dove l’uomomamma è evidentemente il Dottor B.M. Attraverso il succhiare il latte l’oggetto buono può finalmente essere incorporato: il transfert ha reso possibile vivere e simbolizzare l’esperienza primaria.168 Il transfert materno è stato una fase della terapia della Lamarque, la quale racconta che successivamente e lentamente il rapporto è mutato, il dottor B.M. è diventato un padre onnipresente pronto ad aiutare e proteggere la bambina Vivian. Proprio bambina si definisce in un testo de il signore d’oro, Il signore e la bambina, dove il signore raccoglie da terra una microscopica bambina per poi cullarla, come il vento una fogliolina. Ma l’affettuosità della figura paterna subisce un ulteriore evoluzione per infine svilupparsi in un vero e proprio transfert d’amore, che occupa la maggior parte dei testi delle tre raccolte. Completamente inebriato, quel fiorellino annusava quel signore. Era un signore profumato? Sì, era un signore come un prato169 scrive l’innamorata signora che stava diventando gelosa ma non lo diventò se non pochissimo170 di un’altra signora, la moglie dell’analista, che è detta beata perché la notte di Natale stava sempre sempre con quel signore. Non non primo quel signore era l’ultimo, suo amore ammette ne Il signore ultimo171 e lei innamoratamente, mentre lui leggeva lo guardava.172 Infine in Poesie dando del Lei il transfert si è erotizzato, pur conservando tratti infantili. -Non si spaventi immediatamente/ se ora Le dico/ Vivian La desidera fisicamente/-Fisicamente?/ -Sì, il sangue mi è entrato nella mente dice sfacciatamente al suo analista, chiedendogli ancora 168 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi novecenteschi”, cit., p.238 169 V.L., Il signore profumato, in Il signore d’oro, cit., p.12 170 V.L., La signora non gelosa, ivi, p.69 171 V.L., Il signore del trono, ivi, p.61 172 V.L., Il signore naturale, ivi, p.47 104 Caro Dottore basta distanza varchiamo La prego il confine della stanza. 3.2 Setting analitico junghiano Il punto di riferimento teorico del Dottor B.M. è la psicologia analitica junghiana, la quale più che recuperare il passato nel presente cerca di cogliere l’orientamento attuale della personalità, rifacendosi beninteso anche alla storia passata dell’individuo, ma per inserirla in un prospettiva, in una direzione futura, secondo le indicazioni che provengono dall’inconscio.173 Unico riferimento all’ indirizzo junghiano della terapia è in un componimento di Poesie dando del Lei nel quale l’autrice descrivendo lo studio del dottor B.M. nell’elenco degli oggetti raccolti nella stanza inserisce anche il nome di Jung: La sua porta sprangata era spalancata, il sole entrato si guardava attorno: piantine una (l’altra trasferita) finestre tre (su una formica) coccodrilli e draghi (forse riprodotti) simboli alchemici, Jung forme di vita il sole entrato si guardava attorno: piccoli dei, Mozart mobili di navi onde dolori amori 173 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi novecenteschi”, cit., p.225 105 quasi vita.174 Poco nominata nei testi delle raccolte, la scuola junghiana è sempre esplicitamente nominata nelle interviste, così come nella premessa al volume del 1992, Il signore degli spaventati dove l’autrice dichiara la fonte di ispirazione dei suoi testi, scritti durante la terapia analitica junghiana.175 Nelle tre raccolte della Lamarque è centrale il rapporto di Vivian, la paziente, con il proprio analista, il Dottor B.M., a cui è infatti dedicata la trilogia. L’importanza della loro relazione è evidente sin dal titolo che fa riferimento al dottore nella prima raccolta , Il signore d’oro, e nell’ultima, Il signore degli spaventati (seconda se considerata nelle intenzioni dell’autrice in Poesie 19722002). In Poesie dando del Lei è palesata già nel titolo la distanza che il setting analitico impone tra l’analista e il paziente, segnata dall’uso della forma di cortesia. I testi della trilogia spostano la vicenda analitica da un piano strettamente personale verso una dimensione più ampia in cui il rapporto reale con l’analista viene a essere rivissuto in una sfera completamente simbolica. Il transfert attiva una capacità di simbolizzazione che trasporta il privato su un piano collettivo.176 Va infine notato che il signore (così come il dottore di Poesie dando del Lei) pur essendo presentato in maniera molto fantasiosa, viene però definito in modo poco caratterizzante. Nonostante il Dottor B.M. sia il protagonista delle tre raccolte, di lui sappiamo davvero poco oltre all’appurato fatto che sia analista junghiano e che è sposato, un signore aveva una prima moglie177 si scopre dal secondo componimento di Il signore d’oro che è La signora beata che ritorna nella parte finale della raccolta. Sempre nella prima raccolta l’autrice scrive che il suo dottore portava un loden grigio, grigio il suo loden lupo178, e che fumava la pipa, Il signore della pipa, immagine riproposta poi in 174 V.L., La sua porta sprangata, in Poesie dando del Lei, cit., p.62 V.L., Premessa a Il signore degli spaventati, cit., p.7 176 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi novecenteschi”, cit., p.228 177 V.L., Il signore della scatolina, in Il signore d’oro, cit., p.10 178 V.L., Il signore loden, ivi, p.25 175 106 Il signore degli spaventati, avevo un golf d’argento e una pipa d’oro179. Certo è che nemmeno questi pochi dati caratterizzanti possono essere considerati attendibili, viste le continue diversissime e fantasiose descrizioni che la Lamarque fa del suo Dottor B.M. Questa vaghezza descrittiva, oltre ad essere una scelta dell’autrice, è un ulteriore riferimento alla dimensione analitica della relazione tra i due protagonisti. Rossana Dedola nota come il fatto che del dottore si sappia così poco dipenda anche dalle scarse informazioni che il paziente possiede riguardo al proprio analista (una delle regole del patto analitico): proprio il saper poco permette alle proiezioni del paziente di avere uno spazio, un luogo in cui possano compiersi ed essere analizzate.180 Al rapporto analista – paziente si fa invece più volte riferimento nelle tre raccolte. Ne Il signore d’oro, il testo finale racconta del primo incontro del signore e della signora, un appuntamento bizzarro, oppure, come poi si constaterà grazie alla premessa del 1992, un appuntamento in uno studio specialistico: Erano un signore e una signora che si erano conosciuti lo stesso giorno. Che ore erano? Le dieci e trenta. E dove erano? Erano sotto il livello stradale di 4 o 5 gradini. E come avvenne? La signora suonò alla porta e il signore aprì.[…].181 Il signore degli spaventati si apre con la descrizione del setting analitico, con l’analista e la paziente seduti uno di fronte all’altro: Era un signore seduto di fronte a una signora seduta di fronte a lui./ Alla loro destra/ sinistra c’era una finestra, alla loro sinistra/destra c’era una porta./ […].182 In Il signore composto i due vengono rappresentati durante il dialogo della terapia: Mentre composto le parlava […] “Guardi” disse, a lei che lo guardava. La situazione 179 V.L., Il signore composto, in Il signore degli spaventati, cit., p.19 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi novecenteschi”, cit., p.226 181 V.L., Il signore e la signora, in Il signore d’oro, cit., p.87 182 V.L., Il signore di fronte, in Il signore degli spaventati, cit., p.15 180 107 dialogica tra paziente e dottore è invece mimata in Poesie dando del Lei dove alla voce di Vivan e alle sue esuberanti proposte si alternano le sintetiche e schive risposte del Dottor B.M. come -Faccia un miracolo venga L’aspetto sull’amaca sulla bicicletta/ partiamo? -E le valigie? -Le valigie non servono non andiamo lontano ci trasferiamo solo su di un piano. Come già nel componimento La Sua porta sprangata183, in cui compariva il nome di Jung, sono molti i testi in cui l’autrice scrive proprio del luogo in cui si svolge l’analisi, descrivendo lo studio del Dottor B.M, semplicemente nominato in Il signore del ruscello184 (Nel mezzo dello studio di quel signore […]) e in Poesie dando del Lei all’inizio del componimento Oggi nel suo studio. Mentre in questi due casi la narrazione devia poi in ambienti fantastici e sognati, in altri testi la descrizione appare più realistica e accurata. Abitava in una stanza un po’ sotto il livello stradale, scrive in Il signore della stufetta: Le signore che venivano in visita si sedevano, si guardavano intorno, nel centro della stanza c’era una stufetta. La stufetta era color grigio chiaro, sopra c’era un pentolino minuscolo, pieno d’acqua (forse per il tè). In alto, un po’ a destra, c’era una finestrina dai vetri colorati (come quelli delle chiese)[…]185. Aprono la raccolta Il signore degli spaventati tre componimenti che chiaramente si riferiscono al contesto analitico. Mentre il primo testo focalizza la descrizione sui due protagonisti dell’analisi, Il signore di fronte, i due testi successivi si collegano, descrivendo la stanza piccola dello studio: Aveva una stanza grande e una stanza piccola. Nella stanza piccola c’era un tavolino grande e nella stanza grande c’era un tavolino piccolo e c’erano due poltrone. 183 V.L., La sua porta sprangata, in Poesie dando del Lei, cit., p.62 V.L., Il signore del ruscello, in Il signore d’oro, cit., p.56 185 V.L., Il signore della stufetta, ivi, cit., p.54 184 108 In una sedeva lui, nell’altra sedevano gli spaventati che lui, con sapienza, rassicurava.186 Nella stanza piccola aveva libri paurosi con antichi animali e mostri. Coloro che li sfogliavano si spaventavano, fuggivano nella stanza dove aveva libri rasserenanti con figure chiare chiare di nuvole e dei.187 Ulteriore indizio della dimensione terapeutica degli incontri tra Vivian e il Dottor B.M. sono anche gli orari degli appuntamenti per l’analisi, in giorni e orari fissi, come per ogni studio medico: Alle ore venti ognuno tornava alla sua casa./ Non avevano una stessa casa?/ No […]188; La mia settimana è un settenario/ con gli accenti su martedì e venerdì/ al sabato il tono cala/ risale il lunedì.189 3.3 Distanza, assenza, impossibilità di unione: amore non corrisposto Conseguenza del transfert è l’impossibilità di realizzazione dell’amore della signora per il signore, di Vivian per il Dottor B.M. E’ proprio la distanza dell’amato ad aprire la raccolta Il signore d’oro, con Il signore mai, che già nell’attributo mostra l’irrealizzabilità della relazione, in questo caso specifico simboleggiato dalla lontananza fisica: Era un signore bello e meraviglioso. Vicino a lui non si poteva stare sempre, bensì mai. Lui, il Lontano, viveva dispettoso, con la sua famiglia, in un altro luogo. Ritorna così la tematica della sezione Poeti della raccolta del 1981: l’esclusione dalla vita della persona amata. Il tema della lontananza e dell’assenza percorre tutta l’opera di Vivian Lamarque e sembra giustificare alla paziente la refrattarietà all’amore del suo 186 V.L., Il signore degli spaventati, in Il signore degli spaventati, cit., p.16 V.L., Il signore degli dei, ivi, cit., p.17 188 V.L., Il signore nell’aria, in Il signore d’oro, cit., p.66 189 V.L., La mia settimana è un settenario, in Poesie dando del Lei, cit., p.40 187 109 dottore. Si potrebbe dire che la scrittura, nel momento in cui la scopre abbia la funzione di esorcizzarla190, commenta Caddeo. Proprio Il signore d’oro che dà il titolo alla raccolta non viene trovato perché in un angolino di una casa lontano o perché si era un po’ allontanato come una nave, ma un poco ancora si vedeva e la signora nel vederlo non può non emozionarsi, come ne Il signore puntino: Non potendo veder sempre, quando infine poteva vederlo lo guardava moltissimo, fino all’ultimo minuto, fino all’ultimo secondo, e anche dopo si voltava indietro, si voltava indietro. Il signore diventava sempre più piccolo, ormai era quasi del tutto irriconoscibile, eppure lei lo riconosceva benissimo, anche sotto forma di minuscolo puntino laggiù. Sempre lontanissimo è Il signore del bastimento, che abitava su un bastimento fermo in mezzo al mare./ Gli dicevano sempre torna a casa ma lui non ci pensava affatto, e a tal proposito emblematico è il titolo del brano Il signore del luogo lontano. In alcuni testi l’unione impossibile tra i due protagonisti sembra legata a un fattore esterno, come la tela di un ragno191, il fatto di essere alberi divisi lontani in quanto cresciuti in due luoghi diversi ai confini dei prati192, mentre si tenta di far fronte ad impedimenti apparentemente inesistenti, come un petalo/ della margherita193, o le lontanissime vacanze194 del dottore al quale Vivian prova a ordinare: Basta villeggiatura UBBIDISCA! RITORNI!195. Magra consolazione all’insuperabile lontananza dall’amato è l’illusoria vicinanza delle loro anime in Poesie dando del lei: La notte scende/ siamo lontani di cuscini/ ma di anime/ siamo vicini che non è che un tentativo di negare il dolore causato dalla distanza dell’amato, come quando scrive adesso io dico/ il male che io sento/ quando io a Lei lontano penso[…]. 190 R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’arma della scrittura, in “Concertino”, n.14-15, novembre 1995, p.24 191 V.L., Assente il ragno dalla nostra tela, in Poesie dando del Lei, cit., p.24 192 V.L., Alberi divisi lontani, ivi, p.77 193 V.L., Sempre così, ivi, p.44 194 V.L., Lontanissime vacanze, ivi, p.26 195 V.L, Basta villeggiatura, ivi, p.27 110 La lontananza del signore in alcuni componimenti tende a diventare lontananza assoluta, come per Il signore lontano, dove il confine tra lontananza e vera e propria assenza si fa sottilissimo: Era un signore che c’era e allora dov’era, perché non era lì dove si sarebbe desiderato che fosse? Era un signore lontano, oh così lontano che nessuno mai da lassù poteva avvistarlo e gridare terra. Il tema dell’assenza del signore ritorna in tutte e tre le raccolte della trilogia, nelle quali Vivian continua inutilmente ad esprimere il proprio amore per Il signore accarezzabile che però non si lascia accarezzare, infatti le carezze si mettevano in cammino[…]/ Sbigottite lo cercavano ma il signore all’arrivo non c’era, come anche per Il signore della nostalgia che era andato via. In molti componimenti il signore è andato via: Era andato via?/ Sì, le strade avevano rubato i suoi passi, messo le sue impronte in fila con le punte girate di là e proprio Il signore andato via si intitola uno dei testi de Il signore d’oro. Non solo andato via, ma addirittura non arrivato è Il signore che non arriva, inutilmente aspettato alla finestra da una signora ignara del fatto che il signore non sarebbe mai arrivato, essendo il signore che non arriva. L’assenza dell’amato è riproposta con una negazione in Il signore non seduto, in cui il signore oltre a non accanto a lei essere seduto, non dai finestrini indicava il panorama[…]/ Non era stanco, non aveva fame, nessun pasto tra loro, nessuna cura, insomma quel signore non c’è. Proprio per questa assenza La signora mezzasera è triste, quando all’uscio della mente si avvicinavano gli assenti passi di quel signore che non c’era. Inutilmente in Poesie dando del Lei Vivian esclama Basta senza di Lei restare!, perché già il primo testo dell’opera ci rivela che Il mio Dottore è sparito, come il polimorfo Teresino sparito della prima raccolta dell’autrice. In alcuni componimenti l’autrice però propone il vero motivo della lontananza dell’amato, ossia la sua professionale volontà di non intraprendere una relazione con le pazienti. La Lamarque in questi testi si mostra consapevole del’impossibilità amorosa del transfert, sia evidenziando la refrattarietà del 111 dottore alle sue avances, sia ammettendo il divieto posto dal contesto analitico. Il distacco dell’amato analista è simbolizzato spesso dalla porta chiusa, chiusissima in Il signore della Pasqua,e si pensi alle signore chiuse a chiave fuori dalle porte e dalle finestre della casa del dottore, che invece che con le innamorate pazienti passa la notte di Natale con la moglie, la signora beata. Emblematico dell’atteggiamento del Dottor B.M. è già dal titolo il componimento Il signore sulle difensive che recita Si era chiuso in una fortificata casa, era un signore sulle difensive. Lei bussava molto alle sue porte e alle sue finestre, diceva apra subito, voglio entrare. Ma lui no apriva. La salutava da dietro i vetri come da un treno, come da un treno che tra poco parte. Al divieto analitico si accenna in tutte le raccolte, in modo più sfuggevole nei due Signori, mentre invece apertamente in Poesie dando del Lei. Così a Il signore della reticella non si possono fare tante feste quando torna da un viaggio, semplicemente perché era vietato, come era proibito a La signora dei baci baciare il signore; nonostante il divieto La signora mulinello turbinò alla di lui proibita casa, proprio per questa infrazione il vento[…] sempre più lontano la portava. Per tentare di superare il divieto, in Poesie dando del Lei Vivian si immagina ladra: Desiderio improvviso di vedere il Suo viso e poi fuggire adagino con negli occhi felici il bottino. Basta distanze chiede la paziente al suo caro Dottore, ma la conclusione a cui è costretta a giungere è di nuovo l’impossibilità della relazione d’amore tra l’analista e la paziente, oltre che il reale non interesse del dottore, già sposato con la signora beata: Credevo non mi amasse perché è vietato forse invece non mi ama 112 perché non è innamorato.196 3.4 Lo scorrere del tempo e la morte Il Dottore non si innamora, la distanza rimane e con essa l’attesa, ormai vana, vista l’impossibilità di un ritorno del signore. La signora però continua ad attendere una svolta, che non arriverà mai, e l’attesa implica il passare del tempo, l’invecchiamento e infine la morte. Vivian è consapevole di questo, infatti la tematica dello scorrere del tempo e conseguentemente della morte, ritornano nella trilogia sempre più insistentemente. Mentre nella prima raccolta si pone più l’accento sul passare del tempo, alla morte si dedicano le parti conclusive delle due opere successive. Gli ultimi sei componimenti de Il signore degli spaventati chiudono la raccolta proprio su questa tematica, introdotta da il componimento La signora e l’inverno, dove ritorna la vecchina segretamente innamorata del signore d’oro, questa volta alle prese con l’inverno, metafora della fine della vita, oltre che della vecchiaia stessa. E’ in Poesie dando del Lei che la tematica della morte assume davvero rilievo, alla quale è dedicata la seconda sezione che si apre con Il mio Dottore è gentile/ ma io vorrei morire. Dei diciannove testi di cui si compone questa seconda parte dell’opera, dieci sono dedicati al tema della morte in modo esplicito, mentre gli altri ne trattano indirettamente o raccontando della vecchiaia e dello scorrere del tempo, o in modo metaforico, parlando della sera, della notte, del sonno, come mi arrendo mi addormento […] è Lei che tra le Sue oscure braccia mi prende. Va infine notato che nelle tre raccolte, la maggior parte dei testi su queste tematiche riguardano la signora, è lei a morire, ad invecchiare, a non poter coronare il suo sogno d’amore col signore. 196 V.L., Credevo non mi amasse, ivi, p.54 113 A ostacolare il rapporto quindi non è solo il divieto analitico, ma anche il tempo che scorre senza che i due si siano avvicinati: […] E intanto la vita?/ Intanto la vita per sempre per sempre se ne andava, intanto la vita come una bella vela quasi era sparita.197 La signora si accorge del passare del tempo, Guardi: mi sfiorisce il corpo/ mi fiorisce la mente/ il Giardino dei Morti è d’accordo/ attende paziente e sempre in Poesie dando del Lei ironizza sul tempo che passa, senza che però si modifichi l’atteggiamento di distanza dell’amato: Non mi sorrida pure/ tanto c’è tempo, vero?/ in vece Sua/ tra cento o uno anni/ forse una gentile nuvola/ forse alla mia infantile polvere/ forse sorriderà; Dice che l’uomo ha lunga vita/ me lo dimostri allora/ mi dimostri che la mia vita/ non è quasi finita; Con impaziente impazienza/ io La amo./ -E quando sarà finita?/ -Oh entri un secondo prima, La prego, nella mia vita. Il tempo è visto come un problema per la signora de Il signore d’oro, che in testi come appunto La signora in fretta cerca di utilizzare a proprio vantaggio il fatto che il tempo sia così poco, per velocizzare, o almeno avviare, l’assente relazione col signore. Il per sempre era ormai cortissimo diventato. Quanti Natali erano rimasti? Una manciata. Allora bisognava non sprecare nemmeno un minuto? Sì, bisognava spicciarsi, per questo lei, in fretta, lo adorava. Ma il dottore non dà cenni di interessamento, mentre Vivian non può far altro che adorare più velocemente l’amato signore per cercare di sfruttare i cento o uno anni che le rimangono: Però gli anni non erano durati veramente un anno e i mesi non erano durati veramente un mese. Così i quarant’anni erano arrivati in due tre minuti, non era giusto, protestò la signora.198 L’idea della distanza e dell’assenza dell’amato si estremizza con la morte, ostacolo ineluttabile. Questa separazione, questa ferita del silenzio dell’amato, 197 198 V.L., Il signore gentile, in Il signore d’oro, cit., p.30 V.L., La signora di quarant’anni, ivi, p.79 114 che spesso nei componimenti della trilogia suona crudele e irreparabile, come vero e proprio lutto, viene narrato negli ultimi testi di Il signore degli spaventati e di Poesie dando del Lei, già anticipata, stemperando i toni luttuosi con quelli della fiaba, da La signora dei fiori della prima raccolta del 1986: Sulle mani un po’ presto aveva i fiori della morte. Come i fiori della morte? Quei puntini che più si è vecchi più ce n’è. Ne aveva tanti? Ne aveva sette come i sette nani, sulle strade del bosco delle mani. Molto più macabri i componimenti de Il signore degli spaventati, in generale caratterizzato da contesti più cupi, come L’acqua che saliva saliva voleva portarla là Lei non voleva ma l’acqua imperiosamente la chiamava. Mulinelli a mille a mille le dicevano vieni vieni scendi nel gorgo con noi, vedrai quaggiù che nuovi liquidi mondi.199 La signora della terra un giorno cadde in un buco che qualcuno aveva scavato davanti a casa sua, scoprendo però di essere caduta in una tomba ( forse la sua): [...] Oscura terra, pallide larve la circondarono prima del tempo. Con anticipo vide il buio di laggiù, sentì l’umido odore della terra, il silenzioso rumore degli insetti. Spaventata, precipitosamente si rialzò. Con un balzo, quella volta, poté uscirne. Ma se la signora della terra riesce a sfuggire dalla morte, non è così per le altre signore, come La signora Libera che poteva pensarlo sempre, aveva tanto tempo libero, era un signora morta che sembra aver risolto il problema che invece angosciava la signora di fretta: c’era silenzioso tempo per tutto, nessuno interferiva, nessuno mentre lo pensava disturbava. Anche La signora volata trova ironicamente il lato positivo della propria situazione: Volata in cielo, ombrosamente nei giorni di arsura, con tepore nei giorni di gelo, lo vegliava. 199 V.L., La signora dell’acqua, in Il signore degli spaventati, cit., p.50 115 Lui non lo sapeva, ma qualche volta sentiva nell’aria intorno a sé qualcosa, come il volare di una specie leggera di moschina. In un altro componimento Vivian dice al dottore di partire lui per le vacanze al suo posto, quando lei non potrà più per le mie palpebre addormentate200 e giocando descrive la propria immagine da morta: tracce d’inchiostro sulle sue dita/ morte e anche/ un azzurro alone sulle guance/ forse le guance appoggiò alle dita/ pensando l’ultimo pensiero/ della vita.201 Ma la paziente non si arrende e facendo buon viso a cattiva sorte, trova un modo per convincersi che non sarà la morte ostacolo per il loro amore, anzi, potrebbe esserne finalmente il coronamento. Proprio con questa idea conclude la raccolta Poesie dando del Lei con Le Sue carezze in cui scrive Se il tempo terrestre/ me le negherà/ chiederò il favore alle mani/ dell’Eternità, conclusione già anticipata nella penultima poesia della prima raccolta, La signora della mano, che nonostante l’età ormai avanzata scrive Finisce così male?/ Oh no, del tutto sconosciutissimo sarà il finale. E’ ne Il signore degli spaventati che la Lamarque racconta dei due signori entrambi morti, finalmente insieme, Vivevano fra loro lontani come stelle lontane fra loro./ Per tutta la lunga eternità divisi come stelle divise, solitariamente nei loro singoli cieli, divisi , luccicavano.202 Insomma non c’è nulla da fare, l’amore per il proprio analista è davvero impossibile da realizzare, sembra dirci con più o meno ironia l’autrice. 3.5 Sogni e realtà Giuliana Petrucci, nel suo saggio dedicato all’analisi del transfert nella trilogia della Lamarque, mette a confronto Vivian con l’Alice di Lewis Carroll citando da Alice nel paese delle meraviglie: non svegliatela perché tutti noi siamo nel 200 V.L., La prima estate, in Poesie dando del Lei, cit., p.81 V.L., Tracce d’inchiostro sulle dita, ivi, p.80 202 V.L., Il signore e la signora stelle, in Il signore degli spaventati, cit., p.54 201 116 suo sogno e se la svegliate tutti noi scompariremo. Spiega che il paradosso della teoria psicoanalitica consiste nel fatto che tutti gli oggetti del mondo esterno, portati nel setting analitico durante il colloquio con il terapeuta, hanno un significato solo all’interno della continuità psicologica del paziente. Il compito dell’analista è così accostato a quello di sorvegliare il sonno di Alice, tenendo sempre presente che per Alice-Vivian quel sogno è realtà. Nello spazio-tempo della seduta analitica, possono passare contenuti dolorosi così come gioiosi o ludici, ma quello che conta è che ne rimanga intatta la struttura di contenitore che potenzia e oltrepassa la realtà effettuale. Grazie a questo “meccanismo” della terapia Alice, e quindi la paziente Vivian, impara che il suo sonno è un gioco. E’ con questa leggerezza che richiede all’ analista di uscire dalla sfera della propria autorità e di confrontarsi con le leggi di un fantastico mondo altro, dove questa volta è lei a dettare le regole.203 E’ stato proprio il confine tra fantasia e realtà che il dottor B.M. ha ricostruito nella sua paziente. “Un confine- dice lei- che, prima dell’analisi, avevo completamente smarrito. Dover accettare la realtà mi è servito moltissimo, e molto gradualmente l’innamoramento per il mio analista si è trasformato in un sentimento di affetto, in un’infinita gratitudine. Un po’ alla volta ho recuperato energie per me stessa, per il mio lavoro, per la mia vita.”204 Questo confine tra realtà e finzione, fantasia o sogno che sia, viene apertamente dichiarato in alcuni componimenti dell’autrice, fin dalla prima raccolta del 1986. Ne Il signore d’oro in due signori l’autrice spiega chiaramente il gioco da lei giocato per i testi della trilogia: Bastava confondere un poco sogno e realtà, cancellare con una bianca gomma l’inutile linea di confine.205 Stesso metodo viene infatti ribadito già dal titolo di Il signore sognato: Splendidissima era la vita accanto a lui sognata./ Nel sogno tra tutte prediletta la chiamava./ E nella realtà?/ La realtà non c’era, era abdicata./ Splendidissima regnava la vita immaginata. Sempre in questa prima raccolta, l’autrice racconta di una signora che dentro dentro nel centro della testa aveva un castello in aria, 203 G.Petrucci, Il sonno di Alice: l’enunciazione del transfert nella poesia di Vivian Lamarque, in “Italianistica”, cit., p.97 204 L.Sica, Mio caro dottore abusi pure di me, in “La Repubblica”, 30 gennaio 1993 205 V.L., Il signore intoccabile, in Il signore d’oro, cit., p.20 117 castello in aria per nulla “campato in aria”, di quelli che si sognano una volta e poi spariscono, bensì un castello con tanto di fondamenta di cemento armato. Le fondamenta del castello erano il cervello della signora. La signora e il castello in aria erano dunque una cosa sola? Sì, la signora e il castello in aria erano dunque una cosa sola.206 Ancora più scoperto è il gioco onirico della paziente, nei brevi dialoghi col Dottore di Poesie dando del Lei. In questa raccolta i testi si aprono proprio con la dichiarazione di finzione della realtà lì rappresentata e raccontata: oggi ho inventato/ che Lei era seduto con me in giardino; oggi ho inventato/ che Lei era con me al mercato. Così come ne La notte di Natale rassicura il Dottor B.M., dicendogli che lo andrà a trovare, ma per finta naturalmente/ visita della mente/ e del cuore/ al mio Dottore. Sempre rivolgendosi a lui, gli propone un altro gioco di finzione, per poter far finta di essere vicini anche quando sono lontani: dalle nostre finestre/ vediamo una magnolia vero?/ Che sia per entrambi la stessa, fingo. L’esame di realtà, ossia la presa di coscienza dell’effettiva distanza dell’amato, della conseguente impossibilità di un rapporto amoroso, oltre che della presenza di un’altra famiglia e quindi di una vita privata del dottore da cui si resta esclusi, non impedisce così al desiderio di Vivian di stare col suo amato Dottore B.M. almeno nella fantasia, dato che intoccabile come un filo scoperto nella realtà, era quel signore.207 L’invito rivolto all’analista è quello di stare al gioco e seguire la fantasiosa paziente nel suo onirico mondo: Caro dottore/ che mostri e draghi/ Le hanno affaticato gli occhi/ si riposi un po’ con Vivian/ nel mondo dei balocchi.208 Lo studio dove Vivian e il terapeuta si incontrano, per esempio, spesso viene stravolto dalla sua fantasia, come ne Il signore della tendina209, in cui il signore abitava in un’automobile elegante, e per il poco spazio rimasto a causa dei vari mobili, poteva ricevere solo signore piccole piccole (una alla volta) le baciava molto (dietro la tendina specialmente). Una 206 V.L., La signora del castello, ivi., p.78 V.L., Il signore intoccabile, ivi, p.20 208 V.L., Caro Dottore, in Poesie dando del Lei, cit., p.61 209 V.L., Il signore della tendina, in Il signore d’oro, cit., p.23 207 118 vicinanza impossibile si immagina ne Il signore della poltrona210: […] non stavano seduti su due poltrone, bensì su una./ Lì parlavano fitto fitto, a lungo, capendosi alla perfezione; lo stesso ne Il signore della scaletta211: […] Nel mezzo della stanza dove si incontravano c’era un letto grandissimo, dalle lenzuola meravigliose./ Il letto era un po’ alto però./ Ma, per eventualmente salire, vi era lì un’apposita scaletta; e nel mezzo dello studio di quel signore c’era un piccolo verde prato, attraversato da un fresco ruscello./ A destra del ruscello c’era un tavolino color mogano basso basso […] descrive in Il signore del ruscello.212 In altri testi il carattere onirico è talmente accentuato, da essere difficilmente riconducibili ad una situazione reale, essendo completamente assorbiti dalla loro funzione simbolica: Un signore qualche volta andava in fondo al mare a vedere i diversissimi pesci che lì passavano213; [...] Tra le sue lunghe ciglia di alberelli vedeva nidi di famiglie cinguettanti e numerose, lì sui rami all’ora di cena tutti insieme si mangiava214; Vicino al suo letto c’era un tavolino, sul tavolino c’era un faunetto./[…]In punta di piedi di capra faceva tre giri intorno alla stanza, poi si sedeva sul cuscino del signore […]215; Un signore morto entrò in una fotografia./ Come mai?/ per essere visto da una signore che non l’aveva mai visto./ Vi entrò col cappello?/ No, per fare la fotografia se lo tolse, ma poi se lo rimise.216 I testi delle tre raccolte spostano così la vicenda da un piano strettamente personale verso una dimensione più ampia in cui il rapporto reale con l’analista viene a essere rivissuto in una sfera completamente simbolica.217 La conclusione è però sempre la stessa, l’inevitabile sconfitta del tentativo di conquistare l’amore del dottore. Così, frustrata, in Poesie dando del Lei Vivian chiede almeno di essere sognata nei “reali sogni” dell’amato: mi arrendo mi addormento/ senza di Lei accanto/ se non in sogno/ nei sogni è Lei che si 210 V.L., Il signore della poltrona, ivi, p.26 V.L., Il signore della scaletta, ivi, p.28 212 V.L., Il signore del ruscello, ivi, p.56 213 V.L., Il signore in fondo al mare, ivi, p.37 214 V.L., Il signore naturale, ivi, p.47 215 V.L., Il signore del faunetto, in Il signore degli spaventati, cit., p.29 216 V.L., Il signore della fotografia, ivi, p.31 217 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi novecenteschi”, n.41, giugno 1991, p.228 211 119 arrende/ che tra le Sue oscure braccia mi prende; sono le sei la città dorme/ e Lei?/ sogna?/ oh qualcuno sogni un sogno che mi comprenda/ non mi escluda […]. 3.6 Doppio: contrari e complementari Il tema del doppio, che già aveva caratterizzato molti dei componimenti di Teresino, ritorna anche nella trilogia. Nel 1981 questa tematica era fondamentale per la narrazione, rappresentando la sofferenza di Vivian divisa tra due madri, due padri, due paesi, conseguenza della ferita ancora aperta dell’adozione. Nelle tre raccolte per il Dottor B.M., il doppio si amalgama con altri aspetti dei componimenti dell’autrice: la psicanalisi, l’onirismo e la continua ricerca dell’amore dell’analista. Rinaldo Caddeo, per quanto riguarda il tema dello sdoppiamento, afferma che nelle tre opere l’autrice sia stata influenzata, consciamente o inconsciamente, proprio dalla scuola junghiana del suo analista. A riprova di questa affermazione porta la teoria dei contrari di Jung. Draghi, mostri, simboli alchemici sono al centro dell’interesse delle indagini sull’inconscio collettivo di Jung intorno ai miti e agli archetipi. Uno degli archetipi esaminato da Jung è quello della lotta (in L’uomo e i suoi simboli) dell’io contro le tendenze regressive. L’eroe si accorda con i poteri dell’ombra per vincere il drago (mito biblico di Giona nella balena) e riscattarsi. Faust sfida Mefistofele, l’inconscio, per assurgere alla vita e assimilarne pienamente i poteri […]Un’analoga polarità, vitamorte, vicino-lontano, attraversa tutto il libro.218 Il doppio che Caddeo ritrova in questa parte della produzione della Lamarque sarebbe quindi da ricollegarsi alla “lotta” tra entità diverse, o più semplicemente, all’accostamento di opposti. Così il signore de Il signore d’oro è un signore che partiva ma dopo ritornava./ Comunque partiva./ Comunque 218 R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’erma della scrittura, in “Concertino”, n.14-15, novembre 1995 120 ritornava219, vecchina 220 e la signora di lui innamorata era una signora giovane e che compiva gli anni vicino lontano da lui221 e che era felice perché nella sua mente non c’era Nessuno, c’era Qualcuno222, ossia il suo amato dottore. L’innamorato spesso fa male alla signora, ma lei sa che è un male che fa bene, e così continua la terapia: E sia mi faccia pure così male/ tanto lo so che forse è a fin di bene.223 Allo stesso modo fa male un’altra contraddittoria affermazione in Poesie dando del Lei, dovuta alla ritrosia del signore, in cui la paziente stanca si lamenta per Questa convivenza/con la Sua assenza e aggiunge la natura va contro natura (ritornando all’idea della lotta nella teoria junghiana). Molto più ricorrente nelle tre raccolte è il tentativo di Vivian di far innamorare di sé il Dottore, o comunque di immaginarsi innamorati reciprocamente224, come già diceva in Teresino. Di nuovo però questa reciprocità è impossibile da raggiungere, soprattutto ora, essendo la relazione vietata dal contesto analitico. La tematica del doppio viene rappresentata da un desiderio di unione, di complementarietà tra il signore e la signora, sognando quell’unione che porti a un cuore solo e un’anima sola: essendo un signore e una signora di forme complementari, lì stavano perfettamente, come due contigui puzzles.225 Per il signore notturno della prima raccolta l’autrice immagina una signora solare, per poter soddisfatta dire che erano un signore e una signora proprio adatti, portando anche una prova a questa sua affermazione: uniti producevano una luce esatta e una fresca ombra, e inoltre di notte l’oscurità li avvolgeva e li univa, come emisferi. Più confusa è invece la situazione proposta ne Il signore degli spaventati, quando parlando de Il signore e la signora (già proposti insieme nel titolo) la voce narrante sembra indecisa se seguire il proprio immaginario, o la realtà: 219 V.L. Il signore che partiva, in Il signore d’oro, cit., p.25 V.L., La signora giovane e vecchina, ivi, p.82 221 V.L., La signora del compleanno, ivi, p.72 222 V.L., Il signore del trono, ivi, p.61 223 V.L., E sia mi faccia pure così male, in Poesie dando del Lei, cit., p.58 224 V.L., Di due persone, in Teresino, cit., p.30 225 V.L., Il signore della poltrona, in Il signore d’oro, cit., p.26 220 121 Sembravano due ma erano una cosa sola. Anzi sembravano una cosa sola ma erano due. Anzi erano due e una cosa sola. Allora quante poltrone ci volevano? Due. Quante seggiole? Due. Quanti tavoli? Uno. Quanti letti? Uno. Quanti soli? Un sole e una luna. Quante stelle? Tutte tutte del firmamento le stelle disponibili (tranne quelle cadenti). L’idea dello sdoppiamento ritorna anche con l’immagine dello specchio, utilizzando questa immagine proprio per definire la dimensione analitica: non c’erano specchi, eppure in quella stanza, profondamente, ci si specchiava. Nello stesso componimento anche la descrizione dello studio dell’analista è descritta “a specchio”, accostando continuamente le due prospettive, a seconda che si prenda come riferimento uno o l’altro lato dello specchio (il signore o la signora): era un signore seduto di fronte a una signora seduta di fronte a lui./ Alla loro destra-sinistra c’era una finestra, alla loro sinistra-destra c’era una porta.226 Stesso metodo descrittivo è adottato per un’altra descrizione dello studio analitico: Aveva una stanza grande e una stanza piccola. Nella stanza piccola c’era un tavolino grande e nella stanza grande c’era un tavolino piccolo e c’erano due poltrone.[…]227 Il signore d’oro viene invece messo a confronto con altri signori, che però brillavano poco, erano signori pallidi, opachi, non erano d’oro vero, erano signori falsi./ […] E dov’era il signore d’oro vero?/ Lontano. All’originale si accostano le copie, che però non riescono a riprodurne tutte le caratteristiche che lo rendono unico, speciale. Lo stesso gioco tra originale e copia è riproposto ne Il signore del cinema228 col paragone tra la vita e i film, o ne Il signore della fotografia tra persona reale e foto, dove in questo caso il surplus 226 V.L., Il signore di fronte, in Il signore degli spaventati, cit., p.15 V.L., Il signore degli spaventati, ivi, p.16 228 V.L., Il signore del cinema, in Il signore d’oro, cit., p.59 227 122 è dato dal sorriso del signore: Sorrideva? Nella fotografia no, ma nella vita sì./ Era una fotografia a colori?/ No, era in bianco e nero.229 Nella realtà Vivian e il Dottor B.M. non vivevano nella stessa casa, così in Il signore nell’aria, la sognante paziente risolve il problema inventandosi una seconda casa, nell’aria appunto,anzi a destra e a sinistra nel mezzo dell’aria,230 dove poter stare insieme. La dimensione onirica sviluppa il tema del doppio in Il signore della lavanda: Un signore aveva due figlie di nome Chiara. Sarebbe proibito dare nomi uguali, comunque quel signore le aveva chiamate così. Quando le chiamava tutte e due alzavano gli occhi, ma lui ne guardava solo una (alla volta). La loro casa dava su un campo quadrato di lavanda. Le diagonali del quadrato erano due sentieri bianchi, nel centro c’era un fontana. Chiara e Chiara arrivavano dai due sentieri, si sedevano sull’orlo della fontana, facevano piccoli mazzolini di lavanda. Due figlie dallo stesso nome, che rispondono insieme quando il padre le chiama, il campo di lavanda quadrato, che quindi ha tutti i lati uguali, due sentieri bianchi uguali, perché formati dalle diagonali del quadrato, ma una sola fontana al centro, dove le due sorelle omonime possono sedersi, incontrarsi, specchiarsi. Oltre al doppio ritroviamo così il sogno, lo specchio e la dimensione analitica. Il padre delle due Chiara è il signore de il signore degli spaventati, il Dottor B.M., che come riceve una alla volta le sue pazienti così guarda una alla volta le figlie: lui ne guardava una (alla volta). L’aggiunta tra parentesi sembra voglia evitare fraintendimenti, il dottore non ha preferenze, o forse sì? Una situazione simile viene proposta ne Il signore d’oro, dove non si parla delle due figlie, ma delle due mogli. Anche in questo caso però la situazione di uguaglianza è subito messa in dubbio, essendo la prima moglie prima e vera moglie, mentre la seconda, segreta, molto piccola è in più e sta in una scatolina. Nonostante l’iniziale differenza, il doppio torna ad essere proposto come speculare nella conclusione: il signore voleva molto bene a tutte e due le sue mogli e tutte e due le sue mogli volevano molto bene al signore. 229 230 V.L., Il signore della fotografia, in Il signore degli spaventati, cit., p.31 V.L., Il signore nell’aria, in Il signore d’oro, cit., p.66 123 Lieto fine immaginato, si può dire, come la stessa Vivian ammette di fare: la notte sognava tale e quale, come fosse giorno, quindi era felice.231 4. Personaggi I protagonisti delle tre raccolte sono due: Vivian e il Dottor B.M., come si legge in Poesie dando del Lei, coincidenti con il signore e la signora di cui si narra ne Il signore d’oro e Il signore degli spaventati. Tanto il Dottor B.M., quanto il signore sono definito dall’autrice con attributi ben poco caratterizzanti (bello e meraviglioso, accarezzabile, alato, intoccabile, lontano, profumato, studioso, gentile, notturno). Questa descrizione vaga e spesso fantastica è la conseguenza tangibile del fatto che le situazioni sono immaginate da Vivian. Questo è anche dovuto al tipo di rapporto analista-paziente, che non è alla pari: mentre il paziente di sé racconta tutto, il medico rivela poco o nulla della sua vita privata, essendo questa una delle regole del patto analitico. Questa vaghezza con cui il dottore si presenta permette così di lasciare al paziente spazio per realizzare le proprie proiezioni in modo da poterle poi analizzare insieme durante la terapia.232 Anche alla signora vengono attribuite caratteristiche fantasiose. In questo caso però ogni attributo che le viene affidato è conseguenza dell’atteggiamento del signore nei suoi confronti: è la signora della valigetta perché così può partire con lui per le vacanze, è la signora del castello per via dei castelli in aria che costruisce per poter immaginarsi col dottore, è la signora non gelosa quando convince se stessa di non essere infastidita dalle attenzioni che l’analista dimostrava ad altri. Soprattutto ne Il signore degli spaventati vengono però riferite alla signora delle caratteristiche che più che il rapporto amoroso, riguardano proprio la dimensione di terapia analitica. La prima signora della raccolta è la signora nel bosco che si è persa nel bosco della sua mente, 231 V.L., La signora felice, in Il signore degli spaventati, cit., p.40 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in Studi novecenteschi, n.41, giugno 1991, p.226 232 124 potremmo dire, che all’inizio sembrava un bosco facile, ma quella signora non riusciva a uscirne più./ Il cuore le batteva a mille, il sentiero era finito su se stesso, la notte stava per calarle addosso come una montagna. Così è per la signora della paura che tanto era spaventata che la voce non le usciva più, la signora spostatrice di montagne, dove il signore analista le dice dove metterle e lei le metteva, la signora d’acciaio che deve essere forte per resistere al dolore. Si note che in questa raccolta anche al signore viene attribuito maggiormente il proprio ruolo analitico, si pensi al signore delle trappole, che preparava trappole speciali a fin di bene, o al signore che faceva male, che però rassicurava anche i suoi pazienti, essendo il signore degli spaventati. In alcuni componimenti de Il signore d’oro e de il signore degli spaventati, entra in scena un altro personaggio, la vecchina, protagonista di la signora giovane e vecchina, de il signore della febbre e de la signora e l’inverno. Ma questa vecchina altro non è che un’altra proiezione della protagonista Vivian essendo infatti la signora, ma giovane e vecchia allo stesso tempo, aveva cento anni ma non li dimostrava e voleva segretamente bene al signore, non lo svelandolo solo per pudore, vista la differenza di età. Nella situazione inversa ci si trova ne Il signore d’oro con il signore e la bambina, dove la microscopica bambina che il dottore raccoglie è evidentemente Vivian. Ognuna di queste proiezioni è conseguenza del transfert analitico, come si dimostra nel più esplicito Poesie dando del Lei . Vivian qui si definisce amante neonata/ succhia l’uomo mamma perdutamente/ ecco il latte buono, che come i bambini va nel mondo dei balocchi e che chiede al suo dottore se festeggeranno insieme quando finalmente avrà raggiunto la maturità. La signora passerotto però, nonostante i sui 90 anni, non è la signora vecchina, bensì la mamma del signore, passerotto nel senso di mamma resa piccola e leggera dall’età, e che cammina piano sulle strade. Sempre ne Il signore d’oro viene presentato un altro personaggio femminile rivale di Vivian per la conquista dell’affetto del signore: la signora beata, ossia la moglie del Dottor B.M., che era già stata presentata nel secondo componimento della raccolta, 125 come prima moglie del signore, mentre alla paziente toccava il ruolo di seconda. Rivali presentati in modo più generico nei vari brani sono le altre pazienti del Dottore, sono le altre signore, quelle signore piccole piccole che il signore poteva ricevere solo una alla volta e che lui baciava molto (dietro la tendina), specialmente una233 conclude Vivian rivendicando la propria relazione col signore. 4.1 Narratore e interlocutore Oltre che protagonista, Vivian è anche voce narrante delle tre raccolte, essendo suo il punto di vista sulla dimensione analitica proposto al lettore. Tutta la trilogia infatti mette in atto, sia pure in modi diversi, una situazione comunicativa, tipica del setting analitico, in cui uno degli elementi dell’enunciazione, e precisamente l’allocutore (medico) entra nell’enunciato del locutore (paziente) come transfert. E’ proprio il contesto in cui si genera il messaggio, però, ad essere d’ostacolo alla realizzazione di un dialogo tra i due all’interno dei componimenti, essendo il destinatario proposto come un oggetto impossibilitato, per suo statuto, a raccogliere sul piano di realtà le richieste dell’altro.234 La parole di Vivian fanno così parte di una comunicazione senza risposta, cercando di colloquiare d’amore reciproco con chi non può e non vuole trovarsi in questa situazione. Nonostante la solitudine della voce narrante alla terza persona di Il signore d’oro e Il signore degli spaventati, Vivian inserisce numerose proposizioni interrogative nei brani delle due raccolte: E la pioggia?/ La pioggia fuori pioggerellava./ E dopo?/ Dopo non si sa, erano al prima235; E cosa diceva? Diceva vieni vieni, vieni tra le mi braccia236; Almeno dava baci? Mai. Nessuno 233 V.L., Il signore della tendina, in Il signore d’oro, cit., p.23 G.Petrucci, Il sonno di Alice: l’enunciazione del transfert nella poesia di Vivian Lamarque, in “Italianistica”, n.1, gennaio-aprile 1998, p.89 235 V.L., Il signore e la pioggia, in Il signore d’oro, cit., p.21 236 V.L., Il signore amato, ivi, p.29 234 126 era meno innamorato di lui237; E lì cosa faceva?/ Stava.238; Nessuna nessuna?/ Nessuna239; ecc. Viene così allo scoperto l’incessante bisogno di conferme, ma soprattutto bisogno di dialogo di Vivian, a cui si cerca in questo modo di sopperire, non essendo possibile uno scambio amoroso col signore. Non si sa chi ponga le domande, ma dato il loro carattere di pseudo interrogative, la loro funzione sembra non tanto quella di ottenere risposta, quanto di mantenere vivo il dialogo, il legame che la comunicazione stabilisce con un tu, privilegiando dunque la funzione fatica del discorso.240 Si viene così a creare una situazione comunicativa simile a quella dei bambini quando, giocando da soli, si mettono a parlare a voce alta con l’amico immaginario. Attraverso tale espediente è possibile che la dimensione interiore si apra a un dialogo con un tu che appartiene anch’esso all’interiorità e che acquista così capacità di parola. E’ questo uno dei risultati del transfert, che rende possibile un dialogo interiore in presenza di un forte legame affettivo.241 Ne il signore d’oro entra nel gioco dialogico tra il narratore l’interlocutore anche il lettore. Il signore che non arrivava: Alla finestra di una casa una signora aspettava sempre un signore che non arrivava. E allora perché lo aspettava? Perché la signora non lo sapeva che il signore non arrivava. Questo lo sappiamo noi, non lei. Il pronome noi unisce il sapere delle due voci che ammiccando al pubblico rivelano l’onniscienza del narratore, introducono così nel testo un’altra prospettiva, oltre a quella solita della voce narrante e del suo interrogatore. Un caso simile, ma più sfumato, si può leggere nella conclusione de Il signore della pioggia che alla domanda E dopo? risponde lasciando in sospeso la curiosità dell’interlocutore, dopo non si sa, erano al prima, L’accostamento 237 V.L., Il signore meno, ivi, p.40 V.L., Il signore nel cuore, in Il signore degli spaventati, cit., p.18 239 V.L., Il signore delle aquile, ivi, p.21 240 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi novecenteschi”, n.41, giugno 1991, p.229 241 Ibidem 238 127 dell’imperfetto al prima crea però confusione, un disordine temporale che sembra un lapsus: ciò che la voce narrante racconta è già accaduto, e ciò che il narratore ci racconta è a posteriori, lei sa già cosa è accaduto dopo. Anche in Poesie dando del Lei , dove il Lei fa trasparire la consapevolezza che l’io ha del proprio confine e ruolo nella relazione, ci viene proposto il dialogo. Questa volta però la voce narrante non parla più in terza persona, ma dice io, mentre si rivolge al tu del Dottore a cui dà appunto del Lei, com’è convenzione nel contesto analitico per mantenere la distanza. Qui i dialoghi risultano più reali, ci sono due interlocutori distinti, e questo è rimarcato anche graficamente dalla lineetta che introduce la voce ora dell’uno ora dell’altro: -Oggi è la volta/ che Le voglio bene più di tutte./ -Altre volte me l’ha detto./ -Sì, ma questa è la vera volta/ il vero oro dell’affetto; -Con impaziente pazienza io La amo./ -E quando sarà finita?/ -Oh entri un secondo prima nella mia vita. Nella maggior parte dei testi della raccolta è però la sola voce di Vivian ad essere in scena e le poche domande che pone non creano il gioco dialogico con l’interlocutore invisibile che invece avveniva nelle altre due opere della trilogia. In questo caso le domande, si limitano a rimanere senza risposta, quando non sono domande retoriche, alimentando la frustrazione dovuta alla situazione di transfert in cui si trova la protagonista: Sono le sei la città dorme e Lei? sogna?oh qualcuno sogni un sogno che mi comprenda non mi escluda Le voglio troppo bene così non va? semplice: toglierò subito il troppo. 128 5. La forma dei testi L’esperienza del transfert consente alla paziente Vivian di intraprendere con se stessa un dialogo, vissuto interiore, ma spesso nella narrazione esplicitato. Questa modalità permette di ridimensionare il problema della perdita, della separazione e della lontananza perché vissuti in rapporto con un tu, l’analista, all’interno di una vicenda di innamoramento. Mentre in Teresino la poesia della Lamarque era chiusa in se stessa, ora nasce dal rapporto con l’altro, nasce dall’innamoramento per il signore d’oro, innamoramento vissuto con slancio infantile in cui tuttavia non viene mai meno un certo distanziamento ironico che con Poesie dando del Lei si fa più esplicito, giocando in modo più diretto nel dialogo col dottore pur mediato dall’uso del formale Lei. Quest’ultima raccolta, oltre a modificare i propri toni, propone anche una modalità metrica che più facilmente è assimilabile alla poesia. I testi, che continuano la caratteristica brevità dello scrivere di Vivian Lamarque, si compongono di versi con un numero contenuto di sillabe, proponendo anche delle rime, creando con le figure di suono uno schema ritmico che struttura, seppur minimamente, il testo: Il mio Dottore è gentile,/ ma io vorrei morire; Sa,/ il mio cane è vecchino/ finisce a fatica/ il giro del giardino; Appena appena cominciata/ si è già disperata/ la mia giornata; Guardi, guardate:/ le lumachine del mio giardino/ oggi si sono sposate!; caro Dottore/ dentro il Suo cuore/ c’è una bacchetta/ mi porti lontano/ La prego Dottore/ anche solo un’oretta/ poi ritorniamo. Lunghissimi invece sono i “versi” de Il signore d’oro e Il signore degli spaventati, tanto che i testi delle due raccolte risultare brevi componimenti in prosa, piuttosto che poesia a schema libero. In questi due testi infatti alcuni versi arrivano a occupare più righe della pagina su cui sono stampate, ricordando la modalità compositiva de L’amore mio è buonissimo, ma portata ad esiti molto più estremi. Si prenda come esempio questo verso: Le bussava ai vetri, le faceva inchini di neve, le offriva ghiaccioli di zucchero, le suggeriva nelle orecchie i nomi che la vecchina dimenticava, le usava attenzioni di ogni 129 genere242; o quest’altro: Se l’avesse saputo come si sarebbe indispettito, ma per fortuna lo ignorava, guidava tranquillo senza lontanamente immaginare quello che l’aspettava all’arrivo, all’atto dell’apertura dei bagagli.243 Molti componimenti sebbene formati da due soli versi risultano così molto più lunghi di quanto potrebbe essere un brano di poesia in metrica. Nelle due raccolte sui signori, però, l’autrice inserisce due brevi poesie, che ricordano i modi del poetare di Teresino. Ne Il signore d’oro il brano è proposto come post scriptum, intitolato Il bambino delle cantine. Nonostante due dei tre versi siano piuttosto lunghi, la punteggiatura e le rime suggeriscono uno schema ritmico di due decasillabi per il primo verso, un settenario per il secondo verso e, separando dal terzo verso la sillaba della negazione no, che la virgola separa dal resto della frase, il verso si compone di un endecasillabo e un decasillabo, quest’ultimo diviso dalla virgola in due pentametri: Avendo bevuto tanto vino, era un bambino ubriachino./ Allora barcollava?/ No, ma dava baci a tutte le bambine, dietro i barili, nelle cantine. Apre il signore degli spaventati la lirica I bambini persi: Nella notte nei boschi i bambini persi chiamavano per essere trovati. Non c’erano le stelle? Le stelle erano gli occhi dei lupi. Non c’era la luna? La luna era le fauci dei lupi. I bambini persi erano spaventati? Sì, chiamavano tanto. Svegliavano gli animali addormentati. Il testo, più corposo rispetto a quello proposto nella prima raccolta della trilogia, si compone di dieci versi con l’ultimo verso della lirica, il più lungo della poesia, di dodici sillabe, mentre un esametro è il v.6, il più breve. Le rime perfette sono solo due: lupi e lupi ai vv. 4 e 6, spaventati e addormentati ai vv.8 e 10 che però riprende il trovati che chiude il terzo verso. Ai v.4-6 242 243 V.L., La signora e l’inverno, in Il signore degli spaventati, cit., p.48 V.L., La signora della valigetta, in Il signore d’oro, cit., p.70 130 ricorre anche l’anafora: non c’erano le stelle?/ […] Non c’era la luna? che si accosta alle figure di suono che ritornano anche nei componimenti delle due raccolte, nonostante siano più associabili alla prosa che alla struttura poetica. 6. Fonti e modelli di scrittura La trilogia è dedicata al Dottor B.M., l’analista junghiano di Vivian Lamarque, e pone al centro l’esperienza analitica. Anche Il piccolo Berto (1929-31) di Umberto Saba ha come dedicatario lo psicoanalista con cui il poeta si era sottoposto a un trattamento, Edoardo Weiss. L’analisi ha permesso a Saba il recupero di un contenuto inconscio rimosso, l’approdo al seno “di colei che Berto ancora/ mi chiama”; eliminando la rimozione che impediva a tale contenuto di divenire conscio, ha rivelato il grande dolore per la perdita di una figura materna molto amata, la balia, e insieme la perdita di sé come bambino. Nel componimento Berto, la comparsa del bambino timido e goffo è accompagnata da un ricordo preciso: il piccolo Berto “calze portava di color celeste”. Più che recuperare ricordi dell’infanzia rimossi, la trilogia di Vivian Lamarque affronta invece il problema del transfert.244 Le tre raccolte poetiche dedicate dalla Lamarque al Dottor B.M. raccontano dell’amore per il proprio analista, ma così facendo ripropongono al lettore la dimensione analitica nella quale tale relazione si sviluppa permettendo di essere anche queste tre opere definite romanzo psicologico, denominazione che lo stesso Saba aveva legittimato per il proprio Canzoniere. Con la sua trilogia la Lamarque si inserisce nella dimensione psicoanalitica che con Saba e Svevo aveva fatto per la prima volta il suo ingresso nella letteratura italiana. Va però considerato il fatto che per Saba la poesia non ha scopo terapeutico, bensì piuttosto consolatorio, in quanto strumento indiretto, incapace di realizzare a pieno quella dimensione narrativa necessaria per ricostruire nella sua interezza la vita e così facendo anche la dimensione psichica. Attraverso il transfert la Lamarque ripercorre la propria esperienza, vedendo nell’analista la madre, il padre e l’amato: Amante neonata succhia l’uomomamma perdutamente ecco il latte buono viene -guardi244 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi Novecenteschi”, n.41, giugno 1991 131 scorre come dalla montagna il fiume naturalmente.245 Manca però nell’autrice la volontà di raccontare in modo ordinato e cronologico il suo percorso, volontà che invece struttura tutto il Canzoniere di Saba dando risalto all’aspetto narrativo dei testi che nel loro possono essere considerati come una vera e propria storia, romanzo psicologico appunto. Le poesie della Lamarque invece si susseguono nelle sue raccolte spesso con collegamenti analogici, e a volte senza apparente connessione tra un brano e l’altro. Attenzione è invece posta dall’autrice nell’ordinare le tre opere, collocando nell’opera omnia Poesie 1972-2002 prima i due signori, Il signore d’oro e Il signore degli spaventati, contenenti poesie dal 1984 al 1986, mentre inserisce Poesie dando del Lei come terza opera, essendo in quest’ultima vissuto più consapevolmente il transfert. Nei piccoli componimenti, soprattutto in Il signore d’oro e in Il signore degli spaventati, sono presenti i modi della poesia di Rodari: protagonisti della narrazione sono un generico signore e una generica signora descritti in situazioni surreali e fantasiose, come ne Il signore in fondo al mare: Un signore qualche volta andava in fondo al mare a vedere i diversissimi pesci che lì passavano. I pesci si accorgevano? Sì, i pesci guardavano il signore e anche dopo che era uscito dal mare anche dopo tanti anni, se lo ricordavano.246 Tale ambientazione richiama anche i modi della poesia di Sandro Penna, soprattutto quando nei testi della Lamarque, in una situazione apparentemente serena, affiora improvviso un dolore profondo che vanifica il tentativo di celarlo: Un signore non accanto a lei era seduto. Non dai finestrini indicava il panorama, guarda come è verde nessun colle. Non era stanco, non aveva fame, nessun pasto tra loro, nessuna cura. E allora? Allora il dolore scendeva sopra il viaggio.247 245 246 V.L., Amante neonata, in Poesie dando del Lei, cit., p.23 V.L., Il signore in fondo al mare, in Il signore d’oro, cit., p.37 132 Luccicante di sole la strada lo portava. Da lontano a Milano lo portava. Tutte le forze di velocità giravano giravano le ruote affinché il signore lontano diventasse un signore qui.248 La Lamarque è la conferma, come ha scritto Pasolini a proposito di Penna, che la grazia nasce dal male ( e che lo stile della grazia è, in certi casi isolati, la condensazione sublimata del male stesso con risultati struggenti di un gioco delle parti che rovescia in stile una patologia, in malinconia sospesa una lacerazione vitale).249 Rossana Dedola aggiunge a questo aspetto un’altra somiglianza tra i due poeti notando che, come Penna, anche la poetessa riesce a fare in modo che una sensazione sottile di diversità impedisca al sentimento più semplice di cadere nel luogo comune250: Caro Dottore dentro il suo cuore c’è una barchetta mi porti lontano La prego Dottore anche solo un’oretta poi ritorniamo251. Fantasiose e bizzarre appaiono anche le ambientazioni e le caratteristiche attribuite ai personaggi della trilogia dall’autrice: Storie bonsai, orologi di carta, bolle di sapone, che racchiudono l’esterno nell’interno, il naturale nell’artificiale, suggeriscono ad angusti spazi domestici illusioni ologrammatiche. Una Lilliput diversa da quella di Swift, metamorfica volubile comicamente carrolliana, non senza passaggi e spunti beckettiani. Ai signori e alle signore di Lilliput di Lamarque capita di tutto.252 Alcune delle modalità linguistiche adottate dalla Lamarque, sono invece riconducibili agli usi propri della lingua inglese. Si noti per esempio la 247 V.L., il signore non seduto, ivi, p.49 V.L., Il signore qui, ivi, p.11 249 G.D’Elia, De Monticelli, Lamarque, Sica: tre signore itineranti sui sentieri della poesia, in “Il Manifesto”, 5 febbraio 1993 250 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi Novecenteschi”, cit., p.231 251 V.L., Caro Dottore, in Poesie dando del Lei, cit, p.18 252 R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’arma della scrittura, in “Concertino”, cit., p.24 248 133 creazione di unità inusuali nella acaratterizzazione dei personaggi protagonisti, ottenute associando al sostantivo un altro elemento chelo definisce e caratterizza: il signore mai (neverman) o il signore non (no man). In altri componimenti invece la narrazione è portata avanti dal continuo alternarsi di negazione e affermazione, che crea un effetto di sdoppiamento della realtà: Non non primo, quel signore era l’ultimo, suo/ amore.253; Perché nella sua mente non c’era nessuno, c’era qualcuno.254 In tale modalità Marosia Castaldi individua una somiglianza con alcune espressioni della poetessa americana Gertrude Stein: “Ida non aveva abitato ovunque, ma aveva abitato in molte case e in moltissimi alberghi”, dove non c’è una negazione diretta, in quanto la negazione di “ovunque” è “in nessun posto” (everywhere e nowhere), ma in quanto il procedere linguistico si dà non direttamente affermando:”Ida aveva abitato in molte case e in moltissimi alberghi”, ma parzialmente negando: “non aveva abitato… ma aveva abitato”. I due procedimenti sono analoghi e sono linguisticamente funzionali alla figura dello sdoppiamento.255 253 V.L., Il signore ultimo, in Il signore d’oro, cit., p.64 V.L., Il signore del trono, ivi, p.61 255 M.Castaldi, Un posto vuoto, in “Lapis”, cit., p.74 254 134 CAPITOLO IV UNA QUIETA POLVERE 135 1. Genesi e storia Nel 1996 Vivian Lamarque vinse il premio Pen Club con la raccolta Una quieta polvere edita presso Mondadori per la collana Il Nuovo Specchio. Già nel 1987 l’autrice aveva publicato il poemetto Questa quieta polvere (composto nel 1983) sulla rivista letteraria Paragone256, che venne poi tradotto in francese nel 1997 da Raymond Farina257. Richiamandosi apertamente a This quiet Dust was Gentleman and Ladies, che Emily Dickinson scrisse nel 1864, con la citazione del titolo, la Lamarque ne riprende anche il tema, la morte, tema che attraversa tutta l’opera del 1996. Ritorna, seppure in misura minore, anche la tematica autobiografica già incontrata in Teresino, con l’intenzione di rappresentare un lungo lasso di tempo, anzi tutto il tempo della vita, fino all’eternità. Oltre alla biografia e all’aldilà, temi consueti all’autrice, la raccolta propone nuovi argomenti, come i testi per i nuovi milanesi di colore, trattando tematiche più collegate all’attualità storico-politica del periodo. Osserva inoltre Rossana Dedola: Liberata dall’ossessione di ritrovare il materno perduto, la poesia della Lamarque si trasforma in un prendersi a cuore gli esseri più deboli, rispettandoli e riconoscendogli una dignità258, come si può notare anche nei testi dedicati a temi naturalisti e animalisti. Nel 1996 la terapia col Dottor B.M. non è ancora terminata, ma in questa raccolta si esaurisce la tematica amorosa per l’analista, con il superamento della fase proiettiva dovuta al transfert e un ringraziamento al caro dottore a cui viene dedicata una sezione della raccolta, Poesie dando del Lei (altre). In un intervista del 1996 a questo proposito l’autrice dichiara: ”Fu un transfert fortissimo, un innamoramento non realizzabile… Ora so camminare da sola, non ne ho bisogno, però a quel dialogo tanto profondo e bello non voglio 256 “Paragone”, n.6, dicembre 1987, pp.56-74 “Les Cahiers de Poésie-Rencontres”n. 43 , Lyon 1997 258 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, Mondadori, Milano 2002, p.XI 257 136 rinunciare: ho accettato di passare da otto sedute al mese a quattro, poi a due, forse si arriverà a una, all’interruzione mai.”259 Per quanto riguarda invece l’attività lavorativa in quegli anni, nel 1992 Vivian Lamarque iniziò a collaborare col Corriere della Sera, collaborazione che all’altezza della data di pubblicazione di Una quieta polvere continua e dal 1997, in seguito anche alla chiusura dell’istituto in cui insegnava, il lavoro presso la testata giornalistica acquisterà sempre più peso nell’attività dell’autrice. Una quieta polvere è una raccolta eterogenea: le poesie e componimenti appartengono a periodi molto distanti tra loro, spaziando dai primi anni ’70 al 1995, con l’eccezione del brano Dediche senza poesie composto proprio nell’anno della pubblicazione, 1996. La prima sezione della raccolta, che riassume la vita dell’autrice, è la sezione che raccoglie il maggior numero di testi scritti negli anni ’70 e, ad eccezione di Febbre composto nel 1978, gli altri dodici testi sono del 1972 e del 1973. I componimenti degli anni ’90 si concentrano nella prima parte della sezione, formando un gruppo di cinque testi, per poi ritornare sparsi per tutta la sezione; sono solo quattro le poesie degli anni ’80. Per quanto riguarda le altre parti, l’epoca compositiva si restringe, raccogliendo testi che vanno dal 1980 al 1995. Due sezioni contengono solo brani scritti negli anni ’90: Cercasi: poesie per un trasloco che raccogliendo testi legati a un evento ben preciso, il trasferimento, hanno solo due date di composizione, il 1992 e il 1995, e Fine millennio, che invece spazia nei primi cinque anni. Come per le precedenti opere poetiche, nel 2002 la Mondadori ripropone la raccolta nel volume Poesie 1972-2002, senza però riportare nell’indice le date di composizioni dei testi, che invece erano indicate nella prima edizione. 259 S. Jeresum, E il poetar m’è dolce in questo male, in “Sette”, 30 maggio 1996 137 1.1 Le edizioni La raccolta Poesie 1972-2002, riproponendo Una quieta polvere, apporta alcune modifiche alla versione del 1996, modifiche che sono per la maggior parte piccoli aggiustamenti. Il lungo verso che apriva il primo testo della raccolta del 1996, Era la casa, nella riedizione viene diviso in due parti, facendo così coincidere i due periodi di cui si componeva con due versi distinti. In Dell’alluvione si preferisce unire in un’unica strofa le due parti di cui si componeva la poesia nella prima edizione, dove i primi due versi erano separati dal resto del testo. In Canto l’autrice inserisce un rigo musicale nel corpo del testo, posto dopo i primi quattro versi nella prima edizione, posizione anticipata subito dopo il secondo verso nell’edizione del 2002. Sostituiscono a un punto fermo il punto esclamativo l’ultimo verso di Calzina e il primo di Inverno, nella poesia Le quattro stagioni. Lettere minuscole nell’edizione 1996 in Poesie 1972-2002 vengono modificate in maiuscole: la signora forchetta/ e suo marito il coltello260 si personalizzano chiamandosi la signora Forchetta/ e suo marito il Coltello261; coerentemente col gioco di Poesie dando del Lei, l’edizione 2002 scrive non La inseguirò, correggendo la prima versione, non la inseguirò, nel quinto componimento della sezione dedicata al Dottor B.M. Accorgimento grafico è anche il corsivo adottato nell’ultima edizione, “quasi più è tornata nel cassetto”, che nel 1996 non era utilizzato per distinguere il “quasi” di Cucchiaini. Molto più rilevanti sono invece le modifiche apportate ai titoli dei componimenti. La sezione Cercasi: poesie per un trasloco, che nel 1996 proponeva sette poesie senza titolo, li inserisce nel 2002, mentre lascia invariati i testi poetici: Cercasi casa, Cambio casa, Fuochista, Trasloco, Trovata, Finestra, Condòmino. Lo stesso accorgimento si ritrova anche nel testo Ma nell’aldilà che chiude Poesie dando del Lei (altre) che nel 1996 era privo di titolo, mentre I poeti che ho amato nel 2002 si precisa in I poeti (viventi) che 260 261 V.Lamarque, Cucchiaini, in Una quieta polvere, Mondadori, Milano 1996, p.24 V.L., Cucchiaini, in Poesie 1972-2002, Mondadori, Milano 2002, p.141 138 ho amato, e Quel conoscerti, come si intitolava la poesia nel 1987 quando uscì in L’amore mio è buonissimo sui quaderni collettivi Guanda262, in Una quieta polvere prende il nome del marito Paolo. Nel 1981 la Lamarque aveva inserito nella sua raccolta d’esordio il brano dedicato al primo incontro, con la madre naturale, poi nel 2002 modificato in Conoscendo a 19 anni la madre. La poesia ritorna nella prima sezione di Una quieta polvere, col titolo dell’81 Conoscendo la madre, ma è soppressa nell’edizione 2002, probabilmente proprio perché essendo il testo già presente nella prima opera, Teresino, anch’essa raccolta in Poesie 1972-2002, la riproposizione sarebbe risultata una evidente ripetizione. Numerosi sono gli interventi sulle dediche. Viene modificata in C’era il muro, dove mentre nel 1996 si scriveva con discrezione alla famiglia V./ scala A, II p., nel 2002 l’autrice preferisce usare i nomi propri dei vicini: a Franco, Mimmo, Lucia, Anna come in Dediche senza poesie al generico al bosco con dentro mio fratello che suona si è aggiunto il nome del fratello della poetessa, al bosco con dentro mio fratello Fabrizio che suona; in Asinello, la prima versione era agli occhi degli animali, mentre Poesie 1972-2002 preferisce introdurre la poesia dedicandola agli animali, nuovi santi . Con l’edizione 2002 l’autrice scioglie alcune sigle delle iniziali dei nomi di cui, per riservatezza, si componevano le dediche del 1996: le tre poesie che narrano dell’incontro coi fratelli riportano il loro nome per esteso, a Marzio, a Fabrizio, a Orietta263, mentre Gioxe e Patricia si scoprono essere quella G. e quella P. dedicatarie di Canto. Numerose sono le dediche aggiunte nell’ultima edizione col metodo delle iniziali già adottato nella trilogia per il Dottor B.M.: Le monachine a T., Glocklein a M., a L.B .la poesia Piove, mentre per R. è detta La notte dei gattini, e per C.O. il breve componimento Lo diventeremo. Tre dediche vengono aggiunte nel 2002 alla sezione Cercasi: poesie per un trasloco: al 262 V.L., L’amore mio è buonissimo, in Quaderni della Fenice 30, Guanda, Milano 1978 V.L., Conoscendo un fratello, ivi, p.142; V.L., Conoscendo l’altro fratello, ivi, p.143; V.L., Cara sorella, ivi, p.143 263 139 Signor S. è dedicata la poesia Condomino, mentre ad una via, la via Arnaboldi, la lirica Finestra, e Trovata ai vicini di casa Franco, Marisa e Marco. Perde invece la dedica che aveva nel 1996 la sezione Pennino, dove nella prima edizione si leggeva: alle mie gomme, alle mie matite. Una delle poesie della raccolta del ’96 era già stata pubblicata nel 1993 da Stefano Crespi, in una sua breve recensione a Il signore degli spaventati, su Il sole 24 ore. Parlando dello stile della Lamarque ed evidenziandone i caratteri fiabeschi coi quali l’autrice esprime dolore e solitudine, il giornalista propone un testo inedito, intitolato Fiaba: Fuori dalla sua porta c’erano sei gradini/ lì una sera trovò qualcuno che dormiva si chinò a guardare era una bambina oh ma non dormiva oh ma non era viva! Il componimento proposto in anteprima da Crespi viene inserito nella sezione Poesie dando del Lei (altre) di Una quieta polvere con un’unica modifica al primo verso, la maiuscola caratterizzante il Dottor B.M.: fuori dalla Sua porta. Il poemetto del 1983, Questa quieta polvere, uscì invece la prima volta su Paragone, nel 1987. La lirica entrò poi a far parte nel 1996 di Una quieta polvere e nella riedizione della raccolta nel 2002. Le differenze tra le ultime due versioni non sono molte. Nel 1996 la quartultima strofa della parte III recita al primo verso: il tempo era diviso in giorni, tempo che nel 2002 è sostituito da anno, mentre le strofe 9 e 10, di tre versi ciascuna, in Poesie 1972-2002 si accorpano a formare un’unica strofa. Inoltre la dedica che apre la sezione, composta dall’unico poemetto, nel 1996 è Al cimitero di Tesero, sotto la neve, mentre solo Al cimitero di Tesero nell’ultima pubblicazione della raccolta. Più consistente il numero di modifiche apportate alla prima pubblicazione di Questa quieta polvere, tutte già consolidate nel 1996, eccetto il passaggio riferito ai tre fratelli dell’autrice, nella quintultima strofa della parte VIII: la 140 prima versione, del 1987, è imprecisa, Cari tre fratelli uno qui e uno lì, essendo i fratelli tre ma solo due i luoghi in cui sono detti, così la svista è corretta per la pubblicazione di Una quieta polvere in Cari tre fratelli uno qui e uno lì e uno lì; ma i tre fratelli sono due fratelli e una sorella, così nella versione definitiva del 2002 la Lamarque scrive con più precisione: Cari tre fratelli una qui e uno lì e uno lì. Innovazione macroscopica tra la prima e le successive due pubblicazioni è la sostituzione di Valle di Rame […] color del rame con Valle di Neve […] color della neve che ricorre nel testo per ben quattro volte: nella parte IV alla strofa 19; nella parte VII alla strofa 8; nella parte VIII all’ultima strofa; nella parte IX alla penultima strofa.264 In Una quieta polvere, sono due le sostituzioni di lettere maiuscole ad alcune minuscole del 1987, entrambe nella parte VI: la prima è v.1 della terza strofa da Questa quieta polvere diventa Questa Quieta Polvere; la seconda al v.2 della strofa 10, dove al dèi subentra Dèi. Nella parte VII, al v.1 della quattordicesima strofa su Paragone si trova una lunga parola composta, amoremiomarito, che per chiarezza dall’edizione 1996 si è preferito scrivere come l’amore-mio-marito, come è accaduto nella parte VIII per l’accorpamento in un’unica strofa (la quartultima) delle tre più brevi di cui si componeva la prima pubblicazione del poemetto( un verso, un verso, due versi). Sempre nella parte VIII si trova l’unica modifica che, apportata nel 2002, accomuna le versioni del 1987 e del 1996: la nona strofa del poemetto in Poesie 1972-2002 è divisa in due strofe da tre versi ciascuna nelle due pubblicazioni precedenti. Sorge il dubbio che l’unione delle due parti sia un refuso dell’edizione Mondadori 2002, fatto che occorre già con l’accorpamento di due strofe, la sesta e la quinta, della parte VI. In questo caso è appurato l’errore di stampa essendo la prima strofa autografa, arrivava da un corridoio lungo/ lui era il più bello di tutti , mentre la seconda una citazione dell’Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll, tagliategli la testa! ordinò la regina, che per il gioco compositivo del poemetto vanno sicuramente considerate distinte, essendo il poemetto composto o da strofe scritte 264 La numerazione delle strofe fa riferimento alla versione di Questa quieta polvere pubblicata in Poesie 1972-2002, cit., pp.161-175 141 dall’autrice o da strofe che ripropongono testi di altri autori, le une in stampatello minuscolo, le altre in corsivo (la soluzione grafica è invertita nella versione del 1987). A questo riguardo, l’ultima strofa della parte VI è scritta erroneamente in corsivo, sia nell’edizione 1996 che in quella successiva. La versione graficamente corretta è invece conservata nel testo su Paragone, non essendoci alcuna nota che espliciti la provenienza del frammento citato (cosa che invece accade per gli altri stralci). A riprova dell’errore si legga il testo, che porta i modi caratteristici della Lamarque: l’amore mio quando lo toccavo/ ero felice. 2. Struttura A differenza delle raccolte precedenti, costruita intorno a un unico tema la trilogia e su un preciso progetto autobiografico Teresino, Una quieta polvere risulta invece più articolata nella sua struttura, per la varietà di temi trattati come per il tipo di testi raccolti. Il principio unificatore di quest’opera finisce per essere non tanto un tema o una situazione, quanto l’autrice stessa, che si affaccia senza più schemi in primo piano.265 Si può così dire che l’innovazione introdotta con la raccolta è quella di aver abbandonato la struttura tipica delle opere precedentemente pubblicate, focalizzate sulla propria esperienza personale, permettendosi questa volta di alzare lo sguardo all’esterno, oltre la propria esistenza, per interessarsi anche al mondo nel quale viviamo. 2.1 Sezioni poetiche La raccolta Una quieta polvere riprende la struttura già proposta nell’esordio poetico dell’autrice, con l’organizzazione interna per sezioni poetiche, dividendo i testi per tematica trattata. I novantotto componimenti dell’opera sono ordinati in sette sezioni, eterogenee per numero di brani contenuti: le 265 U.Fiori, La voce nuova della signora, in “L’Unità”, 03 giugno 1996 142 prime due parti e la quarta raccolgono una ventina di testi, mentre le ultime tre circa dieci pezzi ognuna. E’ a sé la terza sezione dell’opera, accogliendo un solo lungo poemetto, Questa quieta polvere, con un forte richiamo al titolo del volume. Apre la raccolta la sezione Madri padri figli, riprendendo in ordine variato e al plurale un verso del componimento che chiude la sezione, Sogno d’oro (II): Non mi ero separata/ padre madre figlia […]. Composta da ventotto liriche è questa la parte che più si avvicina al modello tematico della prima raccolta della Lamarque, narrando infatti della storia personale dell’autrice. Dalle origini valdesi raccontate in C’era la casa, con cui si apre la sezione, si passa poi all’esperienza dell’adozione, vissuta come un abbandono, e proprio Abbandono si intitola uno dei componimenti che affrontano questa tematica. Per la prima volta viene proposta la doppia figura paterna, nella poesia al Caro babbo I (in ordine di n.)/ che ti chiamavi E. ed al Caro babbo II (ma primo)/ che ti chiamavi Dante. Si parla della solitaria infanzia vissuta a Milano e delle vacanze in colonia, per poi passare alle tre poesie dedicate ai tre fratellastri: Conoscendo un fratello, Conoscendo l’altro fratello e Cara sorella. Segue la narrazione della vita con la propria famiglia, con Paolo e con la piccola e poi cresciuta Miryam, ai quali dedica due liriche intitolate col loro nome. Incorniciano la sezione due componimenti omonimi: Sogno d’oro (I) e Sogno d’oro (II), sogni di una vita familiare serena, non segnata dall’abbandono materno e dalla separazione dal marito. Se la raccolta si apre narrando il passato dell’autrice, del presente parla la seconda sezione poetica intitolata Pennino, ossia la sua vecchia stilografica Pelikan che l’autrice in un’intervista racconta di usare dalla prima media.266 E’ dedicata alla scrittura questa seconda parte della raccolta, scrittura che è medicina per i dolori che la vita ha inflitto all’autrice. Si canta la solitudine quotidiana, dopo di te/ sposerò solo il mio pennino267 o sono io il mio 266 267 S.Jeresum, E il poetar m’è dolce in questo male, in “Sette”, 30 maggio 1996 V.L., Pennino (I), in Una quieta polvere, cit., p.45 143 capofamiglia/ che si alza nel buio/ a rassicurare la figlia268, ma colorandola coi toni della fiaba che sono propri alla Lamarque fin dalla prima raccolta. L’assenza della persona amata percorre tutta la sezione, ma la voce narrante sembra più decisa a non subire più le conseguenze dell’abbandono, scegliendo come arma proprio il pennino che dà il titolo alla sezione. Inserisce così al centro di Pennino la lirica I poeti che ho amato, nel 2002 diventata I poeti (viventi) che ho amato, e concludendo con Garzantina: Sono una poetina media/ normale/ da due righe e mezzo sulla garzantina universale. Molto eterogenea, la sezione raccoglie oltre alle brevi poesie, una lirica divisa in quattro piccole parti trattando de Le quattro stagioni, un rigo musicale inserito in Canto, e un brano dialettale, Pèss fritt, che una nota dell’edizione 1996 presenta come versi tratti dalla raccolta inedita Milan bruta bèla, 1978. Il gioco di rimandi tra inizio e fine della prima sezione viene qui ripreso con Pennino (I) che apre la sezione e Pennino (II) che la chiude. Con la terza sezione il tema della morte si introduce prepotentemente nella raccolta. Prendendo in prestito il titolo da una lirica della Dickinson, Questa quieta polvere è il nome che l’autrice dà alla sezione e all’unico testo qui accolto. Il poemetto di 418 versi divisi in nove parti dalla sola indicazione dei numeri romani, alterna strofe autografe e strofe tratte da altri autori, poi elencati in una nota alla fine del testo. Molte delle 53 citazioni che compongono la lirica sono tratte da fiabe, tra gli autori figurano infatti i fratelli Grimm, Andersen, Afanasjev delle Antiche fiabe russe, H.Hoffman di Pierino porcospino, oltre che le anonime Fiabe piemontesi. Sul confine tra fiaba e romanzo gli stralci presi da l’Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll, mentre le altre citazioni sono di poeti, prima fra tutti Emily Dickinson269. Ritorna nella lunga lirica anche una figura della lontana famiglia della Lamarque, con i due passi tratti da Storia dei Valdesi, scritto da Emilio Comba, bisnonno dell’autrice, dal quale infatti ha ereditato il cognome. 268 269 V.L., Spaesante ritorno, ivi, p.47 Gli altri versi sono tratti da L.Candiani, Poesie Giapponesi, e Due canzoni di M. Cvetaeva. 144 Ventuno sono i testi della quarta sezione, dedicata per l’ultima volta all’amato Dottor B.M. e che oltre a riprendere la tematica delle precedenti tre raccolte, ricalca il titolo di quella del 1989: Poesie dando del lei (altre). I primi quindici testi continuano il tono e le modalità compositive dell’opera omonima, così come lo schema tematico percorso si conclude parlando di quando i due saranno nell’aldilà. I brevi componimenti di questa prima parte si distinguono però dalla trilogia per la consapevolezza che l’autrice mostra nei confronti della situazione di transfert vissuta, tanto da permettersi di usare il tempo passato scrivendo Sonnambulina l’amavo/ leggermente stordita/ dai giorni e dalle notti/ della Vita. Tre liriche più consistenti precedono una lunga ballata divisa in due parti, Al Café Haus e Ai giardini, intitolata Ballata degli occhiali neri, occhiali che già dai primi versi si scoprono essere dell’analista: dietro gli occhiali neri/ io Le cercavo gli occhi. Chiude la sezione Ma nell’aldilà dove sognante la paziente ripropone il sogno di unione col proprio irraggiungibile dottore almeno dopo la morte, dove nessuno nessuno ci separerà. Cercasi: poesie per un trasloco è la breve quinta sezione composta da sette poesie. Tematicamente precisissima, fin dal titolo annuncia l’occasione di composizione dei brani. Cercasi casa/ cercasi casa con sole270, cercasi casa assolata271, cercasi casa con luce forte272, recitano le prime quattro poesie della raccolta, è con il quinto componimento, che nel 2002 prende il titolo Trovata, che si passa alla descrizione della nuova casa, in via Arimondi, alla cui finestra e al cui condòmino l’autrice dedica le ultime due liriche della sezione. Nuove tematiche sono affrontate nella sesta parte, Fine millennio. Qui l’autrice racconta del legame che unisce gli esseri umani alla natura, come in Asinello e in Requiem per margherite, ma soprattutto del mondo esterno, nelle altre raccolte lasciato in disparte. Proprio il legame che Vivian ha con il mondo è narrato in Bella copia, opera d’apertura: 270 V.L., Cercasi, in Poesie 1972-2002, cit., p.191 V.L., Fuochista, ivi, p.192 272 V.L., Trasloco, ivi, p.192 271 145 poter domani il Foglio di Bella della vita cominciare […] e dopo la nostra poter passare alla Bella del mondo […] la bella copia del mondo –o Felicitànon si può fare. Segue una poesia sulla guerra del Golfo, scritta per il Corriere della sera, Girotondo, e poi alcuni brani per i nuovi milanesi di colore, gli immigrati che ai semafori lavano i vetri, i Vù cumprà, e proprio a loro in Testamento Vivian lascia le cose di valore, mentre alla frenetica vita contemporanea la Lamarque contrappone la piacevolezza del permettersi di rallentare, di perdere tempo facendo le Code. La sezione si conclude con la poesia Ruanda, in cui figura una reminescenza del campo di concentramento Terezìn già incontrato nel titolo della prima raccolta, nel 1981. Con le tredici poesie che compongono la sezione, l’autrice ci offre quindi un piccolo scorcio della vita cittadina contemporanea di Milano e del mondo. Chiude la raccolta la sezione Come fiori i cui undici testi sono dedicati alla morte e alle persone defunte. Per l’amica Daniela De Vita, morta a 36 anni273, l’autrice scrive due liriche, una poesia è invece intitolata A Pasolini, per il suo anniversario da assassinato. Gli altri componimenti trattano di un prossimo futuro, dove tutti saremo come la terra e gli insetti/ come i fiori274 con l’eccezione di Dediche senza poesie, dove una serie di persone care vengono elencate una dopo l’altra dall’autrice, dedica conclusiva del libro, o forse affetti a cui Vivian ripenserà una volta diventata appunto Come fiori. Recita a questo riguardo il post scriptum finale: Siamo poeti. Vogliateci bene da vivi di più Da morti di meno Che tanto non lo sapremo. 273 274 V.L., A D. morta a 36 anni, in Una quieta polvere, cit., p.124 V.L., Lo diventeremo, ivi, p.127 146 2.2 Dediche Ogni sezione di Una quieta polvere si apre con una dedica, caratteristica che si ritrova anche in molti dei componimenti della raccolta, che infatti si chiude con un testo composto di sole dediche, Dediche senza poesie. Così anche l’intera raccolta, introducendo la modalità che distingue Una quieta polvere, ha dei dedicatari: il marito Paolo a cui l’autrice deve il proprio cognome, a Paolo, il mio cognome è suo, e la figlia Miryam insieme col fidanzato Giorgio, che si sposarono nel giugno dell’anno in cui fu pubblicata la raccolta. All’amata madre adottiva è dedicata la sezione che parla della vita familiare di Vivian, Madri padri figli, con la frase alla madre/ che mi ha salvata. Pennino, che nell’edizione 1996 recitava alla mie gomme, alle mie matite, è l’unica sezione che in Poesie 1972-2002 perde la dedica introduttiva. Si consideri però che già il titolo Pennino è una dichiarazione d’intenti, tanto più che la sezione si apre e si chiude sui versi di Pennino (I) e Pennino (II) dove Vivian dichiara fedeltà al suo pennino, ossia al suo scrivere. Anche la dedica a Questa quieta polvere subisce dei cambiamenti da un’edizione all’altra. Con l’aggiunta di sotto la neve nella prima edizione della raccolta, rimane però invariato il dedicatario, che anticipa il tema che percorre insistentemente tutto il poemetto. Al cimitero di Tesero, si legge sotto al titolo della sezione, con il paese natale di Vivian Lamarque di nuovo citato in una sua raccolta. Quarta parte della trilogia sul transfert, oltre che replica della seconda pubblicazione sul tema, a nessun se non al Dottor B.M. avrebbe potuto essere dedicata Poesie dando del Lei (altre). Alla poetessa Alida Airaghi è dedicato il gruppo di poesie sul trasloco. Già la Lamarque aveva parlato dell’amica nella precedente sezione in Caro Dottore Le scrivo, raccontando del suo viaggio sul lago di Zurigo, alla casa di Jung: […] quel monte che la casa/ di Jung guarda/ e che io guardo con Rossana/ e Alida. La scrittrice si era infatti trasferita lì subito dopo il matrimonio con Siro 147 Angeli, nel 1978, e in Svizzera visse fino al 1992, quando, dopo la morte del marito, si trasferì di nuovo in Italia. La sezione Fine millennio che racconta degli immigrati nelle nostre città, delle vittime delle guerre, degli animali maltrattati e della natura non rispettata dall’uomo, proprio a loro è dedicata, con un onnicomprensivo ai poveri che ci circondano. Come fiori, è infine dedicata a Vittoria Botteri, come a Vittoria recita il brano Dediche senza poesie, ponendo l’amica al secondo posto, subito dopo il nome dell’amato Paolo, nel lungo elenco di nomi di cui il testo si compone. 148 2.3 Citazioni Accompagnano le dediche ad ogni sezione altrettante citazioni, introduzione alla tematica trattata dai componimenti raccolti nelle sette parti in cui è divisa l’opera. Ritorna il modello strutturale proposto in Teresino, ma con una variatio che rispecchia l’eterogeneità delle parti, e dei testi, di cui si compone Una quieta polvere. Nel 1981 tutte le epigrafi introduttive alle sezioni erano tratte dalla fiaba di Charles Perrault, svolgendo la funzione di trai d’union e di sintesi tematica alle varie fasi autobiografiche narrate in Teresino. Nel 1996 continua la funzione di ripresa tematica che i vari frammenti svolgevano nei confronti dei testi a cui erano premessi, viene però abbandonatta l’idea di continuità e omogeneità, che infatti non appartiene all’impostazione di questa raccolta. Era Le Petit Pouchet la fiaba scelta per accompagnare le poesie dell’autrice nel 1981, in Una quieta polvere sono Hansel e Gretel ad aprire la raccolta, introducendo la sezione che più si avvicina a Teresino per i temi affrontati: la famiglia, l’abbandono vissuto con l’adozione, il matrimonio con Paolo, la figlia Miryam, e altri piccoli frammenti della propria vita privata che l’autrice ci aveva già fatto conoscere nel suo libro d’esordio. Tema portante della prima raccolta poetica era stata la problematica percezione di avere due mamme, ora, in Madri padri figli la prospettiva si amplia, la Lamarque ci presenta i suoi fratellastri, la casa valdese in cui sarebbe potuta crescere, e ai due padri dedica Babbi, dove si rivolge ad ognuno di loro. E’ il padre ad abbandonare nel bosco i due fratellini nella fiaba dei fratelli Grimm che l’autrice sceglie per introdurre la sezione. Credevano che il babbo fosse vicino, ma il Caro babbo II (ma primo), il padre adottivo, morì quando Vivian aveva quattro anni, per questo è lontano, assente è invece il padre naturale, che dal testo del componimento sembra sorpreso proprio dalla scoperta di avere una figlia, che quando ti ho detto/scusi mi hanno detto/ che lei è mio padre/ hai fatto un passo indietro. Nella favola i fratellini credono che il padre sia nel bosco a tagliare la legna, poco distante da loro, per via dei colpi d’accetta che sentivano, ma non era 149 l’accetta, era un ramo che egli aveva legato a un albero secco e che il vento sbatteva di qua e di là. La raccolta si apre così con un abbandono, compiuto proprio dalle persone di cui maggiormente un bambino si fida, i genitori, che si svestono del ruolo che dovrebbero invece rivestire. E’ un’altra fiaba a dare il via alla sezione Pennino. Il frammento questa volta è di Il compleanno dell’infanta di Oscar Wilde, uno dei quattro racconti che compongono La casa dei melograni (A house of pomegranates). La storia narra della figlia del re di Spagna, l’Infanta, a cui era proibito giocare con i ragazzi della sua età solo nel giorno del suo compleanno, il resto dell'anno la principessa stava sola nella sua immensa reggia. Proprio a una di queste feste partecipò allo spettacolo allestito per la bambina anche un nano, che divertì la principessina a tal punto che lei gli lanciò un fiore, come omaggio. Fraintendendo il gesto, il piccolo saltimbanco si innamorò e quando finalmente riuscì a rivederla, gli capitò di specchiarsi. Non si riconobbe subito, così brutto e deforme, ma quando si rese conto dell’impossibilità del proprio amore a causa proprio del suo aspetto, confermato dal disinteresse mostratogli dalla principessa, per il dolore morì. L’infanta davanti a una tale tragedia, dopo il disappunto iniziale sul fatto che il nano non potesse più farla divertire come le aveva ordinato, pronunciò le parole riproposte dalla Lamarque: In futuro, che quelli che verranno a giocare con me non abbiano cuore. Leggendo i brani proposti dall’autrice nella sezione si capisce che il punto di vista da lei assunto è duplice: utilizza le parole della principessa, ma prende per sé anche il cuore del nano. Rimanendo nella metafora, se le persone con cui giocherà non le offriranno né la possibilità di fidarsi di loro né affetto, lei non soffrirà per l’eventuale loro abbandono, come invece spesso le è accaduto, ribadisce nei brani autobiografici. Questa quieta polvere, propone in calce al testo proprio la fonte di ispirazione del titolo della sezione, del poemetto e della raccolta stessa: This quiet Dust/was Ladies and Gentleman. La lirica di Emily Dickinson è una contemplazione della morte e del suo divenire, narrata come conseguenza 150 naturale della vita, la polvere infatti era uomini e donne. L’autrice ripropone questi primi versi, introducendo in modo chiaro la tematica del componimento, intuibile anche dalla dedica al cimitero di Tesero. E’ Dante l’autore che la Lamarque sceglie per introdurre la sezione dedicata all’amato dottore. Poi caramente mi prese per mano, recita il v.28 del XXXI canto dell’Inferno, quando Virgilio prepara il poeta all’incontro coi giganti nel nono cerchio. Il prendere per mano Dante in un momento difficile da affrontare, nel quale potrebbe trovarsi in difficoltà, rende più affettuoso l’appoggio che la guida garantisce al discepolo. Nella citazione è Virgilio a prendere per mano il poeta, così nell’analogia creata con la citazione del verso come introduzione a Poesie dando del Lei (altre), è il Dottor B.M. che prendendo per mano Vivian le ha permesso di affrontare ciò che da sola le sarebbe stato impossibile. Ritorna l’immaginario fiabesco nella citazione che introduce Cercasi: poesie per un trasloco. Il brano è tratto da Peter Pan nei giardini di Kensington di J.M.Barrie, opera che precede la pubblicazione del romanzo Peter Pan and Wendy, da cui deriva l’immagine più famosa del protagonista. Il bizzarro bambino che si rifiuta di crescere e si ostina a vivere in una perenne infanzia in un mondo che non si occupa molto di ciò che è reale agli occhi degli adulti, è presentato appena nato, a soli sette giorni, quando scavalca la finestra della sua cameretta guidato da un irresistibile impulso e vola appunto verso i Giardini di Kensington. E’ il fatto di aver deciso di uscire dalla casa e di entrare nei giardini ad aver permesso a Peter di incontrare tutte le strane e fantastiche creature che popolano questi giardini. La citazione proposta dalla Lamarque parla di fate, sono loro che costruiscono la casa per gli smarriti, una casa che si vede solo quando vi si esce, anche se la sera capita che qualche bambino riesca a scorgerne la luce delle finestre. Peter aiuta le fate, accompagnando lì i bambini che si perdono nei giardini, così la casetta continua a sparire e riapparire, portando conforto agli smarriti. 151 Sono venuta qui con mio marito, mia figlia, degli amici al piano di sopra, per vent’anni. E poi dopo un po’ di anni gli amici sono andati via, il marito pure e son rimasta io con mia figlia e gatto e cane…275 spiega l’autrice nel giardino di quella che era casa sua nel quartiere QT8. E’ questa la casa dalla quale si trasferisce nelle poesie di Una quieta polvere, casa nella quale ha vissuto la separazione dal marito e il proprio smarrimento: son stati gli anni più disturbati, dal punto di vista mentale. Infatti poi ho iniziato l’analisi.276 L’analisi, il trasferimento, la nuova raccolta poetica dove si affrontano nuove tematiche, oltre a quella tanto dolorosa dell’abbandono, Vivian Lamarque dimostra così di essere riuscita a farsi trovare da Peter, per trasferirsi nella fatata casetta degli smarriti, come recita in conclusione la citazione: dite all’uomo che vi siete persi e lui vi ritroverà. La sezione Fine millennio, dedicata ai poveri che ci circondano, è introdotta dalla contraddittoria sentenza che il giudice pronuncia nel cap. XIX di Le avventure di Pinocchio di Collodi dopo aver calorosamente ascoltato la disavventura di Pinocchio, che era stato gabbato dal Gatto e dalla Volpe, che l’avevano convinto a seppellire il suo denaro dicendo che così sarebbe cresciuto un albero pieno di soldi, mentre invece i soldi così facendo glieli avevano semplicemente rubati. Ma invece che punire i due imbroglioni, il giudice esclama: Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione. Il burattino passerà quattro mesi in prigione a scontare questa ingiusta condanna. Altrettante ingiustizie vengono narrate dall’autrice n questa sezione dedicata a chi ingiustamente è punito con la sofferenza e la povertà, perché immigrato, perché animale, pianta, o per la colpa di vivere in un paese in guerra. Le persone non muoiono, restano incantate recita la citazione che l’autrice ha scelto per la sezione che chiude la raccolta, Come fiori. Se quindi questo titolo di primo acchito poco può dire del contenuto dei componimenti che raccoglie, molto più esplicita è l’affermazione che lo scrittore de Il grande Sertao, Guimaraes Rosa, disse al termine del discorso che lo insediava all’accademia brasiliana delle lettere, pochi giorni prima della sua morte, nel novembre del 275 276 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, in Gente di Milano, Associazione Locus, Milano 2008 Ibidem 152 1967. Riproponendo questa frase, l’autrice si unisce all’idea d’incanto che caratterizza anche il suo modo di vedere, nonostante spesso nei suoi testi la morte, così insistentemente evocata, faccia paura. 3. Contenuti A differenza delle precedenti raccolte, Una quieta polvere raccoglie varie tematiche già sommariamente divise nelle diverse sezioni. Mentre nella prima raccolta si parla della famiglia, nella seconda Vivian pone in primo piano se stessa e il suo scrivere. Dopo il poemetto Questa quieta polvere, riprende e conclude il discorso psicanalitico, per poi passare all’attualità dell’immigrazione e del diritti di tutti gli esseri viventi. L’ultima sezione è interamente dedicata alla morte, già trattata con insistenza nella terza parte della raccolta, e riproposta sempre in ogni sua sezione. Sebbene in alcune parti la tematica principale sia un’altra, il tema della morte percorre tutta l’opera dell’autrice, tema proposto fin dall’inizio, con la scelta del titolo, Una quieta polvere, così simile alla lirica luttuosa che la Dickinson iniziava proprio con le stesse parole: This quiet dust. 3.1 L’adozione: l’abbandono, la solitudine e la conseguente continua ricerca d’affetto La prima sezione, Madri padri figli, riproponendo l’autobiografia familiare dell’autrice porta di nuovo in campo l’esperienza dell’adozione e la conseguente sensazione di abbandono e solitudine che accompagna la vita di Vivian. Gran parte delle poesie della sezione sono dedicate alla rievocazione dell’infanzia, si pensi che delle ventotto poesie di cui si compone questa prima parte, sono undici quelle che trattano tale tematica. Rispetto alla raccolta Teresino, in Una quieta polvere la sensazione di abbandono e solitudine è 153 racconta in modo più diretto e definito, come già nei titoli espliciti Abbandono o Adozione ninna-oh. La narrazione della sezione segue l’evoluzione di questa condizione partendo coi primi testi dove la piccola Vivian sembra voler convincere sua madre a non portarla a Milano dalla nuova mamma: Mangiavo dormivo/ facevo la bravabambina/ per conquistarti “mammina”. Il vezzeggiativo posto tra virgolette anticipa, ironizzando su un affettuosità non vissuta, la decisione della madre di rinnegare il proprio ruolo, come già nella citazione iniziale il papà di Hansel e Gretel. Infatti la conclusione è amara: corteggiamento vano[…] mi hai lasciata a Milano. La sofferenza della figlia è tale da paragonare la madre alla morte, scrivendo proprio nel componimento successivo: la Morte è una Madre che abbandona277 e che non è in grado di donare alla propria bambina l’affetto che le si meriterebbe, non comportandosi da madre, perché le madri, quelle vere278, pettinano le loro bambine, e li coprono di baci, i loro figli sanno si essere amati. La stessa sensazione è cantata nei versi Non lo vuole la sua mamma/ chi gli canta la ninna nanna? […] cercheremo un’altra mamma/ che gli canti la ninna-nanna.279 dove Vivian si canta da sola una ninna-nanna, come per consolarsi, per accettare la situazione, per indorare la pillola, ma la situazione è sempre la stessa e così anche la canzone non può che cantare di quello, concludendosi nella confusione affettiva, dove persino la voce narrante non sa più verso chi indirizzare l’affetto del bambino: anzi quella sì e questa no/ anzi forse ma però/ questo bimbo a chi lo do? Reminescenza dell’abbandono materno è anche in Pennino, quando raccontando di alcuni gattini che aveva trovato una notte , la Lamaque li descrive con un’eloquente analogia: abbandonati come bambini.280 All’abbandono e all’adozione già ampiamente trattate nella raccolta del 1981, con le poesie di Una quieta polvere si aggiungo particolari e dettagli biografici. Già numerosi testi erano stati scritti per le due madri, ma è questa la prima volta che l’autrice ci propone una poesia dedicata ai due padri. La descrizione 277 V.L., Ade, in Una quieta polvere, cit., p.16 V.L., Prato, ivi, p.17 279 V.L., Adozione ninna-oh, ivi, p.19 280 V.L., La notte dei gattini, ivi, p.53 278 154 sottolinea la dualità della figura, come in un elenco prima vengono numerati, Caro Babbo I (in ordine di n.)/ […] Caro babbo II (ma primo), e solo successivamente chiamati per nome, Dante l’amato padre adottivo, mentre lontanissimo è sentito il padre naturale, chiamato solo con una lettera E. A questi riguardo si noti che invece il nome della madre naturale non è mai comparso, nemmeno con le sole iniziali, in nessun componimento, né di Teresino né di Una quieta polvere. Tre componimenti sono dedicati ai tre fratellastri di Vivian, quei figli che la madre naturale ha tenuto, come dice in Ade: la Morte è una madre che abbandona/ tiene tutti gli altri figli/ e lascia all’Ade te. Nei componimenti dedicati agli incontri coi fratelli, però, il tono non è di rancore, anche loro sono vittime della madre, come scrive alla sorella Orietta: oggi capisco/ che ti eri spaventata/ quando ero nata/ avevi tredici anni/ e anche tu l’infanzia/ un po’ minata281. Il rimpianto di una famiglia irrealizzata è nei versi per il fratello Fabrizio, dove raccontando di quando si erano conosciuti da adulti, dice che chi li guardava notava la somiglianza tra loro, aggiungendo quei bambini in cortile/ potevo essere io282. Tracce del loro incontro a Firenze si ritrovano anche nella sezione Cerco casa: poesie per un trasloco, quando guardando dalla finestra all’autrice sfugge una sofferta analogia a causa del nome della piazza su cui si affaccia il suo appartamento, piazza Firenze a cui aggiunge (mia matrigna)283. Proprio in questa sezione si consuma la conseguenza di un altro abbandono, di un altro affetto perso, quello del marito Paolo, della cui separazione si racconta nell’ ultimo componimenti di Madri padri figli, oltre che in Pennino. Dopo di te/ sposerò solo il mio pennino/ e nessun altro284 scrive dopo l’impossibilità del sogno che chiude la prima sezione: Non mi ero separata/ padre madre figlia/ la famiglia continuava unita[…]285. Ritornano in alcune strofe di Questa quieta polvere, i toni di L’amore mio è buonissimo, con Vivian che cerca in tutti i modi di riconquistarne l’affetto ed esorcizzarne l’assenza. Sembra però 281 V.L., Cara sorella, ivi, p.29 V.L., Conoscendo l’altro fratello, ivi, p.28 283 V.L., Quanto cara mi è questa finestra, ivi, p.102 284 V.L., Pennino (I), ivi, p.45 285 V.L., Sogno d’oro (II), p.41 282 155 incolmabile il vuoto lasciato dall’amato, quando l’autrice scrive con questa luce forte/ si vede a prima vista che l’amore mio non c’è/ L’amore mio mi manca/ l’amore mio mi manca così tanto o quando inutilmente insiste adesso basta non esserci/ adesso voglio che l’amore mio ci sia/ voglio che l’amore mio sia lì/ anzi qui/ che io possa allungando una mano/ toccarlo. E’ inutile domandarsi se l’amore mio a me manca/ perché anch’io non mancare all’amore mio?, ma Vivian non può farne a meno, alla ricerca disperata di quell’amore che sua madre non le aveva saputo dare quando era piccola. La conclusione a cui si arriva nel poemetto, in casa si vede subito/ che l’amore mio non c’è, ricorda le poesie di Il tuo posto vuoto286, dove l’autrice cantava di questa separazione. Separazione della quale non c’è traccia nella prima sezione di Una quieta polvere, se si esclude il componimento conclusivo. Gli ultimi brani, dedicati alla nuova famiglia dell’autrice, sono infatti più sereni, allegri i brani per la figlia descritta mentre canta, salta, gioca col papà, come priva di presagi negativi si svolge la narrazione dell’incontro e dell’innamoramento di Vivian e Paolo nel testo intitolato proprio col nome del marito, Paolo. Anticipa il sentimento familiare di questi brani la parte centrale della prima sezione, nella quale si canta della madre adottiva, a cui è dedicato il componimento Mamma e a cui Vivian è grata per l’affetto ricevuto, che si concretizza in Latte nella biancheria lavata stirata/ bottiglie di latte materno/ che non hai mai avuto/ e più di tutti hai. L’altra madre invece resta distante, è detta madre e non-madre/ mia e le si rinfaccia continuamente la sua decisione: Ti tengo […] ma tu non hai tenuto me.287 La solitudine vissuta nell’infanzia è raccontata sempre nella prima sezione quando stanca del troppo silenzio appoggiava l’orecchio al muro, per sentire parlare di là i vicini288, e nei pranzi consumati da sola, parlando con la signora Forchetta/ e suo marito il Coltello289, o a casa di qualche amico, come racconta in Riso in bianco, al cui sollievo della cena in compagnia seguiva l’angoscia del tornare a casa, nella propria solitudine: la sua porta da aprire/ ha dietro i 286 V.L., Teresino, Società di Poesia & Guanda, Milano 1981 V.L., Crochet, in Una quieta polvere, cit., p.31 288 V.L., C’era il muro, ivi, p.21 289 V.L., Cucchiani, ivi, p.24 287 156 ladri/ e che paura fa, respirare. Analoga la situazione narrata in Pennino, ma per la solitudine conseguente alla separazione dal marito, come scrive in Spaesante ritorno: […] se il vento o un ladro fanno di là un rumore sono io il capofamiglia che si alza nel buio a rassicurare la figlia. 3.2 Il sentimento materno e le attenzioni per i più deboli I componimenti della raccolta del 1981 lasciano ora il posto a una poesia più varia, nei quali l’autrice non si interessa solo della propria vicenda personale, ma anche delle storie e delle necessità degli altri. Tale sentimento è innanzi tutto mostrato con il nuovo modo di intendere la maternità, non più àncora di salvezza per se stessi, come appariva dalle poesie della sezione Ho una bella bambina, bensì vissuta come un affetto che si lega alla responsabilità del ruolo di madre: le poesie possono aspettare/ non possono aspettare le persone care. Proprio per spiegare questo cambiamento di prospettiva, felice esito del percorso analitico, l’autrice inserisce nella sezione Madri Padri Figli la Preghiera delle mamme che hanno involontariamente mancato nei confronti dei propri figli. Come un mea culpa ritorna più volte nel componimento la richiesta di perdono alla figlia per gli anni della nostra assenza/ […] per quando ci chiamavi e non c’eravamo/ o c’eravamo ma eravamo perse a noi stesse/ o c’eravamo ma non vedevamo. Rivestendo il ruolo di madre, e non più quello di figlia abbandonata, in modo adulto la mamma Vivian riconosce di aver sbagliato, spiegando però che questo non è stato un abbandono voluto, ma involontario, come già recita il titolo, perché stavamo male/ perché stavo male stavo male/ figlia dolce mia. Grazie a questa consapevolezza ora, oltre che la figlia, può accudire l’anziana e amata madre adottiva, si prende cura di lei come la madre faceva con lei bambina, i ruoli si sono invertiti a causa dell’età, come scrive giocando con le cifre degli anni: hai solo otto anni/ l’”anta” lo 157 buttiamo via/ che bella bambina/ madre mia290. Il ruolo di capofamiglia lo assume dichiaratamente quando, dopo la separazione, è lei che nonostante la paura per i rumori che si sentono la notte si alza nel buio/ a rassicurare la figlia.291 E’ nella sezione Fine millennio, dedicata ai poveri che ci circondano, che l’autrice esprime pienamente questo suo nuovo modo di scrive, trasformatosi in un prendersi cura, un prendersi a cuore gli esseri più deboli, rispettandoli e riconoscendogli una dignità.292 Agli animali nuovi santi dedica la poesia Asinello per il quale si invoca un paradiso subito per le fatiche sopportate in vita, de i nostri cani adorati/ affamati assetati parla invece in Vù cumprà, come nella sezione Pennino dedica una poesia all’amato cane Brigante293, e in un altro testo racconta della notte in cui lei e un amico, o l’amato, trovarono dei gattini abbandonati e li aiutarono: la notte dei gattini/ ti ho voluto del bene in più.294 Alla natura si dedica invece curando il proprio orto, guardo i legumi in fila, raddrizzo/ un pomodoro storto295, mentre ai fiori è invece rivolto Requiem per margherite, dove l’autrice canta dell’ingiusta sete dei fiori dei vagoni ristorante, senz’acqua nel vaso/ per non bagnare/ la tovaglia elegante. 3.3 Il mondo La volontà di andare incontro alle necessità del prossimo, amplia lo sguardo della Lamarque che in Una quieta polvere si rivolge al mondo che la circonda. Partendo da un’analogia con la sofferenza delle piante cantate in Requiem per margherite si introduce una dolorosa tematica della storia del ‘900, l’Olocausto: non beati gli assetati fiori della carrozza ristorante 290 V.L., Mamma, ivi, p.32 V.L., Spaesante ritorno, ivi, p.47 292 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.XI 293 V.L., Al mio cane brigante, in Una quieta polvere, cit., p.55 294 V.L., La notte dei gattini, cit., p.53 295 V.L., Orto, cit., p.54 291 158 senz’acqua nel vaso per non bagnare la tovaglia elegante […] tutte in fin di vita dal finestrino la pioggia tese verso il vetro la chiamavano la chiamavano Regen! Regen! credete a chi le ha sentite sembravano bambine le margherite sembravano bambini […]. Il riferimento finale ai bambini, così come la scelta della lingua tedesca per chiamare la pioggia, riprendono l’analogia con cui si era aperta la poesia: non beati gli assetati/ sui treni: fiori, Ebrei/ agnelli, bambini. Ritorna così in questa raccolta il campo di concentramento dei bambini di Terezin, a cui si faceva già riferimento in Teresino, ma solo nel titolo della raccolta. Ora, dopo l’introduzione tematica proposta da Requiem per margherite, confermando l’analogia con le margherite bambine, si nomina di nuovo Terezin nel componimento successivo, Ruanda, in cui l’epigrafe recita: Com’è orribile Terezin!/ Quando torneremo a casa? mentre conclude la poesia: Dall’acqua (dai forni)/ come dai finestrini/ salutano il millennio/ braccia e braccia/ di bambini. Con l’analogia con le stragi causate dal nazismo, Vivian Lamarque nel 1994 compone una poesia che narra del genocidio in Ruanda296, indicazione geografica già specificata nel titolo del testo, prendendo in questo modo posizione anche rispetto a quello che riguarda l’attualità del mondo, con le ingiustizie e il male a cui si è costretti ad assistere. Ai soldati uccisi dalle 296 Il problema di distinzione raziale tra le tribù ruandesi Hutu Tutsi e Twa, che sarà poi causa del genocidio del 1994, fu una conseguenza del rigido sistema coloniale di separazione razziale e sfruttamento instaurato dal potere coloniale belga, sostituitosi alla potenza tedesca nel 1916. Il governo coloniale concesse ai Tutsi la supremazia sulla tribù maggioritaria degli Hutu (85% della popolazione), alimentando così tra i due gruppi contrasti e risentimenti che si trascinarono fino al 1959, quando il Belgio cedette il controllo del Ruanda alla maggioranza Hutu. Con l'indipendenza ebbe così inizio un lungo periodo di segregazione e massacri antiTutsi appoggiati dalle nuove istituzioni. Centinaia di migliaia di Tutsi e Hutu furono costretti all'esilio. Nel 1988 alcuni rifugiati diedero vita ad un movimento di ribellione con base in Uganda, il Fronte Patriottico Rwandese (FPR), rivendicando la loro patria. Nel 1990 l'RPF sferrò un'offensiva contro il regime Hutu fermata grazie all'aiuto militare franco-belga, a cui seguirono guerre e massacri. Quando nel 1993 le Nazioni Unite negoziarono un accordo che spartiva il potere tra le tribù, per preservare il proprio potere, gli estremisti Hutu fecero in modo di impedire che l'accordo venisse messo in atto. Il genocidio del Ruanda avvenne tra il 6 aprile alla metà di luglio del 1994. Per circa 100 giorni, vennero massacrate sistematicamente (a colpi di armi da fuoco e machete) tra 800.000 e 1.000.000 persone. Il genocidio, ufficialmente, viene considerato concluso con la missione umanitaria voluta e intrapresa dai francesi, sotto autorizzazione ONU (l'Opération Turquoise). 159 guerre è invece dedicata Soldati che si pone il problema del numero di morti causati dagli eventi bellici, scegliendo come epigrafe un frammento tratto da Centomila gavette di ghiaccio di Giulio Bedeschi. Richiamandosi al girotondo che nel poemetto Teresino rievocava la morte di un padre in guerra, Vivian Lamarque scrisse una poesia anche in occasione della Guerra del Golfo297, questa volta su committenza del giornale Repubblica, che, come recita la nota al testo, lo pubblicò il 3 novembre 1990: Girotondo casca il mondo/ casca la terra/ si alza la Guerra […].298 Agli immigrati, nuovi milanesi di colore, è invece dedicata la poesia Testamento, a cui Vivian scrive di voler lasciare le cose di valore. Introduce così i lavori umili a cui sono costretti per guadagnare qualche soldo: che per due lire ci fanno i vetri luccicanti/ oh nostri innocentissimi emigranti/ per due lire venuti da lontano/ con i vostri negozietti nella mano. Anche in Vu cumprà l’autrice si rivolge a loro, affidandogli Milano, dato che è agosto e i milanesi dalle case eleganti partono per le vacanze. Da questo invito fiducioso e per nulla condizionato dalla diffidenza di molti nei confronti degli immigrati, la poesia prende spunto per parlare della dignità umana, col diritto di essere ognuno chiamato con il proprio nome: ma voi come vi chiamate?/ Vi abbiamo tolto anche i nomi/ nelle nostre città/ vigilate voi, voi Persone/ che vi chiamano Vù Cumprà, si noti anche la scelta di usare la lettera maiuscola nella parola persona, ribadendo ulteriormente la loro dignità di persone con la p maiuscola. Della difficile realtà in cui si trovano questi uomini e queste donne si parla invece in Nuovi Dèi dove l’autrice si rivolge gentilmente ai lavavetri ai semafori: non ho vetri oggi mi spiace/ per le vostre candide mani nere. Arrivati in cerca di fortuna si sono ritrovati solo con 297 Il 2 agosto del 1990 il presidente iracheno Saddam Hussein invase il vicino Stato del Kuwait. L’attacco fu una dimostrazione di forza contro gli Stati Uniti ed i loro alleati, come conseguenza della ambigua politica mediorientale portata avanti dal governo di Washington durante e dopo la Guerra Iran-Iraq (1980–1988). C’era però anche un secondo intento: rivendicare all’Iraq l'appartenenza del Kuwait, nonostante l'Iraq ne avesse già riconosciuta l'indipendenza quando il Kuwait era stato ammesso alla Lega araba nel 1963. Il 17 gennaio 1991 le truppe americane, supportate dai contingenti della coalizione, penetrarono in territorio iracheno in seguito alle sanzioni dell’ONU e all’inascoltato ultimatum, che imponeva il ritiro delle truppe irachene. La guerra si concluse il 28 febbraio 1991 in seguito all’attacco americano, l'operazione Desert Storm. 298 V.L., Girotondo, in Una quieta polvere, cit., p.108 160 soprannomi ridicoli, teste girate dall’altra parte a sperare che venga verde che venga verde in fretta per mille lire in più negli antri delle nostre buie tasche nuovi ostiari per nuovi Dèi dai nomi Centomila Milione Miliardo. Il brano si conclude con un’invettiva contro i nuovi Dèi, i soldi, che rovinano la vita delle persone, e sono sempre più irraggiungibili per questi nuovi poveri. Con la parola mondo si apre la sezione che del mondo parla, con Bella copia nella quale l’autrice mostra il piacere dei nuovi inizi, ma anche dell’andare avanti imparando dai propri errori, concludendo: se restan quegli sbagli nel copiare/ la Bella Copia del mondo- o Felicità-/ non si può fare. In epigrafe il componimento propone tre versi di Siro Angeli, che assurgono a principio per rapportarsi nel migliore dei modi nei confronti del mondo e delle sue risorse: ama il possesso che fa tuoi ma non toglie agli altri cielo e terra. 3.4 Il superamento del transfert La raccolta Una quieta polvere continua il discorso analitico che la Lamarque aveva esposto nella trilogia Il signore d’oro, Il signore degli spaventati e Poesie dando del Lei. Riprendendo il titolo di quest’ultimo libro, la sezione Poesie dando del Lei (altre) conclude il percorso interiore che l’autrice ha intrapreso accompagnata dal caro Dottore, nell’esperienza di transfert prima materno, poi paterno e infine amoroso. La comunicazione, la comunione raggiunte attraverso il rapporto di traslazione aprono una nuova dimensione che prima era preclusa e rendono finalmente possibile la trasformazione: la signora è consolata da una forza più vasta che finalmente la contiene.299 299 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.IX 161 Proprio la rielaborazione del transfert vissuto permette a Vivian di ammettere: Sonnambulina l’amavo/ leggermente stordita/ dai giorni e dalle notti/ della Vita. Ancora più espliciti sono i due testi che parlano della bambina che si era sostituita all’adulta Vivian, ma che ormai se n’è andata. Guardi Dottore, scrive la paziente finalmente consapevole di ciò che le sta accadendo, una bambina mi ha spaccato/ la mente./ Guarda verso di Lei/ La chiama perentoriamente. Un simile concetto, espresso con tono più forti, si legge in un componimento di poco successivo: Fuori dalla Sua porta c’erano sei gradini lì una sera trovò qualcuno che dormiva si chinò a guardare era una bambina oh ma non dormiva oh ma non era viva. L’apparente morte della bambina rappresenta così il superamento di quella Vivian-bambina che era stata abbandonata e insisteva nel cercare un affetto assoluto inottenibile. Anche in In bicicletta si esprime lo stesso concetto, in modo molto più chiaro ed esplicito, nei versi conclusivi della poesia: l’infanzia se ne è andata in bicicletta,/ da un giardino. La guarigione è avvenuta proprio grazie alla fiduciosa relazione instaurata con l’analista, che caramente la prese per mano, come recita la citazione di Dante che apre la sezione. Sottolinea l’importanza di questo passaggio anche Rossana Dedola nel suo saggio introduttivo a Poesie 1972-2002: “Caramente” prendendola per mano, l’analista le ha permesso di attraversare il caos primordiale per riportarla alla luce e le ha indicato una via che può essere compiuta da sola.300 Ha inizio la fase di distacco dal Dottor B.M., che lascia che la paziente dica: Va bene vada pure lontano/ non la inseguirò[…] mi lasci pure giù/ dal suo treno/ sono la valigia per sempre non Sua/ resto qui, mentre prima, per una situazione 300 Ibidem 162 simile, aveva avuto un atteggiamento esattamente opposto in La signora della valigetta che invece, nascosta in una valigetta, partì con lui, per le sue vacanze.301 Ora Vivian non si dice più innamorata dell’analista, che per la prima volta chiama apertamente Analista in Un Analista di lino vestito, e invece che chiedere Caro Dottore/ basta distanza/ varchiamo La prego/ il confine della stanza302, la paziente più razionalmente scrive Caro Dottore/ un amore vorrei/ uguale uguale/ a Lei dimostrandosi conscia dell’impossibilità del superamento della distanza che li divide e non auspicando più un impossibile infrazione alla regola analitica, quanto piuttosto uno speranzoso desiderio di trovare un innamorato che sia simile al suo Dottore, ma non più il Dottor B.M. in persona. 3.5 La scrittura Prima della psicanalisi, fedele medicina di Vivian è sempre stata la scrittura, modo per lei naturalissimo di esprimersi, come spesso dice: mi interrogo sul perché mi è tanto facile scrivere per ore e ore, pagine e pagine di poesie, fiabe, lettere. E perché, invece, non riesco a proferire verbo.303 Scrive al Caro Dottore304 la paziente in visita a Zurigo alla casa di Jung, le brillano gli occhi come a un cercatore d’oro quando riesce a trovare la giusta matita/ per fare in Suo onore un ghirigoro305, e gli fa notare che se ha scritto qualche poesia di meno meglio, così ha potuto portargli anche piccoli regali, pensieri, qualche poesia in meno/ ma un po’ di vita almeno. 301 V.L., La signora della valigetta, in Il signore d’oro, Crocetti, Milano 1986, p.70 V.L., Caro Dottore, in Poesie dando del Lei, Garzanti, Milano 1989, p.51 303 S.Jeresum, E il poetar m’è dolce in questo male, in “Sette”, 30 maggio 1996 304 V.L., Caro Dottore Le scrivo, in Una quieta polvere, cit., p.88 305 V.L., Cercavo la giusta matita, ivi, p.83 302 163 All’amato Pennino dedica l’omonima sezione, dove si descrive come poeta, o meglio poetina306 e dove dichiara la propria dedizione allo scrivere: Dopo di te sposerò il mio pennino e nessun altro e nessun altro il mio pennino d’acciaio affilato per sempre l’ho sposato.307 Il fatto stesso di poter comporre poesie permette a Vivian di dire, nonostante tutto, sono quasi felice/ ti posso cantare e amorevolmente descrive la sua stilografica, che sembra quasi d’oro per via del sole che batte su questo pennino/ lo fa luccicare.308 Con una metafora che sempre di penne e pennini parla, spiega che il tempo passa veloce, ma forse corre ancora di più quando si sta scrivendo sembra sott’intendere a Estate, quando racconta mentre facevo la punta alla matita/ l’estate è diventata autunno/ è già finita309. A chi come lei ama la scrittura dedica I poeti (viventi) che ho amato, dai quali ha ricevuto bei regali, tra cui libri meravigliosi e matite d’oro. L’immagine dello scrittore che si appresta a scrivere viene utilizzata anche in modo metaforico nel testo Bella copia, che apre la sezione Fine millennio. Già il titolo richiama alla memoria la scrittura, la copiatura dei temi a scuola, cercando di non fare gli errori fatti nella brutta copia, e proprio su questo contrasto insiste la prima parte della metafora che introduce il racconto del mondo con l’entusiasmo dello scrittore che si appresta a scrivere qualcosa di nuovo. Poter domani il Foglio di Bella della vita cominciare correggere la brutta cancellare togliere gli errori (modi tempi sbagliati, nomi) ritoccare. 306 V.L., Garzantina, ivi, p.61 V.L., Pennino (I), ivi, p.45 308 V.L., Pennino (II), ivi, p.62 309 V.L., Le quattro stagioni, ivi, p.59 307 164 Che bello il bianco foglio nella mano luccica il pennino, cominciamo. 3.6 Il sogno Seppur in misura minore rispetto alle precedenti raccolte pubblicate, anche in Una quieta polvere ritorna la dimensione onirica della poesia della Lamarque. Sogni di una vita che non ha potuto vivere a causa delle due fratture che l’hanno segnata sono raccontati in Madri padri figli. Il pensiero di come sarebbe stata la sua infanzia se non ci fosse stata l’adozione si intravede nell’incontro col fratello Fabrizio, in quel potevo essere io che accompagna l’immagine dei bambini che giocano in cortile che ritorna per due volte, all’inizio e alla fine della lirica. Il sogno di una vita con la propria famiglia naturale è nel secondo brano della sezione, Sogno d’oro (I): Era una neonata/ un padre era contento che era nata/ una madre era contenta che era nata/ la tenevano come niente fosse con loro. Ma la voce narrante è consapevole di star raccontando una situazione impossibile per Vivian, esattamente l’opposto di ciò che realmente è accaduto, infatti il testo si chiude con l’ammissione di aver fatto un sogno bellissimo, un bel sogno d’oro, ma impossibile, infatti ammette che è incredibile pensare al fatto che i genitori la tengano proprio con loro. Chiude la raccolta il sogno di un’altra famiglia, quella da lei costruita con Paolo e Miryam, ma anche questa ormai spezzata dalla separazione col marito. Un altro sogno d’affetto spezzato, ma non in Sogno d’oro (II), dove Vivian, questa volta usando la prima persona, scrive non mi ero separata/ padre madre figlia/ la famiglia continuava unita/ oh il percorso bello della vita. I desideri d’amore continuano nella seconda sezione, dove il testo mostra una inedita disillusione. Sa di fare richieste fantastiche, lo ammette subito al primo verso di Passero che però non la distoglie dal permettersi almeno di immaginare amori di sole piume[…] sulle guance baci. Il racconto dell’amore 165 di Adelina e del suo sposino che l’aspettava/ in un giardino, fanno battere il cuore dopo tanto a Vivian, che in Canto vive quel sogno di amore corrisposto nel quale non è lei ad attendere invano l’amore suo buonissimo, bensì è l’amato ad aspettarla. L’immaginazione galoppa invece in Glocken, dove il gioco non ha alcun freno, sembra una previsione di un futuro prossimo, per il quale fervono i preparativi, sarà un grande giorno il girono della settimana che ti potrò vedere […] GIORNO SPECIALE. Sempre d’amore sono i sogni di Poesie dando del Lei (altre), dove, con i toni delle precedenti raccolte, Vivian propone fughe d’amore all’analista, o immagina la bellezza di una vita passata insieme. Faremo anche noi/ un viaggio insieme un giorno/ valigie leggere/ per il nostro viaggio in aria/ nessuna prenotazione necessaria; (Ma qualche volta si vorrebbe/ dietro il fantasma l’uomo reale/ l’imperfetto amato/ l’altra metà del cielo/ desiderato). Rispetto alla trilogia, il tono delle fantasie della paziente è però cambiato, Vivian non è più certa di riuscire ad ottenere dal Dottore, che convive con i sogni strampalati/ dei Suoi malati310, quell’amore tanto desiderato, evidentemente anche questo un po’ strampalato. Si può interpretare acquisizione dell’allontanamento definitivo dal dottore l’immagine dei primi versi del sesto brano della sezione: Il fiume Po da Lei amato/ ho sognato./ Scorreva/ ma all’indietro[…]. Decisamente onirico è il tono del penultimo brano, Ballata degli occhiali neri, che si divide in due parti: Al Cafè Haus e Ai giardini. La narrazione è confusa e riunisce elementi biografici, come quello di una bambina che gioca a mamme, la città adottiva Milano nell’immagine di Corso Sempione, gli occhiali neri dell’amato analista, con altri elementi di meno immediata decifrazione, come la Norvegia, il grande guanto per terra, la strana ragazza e lo strano ragazzo. Mentre nella prima parte del componimento Vivian cerca l’analista, dietro gli occhiali neri/ io Le cercavo gli occhi/ gli occhi amati cercavo/ e la voce gentile[…] dov’era il suo bel cuore/ il suo cuore gentile, nella seconda parte avviene finalmente l’incontro, d’improvviso i Suoi occhi/ gli occhi suoi ritrovati/ e la voce gentile/ ma solo per l’istante/ prima di sparire. Quando Vivian ritrova il Dottore, non ha più gli occhiali neri, forse perché non ne ha 310 V.L., Caro Dottore che cammina e cammina, ivi, p.89 166 più bisogno, lei non potrà più appoggiarsi a lui nelle difficoltà, e questa sensazione crea un’iniziale spaesamento, che appunto si ripercuote su tutta la ballata, che emblematicamente conclude: cercavo gli occhi amati/ e la voce gentile/ forse sarà così morire. Il sogno ritorna anche in un altro brano che parla di morte A D. morta a 36 anni dove Vivian esprime il desiderio che l’amica fosse ancora in vita, scrivendo Sogno che sei viva/ che ti consolo della morte di un altro, e allo stesso modo si consola per la perdita dell’amato in Questa quieta polvere dicendo che ci sono le visioni/ con le visioni si può vedere tutto anche il proprio amore sparito: si può vedere la visione del profilo delle montagne con lo sfondo del profilo dell’amore mio oppure la visione di un fiume impetuoso con dentro l’amore mio che guada oppure la visione del lago di Brais tutto circondato dall’amore mio. 3.7 La morte Tema molto presente in Una quieta polvere è il tema della morte, già introdotto col titolo della raccolta, che si richiama alla polvere di Emily Dickinson, quella che l’autrice scrive was Gentlemen and Ladies/ and Lads and Girls-/ was laughter and ability and Sighing/ and Frocks and Curls.311 La tematica mortuaria che introduce così l’opera della Lamarque, riprende il riferimento alla Dickinson nel poemetto centrale, Questa quieta polvere, traduzione letterale della poesia ispiratrice. Nel poemetto, composto da strofe originali intervallate da cinquantatre citazioni, vengono proposti altri versi della poesia dickinsoniana, oltre che di fiabe e poesie nella maggior parte dei casi connessi alla tematica trattata. L’alternanza tra i versi autografi con i versi citati, instaura 311 E.Dickinson, This quiet Dust was Gentlemen and Ladies, n.813, in E.Dickinson, Poesie, Mondadori, Milano 1995 pp.452-455 167 un gioco contrastivo che spesso l’autrice utilizza per porre ulteriormente in rilievo la tematica. Al ricordo del primo incontro con l’amato si contrappone l’immagine della Morte Giardiniera di Marina Cvetaeva:dove si ritira l’Amore/ avanza la Morte Giardiniera, ai quali versi l’autrice ribatte: io non voglio la Morte Giardiniera/ io voglio un giardino con dentro l’amore mio a zappare. Ma poco dopo è la stessa Vivian a riportare in scena la tematica: i morti se li tocchi sono freddi/ invece i vivi sono tutta un’altra cosa, e racconta dell’ amore mio quando era vivo e lei era felice quando lo toccava. Di nuovo però incalza il passare del tempo, e con esso l’avvicinarsi della fine. Cita i versi della Dickinson aggiungendo io non voglio essere quieta/ io non voglio essere polvere e poco dopo ribadisce un’altra volta il suo desiderio di vita: io non sono morta io sono nata, il 19 aprile 1946. Questo continuo scambio di battute tra volontà di vivere e richiamo della morte attraversa tutto il testo, giocando molto sulla contraddittorietà di molte immagini accostate. A questo proposito Rossana Dedola nota il contrasto generato dalla citazione della fiaba di Andersen che disegna il soldato mentre torna a casa dopo la guerra, mentre il testo insiste sulla lontananza, e il fatto che successivamente il ritorno a casa coincide con la morte, descritta attraverso la citazione di Afanasjev, “tornato a casa comperò la bara vi si stese dentro e subito morì”, cui si aggiunge la voce di Livia Candiani: “Oh i sagrati- disse il vento- è quasi sempre da lì che rapisco i miei prediletti.312 Più si procede nella lettura del poemetto e più l’idea della morte si fa insistente: quando muoriamo noi non è come quando muoiono gli altri si vede l’ultimo oggetto della nostra vita poi si viene messi sotto terra/ e nient’altro, nemmeno un movimento impercettibile Il mattino dopo che si è morti non ci si può svegliare la vita è finita è cominciata la morte. Ritornano le citazione dalla Dickinson come: la morte è stata nella casa di fronte; il mondo sa di polvere/ quando ci fermiamo a morire; poiché non 312 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.X 168 potevo fermarmi per la Morte/ lei gentilmente si fermò per me. Più si fa insistente l’idea di una fine, più ritorna nel brano l’immagine dell’amato lontano, il ricordo di quando era vicino, e la visione di quando finalmente tornerà. Si insinua l’idea che il brano racconti della lontananza dell’amato, lontananza così dolorosa e impossibile da colmare che è vissuta come la morte dell’amato, che l’autrice vorrebbe ancora accanto a sé in vita. Proprio con l’immagine sognata dell’amato si conclude il testo, ma anche nel sogno si insinua l’immagine che domina tutto il brano: questa notte io ho sognato/ che l’amore mio era tornato/ io facevo carezze alla sua mano/ ma la sua mano non faceva carezze a me:/ l’amore mio aveva una mano di marmo […] l’amore mio si fermerà per sempre/ e anche di più, un per sempre che ha i tratti dell’Eternità. Anche un altro amore impossibile, quello per il Dottor B.M., si conclude nello stesso modo, con Vivian che immagina che almeno nell’aldilà potranno stare insieme, essendo nella vita ormai appurata l’impossibilità di un tale amore. Chiude la sezione Poesie dando del Lei (altre) la poesie Ma nell’al di là, dove appunto questa idea viene portata avanti, vedendo la morte non più come motivo di assenza, bensì mezzo di unione: ma nell’aldilà/ nessuno nessuno ci separerà. In un altro brano si legge Caro Dottore/ quando La chiamerò nell’aldilà/ ci sia mi raccomando/ (e ci sia l’Eternità), mentre in Così breve la vita si immagina reincarnata in una fogliolina inseparabile dal suo albero, in cui si è trasformato l’analista. Non ricorre la parola morte in questi testi, che esprimono la gioia della tanto sperata realizzazione del proprio amore, ma il vocabolo ritorna nella più inquietante ballata degli occhiali neri dove non trovando più il dottore Vivian prova una sensazione che paragona al morire: stavo per morire/ dov’era il Suo bel cuore/ […] forse così è la morte/ io mi sentivo male/ male forte forte […] cercavo gli occhi amati/ e la voce gentile/ forse sarà così morire. Il Trasloco è invece vissuto come modo per sconfiggere la morte, o almeno spaventarla per riavere indietro per almeno un po’ di vita ancora un poco/ prima dell’ultimo trasloco, anche se poi il senso del titolo si ritorce contro l’autrice, che infatti scrive: anzi traslocheremo ancora/ da terra a fiore: io per me scelgo una margherita/ come casanuova/ in una novavita. 169 In Fuori dalla sua porta dove si esclama oh ma non dormiva/ oh ma non era viva, così come in Cercasi casa: poesie per un trasloco, nella poesia Condòmino, si crea un gioco mimetico tra sonno e morte nella descrizione della morte della bambina nel primo testo, mentre nel secondo nel racconto dell’ultima notte passata da un vicino dell’autrice: Cammino piano, qua sotto al terzo piano dorme un condomino morto. […] Ha dormito con noialtri condomini essendo notte sembrava a noi uguale ha dormito otto ore ma poi ancora e ancora e ancora […] ora che noi ci muoviamo non è più a noi uguale. E’ un condomino morto. Sono raccolte in Una quieta polvere più di una poesia dedicata a persone defunte: la poesia per l’amato babbo Dante, Caro Babbo II […] che hai fatto in tempo/ a salvare anche me/ prima di morire a 34 anni, o per l’amica Daniela, anche lei morta giovane, A D. morta a 36 anni, per la morte della madre naturale, come ci rivela il titolo morta per un Ictus, la cui morte, ulteriore separazione, è motivo per rinfacciarle di nuovo l’abbandono subìto a nove mesi, di nuovo/ senza dirmi niente/ sei andata via/ madre e non-madre/ mia. La morte della madre è riproposta nel cupo componimento che apre la raccolta, Era la casa, dove gli ultimi versi parlano della madre morta che rimase […] per terra tre o due notti a parlare col gatto, che conosceva la lingua dei morti e sempre lei è paragonata alla morte in Ade, dove scrive la Morte è una madre che abbandona/ tiene tutti gli altri figli/ e lascia all’Ade te. In occasione dell’anniversario della morte di Pasolini, l’autrice propone la poesia A Pasolini mentre invece ci tiene a sottolineare che è per i poeti ancora in vita la poesia I poeti (viventi) che ho amato. Anche nella chiusa alla raccolta, l’autrice ribadisce un concetto simile, quando scrive siamo poeti./ Vogliateci bene da vivi di più/ da morti di meno/ che tanto non lo sapremo.313 Il tema della morte è ampliamente trattato anche in Fine millennio, contenendo la sezione numerose poesie d’argomento bellico, come Soldati, Ruanda, Pueblo, Girotondo dove scrive i vivi diventano morti./ Come gioca la Guerra/ 313 V.L., P.S., in Una quieta polvere, cit., p.133 170 oh guarda un bambino/ sotto la terra. In Nuvola Vivian immagina di vedere una grande nuvola formata da milioni e milioni di persone, sono i Già-Morti o che siano i Non-Ancora/ Nati? Ma subito dopo inizia l’elenco delle cause di decesso delle anime che vede in volo, persone ma anche animali e piante. Scrive anche un poetico Testamento, nel quale dice di voler lasciare le cose di valore/ ai nuovi milanesi di colore, mentre in Di colore il riferimento non è più alla pelle delle persone immigrate, bensì al colore del fiore che crescerà sulla terra che ci ricoprirà quando tra un po’ di anni saremo polvere, riproponendo l’immagine della Dickinson. La raccolta si conclude con una sezione interamente dedicata alla morte, che si apre con l’immagine della morte che ci aspetta paziente/ in un angolino/ conosce il giorno e l’ora/ che noi non conosciamo ancora314; alla concretezza della morte si riferiscono con ironia i versi di Lo diventeremo dicendo poverini di coloro vogliono essere magri e belli da vivi, poiché lo diventeremo/ magrissimi e bellissimi/ come la terra e gli insetti/ come i fiori. Invece è vissuta serenamente l’idea di una prossima morte in Vicini, dove rendendosi conto che i suoi vicini “di terra” saranno proprio gli amati Fiori e l’Erba scrive: li accarezzo preparo/ la nostra futura amicizia/ saremo così vicini! Ma anche in questa sezione la meditazione sulla morte dà un’altra impronta all’esistenza, un’altra lucidità allo sguardo, come ad esempio in A vacanza conclusa, dove l’inaspettato interrogativo finale, sarà così sarà così/ lasciare la vita?, rovescia una situazione apparentemente lontana da qualsiasi assillo metafisico come quella dei bagnanti sulla spiaggia315. Scrive in un articolo Franco Loi, tirando le somme sull’idea della morte raccontata attraverso la poesia: Ha ragione Vivian Lamarque nel sentenziare con una certa ingenuità:” I morti se li tocchi sono freddi”. Non di cose morte parla il poeta, ché anche quelle che sembrano morte sono ravvivate dagli ulteriori significati e dal riproporsi delle faglie nascoste. […] Per questo la poesia scorre insieme alla vita e ne possiede l’identica utilità.316 314 V.L., Ci aspetta, ivi, p.123 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.XI 316 F.Loi, Versi cresciuti tra le ortiche, in “Il Sole 24 Ore”, 19 maggio 1996 315 171 4. Narratore e interlocutori La voce narrante nella raccolta Una quieta polvere è quasi sempre coincidente con la voce di Vivian, protagonista e narratore della propria vicenda personale. Fa eccezione la prima sezione, Madri padri figli, nella quale l’autrice riprende il modo narrativo già adottato in Teresino parlando di se stessa in terza persona, soprattutto nei componimenti che raccontano della sua infanzia. Quando, ad esempio, in Bambina scrive: Col punto erba/ col punto croce/ diligente si cuciva le labbra/ faceva il nodo, conoscendo la biografia dell’autrice, ci è permesso dire che la bambina di cui la Lamarque narra la sofferenza in questa poesia è proprio Vivian. La scelta della terza persona, da parte della voce narrante, permette a chi racconta di prendere le distanze dalla storia, e quindi anche dal dolore provato in quei momenti. La stessa modalità 172 narrativa è infatti adottata in altri testi che raccontano dell’abbandono e della solitudine vissuta in quegli anni, come in C’era un muro, quando racconta dell’insopportabile silenzio della propria casa, o in Cucchiaini, rappresentazione dei solitari pasti passati a parlare con le posate e in Riso in bianco. Lo stesso meccanismo è scelto per raccontare della casa natia, introdotto con un generico titolo Era una casa la cui eco fiabesca è subito eliminata dalla descrizione cupa e sofferta e dall’immagine della madre morta, così come in Sogno (I) si racconta dell’illusione di non essere mai stata abbandonata dalla propria famiglia naturale. Spesso Vivian intitola le sue poesie con il nome (o il soprannome) della persona a cui si rivolge poi direttamente all’interno del testo, quasi riproposizione di una parte di un dialogo dove non venga però trascritta la risposta dell’interlocutore. Nella poesia Paolo già al primo verso Vivian dice al marito: quel conoscerti, in Mamma parla affetuosamente all’anziana madre adottiva: Hai solo otto anni […] che bella madre mia, in Al mio cane Brigante si rivolge proprio al suo cane, ricordando di una nevicata: la tua ciotola era piena di neve, all’amica morta scrive in Cara Daniela e in A D. morta a 36 anni: Sogno che sei viva317, o come facevi tu/ ti ho vista con la penna/ in mano[…] Daniela/ i tuoi bambini piccoli sono cresciuti318, e anche in A Pasolini scrive: per il tuo anniversario/ di assassinato. Il narratore adotta la seconda persona per rivolgersi al suo interlocutore anche quando non è espressamente dedicato a lui il titolo del brano, come in Pennino (I) dove Vivian parla a un tu che evidentemente è il marito Paolo, poiché scrive: Dopo di te/ sposerò il mio pennino/ e nessun altro, così come a un tu non precisato, ma ipoteticamente sempre il marito, è rivolto il ti ho voluto del bene in più de La notte dei gattini, o quello di Pèss Fritt nel quale l’autrice immagina proprio la risposta dell’amato durante la telefonata che sta aspettando di ricevere: Lè tutt el dì che sun chì a spettà la tua telefunada. In modo simile il narratore procede nella sezione Poesie dando del Lei (altre) nelle quali l’utilizzo della terza persona è richiesto dal contesto, ma il dialogo tra i due è diretto, vera e propria mimesi con un interlocutore “assente”, non 317 318 V.L., A D. morta a 36 anni, in Una quieta polvere, cit., p.124 V.L., Cara Daniela, ivi., p.125 173 essendo riportate le sue battute, ma anche per simboleggiare la mancata risposta dell’analista alle richieste dell’innamorata paziente. Nelle ultime due sezioni della raccolta, Fine millennio e Come fiori, Vivian adotta anche la seconda persona plurale. Questa scelta poetica è da riferire alle tematiche trattate nelle due parti: la situazione sociale e storica contemporanea nella prima, la morte nella seconda, entrambi argomenti che si aprono a un interesse collettivo. Mentre prima la dimensione narrata era spesso la vita privata di Vivian e la sua rete di affetti, ora il discorso, facendosi più generale coinvolge anche il lettore, che diventa interlocutore e insieme destinatario dei componimenti poetici. In Bella copia si parla della nostra bella copia, in relazione alla Bella del mondo, invece in Di colore sottolineando il destino che accomuna tutti gli uomini, indipendentemente da posizione sociale o colore, scrive: tra un po’ di anni/ saremo polvere di terra, così come quando in Lo diventeremo, che alla seconda persona dà rilevanza già nel titolo, la voce narrante dice poverini che vogliamo/diventare magri belli/ lo diventeremo. Più che esplicita è la scelta del narratore di unirsi serza riserve al proprio interlocutore, proponendo già nel titolo il pronome Noi che da subito mette a fuoco la prima persona plurale che percorre tutto il brano, come anche in Queste conchiglie, dove si legge: saremo noi. Si amplifica ulteriormente l’effetto di risonanza delle parole del narratore in Vù cumprà, in cui il dialogo non è “limitato” al gruppo noi, ma si compie un vero e proprio scambio tra due comunità, quella dei milanesi “doc” con i quali si immedesima Vivian, e quella dei nuovi milanesi di colore a quali ci si rivolge col la seconda persona plurale, per affidargli, con grande fiducia, l’amata città: Agosto ce ne andiamo/ vi lasciamo Milano/ vigilate voi. La scelta compositiva che caratterizza il poemetto della terza sezione è la varietà, essendo Questa quieta polvere diviso tra testo autografo e citazioni da altri poeti. Tale scelta, proponendo frammenti tratti da testi i più disparati, fa sì che alla voce di Vivan che nella maggior parte dei casi parla in prima persona lamentando la perdita del proprio amore, si alternino invece strofe nelle quali il narratore è un altro, molto spesso non identificato, come succede fin dai primi versi della lirica con la citazione dai fratelli Grimm e subito dopo dalle Fiabi 174 Piemontesi: Che fa il mio bimbo?/ Che fa il mio capriolo?/ Verrà tre volte ancora/ E poi non verrà più/ Disse al figurinaio: fammi una statua di cera/ che si muova come un uomo vero. In questo caso, come molte altre volte nella raccolta, l’autrice propone brani che continuino la modalità narrativa da lei utilizzata, ossia il discorso in prima persona. Il narratore così non modifica di troppo il suo modo di rivolgersi al proprio interlocutore, ma allo stesso tempo si crea un effetto di spaesamento nel lettore che caratterizza tutto il testo poetico. Per quanto riguarda i testi citati che non propongono una modalità narrativa in prima persona, questi vengono inseriti nel contesto in modo metaforico o esemplare, parlando sempre dei due protagonisti della poesia della Lamarque: Vivian e il suo amore sparito. In un certo reame in un certo stato/ vivevano un tempo un re e una regina narra una delle fiabe russe raccolte da Afanasjev, mentre Andersen scrive: un due un due un soldato avanza marciando per la strada mestra […] era stato in guerra e ora tornava a casa, testo che introduce un lungo discorso sull’amore mio, quasi l’amato fosse quel soldato che marcia finalmente verso casa, costretto ad abbandonare la sua vita a causa della guerra. Nelle ultime parti del poemetto si insinua in Vivian il dubbio che l’assenza dell’amato sia dovuta alla sua morte, ultimo tentativo di giustificare la sua assenza come dovuta a cause altre, non al non amore di lui: tornò a casa comperò la bara vi si stese dentro e subito morì, scrive citando Afanasjev, mentre da Andersen propone: il piccolo Claus prese la vecchia morta e se la mise nel proprio letto ancora caldo per vedere se risuscitava ma l’amore non torna in vita, o meglio nella vita dell’innamorata. Il testo si conclude coinvolgendo anche l’affetto familiare, con due citazioni dalla Storia dei Valdesi del bisnonno della Lamarque, Ernesto Comba, che narra della sofferenza dei bambini durante le persecuzioni a cui si accosta una frase dal film Giochi Proibiti che dice: Voglio tornare da mamma e papà riproponendo la prima persona del narratore fino alla conclusione del testo, che circolarmente riprende la citazione che aveva introdotto la narrazione poetica: Che fa il mio bimbo? Che fa il mio capriolo? 175 Verrà tre volte ancora E poi non verrà più. 4.1 I personaggi La raccolta Una quieta polvere si differenza dalla raccolte precedenti per la scelta di non strutturarsi intorno a un unico tema. L’edizione 1996 raccoglie testi molto variegati con una varietà tematica che dà lugo a una lunga serie di personaggi, alcuni presenti in una sola poesia, altri in una o più sezioni. Dello stretto nucleo familare già incontrato nel 1981 e composto da Vivian, il marito Paolo, la figlia Miryam, il genitori adottivi e la lontana ma sempre nominata madre naturale, in Madri padri figli l’autrice racconta ampiamente nella sezione, parlando della figlia in Miryam, in Febbre, in Calzina, in Esame e in Quando il papà, del quale si racconta in Paolo con grande affetto. Affettuosi e riconoscenti sono i componimenti che raccontano della madre adottiva, la mamma ormai ottantenne che in Latte viene descritta come madre premurosa e generosa, mentre con sofferenza si parla dell’altra madre, ormai morta per un Ictus, la cui assenza è ricordata in Crochet, Ade, Era la casa. Le poesie del 1996 aggiungono personaggi alla vita familiare dell’autrice, che ci presenta i suoi tre fratelli, o fratellastri, Marzio, Fabrizio e Orietta, oltre al padre naturale E./ che facevi il preside. Accanto alla famiglia vera e propria nelle dediche alle varie liriche si incontrano lo zio Umberto e i vicini Franco, Mimmo, Lucia, Anna i cui nomi si intrecciano al ricordo di generici bambini con cui Vivian racconta di aver passato l’infanzia, come la bambina del Polesine detta dell’alluvione319 o i bambini conosciuti nell’estate di Guarda i bambini delle colonie. Anche l’amato, e al lettore ormai familiare, Dottor B.M. torna di nuovo nei versi dalla Lamarque in Poesie dando del Lei (altre) sia nella dedica, sia nei brani raccolti, che ci forniscono qualche altra informazione 319 V.L., Dell’alluvione, ivi., p.22 176 sullo schivo personaggio dell’analista come il fatto che portasse degli occhiali neri. Tutta la raccolta si popola di dediche a persone le più svariate, a seconda che si racconti di loro o di un episodio vissuto insieme che fa tornare alla memoria quelle persone. Quando Vivian ascolta la canzone Adelina si ricorda di Gioxe e Patricia, oltre che di M. ed L., ne La notte dei gattini si ricorda di R., in Glockein il lettore ritrova M. e in Piove L.B., e il caro cane Brigante è ricordato nell’omonima poesia. L’amica Alida Ariaghi è ricordata nella dedica della sezione Cercasi: poesie per un trasloco, ma anche in Caro Dottore le scrivo, in occasione del viaggio di Vivian a Zurigo, poesia nella quale compare anche l’amica Rossana a cui l’autrice dedica Publo, a lei e ad Antonio. Ai vicini Franco, Marisa e Marco è dedicata Trovata, dove si parla di loro come una vera famiglia/ con un bambino che assomiglia e del vicino Signor S. si racconta in Condòmino. In Come fiori con due brevi poesie l’autrice ci propone un ritratto dell’amica Daniela, con la penna/ in mano, con i calzettoni/ al ginocchio, ultima di noi tutte/ a passare al nylon (non volevi eri speciale)[…] Daniela/ i tuoi bambini piccoli sono cresciuti […] una è uguale uguale a te. Proprio in quest’ultima sezione col brano Dediche senza poesie l’autrice ci propone una summa di tutte le persone di cui ci ha raccontato nella raccolta, con anche dei nuovi personaggi, propositi qui per la prima volta: A Paolo, a Vittoria, a Ada Tommasi che ci leggeva poesie nell’ora di storia, […] a mia madre che mentre legge cuce, alla madre di Giorgio, il fidanzato della figlia Miryam, a suo padre lontano, a Giorgio e progetti, a Miryam quando era bambina con Fra, Monica, Ba, con Paolo Novarese, con Paola e Cristina, Elisabetta amica e cugina, a Gabriele, agli zii e alle zie, ai cari Pellegrinelli, Provera, cognomi delle famiglie della madre e del padre adottivi, e Nodari, a Egle bambina, a Babi mio inizio, a Fausto e Fabrizio, al bosco con dentro mio fratello Fabrizio che suona, a Marzio, a Orietta, Matilde e Susetta, a Doris e Alice, agli Spini, ai Valdesi bambini. Alle mie compagne di scuola Tinini e Farina, a Renato sul palco, a Valentina, a Patricia e Gioxe speciali, dedicatari della poesia Canto, come Chiandra e Deep diversi e uguali, a Franco e Ornella, a Crudelucci, Elena, Mirella, a Aura di Ravi e Giacomino, a Mario, a 177 Carla, A Roberto R. nel fumo […] A Luisa, Marghe, Loredana, Danila, ai loro giardini tutti in fila, amiche e vicine di casa del quartiere QT8, […] a F. e ù. A Irlando, Olga, Lavinia e formichine, alle Melusine e auguri di bene alle Ragazze Irene. Ai Montagnani grande famiglia menestrella, alle signore Basi e Sbattella, a Wlady, alla scuola, alle mie allieve […] a Francesco, a Giulia, Cinzia e Serena, […] a Maurizio, che ha vinto la mia pigrizia,[…]. Infine viene introdotto il nome di chi collabora con lei per la pubblicazione della raccolta poetica alla Mondadori: ai nomi che mi sono dimenticata, che correrò a telefonare a Tettamanti, ma lui mi dirà neanche parlarne, escluso, il Libro ormai è Chiuso, il Libro è Chiuso. Vanno infine ricordati i personaggi senza nome di cui l’autrice scrive nella sezione Fine millennio, dedicata appunto ai poveri che ci circondano, dagli immigrati di Testamento agli animali maltrattati di cui Asinello è emblema, dai vù cumprà alle persone che lavano i vetri ai semafori in Nuovi Dèi, dai fiori e la natura maltrattata dall’uomo in Requiem per margherite alle vittime delle guerre nel mondo di Girotondo, Pueblo, Soldati e Ruanda. 5. La forma dei testi Una quieta polvere appare come un contenitore ampio e aperto, capace di accogliere lirica cronaca e fiaba, poemetti di tono elegiaco e testi d’occasione ( sulla guerra del Golfo, su Pasolini, sugli extracomunitari a Milano), epigrammi, parodie, frammenti autobiografici. Il principio unificatore finisce per essere non tanto un tema o una situazione, quanto l’autrice stessa, che si affaccia senza più schermi in primo piano.320 La varietà tematica caratterizzante questa raccolta poetica, si riflette così anche sulle strutture metriche che l’autrice sceglie per i testi qui pubblicati. Il metro prediletto dalla Lamarque continuia ad essere breve, come lo dimostrano i componimenti di soli quattro o cinque versi come Bambina, Ictus, Crochet, Febbre, Esame, Sogno d’oro (II), Piove, Orto, Garzantina, Pennino (II), Fuochista, Pueblo, Soldati, Di colore, Noi, A vacanza conclusa e altri, oltre la brevissima poesia Ade, composta da soli tre versi. L’opera raccoglie però 320 U.Fiori, La voce nuova della signora, in “L’Unità”, 03 giugno 1996 178 componimenti poetici anche più consistenti, con almeno una decina di versi e un andamento ritmico scandito da rime e dalle figure di suono sempre frequentissime nella produzione poetica della Lamarque. In Vù cumprà, per esempio così come in Conoscendo l’altro fratello o in Ma nell’al di là, il verso si mantiene breve per tutta la poesia, agevolando nel lettore la percezione della musicalità del brano e l’individuazione immediata di rime facili e frequenti, spesso baciate: Agosto ce ne andiamo vi lasciamo Milano vigilate voi, noi assenti sulle nostre case eleganti sui bei ladri distinti sui governanti non ce ne andiamo, vi lasciamo i nostri cani adorati affamati assetati […]. Più varia la struttura di molti dei componimenti di media lunghezza a verso libero, spesso con poche rime, ma ritmicamente giocati sulla sonorità delle parole di cui si compone il testo, tra questi Paolo, Glocklein, I poeti (viventi) che ho amato, Autoritratto, In bicicletta, Caro Dottore le scrivo, Nuovi Dèi e moltissime altre. Si prenda come esempio Testamento, testo di quindici versi di misura diversissima, dalle sei sillabe del v.1 alle quindici del terzultimo: A certi che so io lascio tutto e agli altri niente. E le poesie belle agli amici e ai nemici le brutte. E le cose di valore? Le cose di valore ai nuovi milanesi ci colore che per due lire ci fanno i vetri luccicanti (oh nostri innocentissimi emigranti per due lire venuti da lontano con i vostri negozietti in una mano). E lascio i miei fiori al mio giardino e alla terra gentile che mi starà vicino ci faremo senza voce compagnia e buongiorno morte e così sia. 179 La maggior parte dei componimenti continua le modalità compositive che già avevano caratterizzato i testi raccolti in Teresino: versi liberi, di poche o moltissime sillabe insieme nella stessa poesia, componimenti brevi con rime non coincidenti con la frase poetica e spesso individuabili solo con una lettura ad alta voce: Asinello è composto da sette versi, Abbandono da sei, Parto raccoglie otto versi mentre Dell’alluvione undici e così molti altri. Alcuni di questi sono anche divisi in piccole strofe, come Riso bianco, Conoscendo un fratello, Bella copia, Ci aspetta oppure in Babbi e in Le quattro stagioni, dove ad ogni strofa viene dato il titolo, investendola del ruolo di piccolissima sezione poetica. La stessa struttura ritorna anche in Adozione ninna-oh o in Requiem per margherite, in questi casi però la divisione strofica è utilizzata per dividere il brano poetico in parti che si ripetono, come in filastrocche, con il corpo del testo e un breve refrain che ritorna più volte nel testo: ( e ho paura non si aprono/ più sui moderni treni/ i finestrini) si ripete in Requiem per margherite. La ripetizione è una delle caratteristiche più evidenti di Questa quieta polvere, lungo poemetto composto da nove sezioni al loro interno divise in strofe di diversa lunghezza, come e adesso dov’è l’amore mio? o tagliategli la testa! ordinò la regina formate da un unico verso mentre di sei versi è la strofa fa la ninna fa la nanna tesoruccio della mamma della mamma e del papà che stasera tornerà tornerà per lo stradello del vicino campicello. o i cinque versi di questo tunnel è lungo come quello di gran lunga più lungo di tutti in una serie di lunghi tunnel lungo come quello che la gente in treno dice questo è quello lungo. Già nel 1981 l’autrice aveva proposto un poemetto, Teresino, che in Una quieta polvere si amplia ulteriormente svolgendosi su 418 versi. Metro nuovo 180 per la Lamarque è invece la ballata, come si definisce il testo Ballata degli occhiali neri diviso in due sezioni, con versi brevi e la ripetizione di: Dietro gli occhiali neri/ io le cercavo gli occhi e forse così è la morte/ io mi sentivo male/ male forte forte. Ritorna la stessa struttura di Poesie dando del Lei nella prima parte sezione omonima, con la successione di brevissimi testi di tre o quattro versi, senza alcun titolo. Anche l’idea della prosa poetica delle prime due raccolte della trilogia e di L’amore mio è buonissimo si ritrova in Una quieta polvere, nel primo testo, Era la casa, dove quattro lunghissimi versi, con numerosi a capo, occupano dodici righe nell’edizione 2002 e quindici nel 1996. Il solo terzo “verso” recita: Ti accarezzava ti strangolava, ti accarezzavano gli archi le volte le lunghe finestre dell’architetto Decker con dentro i monti il giardino l’albero delle noci, ti strangolava la cucina avariata, avvelenata ti strangolavano gil argenti i trucidi testamenti un dio che rinnegava escludeva sacrificava, era la casa più orrenda con piattini avariati per bambini abbandonati e la più gentile con pratoline nuvole fuoco di camino. 6. Fonti e modelli di scrittura Il titolo della raccolta Una quieta polvere rende omaggio all’amata Emily Dickinson tramite una piccola variazione alla poesia This Quiet Dust, riproposto invece in traduzione letterale nel poemetto. Il lungo componimento della Lamarque cita altri sei versi tratti da altrettanti testi della poetessa americana: I am alive – I guess-; There’s been a Death, in the Opposite House; The World – feels Dusty; Because I could not stop for Death-; Between the form of Life and Life. Il tema di questi componimenti è la morte, protagonista di Una quieta polvere e tra i temi principali della raccolta: Poiché non potevo fermarmi per la Morte lei gentilmente si fermò per me quando muoriamo noi non è come quando muoiono gli altri 181 si vede l’ultimo oggetto della nostra vita e nient’altro Questa Quieta polvere fu Signori e Signore io non sono morta io sono nata, il 19 aprile 1946.321 Come in Teresino ritornano in questa raccolta i modi di Pascoli e della poetica del fanciullino che col suo stupore permette al poeta di comporre poesie: Da sotto il tavolo spiare le monchine che nel camino fanno puntini di esclamazione e di domanda322 Oggi gli Dèi mi hanno mandato un regalino: una castagna lucida di quelle matte ride nel mio giardino. Inoltre ritorna la levità dell’autrice che riprende i modi di Sandro Penna, autore anch’esso molto amato e letto che sul piano formale ricerca costantemente grazia, leggerezza e candore, nonostante la sofferenza provata: Col punto erba col punto croce diligente si cuciva le labbra faceva il nodo.323 Piove l’amore mio si bagna mette rametti e foglie nel mezzo del giardino cespugli e arbusti spiano l’insolito vicino.324 321 V.L., Una quieta polvere, in Questa quieta polvere, cit., p.73 V.L., Le monachine, ivi, p.48 323 V.L, Bambina, ivi, p.20 324 V.L., Piove, ivi, p.52 322 182 Anche la brevità dei componimenti accomuna i due poeti, brevità che caratterizza la quasi totalità della produzione della Lamarque. Costante è il riferimento alla propria esperienza personale nella poesia dell’autrice, così come Giovanni Giudici punta su temi quotidiani e autobiografici. E ricorda i modi del poeta anche l’ironia, utilizzata per superare l’amarezza di alcuni momenti della vita: Di nuovo senza dirmi niente sei andata via madre e non-madre mia.325 Le mie gite apro la finestra e raggiungo l’orto guardo i legumi in fila, raddrizzo un pomodoro storto.326 La poesia di Giudici, oltre che a soffermarsi sul reale evento, tendendo al mondo psichico del soggetto introduce situazioni oniriche, così come in modo molto più ampio procede Zanzotto. A una simile dimensione allucinata si più collegare l’immaginario onirico e confuso del poemetto Questa quieta polvere: Le acque di una stessa rapida vanno fra mille ostacoli Poi si riuniscono, anche se non subito dimmi: ma tu e l’amore tuo siete di una stessa rapida? sì se no non saremmo una volta confluiti e quando sarebbe non subito? fra mille e ottomila generazioni finché questo ciottolo diventi masso certe volte io credo di assomigliare a qualcuno certe volte io credo di non assomigliare a nessuno io assomiglio a me stessa innamorata dell’amore mio.327 325 V.L., Ictus, ivi, p.30 V.L., Orto, ivi, p.54 327 V.L., Questa quieta polvere, ivi, p.66 326 183 Nella maggior parte della raccolta però domina lo stile piano tipico dell’autrice, nella quale si inseriscono anche rimandi alla dimensione più popolare, come le preghiere e le ninne nanne, come in Preghiera delle mamme/ che hanno involontariamente mancato/ nei confronti dei propri figli328, o in Adozione ninna-oh. Proprio riguardo alla ripresa dei toni fiabeschi si può notare che se a qualcosa somigliano, queste poesie somigliano un po’ alle fiabe e ai racconti autobiografici incantati e crudeli che Elsa Morante (altro scrittore alle cui origini c’è una contorta vicenda familiare) pubblicava, poco più che adolescente, sul “Corriere dei piccoli”.329 Rossana Dedola, invece, per quanto riguarda l’inserzione di numerosi pezzi sulla difesa dei diritti degli animali, dei quali l’autrice cerca di prendersi cura, propone una similitudine con l’Anna Maria Ortese di Popoli Muti e di Bambini della creazione: Un paradiso subito per questoa Asinello con mosche a mille intorno agli occhi miti e il mondo intero da trasportare per poter mangiare.330 328 V.L., Preghiera delle mamme, ivi, p.39 D.Scarpa, La morte bambina, in “L’indice”, n.9, ottobre 1996 330 V.L., Asinello, in Una quieta polvere, cit., p.114 329 184 CAPITOLO V POESIE 1972 – 2002 GLI INEDITI 185 1. Genesi e storia Nel 2002, in occasione dei trent’anni di carriera poetica dell’autrice, la casa editrice Mondadori pubblicò Poesie 1972-2002, opera che la quarta di copertina definisce raccolta completa delle sue poesie. Le date riportate nel titolo del libro indicano infatti l’anno della prima pubblicazione su Paragone, ma nel libro sono riproposte esclusivamente le poesie contenute nelle varie raccolte poetiche. L’anno 1972, quindi, non indica tanto la volontà di raccogliere tutte le poesie pubblicate dall’autrice fin dal suo esordio con Giovanni Raboni, bensì la data cronologicamente più lontana nella quale furono composte alcune delle liriche inserite nella raccolta Teresino e in Una quieta polvere. Raccolta di raccolte poetiche, al quale venne assegnato il Premio Speciale Camajore nello stesso 2002, il volume continua l’abitudine della Lamarque di non costruire il libro poetico rispettando l’ordine cronologico delle poesie, ma piuttosto dando la precedenza all’intento comunicativo. Anche questa edizione riporta infatti in indice dei numeri tra parentesi che seguono i titoli delle poesie per indicare l’ordine cronologico di composizione. A livello macroscopico, l’autrice in quest’opera riepilogativa del suo lavoro, modifica la successione originale della trilogia psicanalitica, ponendo Il signor d’oro e il signore degli spaventati uno dopo l’altro e prima di Poesie dando del Lei, cronologicamente anteriore a l’edizione Pegaso. Le raccolte proposte in Poesie 1972-2002 sono quindi poste in quest’ordine: Teresino, Il signore d’oro, Il signore degli spaventati, Poesie dando del Lei e Una quieta polvere. Novità dell’edizione 2002 è l’inserimento di un gruppo di testi inediti, inseriti nell’ultima parte del volume, intitolata appunto Inediti, nella quale sono raccolti il poemetto L’albero e le Poesie dedicate. 186 Pubblicata nell’ottobre 2002, l’opera riscosse da subito un grandissimo successo, esaurendo in poche settimane le settemila copie della prima tiratura. Si legge sul Corriere della Sera a tal proposito: Un giorno, al termine di un incontro con gli alunni di una scuola superiore Vivian Lamarque si sentì chiedere da un ragazzo: «Ma che poesie sono le sue? Si capisce tutto». Nell' evidente delusione di quello studente davanti a un' autrice che scardinava tutte le sue idee sulla poesia, almeno su come era abituato a intenderla, c'è probabilmente anche la chiave del successo delle raccolta (Poesie 1972-2002, Mondadori) che Vivian Lamarque ha pubblicato a ottobre e che prima di Natale ha esaurito le settemila copie della tiratura (ora ne sono state ristampate altre cinquemila). Un traguardo importante in un Paese di non lettori di poesia. «Forse ciò che ha colpito di più è proprio quel "capire tutto", la spontaneità, la facilità apparente dei versi, la mia predilezione per la rima baciata che suona come una gentilezza per le orecchie», cerca di spiegare Lamarque. Intorno a questo, più o meno, ruotava anche la motivazione del premio Viareggio, vinto nel 1981. A catturare, però, è probabilmente anche la dolorosa materia autobiografica di cui trattano molte delle poesie […].331 Sei anni intercorrono tra l'ultima raccolta, pubblicata nel 1996, e l’opera omnia Mondadori del 2002, anni in cui l’autrice continuò le pubblicazioni per l’infanzia, numerose in questo periodo, ma oltre a ciò, alle contingenze familiari è collegabile la relativamente lunga pausa editoriale. Anche tra la prima pubblicazione e Il signore d’oro erano trascorsi cinque anni, ma in seguito alla terapia analitica l’attività poetica dell’autrice era diventata molto più fervida, con le successive tre raccolte pubblicate a distanza di pochi anni. Se dopo Teresino era stato un motivo doloroso a rallentare il lavoro dell’autrice, in questo caso una delle cause della pausa poetica editoriale può essere addotta alle novità familiare avenute in quegli anni. Nel giugno del 1996 la figlia Miryam si sposò con Giorgio, sei sei del novantasei332, come recita una delle poesie inedite scritta per l’occasione, e nel 2000 nacque la nipotina Micòl, anch’essa ricordata in alcuni degli inediti. Racconta l’autrice nell’intervista con Silvio Soldini: Prima del 2000 ho vissuto dando la precedenza soprattutto alla poesia, il mondo non lo vedevo, … mentre da quando nel 2000 sono diventata nonna, ma non è solo la 331 C.Taglietti, Lamarque, i versi leggeri che conquistano il pubblico, in “Corriere della Sera”, 6 febbraio 2003 332 V.Lamarque, Per le nozze di Miryam e Giorgio, in Poesie 1972-2002, Mondadori, Milano 2002, p.240 187 nonnità, ho proprio come modificato l’impostazione, per cui do la precedenza … cerco di accontentare chi ha bisogno di me diciamo. Che sia mia madre, che sia mia figlia, che siano i bambini. E’ una scelta che sono contenta di fare […]. Spiega poi sfogliando il quaderno su cui era solita registrare in ordine cronologico divise per anno, con tanto di data, i titolo di tutte le poesie composte: Guarda quando ti dicevo prima che dal 2000 la mia vita è cambiata. 1999 sono ancora registrate. Poi non ho più registrato nulla. Le ho scritte ma non le ho più registrate. Guarda che tutti vuoti.333 2. La struttura Con piccole modifiche ai testi poetici già precedentemente pubblicati, Poesie 1972-2002 riunisce in un unico volume le raccolte poetiche dal 1981 al 1996, con l’aggiunta di alcuni testi inediti. La raccolta si apre con Teresino, esordio poetico della poetessa del 1981 edito da Guanda, segue la trilogia per l’amato Dottor B.M. con Il signore d’oro, pubblicato nel 1986 da Crocetti, Il signore degli spaventati edito da Pegaso nel 1992, e Poesie dando del Lei, Garzanti 1989. Chiude la serie di opere già conosciute la raccolta più recente della Lamarque, Una quieta polvere, già Mondadori nella prima edizione del 1996. Viene infine proposta la parte intitolata Inediti, insieme di testi mai pubblicati prima, organizzata al suo interno in due sezioni: L’albero e Poesie dedicate. Un unico componimento è proposto nella prima delle due parti inedite, un lungo poemetto che intitolandosi L’albero dà il nome anche alla sezione. Nei 345 versi di cui si compone la lirica, Vivian prende le distanze dal mondo contemporaneo, per recuperare quell’unione con la natura che la società della globalizzazione sembra invece aver ormai perso. Scegliendo di entrare in 333 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, in Gente di Milano, Associazione Locus, Milano 2008 188 comunione con l’albero, sente in modo più acuto le sofferenze del mondo e con esse ritornano l’idea della morte e dello scorrere del tempo. Si inseriscono nella narrazione le immagini dei defunti cari, primi tra tutti l’amica Daniela e il padre adottivo Dante, entrambi morti giovani, lei a trentasei anni, lui a trentaquattro. Ma il tempo scorre molto più veloce per gli uomini, così tra le braccia dell’albero che sopravviverà per secoli a diverse generazioni di esseri viventi334 Vivian può contrapporre alla luttuosa realtà la vitalità della nuova vita che nasce con le nuove generazioni, tra cui c’è la nipotina: morti antenati guardate i nuovi nati […] guarda Micòl.335 La sezione Poesie dedicate raccoglie trentadue poesie di misura contenuta e, come già preannuncia il titolo, tutte dedicate a qualcuno. Alla luna e Al nuovo millennio sono rivolti i primi tre componimenti, l’ultimo dei quali fa eco alla sezione Fine millennio di Una quieta polvere, seguono sei liriche scritte per amici e poeti, molti dei quali ormai morti. In occasione della partecipazione al Festival di Poesia di Mosca nel 1999 l’autrice scrive A Evghenij Solonovitch, per il traduttore ucraino, mentre al Festival di Ostia Antica propone il brano A Dario Bellezza, in memoria del poeta, agli amati Emily Dickinson e Sandro Penna dedica altri due componimenti e poi uno alla poetessa Amelia Rosselli, morta suicida lo stesso giorno dell’ammirata Sylvia Plath. Nelle sette poesie successive ritorna l’immagine della natura già introdotta dal poemetto della prima sezione e dalle poesie alla luna, con componimento scritti per gli alberi, alle Care Lumachine e agli animali in generale, a cui l’autrice fa succedere altri sette brani dedicati questa volta alla propria famiglia: per la madre e il padre adottivi scrive Alla mia mamma dritta come un fuso e Al mio babbo Dante morto a 34 anni, a Miryam col marito Giorgio dona la poesia Per le nozze di Miryam e Giorgio, alla figlia dedica anche altri due brani, Alla mia bambina e A Miryam che suona il clarinetto, infine due liriche concludono il gruppo familiare celebrando la nascita della nipotina Micòl: A Micòl e A Micòl rosellina. Seguono tre testi di nuovo dedicati a poeti e amanti della poesia, tra cui all’amica e poetessa Livia Candiani il primo e A Giorgio Caproni l’ultimo i 334 335 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.XII V.L., L’albero, ivi., p.222 189 cui versi, se sul treno ti siedi/ al contrario, con la testa/ girata di là, vedi meno/ la vita che viene, vedi/ meglio la vita che va, preludono alle cinque composizioni conclusive, dove la Lamarque affronta la tematica della morte, come è solita concludere le sezioni e le sue raccolte poetiche: Post scriptum: Le con lei sotterrate poesie non finite speriamo che in aprile diventino delle margherite. Proponendo l’autrice una numerazione cronologica e non la data esatta di composizione dei testi pubblicati in Poesie 1972-2002, è comunque possibile farsi un’idea sull’altezza cronologica di scrittura, basandosi sull’informazione più precisa fornita nella cronologia di Una quieta polvere edita nel 1996. In tale raccolta la poesia di più recente composizione è Dediche senza poesie composta nei primi mesi del 1996, essendo stata pubblicata nel libro uscito nel marzo dello stesso anno. Nella cronologia numerica proposta nel 2002, 190 Dediche senza poesie porta il n.1373, mentre nell’opera omnia, quasi tutti i testi hanno cifre superiori al 1400 o al 1500. I due testi più datati risultano così essere A C.V. che aiuta i poeti, n.1395, e A Dario Bellezza, n.1355, che, composto in occasione dell’edizione 1996 del Festival dei Poeti di Ostia Antica, commemora la recente morte dell’amico poeta, morto il 31 marzo del 1996. Seguendo lo stesso criterio, tra i testi con la numerazione più alta risultano il poemetto L’albero, n.1551 e alcune poesie dedicate ai familiari, tra cui quelle per Micòl: A Micòl 1553, A Micòl rosellina, n.1599. La prima di queste poesie recita Buongiorno vita, vita/ nuova nata facendo ragionevolmente supporre che il testo sia stato scritto in occasione della nascita della nipotina, quindi nel 2000. E’ di conseguenza probabile che anche il poemetto L’albero risalga a questo periodo compositivo. 2.1 Dedica E’ abitudine di Vivan Lamarque dedicare i suoi libri a persone care, e soprattutto con Una quieta polvere tale tradizione era stata amplificata, indicando un destinatario per ogni sezione poetica dell’opera e per molte delle poesie proposte. Nel 2002 l’autrice trasforma la dedica in titolo di sezione, Poesie dedicate, dove la maggior parte dei brani sono introdotti dalla preposizione a seguita dal nome del destinatario. Si distinguono in quanto varianti i titoli Care lumachine, Caro papa e Cara terra, oltre che i due componimenti Per Amelia Rosselli e Per le nozze di Miryam e Giorgio che propongono comunque i nomi delle persone che hanno ispirato la scrittura poetica. La poesia “Give the one in red cravat/ a memorial crumb” propone invece come sottotitolo il nome Emily Dickinson, autrice dei versi citati e dedicataria della lirica. Vera propria eccezione è solamente la poesia che chiude la raccolta, intitolata Post Scriptum, modalità questa anch’essa già proposta dalla Lamarque nelle precedenti raccolte, che in questo caso introduce non una poesia dedicata, bensì un’apostrofe al lettore, o semplicemente un desiderio che l’autrice svela. 191 La sezione L’albero ha un dedicatario particolare, riproponendo il v.5 di Dei Sepolcri di Foscolo preceduto dalla preposizione: alla “bella d’erbe famiglia e d’animali”. Di morte parla il verso foscoliano inserito nel suo contesto originale: Ove più il Sole/ per me alla terra non fecondi questa/ bella d'erbe famiglia e d'animali, ricollegandosi così a una delle tematiche principali cantate nel poemetto. Ma se letto da solo, come l’autrice ce lo propone, il verso non è che una dedica alle erbe e agli animali, ossia alla natura, altro tema fondamentale in L’albero, come già il titolo suggerisce. Con il verso tratto dall’opera cimiteriale foscoliana, la Lamarque riesce così a proporre al lettore oltre che una dedica, anche una sintetica e abbastanza esplicita introduzione al proprio poemetto. A mia madre/ per il suo novantesimo compleanno, recita invece la dedica all’intera opera Poesie 1972-2002. Mentre per la dedica a mia Madre della raccolta Poesie dando del Lei poteva nascere il dubbio su quale tra le due madri, naturale o adottiva, fosse il reale destinatario, in questo caso il problema non sussite, essendo la prima madre ormai defunta, come racconta la poesia Ictus di Una quieta polvere. La dedicataria di tutta la produzione poetica di Vivan Lamarque è quindi l’amata e ormai anziana mamma Rosy, di cui la figlia aveva già cantato gli ottant’anni nel 1996, hai solo otto anni/ l’”anta” lo buttiamo via336, e che ora in L’albero, Vivian nomina pochi versi dopo l’amato padre Dante, morto invece a soli trentaquattro anni: si chiamava Dante come Dante che bel nome/ padre mio ti chiama sempre la tua bella Rosy sai. 336 V.L., Mamma, in Una quieta polvere, cit., p.32 192 2.2 L’introduzione La raccolta Poesie 1972-2002 è introdotta dal saggio Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero di Rossana Dedola, ricercatrice alla Scuola Normale di Pisa, training analyst e docente presso l’International School of Analytical Psychology di Zurigo337. La studiosa, propone una rapida ma accurata presentazione e analisi delle singole opere di cui si compone il volume, che in una recensione è detto prefato con oculatezza338. La presentazione delle raccolte segue l’ordine con cui sono proposte nell’edizione, dedicando così la prima parte alla descrizione tematica e strutturale di Teresino, con la riproposizione dell’interpretazione psicologica delle varie sezioni autobiografiche presentata da Vilma de Gasperin in un convegno del 2001339. Alla trilogia per il Dottor B.M. la Dedola aveva già dedicato uno studio nel 1991340, limitatamente alle due opere allora pubblicate: Il signore d’oro e Poesie dando del Lei. Nell’introduzione all’edizione 2002, la ricercatrice riprende alcune idee già proposte nel precedente saggio, come il paragone del ciclo psicanalitico della Lamarque con Il piccolo Berto di Umberto Saba, dedicato però all’analisi freudiana grazie alla quale rielabora il ricordo rimosso dell’amata balia. Dopo aver concluso il discorso sul transfert proposto dalla trilogia con la testimonianza del suo superamento nella sezione Poesie dando del Lei (altre) del 1996, il discorso verte sulla raccolta Una quieta polvere, dedicando gran parte del testo critico alla trattazione della lirica Questa quieta polvere e alle citazioni di cui si compone, mostrando quanto il tema della morte sia rilevante per il testo e quale sia l’influenza esercitata dalla Dickinson. Sottolinea inoltre l’innovazione tematica della raccolta, paragonando il desiderio della Lamarque di prendersi cura dei più deboli in modo rispettoso e riconoscendone la dignità al sentimento espresso da Anna 337 http://www.rossanadedola.com F.Portinari, La vita è una favola se la racconti in versi, in “L’unità”, 11 gennaio 2003 339 V.De Gasperin, intervento al convegno Poetry in Italy in the 60s and 70s, Londra, 12 ottobre 2001 340 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi novecenteschi”, n.41, giugno 1991 338 193 Maria Ortese in In sonno e in veglia. Una chiara e relativamente lunga trattazione critica è infine dedicata al poemetto inedito, L’albero, proponendo questa volta un’analogia con il comportamento di Cosimo di Rondò, Il barone rampante di Italo Calvino. Segue al saggio della Dedola una breve Nota biografica, che sintetizza in pochi punti la biografia di Vivian Lamarque, senza però tralasciare curiosità come le prime due poesie composte dall’autrice, La signora M. buona e La signora M. cattiva, entrambe scritte a dieci anni in seguito alla scoperta di essere stata adottata. 3. I contenuti 3.1 La famiglia e gli affetti Come nelle precedenti raccolte poetiche, anche negli Inediti la Lamarque propone una serie di poesie dedicate agli affetti più cari. Il nome della nipotina Micòl ritorna più volte nel poemetto L’Albero, come immagine di vita nuova e gioiosa, che si contrappone alla realtà di morte delle generazioni precedenti: nascevano neonati color di certi mattini leggermente rosati come la nuova nuova Micòl […] Micòl guarda Micòl […] rosellina di quelle di bosco colombella Micol […] rosa come di bosco rosellina rosa ride la bambina nuova Micòl. Nella seconda sezione delle poesie inedite pubblicate nel 2002, l’autrice ripropone un testo dove al nome della nipotina è di nuovo accostata l’immagine della piccola e delicata rosa, A Micòl rosellina, la quale con la bellezza e la gioa della nuova vita che emana mi profumava tutta l’aria/ intorno[…]. Alla neonata nipote è dedicata un’altra poesia, A Micòl, nella quale la nonna 194 poetessa celebra l’ingresso del mondo di una nuova e speciale vita con accoglienti e gioiosi versi: Buongiorno vita, vita/ nuova nata. Il latte/ è pronto e un padre e quasi/ tutto il resto. Si introduce così anche l’immagine della famiglia che si preprara ada accogliere con gioia e soprattutto amore la bambina, attesa anche dal padre, non come in Caro Babbo (I), […] che ti chiamavi E. […] che quando ti ho detto/ scusi mi hanno detto/ che lei è mio padre/ hai fatto un salto indietro.341 E’ Giorgio il papà di Micòl, che in L’albero viene inserito tra i nomi de i gentili che Vivian aveva incontrato nella sua vita, accanto ai nomi del caro analista B.M. e del marito Paolo, e ricordato nella poesia che l’autrice compone in occasione del matrimonio con Miryam: Per le nozze di Miryam e Giorgio. L’amata figlia, Miryam figlia diventata madre342, è ancora chiamata bambina nella poesia che ne canta la bellezza, paragonandola a un bianco cigno343, mentre invece nel secondo testo a lei dedicato è descritta mentre suona il clarinetto, con Micòl che guarda la madre, unendo in un unico verso le tre generazioni, Vivian, Miryam e Micòl, una accanto all’altra: tieni tonde per l’eternità le guance/ della figlia, e della figlia della figlia che soffia come la mamma, inserendo infine nel felice quadretto familiare anche Giorgio, nei modi della nipotina che ride come il papà. Ai propri genitori adottivi la Lamarque dedica gli altri due componimenti sulla famiglia di Poesie dedicate. Alla mia mamma dritta come un fuso è intitolata la lirica per la mamma il cui nome Rosy, con un gioco di parole, trasforma in quello di una rosa con la lettera maiuscola, come una Rosa dal lungo / lungo stelo. L’anziana madre, che nella dedica a Poesie 1972-2002 è detta novantenne, è descritta mentre affronta la vita con coraggio, nonostante le spine della vita l’abbiano ferita. Una delle ferite che Vivian condivide con lei è raccontata nel brano successivo a questo per la madre, Al mio babbo Dante morto a 34 anni, ricordato anche in L’albero di nuovo accostato all’immagine e al nome della moglie: 341 V.L., Babbi, in Una quieta polvere, cit., p.18 V.L, L’Albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.223 343 V.L, Alla mia bambina, ivi., p.240 342 195 erano belli molto specie uno giovane e biondo come il sole il più bello di tutti i morti tutti e si chiamava Dante come Dante che bel nome padre mio ti chiama sempre la tua bella Rosy […]. Un altro nome caro, ma di un’amica, si legge nel poemetto, figura già nota al lettore, essendo stata introdotta con le due poesie344 intitolate a suo nome nella sezione Come fiori di Una quieta polvere, Daniela De Vita: una giovane/ giovane la riconosceva: De Vita! Daniela! Oh quanto/ bianca ma anche in vita i suoi bei riccioli neri luccivano […]345. Ad altri amici poeti ormai defunti sono dedicate alcune poesie della seconda sezione. In A Sandro Penna l’autrice ricorda anche il nome di Elio Pecora, biografo del poeta scomparso, mentre in A Dario Bellezza ricordando l’edizione precedente del festival poetico a cui aveva partecipato anche il poeta, nomina anche Giuliani, Pagliari , Claudio Damiani, gli organizzatori Simone Carella e Franco Cordelli e poi Zeichen. In Per Amelia Rosselli i primi versi recitano: Amelia, da vive/ non eravamo amiche, tantomeno/ nemiche e la poetessa è ricordata insieme alla traduttrice Emmanuela Tandello e alla poetessa Sara Zanghi, oltre che con altre amiche di cui la Lamarque propone i nomi in elenco: Mimma, Daniela, Maria Clelia; una poesia è dedicata anche a un altro poeta, Giorgio Caproni. Amici vivi e ricordati in momenti vissuti insieme sono Evghenij Solonovitch, a cui è dedicata Cartina muta, brano composto a Mosca, nel 1999 in occasione del Festival di Poesia, il professor Costantino M., che in Al prof. Costantino M. lo si scopre primario dell’ospedale S.Gerardo, e poi C.V. che aiuta i poeti, che anticipatamente ha cambiato/ di piano di marciapiede di stanza/ lo meritara ma intanto/ a me manca conclude Vivian esprimentogli così il suo affetto. A due donne sono dedicati infine due poesie che di poesia parlano: A Daniela Caminada (che ci legge tanto) è un brevissimo prontuario di poesia, è quasi facile fare una poesia basta prendere un pezzetto di carta e matita, è come per la terra fare un filo d’erba 344 V.L., A D. morta a 36 anni, in Una quieta polvere, cit., p.124; V.L., Cara Daniela, ivi, p.125 345 V.L. L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.218 196 una margherita, mentre all’amica e poetessa Livia Candiani Vivian chiede: infanzia età felice?346 riproponendo una delle tematiche care alla poesia di entrambe. 3.2 La natura Nel 1996 la Lamarque aveva dedicato ai poveri che ci circondano la sezione Fine Millennio, inserendo tra i suoi componimenti alcuni brani dedicati agli animali e alla natura sofferente a causa della disattenzione dell’uomo, tale tematica è riproposta di nuovo negli Inediti del 2002. Quando i Gesuiti parlano/ gli animali piangono./ Ma per non disturbare/ piange senza lacrime/ il regno animale347 denuncia la Lamarque aggiungendo alla poesia la nota: ai gesuiti dopo una loro ennesima dura dichiarazione contro il regno animale. Anche al Papa si rivolge Vivian, cercando di chiedere aiuto per gli anima-li santi/ dall’uomo martirizzati, concludendo con un’amara constatazione conseguente al silenzio che le sembra la Chiesa abbia rispetto a queste tematiche: e San Francesco è morto/ cum tucte le sue creature348. Le urla provenienti da un macello dove si sta uccidendo un maialino vestito di rosa, che ha gli occhi […] pieni di pianto/ come un bambino, sono raccontate in Alla bambina Carla (che scalava due colline per non sentirli gridare). Tristemente Vivian è di nuovo costretta a constatare l’indifferenta della maggior parte delle persone alla sofferenza degli animali: tremano i sassi/ a sentire gridare/ non trema l’uomo/ non sa tremare. Anche l’asinello del poemetto ragliava […] disperato perché finita era/ la paglia del mondo, e sempre in L’albero si racconta di un’altra violenza degli uomini contro l’indifesa natura: gli uomini salivano ingabbiavano/ erano i diavoli dei rami falchi di colombe artigli inoltre/ pettirossi in agonia nelle trappole ho visto alla tv, in un agghiacciante servizio televisivo, come spiega nella nota, gli 346 V.L., A Livia Candiani, ivi., p.242 V.L., Ai Gesuiti, ivi., p.237 348 V.L., Caro Papa, ivi., p.238 347 197 uccellini catturati con questa tecnica vengono poi venduti ai ristoranti per polenta e osèi. Se l’uomo non si occupa della natura, allora lei stessa provvederà a se stessa, sembra di leggere tra le righe del poemetto, quando in modo materno e affettuoso della prima sezione degli Inediti si prende cura del pettirosso ucciso dalle trappole degli uomini: l’albero/ lo avvolse in una foglia sua se lo portò lassù cullandolo e cantandogli una ninna-nanna in due spezzato lo ricomponeva/ sotto la luna lo cuciva lo cantava/ ninna-nanna […]. Proprio ai piedi del grande albero, che all’inizio del componimento accoglie tra i suoi rami anche Vivian, la vita terrestre si manifesta nelle sue forme più minute, si muovono animali piccoli e umili: le rane simbolo del femminile creatore, i rospi delle fiabe con la loro straordinaria forza di trasformazione, le ctonie, scattanti lucertole, capaci allo stesso tempo di aderire alla terra per farsi scaldare dal sole,349 che l’autrice rappresenta nell’unione familiare: una famiglia di lucertola scalava/ il tronco madre padre due figli/ una quaternità350. L’unione con la natura che Vivian celebra salita sull’albero, dà il via al poemetto con la descrizione di un immaginato matrimonio tra lei e la natura, tramite appunto l’unione con l’albero: ma se ti sposava, cerimonia/ sopra un ramo e sopra i rami/ cielo e dentro il cielo luna […]. Anche in Poesie dedicate l’autrice racconta del suo amore e della sua attenzione per gli animali e la natura, in “Give the one in red cravat/ a memorial crumb” dando briciole non solo ai pettirossi, come cantava Emily Dickinson, ma a tutti gli uccellini che si posano sul tetto a triangolo di Rocco e Magda, mentre in Care lumachine ricorda della volta in cui con l’amico Alberto Casiraghy avevano comprato per lire quarantamila le povere lumachine impacchettate destinate a qualche ristorante o cucina, che invece loro avevano di corsa/ in un bosco liberate. Stessa sorte delle lumache sembra toccherà alla gallina spaventata cantata in A una gallinella, il cui sottotitolo recita: insalata di pollo, rivelandosi però solo un gioco di parole perché se la prima operazione è prendere con delicatezza una gallinella/ viva naturalmente l’ultima è offrirle l’insalata, preparata quindi per 349 350 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p. XII V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.218 198 (e non con) il pollo: la vuoi una fogliolina di insalata? In A un albero meraviglioso invece Vivan descrive l’abitudine che molti hanno di buttare rifiuti dai finestrini, inquinando i prati e gli alberi lungo le strade e le ferrovie: dal treno qualcuno/ ti ha tirato un sacchetto/ di plastica viola/ che te lo tieni lì stupito/ sulla mano del ramo/ come per dire/ cos’è questo fiore strano/ speriamo che il vento se lo porti lontano. In alcune poesie, però, la Lamarque scrive della natura in tutt’altro modo, evocandone la bellezza, cantata in Luna I e in Luna II, ma soprattutto la grandezza e la saggezza, dovuta alla sua vita, molto più lunga di quella degli uomini, come nel caso dell’albero cantato in L’albero, che Rossana Dedola chiama albero della vita, che sopravviverà per secoli a diverse generazioni di esseri viventi e che per questo non vive con l’euforia degli umani per aver assistito all’inizio del nuovo millennio, come si legge in Al nuovo millennio: […] millennio cominciato. L’ho detto a un Filo d’Erba sapiente grande saggio del prato. Strano, non sapeva niente né si è meravigliato. Ha detto ah sì? fine millennio? grazie, lo dirò al mio prato. 3.3 La morte e lo scorrere del tempo La sezione Poesie dedicate si conclude come molte delle raccolte della Lamarque, proponendo alcuni testi che trattano della morte. In questo caso, le quattro poesie che affrontano tale tematica concludono un percorso già segnato da numerosi componimenti dedicati a persone defunte, riflettendo quindi spesso sull’argomento. Il primo riferimento è in una poesia dedicata a un amico vivo, A Evghenij Solonovitch, quando, per associazione di idee, raccontando di quando a scuola il professore interrogava chiedendo di individuare le città o i fiumi sulla cartina muta, Vivian si ricorda della compagna Daniela, purtoppo morta a trentasei anni: 199 Non ti preoccupare mi diceva la mia compagna di banco Daniela che di cognome si chiamava De Vita, ma che è stata la prima di tutte a lasciarla, muta, la vita. L’immagine della morte è ricollegata all’idea del silenzio anche nella prima delle poesie che chiudono la sezione, Ai nostri nomi, nella quale il mondo dei morti è descritto proprio come silenzioso/ mondo addormentato/ dove nessuno chiama/ né è chiamato, come l’autrice scrive in L’albero: l’eternità li snominava non li chiamava/ credo nessuno là va bene vi chiamo io. L’idea che con la morte si possa dimenticare il proprio nome e quindi anche la propria passata vita assilla Vivian, che chiede: ma non ci sentono le orecchie? Non vedono gli occhi là nell’aldilà?[…] siamo qui tra foglie e ramo ricordi i nomi foglie? ramo? ricordi il nome tuo? L’aldiqua? Ma la polvere già perdeva la sua forma solo il vento l’aveva smossa un po’, conclusione amara che sembra confermare la paura di perdere ogni ricordo, persino il proprio nome. A questo riguardo con chiarezza scrive nella prima parte di Ai nostri nomi: verso la sera della vita/ nomi e cognomi li dimentichiamo/ per esercitaci a quel silenzioso/ mondo, e in A Dario Bellezza, l’autrice si commuove per un Nome e per il Tempo e per/ la Morte, per il tempo che per mano ti conduce alla morte. Si introduce così l’idea dello scorrere ineluttabile del tempo, che nei componimenti della Lamarque spesso accompagna il tema della morte. In A Giorgio Caproni Vivan escogita un piccolo escamotage, per fingere che nulla sia successo, che il tempo non sia passato, che la morte non sia sempre più vicina: Se sul treno ti siedi/ al contrario, con la testa/ girata di là, vedi meno/ la vita che viene, vedi/ meglio la vita che va. Angosciata dalla morte, Vivan in L’albero insistentemente chiede quanti passi posso fare sentiamo duemila? mille? cinquecento? ancora meno? 200 eh no! quante/ stellate? albe quante? quanti mattini con aprire gli occhi? quanti cieli in tutto? totale ore? Queste e altre domande pone all’albero, che sopravvivendo per secoli, a generazioni e generazioni di uomini, imprime una nuova qualità alle domande di Vivian, che non si perdono, non finiscono nel nulla, inascoltate, ma riecheggiano tra i rami carichi di vita, di nidi pieni di uova che si aprono alla vita futura351. L’albero della vita è però anche l’albero della morte, un pioppo, come spiega l’epigrafe che introduce l’unione immaginata con la pianta: se eri un pioppo/ ti sposavo ti salivo/ fin lassù, foglie/ su foglie avremmo messo:/ basta non parliamone più. Il pioppo è una pianta simbolicamente collegata all’idea della morte, e che fin dai primi versi del poemetto appare legato agli Inferi, al dolore, al sacrificio e alle lacrime352: dietro/ la luna ombre di morti in storta fila/ morti! morti! li chiamava/ sono abbastanza vicino/ sono qui! Sottolinea la Dedola come il pioppo sia un albero funerario che nelle sue stesse foglie, bianche da un lato, scure dall’altro, mostra la propria vicinanza al mondo dei morti. Nel poemetto continuamente quindi il mondo della vita e il mondo della morte si incontrano come quando Vivian mostra alle ormai passate generazioni la nuova vita, impersonata dalla nipotina, nascevano neonati color di certi mattini leggermente rosati come la nuova nuova Micòl morti antenati guardate i nuovi nati siete anche loro no? Stesse forme colori stessi nomi Micòl guarda Micòl, o quando descrivendo la vita dei piccoli animali intorno alla grande piante descrive una famiglia di lucertole, intente a salire lungo il tronco de L’albero, come a indicare che la vita coincide col percorso, che poi giunge alla fine, alla morte, o meglio, all’Eternità: c’erano la vita e la morte la strada/ il percorso da qui a là. Ma l’albero non risponde alla domanda di Vivan, non spiega come sarà dopo la vita, come sarà quell’ultimo esame che sono stati capaci tutti di superare, come si legge nella sezione Poesie dedicate: (magari essere 351 352 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p. XIII Ibidem 201 rimandati sfuggire!)/ capaci tutti proprio tutti, di morire.353 Vivian prova così a porgere la domanda ai morti del poemetto, morti ma come vi hanno messi? divisi per millennio? per secolo? per causa di decesso? per precocità? o siete tutti in disordine come stracci là? o siete polvere quieta come di mobili? siete grigi? o d’argento? siete una polvere bella, sì? chiede insistentemente Vivian, citando la polvere di Emily Dickinson, This quiet Dust, come nel 1996. E ancora scrive sabbia fina fina! polvere! morti!/ lo chiamava implorava/ la loro polverità ma nessuno racconta nulla di quell’aldilà che a tutti spetta. Così Vivian propone la sua idea di aldilà, di quella futura seconda vita con la terra/ addosso come un’innamorato esagerato/ appiccicoso che non ti lascia più, diventeremo fiori e erba, rinasceremo natura e la terra sarà nostra futura/ copertina gentile354. Spiega in Alle pratoline: fioriremo fioriremo nella gentile terra fioriremo tutti tutte ogni mattina, io spero alle sette, di fiorire pratolina, così anche nella poesie A Dario Bellezza conclude immaginando che forse il poeta è ancora lì con loro, solo in altra forma: guardate quel pino che poco si è mosso eppure non c’è un filo di vento che sia Dario? In L’albero Vivan spiega ulterioremente il passaggio sequenziale della trasformazione da morto a vivo che si compie nella natura: guarda da una morta è spuntata una margherita allora era lei quella margherita? era diventata bella così? l’erba erano i morti? erano diventati fili belli così?, 353 354 V.L., All’ultimo esame, in Poesie 1972-2002, cit., p.243 V.L., Cara terra, ivi., p.243 202 destino finale che la poetessa si augura anche per le sue poesie in Post Scriptum: Le di lei sotterrate/ poesie non finite/ speriamo che in aprile diventino/ delle margherite. Proprio di questa immagine di vita dopo la morte, spiega Vivan Lamarque nell’intervista a Silvio Soldini: Li sento nella natura. Quando sono andata sulla tomba di Emily Dickinson, c’erano… sono stata lì anche varie ora ad aspettare che arrivassero o degli insetti di cui lei parlava sempre, o cercavo i fiori di cui lei parlava. Lo sento molto nella natura, perché c’è questo riciclo, questo riciclo continuo, questo… negli alberi.355 4. Narratore e destinatari Un commento a Poesie 1972-2002 pubblicato su “L’Unità” nota: Se poi dovessi indicare il segno di riconoscimento di questa anomala autobiograficità non potrei sottrarmi al ripetere quello più consueto e in qualche modo speculare […] , la tonalità e la struttura fiabesca, che trova lei, seppure non sempre dichiaratamente, al centro come protagonista. La parte conclusiva del volume, Inediti, non fa eccezione a questa scelta narrativa: è sempre Vivian protagonista e voce narrante, più o meno scoperta, della sua poesia. Tutto il poemetto L’albero è costruito sull’enunciazione ipotetica proposta nei cinque versi di cui si compone l’epigrafe, che, introducendo il testo con Se eri un pioppo e concludendosi con la preterizione, basta non parliamone più, dà invece il via a un lungo e immaginato racconto della sognata unione con lui. Protagonisti della vicenda sono il secolare albero e Vivian, stanca della sofferenza della terra, e dell’indifferenza del cielo alle sue richieste di aiuto: Da questa “altezza nuova”, l’autrice si rivolge verso il basso, più che per scoprire qualcosa per coprire una mancanza, l’assenza del cielo, e sostituire a quelli ciechi del cielo altri occhi che vedano il dolore della terra, “se il cielo non ci guarda facciamocelo da noi il cielo”, […] E anche i morti mandino un loro sguardo ai nuovi 355 S.Soldini, Quattro giorni con Vivian, in Gente di Milano, cit. 203 nati (“Micòl guarda Micòl”): la bellezza, la beltà del mondo ha bisogna della corrispondenza per tendere al futuro.356 Questa continua ricerca di un riscontro, di qualcuno che ascolti e venga incontro agli altri si risolve infine nella figura dell’albero, unico ad essersi dimostrata accogliente nei confronti di Vivian e degli altri, fin dall’inizio, come quando l’albero abbraccia nel sonno la voce poetante e il canto notturno da cui emergono gli interrogativi di fondo […] sulla morte.357 E’ la stessa Vivan a raccontare in terza persona tutta la vicenda immaginata, rivolgendosi all’albero con la seconda persona singolare: ma se ti sposava […]. Non utilizzando la punteggiatura, l’autrice non distingue tra discorso diretto e indiretto, così nel testo si susseguono dialoghi riportati cambiando continuamente il soggetto parlante: morti! morti! li chiamava/ sono abbastanza vicino, diceva l’albero, essendo l’aggettivo al maschile ed essendo sempre lui poco dopo a dire a Vivian di dormire: l’albero/ le diceva ssss dai dormi. Molti dei discorsi diretti riportati sono però pronunciati dalla stessa Vivian, in quanto protagonista del poemetto, come quando si rivolge ai morti, morti ma come vi hanno messi?, o alla terra, prendilo allora tu terra con carezze, o all’alba per chiedere di far tornare il padre morto, chiamalo tu alba spicciati di’ Dante. Anche quando all’albero non si rivolge direttamente, lui è sempre presente, principale interlocutore della protagonista, del quale la voce narrate propone le reazioni, gli atteggiamenti, ma mai nel poemetto si legge un discorso diretto nel quale l’albero si rivolga a Vivian. Rideva/ l’albero con lei delle sue parole ssss le diceva/ impara dalla mute foglie, e l’unione immaginata col matrimonio iniziale e la scelta di salire sull’albero si realizza nella storia raccontata dal narratore nell’ultimo verso, dove finalmente il discorso riportato utilizza la prima persona plurale: dormiamo un po’. Direttamente Vivian si rivolge ai destinatari di molti dei testi di Poesie dedicate. Come in L’albero, anche in questi componimenti il discorso è rivolto a una seconda persona, ma a differenza del poemetto, la voce narrante parla 356 357 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p. XII Ibidem 204 quasi sempre dicendo io, enfatizzando la realtà del rapporto vissuto con la persona a cui ci si rivolge nei componimenti. In A Livia Candiani Vivian parla in prima persona all’amica, così come in A Sandro Penna, rivolgendosi all’amico poeta, scrive: In cerca per affetto con te di affinità le trovavo sì ma rovesciate: tu le finestre sempre chiuse buie, io sempre spalancate tu innamorato di fanciulli sull’erba io dell’erba, tu di colorate medicine io di colorate caramelle e delle tue rime belle […] caro Pennino. L’autrice enfatizza il proprio rivolgersi al destinatario, pronunciandone spesso il nome all’inizio del componimento: Cari poeti romani358 dice la voce narrante e protagonista Vivian mentre racconta dell’ultimo incontro con Dario Bellezza, come Caro albero avvia il discorso con la pianta in A un albero meraviglioso, e Care lumachine il ricordo della loro liberazione. Con i nomi di due poetesse si aprono i componimenti a loro dedicati: Amelia si legge come prima parola del primo verso di Per Amelia Rosselli e Emily in “Give the one in red cravat/ a memorial crumb” rivolgendosi poi direttamente a loro nei brani poetici. Eccezione potrebbe apparire il Lei utilizzato in A C.V. che aiuta i poeti, ma leggendo meglio il testo si scopre una consonanza con le modalità narrative di Poesie dando del Lei, dove utilizzando la forma di cortesia alla terza persona, Vivan si rivolgeva direttamente all’interlocutore, il Dottor B.M. La sezione Poesie dedicate oltre al discorso diretto, propone un’altra modalità narrativa nella quale però non cambia la voce narrante, che rimane appunto Vivian. Anche nella parte dedicata agli affetti familiari l’autrice utilizza la modalità dialogica, come in Al mio babbo Dante morto a 34 anni dove si rivolge direttamente a lui dicendo sembravi lontano dalla morte miglia/ e miglia, o in Per le nozze di Miryam e Giorgio dove si inserisce anche un frammento di dialogo tra la madre e la figlia, “E se piove mamma?” Se piove figlia se fili dal cielo/ scenderanno se nuvole grigie/ vi avvolgeranno fa niente, 358 V.L., A Dario Bellezza, in Poesie 1972-2002, cit., pp.234-235 205 dove tra l’altro visibilissima è la coincidenza tra voce narrante e Vivian, utilizzando l’autrice le virgolette solo per riportare le parole di Miryam. A questo modo narrativo si accosta però uno più impersonale, nel quale la persona cantata non coincide con l’interlocutore, a cui di conseguenza Vivian non si rivolge direttamente: la mia bambina ha un lungo collo/ come i bianchi cigni […] e la chiamo ki/ki come bianco cigno, scrive in Alla mia bambina, così anche parlando della madre in Alla mia mamma dritta come un fuso non si instaura con lei un dialogo, la voce narrante si limita ad fare una descrizione del dedicatario, utilizzando quindi la terza persona, le spine della vita l’hanno ferita, ma lei cammina/ dritta elegante intemerata e lo stesso modo narrativo è adottato in A Micòl rosellina, accostando di nuovo alla prima persona di Vivian la terza della persona amata di cui racconta. La prima persona plurale che apre la sezione, Oh essere anche noi la luna di qualcuno!359, ritorna nella parte conclusiva dela sezione, coi componimenti sulla morte. Tale tematica, non coinvolgendo più unicamente la realtà biografica dell’autrice, bensì tutta l’umanità, permette alla voce narrante di comprendere nel suo discorso in prima persona anche gli altri, compreso il lettore. Già il titolo Ai nostri nomi introduce tale dimensione narrativa, che continua in Alle partoline nei versi fioriremo fioriremo/ nella gentile terra fioriremo tutti, mentre in Cara terra la scelta del noi si unisce al discorso diretto della voce narrante con un tu: Cara terra, nostra futura/ copertina[…] ci dirai per sempre/ buonanotte. Ritorna invece il narratore in terza persona di L’albero nell’ultimo brano di Poesie dedicate, Post Scriptum, nel quale la voce narrante si separa dal personaggio Vivian per parlare di lei e delle sue poesie: Le con lei sotterrate poesie non finite speriamo che in aprile diventino delle margherite. 359 V.L., Alla luna I, in Poesie 1972-2002, cit., p.231 206 5. La forma dei testi Le Poesie dedicate proposte nell’edizione 2002 riprendono la varietà che aveva caratterizzato Una quieta polvere, proponendo metri di diverse estensioni. Tra i testi più brevi della sezione sono da annoverare i due brani dedicati alla luna che aprono la sezione, così come i conclusivi dedicati alla morte e i tre che precedono questo gruppo: A Livia Candiani, A Daniela Caminada e A Giorgio Caproni, tutti composti da cinque brevi versi. Nel corpo della sezione, invece, si contrappongono testi brevi a componimenti più consistenti, a volte organizzati anche in strofe. Dopo l’introduzione coi due brani alla luna, l’autrice propone tre poesie di media lunghezza, Al nuovo millennio, Al prof. Costantino M., A C.V. che aiuta i poeti, ai quali invece segue A Evghenij Solonovitch/ (cartina muta) coi suoi venti versi, la maggior parte dei quali superano di molto l’estenzione dell’endecasillabo, con l’eccezione dell’utimo, nel quale risuona il breve ma significativo sintagma la vita. Ritorna con la poesia dedicata alla Dickinson la misura media, che è subito sostituita dai testi più lunghi della sezione: A Sandro Penna, A Dario Bellezza e Per Amelia Rosselli. Il componimento dedicato a Penna è diviso in due strofe, la seconda delle quali propone versi molto lunghi riprendendo il modello de L’amore mio è buonissimo o de Il signore d’oro e Il signore degli spaventati. Allo stesso modo un poesia definibile più come prosa poetica che come vero e proprio verso è il modello perseguito in tutto il testo dedicato a Bellezza, composto da cinque strofe. La misura metrica si ridimensione in Per Amelia Rosselli dove però si accentua la differenza tra i vari versi, che vanno dalle quattro sillabe del v.14 alle quindici del v.10, varietas mantenuta anche nel contrasto tra le due strofe, la prima di quattordici versi, mentre l’altra composta da un unico distico. Gli altri brani della raccolta sono caratterizzati da una lunghezza media, ma molto variegata: testi con versi molto brevi compongono A un albero meraviglioso e Alla bambina Carla, di modo che i testi risultino assimilabili alle tre poesie più lunghe della sezione, insieme coi dodici versi di A Miryam. Ritorna invece il metro breve caro alla Lamarque negli altri componimenti, il più sintetico dei quali è di soli tre versi: Al mio babbo Dante morto a 34 anni. 207 Diametralmente opposta è la situazione che si presenta nella prima sezione degli Inediti, formata da un’unica lunga poesia, un poemetto di 345 versi organizzati in novanta strofe, per la lunghezza delle quali anticipa la varietà metrica della seconda sezione. Si passa da strofe di un unico verso, come v. 141 e v.251, a strofe molto più ampie, come la settantasettesima, formata da nove versi, o la trentacinquesima di undici versi, mentre più regolare è invece la prima parte del poemetto, le cui strofe misurano tre o quattro versi. A proposito della scelta di comporre poesie molto più estese rispetto alla prediletta misura breve, la Dedola nell’introduzione a Poesie 1972-2002 nota che già a conclusione di Teresino la Lamarque aveva fatto ricorso alla misura lunga del poemetto che ritorna anche nella lunga poesia dedicata a Dario Bellezza e ne L’albero, mostrando come, in alcuni momenti significativi della sua ricerca poetica, la poetessa avverta l’esigenza di una forma più vasta cui affidare sentimenti e stati d’animo.360 6. Fonti e modelli di scrittura Nei primi anni Sessanta Cosimo di Rondò, il protagonista del Barone rampante di Italo Calvino, era salito su un albero per prendere distanza dalla pesantezza di ciò che è troppo terreno. In pieno boom economico, ma anche negli anni più difficili della guerra fredda, Calvino fa abbandonare al proprio protagonista una vita uguale a quella di tutti gli altri e, costringendolo a seguire una contorta via sugli alberi, lo porta a scegliere, rispetto all’adesione a un’ideologia, la fedeltà a se stesso. All’inizio del nuovo millennio, in cui la globalizzazione, segnando il primato assoluto dell’economia e con un pericolosissima rimozione della morte, sta mettendo in atto la spietata distruzione del pianeta, con il poemetto L’albero, l’io poetico di Vivian Lamarque sente il bisogno non solo di salire, ma addirittura di celebrare un matrimonio con l’albero. Non è dunque il distacco dalla terra ad essere posto al centro, ma al contrario l’unione.361 Legandosi in questo modo con la natura, Vivian può permettersi di soffermarsi a descrivere i piccoli animaletti che ne costituiscono la popolazione, 360 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p. X R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, in Poesie 1972-2002, cit., pp.XIXII 361 208 richiamando alla memoria i bestiari proposti nei componimenti dell’amata Dickinson: sotto l’albero via-vai di rane principi rospi la forma della luna […] una famiglia di lucertole scalava il tronco […]. Si fondono inoltre in questo poemetto due delle tematiche più care alla poetessa americana, e anche alla Lamarque: la morte e la natura. La natura, impersonata dall’alberi, si pone come alternativa affettuosa e rassicurante alla sordità e indifferenza del vuoto cielo: forse non era del tutto cieco il cielo ci guardava allora spalancali su bene quegli occhi smisurati ma non vedi che macello là? Niente non vedeva niente di sete morivano a milioni […] guarda quel bambino sdraiato hai nome cielo per fare?362. Nel poemetto il mondo della vita e il mondo della morte si incontrano nell’indifferenza del cielo, che è la stessa sordità e lo stesso vuoto del Seme del piangere di Giorgio Caproni anche se ne L’albero sotto questo cielo assente la vita pullula chiedendo alla poesia di continuare a guardare verso il basso per riconoscervi bellezza e iniquità.363 In tutta questa indifferenza l’albero riveste un ruolo fondamentale, è lui ad occuparsi della sofferenza delle altre creature, come ad esempio del pettirosso (altro animale di dickinsoniana memoria) ferito a morte dalle trappole degli uomini, che il paterno albero culla così tra i suoi rami, mentre i versi della poesia ne accompagnano l’agonia ripetendo ti prego muori muori ti prego così di lama non ne senti più ti prego muori il tuo sangue splende 362 363 V.L., L’albero, ivi, p.223 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, ivi., p.XIII 209 come sole muori muori364 Proprio questa nenia richiama i toni di un’altra poetessa contemporanea, Patrizia Valduga, che nel suo Requiem recita: Dio, ti scongiuro, prendigli la mente non torturare un cuore torturato, oh, fa’ presto, fa’ che non senta niente.365 Si ricordi infine che nella sezione Poesie dedicate per molti poeti sono scritti brevi componimenti, e tra questi figurano l’amato Penna, delle tue rime/ belle in are etto ita, e come ci piaceva,/ caro Pennino, la parola/ vita.366, modello poetico di tutta la produzione della Lamarque, oltre che Caproni, a cui si richiama nel poemetto L’albero: Se sul treno ti siedi al contrario, con la testa girata di là, vedi meno la vita che viene,vedi meglio la vita che va.367 364 V.L., L’albero, ivi, p.219 R.Dedola, Dalla poesia innamorata all’elegia dell’albero, ivi, p.XIV 366 V.L., A Sandro Penna, ivi, p.234 367 V.L., A Giorgio Caproni, ivi, p.242 365 210 CAPITOLO VI POESIE PER UN GATTO 211 1. Genesi e storia Nel novembre 2007 uscì presso la casa editrice Mondadori una nuova raccolta di poesie di Vivian Lamarque intitolata Poesie per un gatto, dialogo domestico e quotidiano tra la scrittrice e Ignazio, il suo enorme gatto grigio368 con le sue molte domande di non sempre facile risposta. Il motivo compositivo di questa raccolta è scherzosamente raccontato dall’autrice stessa, spiegando che in seguito al trasferimento dal giardino della casa nel quartiere QT8 al balcone dell’appartamento di via Arimondi, il gatto fu costretto a cambiare le sue abitudini e a non vedere più la gattina di cui si era innamorato, Zarina. Così, forse per questi crediti nei miei confronti e anche un po’ per vanità a un certo punto pretese che scrivessi un libro di poesie tutto su di lui, ho ubbidito369, scrive in occasione della morte dell’amato gatto, in un articolo del giugno 2010 intitolato E il mio gatto filosofo disse: ”Dedicami una poesia”. Proprio con la Committenza della raccolta poetica da parte del gatto Ignazio si apre il libro per lui scritto: -Fammi giocare. -Dopo, ho da fare. -Cosa fai sempre con quel legnetto in mano? -Scrivo. -Cosa? -Poesie -Su di me? -No. -Perché no? -Va bene, va bene, te ne scriverò. -Belle mi raccomando e tante, non un po’. Tale gioco percorre tutta la raccolta, ripetendosi qua e là negli scambi di battute tra la padrona e i il suo gatto, che controlla che il lavoro proceda per il meglio, sottolineando che deve essere un lavoro fatto come si deve, -Pensaci bene 368 S.Jeresum, E il poetar m’è dolce in questo male, in “Sette”, 30 maggio 1996 V.L., E il mio gatto filosofo disse: ”Dedicami una poesia”, in “Corriere della Sera”, 22 giugno 2010 369 212 voglio un’operetta/ non troppo minore io, e soprattutto senza errori, fa notare esigente fino alla conclusione dell’opera, come si legge in Ultima: -Ecco fine del libro contento adesso? posso tornarmene alle altre poesie? -Sì ma mi raccomando le bozze non voglio refusi nel mio libro, io. La stessa Vivian gli si rivolge ricordandogli del lavoro che sta portando a termine per lui, per consolarlo della morte di Zarina: Basta con quei pensieri neri/ Ignazio, su, pensa alla vita/ ai suoi colori pensa/ che finirai in un libro Mondadori., mentre invece lo prende in giro quando scrive –Aiuto Ignazio le rime mi inseguono come pulci! -Pulci? per carità! via da me via! via dalla mia poesia! e gli consiglia di non darsi troppe arie per il fatto che sta scrivendo poesie su di lui, ma il sarcastico gatto sa sempre come ribattere: -Non ti credere anche per Brigante ho scritto poesie. -Sentiamo. -“Dei cani un po’ brutti era il più bello di tutti”. -Hah, tutto qua? Proprio a questo proposito l’autrice nota: Quanti poeti hanno dedicato versi ai gatti, molto meno numerose le poesie per i cani, perché? Forse per lo stesso motivo per cui si scrivono più versi per chi non ci ama che per chi ci è totalmente dedito e fedele. In amor vince chi fugge.370 370 Ibidem 213 2. La struttura La raccolta Poesie per un gatto propone una struttura tripartita, nella quale l’autrice racconta della sua vita con Ignazio, ma soprattutto della vita dell’amico felino. Le tre sezioni si richiamano tra loro riproponendo, in vesti totalmente diverse, l’immagine del giardino: presente nella prima sezione, Infanzia con giardino, assente nella seconda, Giovinezza senza giardino, altro nella terza, Il giardino dell’aldilà. Aprono e chiudono la raccolta i componimenti Committenza e Ultima, nei quali Ignazio appunto commissiona il lavoro poetico su di lui ed esprime il proprio parere a opera conclusa. 2.1 Sezioni La prima sezione, composta da quarantadue testi, si intitola Infanzia con giardino, e racconta dei primi anni di vita di Ignazio: guardi tutto,/ meravigliato, sei/ da non molto nato si legge nella prima poesia. Poco dopo il gatto scopre di essere nel giardino della casa della famiglia Lamarque in Italia QT8 Milano371, i cui vicini Irlando e Olga hanno una gattina della quale si innamora a prima vista: -Chi è quella gattina? -E’ Zarina, Ignazio, la tua nuova vicina. Abita qui sopra con l’Irlando. -Presentamela cosa aspetti? Va bene va bene ci stavo pensando.372 In questa prima parte l’autrice ci descrive così la vita del suo gatto, impegnato a inseguire lucertole, pettirossi, e ombre, a uscire ed entrare in casa passando dalla finestra o dalla scaletta rossa373, a prendere il sole sul balcone o in giardino, ma gran parte della giornata è impegnata per stare con l’amata Zarina. 371 V.L., In che parte del mondo abitiamo?, in Poesie per un gatto, Mondadori, Milano 2007, p.17 372 V.L., Chi è quella gattina?, ivi, p.22 373 V.L., Traslocheremo Ignazio, ivi, p.56 214 Proprio per questo la notizia del trasloco, che chiude questa prima parte, suona così drammatica alle orecchie del giovane Ignazio: -[…] traslocheremo Ignazio perderemo il giardino avremo solo un appartamento. -Traslocheremo? appartamento? taci almeno finché non sarà il momento.374 Sessantacinque poesie sono ambientate nell’appartamento di via Arimondi, dove si svolge la seconda sezione della raccolta, per questo intitolata Giovinezza senza giardino. Dopo i primi tre brevi dialoghi, nei quali Ignazio cerca di capire per quale motivo ha dovuto abbandonare il suo giardino e la sua Zarina per vivere di cemento375 inizia la narrazione della quotidianità di Vivian e del suo gatto. Lui continua a chiedere di uscire per andare da Zarina, sperando che salendo al piano superiore avrebbe trovato Irlando che se miagolavi/ ti apriva ma qui al piano di sopra/ stanno quatti quatti e non aprono mai/ e poi mai la porta ai gatti.376 Così lei cerca di consolarlo facendogli vedere il balcone, la finestra e preparandogli un quasi –giardino con erba/ un rampicante e una foglia d’insalta, ma Ignazio non apprezza, anzi la incenerisce con un’occhiata preferendo piuttosto la consolazione dei croccantini La vita d’appartamento, calorifero ciotola/ ciotola divano/ divano davanzale377, avvia però un dialogo più fitto tra la padrona e il sarcastico gatto, che chiede notizie di Miryam e Giorgio, parla dell’età di Vivian e delle sue preoccupazioni, e fa anche domande più impegnative, lamentandosi dei maltrattamenti degli animali, discorrendo sulla separazione della padrona dal marito, oltre che continuare a domandare di Zarina e di poter tornare da lei e lamentarsi di questa sua continua inattività: provo una noia esistenziale.378 Una brutta notizia apre la terza e ultima parte della raccolta, la morte di Zarina. Questo evento, sconvolgente per l’innamorato, modifica drasticamente il 374 V.L., Devo dirti una cosa grave Igni traslocheremo, ivi, p.55 V.L., Perché in via G.Moretti c’era il giadino, ivi, p. 63 376 V.L., Lo so che credi di trovare, ivi, p.65 377 V.L., Che muso lungo Ignazio, ivi, p.80 378 Ibidem 375 215 comportamento di Ignazio e la natura delle sue domande: voglio Zarina viva/ sul suo bel balcone là/ voglio che sia quello l’aldilà.379 Il tema preannunciato nel titolo della sezione, Il giardino dell’aldilà, si ripropone così negli ormai frequentissimi dialoghi di Vivian e il suo gatto di cui si compongono i trentasette brani che concludono la raccolta. Bene riassume l’andamento della raccolta la quarta di copertina dell’edizione Mondadori: Attenzione lettore, a passo felpato di gatto le svagate prima e seconda parte (figurine d’interni, bisticci, dispetti, musi , ciotole, le temute scatolette del discount) con brio ti condurranno alla terza più grave dove risuona il motivo da anni più frequentato dalla poetessa. 2.2 Committenza e Ultima Introducono e chiudono Poesie per una gatto due dialoghi. Il primo, intitolato ironicamente Committenza, spiega in modo giocoso il perché della decisione della poetessa di scrivere una raccolta di poesie non solo dedicata al proprio gatto, ma di cui proprio Ignazio è il protagonista. La committenza si scopre così non essere altro che una richiesta del compagno a quattri zampe dell’autrice: […] -Cosa fai sempre con quel legnetto in mano? -Scrivo. -Cosa?/ -Poesie. -Su di me? -No. -E perché no? -Va bene, va bene, te ne scriverò. -Belle mi raccomando e tante, non un po’. Nella poesia che chiude la raccolta, Ultima, continua il gioco iniziato con il primo componimento. Ignazio infatti, da buon committente, verifica che il 379 V.L., Zarina che grattavo sempre alla sua porta morta?, ivi, p.131 216 lavoro da lui richiesto a Vivian Lamarque sia stato realizzato bene, come d’accordo, e soprattutto senza errori: -Ecco fine del libro contento adesso? Posso tornarmene alle altre poesie? -Sì ma mi raccomando le bozze non voglio refusi nel mio libro, io. 2.3 Citazioni e dediche Nel 1993 la poetessa polacca Wislawa Szymborska pubblicò la raccolta Koniec i poczontec, tradotta in italiano nel 1997 col titolo La fine e l’inizio, dal quale è tratto il frammento proposto dalla Lamarque all’inizio del suo libro: Morirequesto a una gatto non si fa. La poetessa polacca scrisse la poesia Il gatto in un appartamento vuoto, di cui Poesie per un gatto cita i primi versi, in ricordo del suo compagno. A lui è dedicata questa lirica, una delle più celebri della poetessa, dove il dolore per l’assenza della persona amata è espressa attraverso lo sconcerto del gatto di casa per l’interruzioine della routine quotidiana alla quale si era abituato e affezionato. Spiega la Lamarque che anche Poesie per un gatto proponendo la morte di Zarina e le dissertazioni del gatto e di Vivian sulla morte e sull’aldilà intende far riferimento anche alle perdite dei propri cari e alle conseguenti domande sul “dopo”: gli addii delle persone, gli addii alla vita, tema che tocco però sottovoce e con ironia, nella raccolta sembra sia il gatto a interrogarsi sulla morte, ma siamo tutti noi (anche i versi della szymborska che cito, tratti dalla sua splendida poesia un appartamento vuoto, hanno dietro il gatto la sua disperazione per la morte del secondo compagno della sua vita).380 Segue i versi della Szymborska una seconda citazione, tratta sempre da un componimento sui gatti, ma di T.S.Eliot: The naming of cats is a difficult matter. Il verso, tratto dall’omonima poesia, che in traduzione si intitola Il nome dei gatti, appartiene alla raccolta Old Possum’s Book of Practical Cats, 380 Mia intervista a Vivian Lamarque, maggio 2012 217 opera che propone una serie di testi poetici sulla psicologia felina e sull’organizzazione sociale del loro mondo (proprio da questo libro verrà poi tratto il musical Cats di A.L.Webber). 218 Eliot spiega che qualunque nome si darà al proprio gatto, quello non sarà mail il vero nome, perché of the thought, of the thought, of the thought of his name:/ His ineffable effable/ Effanineffable/ Deep and inscrutable singular Name.381 Il vero nome è per lo scrittore al tempo stesso dicibile e indicibile, misterioso e limpidamente evidente, enigmatico e semplicissimo da capire, per lui il nome prende la sua forma nella forma del gatto, come se fosse il gatto stesso a scegliere il suo nome. Di nomi di gatti parla Eliot nella sua lirica, del gatto Ignazio parla l’autrice in Poesie per un gatto, e ben novantun nomi di gatti vengono elencati subito dopo i versi di Il nome dei gatti tra le dediche al libro. Con un gioco analogico la Lamarque introduce così il lungo e vario elenco di nomi degli amati felini da lei conosciuti: ai gatti dei miei amici e ai miei amici, oltre che ai gatti di nessuno e alle loro gattare. Al gruppo di nomi vengono aggiunti altri due animali domestici a cui il testi è dedicato nonostante non siano della specie cantata: a Pablito (anche se coniglio) e soprattutto a Brigante, anche se era un cane. La dedicataria principale della raccolta poetica è però la figlia di Vivan, padrona, insieme con la madre, del gatto protagonista dell’opera, al quale proprio lei diede il nome, a Miryam, che ti chiamò Ignazio, nome che lui stesso in un componimento ammette di apprezzare: -E io come mi chaimo? -Ignazio ti chiami ti piace? -Non c’è male abbastanza originale.382 L’autrice inserisce anche dei ringraziamenti al testo, scritti giocando con le parole, e con l’altezza di chi ha collaborato con lei per la realizzazione del libro: Ignazio, ispiratore, protagonista e compagno di vita e Alberto Gelsumini, consulente della Mondadori. Si legge infatti a inizio volume: Un grazie all’impaziente pazienza del cortissimo Ignazio e all’intelligente impazienza del lunghissimo Alberto Gelsumini. 381 382 T.S. Eliot, Old Possum’s Book of Practical Cats, Faber and Faber, London 1939 V.L., In che parte del mondo abitiamo?, in Poesie per un gatto, cit., p.17 219 3. I contenuti 3.1 La morte e l’aldilà Gioiose le prime due sezioni, nella terza si affaccia il tema che più mi sta a cuore in questi ultimi anni (ma anche prima, fin dagli inizi) gli addii delle persone, gli addii alla vita, tema che tocco però sottovoce e con ironia, nella raccolta sembra sia il gatto a interrogarsi sulla morte, ma siamo tutti noi 383 spiega l’autrice a proposito di Poesie per un gatto. Proprio con la notizia della morte della sua fidanzatina si apre la terza sezione della raccolta: -Ignazio notizia brutta su Zarina la bella che grattavi sempre alla sua porta. E’ morta Olga mi ha detto. -Mooorta?384 Viene così introdotto da subito il tema preannunciato dal titolo di questa parte della storia domestica di Vivian e il suo gatto: Il giardino dell’aldilà. Chiede insistentemente Ignazio: Ripeto la domanda/ ci sarà o non ci sarà/ questo aldilà?/ -Forse Ignazio non lo so385; ma le domande continuano perché vuole assolutamente sapere che fine ha fatto Zarina. Così Vivian cerca di spiegargli la sua idea di aldilà, già espressa sinteticamente nel titolo della sezione: è come una specie di giardino si diventa tutti erba fiori. -Fiori? un fiore io? mai! -E perché? essere un fiore/ è un onore no lo sai?/ Un onore un fiore? Non voglio questo onore mi hai sentito? voglio per sempre essere Ignazio io, qui vivo in questa vita.386 Tale spiegazione ritorna più volte nell’opera, ma il gatto non se ne capicita: 383 Mia intervista a Vivian Lamarque, maggio 2012 V.L., Ignazio notizia brutta, in Poesie per un gatto, cit., p.130 385 V.L., Ripeto la domanda, ivi, pp.152-153 386 Ibidem 384 220 -E allora dove va? -Sta. -Sta? -Sta. -E dove? -In un bel giardino fiorito. -Come quello che avevamo? -Sì. -Tra l’erba? -Sotto. -Sotto? -Sì.387 L’idea di passare l’Eternità sotto terra però gli piace ancora meno dell’idea di diventare un fiore così di nuovo ribatte: Oh no io vorrei tra i freschi fili/ d’erba con Zarina stare non sotto/ io sotto l’erba non ci voglio andare.388 Quando finalmente si convince della possibilità dell’esistenza del giardino dell’aldilà, un’altra domanda fa crollare il sollievo trovato: -E se anche il fiore muore?389 ma questa volta Vivian, già prima tentennante390, non risponde, e così inesorabile Ignazio incalza: Diventerò anch’io un giorno un fiore?/ -Ma sì un fiore o un’erba o un insettino./ -Un insettino io Ignazio? mai!/ -E dai ce ne sono di belli coccinelle/ libellule maggiolini…/ -Maggiolini? un maggiolino io?/ un insettino io, io?391; -E Zarina che fiore diventerà?/ -Non lo so forse una margherita./ -Zarina mia una margherita?/ Non voglio la morte della vita.392; E poi sarà uguale alla nostra/ l’erba dell’aldilà?393 Non si arriva a una vera e propria soluzione, infatti al termine di queste domande Vivian conclude con un generico: -Lo vedremo Ignazio/ lo vedremo quando saremo là,394 un po’ come si fa coi bambini quando fanno tante domande, e soprattutto quando gli argomenti sono argomenti come questo, -E Zarina là mi aspetterà ci sarà?/ Non escludo la possibilità.395 387 V.L., Dimmi che è stato un sogno Zarina, ivi, pp.155-156 V.L., Oh no io vorrei tra i freschi fili, ivi, p.157 389 V.L., E quando si può sapere?, ivi, p.158 390 E.Rosaspina, Tutti pazzi per gli animali, in “Corriere della Sera”, 01 maggio 2011 391 V.L., Diventerò anch’io un giorno un fiore?, in Poesie per un gatto, cit., p.159 392 V.L., E Zarina che fiore diventerà?, ivi, p.160 393 V.L., E poi sarà uguale alla nostra, ivi, p.161 394 Ibidem 395 V.L., In punto di morte mi darai, ivi, p.162 388 221 Il dialogo sulla morte introduce un equivoco legato a un’analogia già proposta dall’autrice in testi come Condòmino396, Fuori dalla sua porta397 o Questa quieta polvere398: la morte e il sonno possono apparire la stessa cosa. L’idea di un errore dei padroni di Zarina è data a Ignazio dalle parole di Vivian, che cercando di addolcire la notizia usa un’immagine presa invece alla lettera dal gatto: -Comunque non ci credo che sia morta stava benone sentiamo, morta come? -Era malata l’hanno addormentata. -Addormentata? che sollievo!, aggiungendo quindi: Scemi vedendola dormire vi siete confusi col morire vedendola dormire vi siete confusi col morire.399 Questi cinque versi conclusivi ritornano nella sezione per cinque volte all’inizio, alla fine, e nel corpo del testo, incredulo refrain per esorcizzare la morte dell’amata, provando a convincere gli altri, non potendo lui convincersi di aver perso un affetto tanto importante. La padrona prova così a consolarlo, continuando a rimanere nella metafora: -Aspetta di rivederla là nell’aldilà dicono che ci risveglieremo tutti insieme chissà. -Ci risveglieremo, come quando al mattino ci svegliamo ci muoviamo?400 396 V.L., Condomino, in Poesie 1972-2002, Mondadori, Milano 2002, p.193 V.L., Fuori dalla sua porta, in Una quieta polvere, Mondadori, Milano 1996, p.83 398 V.L., Questa quieta polvere, ivi, p.66 399 V.L., Comunque non ci credo, in Poesie per un gatto, cit., p.133 400 V.L., Aspetta di rivederla là, ivi, p.135 397 222 Inizia così la ricerca di Zarina in tutti i posti in cui era solita andare a dormire, come sul balcone, in giardino o sul pianoforte del suo padrone Irlando: Cercate cercate in ogni dove/ sei lì? sei lì?/ O perché più non suona/ il suo bel sì?401 La gattina non si trova, ma la raccolta si conclude senza che Ignazio sia riuscito a convincersi della morte di lei: L’equivoco è chiarito Zarina dorme, si è tanto addormentata ora basterà aspettare il giorno che si risveglierà oh se si risveglierà non fatemi mai più così tanto spaventare […].402 401 402 V.L., Cercate cercate in ogni dove, ivi, p.144 V.L., L’equivoco è chiarito Zarina, ivi, p.166 223 All’incredulità di Ignazio e alla sua incapacità di accettare una simile perdita, si offre un’altra spiegazione, o meglio un metodo per superare con meno dolore il problema: sognare. Immaginarsi la situazione desiderata al posto di quella reale e dolorosa è una soluzione che l’autrice già ha adottato nelle precedenti raccolte. Proponendo anche in questo contesto l’escamotage del sogno, la Lamarque mostra come le domande e le sofferenze del suo gatto siano anche le proprie, siamo tutti noi403 che davanti alla realtà della morte di una persona amata viviamo il disorientamento del protagonista di Poesia per un gatto. Dimmi che è stato un sogno Zarina non è morta vero? -Non era un sogno Ignazio Zarina è morta davvero.404 Oh no nel sonno me ne ero dimenticato non voglio questo oggi voglio ieri ieri, senza Zarina non voglio la vita non voglio niente voglio un ieri immediatamente.405 Il desiderio di tornare indietro nel tempo per stare ancora insieme alla gattina è assimilabile al discorso che Ignazio fa alla padrona, dicendole che nei suoi pensieri l’amata era sempre viva: -Ma ti dicevo portami da lei/ aspettavo e mentre ero/ in sua aspettativa Zarina/ per sempre era viva,/ non moriva.406 Non accetta invece la proprosta della padrona di consolarsi col ricordo dei momenti vissuti insieme: -Ma ciò che esiste/ non esiste per sempre?/ non è così/ -Sì nel cuore sì.407; -Ne resta il ricordo, la memoria. -Memoria? Non ne voglio di memoria! voglio Zarina viva sul suo bel balcone là/ voglio che sia quello 403 Mia intervista a Vivian Lamarque, maggio 2012 V.L., Dimmi che è stato un sogno, in Poesie per un gatto, cit., p.155 405 V.L., Oh no, ivi, p.137 406 V.L., Te lo dicevo portami, ivi, p.132 407 V.L., Ma ciò che esiste, ivi, p.162 404 224 l’aldilà.408 La morte dell’amata fa metter in discussione anche la stessa vita di Ignazio, della qual cosa prima non si interessava invece molto: -La giornata è finita tornerà tra un anno/ ma non sarà più la stessa capisci?/ il tempo tutto inghiotte./ -O.k. buonanotte.409 Ora, rendendosi conto che prima o poi anche lui morirà chiede a Vivian: -O vorresti dire che anche il gatto/ prima di me è morto? -Sì. -Anche quello prima prima? -Sì. -Tutti? -Tutti. -Non ci sono più? -No. -Ma allora anch’io un giorno morirò? Morirò dunque? -Hmm.410 Nonstante tale argomento sia protagonista assoluto nella terza sezione, in qualche breve dialogo tra il gatto e la sua padrona si trova già qualche riferimento a tale idea anche nelle prime due parti della raccolta, in modo però molto più spensierato: Oh Ignazio non volendolo ho cucinato un maggiolino lesso tra le foglie d’insalata volava così bene dove volerà adesso?411 -Che brutta fine povera mosca. Era la prima della stagione non ha fatto nemmeno in tempo a volare da lì a qui si fa così? -Sì.412 408 V.L., Zarina che grattavo sempre alla sua porta, morta?, ivi, p.131 V.L., La giornata è finita, ivi, p.92 410 V.L., O vorresti dire che anche il gatto, ivi, p.150 411 V.L., Oh Ignazio non volendolo, ivi, p.76 412 V.L., Che brutta fine povera , ivi, p.85 409 225 La stessa immagine del trasloco della prima sezione, propone una situazione nella quale il gatto deve rinunciare a tutto quello che aveva nella vecchia casa, o vita, per iniziarne una nuova: -Trasloco? appartamento?/ taci almeno finché non sarà il momento.413; Traslocheremo Ignazio non avrai più la scaletta rossa che scendeva in giardino né la lucertola che la saliva ignara di te che al varco l’aspettavi dal giardino non potrai andare e venire più. -Più? -Più, dall’alto degli alberi non guarderai più giù non sconfinerai più nei giardini degli altri di gatti non ne incontrerai più. -Più?414; -Traslocheremo Ignazio il primo tempo è finito sta per cominciare il secondo.[…]415 3.2 La relazione uomo-animale domestico Poesie per un gatto prende spunto dalla convivenza tra Vivian a Ignazio, raccontando la relazione affettiva che si instaura tra il padrone e l’animale domestico. Bene si spiega tale realtà, descritta nella raccolta, in un articolo del Corriere: : diario di una convivenza mai banale, tra affettuosità e sottili dispetti. Il primo passo di una relazione con l’esemplare di un’altra specie, l’instaurarsi di riti e abitudini comuni, e di una reciproca attesa. Un sodalizio che potrà andare lontano, creare nuovi equilibri affettivi, affrontare critiche e ironie, superare ostacoli pratici, sconfinare in una simbiosi morbosa, provocare litigi con terzi incomodi, condizionare scelte quotidiane, complicarle irreversibilmente, e in ogni caso senza rimpianti per la perduta libertà.416 413 V.L., Devo dirti una cosa grave Igni traslocheremo, ivi, p.55 V.L., Traslocheremo Ignazio, ivi, p.56 415 V.L., Traslocheremo, ivi, p.57 416 E.Rosaspina, Tutti pazzi per gli animali, in “Corriere della Sera”, 01 maggio 2011 414 226 Il legame proposto dall’autrice in questa raccoltà è a tal punto relazionale da trasformarsi in vero e proprio dialogo: -Aprimi salgo da Zarina./ -Tornerai per cena?/ -Non è detto ma tu preparami/ la ciotola piena.417 Lo scambio di battute tra i due, man mano che si sviluppa nel corso della narrazione, diventa sempre più personalizzato e continuo. Si disegna così il quadro della convivenza di Vivian e Ignazio, dove da momenti affettivi si passa a situazioni di esasperazioni o fastidi, che soprattutto il gatto esplicita con sarcasmo: -E’ tornato il caldo Ignazio./ -Già./ -Il sole fa finta che l’estate non sia finita fa finta che…/ -Ho capito il concetto, sospendi la lezione/ lasciami dormire in pace in questo bel fuori/ stagione.418 La mia bambina Miryam…/ -Bambina? ma se è più alta di te./ -Non mi contraddire gatto/ l’età dei figli si sa non ha età.419 Miryam mi ha chiesto come stai./ -Benone dille benone/ come vuoi che stia in questa prigione?420 Ma starà davvero cantando/ quel merlo sul palo della luce?/ mi pare così accorato non starà/ invece lanciando un appello mesto/ un suo disperato “chi l’ha visto?”./ -Ma certo sì sì (diamole ragione a questa qui).421 -Cos’è questo odore infernale?/ -E’ smalto per le unghie Ignazio./ Quando vedo tutto nero coloro di rosa/ le unghie come una vita…/ Rimbambita.422 Anche Vivian spesso prende caramente in giro l’amato gattone, impedendogli di catturare le lucertole, stuzzicandolo con degli scherzetti o criticandolo bonariamente per i suoi atteggiamenti “da gatto”: -Fuggite lucertole/ gatto in arrivo!/ -Che vergogna è una spia/ la padrona mia.423 -Guarda sotto l’albero quante albicocche marce/ raccoglile, mi sporcano le zampe/ la sai che non mi va./ -Ai suoi ordini Sua Gattità.424 -Ma perché non sei un cane?/ Perché non mi fai feste come Brigante?/ -E questo ron-ron cos’è, secondo te?425 417 V.L., Aprimi salgo da Zarina, in Poesie per un gatto, cit., p.44 V.L., E’ tornato il caldo Ignazio, ivi, p.49 419 V.L., La mia bambina Miryam, ivi, p.52 420 V.L., Miryama mi ha chiesto come stai, ivi, p.68 421 V.L., Ma starà davvero cantando, ivi, p.86 422 V.L., Cos’è questo odore infernale?, ivi, p.98 423 V.L., Fuggite lucertole gatto in arrivo, ivi, p.38 424 V.L., Guarda sotto l’albero quante albicocche marce, ivi, p. 39 425 V.L., Ma perché non sei un cane?, ivi, p.40 418 227 Il legame tra i due però è sempre più forte e conoscendosi sempre di più si affezionano l’uno all’altro: Sei quasi commovente/ quando mi segui per niente/ quando ti sposti di stanza/ solo perché io mi sposto di stanza/ devi allora da capo cercare/ nuovo luogo e modo di fare ciambella/ una nuova posizione/ è questo il tuo discreto modo/ di dare dedizione.426 Quando leggo di notte/ la luce ti secca/ mi guardi infastidito/ ma Ignazio non ti crederai/ per caso di essermi marito?427 -Morirò dunque?/ -Hmm./ -Prenderai un altro gatto poi?/ No./ -Menti lo sai./ Ma guai a te guai!428 In un breve soliloquio il gatto confessa il dispiacere di essere lasciato dalla padrona solo in casa, proponendo al lettore il proprio punto di vista di animale domestico che conosce bene il proprio padrone e ne è davvero affezionato: Ecco rispuntare la solita valigia e quelle eterne scarpe ci risiamo parte corre corre si agita per ore mi sposta tutta l’aria intorno mi gratta distrattamente in testa dice ciao bello vado e se ne va chiude la porta conto fino a tre dimentica sempre qualcosa riapre rientra mi ridice ciao bello vado e se ne va ecco mi ha lasciato ma chi l’ha detto che un gatto è indipendente nessuno sente quello che un gatto solo dentro sente peggio della fame e della sete anzi no non peggio meglio anzi no uguale insomma mi sento poco bene quasi male nessuno sente quello che un gatto solo dentro sente.429 Le loro abitudini si uniscono, accrescendo il valore di questa relazione di convivenza quotidiana, come racconta l’autrice: a suo modo Ignazio mi voleva bene e io a lui. Al mattino, per svegliarmi, se non bastava dire miao, mi toccava leggermente con una zampa le palpebre chiuse, aveva 426 V.L., Sei quasi commovente, ivi, p.48 V.L., Quando leggo di notte, ivi, p.82 428 V.L., Morirò dunque?, ivi, p.151 429 V.L., Ecco rispuntare la solita valigia, ivi, pp.42-43 427 228 capito che era quella la parte che segnava la differenza tra uno sveglio e un addormentato;430 relazione e unione bene rappresentata nel componimento che ritrae i due sul balcone, entrami a godere del sole: Ama il balcone il mio gatto il balcone ama anche me estivo triangolo noi tre.431 4. Narratore e personaggi Come già nelle precedenti raccolte, è la storia dell’autrice ad essere portata in versi, e quindi è sempre Vivian la voce narrante. Novità di questo lavoro poetico è l’ampio utilizzo del dialogo, che in Poesie dando del Lei era già stato sperimentato dalla Lamarque. Nel 2007 però, portando in scena direttamente l’interlocutore, viene accostato al punto di vista del narratore solito, anche quello di un secondo narratore, che ci propone una visione inedita della scrittrice, vista dagli occhi dell’interlocutore-narratore, il suo gatto. La vicenda raccontata in Poesie per un gatto ha infatti come protagonisti Vivian e Ignazio, che, prendendo la parola in prima persona, raccontano uno dell’altro o si stuzzicano a vicenda, intavolando discorsi su argomenti i più disparati. La storia ci porta nella quotidianità casalinga (con o senza giardino) della loro vita, permettendoci di conoscere da un altro punto di vista la Vivian già incontrata nelle precedenti opere. E’ però Ignazio, committente e destinatario del lavoro poetico dell’autrice, il personaggio che meglio impariamo a conoscere da questi testi. La narrazione inizia con lui piccolissimo, guardi tutto,/ meravigliato, sei/ da non molto nato432, che scopre il “mondo” del giardino della casa al QT8, e si innamora di Zarina, la gattina dei vicini Olga e Irlando. Dalla seconda sezione, Giovinezza senza giardino, 430 V.L., E il mio gatto filosofo disse:” Dedicami una poesia”, in “Corriere della Sera”, 22 giugno 2010 431 V.L., Ama il balcone il mio gatto, ivi, p.25 432 V.L., Guardi tutto, ivi, p.15 229 conseguentemente al trasferimento nell’appartamento in via Arimondi e anche per il fatto che il gatto ormai è cresciuto, acquista più rilievo la voce di questo personaggio nei dialoghi con Vivian, permettendoci di conoscerlo nel suo sarcasmo non chè nella grande capacità di sinteticità e incisività. Si umanizza l’immagine di Ignazio, quando dice: -Dammi un croccantino./ -Lo sai che ti fa male./ -Fa niente ho un’ansia da placare.433, oppure quando critica Vivian per i suoi atteggiamenti, Nottetempo ho innaffiato/ un assetato balcone altrui furtivamente./ Mi osservi serio/ disapprovi palesemente.434, o le risponde affermativamente quasi compatendola tanto per darle un contentino e non farla parlare troppo: -Non si mangia oggi?/ -Sì ma ti ho nascosto il boccone/ in un angolino/ (poveraccia cerca di consolarmi/ per la storia del giardino).435 Dalle parole di Vivian scopriamo invece la “gattità” di Ignazio, che si lamenta se la padrona gli dà da magiare scatolette del discount o se lo accarezza troppo distrattamente: -Quando il breakfast/ non ti garba guardi altrove/ sprezzante, le scatolette/ del Discount le riconosci all’istante.436; -Perché mi gratti la testa/ così distrattamente?/ -Ho da fare./ (Sua Gattità offesa ece dalla stanza come rimostranza).437 Degli stessi atteggiamenti del suo gatto racconta Vivian Lamarque anche in un articolo in cui parla proprio di lui: Ho avuto vari gatti, l’ultimo si chiamava Ignazio. Ho avuto anche vari cani, l’ultimo si chiamava Brigante. I gatti che preferisco sono quelli che un po’ assomigliano al cane e i cani che preferisco sono quelli che un po’ assomigliano al gatto. Cioè i gatti un po’ affettuosi e i cani un po’ quieti, acciambellati. Ignazio però era un gatto-gatto, mai un sorriso, fusa misurate, unghie sempre pronte, quando gli chiedevo ma perché non sei anche un po’ cane? Si offendeva molto. […] Ma a suo modo Ignazio mi voleva bene, e io a lui.438 Compaiono nella narrazione altri personaggi, che però non intervengono attivamente nei dialoghi proposti, e che vengono quindi citati in quanto conoscenze comuni tra i due. Di questa cerchia di amicizie e affetti fanno parte 433 V.L., Dammi un croccantino, ivi, p.114 V.L., Nottetempo ho innaffiato, ivi, p.71 435 V.L., Non si mangia oggi?, ivi, p.83 436 V.L., Quando il breakfast, ivi, p.94 437 V.L., Perché mi gratti la testa?, ivi, p.117 438 V.L., E il mio gatto filosofo disse: “Dedicami una poesia”, “Corriere della Sera”, 22 giugno 2010 434 230 due animali, la gattina Zarina e il cane Bigante, oltre che la famiglia dell’autrice: Miryam, Giorgio, mamma Rosy, a cui si aggiungono i due vicini di casa Olga e Irlando, padroni di Zarina e amici di Vivian. 5. Metro Diloghi in versi439 si legge sul “Corriere della Sera” a proposito dei testi di Poesie per un gatto in un articolo che della raccolta della Lamarque mostra l’aspetto relazionale tra lei e il suo gatto. Si tratta spesso di scambi di battute tra Vivian e Ignazio, ma a questa modalità è anche accostata quella del monologo, dove, più volte l’autrice e una volta il gatto, mostrano il proprio punto divista senza che l’altro personaggio entri in campo, riprendendo così una struturra più simile alla precedente produzione poetica della Lamarque. Unendo quindi i monologhi ai dialoghi citati dalla giornalista, la definizione dialoghi in versi calza bene ai testi di questa raccolta, che conservano la predilezione dell’autrice per il verso breve o brevissimo ed enfatizzano la sua tendenza a parlare in prima persona al destinatario della poesia. In questo caso il destinatario infatti è quasi sempre in scena con Vivian con la quale scambia poche ma sintetiche battute. Testi in generale di piccole misure, dai brevissimi distici di La pioggia piove/ Ignazio non si muove440, ai brani più lunghi, ma pur sempre contenuti, come il monologo del gatto, di diciassette versi o i ventun versi del testo sulla morte di Zarina: -Dimmi che è stato un sogno Zarina non è morta vero? -Non era un sogno Ignazio Zarina è morta per davvero. -Sopra il piano di Irlando non cammina più? -No. -Nemmeno sul suo letto? -No. -E allora dove va? 439 440 E.Rosaspina, Tutti pazzi per gli animali, in “Corriere della Sera”, 01 maggio 2011 V.L., La pioggia piove, in Poesie per un gatto, cit., p.129 231 -Sta. -Sta? -Sta. -E dove? –In un bel giardino fiorito. -Come quello che avevamo? -Sì. -Tra l’erba? -Sotto. -Sotto? -Sì.441 In questo caso, come in molti altri brani della raccolta, alla relativa lunghezza del testo si oppone la brevità dei versi, alcuni formati da soli monosillabi, spesso ripetuti, creando quindi, più che uno schema di rime, una serie di ripetizioni che conseguono al botta e risposta. Il verso libero e spesso assimilabile alla prosa è però ritmicamente organizzato dalle rime. L’autrice propone anche in quest’opera numerose rime baciate, che balzano all’occhio grazie agli enjambement che, interrompendo la frase sintattica, privilegiano la dimensione musicale del verso, proponendo rime come margherita-vita442, dormire-morire443, angolino-giardino444, insalataocchiata445, sorpresa-distesa446, farfalla-gialla447. Va infine notata l’assenza di titolo dei componimenti, ad eccezione della prima e dell’ultima poesia: Committenza e Ultima. Tale scelta permette al discorso poetico di risultare continuato, collegando i brani uno all’altro, senza una vera e propria netta divisione, aspetto che si accentua nell’ultima sezione della raccolta, dove il discorso tra i due protagonisti si fa più serrato e la tematica, ben definita, è proposta in quasi ogni loro discorso “trascritto” dall’autrice. 441 V.L., Dimmi che è stato un sogno Zarina, ivi, pp.155-156 V.L., E Zarina che fiore diventerà?, ivi, p.160 443 V.L, L’equivoco è chiarito Zarina, cit., p.166 444 V.L., Non si mangia oggi?, ivi, p.83 445 V.L., Guarda Ignazio, ivi, p.78 446 V.L., Aprimi la porta, ivi, p.37 447 V.L., La guardi con gli occhi spalancati, cit., p.26 442 232 6. Fonti e modelli di scrittura Scrive la Lamarque nell’articolo scritto in memoria della morte del suo gatto Ignazio: Quanti poeti hanno dedicato versi ai gatti, molto meno numerose le poesie per i cani, perché? Forse per lo stesso motivo per cui si scrivono più versi per chi non ci ama.448 Proprio da una poesia per un gatto è tratta la citazione che apre Poesie per un gatto: Morire- questo a un gatto non si fa, primo verso di Il gatto in un appartamento vuoto di Wislawa Szymborska. Proprio riguarda alla scelta di questo componimento come esergo della raccolta la Lamarque spiega: i versi della szymborska che cito, tratti dalla sua splendida poesia un appartamento vuoto, hanno dietro il gatto la sua disperazione per la morte del secondo compagno della sua vita.449 La scelta del proprio animale domestico come dedicatario, diventa così per entrambe le poetesse il pretesto per affrontare con apparente distacco la luttuosa perdita di persone care. Lamenta la morte dell’amata Zarina il suo innamorato, Ignazio, mentre invece il gatto della Szymborska, alter ego della scrittrice stessa, piange la scomparsa del padrone, ossia il compagno della poetessa: Qui c'era qualcuno, c'era, e poi d'un tratto è scomparso, e si ostina a non esserci. In ogni armadio si è guardato. Sui ripiani è corso. Sotto il tappeto si è controllato. Si è perfino infranto il divieto di sparpagliare le carte. Cos'altro si può fare. Aspettare e dormire. 448 V.L., E il mio gatto filosofo disse: ”Dedicami una poesia”, in “Corriere della Sera”, 22 giugno 2010 449 Mia intervista a Vivian Lamarque, maggio 2012 233 Che provi solo a tornare, che si faccia vedere. Imparerà allora che con un gatto così non si fa.450 Si lamenta invece con la padrona Vivian il gatto Ignazio per la scomparsa della gattina di cui era innamorato e della cui morte non si vuole fare una ragione, cercandola insistentemente: Cercato sul balcone?/ sul balcone l’avete cercata?451; Cercate sul pianoforte dell’Irlando452; Cercate negli angoli bui453; Cercate cercate in ogni dove sei lì? sei lì? O perché più non suona Il suo bel sì?454 L’equivoco è chiarito Zarina dorme, si è addormentata ora basterà aspettare il giorno che si sveglierà oh se si risveglierà non fatemi mai più così tanto spaventare vedendola dormire vi siete confusi col morire vedendola dormire vi siete confusi col morire.455 Al suo gatto, affezionato compagno di vita, Elsa Morante dedica invece la poesia conclusiva di Menzogna e sortilegio, personaggio interno anche al romanzo. Elisa, la protagonista, al termine del suo percorso trova il misterioso Alvaro. E’ il suo gatto (Alvaro è l’altro nome di Giuseppe, il gatto vissuto con Elsa dal 1966 all’agosto 1982), suo unico “compagno” nel tempo della vita e in quello della scrittura, cui dedica un canto d’amore.456 450 W. Szymborska, Il gatto in un appartamento vuoto, in La fine e l'inizio , Scheiwiller editrice, Milano 1997 451 V.L., Carcato sul balcone?, in Poesie per un gatto, cit., p.140 452 V.L., Cercate sul pianoforte dell’Irlando, ivi, p.142 453 V.L., Cercate negli angoli bui, ivi, p.143 454 V.L., Cercate cercate in ogni dove, ivi, p.144 455 V.L., L’equivoco è chiarito Zarina, ivi, p.166 456 G.Nuvoli, L’ultimo romanzo possibile, una Commedia rovesciata, in E.Morante, Menzogna e sortilegio 234 Recita infatti la lirica della Morante: Non mi rispondi? Le confidenze invidiate Imprigioni tu, come spada di Damasco le storie d’oro in velluto zebrato. Segreti di fiere non si dicono a donne. […] Si ripiega la memoria ombrosa d’ogni domanda io voglio riposarmi. L’allegria d’averti amico basta al cuore. E di mie fole e stragi coi tuoi baci, coi tuoi dolci lamenti, tu mi consoli, o gatto mio!457 457 E. Morante, Menzogna e sortilegio, Einaudi, Torino 1994, p.706 235 Con altri toni, ma simili argomenti scrive la Lamarque del suo gatto, committente della raccolta e compagno di vita quotidiano, arrivando persino a domandargli: ma Ignazio non ti crederai/ per caso di essermi marito?458 458 V.L., Quando leggo di notte, in Poesie per un gatto, cit., p.82 236 CAPITOLO VII LA GENTILESSA 237 1. Genesi e storia Nel 2009 Vivian Lamarque pubblicò, per la casa editrice Stampa, un volumetto di poesie in dialetto milanese intitolato La gentilèssa, con la “e” aperta e le “s” della pronuncia milanese, al posto delle “z”.459 Una piacevolissima sorpresa, scrive Maurizio Cucchi nella prefazione alla raccolta, dove spiega che questi testi non sono componimenti recenti, bensì poesie scritte tra 1973 e il 1975, quasi agli esordi della poesia di Vivian Lamarque, aggiungendo: ricordo che proprio allora me ne aveva parlato, cogliendomi appunto di sorpresa.460 Spiega a questo riguardo l’autrice: Non sono milanese, ma Milano è la mia città d’adozione ( in senso letterale, i miei genitori adottivi abitavano lì). La sua lingua era nell’aria, l’ho respirata soprattutto negli Anni Cinquanta, allora la parlavano in molti nelle strade, nei negozi, nei cortili, mi è entrata dentro quietamente, è stata lì ferma, buona buona, poi tra il 1972 e il 1975, anni in cui ho scritto il maggior numero di poesie, anni di forte disagio psichico (ma non voglio gareggiare con Alda Merini, vincerebbe lei!), si è mossa e, senza averle minimamente “programmate”, una quarantina di poesie in dialetto si sono infilate tra le altre centinaia, in questa raccolta ho cercato di scegliere tra le meno acerbe. Negli anni successivi non si sono più fatte vive, non ne ho scritte più.461 L’opera raccoglie poesie inedite, con l’unica eccezione di Pèss fritt462, pubblicata nel 1996 nella raccolta Una quieta polvere. In quell’occasione, in nota l’autrice aveva specificato che il testo faceva parte della raccolta Milan brutta bèlla, del 1978, inedita, ma della quale nel 1995 erano stati pubblicati quattro componimenti sul n.10 della rivista Poesia, uno dei quali era proprio Pèss fritt. La gentiléssa, racconta la poetessa, parlava della Milano che avrei voluto, di quel che mancava, la gentilezza,463 appunto. Da qui il cambio di titolo rispetto all’idea editoriale annunciata nel 1996, come si evince anche da un’intervento in una conferenza del 2012 proprio sulla città di Milano, nella quale la Lamarque aveva aggiunto: 459 M.Cucchi, Prefazione, in V.Lamarque, La gentilèssa, Stampa, Varese 2009, p.8 M.C., Prefazione, ivi., p.7 461 M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, ivi, p.61 462 V.Lamarque., Pèss fritt, in Una quieta polvere, Mondadori, Milano 1996, p.56 463 I.Bozzi, “La gentilèssa” di Vivan e quella della poesia, in “Corriere della Sera”, 25 maggio 2009 460 238 Milano, dice il titolo di questa serata, Milano Amica-Nemica. Io l’ho chiamata in una mia poesia Milan Brutta Bèlla. Però anche la poesia è una poesia di 30 anni fa, è un po’ invecchiata, non è più bella, l’ho cancellata. Adesso mi è rimasto questo titolo orfano, senza nessuna poesia attaccata sotto. Milan brutta bèlla è la nostra città.464 Continua poi spiegando il valore che ha per lei la parola scelta come titolo della raccolta in dialetto milanese composta da quelle poesie degli anni ’70 che le si sono infilate nel pennino, senza ben sapere come: Gentilmente è un avverbio, già l’aggettivo mi piace molto, gentile,… è un avverbio, ho anche un libro intitolato La gentilèssa. Però voglio avvertire voi, e soprattutto me, che non me lo dimentichi che deve essere… la gentilezza dei Milanesi deve essere armata un po’. Cioè gentilmente armata, ma armata. Ci vuole per sostenere tutta questa ondata di brutto soprattutto che ci avvolge. […] Dicevo, la gentilezza è quella cosa per cui quando la sera torniamo a casa e abbiamo incontrato una persona gentile, un impiegato gentile, lo raccontiamo.465 2. Struttura La Gentilèssa raccoglie sedici poesie in lingua milanese, con la traduzione in italiano proposta nel testo a fronte. La piccola opera è divisa in tre sezioni: Gajna malada, Milàn brutta bèlla, Papà ti te diset di no. Il titolo delle prime due parti riprende quello di un brano in esse raccolto, mentre il terzo sintetizza il racconto della prima poesia della sezione. 2.1 La struttura La prima sezione della raccolta, Gajna malada, con le sue otto poesie è la parte più ampia dell’opera in milanese della Lamarque. L’omonima poesia recita me interèssa pù nient e alura/ alura me mètti in d’un cantun/ come n’a gajna 464 Intervento di V.L. al ciclo di incontri Città amica, città nemica, ass.culturale Ambrosianeum, Milano 28 marzo 2012 465 Ibidem 239 malada[…] col crapin sotta l’ala l’è minga giust/ ma che bèl caldin ch’el fa.466 La sezione infatti racconta della sofferenza di Vivian per l’assenza dell’amato. E’ felice di riceve da lui una lettera che però non apre in La lettèra. Intuendone il contenuto doloroso preferisce leggere il proprio nome sulla busta, pensando che il mittente è proprio lui e che l’ha scritta per lei. La situazione si ripete in Pèss fritt, con l’attesa di una sua telefonata, che però non arriva, e di nuovo la soluzione è immaginarsi tutto e parlare con l’innamorato assente, che anche in Stanott u sugnà è da Vivian raccontato come sognato o analogo a quelle storie che si leggono nei romazi, ma dove mai il protagonista è bello come il suo amur. A questi quattro componimenti nei quali la protagonista riesce a reagire al dolore causato dall’assenza dell’amore desiderato, ma come Teresino sparito, se ne contrappongono altri quattri, dove invece la sofferenza per l’ennesimo abbandono si fa più forte. Cerca di reagire esasperata svendendo le proprie lettere e chiedendo in camibio un po’ di affetto in Lètter lètter, mentre il dolore non si può più sopportare né nascondere nella poesia che dà il titolo alla sezione e in Stasera ‘l coeur dove scrive che il cuore grida e soffre così tanto che chi lo sente, non capendo, chiede da dove provenga un tale rumore. Chiude la sezione Come n’gatt, dove Vivian racconta di sé con l’analogia con la storia di un gatto abbandonato salvato dal suo nuovo padrone, che però ora non lo sopporta più, perché ‘l ghe s’è tacà pègg d’un cerott/ ‘l ghe va semper dré.467 Riprende il titolo ipotizzato per la raccolta nella nota a Péss fritt468 nel 1996, la seconda sezione della raccolta, Milàn brutta bèlla, che tra le sue quattro poesie conta questa su Milano e il brano che presta il nome alla raccolta, La gentiléssa. 466 V.L., Gajna malada , in La gentilèssa, cit., p.22; Trad.: “Non m’interessa più niente e allora/allora mi metto in un angolino/ come una gallina malata […] col crapino sotto l’ala non è giusto/ ma che bel caldino che fa.” 467 V.L., Come ‘n gatt, ivi, p.34; Trad.: “Gli si è attaccato peggio di un cerotto/ gli va sempre dietro.” 468 V.L., Pèss fritt, in Una quieta polvere, cit., p.56 240 L’autrice racconta della sua città adottiva, la città di ossimori469, narrata anche nella poesia Visin a san Lurenz con la signora che da giovane vicino alla chiesa di San Lorenzo vendeva le violette, e in L’Ospedaa, con l’immagine dei piccioni che si muovono in gruppo sotto il Duomo, nonché per la realistica ipotesi che l’ospedale in questione sia una delle strutture milanesi. Canta però in Milàn brutta bèlla: ne poedi pù vu via […] Milàn brutta bèlla lassem andà ‘l me amur ‘l m’ama no ‘l me amur ‘l m’ama no.470 Il tema della prima sezione viene così riproposto anche nella seconda parte della raccolta, sfumando però sullo sfondo cittadino, enfatizzato dalla lingua milanese delle poesie. In nota l’autrice rivela di avere altre poesie appartenenti a questa sezione poetica, che però sono ancora nella fase di riscrittura, tra le altre un lungo componimento intitolato Mangiagalli (la più popolare Maternità di Milano), dove descrivo realisticamente la nascita di mia figlia Miryam.471 Chiude la raccolta la sezione Papà ti te diset di no, anch’essa composta da quattro poesie, dei quali due componimenti sono dedicati ai due padri (adottivo e naturale) e uno all’affezionato Brigante, cane bastardino che per analogia si collega, come gli altri brani, all’abbandono e all’adozione di Vivan in questa terza parte raccontati. Composta circa nello stesso periodo di alcune delle poesie di Teresino, La gentilèssa pone in primo piano l’immagine paterna, lasciando in secondo piano l’ingombrate tematica delle due madri che invece occupava molto della prima raccolta dell’autrice. A questo proposito va però considerato il fatto che la raccolta in dialetto milanese uscì ventotto anni dopo 469 A.Beretta, Milano? E’ la città degli ossimori, in “Corriere della Sera”, 28 marzo 2012 V.L., Milàn brutta bèlla, in La gentilèssa, cit., p.40; Trad.: “Non ne posso più vado via/ […] Milano brutta bella/ lasciami andare/ il mio amore non mi ama/ il mio amore non mi ama.” 471 V.L., Note a La gentilèssa, cit., p.67 470 241 Teresino e più di trent’anni dopo la composizione dei testi raccolti ne La gentilèssa. La proposta di un’inedita immagine paterna può quindi essere collegata anche a una scelta editoriale, proponendo un argomento biografico meno trattato dalla Lamarque nelle precedenti raccolte, escludendo dalla pubblicazione le eventuali poesie dialettali sul più noto tema delle due madri. Torna infine, nell’ultima poesia della sezione, Ier sera me sunt indurmentada, l’idea della morte, che sempre conclude le raccolte della Lamarque, tema questo già introdotto nell’opera dialettale col penultimo brano dedicato al padre Dante, morto quando Vivan aveva quattro anni. 2.2Apparati testuali Introduce ai testi poetici di La gentilèssa , la Prefazione firmata da Maurizio Cucchi che, spiegando il perché dell’insolita scelta linguistica dell’autrice, ricorda la loro precedente collaborazione per le prime pubblicazioni della Lamarque negli anni ‘70 presso la casa editrice Guanda. Proprio a quegli anni risalgono queste poesie in dialetto, spiega Cucchi: l’uso del dialetto milanese, a ben vedere, non è cosa strana per questa poetessa. E’ come un ulteriore tentativo naturale di portarsi a una condizione primaria di innocenza, e attraverso una lingua che per lei non è materna ma sicuramente legata al primissimo sentire, alla parola sbocciata nella testa nell’infanzia. […] In questo, naturalmente, è un segno di coerenza rispetto alla sua intera opera anche successiva472 nota introducendo il mondo dell’infanzia e la prospettiva della bambina in cerca d’affetto e di conferme spesso proposta nella propria poesia dall’autrice. Conclude infine con un riferimento a un altro genere che riecheggia in alcuni dei brani della raccolta, la fiaba, ma sappiamo che anche di questo genere Vivian Lamarque è da tempo maestra.473 472 473 M.Cucchi, Prefazione, in V.L., La gentilèssa, cit., p.7 M.C., Prefazione, ivi, p.9 242 Alla tradizionale dedica dei proprio libri a persone care, questa volta l’autrice sostituisce una brevissima giustificazione rivolta ai familiari. Scusandosi per il proprio atteggiamento di allora nei loro confronti, spiega che gli anni in cui scrisse le poesie in dialetto de La gentilèssa per lei furono anni difficile e dolorosi, a quali infatti seguì il ventennale percorso analitico junghiano: Ho scritto queste poesie in anni oscuri. Chiedo scusa a tutti i familiari che allora feci soffrire. Subito dopo una Nota firmata dall’autrice spiega il lavoro linguistico svolto con Giorgio Prestinoni per la revisione e la trascrizione dei testi dialettali. Come supporti linguistici dichiara di aver utilizzato il dizionario Cletto Arrighi e, su suggerimento dell’editore, il vocabolari milanese-italiano di Francesco Cherubini del 1814 per la grafia di alcuni vocaboli. Aggiunge poi che per alcuni termini si è preferito non ricorrere alla grafia corretta, ritenuta, oggi, di difficile lettura mentre in qualche caso, avverte, mi sono concessa qualche parola che esiste solo per me. Conclude la nota con un invito ai lettori a farle avere eventuali appunti e correzioni al dialetto milanese proposto in La gentilèssa. Alle poesie dell’autrice, l’edizione Stampa fa seguire la trascrizione dell’Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque. La scrittrice e giornalista, richiamandosi alla tradizione poetica milanese, chiede alla poetessa di provare a spiegare in che modo ritenga di essersi inserita in tale produzione dialettale, alla cui domanda la Lamarque risponde: come mio solito, illegittimamente: vedi mia biografia e vedi “Poesia illegittima”. Non sono milanese, ma Milano è la mia città d’adozione. Seguono scambi di battute sull’attuale stato della poesia nel dialetto del capoluogo lombardo e quindi sulla città stessa, occasione per la poetessa di raccontare dei quartieri da lei più amati: via Castellino da Castelli, dove prima lei poi la nipotina Micòl frequentarono la Scuola Elementare Rinnovata Pizzigoni, via Manin, dove a Palazzo Dugnani c’era il liceo linguistico in cui 243 l’autrice si diplomò, che proprio di fronte aveva la sede della Guanda, prima casa editrice con la quale lavorò e di cui ricorda con affetto i collaboratori e scrittori negli anni ’70 con lei al lavoro in quella via, primi fra tutti Giovanni Raboni e Maurizio Cucchi. Infine tra i luoghi più amati inserisce via Comeria, dove al n.8 c’era lo studio del Dottor B.M. e poco più avanti il liceo Beccaria a cui era iscritta la figlia Miryam. Si conclude l’intervista con i desideri della Lamarque, che alla domanda su cosa vorrebbe della Milano di un tempo e cosa non vorrebbe di quella di oggi, ricordando la nebbiosa città amata da Stendhal con le sue innamorate, risponde: ecco, se posso scherzare un po’, anch’io vorrei nebbie, navigli scoperti e innamorati! Poi vorrei portinaie sedute sulle seggile fuori dai portoni che se qualche estraneo osava entrare lo fulminavano con un’occhiataccia e un “dove ‘l va lu?”. Poi vorrei cortili pieni di bambini che giocano […] vorrei eliminare i graffiti […] e vorrei ricoperte da rampicanti tutte le case brutte della periferia […]. Vorrei soprattutto che la neve di un tempo tornasse a posarsi su tutto e si tutti. E se dovessi vivere altrove, quale sarebbe l’alternativa? chiede la Tolusso a cui la poetessa risponde: Essendo nata sulle Dolomiti, vorrei vivere in una città di mare, subito puntualizzando, una città grande però, una rumorosa città-città. […] Se riscoperchiassero i Navigli potrei anche restarmene qui, andarci in barchetta con la mia mamma di quasi cento anni, con Miryam Giorgio Davide e Micòl,, e che avessimo un bell’innamorato per uno “ e ciascuno di lor fosse contento/ sì com’io credo che saremmo noi…”. Segue l’intervista, un breve apparato di note nelle quali si danno maggiori informazioni su cinque delle poesie della raccolta. Di Pèss fritt vengono indicate le due precedenti pubblicazioni, nel 1996 e nel 2002, con l’inserimento di Una quieta polvere nell’Oscar Mondadori Poesie 1972-2002. Riguardo alla poesia Lètter lètter l’autrice spiega l’eco leopardiana che tale titolo le ha ispirato, almanacchi almanacchi, mentre alcune notizie biografiche sui due padri sono date per Famm fa un gir in bicicletta. L’elaborazione di altre poesie da inserire nella seconda sezione della raccolta è brevemente annunciata nella nota a Milàn brutta bèlla, mentre per Gajna Malata l’autrice ricorda: 244 questa poesia stava per essere premiata a un concorso, ma poi fu bocciata… perché, asina, avevo scritto “galina” invece di “gajna”. Chiudono la raccolta i Ringraziamenti dell’autrice alla pazienza del poeta Giorgio Prestinoni che l’ha aiutata nella revisione del suo dialetto, come anticipa nella nota a inizio volume, e anche alla pazienza del suo cane Lupo che alle letture di poesia ascolta immobile e, quando lo ritiene opportuno, applaude con la coda. Copertina la gentilessa 245 3. Contenuti La gentilèssa pur essendo stata pubblicata nel 2009, raccoglie poesie dichiaratamente datate 1973-1975. Alla stessa altezza cronologica risalgono i testi di Teresino, prima opera poetica pubblicata dalla Lamarque, che riunisce testi scritti tra il 1972 e il 1980. E’ quindi evidente la sovrapposizione cronologica delle due raccolte, entrambe composte da brani realizzati negli anni vissuti al QT8, i primi anni della piccola figlia Miryam e gli anni della separazione dal marito Paolo. Essendo la poesia di Vivian Lamarque una poesia autobiografica, a simile periodo compositivo non può che corrispondere simile materia poetica. Leggendo i testi dialettali della raccolta del 2009, si ritrovano infatti molti dei temi affrontati in Teresino, allora trattati più ampiamente, mentre ora a volte anche solo accennati, ma pur sempre rintracciabili dall’occhio di un lettore che conosca la poesia dell’autrice. Scrive Maurizio Cucchi nell’introduzione al volume di poesie dialettali: è un segno di coerenza rispetto alla sua intera opera anche successiva, e chi conosce la poesia di Vivian non potrà che riconoscerne il tratto, anche se con altri suoni rispetto ai suoi più noti; e riconoscerla, anche, con un sorriso di convinta adesione partecipe.474 Apriva la raccolta del 1981 la sezione Conoscendo la madre, dove ampio spazio era dedicato al primo traumatico evento della vita di Vivian: l’adozione. Lo stesso argomento è affrontato in Brigante, testo tutto giocato sull’analogia tra il cane e ‘n quaivun, qualcuno che sembra essere proprio la sua padrona: Brigante a vardàl ben ‘l ghe somèia a ‘n quaivun. Tant per cumincià subit con i afinità l’è anca lù ‘n bastardin capità al mund inscì dumà perché l’è bèl fa l’amur in d’un prà.475 474 M.Cucchi, Prefazione, in V.L., La gentilèssa, cit., p.8 V.L., Brigante, in La gentilèssa, ivi, p.50; Trad.: “Brigante a guardarlo ben/ assomiglia a qualcuno./ Tanto per cominciare subito con le affinità/ è anche lui un bastardino/ venuto al mondo così/ solo perché è bello far l’amore in un prato.” 475 246 Sempre di un parto parla Vivian nella poesia che direttamente allude alle sue origini trentine e all’adozione, Famm fa un gir in bicicletta, dedicata al padre naturale E.M., che in nota racconta di aver visto una sola volta a 26 anni: famm vedè […] ‘l prà te preghi/ indové t’he amà la mama/ che poeu sun rivada mi/ e te set sparì.476 Così l’abbandono vissuto da Vivian, con la precedente sparizione del padre naturale, è accaduto anche a Brigante, già presentato come un bastardino, che una volta nato gh’è pù la mama/ gh’è pù ‘l papà.477 Conclude però la poesia la sintesi e la saggia concretezza tutta dialettale: fa nient/ adèss l’è grand/ ‘l gh’à ‘l so de fa.478 Un altro abbandono è vissuto da Vivian a quattro anni, quando morì il suo secondo padre (in ordine di numero, ma primo), quello che, seppur per poco tempo, però con lei rimase e rivestì il suo ruolo genitoriale. In Tiravet ‘l pes è rappresentato mentre pratica sport osservato dalla piccola figlia, introducendo poi il tema della morte, altro argomento da sempre frequentato dall’autrice, in Teresino ma soprattutto nelle raccolte successive, tra tutte Una quieta polvere e Poesie per un gatto. Il gioco analogico della poesia per il cane Brigante è qui riproposto, ma con l’immagine del peso lanciato, che per colpa di un soffio di vento non è lui ad essere spinto lontano, bensì il padre ad essere portato via, in alto, come quel peso che il papà poco prima lanciava: te tiravet ‘l pes in d’un prà […] quand ‘l pes ‘l rivava giò in tèrra mi curevi cuntenta a ciapàl poeu tutt a ‘n tratt l’a boffà ‘l vent/ e ‘l pes… … ‘l pes ‘l t’a purtà via ‘l t’a purtà in alt in alt luntan mi lì a spetà cont ‘l nas par aria mi lì a ‘spetà ‘speti ancamò 476 V.L., Famm fa un gir in bicicletta, ivi, p.48; Trad.: “Fammi vedere […] il prato ti prego/ dove hai amato la mamma/ che poi sono arrivata io/ e sei sparito tu.” 477 V.L, Brigante, ivi; Trad.: “Non c’è più la mamma/ non c’è più il papà.” 478 Ibidem; Trad.: “Fa niente/ adesso è grande/ ha il suo da fare.” 247 sun semper là.479 Penultimo componimento della raccolta, la storia del papà Dante introduce il testo che chiude la raccolta, Ier sera me sunt indurmentada. Proponendo il racconto di un mancato risveglio la mattina, l’autrice gioca sulla somiglianza tra dormire e morire. Ier sera me sunt indurmentada/ e stamatina me sun svegliada pù480: considerando che chi dorme si può svegliare, ma chi è morto no, proprio della sua immaginata fine parla Vivian, come già negli ultimi componimenti di L’amore mio è buonissimo, di Il tuo posto vuoto e di Il primo mio amore erano due. Come nelle tre sezioni poetiche di Teresino, anche qui viene chiamata in causa un’altra persona, la quale non avendo voluto ascoltare da subito quel che Vivian aveva da dirle, ormai non potra più sapere cosa fosse: Vulevi tant cuntat ‘na roba l’era inscì mai bèlla inscì bèlla e adess chissà ‘sse l’è.481 L’interlocutore assente, l’altro a cui Vivian cercava in Teresino di far capire quanto pesante fosse la sua mancanza, arrivando ad immaginarsi la reazione in caso della propria morte, è l’amore mio buonissimo, o, in La gentilèssa, l’amur a cui l’innamorata dice: nessun amur l’è pussè bèl de ti.482 Cambia la lingua adottata dalla poesia ma non cambia la storia d’amore non corrisposto e insistentemente cercato dall’innamorata che Come ‘n gatt, una volta che ha finalmente trovato qualcuno che gli ha mostrato un po’ d’affetto, non fa altro che stargli vicinissimo, ‘l ghe s’è tacà pègg d’un cerott 479 V.L., Te tiravet ‘l pes, ivi, p.54; Trad.: “Tiravi il peso in un prato/ […] quando il peso toccava terra/ correvo felice a prenderlo/ poi tutt’a un tratto/ soffiò il vento/ e il peso…/ … il peso ti portò via/ ti portò via/ ti portò alto/ in alto lontano/ io lì ad aspettare/ con il naso per aria/ io lì ad aspettare/ aspetto ancora/ sono sempre là.” 480 V.L., Ier sera me sunt indurmentada, ivi, p.56; Trad.: “Ieri sera mi sono addormentata/ e stamattina non mi sono svegliata più.” 481 Ibidem; Trad.: “Volevo tanto raccontarti una cosa/ era così bella/ così bella/ e adesso chissà cos’è.” 482 V.L., ‘Sto liber, ivi, p.30; Trad: “Nessuno amore è più bello di te.” 248 ‘l ghe va semper dré e miau de chì e miau de lì ‘l taca la matina e’l smett nanca de nott lù ne po propi pù e ‘l se dumanda ma perché propri a mi stu gatt?483 La ricerca di affetto e l’amore non corrisposto si sintetizzano qui, ma sono presenti in tutti i brani della prima sezione della raccolta. L’immagine dei gatti ritorna in un altro componimento, Stasera ‘l coeur, nel quale non si racconta più dell’esasperazione del padrone che ha sempre l’affezionato e riconoscente gatto in mezzo ai piedi, bensì del dolore di quel gatto, o meglio di Vivan per l’assenza dell’amato. In questo caso, la metafora viene introdotta nella seconda parte del brano, per giustificare le grida di dolore del proprio cuore, che son così forti che la gente si chiede ma ‘sse l’è tutt quest vusà?484 Così l’innamorata ferita si inventa la scusa dei gatti nei quali però riflette tutte le ragioni del suo male d’amore: ‘l sarà ‘n quai gatt inamurà/ che la soa gatta chissà indue l’è/ […] a fa l’amur cont un alter gatt?485 Stanca di scrivere letterine e bigliettini all’amore mio buonissimo, la dialettale Vivian reagisce in Lettere lettere, buttando via tutto, o meglio svendendole, vendi i me lètter gratis/ chi voer cumprai?486 Torna però alla fine la solita ricerca d’attenzioni e d’affetto, che fa apparire la vendita come la conseguenza di un litigio, nel quale le sia stato rinfacciato di essere com ‘n gatt, troppo insistente e invadente: gh’è dumà de dervì i bust/ de tirà foeura i foeuj e lègg/ (ma se po anca saltà ‘n tòcch)/ insoma ‘na roba svelta/ se lègg se strascia fine/ basta pocch a cuntentàm.487 In Gajna malada la sofferenza è invece vissuta in un modo più riservato e personale, e il motivo di tanto dolore è sempre ricollegabile alla sofferenza d’amore, questa volta per una cosa scrittale da lui, 483 V.L., Come ‘n gatt, ivi, p.34; Trad.: “Gli si è attaccato peggio di un cerotto/ gli va sempre dietro/ e miao di qui e miao di lì/ lui non ne può proprio più e si domanda/ ma perché proprio a me questo gatto?” 484 V.L., Stasera ‘l coeur, ivi, p.28; Trad.: “Ma cos’è tutto questo gridare?” 485 Ibidem; Trad.: “Sarà qualche gatto innamorato/ che la sua gatta chissà dov’è/ […] a far l’amore con un altro gatto?” 486 V.L., Lètter lètter, ivi, p.32; Trad.: “Vendo le mie lettere gratis/ chi vuole comprare?” 487 Ibidem; Trad.: “C’è solo da aprire le buste/ tirar fuori i fogli leggere/ (ma si può anche saltarne un pezzo)/ insomma una cosa facile/ si legge si straccia fine/ basta poco a farmi contenta.” 249 forse proprio La lèttera che apre la sezione e che Vivan preferisce non leggere, ma tenere sigillata gustando la bellezza del proprio nome come destinatario. A quanto pare però alla fine la busta è stata aperta e la lettera letta: Da quel dì che te m’è scritt insc m’è capità ‘n quaicoss me interèssa pù nient l’è minga giust se fa no inscì ma me interèressa pù nient.488 Piange Vivian l’amore non corrisposto nella seconda sezione della raccolta, nella poesia Milàn brutta bèlla, dove, rivolgendosi alla città, le chiede di lasciarla andar via, di non trattenerla, perché ‘l me amur ‘l m’ama no/ ‘l me amur ‘l m’ama no/ Milàn gh’u ‘l magun ‘me ‘na donna.489 E’ sempre una lettera a introdurre questa volta il tema del sogno e dell’immaginazione in La gentilèssa, argomento che tra le altre poesie della raccolta del 1981 aveva guidato i giochi dell’onirico poemetto Teresino. In La lèttera, è proprio la fantasia l’escamotage per superare il doloroso contenuto del testo ricevuto da Vivian, che così decide semplicemente di non aprire la lettera e invece godere del proprio nome scritto sulla busta dalla mano dell’amato apposta per lei. Si permette così di immaginare quello che vuole, magari di aver ricevuto una lettera d’amore, o con almeno qualche parola affettuosa: quel che gh’è denter scritt mi l’ su giamò l’induvini e alura, alura l’è mei dervìla no savè nient, lassà stà e poeu l’è inscì bèlla ‘sta busta duprada da ti solament per mi […] che bèlla ‘sta busta bianca 488 V.L., Gajna malada, ivi, p.22; Trad.: “Dal giorno/ che m’hai scritto così/ mi è successo qualcosa/ non m’interessa più niente/ non è giusto non si fa così/ ma non m’interessa più niente.” 489 V.L., Milàn brutta bèlla, ivi, p.40; Trad.: “Il mio amore non mi ama/ il mio amore non mi ama/ Milano ho il magone come una donna.” 250 scritta da ti propri propri a mi.490 La stessa situazione e una simile soluzione si ritrova in Pèss fritt, dove inutilemente Vivian aspetta da tutto il giorno la telefonata dell’amato, che però non chiama, e così me mèti a fa mi fort fort drin drin/ pussé fort driiin come ‘na disperada/ e poeu disi pronto pronto e varda/ te set propi ti che te me diset come la va?491 Esplicitamente di sogno si parla in Stanott u sugnà, dove è sempre lei a sognare, questa volta in un sogno notturno, che l’innamorato le insegni a scrivere e leggere, abilità per lei importantissime e amate, in quanto scrittrice: Stanott u sugnà che te me ‘mparavet a lègg e a scriv e mi bona bona te dumandavi […] mi scultavi inamurada e, oh che bèl sugnà che l’era che bèl sugnà.492 Di un altro tipo è invece il sogno di Famm fa un gir in bicicletta, dove Vivan si immagina col padre naturale a sei anni, intavolando un ipotetico dialogo nel quale lei prega lui di portala a fare un giro in bici ma nessuna delle premesse è a favore della realizzazione del desiderio della figlia. Con questa poesia, l’autrice ripropone il tema del guardare, anch’esso già affrontato in Teresino, in cui spesso Vivan si descriveva semplicemente intenta a guardare l’amato, o la figlia che giocava o la natura. In Stanott u sugnà tale l’argomento viene proposto nella dimensione amorosa: Fasevi finta de savè nient per restà lì inscì a vardat 490 V.L., La lèttera, ivi, p.18; Trad: “Quel che c’è dentro scritto lo so già/ l’indovino e allora, allora è meglio non aprirla/ non sapere niente, lasciare stare/ e poi è così bella questa busta/ adoperata da te solo per me/ […] che bella questa busta bianca/ scritta da te proprio proprio a me.” 491 V.L., Pèss fritt, ivi, p.20; Trad.: “Mi metto a fare io forte forte drindrin/ più forte driiin driiin come una disperata/ e poi dico pronto pronto e guarda/ sei proprio tu che mi dici come va?” 492 V.L., Stanott u sugnà, ivi, pp.24,26; Trad.: “Stanotte ho sognato/ che m’insegnavi a leggere e scrivere/ e io buona buona ti domandavo/ […] io ascoltavo innamorata e, oh che bel sognare che era/ che bel sognare.” 251 […] E mi scultavi inamurada la tua bèlla vùs pazienta e vardavi incantada i to bei man espressiv che disegnaven ne l’aria […].493 Guarda con affetto e ammirazione il papà la bambina Vivian, di cui si racconta in Te tiravet ‘l pes: e mi stavi lì silenziusa a vardàt/ te seret tutt cuncentrà/ […] quand ‘l pes ‘rivava giò in tèrra/ mi curevi cuntenta a ciapàl.494 All’altro papà invece Vivan chiede di mostrarle i suoi luoghi natii, quelli nei quali avrebbe vissuto se non fosse stata adottata: famm vedè finalment/ ‘l paes de muntagna indove sun nassuda.495 Persino all’ospedale se ‘l mal fa minga tropp mal496 Vivian è contenta, perché c’è un continuo movimento che lei può ammirare in tutta tranquillità: che bèl vardà ‘l via-vai de la gent che passa i ‘nfermier, i dutur dei banc e vardàss i man giustàss ‘l lenzoeu parlutà cui visìn de lètt…[…] e a durmentàss l’è già matina spalanchen i finester497, proponendo così un’altra immagine cara alla poesia di Teresino, la finestra. E’ proposto in L’ospedaa un altro spunto tematico già della raccolta del 1981 e in generale caro all’autrice: l’infanzia. In questo componimento tale dimensione entra in gioco per l’affetto e le attenzioni che si ricevono da bambini, ma che da adulti sono riservate solo a certe situazioni particolari, come quando si sta male, per esempio. Vivian ama tutte le attenzioni dell’ospedale per i pazienti ma soprattutto le visite dei familiari: 493 Ibidem; Trad.: “Facevo finta di non saper niente/ per restare lì a guardarti/[…] E io ascoltavo innamorata la tua bella voce paziente/ e guardavo incantata le tue belle mani espressive/ che disegnavano nell’aria […].” 494 V.L., Te tiravet ‘l pes, ivi, p.54; Trad.: “E io stavo in silenzio a guardarti/ eri tutto concentrato/ […] quando il peso toccava terra/ correvo felice a prenderlo.” 495 V.L., Famm fa un gir in bicicletta, ivi, p.48; Trad.: “Fammi vedere finalmente/ il paese di montagna dove sono nata.” 496 V.L., L’ospedaa, ivi, p.38; Trad.: “Se il male non fa troppo male.” 497 Ibidem; Trad.: “Che bello guardare il via-vai della gente che passa/ gli infermieri/ i dottori belli bianchi/ e guardarsi le mani/ aggiustarsi il lenzuolo/ parlottare coi vicini di letto… […] e se ti addormenti è già mattina/ spalancano le finestre.” 252 ‘l cumudin bianc in part cun sura ‘l zuccher i biscott la bottiglia d’acqua mineral […] Cinq’ur, rìven i visit la mama ‘l marì i amis me disen di bei robb gentil i nuvità de la cà ‘l temp che ‘l fa de foeura che bei facc surident me suriden financa i parent di alter lètt.498 Lo stesso piacere per le attenzioni ricevute che ricorda un po’ la sensazione di amore provata da piccoli è descritta nella poesie cha dà il titolo alla raccolta: come me pias a mi la gentilèssa come me pias diventi matta duu parulitt al moment giust ‘n attenzion minimissima de nient ‘l foo parè no ma diventi matta me ride nel coeur i oeucc e financa i occiaj come l’è bèlla la gentilèssa come l’è gentil la me fa tant ben ma tant denter de mi che diventi matta.499 La gentilezza e la protezione materna è invece ricercata in Gajna malada, quando il regredire allo stato infantile sembra l’unica possibile pensiero che riesca a calmare la sofferenza: […] col crapin sotta l’ala che bèl scur/ che bèl caldin ch’el fa/ par de vèss un poresin denter la mama.500 Nelle due poesie dedicate ai due padri, Vivian si ritrae invece proprio bambina, di circa quattro anni in Te tiravet ‘l pes, mentre si immagina a sei anni nel dialogo insistente col padre E.M. nella realtà incontrato solo una volta, ormai adulta con vent’anni in più che nella finzione poetica: 498 Ibidem; Trad.: “Il comodino bianco in parte/ con su lo zucchero i biscotti/ la bottiglia dell’acqua minerale […] Le cinque! arrivano le viste la mamma il marito gli amici/ mi dicono delle belle cose gentili/ le novità della casa/ il tempo che fa fuori/ che belle facce sorridenti/ mi sorridono persino i parenti degli altri letti.” 499 V.L, La gentilèssa, ivi, p.44; Trad.: “Come mi piace a me la gentilezza/ come mi piace divento matta/ due paroline al momento giusto/ un’attenzione minimissima da niente/ non lo faccioi vedere ma divento matta/ mi ridono il cuore gli occhi/ e persino gli occhiali/ come è bella la gentilezza/ come è gentile/ mi fa così tanto bene/ dentro di me/ che divento matta.” 500 V.L., Gajna malada, ivi, p.22; Trad.: “[…] col crapino sotto l’ala che bel buio/ che bel caldino che fa/ sembra di essere un pulcino dentro la sua mamma.” 253 famm fa un gir in bicicletta dài papà. Sto ferma ferma moevi no i gamb mèti no i pè in di roeud parli no famm fa un gir in bicicletta gh’oo ses an pesi minga tant, papà.501 I due papà richiamano l’immagine delle due mamme che aveva occupato molti dei componimenti di Teresino introducendo così anche in La gentilèssa il tema del doppio. Il rapporto coi padri però è meno problematico, sebbene non meno doloroso: il padre E. non è praticamente mai stato conosciuto, e infatti in nota l’autrice spiega che per lei l’unico padre è stato Dante, il secondo padre in ordine di numerazione, ma primo tra i due nella scala affettiva e come esperienza di relazionalità padre-figlia, non avendo nessun ricordo del padre naturale. Nella raccolta in dialetto milanese il doppio si sviluppa maggiormente nella dimensione dei contrari e degli opposti, come la vendita delle lettere gratis in Lètter lètter, il male che non fa troppo male di L’ospedaa, la descrizione di Brigante tutta basata sulle somiglianze con qualcuno, per poi concludere che però quand el me se durmenta beatt in brasc/ alura ‘l ghe sumèia pù a nissun502, o il peso lanciato da papà Dante, che prima ‘l rivava giò in tèrra,503 ma poi ‘l pes t’a purtà in alt/ in alt luntan504 ossia compiendo un movimento esattamente opposto a quello solito. La poesia che più di tutti propone tale tematica è però Milàn brutta bèlla, che già nel titolo contiene un ossimoro, che si ripete più volte nel testo, accanto al non amore del proprio amore che quindi fa soffrire Vivian e le fa dire più volte che se ne vuole andare, mentre però continua a restare: 501 V.L., Famm fa un gir in bicicletta, ivi, p.48; Trad.: “Fammi fare un giro in bicicletta/ dài papà./ Sto ferma ferma/ non muovo le gambe/ non metto i piedi nelle ruote/ non parlo/ fammi fare un giro in bicicletta/ ho sei anni/ non peso mica tanto dai papà.” 502 V.L., Brigante, ivi, p.52; Trad.: “Quando mi si addormenta beato in braccio/ allora non assomiglia più a nessuno.” 503 V.L., Te tiravet ‘l pes, ivi, p.54; Trad.: “Quando il peso toccava terra.” 504 Ibidem; Trad.: “Il peso ti portò via/ ti portò in alto.“ 254 Milàn brutta bèlla ne poeudi pù vu via te set giamò scuntrusa periferia Milàn brutta bèlla te lassi Milàn lassem andà Milan brutta bèlla lassem andà ‘l me amur ‘l m’ama no ‘l me amur ‘l m’ama no Milàn gh’u ‘l magun ‘me ‘na donna lassem andà, ciama no, tirem no pe ‘l brasc lassem andà Milàn bèlla/ lassem andà.505 4. Narratore e interlocutori Autobiografica è anche la raccolta La gentilèssa: la propria esperienza di vita è raccontata dall’autrice in prima persona, enfatizzando ulterioremente una modalità narrativa già introdotta nelle altre raccolte. A un tu sono rivolti i suoi discorsi in versi, ma l’interlocutore è muto e mai presente quando si tratta dell’amato, che già era stato rappresentato efficacemente in questo modo nella sezione Il tuo posto vuoto di Teresino. Sono invece in scena i due padri, ma il brano poetico propone solo la parte di dialogo pronunciata da Vivian, così come monodirezionale sembra essere il discorso rivolto alla città Milano. In Stanott u sugnà l’autrice scrive che l’amato le spiegava come scrivere le letter e sorrideva, e gesticolava mentre parlava, riportando anche un suo discorso nel quale lui pronuncia addirittura il nome di lei: te me disevet asculta Vivian…506 e i puntini di sospensione danno il via a un elenco di lettere con annesse immagini raccontate dall’amato sognato per spiegare come scrivere. Un altro discorso indiretto è proposto in Visin a San Lurenz, dove questa volta 505 V.L., Milàn brutta bella, ivi, p.40; Trad.: “Milano brutta bella/ non ne posso più vado via/ sei già scontrosa periferia/ Milano brutta bella ti lascio/ Milano lasciami andare/ Milano brutta bella/ lasciami andare/ il mio amore non mi ama/ il mio amore non mi ama/ Milano ho il magone come una donna/ lasciami andare non chiamare non tirarmi per il braccio/ lasciami andare Milano bella/ lasciami andare.” 506 V.L., Stanott u sugnà, ivi, p.24; Trad.: “Mi dicevi/ ascolta Vivian…” 255 è riportato un discorso diretto, segnalato dalla punteggiatura nella prima parte del discorso della signora: “La sa” la diseva “a vint’an vendevi i fiur” e semper mi fermavi e ghe dumandavi che fiur? e lè la diseva i viulètt visin a San Lurenz.507 Le parole della gente allo strano rumore che proviene dal cuore di Vivian in Stasera ‘l coeur sono proposte anch’esse allo stesso modo, ‘l vusava tant che la gent se dumanda/ ma ‘sse l’è tutt quest vusà?508, come parole dette tra sé e sé sono quelle pronunciate dall’uomo cui ‘n gatt s’era tanto affezionato: lù ne po propri pù e ‘l se dumanda/ ma perché propri a mi stu gatt?509 5. Metro A differenza delle brevi poesie di Teresino e di molti dei componimenti delle altre raccolte della poetessa, in La gentilèssa il metro scelto è più corposo, sebbene mai tocchi in numero di versi dei tre poemetti dell’autrice. I testi più brevi si trovano nella seconda sezione della raccolta, escludendo la prima poesia, ma di soli otto versi è anche Ier sera me sunt indurmentada. Al contrario i componimenti più lunghi sono Stanott u sugnà e Brigante coi loro trentaquattro versi, a cui vanno aggiunti i due dell’epigrafe dedicata dall’autrice al proprio cane nella seconda delle due poesie, mentre quasi altrettanto estesa è L’ospedaa. Nessuna di queste poesie è però organizzata in strofe, divisione che viene invece applicata in testi di dimensioni più ridotte, come in Milàn brutta bèlla composta nella prima parte da cinque versi e nella seconda da otto, o in Te tiravet ‘l pes relativamente di undici e otto versi. 507 V.L., Visin a San Lurenz, ivi, p. 42; Trad.: “Lo sa diceva/ a vent’anni vendevo fiori/ e sempre mi fermavo/ e le domandavo che fiori?/ e lei diceva violette/ vicino a San Lorenzo.” 508 V.L., Stasera ‘l coeur, ivi, p.28; Trad.: “Grida così tanto che la gente si domanda/ ma cos’è tutto questo gridare?” 509 V.L., Come ‘n gatt, ivi, p.34; Trad.: “Lui non ne può proprio più e si domanda/ ma perché proprio a me questo gatto?” 256 Delle sedici poesie di cui si compone la raccolta, solo cinque sono divise in strofe, e in questi casi sempre il testo si articola in due parti. Il verso della poesia dialettale della Lamarque, rispetto al resto della sua poesia, presenta una minor varietà, rispettando una disposizione metrica più accostabile alla lirica, ed evitando quindi di proporre i lunghi versi de L’amore mio è buonissimo o de Il signore d’oro e de Il signore degli spaventati, sebbene siano inseriti versi anche di quasi una ventina di sillabe in brani come Pèss fritt o L’ospedaa, così come di brevissimi se ne leggono in altri, si pensi alle due sillabe di Te tiravet ‘l pes al v.11, e ‘l pes…, o di Come ‘n gatt al v.4, de nott. Va però considerata la grande differenza quantitativa che intercorre tra la produzione dialettale dell’autrice e quella in lingua italiana, che non permette quindi di fare veri e propri paragoni per quanto riguarda la rispettiva varietas metrica. 6. Fonti -Milano e il dialetto milanese, una tradizione poetica che da Giovanni Antonio Biffi arriva a Franco Loi. Come ti inserisci in questo florilegio? -Mi sono inserita, come mio solito, illegittimamente […]. Non sono milanese, ma Milano è la mia città d’adozione (in senso letterale, i miei genitori adottivi abitavano lì). La sua lingua era nell’aria, l’ho respirata soprattutto negli Anni Cinquanta, allora la parlavano in molti nelle strade, nei negozi, nei cortili, mi è entrata dentro quietamente, è stata lì ferma, buona buona, poi tra il 1972 e il 1975 […] si è mossa e, senza averle minimamente “programmate”, una quarantina di poesie in dialetto si sono infilate tra le altre centinaia […]. Negli anni successivi non si sono fatte più vive, non ne ho scritte più.510 Non si ricollega quindi alla tradizione dialettale della poesia di Milano, anzi, espressamente la Lamarque dichiara di avere utilizzato tale lingua senza una scelta stilistica consapevole. Come a dire che non nascono, da parte di un’autrice che sempre ci ha saputo incantare e coinvolgere con la limpidezza della sua lingua, dall’esigenza di rinnovarsi manipolando con bravura un’altra lingua, un dialetto ormai usato da pochissimi (o forse dal solo Franco Loi), in poesia. 510 M.B.Tolusso, Intervista di Mary Barbara Tolusso a Vivian Lamarque, in V.Lamarque, La gentilèssa, cit., p.61 257 Sono dunque di lingua italiana le poesie che più hanno influenzato la scrittura dialettale della Lamarque, e sono Rodari, Zanzotto e Pascoli gli autori che ritornano maggiormente in questa produzione parallela e tematicamente affine alla raccolta Teresino. E’ il fanciullino pascoliano che permette all’autrice di farsi cambiare la giornata semplicemente da una gentilezza ricevuta, Come me pias a mi la gentilèssa come me pias diventi matta duu parulitt al moment giust ‘n attenzion minimissima de nient […]511 o di essere felice solo nel leggere il proprio nome sulla busta di una lettera ricevuta: 511 V.L., La Gentilèssa, ivi, p.44; Trad.: “Come mi piace a me la gentilezza/ come mi piace divento matta/ due paroline al momento giusto/ un’attenzione minimissima da niente[…].” 258 con la soa busta bianca e ‘l bullin culurà con denter ben piegà el foeuj in alt Milan, la data e sott la parola “cara” cara e ‘l me nom visìn […].512 Ritornano i modi fiabeschi di Rodari ad esempio in Stanott u sugnà, nell’elenco delle lettere dell’alfabeto, come in una delle filastrocche didattiche delle scuole elementari: A come i al di rundin che vulen su nel ciel B come i banc de la scola cont i scolaritt C come i bei cà cont ‘l tètt ross […]513 Andrea Zanzotto è invece rintracciabile per la sua ricerca sul linguaggio, nella quale giunge anch’esso all’uso del dialetto, recuperando anche i modi del linguaggio infantile con il petèl, composto da balbettii ed onomatopee. Così anche la Lamarque per esempio in Stanott u sugnà mima il suono delle zanzare, ne l’aria ‘l zzz zzz di zanzar…, come in L’Ospedaa riproduce il tintinnio del termometri portati ai pazienti dagli infermieri, din-din. Un discorso simile si potrebbe fare anche per l’utilizzo del dialetto milanese, scelta che però l’autrice stessa rivela non programmatica, ma spontanea, quindo non collegata a una ricerca stilistica come quella di Zanzotto, ma comunque valorizzando l’uso giocoso e creativo del linguaggio che favorisce l’espressività: poeu snifa de chì/ snifa del là/ gh’è più la mama/ gh’è più ‘l papà.514 512 V.L., La lèttera, ivi, p.18: Trad.: “Con la sua bella busta bianca e il francobollo colorato/ con dentro ben piegato il foglio/ in alto Milano e la data/ sotto la parola “cara”/ cara e il mio nome vicino […].” 513 V.L., Stanott u sugnà, in ivi, p.24; Trad.: “A come le ali delle rondini che volano nel cielo/ B come i banchi della scuola con dentro i bambini; C come le case con il tetto rosso rosso […].” 514 V.L., Brigante, ivi, p.50; Trad: “Poi cerca di qui/ cerca di là/ non c’è più la mamma/ non c’è più il papà.” 259 CAPITOLO VIII LA LINGUA E LO STILE 260 1. Lo stile Parlando del genere di poesia da lei composta l’autrice spiega: Sì, appartengo anch’io alla vasta vastissima famiglia poetica dei poeti autobiografici, certo tutti in qualche modo lo sono, ma noi più apertamente dichiaratamente spudoratamente. Ho iniziato a scrivere poesie nell’infanzia (e anche in questo sono in numerosa compagnia), in un momento cruciale della mia esistenza, quando a dieci anni scoprii che la mamma con cui vivevo era una mamma adottiva, che da qualche parte ne esisteva un’altra, quella biologica che mi aveva messa al mondo. Tenni il segreto per me, ma che fatica, alla Vivian “muta” giunse in soccorso il sollievo della penna. E conclude: Chi prende la penna in mano perché non può farne a meno, nasce come poeta autobiografico.515 Nei suoi componimenti l’autrice infatti racconta della sua storia personale, soffermandosi innanzitutto sulle tappe fondamentali dell’adozione e dei primi anni vissuti a Milano, segnati dalla morte del “nuovo” padre. Della propria infanzia la Lamarque scrive nella prima sezione di Teresino e di Una quieta polvere, ma mentre nella prima raccolta il focus tematico è principalmente sull’adozione e sulla madre A nove mesi la frattura la sostituzione il cambio di madre Oggi ogni volto ogni affetto le sembrano copie cerca l’originale in ogni cassetto516, nel 1996 è tutta la famiglia ad essere cantata, compreso l’incontro da adulta coi fratelli e col padre naturale, Quei bambini in cortile potevo essere io quei fili per stendere 515 516 Mia intervista a Vivian Lamarque, maggio 2012 V.Lamarque, A nove mesi, in Teresino, Società di Poesia & Guanda, Milano 1981, p.9 261 guardati parlando di madri somiglianze secondo te secondo me però non tanto tranne le mani, così uguali […]517. E’ invece nella raccolta dialettale che vengono portate davvero in primo piano le due figure paterne, ai quali infatti sono dedicate due poesie: Famm fa un gir in bicicletta e Te tiravet ‘l pes. Di questa prima parte della vita dell’autrice è però la madre la figura chiave, presenza continua della sua poesia, persino nei componimenti della psicanalisi, dove infatti scrive amante neonata/ succhia l’uomomamma perdutamente/ ecco il latte buono[…]518. Alla figura matena segue quella del marito Paolo, l’amore mio della seconda sezione di Teresino, denominazione che si ritrova anche nel poemetto Questa quieta polvere: l’amore mio è buonissimo519; all’amore mio io voglio tanto bene/ tantissimo520; che l’amore mio essendo bellissimo/ l’abbiano rapito degli Dèi invidiosi?521 Nella prima sezione di Una quieta polvere il marito veste anche i panni del padre, quando papà fa Carosello/ come ridi/ come ridi./ Lasciati guardare figlia mia/ -alt-/ così.522, così come in Il tuo posto vuoto, quarta sezione di Tersino, nella quale però si racconta del momento della separazione, che viene inserita anche in Una quieta polvere, ma con meno insistenza e sofferenza (vista anche la distanza cronologica dall’evento): Il tuo posto vuoto a tavola parla racconta chiacchiera ride forte non sta mai fermo si alza ritorna mangia avanza sempre un boccone ritaglia forme di animali il tuo posto vuoto a tavola a destra di Miryam è di fronte a me523 517 V.L., Conoscendo l’altro fratello, in Una quieta polvere, Mondadori, Milano 1996, p.28 V.L., Amante neonata, in Poesie dando del Lei, Garzanti, Milano 1989, p.23 519 V.L., L’amore mio è buonissimo, in Teresino, cit., p.13 520 V.L., All’amore mio io voglio tanto bene, ivi, p.13 521 V.L., Questa quieta polvere, in Una quieta polvere, cit., p.74 522 V.L., Quando papà, ivi, p.40 523 V.L., Il tuo posto vuoto, in Teresino, cit., p.37 518 262 Non mi ero separata padre madre figlia la famiglia continuava unita oh il percorso bello della vita524. L’argomento diventa qui l’assenza dell’amato, assenza invadente in tutta la seconda parte della raccolta Teresino oltre che de La gentilèssa: Milàn brutta bèlla lassem andà ‘l me amur ‘l m’ama no ‘l me amur ‘l m’ama no525. Segue il lungo periodo di analisi durante il quale l’autrice vive un forte transfert per il suo terapista, il Dottor B.M. L’amore impossibile e lontano per lui è protagonista assoluto delle tre raccolte Il signore d’oro, Il signore degli spaventati e Poesie dando del Lei, a cui va aggiunta la sezione Poesie dando del Lei (altre): Era un signore bello e meraviglioso./ Vicino a lui non si poteva stare sempre sempre, bensì mai./ Lui, il Lontano, viveva dispettoso con la sua famiglia, in un altro luogo.526 ; Credevo non mi amasse perché è vietato forse invece non mi ama perché non è innamorato.527 Altra tematica fondamentale della poesia autobiografica dell’autrice, ma soprattutto della sua vita reale, è la figlia Miryam da piccola, dedicataria della sezione Ho una bella bambina nella raccolta Teresino, oltre che di molte delle poesie di Una quieta polvere, sempre nella prima sezione dedicata alla famiglia: Oggi torna dal mare la mia gallinella bianca 524 V.L., Sogno d’oro (II), in Una quieta polvere, cit., p.41 V.L. Milàn brutta bèlla, in La gentilèssa, Stampa, Varese 2009, p.40; Trad.: “Milano brutta bèlla/ lasciami andare/ il mio amore non mi ama/ il mio amore non mi ama.” 526 V.L., Il signore mai, in Il signore d’oro, Crocetti, Milano 1986, p. 9 527 V.L., Credevo non mi amasse, in Poesie dando del Lei, cit., p.54 525 263 con le sue due ali che non sanno volare e le piume leggere e spettinate e i due occhi attenti a dove meglio beccare.528; Mia figlia dice che le piacerebbe chiamarsi “calzina”. Di che colore? Saltando sul piede già cambia di stanza rispondendo rossa! e a righe! mamma!529 Negli Inediti pubblicati nel 2002, l’autrice dedica altri componimenti alla figlia, ricordandola ancora bambina, ma descrivendola anche da adulta, ormai mamma di Micòl e sposa di Giorgio: La mia bambina ha un lungo collo/ come i bianchi cigni./ E come loro chiede con eleganza/ cibi e sguardi. […]530; Per le nozze di Miryam e Giorgio/ (sei sei del novantasei); Alt, fermati tempo qui sull’oro dei capelli, sull’argento della nota, su Micòl che guarda la madre, tieni tempo lunga la nota sospesa nell’aria, tieni tonde per l’eternità le guance della figlia, e della figlia della figlia che soffia come la mamma e ride come il papà […]531. La figlia adulta e suo marito Giorgio ritornano anche in Poesie per un gatto, sebbene rimanendo in secondo piano: -La mia bambina Miryam…/ -Bambina? ma se è più alta di te./ -Non mi contraddire gatto/ l’età dei figli si sa non ha età.532; -Ignazio Miryam si è sposata!/ -Beata lei con chi?/ -Con Giorgio.[…]533; -E Giorgio?/ -E’ tanto che non mi lancia sul divano./ -Ti lamentavi tanto…534 528 V.L., Alla mia figlia gallinella, in Teresino, cit., p.45 V.L., Calzina, in Una quieta polvere, cit., p.37 530 V.L., Alla mia bambina, in Poesie 1972-2002, Mondadori, Milano 2002, p.240 531 V.L., A Miryam che suona il clarinetto, ivi, p.241 532 V.L., La mia bambina Miryam, in Poesie per un gatto, Mondadori, Milano 2007, p.52 533 V.L., Ignazio Miryam si è sposata!, ivi, p.67 534 V.L., E Giorgio?, ivi, p.79 529 264 Anche la narrazione della nascita della nipotina Micòl ripropone la tematica familiare. Di lei si legge solamente negli Inediti, essendo la bambina nata nel 2000: della bella estate nascevano neonati color/ di certi mattini leggermente/ rosati come la nuova Micòl535; Buongiorno vita, vita/ nuova nata. Il latte è pronto e un padre e quasi tutto il resto. Brindo con i gerani e con la clivia in fiore. Dose d’acqua doppia a tutti oggi!536. Spiega l’autrice, introducendo la trattazione della morte, che questo è il tema che più mi sta a cuore in questi ultimi anni (ma anche prima, fin dagli inizi), gli addii delle persone, gli addii alla vita.537 Accennata nella prima raccolta del 1981, e ne La Gentilèssa, la tematica attraversa la trilogia per il Dottor B.M., concentrandosi nelle ultime poesie delle tre opere, per diventare invece protagonista in Una quieta polvere (principale argomento del poemetto Questa quieta polvere e della sezione Come fiori), oltre che nella raccolta Poesie per un gatto dove narrando della morte di Zarina si affronta proprio il tema degli gli addii delle persone, gli addii alla vita538, così come nel poemetto L’albero e in molte delle Poesie dedicate: Chissà se l’amore mio ci sarà/ quando sarò in punto di morte/ mi piacerebbe tanto di sì/ e che mi stesse vicino vicino539; Ier sera me sunt indurmentada/ e stamatina me sun svegliada pù540; Ne è da poco passata la morte/ che il suo viso già sfuma nella tua memoria541; L’ultima volta che la vide non sapeva che era l’ultima volta che la vedeva. Perché? Perché queste cose non si sanno mai. Allora non fu gentile quell’ultima volta? Sì, ma non a sufficienza per l’eternità.542; 535 V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.222 V.L., A Micòl, ivi, p.241 537 Mia intervista a Vivian Lamarque, maggio 2012 538 Ibidem 539 V.L., Chissà se l’amore mio ci sarà, in Teresino, cit., p.13 540 V.L., Ier sera me sunt indurmentada, in La gentilèssa, cit., p.56 541 V.L., Ne è da poco passata la morte, in Poesie 1972-2002, cit., p.34 542 V.L., La signora dell’ultima volta, in Il signore d’oro, cit., p.85 536 265 La prima estate che non potrò partire vada Lei lontano guardi Lei le belle cose create per le mie palpebre addormentate.543; il mattino dopo che si è morti/ non ci si può svegliare/ la vita è finita/ è cominciata la morte544; Quando mi ricordo della morte guardo diversamente i Fiori e l’Erba li accarezzo preparo la nostra futura amicizia saremo così vicini! i vicini più stretti guarderò tanto (dal basso) i loro steli perfetti.545; come erano bianchi i morti/ o era bianca la luna? L’albero/ le diceva ssss dai dormi/ dormi sss […] c’erano la vita e la morte la strada/ il percorso da qui/ a là546; Cara terra, nostra futura/ copertina gentile, non in tinta/ unita, a fiori e foglie i ricami/ preziosi con i quali ci dirai per sempre/ buonanotte.547; L’equivoco è chiarito Zarina dorme, si è tanto addormentata ora basterà aspettare il giorno che si risveglierà oh se si risveglierà non fatemi mai più così tanto spaventare vedendola dormire vi siete confusi col morire vedendola dormire vi siete confusi col morire.548 543 V.L., La prima estate, in Poesie dando del Lei, cit., p.81 V.L., Questa quieta polvere, in Una quieta polvere, cit., p.66 545 V.L., Vicini, ivi, p.128 546 V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit.,p.217-218 547 V.L., Cara terra, ivi, p.243 548 V.L., L’equivoco è chiarito Zarina, in Poesie per un gatto, cit., p.166 544 266 Percorrono il resto della poesia autobiografica gli amici, sia vivi che morti, che compaiono soprattutto nella raccolta Tersino, in Una quieta polvere e in Poesie dedicate: […] il pianoforte nostro poi talmente lungo che suonavamo insieme a dieci mani: io e Tiziano un po’ male il marito di Ornella benino Irlando proprio bene549; Cara Daniela scrivendo/ poco fa una emme un po’/ gobbuta come facevi tu/ ti ho vista con la penna/ in mano […]550; di quel monte che la casa / di Jung guarda/ e che io guardo con Rossana/ e Alida […]551; A C.V. che aiuta i poeti552; A Livia Candiani553; ma anche in Poesie per un gatto l’autrice scrivendo di Zarina ne nomina i padroni, gli amici e vicini di casa Olga e Irlando. Altra tematica della poesia e della vita della Lamarque è la natura, ossia gli animali, i fiori e le piante, dei quali sul Corriere della Sera scrivo un po’ sulle pagine degli animali, un po’ su quelle culturali che fa rima con animali.554 Al suo gatto Ignazio dedica la raccolta Poesie per un gatto, nella quale però ricorda l’affezionato cane Brigante, cui intitola una poesia in La Gentilèssa e un’altra in Una quieta polvere. Animaletti e fiori sono inseriti in tutta la poesia dell’autrice, ma il tema si fa più rilevante e animalista, o naturalista, nel 1996, con testi come Requiem per margherite, Asinello, Alla bambina Carla, oltre che negli Inediti con Care lumachine, Ai gesuiti, Caro papa e in L’albero. Volendo quindi individuare le principali parole chiave della poesia della Lamarque, riferendoci alla prima parte della sua vita narrata in poesia potremmo innanzi tutto notare l’influenza della scoperta di avere due mamme, e del problematico rapporto con la madre naturale (benché in realtà tale 549 V.L., Io senti ero tua moglie, in Poesie 1972-2002, cit., p.47 V.L., Cara Daniela, in Una quieta polvere, cit., p.125 551 V.L., Caro Dottore Le scrivo, ivi, p.88 552 V.L., A C.V., che aiuta i poeti, in Poesie 1972-2002, ivi, p.232 553 V.L., A Livia Candiani, ivi, p.242 554 Intervento di V.Lamarque al ciclo di incontri Città amica, città nemica, ass.culturale Ambrosianeum, Milano 28 marzo 2012 550 267 rapporto sia stato inesistentente nell’infanzia, Conoscendo a 19 anni la madre555). “Madre” è quindi una delle parole chiave della sua poesia, alla quale se ne associa un’altra, “abbandono”, riferita all’adozione, col ricordo della discesa a nove mesi dal Trentino a Milano. La ricerca affettiva, conseguente a questo sentimento di solitudine, si riversa invece in tutta la poesia dell’autrice, soprattutto nella prima raccolta, sia riferendosi alla madre che al marito, e poi alla figlia. “Amore” è quindi un’altra parola caratterizzante la poetica della Lamarque, a cui però, con sofferenza, si sostituisce un nuovo abbandono, la separazione dal marito, introducendo così l’ “assenza” cantata con dolore più o meno celato. All’assenza si associa anche la “lontananza”, lontananza dell’amato, soprattutto nella trilogia sul transfert, dove l’irrealizzabile amore per il Dottor B.M., riproponendo la tematica affettiva legata ai precedenti abbandoni, introduce nella poesia dell’autrice il canto del proprio insistito amor de lonh. Questa impossibilità viene da Vivian superata con l’immaginazione, sintetizzabile nella parola “sogno”, che ritorna in tutte le sue raccolte in riferimento all’amore, ma anche a tutti gli altri ambiti della vita, mezzo utilizzato fin da bambina per superare i momenti di dolore e solitudine oltre che per giocare. Altra parola che ben descrive e rappresenta la poesia autobiografica della Lamarque è “vita”, spesso accompagnata da un’altra idea che influenza il suo scrivere, anche a livello linguistico, l’ ”infanzia”, che si colora dei toni della fiaba e dei giochi dei bambini per cercare di tamponare le ferite subite. E’ invece la “morte” la parola che ritorna sempre più insistente nelle sue raccolte, fino a diventare protagonista assoluta nel 1996 e nel 2007, inserendosi anche nel titolo dickinsoniano Una quieta polvere. 555 V.L., Conoscendo a 19 anni la madre, in Poesie 1972-2002, ivi, p.7 268 2. L’aspetto retorico grammaticale La lingua delle poesie di Vivian Lamarque resta molto simile nelle varie raccolte pubblicate dall’autrice, piano e semplice, ricco di espressioni tipicamente infantili. Ad enfatizzare ulteriormente la scelta linguistica interviene lo sguardo fiabesco con cui si vive il dato quotidiano. Così l’infanzia e la fiaba risultano essere le due realtà che maggiormente ne influenzano le poesie, tanto nelle immagini quanto nel linguaggio prescelto. A questo riguardo va però tenuto presente anche il dolore che si cela dietro la patina fiabesca che sembra rivestire i testi dell’autrice: Vivian Lamarque non si racconta le favole per consolarsi dei suoi dolori, ma si racconta il suo dolore come se fosse una favola. La sua non è una poesia da e per bambini. Sa sospendere sulla pagina le osservazioni “da bambini” con la grazia di un vecchissimo e filiforme artigiano. Perciò i versi conclusivi delle sue poesie hanno quell’effetto di rasoiata leggera556 che già aveva notato Vittorio Sereni nella prima raccolta dell’autrice. La ripetizioni dei suoni è una delle caratteristiche che da subito si colgono nella poesia della Lamarque, e lei stessa ammette la sua predilezione per la rima baciata che suona come una gentilezza per le orecchie557 e fa apparire così facili i versi costruiti invece con un accurato lavoro di lima. Nella prima raccolta si legge Valdesina trascinata per mano/ giù fino a Milano; Fa bene al mio cuore questo sole invernale fa male al mio cuore il tuo freddo tepore; appuntamento-vento sono parole rima della poesia Vento, così come in Una quieta polvere si legge Corteggiamento vano/ a nove mesi mi hai presa per 556 D.Scarpa, La morte bambina, in “L’indice”, n.9, ottobre 1996 C.Taglietti, Lamarque, i versi leggeri che conquistano il pubblico, in “Corriere della Sera”, 06 febbraio 2003 557 269 mano/ mi hai lasciato a Milano, o anche i poeti che ho amato/ mi hanno telefonato, mentre giardino rima con vicino in Piove. Rispetto a Teresino, la raccolta del 1996 incrementa l’utilizzo di rime baciate, aumentandone anche la varietà, mentre invece nella prima opera molte di essere erano ottenute grazie ai verbi all’infinito, al participio o ai suffissi degli avverbi come continuamente-vagamente, fetale-coniugale, addormentata-cullata-svegliataamata, amare-spogliare-declinare, raffreddati-malati, ammalare-consolare, fare-ridimensionare, prudentemente-mente-illegittimamente, nata-malata, disperara-nata, modalità rimica che si ritrova in Una quieta polvere, come ad esempio in che prato beato/ come sa di essere amato, o guardare-respirare in Riso bianco, ma con meno frequenza. Anche in Poesie per un gatto lo schema rimico è semplice e regolare, con rime come traslocheremo-perderemo e appartamento-momento558 in un unico testo di sei versi, oppure quaggiùlassù559, Brigante-te560, temporale-male561, e molte altre. Lo stesso si può dire per la raccolta in dialetto, per la quale infatti Maurizio Cucchi aveva sottolineato come la scelta linguistica dell’autrice non fosse legata dall’esigenza di rinnovarsi manipolando con bravura un’altra lingua scrivendo in La gentilèssa testi che continuano infatti i modi della poesia pubblicata negli anni Settanta e Ottanta. Più rara in questo caso la rima baciata, ad esempio lètt-sett562, mentre densissimo il gioco allitterante e assonante che con le ripetizioni dei suoni vocalici e consonantici del milanese scandisce lo schema metrico dei brani poetici: t’u t’ant pregà/ e adèss, adèss che l’è rivada/ bèlla bianca rettangulara563; oppure in Brigante, in cui si distribuiscono in tutto il testo parole sdrucciole con la a accentata, modo in cui di compongono i participi in dialetto: affinità- capità- dumà-prà- là- gh’à-cercà-scavà-baià. Per quanto riguarda la trilogia psicoanalitica il discorso va differenziato. Qui infatti ritorna la rima baciata in Poesie dando del Lei , come anche nell’omonima sezione di Una quieta polvere, essendo questi dei brevissimi 558 V.L., Devo dirti una cosa grave Ignazio tralocheremo, in Poesie per un gatto, cit., p.55 V.L., Come mi sembri Romeo, ivi, p.54 560 V.L., Perché non sei un cane?, ivi, p.40 561 V.L., Ti spaventa il temporale, ivi, p.19 562 V.L., L’ospedaa, in La gentilèssa, cit., p.38 563 V.L., La lèttera, ivi, p.18; Trad.: “T’ho tanto pregato/ e adesso adesso che è arrivata/ bella bianca rettangolare”. 559 270 testi poetici nei quali frequente è la rima baciata: improvviso-viso564, ventoaccontento565, colore-fiore566, dita-vita567, vorrei-lei568, matite- margherite569, anche se le rime baciate sono molto più utilizzate nella raccolta del 1989 piuttosto che nella sezione Poesie dando del Lei (altre). Per Il signore d’oro e Il signore degli spaventati la rima baciata è più difficile da individuare, essendo prosa poetica, composta quindi da versi molto lunghi. L’assenza della rima è così sostituita dalle assonanze e dalle consonanze, come della vita l’invecchiata mano magra chiamava570; chi stava lì sotto era protetto da tutti i mali del mondo571; l’acqua che saliva saliva voleva portala là dove si annega572. Le allitterazioni, le consonanze e le assonanze ritornano però in tutta la produzione della poetessa, accompagnando il lettore nel testo e creando quell’effetto musicale e lieve che caratterizza le poesie della Lamarque. Si vedano come esempi il primo e l’ultimo poemetto da lei composti: in Teresino nel 1981 scriveva senti ascolta questa fa/ vola che ti racconto vicino al tuo letto; sotto il tavolo dove pendeva la tovaglia, così come in L’albero, pubblicato nel 2002, si legge non amava nessuno solo il mondo oppure pettirossi in agonia nelle trappole ho visto e rideva rideva la lieve vita dell’albero. Numerose le ripetizioni non solo fonetiche, bensì di intere parole o sintagmi. Motivo narrativo nella seconda sezione di Teresino è la ridondanza di l’amore mio, che infatti viene riproposto anche nel titolo: L’amore mio è buonissimo. Così anche ne Il signore d’oro e ne Il signore degli spaventati è il signore il vocabolo che ritorna in ogni componimento, insieme con la coprotagonista, la signora, mentre molto più rada è la frequenza di Dottore o Lei nella terza raccolta della trilogia psicoanalitica. Interi versi ritornano insistenti soprattutto 564 V.L., Desiderio iprovviso, in Poesie dando del Lei, cit., p.47 V.L., Io con Lei, ivi, p.49 566 V.L., Dalle nostre finestre, ivi, p.53 567 V.L., Tracce d’inchisotro sulle dita, ivi, p.80 568 V.L., Caro Dottore, in Una quieta polvere, cit., p.85 569 V.L., Se ho scritto qualche poesia di meno, ivi, p.85 570 V.L., La signora della mano, in Il signore d’oro, cit., p.86 571 V.L., La signora del parasole, in Il signore degli spaventati, Pegaso, Forte dei Marmi 1992, p.39 572 V.L., La signora dell’acqua, ivi, p.50 565 271 nei componimenti più sofferti, in Teresino per la lontanaza e l’indifferenza del marito quando ad esempio scrive Sempre più mi sembri una persona innamorata e so che con me questo non ha a che vedere e so che questo con me non ha a che vedere573, o nel poemetto conclusivo quando si constata l’assenza di Teresino: Teresino teresino sparito ma un mattino teresino tersino sparito teresino teresino sparito segni di zampette sulla neve le mie lettere morte a pezzetti in mille cestini teresino teresino sparito. Composte alla stessa altezza cronologica anche le poesie di La gentilèssa spesso esprimono il dolore tramite la ripetizione, come l’insistito lassem andà rivolto per cinque volte a Milàn brutta bèlla o il senso di colpa per il lasciarsi andare e l’incapacità di reagire al male in Gajna malada che più volte dice me interèssa pù nient e l’è minga giust. Ancora più insistente diventa l’anadiplosi in Questa quieta polvere, dove sono intere strofe ad essere riproposte nel testo, come la citazione dai fratelli Grimm, che ritorna tre volte nel poemetto, Che fa il mio bimbo?/ Che fa il mio capriolo?/ Verrà tre volte ancora/ E poi non verrà più, mentre si ripete invariata la sequenza di cinque brevi strofe che ritorna per due volte nel testo: per esempio ci sono le visioni con le visioni si può vedere tutto si può vedere la visione del profilo delle montagne con lo sfondo del profilo dell’amore mio oppure la visione di un fiume impetuoso con dentro l’amore mio che guada oppure la visione del lago di Brais tutto circondato dall’amore mio oppure la visione della Valle della Neve cosidetta perché la sua terra 573 V.L., Sempre più mi sembri, in Teresino, cit., p.27 272 è del color della neve, si noti che nel componimento ritorna più volte anche il sintagma l’amore mio frequentissimo nella sezione del 1981 L’amore mio è buonissimo. In Poesie per un gatto Ignazio incredulo per la morte di Zarina in più componimenti (compreso il conclusivo) rinfaccia agli uomini di aver confuso il dormire della gattina con la morte, mentre in quattro testi, tre dei quali consecutivi, il protagonista chiede insistentemente alla padrona –Dammi un croccantino in tre dei quali la risposta di Vivian è la stessa: -lo sai che ti fa male. Anche se molto meno frequente rispetto all’anadiplosi, l’utilizzo dell’anafora continua il gioco della ripetizione nella poesia della Lamarque con la ripetizione di parole, sintagmi, e interi versi. In Teresino la figura retorica è scelta dall’autrice per creare dei crescendo insistiti e ostentati, come nella fantastica descrizione dell’amato in L’albero delle ciliegie, lui è l’albero delle ciliegie lui è i rami più alti dell’albero delle ciliegie lui è dove le ciliegie sono mille dove le ciliegie sono degli uccelli dove le ciliegie sono felici lui è le ciliegie rosse!, e in Vento, dove insistente è l’anafora delle e, che oltre al gioco immaginifico propone di nuovo la ripetizione per sottolineare un momento di dolore, come in Caro nome mio nel quale immaginando la propria regressione a stato fetale scrive: anzi nove mesi in montagna/ anzi mia madre è incinta/ anzi si è innamorata, mentre invece raccontando della separazione ripete per tre volte Il tuo posto vuoto. Altra anafora insistente si ritrova nel poemetto in cui il nome Teresino è proposto per ben sedici volte come prima parola del verso poetico. Nella trilogia analitica tale figura retorica è utilizzata come rimando tra il narratore e la non ben identificata voce che insistentemente domanda spiegazioni su ogni cosa detta da Vivian: Era una Nostalgia di chi? Era una Nostalgia di un signore. Andato via? 273 Andato via. Era una nostalgia grande? Era la Nostalgia più grande di tutta la vita.574; E dove erano?/[…]/ E come avvenne?/ […] E dopo?575; Due/ Quante seggiole?/ Due/ Quanti tavoli?/ Uno./ Quanti letti?/ Uno./ Quanti soli?/ Un sole e una luna./ Quante stelle?576; Sembrava un bosco facile […]/ sembrava un bosco da attraversare […]/ sembrava un bosco facile […]577. Anche in Poesie dando del Lei, nonostante la brevità dei testi poetici, si ritrovano alcune anafore, come Sono le sei la città dorme/ e Lei?/ […] Sono le sei la città dorme/ e Lei con lei. o mi tenga accanto a sé/ mi tenga accanto a sé ho detto dove ritorna il gioco dialogico delle altre due raccolte per il Dottor B.M., mentre altre volte l’anafora è proprio utilizzata per sottolineare la ripetitività e l’insistenza di Vivian nei confronti dell’amato analista, come nel lungo elenco di regali: più mille poesie circa/ più quello stralunato ritrattino/ […]/ più una goccia di miele/ più una spina di rosa/ […] più un cielo gentile/ più i colori che vuole/ più il doppio della metà […]578. Anche in Una quieta polvere si ripropone l’anafora, soprattutto nella prima sezione della raccolta per sottolineare la continuità della sofferenza dell’abbandono, come nella lunga serie di che della poesia Babbi, dove anaforici sono anche i padri, essendo due, Caro babbo I […] Caro babbo II , nella poesia al fratello, secondo te/ secondo me oltre al lungo elenco introdotto sempre dalla congiunzione e ripetuta per sette volte, o nella reiterazione temporale delle poesie che parlano della solitudine di Vivian: per tutta l’infanzia/ per tutta l’adolescenza/ […] per tutti i pranzi […]579. Nel poemetto ritorna invece spesso a inizio verso il pronome personale soggetto di prima persona, come se la voce narrante volesse ribadire la propria esistenza ossia il proprio essere viva, come ad esempio io non voglio essere quieta/ io non voglio essere polvere/ […] io vado subito a vedere la data di morte […] / io non sono morta io sono nata, mentre spesso nel resto della 574 V.L., Il signore della nostalgia, in Il signore d’oro, cit., p.14 V.L., Il signore e la signora, ivi, p.87 576 V.L., Il signore e la signora, in Il signore dgeli spaventati, cit., p.36 577 V.L., La signora nel bosco, ivi, p.37 578 V.L., In dote le porto, in Poesie dando del Lei, cit., p.63 579 V.L., Cucchiaini, in Una quieta polvere, cit., p.24 575 274 raccolta l’anafora propone veri e propri elenchi: vigilate voi, noi assenti/ sulle nostre case eleganti/ sui bei ladri distinti/ sui governanti580; c’era una bambina/ […] / c’erano panchine/ […] / c’erano mamme nonne/ c’era anche una tata581; saremo due gocce di pioggia uguali o saremo due moscerini con le ali saremo due lumachine lente liete o due puntini splendenti di stelle comete saremo due granelli di terra rotondi o saremo due insettini vagabondi582. 580 V.L., Vù cumprà, ivi, p.111 V.L., Ballata degli occhiali neri, ivi, p.91 582 V.L., Ma nell’aldilà, ivi, p.93 581 275 Rade le anafore in L’albero, mentre più frequenti in Poesie dedicate, come la ripetizione della congiunzione e in A Evehenij Solonovitch o dei per ogni in A Emily Dickinson, nel primo caso collegato alla sucessione cronologica dell’evento narrato, che si ripeteva ogni volta uguale, mentre nel secondo per un semplice elenco. Ritornano quindi anche negli Inediti i due principali utilizzi della figura retrica già riscontrati nel resto della produzione dell’autrice, compresa La gentilèssa: ‘l s’è sentì ciamà/ ‘l s’è fermà/ ‘l s’è truvà […]583 scrive ad esempio in Come ‘n gatt per raccontare nell’ordine temporale l’incontro tra lei e l’amato, mentre invece in Brigante Vivian elenca i modi che ha il suo cane per convincere la padrona a coccolarlo: ‘l te se pianta inanz/ […] ‘l te fa sentì in colpa/ […] ‘l te fa diventà matt/ […] ‘l fa andà la coa. Ripropone queste due modalità l’uso anaforico di Poesie per un gatto, oltre alla ripresa del gioco dialogico che aveva caratterizzato i botta e risposta delle poesie per il Dottor B.M., come la ripetizione di più584 alla notizia del trasloco in un appartamento o i ma e i perché che introducono le disquisizioni dei due protagonisti, che spesso non la pensano nello stesso modo. Le ripetizioni a volte sono riprese in ordine inverso, come nel gioco chiastico di Sole invernale: Fa bene al mio male/ questo sole invernale/ fa male al mio cuore/ il tuo freddo tepore. Proprio riguardo a tale figura retorica Caddeo sottolinea come essa sia utilizzata per ribadire il tema del doppio, che l’autrice propone soprattutto in Teresino e nella trilogia per il Dottor B.M.: il chiasmo, più ancora del parallelismo, è figura retorica tipica del rispecchiamento. La disposizione incrociata del chiasmo richiama l’inversione speculare (nella nostra immagine allo specchio, per esempio, la mano sinistra diventa la destra). 583 V.L., Come ‘n gatt, in La gentilèssa, cit., p.34; Trad.: “Si è sentito chiamare/ si è fermato/si è trovato[…]”. 584 V.L., Traslocheremo Ignazio, in Poesie per un gatto, cit., p.56 276 Proponendo poi una riflessione sulla poesia Il primo mio amore erano due, dove l’autrice, scrivendo di un adolescenziale amore per due gemelli, allude anche alle due madri: nel caso specifico il chiasmo raffronta i due rivali, simili-diversi oggetti d’amore (in sé e per sé unico e indivisibile): allegro vs serio, minore vs maggiore, piacere vs dovere, desiderio vs Super-io. Giocondamente, con strenua affilata ingenuità, i due rivali sono l’uno l’immagine speculare dell’altro, fratelli gemelli, che si rimandano con circolare infinità la loro identità diversa, identica diversità.585 Una situazione molto simile si ritorva ne Il signore degli spaventati, dove l’idea è ulteriormente estremizzata con l’omonimia delle due sorelle, entrambe chiamate Chiara dal signore, loro padre, così come in Una quieta polvere con la poesie Babbi, che presenta sistematicamente e con lo stesso schema prima il padre E., dopo di che il padre Dante. Per il resto si consideri che la poesia della Lamarque appare piana e ordinata, questo fa sì che alla figura chiastica siano preferite le anafore, le ripetizioni e le rime. Il chiasmo viene introdotto nella narrazione poetica per creare giochi di parole e richiami a filastrocche o nenie, come questa sì e quella no/ anzi quella sì e questa no586, nel bosco nel cuore del cuore del bosco587, io Le cercavo gli occhi/ gli occhi amati cercavo588, e le poesie belle agli amici/ e ai nemici le brutte589, ti prego muori muori ti prego590, non ruberanno la sposa/ allo sposo né lo sposa/ alla sposa591, ama il balcone il mio gatto/ il balcone ama anche me592. Numerose in tutta la raccolta le metafore e le similitudini che ritornano nelle varie poesie per esemplificare meglio le sensazioni di dolore o d’amore narrate da Vivian, oppure per contestualizzare la realtà lì rappresentata, che comunque la maggior parte delle volte propone storie di dolore o di innamoramenti. In tutte le raccolte l’autrice assimila l’oggetto del paragone all’amato, lui è 585 R.Caddeo, Contro mostri e draghi l’arma della scrittura, in “Concertino”, n.14-15, novembre 1995, p.24 586 V.L., Adozione ninna-oh, in Una quieta polvere, cit., p.19 587 V.L., Teresino, in Teresino, cit., p.73 588 V.L., La ballata degli occhiali neri, in Una quieta polvere, cit., p.90 589 V.L., Testamento, in Una quieta polvere, cit., p.115 590 V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.219 591 V.L., Per le nozza di Miryam e Giorgio, ivi, p.240 592 V.L., Ama il balcone il mio gatto, in Poesie per un gatto, cit., p.25 277 l’albero delle ciliegie/ […] lui è le ciliegie rosse593 oppure non si chiamava così/ ma era detto aquilone/ perché […] quando vedeva da lontano Maria/ pareva innalzarsi/ portato dal vento e dall’emozione594, scrive in Teresino, nel quale poemetto fin dai primi versi si legge teresino piantina/ rara delicata. Continuo è il gioco di similitudini attribuite ai vari signori di Il signore d’oro e Il signore degli spaventati, dove già dai titoli vengono proposte molte delle caratteristiche attribuite ai brevi ritratti del signore, ossia il Dottor B.M., così come alla signora, Vivian, si pensi allo stesso titolo della prima raccolta, o a Il signore tesoro, Il signore usignolo, Il signore nave, a La signora spostatrice di montagne, dove con le montagne si allude alla fatica di certe sedute analitiche o La signora dei fiori, i cui fiori non sono veri fiorì, bensì le macchie che con l’età compaiono sulle mani. In Teresino, come nel resto della produzione poetica, si utilizzano immagini tra le più varie per descrivere i più disparati aspetti della quotidianità di Vivian, a partire dalla rappresentazione di se stessa e delle persone care: su non vedi che sono un po’ formica scrive per dire che cerca in tutti i modi di racimolare qualche briciola dell’affetto del distante marito, oppure si descrive come una vecchia, logorata dall’eccessivo dolore, i suoi trenta anni sono diventati cento, mentre ne La gentilèssa cerca di lenire il proprio male come una gajna malada e raccontando di un uomo che raccoglie un gattino da strada descrive invece l’incontro col marito, l’innamoramento e l’eccessivo affetto dimostrato da lei e dal gatto della poesia Com ‘n gatt. In Teresino parlando della figlia racconta oggi torna dal mare la mia gallinella bianca e di sé dice Io sono il re del balcone595, oppure si descrive come una rara e schiva specie di pesce che vola596. In Poesie dedicate descrivendo la madre la paragona al fiore da cui lei prende il nome, come una Rosa dal lungo/ lungo stelo […] e come una profumata rosa/ profumata e lo stesso fa per la nipotina, già dal titolo: A Micòl rosellina. L’immagine dei fiori ritorna in tutte le raccolte della Lamarque per parlare della morte, ma soprattutto nella seconda parte della sua produzione 593 V.L., L’albero delle ciliegie, in Teresino, cit., p.26 V.L., Era detto aquilone, ivi, cit., p.26 595 V.L., Il re del balcone, in Teresino, cit., p.47 596 V.L., Pesce che vola, ivi, cit., p.56 594 278 poetica, ossia dalla pubblicazione del 1996, dopo la trilogia per il Dottor B.M. Come fiori intitola infatti la sezione dedicata a trattare dell’aldilà in Una quieta polvere e numerose sono immagini simili proposte negli inediti della poetessa, ad esempio fioriremo fioriremo/ nella gentile terra597; l’erba erano i morti? erano diventati fili d’erba belli così?598 oppure in Poesie per un gatto, nel quale la terza sezione si intitola Il giardino dell’aldilà, con fiori e giardini Vivan spiega la vita di Zarina, morta, e così la loro in un prossimo futuro: -Ripeto la domanda ci sarà o non ci sarà questo aldilà? -Forse Ignazio non lo so. -Come non lo sai? -Ma sì vedrai è come una specie di giardino si diventa tutti erba e fiori. -Fiori? un fiore io? mai!599 -E dove?/ -In un bel giardino fiorito./ -Come quello che avevamo?/ -Sì.600; -E Zarina che fiore diventerà?/ -Non lo so forse una margherita./ -Zarina mia una margherita?/ Non voglio non voglio la morte della vita.601 All’uscita di Teresino nel 1981, già Vittorio Sereni aveva sottolineato l’abilità immaginifica dell’autrice e soprattutto il suo linguaggio analogico, che le permette così di passare improvvisamente da un discorso all’altro in modo inaspettato: L’intelligenza del cuore […] nella Lamarque è fonte continua di analogie, tramite fulmineo tra il cuore, il pensiero, la memoria, tra il grande e l’impercettibile; e non ad altro, a questa forza analogica in lei chiaramente nativa, si debbono le sue arguzie, le sue allusioni, i repentini rovesciamenti di fronte per cui a volte due versi a chiusura di una cantilena quanto mai puerile arrivano imprevisti come una coltellata: “insomma affinità elettive poche pochine nessuna/ (sarà per questo che brilli così nel mezzo del mio cielo?)”.602 597 V.L., Alle pratoline, in Poesie 1972-2002, cit., p.243 V.L., L’albero, ivi, p.226 599 V.L., Ripeto la domanda, in Poesie per un gatto, cit., p.152 600 V.L., E dove?, ivi, p.156 601 V.L., E Zarina che fiore diventerà?, cit., p.160 602 V.Sereni, Cuore fa rima con intelligenza, in “Europeo”, n.42, 19 ottobre 1981, p.115 598 279 Tale tendenza perdura in tutto il percorso poetico della Lamarque, come in Muso di volpe, dove la conclusione aspetto la zampata è inattesa rispetto al testo più descrittivo e affettuoso degli altri versi del componimento, con l’affettuoso inizio muso di volpe volpino volpone oppure Volevo sognare il postino/con una lettera in mano/ invece ho sognato il postino/ senza una mano, così come nella raccolta in dialetto milanese, nella quale, ad esempio, tutta la poesia Stasera ‘l coeur è scritta per distogliere l’attenzione dal dolore per l’assenza dell’amato, ma proprio alla fine del testo scappa l’immagine della sofferenza del gatto per il tradimento subìto: a fa l’amur cont un alter gatt?603 stessa sofferenza espressa in altre poesie, come l’amara conclusione se lègg se strascia fine/ basta poch a cuntentàm604 nella quale Vivian si rappresenta quasi mendicante affetto o nel sogno della relazione col padre naturale, che però si rivela essere appunto tutta immaginazione: che poeu sun rivada mi/ e te set sparì ti.605 Nelle poesie della trilogia del transfert, la conclusione spesso interrompe improvvisamente il sogno della paziente, riportandola alla realtà, cioè all’impossibilità della relazione amorosa col proprio analista: La mia superficie è felice, / ma venga venga a vedere/ sotto la vernice606; guardavano i bellissimi mari/ e le alte montagne/ separati607; Presto corra presto/ venga a guardare/ una foglia, viva,/ che cade608; Quando Lei è nervoso e fa così/ con le mascelle/ e vibra e si controlla/ ma mi vorrebbe molto sgridare/ ecco, proprio quando Lei fa così/ io La vorrei baciare.609 Il sogno si interrompe anche in Una quieta polvere, dove la famiglia, descritta unita e felice, si rivela essere solo un bel sogno d’oro, mentre inaspettatamente l’accoglienza iniziale sparisce in Cucchiaini: quasi più è tornata nel cassetto/ dei feroci bambini cucchiaini. Così l’arrivo gioioso dell’ospite atteso in Glocklein si conclude però con la sua rapida dipartita, busserà nei vetri/ credendo che io dorma/ dirà giorno speciale/ e poi volerà via, e dolorosa è la scoperta di un’altra poesia 603 V.L., Stasera ‘l coeur, in La gentilèssa, cit., p.28; Trad.: “A far l’amore con un altro gatto”. V.L., Lètter lètter, ivi, p.32; Trad.: “Si legge si straccia fine/ basta poco a farmi contenta”. 605 V.L., Famm fa un gir in bicicletta, ivi, p.48; Trad.: “Che poi sono arrivata io/ e sei sparito tu”. 606 V.L., La mia superficie è felice, in Poesie dando del Lei, cit., p.19 607 V.L., Lontanissime vacanze, ivi, p.26 608 V.L., Presto corra presto, ivi, p.39 609 V.L., Quando Lei è nervoso e fa così, ivi, p.42 604 280 della raccolta: lì una sera trovò/ qualcuno che dormiva/ si chinò a guardare/ era una bambina/ oh ma non dormiva/ oh ma non era viva. In Inediti alla serena narrazione della prima parte della poesia Cartina muta, segue l’inaspettata immagine di una compagna di scuola, che di cognome si chiamava De Vita, ma che è stata/ la prima di tutte a lasciarla, muta,/ la vita, così come la salvezza della gallinella che sembrava essere presa per fare un‘insalta di pollo, mentre invece si rivela essere proprio per l’animale il piatto preparato: la vuoi una fogliolina di insalata? E’ Ignazio, nei dialoghi di Poesie per un gatto, a riproporre conclusioni inaspettate alle domande di Vivan, con sarcasmo e distacco: -Perché in via G.Moretti c’era il giardino e qui non c’è? –Perché questo è un appartamento. -Ho capito vivrò di cemento.610; -Ignazio guarda quel piccione magrolino con l’ala spezzata nemmeno una briciola gli è toccata non dici niente? -Niente. -E guarda quello gli manca una zampetta. -Preda perfetta.611 Il linguaggio della poesia di Vivian Lamarque è spesso stato definito come infantile, bambinesco, e, come nota Sereni nel suo articolo su Teresino, non siamo alle metamorfosi delle favole ma poco ci manca aggiungendo però che ci troviamo davanti a una storia di “grandi” riportata agli attucci, bronci, moine, sillabazioni puerili: al livello puerile.612 A queste affermazioni Rossana Dedola aggiunge: l’uso di questo linguaggio tuttavia non significa che la realtà venga completamente dimenticata e che al suo posto venga dipinto con colori pastello un castello d’aria. Delle fiabe la Lamarque non recupera l’aspetto meraviglioso, l’incantesimo, dietro 610 V.L., Perché in via G.Moretti c’era il giardino, in Poesie per un gatto, cit., p.63 V.L., Ignazio guarda quel piccione magrolino, ivi, p.74 612 V.Sereni, Cuore fa rima con intelligenza, in “Europeo”, cit., p.115 611 281 l’incantesimo c’è sempre un conflitto tanto più drammatico perché a esso è esposta un’anima infantile.613 Per quanto riguarda i tempi verbali, i più ricorrenti nelle raccolte sono l’indicativo presente e imperfetto, ossia i tempi più utilizzati nel linguaggio dei bambini nei loro giochi come nei giochi immaginosi di Vivian, nei quali mischia oniricamente fatti reali a eventi vagheggiati. Interessante soprattutto l’uso dell’imperfetto, che potremmo chiamare “imperfetto ludico” nota Giulia Petrucci spiegando: non rimanda infatti a un passato, piuttosto a un presente agito fantasticamente614. Molti dei componimenti nei quali l’autrice adotta tale tempo verbale raccontano del proprio amore perfetto e immaginato, come nella prima raccolta in Io senti ero tua moglie, Io naturalmente volavo e soprattutto nel poemetto finale: passavano le suore[… ] bussavano all’uscio/ avevamo paura […] eravamo bianchi leggeri nevicavamo teresino andavi allo zoo guardavi tanto la tigre poi miagolavi […], nella camera dei bambini facevi i brutti sogni sotto il letto dormivano i ladri senza fiatare li ascoltavamo[…]. Anche nella trilogia psicanalitica i modi verbali richiamano spesso i modi dell’invenzione dei giochi e della fiaba, soprattutto nei due signori, introducendo spesso i personaggi con Era un signore e Era una signora. Alla finzione alludono anche i modi dei due sogni raccontati nella prima sezione di Una quieta polvere dove si legge Era una neonata/ un padre era contenta che era nata/ una madre era contenta che era nata615 e Non mi ero separata/ padre madre figlia/ la famiglia continuava unita616, così come nella sezione dedicata al Dottor B.M. nei momenti in cui, ormai superato il transfert, descrive con 613 R.Dedola, La poesia del transfert: la poesia innamorata di Vivian Lamarque, in “Studi Novecenteschi”, n.41, giugno 1991, p.232 614 G.Petrucci, Il sonno di Alice: l’enunciazione del transfert nella poesia di Vivan Lamarque, in “Italianistica”, n.1, gennaio-aprile 1998, p.92 615 V.L., Sogno d’oro (I), in Una quieta polvere, cit., p.138 616 V.L., Sogno d’oro (II), ivi, p.41 282 maggior distacco i suoi impossibili sogni d’amore, associati spesso ad atteggiamenti infantili: Cercavo la giusta matita/ per fare in Suo onore un ghirigoro/ gli occhi mi brillavano/ come a un cercatore d’oro617; Sonnambulina l’amavo/ leggermente stordita/ dai giorni e dalle notti/ della Vita.618 Anche nel poemetto L’albero torna un simile utilizzo dell’imperfetto per raccontare un altro tipo d’amore immaginato, come si legge fin dall’esergo: Se eri un pioppo/ ti sposavo ti salivo/ fin lassù, e così anche nei sogni raccontati in dialetto: Stanott u sugnà che te me ‘mparavet a lègg e a scriv […] e mi scultavi inamurada la tua bèlla vùs pazienta e vardavi incantada i toi bei man espressiv che disegnaven ne l’aria.619 Si consideri però che in molti testi di tutta la produzione poetica il tempo imperfetto è utilizzato come semplice tempo passato, per narrare di fatti di una volta, spesso dell’infanzia, e in generale di ricordi. Tale è l’unico modo in cui viene usato il passato in Poesie per un gatto, quasi sempre in riferimento alla nostalgia di Ignazio per Zarina: -Zarina che grattavo sempre alla sua porta, morta?620; Prima di lei spuntava la sua ombra/ mi veniva da farle per ridere un agguato/ per farle spavento621. Sempre nei modi semplici e piani tipici del linguaggio dei bambini ritorna in tutte le raccolte il tempo presente, anche per narrare eventi precedentemente accaduti, ma è soprattutto con la raccolta Una quieta polvere che il presente acquista spazio e importanza nella poesia dell’autrice, utilizzato molto ad esempio nella sezione Fine millennio: girotondo casca il mondo/ casca la terra/ si alza la guerra622; non ho vetri oggi mi spiace623; che nuvola gigante guarda si sta/ spostando624; così anche nel 617 V.L., Cercavo la giusta matita, ivi, p.83 V.L., Sonnambulina L’amavo, ivi, p.83 619 V.L., Stanott u sugnà, in La gentilèssa, cit., p.24; Trad.: “Stanotto ho sohnato/ che mi insegnavi a leggere e a scrivere/ […] E io ascoltavo innamorata la tua bella voce paziente/ e guardavo incantata le tue belle mani espressive/ che disegnavano nell’aria […]”. 620 V.L., Zarina che grattavo sempre alla sua porta, morta?, in Poesie per un gatto, cit., p.131 621 V.L., Prima di Lei spuntava la sua ombra, ivi, p.145 622 V.L., Girotondo, in Una quieta polvere, cit., p.108 623 V.L., Nuovi Dèi, ivi, p.110 624 V.L., Nuvola, ivi, p.116 618 283 poemetto scrive i morti se li tocchi sono freddi nel quale però ai presenti si accostano i tempi imperfetti del ricordo misto al sogno, ieri ho avuto una visione/ l’amore mio era in giardino/ metà era vecchio/ metà era bambino.625 Il corrispettivo stilistico di questi presupposti, ossia l’aspetto fiabesco e infantile di molte delle immagini proposte dall’autrice nella sua poesia, è dato dalla tenue manipolazione di un italiano standard tesa a riprodurre una intonazione colloquiale ulteriormente mimetizzata nell’assenza di punteggiatura (“Tua moglie che allegra nel viaggio/ […] le dici guarda il Cervino che bello”) e con il continuo ricorso alla espressività infantile nelle scelte lessicali, nei diminutivi (“domandine”, “fagottino”, “lumachine”, “caldino”) e nella grazia di certe sgrammaticature (“l’amore mio […] è uno dei più pittori di tutti”).626 Tipici del linguaggio infantile sono infatti i diminutivi e i vezzeggiati, utilizzati nello stesso titolo della prima raccolta, Teresino, e i superlativi, continuamente ripetuti in l’amore mio è buonissimo. Entrambe le modalità espressive hanno tendenzialmente risvolti affettivi e sono utilizzati soprattutto nella prima raccolta e nelle poesie dedicate al Dottor B.M.: Scrive/ […] parole con la sua bella calligrafia minutina627; boschi bandierine ragnetti/ i pidocchietti dei bambini le pulci dei cagnolini/ […] ninnenanne piattini chicchere di caffè/ pentolotte sotto le coperte piedini628; la signora della valigetta629; la signora dei foglietti630; lontanissime vacanze/ erano cominciate631; essere vorrei una sua Amantina632. Come “amantina” molti sono i vocaboli inventati dalla poetessa, per rendere in modo più sintetico il senso di ciò che vuole esprimere, ma anche per continuare il modo linguistico proprio dei bambini, che parlano utilizzando strampalati neologismi, piccoli errori grammaticali e ripetizioni enfatiche, con queste ultime riprendendo anche i modi delle fiabe. Parole nuove, spesso ottenute accostando due parole già esistenti, si ritrovano in tutta la poesia della 625 V.L., Questa quieta polvere, ivi, p.65 F.Zabagli, “Teresino” di Vivian Lamarque, in “Paragone”, n.382, dicembre 1981, p.80 627 V.L., Sui vetri della finestra, in Teresino, cit., p.51 628 V.L., Sai la Rita, ivi, p.51 629 V.L., La signora della valigetta, in Il signore d’oro, cit., p.70 630 V.L., La signora dei foglietti, ivi, p.76 631 V.L., Lontanissime vacanze, in Poesie dando del Lei, cit., p.26 632 V.L., Essere vorrei, ivi, p.34 626 284 Lamarque come ad esempio marronblu633; sestessa634; persempre635; buonapasqua636; uomomamma637; brava-bambina638; già-morti e non-ancora/ nati639; similformiche640; sua Gattità641 così come i modi colloquiali e le sgrammaticature: se era un bambino buono o così così642; che mi stesse vicino vicino643; all’amore mio io voglio tanto bene/ tantissimo644; non sentiva la tua mancanza, non gli venivi mai in mente, non ti veniva a trovare645; voleva tenerlo fino a persempre646; un suo luogo lontano lontano che una volta si partiva al mattino647; tantissimo male faceva quel male./ Tanto come mille muri contro una sola fronte […] Anzi. Forse un poco meno648; se un giorno l’amore mio ritornerà/ io sarò felice649; nessuno nessuno ci separerà650; c’erano la vita e la morte la strada/ il percorso da qui/ a là651; chiamalo tu alba spicciati dì Dante652; Cos’è questo odore infernale? […] Rimbambita653; Miryam mi ha chiesto come stai./ -Benone dille benone654. Va notato che in L’albero e in Poesie per un gatto l’autrice utilizza alcuni vocaboli stranieri e parole e modi di dire introdotti nel linguaggio comune dai mass media, come Hoover; week-end; black-out; signori sanspapier; exsogno; gol!gol!; fard; show; share655; -O.k. buonanotte656; discount; 633 V.L., Il signore delle barchette, in Il signore d’oro, cit., p.60 V.L., Il signore della buonanotte, ivi, p.18 635 V.L., Il signore gentile, ivi, p.30 636 V.L., Il signore della Pasqua, ivi, p.57 637 V.L., Amante neonata, in Poesie dando del Lei, cit., p.23 638 V.L., Abbandono, in Una quieta polvere, cit., p.15 639 V.L., Nuvola, ivi, p.116 640 V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.219 641 V.L., Guarda sotto l’albero quante albicocche marce, in Poesie per un gatto, cit., p.39 642 V.L., L’amore mio quando era bambino, in Teresino, cit., p.13 643 V.L., Chissà se l’amore mio ci sarà, ivi, p.13 644 V.L., All’amore mio io voglio tanto bene, ivi, p.13 645 V.L., Il signore meno, in Il signore d’oro, cit., p.40 646 V.L., Il signore alato, ivi, p.36 647 V.L., Il signore del luogo lontano, in Il signore degli spaventati, cit., p.26 648 V.L., Il signore che faceva male, ivi, p.33 649 V.L., Questa quieta polvere, in Una quieta polvere, cit., p.67 650 V.L., Ma nell’aldilà, ivi, p.93 651 V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., p.218 652 V.L., L’albero, ivi, p.221 653 V.L., Cos’è questo odore infernale?, in Poesie per un gatto, cit., p.98 654 V.L., Miryam mi ha chiesto come stai, ivi, p.68 655 V.L., L’albero, in Poesie 1972-2002, cit., pp.221-227 656 V.L., La gironata è finita tornerà tra un anno, in Poesie per un gatto, cit. p.92 634 285 breakfast657; single658; ex-vicino659; -Che schifo di scatoletta./ -E’ “para gatos com tendencia a obesidade”/ -Come?/ -“Gatos com baixo nìvel de actividade”/ -Ti lascio torno alle lucertole […]660. A livello linguistico un discorso a parte andrebbe fatto per la raccolta La gentilèssa, in cui inoltre l’autrice stessa dichiara di aver utilizzato numerose parole non esistenti nel dialetto milanese, introducendo quindi anche in queste poesie alcuni neologismi: mi sono anche concessa qualche parola che esiste solo per me.661 657 V.L., Quando il breakfast, ivi, p.94 V.L., Sei una single tu?, ivi, p.111 659 V.L., Che sussulti ma cosa sogni Ignazio, ivi, p.116 660 V.L., Che schifo di scatoletta, ivi, p.88 661 V.L., Nota, in La gentilèssa, cit., p.15 658 286 Bibliografia POESIA Vivian Lamarque, Otto poesie, in “Paragone”, n.274, dicembre 1972, p.42-43 V.L., Era detto aquilone, in “Nuovi argomenti”, n.32, marzo-aprile 1973 V.L., Vivian Lamarque, in B.Frabotta (a cura di), Donne in poesia, Savelli, Roma 1976, pp.73-74 V.L., L’amore mio è buonissimo, in Quaderni della Fenice 30, Guanda, Milano 1978, pp. 47-68 V.L., Teresino, in “Prato pagano” n.2 (1980). V.L., Teresino, Società di Poesia & Guanda, Milano 1981 V.L. , in Poesie d’amore, Newton Compton, Roma 1986, p.121-122 V.L., Il signore d’oro, Crocetti, Milano 1986 V.L., Questa quieta polvere, in “Paragone”, n.6, dicembre 1987, pp.56-74 V.L., Poesie dando del Lei, Garzanti, Milano 1989 V.L., Il signore degli spaventati, Pegaso, Forte dei Marmi 1992 V.L., Una quieta polvere, Mondadori, Milano 1996 V.L., Poesie 1972-2002, Mondadori, Milano 2002 V.L., Poesie di ghiaccio, Einaudi Ragazzi, Milano 2004 V.L., Poesie per un gatto, Mondadori, Milano 2007 V.L., La gentilèssa, Stampa, Varese 2009 V.L., Poesie della notte, Rizzoli, Milano 2009 V.L., Poesie di dicembre, Emme Edizioni, Trieste 2010; poi V.L., Neve neve dove sei?, Edizioni EL, Trieste 2011 287 FIABE La bambina di ghiaccio e altri racconti di Natale, Edizioni EL, Trieste 1981 La bambina che erano due, in “Psychopatologia”, n.2, dicembre 1984, p.200; con testo a fronte, The little girl who was two, traduzione di Egidia d’Errico, p.201 Il libro delle ninne nanne, Edizioni Paoline, Cinisello balsamo 1989 La bambina e la montagna, in Bella Italia perché le leghe? Uno scrittore per ogni regione d’Italia, a cura di M. Costanzo, Rusconi, Milano 1991, pp. 42-7 L’orsalfabeto spiritoso, Nuova Edibimbi, Legnano 1991 La bambina che mangiava i lupi, Mursia, Milano 1992 La petite fille de glace, Ipomé-Albin Michel, Paris 1992 La bambina senza nome, Mursia, Milano 1993 Arte della libertà. Il sogno di Sara, Mazzotta, Milano 1995 Il Bambino che lavava i vetri, Edizioni C’era una volta, Pordenone 1996 La bambina che non voleva andare a scuola, La Coccinella, Varese 1997 Cioccolatina la bambina che mangiava sempre, Bompiani, Milano 1998 UNIK, storia di un bambino unico, Bompiani, Milano 1999 Coloriamo i diritti dei bambini, Fabbri, Milano 1999 La bambina Non-Mi-Ricordo, in Il tempo dei diritti, Fabbri, Milano 1999, pp. 9-21 Il flauto magico. Dell’opera di Wolfgang Amadeus Mozart, Fabbri, Milano 1999 La minuscola bambina B, Feltrinelli, Milano 2000 La pesciolina innamorata, Colors Edizioni, Genova 2000 La bambina Quasi Maghina, Fabbri, Milano 2001 La luna con le orecchie, Castalia, Torino 2001 Piccoli cittadini del mondo, Emme Edizioni, Trieste 2001 Petruska. Dall’opera di Igor Stravinskij, Fabbri, Milano 2001 L’uccello di fuoco. Una fiaba russa, Fabbri , Milano 2002 Il lago dei cigni, Fabbri, Milano 2002 288 Fiaba di neve, Castalia Casa Editrice, Torino 2003 Pierino e il lupo. Dalla favola musicale di Sergej Prokofiev, Fabbri, Milano 2003 Lo schiaccianoci e il Re dei topi, di E.T.A. Hoffmann, Fabbri, Milano 2003 La Timida Timmi, Piemme junior, Milano 2003 La gallinella disperata, Fabbri, Milano 2004 Stella dei Pirenei, Emme Edizioni, San Dorligo della Valle, 2004 Tre storie di neve, Fabbri, Milano 2006 Storie di animali per bambini senza animali, Einaudi Ragazzi, Milano 2006 Pezzetti d’infanzia. Dalle Kinderszenen di Robert Schumann, Fabbri, Milano 2007 Mettete subito in disordine! Storielle al contrario, Einaudi Ragazzi, Milano 2007 La bambina bella e il bambino bullo e altri bambini e bambine, Einaudi Ragazzi, Milano 2008 La bambina sulle punte, Mondadori junior , Milano 2009 I bambini li salveranno (Chi? Gli animali), Einaudi Ragazzi, Milano 2010 Nel bianco, La Margherita, Milano 2010 TRADUZIONI Sole di notte, di J.Prevert, Guanda, Parma 1983; poi Sole di notte, di J.Prevert con introduzione di G.Raboni, TEA, 1998 Scritti sull’arte, P.Valéry, Guanda, Milano 1984 Lo spleen di Parigi: piccoli poemi di prosa, C.Baudelaire, SE, Milano 1987 L’intrepido sartino, di W. E J. 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Una fiaba russa, Fabbri , Milano 2002 L’usignolo dell’imperatore. 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