Terra, AD - Confronti
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Terra, AD - Confronti
24 agosto 2011 - numero 30 www.confronti.info Terra, A.D. 2100 Mensile progressista della Svizzera italiana Dunca Daniel editoriale Fino a prova contraria su questo numero di Marco Cagnotti 2 3 4 6 10 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 Editoriale Il lupo non è solitario Bufale negazioniste «È colpa nostra» «Viviamo in un laboratorio» Climategate La voce del dissenso La lobby nucleare si ricorda del clima Attenti agli spifferi Terramatta Paranoia antistranieri La corsa di Tita Occasioni perse La balena bianca Colpa loro… no, eh? La bestemmia in chiesa del «GdP» I «diari» di Mussolini Fumetto… Rapporto confidenziale Tifosi? Nel nome della rosa Accidenti Errata Corrige Nel numero di luglio, a pag. 8, ovviamente la metà di un quintale è 50 chili, non 500. Hanno collaborato a questo numero 2 Adriano Agustoni, Pietro Canovati, Tita Carloni, cri.bro, Gabriele Croci, Michele De Lauretis, Firmino, Daniele Fontana, Françoise Gehring, Marlis Gianferrari, Giobbe, Don Juan, Teo Lorini, Carlo Maffei, Mandrake, Occhiovigile, Emma Peel, Roberto Rippa, Astutillo Smeriglia, Silvano Toppi, Cristina Valsecchi, Libano Zanolari. No, non siamo liberi. Non siamo liberi di dire quello che ci pare. O, meglio, siamo sì liberi di sostenere qualsiasi idiozia ci passi per la mente (ci mancherebbe: esiste la libertà di espressione!), ma non siamo liberi di pretendere che goda di attenzione e credito: un'idiozia rimane un'idiozia, se contrasta con i fatti osservati. Perché la Natura è matrigna, non madre, e non ci fa (quasi) mai la cortesia di soddisfare i nostri desideri: il mondo è com'è, non come ci piacerebbe che fosse. Quindi, per esempio, le Torri Gemelle non sono state abbattute dalla CIA e dal Mossad, i «rimedi» omeopatici non funzionano meglio di un placebo, non c'è bisogno di ipotizzare una creazione divina di Homo sapiens e (per restare nel tema del nostro dossier) il clima si sta riscaldando, lo fa per colpa nostra e in futuro andrà pure peggio. Ne consegue che la critica argomentata non è lecita? Ovviamente no. La ricerca scientifica è un costante work in progress, nel quale nuove osservazioni e nuove teorie possono mettere in crisi il paradigma dominante e addirittura costringere gli scienziati a cambiarlo. Il paradigma è il quadro teorico all'interno del quale si muove una comunità scientifica: un quadro coerente, fino a prova contraria, con le misure e le osservazioni. Ciò significa che la maggioranza degli specialisti di una certa disciplina aderisce a quel paradigma. Poi, certo, ci sono le voci discordi di scienziati «eretici»: sono coloro che non trovano convincente il paradigma e ritengono che debba essere modificato o sostituito. Sono preziosissimi, perché rappresentano la coscienza critica della comunità scientifica, con il ruolo insostituibile di impedire ai colleghi di adagiarsi sugli allori delle troppo facili certezze. Gli «eretici» attirano l'attenzione sulle eventuali discrepanze fra teorie e osservazioni, sui fatti nuovi e non spiegabili all'interno del paradigma, sulle possibili interpretazioni alternative delle misure raccolte. I loro argomenti vanno ascoltati e considerati con serietà e attenzione, ma… …fino a prova contraria il paradigma rimane dominante. Forse un giorno sarà necessario rivederlo e magari so- stituirlo, tuttavia, in assenza di qualcosa di meglio sostenuto da prove altrettanto forti, bisogna accettarlo. D'altronde, se migliaia di scienziati si riconoscono in quel paradigma, vorrà dire qualcosa? Nel nostro caso, sostenere che il riscaldamento globale non c'è, o che c'è ma non è provocato dalle attività umane, significa insinuare che i climatologi sono, a migliaia, condizionati da un pregiudizio ideologico. E questa è una colossale idiozia. A maggior ragione quando l'accusa arriva non da chi a propria volta è specialista in climatologia, ma da un editorialista politico o da un economista neoliberista. Che titolo ha, per dire, un Paolo Pamini qualsiasi per discettare di fisica dell'atmosfera? Eppure, non appena una nevicata memorabile ammanta le pianure o un luglio piovoso e frescolino mette in crisi il turismo estivo, troviamo subito costoro a chieder conto del «presunto riscaldamento globale». Citando, in mancanza del climatologo «eretico» disposto a sostenerli nella polemica, qualche sociologo o biologo della Miskatonic University o magari perfino lo Zichichi di turno che, stufo di sproloquiare su Dio e sulla creazione dell'universo, decide di estendere la propria insipienza anche al clima: personaggi che per il comune cittadino sono «scienziati» e quindi degni di credito, ma la cui autorevolezza sul clima è trascurabile. Tuttologi, neoliberisti, scienziati off topic e fisici incarogniti dal Nobel mancato invocano le ragioni dell'economia, della produzione e del consumo, che (a sentir loro) non dovrebbero subire i lacci e i lacciuoli imposti per difendere l'ambiente in nome del bene collettivo, insinuando che «la climatologia non è una scienza esatta» e che «non ci sono prove definitive del global warming». Ma i fatti esistono e le relazioni fra loro possono essere messe alla prova. Il riscaldamento climatico globale è un fatto, la produzione umana di gas serra pure, il legame causale fra i due fatti è accertato, i modelli per descrivere l'evoluzione futura del clima sono affidabili. Sicché, se un pregiudizio ideologico esiste, sta nelle teste di chi nega l'evidenza. Fino a prova contraria. economia Il lupo non è solitario di Silvano Toppi Il successo sta nel fatto che in Norvegia (parliamo in particolar modo della Norvegia che non appartiene né alla Unione Europea né alla zona euro) la concezione di Stato-provvidenza è ben diversa da quella che prevale in Europa. Infatti la Norvegia ha creato ciò che viene definito uno «Stato delle risorse efficace, razionale, democratico». Come? La risposta è lunga e articolata. In estrema sintesi, rileviamo: evitando i conflitti di classe codificando l'assieme della «vita al lavoro» (arbeidsliv, espressione che non riguarda solo il lavoro in se stesso ma tutti i rapporti dentro la comunità di lavoro); ottenendo il pieno impiego non con misure protezionistiche ma con l'adeguamento dinamico di industrie e servizi; promuovendo azioni di governo che ostacolino l'ineguaglianza smodata dei redditi; considerando le risorse naturali (acqua, minerali, foreste, petrolio) come beni pubblici che, anche se sfruttati da privati, costituiscano dapprima una giusta retribuzione alla collettività; gestendo le risorse (umane, capitalistiche, naturali) a beneficio di tutti senza privilegiare, con pretesti di progresso o competitività, la finanza o l'industria; ritenendo la sovranità finanziaria coessenziale alla sopravvivenza dello «Stato delle risorse» nel senso che la banca, la finanza, le operazioni su azioni siano in misura maggioritaria nelle mani di società locali o scandinave e non di istituzioni di altri Paesi e siano quindi finalizzate al benessere di tutto il Paese, cosicché solo in questo modo il risparmio o il capitale locale possano essere partner di lunga durata delle imprese. Dunque priorità al lavoro e al diritto del lavoro. Priorità al giusto impiego delle risorse umane, all'innovazione e alla cultura d'impresa, prima che a un fluenza di una parte sociale contraente (il lavoro, i sindacati), sia con l'affermarsi dell'ideologia di destra che gioca sulla paura dello straniero (che sottrae essenza identitaria e benessere ai norvegesi), destra che avversa pure lo Stato con le sue regolamentazioni (burocrazia). Ideologia che per motivi diversi è in larga misura finanziata dal padronato. Secondo: per la nuova sfida che investe il Paese e che il «lupo solitario» (ma tutt'altro che solitario) voleva condurre nella sua direzione. La sfida consiste nel riuscire a difendere l'equilibrio raggiunto dal Paese contro le forze ideologiche e finanziarie sviluppatesi negli ultimi tempi, in un connubio che in Europa ha sempre provocato disastri enormi. Infatti le forze finanziarie pretendono che la parte più ampia possibile del valore creato vada verso i profitti o che i maggiori guadagni vadano verso i proprietari o gli intermediari del capitale piuttosto che verso i salari, l'imposta, la solidarietà. Fanno quindi leva su quei movimenti che, agendo invece sulla paura del crollo del benessere a causa delle invasioni straniere, ripropongono, addirittura sotto l'etichetta di «progresso», il terreno ideale per un nuovo capitalismo di rapina contro cui la Norvegia ha sempre operato. Non ci vorrà molto per dedurre da tutto questo le similitudini che corrono anche per la Svizzera e per il Ticino. Oppure che la domanda dei media, «Può capitare anche da noi?», poteva avere altro senso. Anders Behring Breivik 3 protezionismo di chiusura. Priorità alla ridistribuzione della ricchezza (attraverso la politica fiscale, che dai dati esposti e dai confronti fatti non risulta eccessiva come si crede). Priorità assoluta data ai beni comuni (risorse naturali, ritenute «proprietà della nazione»): è significativo, ad esempio, che i redditi ricavati dallo sfruttamento del gas e del petrolio siano versati in un fondo di pensione pubblico (Norwegian Government Pension Fund) «creato con lo scopo di permettere alle generazioni future di beneficiare dei redditi ottenuti dalla vendita di beni comuni» (è il secondo fondo sovrano del mondo e gestisce attualmente più di 560 miliardi di dollari). Priorità alla funzione creativa interna, più che alla ricerca di performance finanziarie all'esterno del proprio risparmio e dei capitali. Dopo la tragedia norvegese appare ancora più significativo il fatto che il rapporto citato già nel febbraio scorso si chiedeva chi possa minacciare o mettere a repentaglio questa «via nordica». E rispondeva che la vulnerabilità poteva manifestarsi su due lati. Primo: per l'indebolimento sistematico del diritto del lavoro. Sia con la perdita di in- Tragedia norvegese: vediamola da un altro lato. Come fanno i Paesi nordici, con tassi di imposizione fiscale gravosi e con spese pubbliche elevate nei settori della socialità e della formazione, a risultare più equilibrati e più prosperi degli altri Paesi europei? The Nordic Model: Is it Sustainable and Exportable? (bit.ly/thenordicmodel) è un rapporto pubblicato l'8 febbraio scorso (quindi anteriore alla tragedia norvegese) a Oslo dalla Norwegian Business School (già Norwegian School of Management) e dall'Università di Oslo, nel quale si dà una risposta, dimostrata, forse diversa da quella che ci attenderemmo. dossier di Carlo Maffei Bufale negazio Metti caso che sei lì, al Bar Sport, a leggerti tranquillo il giornale. Le solite cose: le devastazioni notturne a Londra, Berlusconi dichiara che la crisi non c'è e se c'è non è grave e se è grave fa niente, il Nano dice che vuol costruire un muro lungo tutta la frontiera ticinese. Mentre mediti sulla dissennatezza umana, si avvicina un tuo amico e ti presenta un suo conoscente: un giovane economista rampante membro dell'Istituto Bruno Leoni. Siccome il tempo pazzerello è sempre un buon argomento da affrontare con gli sconosciuti, il discorso devia velocemente verso i mutamenti climatici. Il giovane economista sembra informato. Sostiene che il riscaldamento globale non c'è, se c'è non è grave e se è grave fa niente (ma li fanno con lo stampino, i destrorsi?). E snocciola affermazioni in apparenza documentate e lunghe liste di «famosi scienziati scettici sul global warming». Come gli rispondi? Vediamo gli argomenti più frequenti proposti dai climate skeptic e cerchiamo di capire perché sono bufale belle e buone. Il clima è già cambiato in passato Risposta: Vero. Ma… La scienza è in grado di ricostruire con buona precisione le condizioni climatiche del passato e di comprenderne le cause. Il risultato è che sì, è vero: nella storia del pianeta ci sono state variazioni significative della temperatura media e anche periodi più caldi di oggi, ovviamente non per colpa dei SUV e delle centrali a carbone. Ma proprio la comprensione dei meccanismi naturali che inducono i mutamenti ci mostra che un fattore fondamentale è la quantità di anidride carbonica nell'atmosfera. Ebbene, negli ultimi 200 anni, dopo la Rivoluzione Industriale, proprio le attività umane hanno contribuito ad arricchire l'atmosfera di anidride carbonica, a causa della combustione delle fonti fossili di energia. È questa la novità: stavolta la responsabilità è nostra. E la situazione, se la confrontiamo con l'andamento passato del clima, potrà solo peggiorare. Specie se non ci daremo una calmata. L. Rinder È solo colpa del Sole Risposta: Se fosse per il Sole, il clima dovrebbe raffreddarsi, piuttosto. 4 La principale fonte di energia per tutte le forme viventi e per la civiltà umana è il Sole. Nel nostro caso, non solo l'energia ricavata direttamente dai pannelli solari. I combustibili fossili, per esempio, sono prodotti dalla decomposizione di organismi vissuti molti milioni di anni fa, che prosperavano grazie al Sole. Inoltre sfruttiamo l'energia idroelettrica perché c'è il ciclo dell'acqua (dagli oceani alle montagne e infine ancora agli oceani), mantenuto dal Sole. Perfino l'energia chimica nei nostri corpi arriva dalla nostra stella: l'abbiamo ricavata dalla bistecca mangiata qualche giorno fa, bistecca che prima era una mucca, che si nutriva di erba, che a propria volta prendeva energia dal Sole (se siamo vegetariani saltiamo la mucca e andiamo dritti all'erba, ma la sostanza non cambia). Solo le fonti di energia nucleare, geotermica e mareale non derivano direttamente dalla nostra stella. Ma allora, se è così importante, perché non può essere proprio il Sole la causa del mutamento climatico osservato? Se ci limitassimo a considerare il contributo solare, il clima terrestre dovrebbe raffreddarsi, non riscaldarsi. Infatti il ciclo undecennale di attività del Sole è andato calando di intensità negli ultimi decenni. Anzi, secondo alcuni fisici solari potrebbe perfino sparire entro pochi anni. Se sussiste una correlazione con il clima terrestre (e la faccenda è controversa), l'attività solare dovrebbe implicare un raffreddamento. Invece la temperatura media aumenta, alla faccia del Sole. Perciò non è lui il responsabile. dossier niste In realtà il clima si sta raffreddando Risposta: Non confondere il clima con il tempo meteorologico. I modelli climatici sono inaffidabili Alcuni anni fa, in occasione di una formidabile nevicata, «il Giornale» titolava in prima pagina, sotto una grande foto di Milano sommersa dalla neve: «Ecco il riscaldamento globale». Questa è un'idiozia che viene ripetuta ogni volta che il tempo meteorologico sembra contraddire il global warming e che nasce dalla confusione fra le condizioni meteorologiche e il clima. Le prime possono variare parecchio, ma ciò che conta è la tendenza climatica globale su tempi medio-lunghi e su scala planetaria. Un inverno gelido e un'estate frescolina sulle Alpi, anche per un paio di anni di fila, sono perfettamente compatibili con il riscaldamento globale, che viene rivelato da ricerche su scala decennale e condotte su tutto il pianeta. Ebbene, gli indicatori-chiave sono concordi: le temperature vicino alla superficie e nella troposfera aumentano, i ghiacciai e le banchise si ritirano, la copertura nevosa diminuisce, il livello degli oceani cresce. Poi, certo, alcune giornate del luglio di quest’anno sembravano autunnali. Ma questo non significa nulla. Risposta: Falso. Non è poi così male Risposta: Vallo a raccontare ai più poveri. Se è vero che alle alte latitudini, nei climi temperati, un riscaldamento climatico può portare dei benefici all'agricoltura, le catastrofi alle basse latitudini compensano abbondantemente. Il riscaldamento globale provocherà carestie e siccità, perdita di biodiversità, desertificazione, aumento del livello degli oceani, erosione costiera… e di conseguenza ecatombi, guerre ed esodi massicci di milioni di persone. D'altronde anche da noi non saranno tutte rose e fiori. E no, non si tratta banalmente delle stazioni sciistiche in crisi. Se pioverà e nevicherà meno, non solo ci sarà meno da bere, ma sarà anche più difficile riempire gli invasi dei laghi artificiali per produrre energia idroelettrica. Il permafrost, cioè lo strato sotterraneo di terreno sempre ghiacciato, si indebolirà, provocando frane più frequenti e più gravi. Si libereranno dal sottosuolo i depositi di metano, che a propria volta è un gas serra e aggiungerà il proprio effetto a quello dell'anidride carbonica. La questione è controversa e la comunità scientifica è spaccata Risposta: Falso. Ci sono voci critiche nella comunità dei climatologi. Proviamo però a quantificarle, per vedere se davvero «la comunità scientifica è divisa». Fra il 1993 e il 2003 non è stato pubblicato un solo articolo su una rivista professionale che negasse la responsabilità umana nel global warming. Più del 95 per cento degli specialisti in climatologia concorda nell'individuare nelle attività dell'uomo la causa del riscaldamento globale. Nessuna fra le più importanti istituzioni scientifiche nazionali e internazionali mette in discussione la teoria dominante sui mutamenti climatici. E negli elenchi di «famosi scienziati critici sul riscaldamento globale di origine antropica», spesso citati dai negazionisti, pullulano gli economisti, i sociologi, i genetisti, i matematici, i fisici nucleari. I climatologi, cioè le persone davvero competenti, in quegli elenchi non ci sono o, se ci sono, si contano sulle dita di una mano. Per saperne di più Gli argomenti dei negazionisti sono spesso difficili da controbattere. Ma la Rete ci fornisce potenti controargomenti. Il sito Climalteranti.it (www.climalteranti.it) è tutto in italiano. RealClimate (www.realclimate.org) è in assoluto il più aggiornato e completo. Skeptical Science (www.skepticalscience.com) smonta le tesi negazioniste una per una con dovizia di documentazione scientifica. Skeptical Science propone pure un ottimo ebook gratuito di approfondimento sul global warming, disponibile anche in italiano (bit.ly/guidascientifica). Non bastasse, c'è pure un'app per gli smartphone. Poi non dire che non sai che cosa rispondere… 5 La climatologia è una scienza «storica», come l'astrofisica: non può riprodurre in laboratorio il sistema sottoposto a indagine. Però può crearne delle versioni virtuali, cioè simulazioni all'interno di computer: sono i modelli. E sono comodi: basta modificare i parametri del sistema e poi stare a vedere che succede. È chiaro che è un'impresa difficile, perché il sistema è molto complesso e le interazioni fra i diversi fattori sono complicate. Però non è impossibile. E funziona: lo dimostra l'applicazione dei modelli ai dati del passato, dai quali si ricostruisce il clima presente. Anche di fronte a eventi nuovi e imprevisti, come l'improvvisa eruzione di un vulcano che scaraventa nell'atmosfera alcuni chilometri cubi di materiale, alcuni modelli possono prevedere che cosa succederà, ossia, per esempio, come cambierà la temperatura media. E, di fatto, s'è visto che ci azzeccano. Tutto questo dà una ragionevole sicurezza anche sulla previsione del futuro. Ovviamente un modello non può dire che tempo farà in Danimarca il 7 febbraio del 2023. Può però prevedere delle tendenze di massima nell'arco dei prossimi decenni. I modelli vengono continuamente perfezionati, grazie all'aumento della potenza di calcolo dei computer e alle nuove misure raccolte sul campo: al suolo, nell'atmosfera e dallo spazio. Sono dunque uno strumento prezioso e affidabile. E tutti conducono alla stessa conclusione: il clima della Terra va verso un riscaldamento globale e la sua causa è l'attività umana di produzione di energia dai combustibili fossili. dossier «È colpa di Marco Cagnotti nostra scienziato serio. Non solo abbiamo le osservazioni raccolte da quando le temperature vengono misurate rigorosamente, ma anche i dati della paleoclimatologia. Sono molte le metodologie raffinate che ci permettono di ricostruire la climatica: storia dai pollini fossili ai sedimenti oceanici e lacustri, fino all'estensione dei ghiacciai, che chiunque può vedere con i propri occhi. Botanici, paleontologi e chimici collaborano con i climatologi per disegnare il quadro complessivo. Dal quale si conclude, per esempio, che rispetto a un secolo e mezzo fa la temperatura media è più alta di circa 1 grado. «Signora mia, non ci sono più le mezze stagioni»: lo dicono le nostre nonne e probabilmente lo dicevano anche le loro nonne. Da sempre la saggezza popolare ha rivolto la propria attenzione verso il cielo e i suoi fenomeni. Ovvio: la civiltà contadina non poteva prescinderne. Sicché cercava regolarità e anomalie. Qualche volta azzeccandoci, qualche altra no. Poi è arrivata la scienza, 400 anni fa, con il rigore delle misure quantitative. E nell'ultimo secolo e mezzo ha dimostrato che il clima sta mutando in direzione di un riscaldamento globale. Non solo: ha individuato un responsabile. E tenta pure qualche proiezione verso il futuro. Volto noto della televisione per la sua presenza regolare alla trasmissione di Fabio Fazio, Luca Mercalli è un uomo pacato. Non te l'immagini lasciarsi andare a una sfuriata violenta. Eppure nella sua voce si percepisce, contenuta ma inconfondibile, l'indignazione. La stessa che emerge dai suoi libri, il più recente dei quali, Prepariamoci, è appena stato pubblicato da Chiarelettere. Indignazione per la resistenza altrui, in buona o in cattiva fede, nell'accettare un fatto palese: il riscaldamento climatico e le sue cause umane. Indignazione per l'incapacità di trarne le dovute conseguenze e per la pigrizia nell'opporsi cambiando i propri stili di vita. Ma chi è davvero Luca Mercalli? Uno che ha capito tutto sul clima oppure una Cassandra catastrofista? Professor Mercalli, lei è un autorevole climatologo che si esprime a favore della teoria del riscaldamento globale e… Calma: la fermo subito. Io mi occupo solo di una piccola parte della climatologia: lo studio del clima e dei ghiacciai nell'arco alpino. Poi, siccome m'interesso pure di comunicazione della scienza, mi faccio anche portavoce di una comunità scientifica molto vasta. In quest'ambito, il mio ruolo non consiste nel concordare con una tesi o con un'altra, ma nel portare al grande pubblico la conoscenza del paradigma dominante. Paradigma secondo il quale il clima sta cambiando e la temperatura media sta aumentando. Sì, il clima sta cambiando. 6 Ne siamo sicuri? Il riscaldamento climatico non è messo in discussione da nessuno D'altronde nei miliardi di anni di storia del pianeta il clima è già cambiato molto e spesso. Perché preoccuparsi, allora? Anzitutto perché stavolta l'umanità ci ha messo lo zampino: lo ha fatto in passato e lo farà ancora nei prossimi decenni. La nostra specie è un prodotto recente dell'evoluzione: i primi ominidi risalgono a 6 milioni di anni fa e Homo sapiens ha circa 200 mila anni. E l'invenzione dell'agricoltura risale a 8.000 anni fa. Però solo negli ultimi due secoli, a partire dalla Rivoluzione Industriale, abbiamo agito forzando il sistema climatico verso condizioni che non si erano mai viste prima negli ultimi 3,5 milioni di anni: 394 parti per milione di anidride carbonica nell'atmosfera. Però la stessa umanità si è trovata a dover fronteggiare situazioni climatiche molto differenti, nel proprio passato. Sì, ma questo non significa che possa farlo sempre e in tutte le condizioni. Supponiamo per un momento che la tendenza sia invertita, cioè che ci stiamo avviando verso un raffreddamento globale. Dovremmo forse pensare di poterlo affrontare a cuor leggero solo perché 20 mila anni fa i nostri antenati hanno già vissuto nell'Era Glaciale? A quell'epoca c'erano 5 milioni di esseri umani nomadi e cacciatori. Oggi ci sono 7 miliardi di persone, praticamente tutte sedentarie. Lei se lo immagina un Nordamerica ricoperto da una coltre di ghiaccio? D'accordo. Ma noi che c'entriamo? Insomma, come si può essere sicuri che la responsabilità del global warming sia umana? Abbiamo 100 anni di ricerche scientifiche che ci consentono di compren- Il piccolo ghiacciaio della Porta (Gran Paradiso) nel 1897 (a sinistra) e nel 2005 (a destra). » Chi è Luca Mercalli ha studiato agrometeorologia in Italia e climatologia in Francia, specializzandosi nella ricostruzione dei climi e nel monitoraggio dei ghiacciai delle Alpi. Presiede la Società Meteorologica Italiana, associazione nazionale fondata nel 1865, dirige la rivista di settore «Nimbus» e svolge attività didattica per scuole, università e corsi di formazione. Ha una vasta esperienza di giornalismo scientifico e comunicazione ambientale, con oltre 1.000 articoli scritti per «la Repubblica», «La Stampa», «Donna moderna», «Il Caffè», «Gardenia», ed è ospite fisso dei programmi televisivi «Che tempo che fa» su RAI3 e «TGR Montagne» su RAI2. Tra i suoi libri divulgativi, Filosofia delle nuvole (Rizzoli), Che tempo che farà (Rizzoli), Viaggi nel tempo che fa (Einaudi), Prepariamoci (Chiarelettere). La probabilità, non la certezza. Già in passato i paradigmi dominanti si sono rivelati scorretti e sono stati sostituiti da altri. E se vi sbagliaste? Non ho parlato di «probabilità» a caso. La certezza assoluta non esiste. Spesso mi sento obiettare che la climatologia non è una scienza esatta. Ma quale scienza è esatta? Forse che la medicina è una scienza esatta? Non per questo rinunciamo a curare le malattie. E che dire perfino della banale tecnologia quotidiana? Lei ha forse la certezza che la sua automobile partirà, la prossima volta in cui cercherà di accenderla? Certo che no. Si può solo dire quante vetture si rompono ogni 100 mila, non quando e come si romperà quella precisa automobile. E comunque lei domani proverà ad avviare la sua auto. Sicché i modelli climatici attuali sono quanto di meglio la scienza è stata capace di fare finora, fino a prova contraria vanno presi sul serio e gli scienziati sono concordi nel concludere che il riscaldamento globale è un fatto e che la responsabilità è del genere umano. Eppure molti non sono d'accordo e… Non è vero. Lo so: non è vero nella comunità scientifica, che a grande maggioranza aderisce al paradigma. Tuttavia, anche fra i climatologi, qualche voce discorde c'è. Richard Lindzen, per esempio… Richard Lindzen è riconosciuto come uno dei pochi fisici dell'atmosfera critici e con le giuste competenze nel set- Società Meteorologica Italiana 7 dere come funziona il sistema climatico e quali interruttori agiscono sul bilancio energetico. Uno di questi interruttori è proprio l'anidride carbonica, la cui concentrazione ci è nota dai carotaggi nei ghiacci polari. Quando sviluppiamo i modelli climatici, possiamo modificare la quantità di questo gas serra nelle simulazioni numeriche. E, quando la aumentiamo virtualmente nella ricostruzione del clima del passato, scopriamo che anche la temperatura aumenta. La probabilità che l'anidride carbonica di origine fossile sia la causa dell'attuale e futuro aumento termico è elevatissima. dossier tore. D'altronde le sue tesi sono variate con il tempo. All'inizio negava addirittura il riscaldamento globale, poi ha cambiato opinione focalizzandosi su altri dettagli. In sostanza, le sue obiezioni si riducono a un piccolo ambito del problema. D'altronde Lindzen è piuttosto isolato e parla solo per se stesso. Si potrebbe dire lo stesso anche di Luca Mercalli. Ma infatti, come ho detto all'inizio, io mi guardo bene dal dire che Luca Mercalli ha capito tutto del cambiamento climatico. Io sono solo uno specialista di un piccolo settore della climatologia alpina, nel quale faccio ricerca attiva, e inoltre mi presento come portavoce di una grande comunità scientifica, che conosco molto bene perché frequento i congressi, parlo con i miei colleghi e leggo la letteratura scientifica anche di fuori del mio ristretto ambito di competenza. Ma in generale sospetto molto di un quadro nel quale la scienza viene presentata con un uomo solo al comando, con il professor Tal dei Tali che ha capito tutto e dimostra che gli altri sono tutti scemi. Poteva andar bene nell'Ottocento, ma non va più bene oggi, perché la ricerca di punta è un lavoro di cesello svolto da équipe di decine o centinaia di scienziati. Tuttavia, al di fuori della comunità dei climatologi, la questione del riscaldamento globale e della responsabilità umana viene presentata come se fosse controversa. Come se i fatti non fossero ancora accertati. Così almeno descrivono il problema i mezzi d'informazione. Se lei fa un esame del modo in cui i media descrivono i grandi temi oggetto di dibattito, dalla fecondazione assistita agli OGM, dall'eutanasia all'energia nucleare, si accorgerà che le controversie sono ovunque e che c'è una grande superficialità, che deriva dalla semplificazione. Ma semplificare non è possibile. Consideri solo quante parole sto spendendo io con lei, in quest'intervista, e soltanto per grattare la superficie del problema. Invece la stampa e la televisione vogliono sempre semplificare. Prenda il caso, per esempio, del presunto optimum termico medievale… 8 Già, il Medioevo: era un'epoca dal clima mite, vero? Lo si legge dap- pertutto. E di sicuro non era colpa dell'inquinamento. Quindi perché preoccuparsi se anche adesso la temperatura si alza un po'? L'optimum climatico medievale è uno dei grandi luoghi comuni sul clima. Si è diffuso all'inizio del Novecento, basandosi sui dati alpini, quando si diceva che una volta erano facilitati i transiti attraverso i colli alpini. Ma le teorie più recenti ci dicono che in realtà l'optimum climatico medievale non c'è mai stato, almeno non così come si crede. E questo è proprio un argomento sul quale io stesso faccio ricerca. Di fatto, il Medioevo è stato un periodo leggermente più mite di quello che l'ha preceduto e di quello che l'ha seguito, la cosiddetta Piccola Era Glaciale, ma è stata solo una fluttuazione momentanea e circoscritta all'Europa. Se noi consideriamo la temperatura media del Medioevo, ci accorgiamo che oggi l'abbiamo già superata. Però il Medioevo caldo è uno di quegli argomenti sui quali ci si accontenta di quattro battute nei discorsi da bar. Come quando si sostiene che l'aumento dei furti è colpa degli immigrati. Ma la climatologia è proprio una disciplina nella quale non ci si può permettere di semplificare. E ci vogliono professionalità, dati, misure. Professionalità che nei mezzi di comunicazione manca. Così tutti danno credito a tutti e… Guardi, un fatto definitivo, che va al di là dell'opinione di Luca Mercalli o di Richard Lindzen, è la posizione sui cambiamenti climatici dell'Intergovernmental Panel on Climate Change: una struttura di elevatissimo livello creata apposta per dirimere la questione con equità e per arrivare a una mediazione scientifica rigorosa su tutta la conoscenza sul clima. Una struttura che però, forse anche per difficoltà sue nella comunicazione, qualcuno ha cercato di screditare. Dobbiamo però ricordare che l'IPCC è un'emanazione diretta delle Nazioni Unite. Questo significa che i 193 Stati rappresentati nell'ONU ne sottoscrivono le conclusioni. Significa che i 193 governi dichiarano che il mutamento climatico c'è ed è grave. Poi Richard Lindzen e Luca Mercalli possono esporre la propria opinione, ma nei fatti il dibattito è chiuso: non c'è più alcun Paese moderno che neghi il problema ambientale. L'Unione Europea fonda tutta la propria politica su questo presupposto. E, anche se Obama ha vita difficile a causa dell'opposizione della lobby del petrolio, nessuna persona seria mette in discussione il global warming e la responsabilità umana. Abbiamo parlato del passato e del presente. Ora tocca al futuro. Come lo descrivono i modelli? E, anzitutto, questi modelli sono affidabili? dossier Conferenza Venerdì 30 settembre alle 20 e 30, presso l'Istituto Cantonale di Economia e Commercio (ICEC) di Bellinzona, Luca Mercalli terrà una conferenza dal titolo «Prepariamoci», organizzata da «Confronti» e dal Partito Socialista. In che senso? Se anche per assurdo la teoria dell'origine antropica del riscaldamento globale fosse sbagliata… ecco, anche in quel caso i provvedimenti presi sarebbero comunque positivi. È una strategia win-win: ci sarebbe solo da guadagnarci. Risparmieremmo sulla bolletta e sui danni alla salute. Perché quello che esce dalle ciminiere fa male al clima ma anche ai polmoni. In questo caso rispondo solo come portavoce della comunità, perché non sono un modellista. Se vuole saperne di più deve chiedere a un modellista. Però, da quello che mi assicurano i colleghi specialisti di modelli, posso dirle che sì, i modelli sono affidabili e vengono continuamente perfezionati. In questo momento ci sono ricercatori che lavorano proprio per dare ai modelli una maggiore affidabilità. E a quali conclusioni portano i modelli? I risultati sono drammatici. L'intervallo di variazione possibile della temperatura media nei prossimi 100 anni è compreso fra 2 e 5 gradi. Ora, che si avverino le ipotesi più ottimiste oppure quelle più pessimiste, comunque noi vedremo cambiare i connotati alla faccia del pianeta. E questo non va bene per niente, perché l'ambiente è già confrontato con criticità importanti, come le crisi alimentari, la scarsità d'acqua, le disparità di benessere fra le varie regioni del mondo. Ci troviamo già in una condizione di grande fragilità. Proviamo allora a pensare che cosa accadrebbe se si sollevassero gli oceani o se si fondesse il permafrost. Tutti speriamo di essere così bravi da poter contenere la variazione in 2 gradi piuttosto che in 4, ma quello che importa davvero è il segno positivo della variazione. Smettiamo di baloccarci con i decimali, di discutere se il cambiamento sarà di 2,8 oppure di 3,5 gradi. L'importante è che stiamo uscendo dalla variabilità climatica naturale dell'Olocene. E ciò avrà conseguenze importanti sulla nostra vita. Va bene: smettiamo di baloccarci. E che facciamo? Si possono fare tante cose. Per cominciare, si possono tagliare gli sprechi: una scelta che sarebbe eticamente dovuta e tecnicamente possibile. Lo spreco non fa bene a nessuno, salvo a chi ci vende la roba che sprechiamo. Viviamo in una società molto inefficiente, perché dilapidiamo energia e materie prime. Invece potremmo fare le stesse cose, ma farle meglio. Non si tratterebbe di spegnere la luce, ma di accenderla solo quando serve e utilizzando una lampadina a risparmio energetico: avremmo la stessa qualità di vita, ma senza sprecare. Poi c'è il passo successivo: la sobrietà. Che consiste nel chiedersi se davvero tutti questi consumi sono necessari. Ho davvero sempre bisogno di accendere quella lampadina? Già se non sprecassimo e fossimo un po' più sobri potremmo ridurre le emissioni del 30 per cento. Poi magari verrà addirittura l'epoca delle rinunce vere e proprie. Ma in ogni caso ne varrebbe la pena. Anche se ci sbagliassimo. In conclusione, dovremmo modificare le nostre abitudini. Non dovremmo: dobbiamo. È una questione di irreversibilità. Irreversibilità? Certo. In linea di principio, se devo scegliere una linea di condotta, io m'interrogo sempre sulla reversibilità delle sue conseguenze. Se posso correggere un errore, allora vale la pena provare. Se invece il cambiamento è irreversibile, il rischio è inaccettabile. Siccome, se continuiamo così, ci troveremo di fronte a un mutamento irreversibile nelle condizioni del pianeta, dobbiamo necessariamente cambiare le nostre abitudini e vincere le nostre resistenze ideologiche. 9 J.M. Will Messa così, sembra facile: si cambia e via. Perché allora tante resistenze? Perché è un cambiamento che richiede mutamenti profondi di abitudini e di punti di vista. Perché tutti cercano di crearsi degli alibi per non cambiare. Prenda il caso del fumo, per esempio. Fino agli Anni Settanta si sosteneva che il fumo non faceva male alla salute. Gli attori erano sollecitati a girare scene con la sigaretta in mano anche se non erano fumatori, per lanciare un messaggio di virilità e di modernità. Inutile ricordare com'è andata a finire. O consideri il caso dell'amianto. A Casale Monferrato ci sono voluti 30 anni per chiudere uno stabilimento che ha provocato migliaia di morti: non c'è famiglia senza un caso di mesotelioma pleurico. E migliaia ne provocherà nei prossimi 30 anni. Eppure l'amianto continua a essere usato nei Paesi meno sviluppati. Perché? Perché ci sono interessi e opposizioni ideologiche. E lo stesso vale per il clima. dossier «Viviamo in un di Marco Cagnotti Se s'innalzano gli oceani, a noi che importa? Il punto più basso della Svizzera si trova a Brissago, a quasi 200 metri sul livello del mare. Anche i fenomeni meteorologici estremi sono problemi altrui: roba da Tropici o da Equatore. Qui stiamo bene. Che ce ne importa del riscaldamento globale? Anzi, meglio: se fa più caldo, la stagione turistica estiva si allunga. Tanto di guadagnato. O no? M. Dudarev No. Per niente. Anche ragionando da egoisti e fregandocene delle disgrazie altrui (che comunque non è bello), non possiamo ignorare le conseguenze dei mutamenti climatici sulla nostra realtà locale. Ma quali saranno? La persona giusta a cui chiederlo è Marco Gaia, responsabile del centro regionale di MeteoSvizzera a Locarno Monti. 10 Il riscaldamento globale è un fatto assodato. Da un punto di vista quantitativo, il versante sudalpino come sta messo? Qui il mutamento climatico è maggiore o minore rispetto alla media globale? Le misurazioni, che in Svizzera sono eseguite in modo sistematico dal 1864, mostrano un aumento delle temperature statisticamente significativo. Rispetto al trentennio di riferimento internazionale 1961-1990, a partire dagli Anni Ottanta del secolo scorso si nota un deciso aumento della temperatura dell'aria in prossimità del suolo. Quantitativamente, l'ultimo rapporto dell'Intergovernmental Panel on Climate Change pubblicato nel 2007 indica un aumento della temperatura media sull'intero globo terrestre fra il 1906 e il 2005 di +0,74 gradi. Si tratta appunto di una media sia temporale sia spaziale. Ciò significa che ci sono state delle variazioni, anche importanti, sia nel corso dei decenni sia spazialmente da una regione all'altra della Terra. In Svizzera l'aumento dal 1901 al 2010 delle temperature è circa il doppio dei valori globali. Si passa da +1,3 gradi di Lugano a +1,7 di Basilea, fino a +1,9 di Sion. Oltre alle misure dirette della temperatura, quali altri indicatori indiretti locali confermano il riscaldamento a sud delle Alpi? I ghiacciai o i nevai alpini tendono a diminuire il proprio volume e a contrarsi. Differenti specie vegetali tendono a iniziare precocemente lo sviluppo vegetativo in primavera. Alcune specie vegetali non indigene si diffondono sempre più anche nei nostri boschi, mentre s'inizia a notare che quelle indigene si spingono gradualmente a quote sempre più elevate. Tutti questi indicatori non sono però influenzati esclusivamente dalla temperatura. Anche altri fattori possono giocare un ruolo. Ad esempio la distribuzione e la quantità delle precipitazioni, che però a sud delle Alpi non si sono modificate negli anni scorsi in misura così significativa come le temperature. Se il riscaldamento è maggiore rispetto alla media globale, quali sono i motivi di questa peculiarità? Qui il contributo antropico è più importante che altrove oppure i fattori determinanti sono altri? L'aumento della temperatura non è omogeneo sulle varie regioni terrestri: in particolare le zone costiere si sono riscaldate meno delle regioni continentali, perché l'acqua degli oceani, con la sua grande inerzia termica, reagisce meno velocemente rispetto alle masse continentali. Questo spiega in parte l'aumento maggiore della temperatura nella regione alpina rispetto alla media globale. Inoltre un ruolo non secondario lo riveste probabilmente il fatto che le Alpi si spingono fin oltre i 4.000 metri: rispetto a zone continentali molto più omogenee e a basse quote, come certe pianure dell'Europa centro-orientale, questo fa sì che le interazioni all'interno della biosfera siano molto più delicate e gli effetti amplificati. In questo senso si può considerare la regione alpina come un «laboratorio», un riferimento che può essere studiato con attenzione per rendersi conto, magari prima di altre regioni, di eventuali cambiamenti in atto. Il contributo antropico nella nostra regione non è maggiore rispetto ad altre aree. Inoltre non si deve dimenticare che poco importa dove sia emessa l'anidride carbonica: essa ha un tempo di permanenza nell'atmosfera talmente lungo che riesce a distribuirsi abbastanza omogeneamente su tutto il globo terrestre. I quantitativi prodotti in Cina, in Svizzera, in Brasile, in Australia contribuiscono tutti assieme all'aumento complessivo, indipendentemente da dove l'anidride carbonica è stata liberata. Le conseguenze possono poi manifestarsi anche a grande distanza. Si pensi che fra le regioni in cui il riscaldamento dell'atmosfera è maggiore ci sono le regioni polari alle latitudini settentrionali, zone ben poco antropizzate. È possibile tentare delle previsioni sul riscaldamento della nostra regione fra 20-50-100 anni, oppure le simulazioni si applicano solo su scala globale? Non potendo eseguire degli esperimenti in vitro, i climatologi hanno sviluppato negli ultimi 30 anni dei modelli computerizzati che cercano di descrivere le interazioni fra l'atmosfera terrestre, gli oceani e le superfici continentali coperte da foreste, praterie, deserti eccetera. Questi modelli, inizialmente molto grossolani, sono andati via via affinandosi e iniziano a fornire delle indicazioni non solo su scala globale, ma anche sempre più su scala continentale. Sono poi state sviluppate delle tecniche che permettono di «ridurre» i risultati dei modelli globali fino alla scala regionale. Disponiamo dunque anche di proiezioni per Società Meteorologica Italiana dossier laboratorio» Il Ghiacciaio di Pré-de-Bar (Monte Bianco) nel 1897 (a sinistra) e nel 2005 (a destra). Nel nostro contesto, quali potrebbero essere le conseguenze per la società di un ulteriore riscaldamento climatico? Se per società si intende quella ticinese o svizzera, probabilmente le conseguenze maggiori sono quelle indirette. È diverso il discorso se invece si intende la società in senso lato, considerandola a livello planetario. In generale un cambiamento nel regime delle temperature e delle precipitazioni porta con sé differenti conseguenze sull'ambiente. Prendiamo l'esempio dei ghiacciai alpini. Ragionevolmente continueranno a sciogliersi anche in futuro. Le possibili conseguenze sono una diminuzione dell'attrattività turistica come pure una modifica dell'apporto di acqua di origine glaciale nei numerosi impianti di produzione idroelettrica svizzeri. Entrambe le conseguenze sono probabilmente sopportabili per la nostra economia, ma non possiamo nasconderci che saranno necessarie delle misure di adattamento, con i costi che comporteranno. Per la benestante Svizzera è ragionevole pensare che si sarà in grado di affrontare queste nuove sfide per adattarsi. Ma in altre nazioni, con minori disponibilità economiche, probabilmente i costi di adattamento potrebbero essere un ostacolo ben più difficile da superare. C'è allora da domandarsi che cosa questo significherà per le relazioni economiche fra le varie nazioni, rispettivamente come si comporteranno i loro abitanti. Assisteremo a nuovi movimenti di rifugiati ambientali? Dal futuro al presente: dov'è finito il mese di luglio quest'anno? Effettivamente il mese di luglio non ha soddisfatto le aspettative di tutti coloro che desiderano un'estate con temperature elevate, possibilmente sopra i 25 gradi, e senza troppe precipitazioni: l'estate ideale per le attività all'aria aperta e per le manifestazioni turistiche. Però la variabilità climatica del versante sudalpino è tale che erano tutto sommato più «strane» le estati degli scorsi 5-7 anni, calde e soleggiate, che non quella del 2011. Le nostre aspettative sul tempo e la nostra memoria corta in relazione ad esso fanno sì che, nonostante tutto quanto si sente raccontare sui cambiamenti climatici, sotto sotto la maggior parte della popolazione si augura che le estati siano piuttosto come quelle degli scorsi anni, piuttosto che come quella del 2011. Nessuno si ricorda più ormai gli «strani» mesi di marzo, aprile e maggio di quest'anno, particolarmente asciutti e soleggiati, tanto che iniziavano a esserci diversi problemi per l'assenza delle precipitazioni e si superarono i 30 gradi già in aprile. E quei mesi erano sicuramente molto più «strani» che non il mese di luglio del 2011. Chi è Fisico dell'atmosfera e della neve, dal 2001 Marco Gaia è meteorologo presso MeteoSvizzera, di cui dal 2008 è il responsabile del centro regionale a Locarno Monti. Coordina il lavoro di 20 collaboratori, divisi in due team: uno dedicato al servizio operazionale di previsione del tempo, l'altro alle attività di ricerca e sviluppo nel campo della meteorologia radar e satellitare. È pure attivo come conferenziere sulla climatologia e la meteorologia. 11 la regione alpina, suddivisa addirittura fra sud e nord delle Alpi. Esse indicano che tendenzialmente l'aumento della temperatura si mantiene, anzi si dovrebbe rafforzare. Si stima ad esempio per il 2050 un aumento ulteriore di +1,8 gradi rispetto al 1990. Non va però dimenticato che queste proiezioni si basano su ipotesi sullo sviluppo del nostro modo di vita nei prossimi decenni. Lo stile di vita occidentale si estenderà anche alle altre nazioni? Oppure assisteremo a una diffusione massiccia di fonti energetiche rinnovabili? Siccome lo stile di vita ha un impatto diretto sulle emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera, non si può trascurare quest'aspetto nell'interpretazione delle previsioni sui cambiamenti climatici. Poiché nessuno sa esattamente come si evolverà la nostra società, il margine d'incertezza di queste stime non è trascurabile. Nel caso della temperatura, per la regione alpina la variazione delle stime è quantificabile fra +0,9 e +3,4 gradi. Per quel che riguarda il regime delle precipitazioni, ci si aspetta un loro aumento in inverno e una tendenza alla diminuzione nelle altre stagioni. dossier Climategate di Cristina Valsecchi crescimento degli alberi. Esiste infatti un rapporto lineare tra la temperatura media annuale e lo spessore del rispettivo anello sulla sezione di un tronco d'albero. Per ragioni che non sono state ancora del tutto chiarite, a partire dagli Anni Sessanta del XX secolo questo metodo risulta poco attendibile. Le stime ottenute dagli anelli degli alberi relative agli ultimi decenni sono in disaccordo con le misure dirette della temperatura atmosferica. Il «trucco» a cui Phil Jones faceva riferimento in uno dei suoi messaggi consiste nel combinare le temperature più antiche, ricavate dagli anelli degli alberi, con i dati più recenti ottenuti da misurazioni dirette. È una tecnica del tutto lecita per trattare informazioni di provenienza diversa, come hanno confermato gli esperti delle commissioni d'inchiesta che hanno riesaminato le pubblicazioni della Climatic Research Unit. Punto secondo: l'affermazione che il riscaldamento globale non è un fenomeno illusorio dovuto al fatto che le temperature vengono misurate in prossimità dei centri urbani, notoriamente più caldi rispetto alle zone scarsamente popolate. In uno studio del Emergenza mondiale o grande complotto? Come tutte le questioni che hanno importanti risvolti sociali, politici ed economici, la teoria del riscaldamento globale è oggetto di continui attacchi da parte di negazionisti che interpretano l'allarme dei climatologi come un tentativo di destabilizzare la prosperità economica e lo stile di vita dei Paesi industrializzati e denunciano oscure trame degli scienziati catastrofisti. In questo contesto, si inserisce la brutta storia del Climategate. 12 Due anni fa, nel novembre del 2009, i complottisti hanno accolto trionfanti la conferma ai propri sospetti quando una mano ignota ha sottratto e divulgato oltre 1.000 messaggi di posta elettronica e 2.000 documenti riservati che erano archiviati in un server della Climatic Research Unit (CRU) della University of East Anglia di Norwich, in Inghilterra. Alcune frasi tratte da questi documenti, isolate dal loro contesto e riprese dalla stampa di tutto il mondo, suonavano come palesi atti di autoaccusa: «Ho usato un trucco per nascondere il declino delle temperature» oppure «Dobbiamo escludere questi due studi, a costo di ridefinire il concetto di revisione della letteratura scientifica». Nei mesi successivi Phil Jones, direttore della Climatic Research Unit, e i suoi colleghi sono stati scagionati da ogni accusa di manomissione dei dati da parte di ben tre commissioni chiamate a esaminare la questione. Ciononostante, la vicenda ha inferto un duro colpo alla pubblica reputazione della ricerca sul riscaldamento globale e ancora oggi abbondano in rete i blog negazionisti che citano le email rubate a sostegno delle loro ipotesi di complotto. Con questo scopo, concentrano le proprie accuse a Jones e ai suoi colleghi su tre argomenti principali. Punto primo: l'affermazione che l'attuale innalzamento della temperatura media globale non ha precedenti negli ultimi 1.000 anni di storia climatica del nostro pianeta. A sostegno di questa tesi, i climatologi utilizzano stime indirette dei mutamenti della temperatura atmosferica nel corso dei secoli, ottenute analizzando gli anelli di ac- CRU/University of East Anglia 1990, Phil Jones portava a sostegno di questa tesi i dati raccolti per decenni da stazioni meteorologiche cinesi situate lontano da centri urbani. Il contenuto delle email divulgate suggeriva che i dati cinesi fossero di qualità scadente e di dubbia provenienza. Lo stesso Phil Jones ha ammesso in seguito di aver smarrito il materiale originario relativo all'acquisizione di quei dati. Nondimeno, ricerche successive hanno confermato la validità della tesi sostenuta nel suo articolo. Infine, punto terzo: discutendo con un collega, Jones obiettava sull'opportunità di inserire in un rapporto dell'Intergovernmental Panel on Climate Change due ricerche i cui risultati non si accordavano con gli altri studi citati. Su questo punto, il climatologo rivendica con forza il diritto di discutere e criticare la qualità del lavoro dei colleghi come parte del processo di revisione della letteratura scientifica. L'unico aspetto su cui le tre commissioni d'inchiesta hanno biasimato la Climatic Research Unit è l'incapacità di comunicare con il pubblico che gli scienziati hanno manifestato in occasione dello scandalo, la scarsa trasparenza e la tendenza ad arroccarsi su posizioni difensive che non hanno di certo giovato all'immagine pubblica della ricerca. Ma un fatto è assodato: non c'è stata frode né pregiudizio ideologico. E il metodo scientifico è stato rigorosamente rispettato. La sede della Climatic Research Unit. dossier La voce del dissenso di Cristina Valsecchi come di un sistema estremamente fragile e instabile. Invece non c'è alcuna prova dell'esistenza in natura di simili meccanismi di amplificazione. I colleghi dell'International Panel for Climate Change riconoscono i limiti degli attuali modelli nella simulazione del comportamento delle nuvole, eppure le previsioni di un significativo aumento futuro della temperatura media globale si basano proprio sulla presunta amplificazione dell'effetto serra ad opera delle nuvole. Tra i pochi specialisti «dissidenti», il più autorevole è Richard Lindzen, professore di meteorologia presso il Massachusetts Institute of Technology. La sua opinione, per quanto «eretica», non può essere ignorata. Per questo ci siamo fatti esporre le sue ragioni. L'aumento della temperatura media globale è un fatto scientificamente dimostrato? Sì, il riscaldamento globale è un fatto dimostrato. Non è oggetto di disputa. È un fatto che però va collocato nel giusto contesto: la temperatura media globale è un parametro in continuo mutamento. Va detto inoltre che il riscaldamento registrato dalla fine del XIX secolo fino a oggi è minimo. Non c'è un accordo generale sull'entità dell'aumento di temperatura, ma tutti concordano sul fatto che si tratta di meno di 1 grado. Anche la concentrazione atmosferica di anidride carbonica è in aumento, vero? Secondo lei i due fenomeni non sono correlati? È vero: anche la concentrazione di anidride carbonica è in aumento. Però non possiamo attribuire il riscaldamento globale a questo fenomeno, perché l'aumento della temperatura media globale rientra nei limiti della normale variabilità interna del clima, dovuta a processi di origine oceanica come El Niño, l'oscillazione pacifica decennale e l'oscillazione atlantica multidecennale, che determinano scambi di calore tra gli oceani e la superficie. Possiamo formulare previsioni sull'andamento futuro della temperatura media globale? Sono giustificate le preoccupazioni di chi teme conseguenze disastrose? No, non possiamo formulare previsioni attendibili. Chi vuole preoccuparsi è libero di farlo, naturalmente, ma per ora non c'è alcuna evidenza che preoccuparsi serva a qualcosa. Analoghe oscillazioni della temperatura media globale si sono già verificate in passato, legate a processi naturali ben più importanti dell'effetto serra dovuto alle emissioni umane. Che cosa pensa, allora, delle previsioni formulate dai suoi colleghi con l'ausilio di modelli matematici dell'andamento climatico? I modelli utilizzati oggi per prevedere l'andamento futuro della temperatura media globale hanno diversi difetti che li rendono inattendibili. Per esempio, non sono in grado di simulare con la dovuta accuratezza fenomeni come El Niño, l'oscillazione pacifica decennale e l'oscillazione atlantica multidecennale. Non sono in grado di rappresentare con precisione le variazioni climatiche regionali. L'andamento dell'evaporazione in funzione della temperatura così come risulta dalle simulazioni è inferiore a quello osservato direttamente. Ma l'aspetto più importante di tutti è che, secondo questi modelli, il vapore acqueo e le nuvole amplificherebbero gli effetti dell'anidride carbonica. Ne emerge così una rappresentazione del clima Scettici e sostenitori dell'origine antropica del riscaldamento globale basano le proprie ricerche sugli stessi dati. Come mai arrivano a conclusioni tanto differenti? Le ragioni sono tante. I dati di partenza sono tutt'altro che perfetti. La copertura mondiale delle misurazioni spesso è incompleta e i cambiamenti registrati fino a oggi sono piccoli a confronto con il grado di incertezza delle stesse misurazioni. Comunque la distanza tra scettici e sostenitori non è dovuta tanto ai dati grezzi di partenza quanto alle previsioni sull'andamento futuro del clima. Chi è Nato nel 1940 a Webster, nel Massachusetts, e laureato in fisica dell'atmosfera alla Harvard University, Richard Lindzen è attualmente professore di meteorologia al Massachusetts Institute of Technology. Ha pubblicato più di 200 articoli sul trasporto di calore globale, sul ciclo dell'acqua, sulla meteorologia dei monsoni e sui fenomeni atmosferici stagionali. Nel 1995 e nel 2001 ha preso parte alla stesura dei rapporti dell'International Panel on Climate Change delle Nazioni Unite. In numerose occasioni ha criticato la validità dei modelli matematici usati per formulare previsioni sull'andamento futuro del clima. Non condivide le conclusioni di gran parte dei suoi colleghi sull'entità del cambiamento climatico in atto e sulla sua origine antropica. 13 La quasi totalità dei climatologi è concorde nel sostenere che la temperatura media globale è aumentata negli ultimi decenni, che è destinata ad aumentare ulteriormente con esiti potenzialmente catastrofici, e che la responsabilità è dell'inquinamento prodotto dalle attività umane. Ma non tutti sono d'accordo. Molti sono economisti neoliberisti o giornalisti tuttologi la cui opinione può essere serenamente trascurata. C'è però anche qualche rara voce all'interno della comunità scientifica. dossier «Dopo Fukushima, nessuno parla più del clima?»: è questa la domanda che si poneva un Consigliere di Stato dell'UDC del Canton Zurigo sul «Tages Anzeiger» del 6 luglio scorso. E al Congresso del PLRT il presidente ha sottolineato l'importanza della protezione del clima per il suo partito. Tutti e due, membri della nutrita lobby atomica in Consiglio Nazionale, intendevano naturalmente: «L'energia nucleare è l'unica via per proteggerci dalla catastrofe climatica». 14 Nel gennaio di quest'anno, in una votazione consultiva nel Canton Berna, una maggioranza risicata (pari al 51,2%) si dichiarava favorevole a una nuova centrale atomica a Mühleberg. Erano ormai dimenticati i timori suscitati dalla nuvola radioattiva di Chernobyl di più di 20 anni fa. I rappresentanti dei gruppi dell'elettricità non avevano problemi a spiegare che ormai tutto era sotto controllo e che l'atomo era una fonte energetica irrinunciabile. Dopo i gravissimi incidenti ai reattori nucleari in Giappone (per i quali non sappiamo ancora come andrà a finire) l'opinione pubblica è però tornata a nutrire forti dubbi sulla sicurezza di questi impianti. Il Consiglio federale ha deciso un lento abbandono di questa tecnologia e il Consiglio nazionale lo ha seguito. Siamo in attesa delle decisione del Consiglio degli Stati, per nulla scontata. L'UDC, che ha votato contro l'abbandono, e i liberali, che si sono astenuti, ma anche molti rappresentanti dei partiti «di centro», legati ai gruppi di pressione nucleari, si stanno muovendo con prudenza per rilanciare il nucleare. La prima tattica consiste nell'insistere con i dubbi sui costi e le difficoltà della riconversione energetica: opera- zione costosa, dai tempi lunghi, non sufficiente a coprire l'ammanco energetico che ci attende, non in grado di garantire alla nostra industria le quantità di energia sempre crescenti di cui ha bisogno. La seconda tattica è il richiamo ai problemi del cambiamento climatico. Si tratta di solito delle stesse persone o delle stesse cerchie che fino a pochi mesi fa esprimevano i loro dubbi sull'esistenza del riscaldamento globale (linea perdente di fronte ai dati oggettivi) o, più smaliziati, consideravano opinabili la correlazione con l'aumento di anidride carbonica o la responsabilità umana di quest'aumento. La Svizzera non rispetterà gli obiettivi di Kyoto (riduzione dell'8% rispetto al 1990 entro il 2012). L'iniziativa per il clima (che chiede una riduzione del 30% rispetto al 1990 entro il 2020) è di fatto combattuta dal Consiglio federale, e in Parlamento si sta formando un accordo su una riduzione del 20%. La discussione non è però tanto sugli obiettivi (anche se secondo gli iniziativisti sarebbe necessaria una riduzione del 40% per evitare il collasso climatico), quanto piuttosto sulle misure da adottare: misure poco efficaci non permetterebbero di raggiungere neanche i modesti obiettivi fissati. Con un voltafaccia notevole, le lobby energetiche si ricordano ora del clima e buttano là l'idea che il nucleare in fin dei conti potrebbe essere una soluzione. Magari non con centrali come quelle giapponesi, ma con modelli di ultima generazione o addirittura della successiva. Legate alla visione della disponibilità infinita di energia, mentre frenano sulla riduzione della produzione di anidride carbonica le lobby rilanciano l'atomo proprio con argomenti climatici! Qual è invece la posizione di chi non vuole lasciare un mondo surriscaldato o radioattivo alle generazioni future? La ricetta, più volte ripetuta, è: risparmio, efficienza, energie rinnovabili. Le potenzialità di risparmio sono enormi. Le nostre case dovrebbero diventare a energia zero (risanamento energetico degli edifici) o addirittura produrre energia e contribuire all'efficienza delle reti elettriche intelligenti (smart grid). Le nostre vetture, sempre più raffinate tecnologicamente, diventano anche sempre più grosse, annullando i miglioramenti. Sono anche troppo numerose di fronte alle possibilità non sfruttate dei trasporti pubblici e della mobilità lenta. La maggior efficienza dovrebbe essere normale, ma anche qui i progressi sono lenti e spesso annullati dall'aumento dei consumi. Le fonti rinnovabili di energia, considerate «care» da chi non conteggia i costi ambientali e i rischi nucleari facendoli pagare alla comunità, sono in realtà disponibili in misura sufficiente e a costi (tutto compreso) accettabili. Il passo da fare consiste però nel passare da una concezione basata su grandi progetti e consumi crescenti a una visione di produzione di energia diffusa e di consumi in calo. P. Eggermann di Don Juan spifferi Come qualcuno avrà sicuramente notato, l'universo non è abitabile. Di solito si dice che Madre Natura ha preparato tutto a puntino per accogliere la vita umana, il suo fenomeno fisico preferito, ma non è così. L'universo è un posto pericoloso, pieno di radiazioni cancerogene, bombardamenti meteorici e reazioni nucleari: in confronto, l'Inferno di Dante sembra Disneyland. Basta dare un'occhiata in giro per rendersi conto che il fenomeno fisico preferito dalla Natura non è la vita umana, ma il vuoto spinto. L'universo è quasi tutto vuoto e quel poco che c'è è ospitale come uno tsunami. Un posto come la Terra non è la regola, ma l'eccezione. La regola è Plutone (200 gradi sotto zero e niente atmosfera) o Venere (l'atmosfera di una camera a gas e 500 gradi all'ombra), non la Terra. La Natura, più che una madre premurosa, sembra un assassino. Forse, invece che chiamarla «Madre Natura», sarebbe più corretto chiamarla «Jack lo Squartatore Natura». Il genere umano è come una muffa attaccata a un sassolino umido e tiepido sparato nel vuoto cosmico: basta uno spiffero e tanti saluti. Se l'umanità ci tiene tanto a continuare a proliferare sul suo sassolino, allora deve stare attenta agli spifferi. Certo, se un'estate è più calda della media non c'è da preoccuparsi, la media è fatta così, sarebbe molto più strano se tutte le estati avessero sempre esattamente la stessa temperatura. Invece la situazione è un po' più interessante se la temperatura media del pianeta aumenta di 0,7 gradi in 100 anni, come è successo nel XX secolo. C'è un grande dibattito su quale sia la causa di quest'aumento: da una parte ci sono i climatologi che dicono che è colpa degli esseri umani, dall'altra ci sono gli esseri umani che dicono che è colpa dei climatologi che fanno gli allarmisti. Purtroppo io non ho i mezzi per fare dei carotaggi in Antartide e non ho idea di come si faccia una simulazione numerica per studiare l'evoluzione del clima, per cui, in mancanza di meglio, mi tocca fidarmi dei climatologi. Magari si sbagliano. Succede spesso agli scienziati di sbagliarsi: dicevano che il calore è una sostanza materiale e non è vero, dicevano che la luce si propaga nell'etere e non è vero, dicevano che la Via Lattea è tutto l'universo e non è vero. Quindi è possibile che si sbaglino anche stavolta. Ma, finché non arrivano Lavoisier, Einstein e Hubble con una teoria migliore, che cosa dovrei fare? Fidarmi del macellaio? Se si tratta di bistecche chiedo al macellaio, se si tratta di clima chiedo a un climatologo. E al momento la maggior parte dei climatologi dice che quest'aumento di temperatura è anomalo, pericoloso e causato dalle attività umane. Quindi? Quindi ecco il mio piano, una cosa semplice e a costo zero che risolve il problema alla radice: ridurre la popolazione mondiale. Niente di cruento, ci mancherebbe. Basta solo impedire alla gente di fare figli finché non si torna sotto il miliardo, oppure finché non si trova un pianeta più grande su cui traslocare. Che senso ha continuare a riprodursi in questo modo? È per dare a tutti la possibilità di vivere? Tutti chi? Se non fai nascere nessuno non è che stai negando qualcosa a qualcuno, perché prima della nascita non c'è nessuno a cui si possa negare NASA La Terra non è la regola, ma l'eccezione. alcunché. O è forse per migliorare il mondo? Più figli si fanno più probabilità ci sono di mettere al mondo dei geni? Vediamo… nell'anno 1600 non c'era neanche mezzo miliardo di persone, eppure fra queste c'erano Caravaggio, Rubens, Monteverdi, Bacone, Galileo, Keplero, Cervantes e Shakespeare, tutti vivi in quello stesso anno. Ora siamo 14 volte tanto: dove sono i 14 Caravaggio, i 14 Galileo e i 14 Shakespeare? Fare figli può avere senso solo per chi li fa, ma per l'umanità nel suo insieme è solo un fenomeno da razionalizzare, come si fa con le licenze di pesca. Anche se i climatologi dovessero aver torto e il riscaldamento globale fosse una bufala, il sovraffollamento della Terra rimarrebbe comunque un problema pratico: più gente significa più traffico, più code in posta, più ressa agli Uffizi, più urla di notte sotto la mia finestra. La Terra è come un autobus: più si è, peggio si sta. Un'altra cosa che si dice spesso è che gli esseri umani con il loro comportamento stanno distruggendo la Natura. È chiaramente falso: caso mai le stanno dando una mano. 15 di Astutillo Smeriglia dossier Attenti agli Down di Marco Cagnotti terramatt a Ore 6 e 30 di mattina. Apro il browser e clicco sul bookmark di Terramatta: voglio verificare se ci sono novità ed eventualmente fare un po' di manutenzione quotidiana. Normale routine, niente di che. Mentre Safari carica la pagina, mi volto, consulto un documento, frugo fra le scartoffie, passo al client dell'email per vedere chi mi ha scritto stanotte. Poi torno a Safari e… Terramatta non c'è. Al suo posto, una scritta: «Safari non trova il server». Uh? Non è un mio problema locale, perché l'ADSL funziona: tutti gli altri siti sono raggiungibili, la posta arriva, il modem lampeggia come deve. Rica- rico Terramatta, però stavolta ci sto attento. Trattengo il fiato e… «Safari non trova il server». Maledetto! Ricarico. Ancora: «Safari non trova il server». Non va bene. Per niente. È iniziato così un incubo durato qualche giorno intorno a Ferragosto. Ovvio: se qualcosa si rompe, lo fa sempre quando gli Help desk sono fuori servizio (per inciso, lo stesso giorno mi si è scassata anche la lavastoviglie, mannaggia a lei). Nel giro di poche ore l'indirizzo www.terramatta.ch ha risposto ai visitatori «Safari non trova il server», ma anche «Directory listing denied - This Virtual Directory does not allow contents to be listed» e perfino l'orribile «404: Not Found». Perché tutto ciò? Non si sapeva. Non si è mai saputo, di fatto. Di certo non www.terramatta.ch per colpa nostra, comunque. Alla fine Mario, il nostro efficiente sistemista, è riuscito a venire a capo del problema skypando con l'Help desk di Ning negli Stati Uniti (dove, mi dice, ha trovato un operatore piuttosto competente), resettando il sito e modificando l'IP. Ora, nel momento in cui scrivo, Terramatta regge. Speriamo continui. Ma tant'è: la tecnologia è così. Oggi funziona, domani… chissà? Lezione per il futuro, anche per gli iscritti al social network (e pure per me): non agitarsi, non entrare in fibrillazione. Mantenere un atteggiamento zen. Ché Terramatta è importante, ma in fondo è solo un social network. Le magagne importanti sono altre. ai ticinesi non far sapere Paranoia antistranieri 16 L'UDC, in combutta con i suoi alleati (in Ticino la Lega dei Ticinesi) e con formazioni simili (come i Democratici Svizzeri), torna alla carica sulla questione dell'immigrazione e degli stranieri. Lo fa con una nuova iniziativa popolare federale, i cui termini per la raccolta delle 100 mila firme necessarie scadono nel gennaio del 2013. Altre due iniziative sul medesimo tema sono preannunciate: quella dei Democratici Svizzeri (partito in via di estinzione, vista la concorrenza sulle posizioni populiste e xenofobe della stessa UDC), che punta a riequilibrare il saldo migratorio, e quella di EcoPop, che vuol limitare l'aumento della popolazione al 2% annuo. Il momento del lancio delle due iniziative non è certo casuale. In particolare per l'UDC, in vista delle elezioni federali di ottobre, si tratta di rilanciare il tradizionale e classico cavallo di battaglia delle campagne antistranieri. Operazione inoltre necessaria per cercare di far dimenticare la posizione dei democentristi svizzeri e dei loro vari alleati a favore del nucleare in un momento in cui l'uscita dallo stesso è al centro del dibattito politico e delle preoccupazioni della maggioranza della popolazione. Con la sua nuova iniziativa, l'UDC chiede: - di reintrodurre in materia di immigrazione il sistema dei contingenti, privilegiando i bisogni dell'economia, limitando per settori il numero annuale ammesso di stranieri, - di limitare il diritto al soggiorno stabile, al ricongiungimento familiare e alle prestazioni sociali, - di introdurre criteri precisi per l'ammissione, quali la presenza di una richiesta padronale, la capacità d'integrazione e una capacità finanziaria autonoma, di Occhiovigile - la ridiscussione entro tre anni dall'approvazione dell'iniziativa dei trattati internazionali sottoscritti, come quello sulla libera circolazione delle persone. Il caso ha voluto che la presentazione e il lancio dell'iniziativa venissero a cadere proprio tre giorni dopo gli eccidi di Oslo. Un fatto che ha creato qualche preoccupazione agli stessi iniziativisti, che tuttavia per finire non hanno desistito. E non per niente, perché una volta di più le scelte dei democentristi svizzeri e dei loro alleati cantonali, al di là dei contenuti dell'iniziativa, costituiscono l'ennesimo contributo allo sviluppo della cultura dell'odio verso il diverso, verso lo straniero. Cultura che sta alla base degli atti di violenza, e i fatti di Oslo lo confermano. Un'atmosfera che già esiste anche da noi e che è estremamente pericoloso favorire e incentivare. In questo quadro quanto è accaduto a Oslo potrebbe verificarsi anche in Svizzera. Al di là dei danni che l'iniziativa potrebbe causare all'economia svizzera, sulla paranoia antistranieri e sulle relative possibili conseguenze dovrebbero interrogarsi i vari Gobbi, Quadri e Rusconi, sempre in prima fila a cavalcare i temi antistranieri. Ma non ci illudiamo che ciò si verifichi. Non a caso fin qui non abbiamo mai sentito il neoconsigliere nazionale della Lega dei Ticinesi Lorenzo Quadri prendere le distanze dai contatti che il suo collega di gruppo Oskar Freysinger, spesso presente sui teleschermi ticinesi, intrattiene con i gruppuscoli fondamentalisti cristiani e fascisteggianti che appunto diffondono l'odio anti-Islam. Che può sfociare nel tipo di violenza di Oslo. libri La corsa di Tita di Daniele Fontana Lui, con quell'intelligente ironico distacco di cui è capace, lo chiama «fine corsa storicamente determinato». Eppure il libro (Pathopolis, Edizioni Casagrande), uscito proprio per i suoi 80 anni (e doppiato da un lungo colloquio trascritto sull'ultimo numero dell'Archivio storico ticinese), è la condensazione sublime di una persona che ha segnato (metaforicamente e materialmente) il tessuto di casa nostra. E importante per il Ticino, umanamente ancor prima che professionalmente, l'architetto Tita Carloni lo è per davvero. dominante, con il suo Berufsverbot. Il sistema, pubblico e privato, si mise di traverso e la strada di questa giovane, capace generazione si fece percorso a ostacoli. Per taluni un giogo sotto cui piegarsi. Per altri, più indomiti, sbarramento che li costrinse materialmente all'emigrazione in terre meno condizionate da simili logiche, meno soffocanti, più disposte a riconoscere i loro talenti. Carloni, ad esempio, trovò spazi nell'insegnamento accademico a Ginevra. Per qualcuno di loro (e Tita è uno di questi) quella «maledizione» continua tuttora a espletare i propri effetti. «Gli autori come Mumford, insieme con i materialisti storici europei», scrive Carloni nella sua premessa a Pathopolis, «mi sono stati di grande aiuto per capire le trasformazioni degli ultimi cinquant'anni. Ma le loro proposte, le loro speranze, le loro utopie sono state in gran parte deluse, almeno sino ad ora. Anche per questo succede, credo, che un architetto di provincia del secondo Novecento finisca nei suoi ultimi anni per scrivere articoletti come quelli che troverete in questo libro». 80 anni sono una vita. Epperò ci sono vite e vite. Quella di Carloni è certamente esemplare. Nel suo essere forte, nella costanza e nella passione, pur tra mille avversità. Questa è la sua grande lezione. Non arrendersi, mai. Trovare un senso nelle cose, in ogni cosa. Avere il coraggio della critica (quella densa di senso e di proposte), la forza dei sentimenti e l'ostinata, invincibile fiducia in una società migliore. In un Uomo migliore. 17 In Pathopolis («la città malata») è contenuta una cinquantina di articoli che Tita Carloni ha scritto in dieci anni per «Area». E, siccome a quel giornale me l'ero portato io, l'emozione che provo nel mio voler bene a Tita si veste oggi di orgogliosa commozione nel trovare edito in un libro questo mezzo centinaio di testi brevi: densi, sapidi, intelligenti, capaci di pathos, indignazione e ironia insieme. Il frutto maturo, saggio e disincantato di una passione civile autentica. Che polverizza, superandolo, certo snobismo intellettuale. E che smaschera nella sua inconsistenza l'esser contro «parolaio», aprioristico, tanto per esserci. Carloni, che pur li conosce (eccome li conosce!), non parte mai dai massimi sistemi. No, lui muove dalle occasioni, dai fatti quotidiani, dalle cose all'apparenza anche minime. E poi, con il sapere derivante dalla somma di bagagli che la vita gli ha messo a disposizione e che lui ha saputo con intelligenza capitalizzare (anche quelli dolorosi, ingiusti), passa con maestria e capacità pedagogica a parlar di intrecci, di cause e di effetti. Riuscendo a spiegare cose alle volte anche complesse in modo chiaro, intelligibile, godibile. E infatti è sempre un godimento leggere Carloni. Lo raccontano anche le molte testimonianze registrate in questo suo esserci, oggi, sulle pagine di «Confronti». E pare (pare) che forse un domani da qui potrebbe sortire un secondo volume. Sempre che, naturalmente, qualche mano poco lungimirante non abbia prima torto il collo a questa rivista. Dicevamo di percorsi anche dolorosi, nella vita di Carloni. Sì, perché questo bravo architetto di casa nostra, come capitò in quegli anni ad altri giovani pieni di idee, intelligenza, passione e saperi (in particolare nello spietato campo delle attività edili), toccò con testa (nel senso di capocciate) che cosa volesse dire in concreto il potere ´ katholikos contrasto 18 Occasioni perse La balena bianca di cri.bro di Pietro Canovati Questa volta, a tempo ormai scaduto (ma poco importa), vien voglia di parlare di due occasioni perse. La prima occasione persa è quella dei programmatori più o meno estivi della RSI che non hanno saputo rinunciare a imporre in prima serata il massimo distillato della scemenza americana che nelle segnalazioni porta il titolo E alla fine arriva mamma. Ma li pre-visionano, questi telefilm, oppure, come arrivano preconfezionati dai magazzini Mediaset, li mettono in onda, giulivi per il buco riempito? Nel primo caso hanno dato un'infamante patente di stupidità ai telespettatori ticinesi, nel secondo sarebbe opportuno indagare sulle fatture. L'obiezione «Puoi cambiar canale» non tiene. Perché è pure stupida: se la RSI non riesce a offrire cultura, eviti perlomeno l'incretinimento generalizzato, oltretutto facendocelo pagare. La seconda grande occasione persa riguarda il Tour. Non mettiamo in discussione la conoscenza e le qualità tecniche dei due nostri commentatori e la loro innegabile abilità, mista a grande fatica, nel tenere corda per oltre tre ore. C'è chi guarda il Tour (lo abbiamo constatato persino in una casa per anziani) per le splendide immagini e panoramiche dei territori, delle regioni, dei borghi e delle città, dei monumenti storici, della sequenza di castelli e antiche dimore, dei luoghi pregni di storia. «Le Monde» ha scritto che anche chi non è appassionato di ciclismo dovrebbe seguire il Tour proprio per questo. È giusto che quelle immagini rimangono mute o ha senso, sulla visione lenta e circolare di un magnifico e imponente castello, parlare (com'è capitato) delle emorroidi del corridore X, costretto a stare sui pedali? Bisogna allora rifugiarsi su France 2 dove, tra i commentatori, c'è anche uno storico-geografo che non perde mai un'occasione per spiegarci ciò che si sta vedendo. Non pretendiamo tanto dalla RSI, ma una maggior attenzione (e preparazione) anche a quest'aspetto sarebbe tutto di guadagnato, con un'ottima occasione per sposare sport e cultura, Cadel Evans e Francesco II. Un pensierino per l'anno prossimo? Stanno resuscitando la balena bianca. Con i vecchi metodi politico-clericali, le alte gerarchie vaticane e alcuni movimenti dell'associazionismo cattolico, dall'immancabile Compagnia delle Opere (il braccio economico-politico di Comunione e Liberazione, che si sfoga nel tradizionale meeting ferragostano di Rimini) agli Opusdeisti, fino ai Focolarini e via enumerando, si danno da fare. «Balena bianca» era definita l'imponente e invadente Democrazia Cristiana, finita quando si dovette ammettere ch'era tutto meno che bianca e puzzava. Si vuol ricreare un neopartito cattolico, un soggetto politico che si faccia pieno interprete dei desiderata ecclesiastico-vaticaneschi e che dopo il lungo ipocrita ma profittevole innamoramento col Cavaliere, ormai disarcionato, orienti le scelte di un centrodestra post-berlusconiano. Unità cattolica sui valori, trasversale ai partiti, oppure partito unico? Farebbe più comodo il partito unico, il quale potrebbe avere, come la vecchia balena, efficacia certa nell'ottenere prebende e dipendenza più strutturata nel recepire le volontà del Vaticano e dei cardinali che manovrano. Si è così cominciato col presentare un Manifesto per la buona politica e il bene comune in linea con le direttive ecclesiastiche e con la fantomatica dottrina sociale della Chiesa. Che sono: difesa della persona «nella nascita, nella salute e nella malattia» (i famosi «valori non negoziabili», cioè testamento biologico, contraccezione, aborto, staminali eccetera), sostegno economico alle famiglie (se non divorziate), pluralità delle offerte formative (ovvero finanziamento della scuola privata ciellina), sussidiarietà «per un welfare moderno», meno intervento statale e più mercato, «un ambiente favorevole per le imprese, depotenziando la conflittualità sociale». Insomma l'eterno cattolicesimo tra precetti, finzioni, nascondini e compromissioni affaristiche. Commenta ironico l'amico monsignore: «Cristo resuscitò Lazzaro che già puzzava; dai Vangeli prendono sempre il peggio». deliri Colpa loro… no, eh? di Marco Cagnotti Subito dopo gli attentati in Norvegia, la destra ha sostenuto a gran voce che la colpa era dei musulmani. «Con l'Islam il buonismo non paga», titolava «Libero». Si dirà: «Ipotesi prematura ma comprensibile. Dopo l'11 settembre, Madrid, Londra…». Invece non è così semplice. Perché l'Europol ha pubblicato il documento TE-SAT 2010 – EU Terrorism Situation and Trend Report (bit.ly/te-sat2010), dedicato alla disamina degli attentati terroristici nell'Unione Europea nel triennio 2007-2009. Sarebbe bastato consultarne le ultime pagine per scoprire che, su 1.316 attacchi, solo 3 sono stati di matrice islamica (2 su 581 nel 2007, 0 su 441 nel 2008, 1 su 294 nel 2009). La grande maggioranza rientra invece nella categoria del separatismo e ha colpito gli Stati in cui le rivendicazioni sono più forti (ma dai?). Ma non importa, perché il riflesso pavloviano destrorso è irresistibile: «Un attentato? Di sicuro è colpa dell'Islam! Anzi, è colpa del multiculturalismo, troppo comprensivo e disponibile con i musulmani». L'indomani si scopre che no, non erano i musulmani. Era invece (guarda un po') un indigeno tirato su a fanatismo cristiano, nazionalismo esasperato, radicalismo identitario, pregiudizio anti-islamico. Ma per i destrorsi la responsabilità di chi è? Ovvio: del multiculturalismo. «La mia conclusione? Se vogliamo sconfiggere questo razzismo dobbiamo porre fine al multiculturalismo», scrive Magdi Cristiano Allam su «il Giornale». Addirittura, Littorio Feltri conclude che, sull'isola di Utøya, le vittime se la sono anche un po' cercata: infatti, se tutte insieme si fossero coalizzate contro l'assassino, avrebbero potuto sopraffarlo con la sola forza del numero. E Mario Borghezio dichiara a Radio 24 che le idee di Anders Nehring Breivik «sono condivisibili», «alcune buone… al netto della violenza, direi in qualche caso ottime». Siamo al delirio, ormai. Insomma, se sono stati i musulmani è colpa del multiculturalismo, mentre invece se è stato un norvegese allora è colpa del multiculturalismo. La falsificabilità dell'ipotesi va a farsi benedire, Karl Popper si rivolta nella La tag cloud del «Manifesto» di Anders Breivik. tomba. E questa gentaglia si dimostra, per l'ennesima volta, incapace di ammettere che, alla fin dei conti, se si raccoglie tempesta la colpa è di chi semina vento. Cioè colpa loro. E qui? Qui c'è un Nano che per taluni è una macchietta folkloristica. Certo, quando le Iene lo intervistano ci costringe a rimediare figuracce immonde (provate a dire a un italiano che la classe politica della Penisola fa schifo… provate, perché quando citerà Giuliano Bignasca vi verrà voglia di scavare una fossa dove nascondervi per la vergogna). «Però è inoffensivo», dicono in tanti. «Ogni domenica dalle pagine del suo giornalucolo da strapazzo sbraca, farnetica e insulta gli stranieri, i frontalieri, i diversi. Ma più che disgusto suscita tenerezza. È solo un buffo, innocuo esagitato». Innocuo? Lui, forse. Ma… gli altri? Tutti gli altri, che magari lo prendono sul serio? Per fare una strage, di idiota fanatico psichicamente disturbato ne basta uno solo. E… hai visto mai? La bestemmia in chiesa del «GdP» di Giobbe sero state scritte da qualche estremista del «campo avverso» come si sarebbe comportata quella direzione…). Ma poi eccoti anche lo spazio sul giornale della Curia, quello la cui linea dovrebbe esse ispirata alle parole del Vangelo (com'era?… «Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri», Marco 9,50). Ma, si sa, la simpatia ciel-leghista val bene una bestemmia in chiesa. Con buona pace di chi ogni domenica (e ora grazie al giornale del vescovo anche durante la settimana) vien messo in croce. 19 Ormai lo squadrismo applicato a bastonate ogni domenica contro chiunque osi pensarla diversamente dal covo di via Monte Boglia sta diventando moneta corrente in questo Paese. Al punto che oggi persino qualsiasi signor Nessuno si sente autorizzato a promettere manganello e olio di ricino in funzione «dialogante». A lasciare allibiti e inquieti è però il fatto che simili sentimenti bestiali trovino la dignità di spazio sui media «normali». Queste «raffinate» minacce prima sono apparse tra le lettere del «Corriere del Ticino» (chissà se fos- cultura I «diari» di Mussolini di Teo Lorini Chi non ha sentito parlare dei «diari di Mussolini», alla cui ricerca si è da anni lanciato il senatore del PdL Marcello Dell'Utri? Trascurando taluni impegni parlamentari (dai dati del Senato italiano emerge una percentuale di assenze pari al 95,2% delle sedute) in favore di una quête degna de Il nome della rosa, il cofondatore di Forza Italia ha sguinzagliato i suoi segugi per tutto l'orbe terracqueo fino ad arrivare al nostro Cantone, dove, tramite l'intervento del classico Mister X, le leggendarie agende sarebbero saltate fuori dal baule in soffitta (altro superclassico delle cacce al tesoro) di un ex partigiano italiano. Acquisito il materiale, Dell'Utri ha iniziato un complesso valzer di perizie per dimostrarne l'autenticità e, parallelamente, la ricerca di un editore che volesse pubblicarlo. Risultato: nel 2010 esce per Bompiani-RCS un volume intitolato I diari di Mussolini [veri o presunti]. 20 È buona norma del mondo scientifico che un volume di documenti sia firmato da un curatore: uno storico, cioè, che ci metta la faccia per certificare col proprio lavoro la bontà del materiale proposto. Il volume di Bompiani invece (e qui la vicenda gira decisa verso la farsa) di curatore è privo. Nemmeno i possenti mezzi (finanziari e, diciamo così, persuasivi) di Dell'Utri sono valsi a trovare uno studioso disposto ad assumersi questa responsabilità. Il motivo? Lo si può scoprire, assieme a molte altre circostanze di estremo interesse in merito all'affaire dei presunti diari mussoliniani, nell'ottimo volume dello storico Mimmo Franzinelli, Autopsia di un falso, da poco uscito per Bollati Boringhieri. Già autore di diversi tomi sulla dittatura fascista, Franzinelli rintraccia in primo luogo la genesi delle agende mussoliniane, contraffazioni (peraltro abbastanza marchiane) redatte negli Anni Cinquanta da due dame di Vercelli che già all'epoca avevano provato a rifilare la bufala a Mondadori, venendo in seguito processate e condannate per falso e truffa. Dopo aver ristabilito la natura apocrifa del materiale «scoperto» da Dell'Utri, Franzinelli ne segue le vicende documentandone le periodiche riemersioni negli ambienti dei nostalgici del Ventennio. Ma soprattutto chiarisce lo scopo della complessa operazione che ha portato i falsi diari prima nella biblioteca di Via Senato (la fondazione fortemente voluta dal bibliofilo senatore palermitano) e poi nelle librerie grazie al colosso editorial-distributivo RCS. Il Mussolini che emerge dalle false agende «made in Vercelli» appare infatti come un'inerme vittima delle circostanze, un convinto antinazista contrario all'alleanza con Hitler e persino un amico degli ebrei (!), costretto a sterminarli dalla soverchiante follia del detestato dittatore tedesco. Martellando gli identici concetti a ogni intervista e a ogni presentazione, Dell'Utri si basa sulle agende apocrife per condurre un'opera di smaccato revisionismo paragonata da Franzinelli alla diffusione, a inizio Novecento, dei falsissimi Protocolli dei Savi di Sion, che tanta parte ebbero nell'inoculare il pregiudizio antisemita nel cuore dell'Europa. E, dato che proprio ai Protocolli Umberto Eco ha dedicato il suo ultimo romanzo (uscito per Bompiani), in noi si fa strada una domanda. Giusto un anno fa il mondo dell'editoria italiana era dilaniato da un interrogativo: è lecito pubblicare con Mondadori ed Einaudi, le case editrici di Berlusconi? Al cancan degli editorialisti con tanto di elenchi degli autori buoni e di quelli cattivi, alle richieste di abiura editoriale rivolte a molti scrittori, alla rivendicazione di una superiorità etica sulla base dell'editore con cui si pubblica si è unito anche Umberto Eco. Che, per l'appunto, non pubblica con Mondadori ma con il gruppo RCS. Ora, se della verità vogliamo vedere tutto e non solo la parte che ci fa comodo, il dubbio che ci poniamo è questo: come reagisce e dove va a finire la superiorità etica di chi «rifiuta» Mondadori, quando la casa editrice per cui costui pubblica un romanzo sulla mortale pericolosità dei revisionismi e delle manipolazioni storiche dà retta al senatore Dell'Utri (su cui pende una condanna a sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa) e riempie le librerie di copie dei falsi diari che riabilitano un dittatore sanguinario come Mussolini? sussurri Fumetto... di Mandrake L'inverno del disegnatore di Paco Roca Spagna, seconda metà degli Anni Cinquanta. Siamo nel periodo franchista, quindi c'è poco da rompere. Disegnare fumetti a quell'epoca, sotto una dittatura e con una censura, non do- veva essere evidente. Tutte e solo storie simpatiche, barzellette animate a fumetti, niente satira politica, niente erotismo, niente a che fare con quello che possiamo leggere oggi in un fumetto. Senza che gli autori ne sapessero qualcosa, un giornaletto di fumetti, tra Spagna e America Latina, stampava circa un milione di copie. Una storia vera di una manciata di fumettari che decisero di andare contro il loro edi- tore. I motivi sono attuali: paghe ridotte, nessun diritto, l'impossibilità di esprimersi liberamente. Un sogno, una causa persa, la forza di alzare la testa per ottenere dei diritti. In parte raggiunti. Quest'opera di Paco Roca ci racconta la storia del fumetto spagnolo, gli editori, le testate, gli autori e i personaggi. Anche volendo, è difficile restare insensibili: vien voglia di andare a leggere gli originali. Rapporto confidenziale www.rapportoconfidenziale.org Uomini di domenica Quattro giovani amanti del cinema girano a Berlino nel 1929, nell'epoca delle ricche produzioni di Fritz Lang e Josef von Sternberg, Menschen am Sonntag, un film sperimentale a bassissimo costo realizzato al tramonto del cinema muto e della Repubblica di Weimar, all'alba dell'ascesa al potere del Partito Nazionalsocialista al comando di Hitler (che li porterà a emigrare negli Stati Uniti). Sono i registi Robert Siodmak (diventerà un mae- stro del noir; suo I gangsters, del 1946, per cui venne candidato all'Oscar), Edgar G. Ulmer (poi regista di Détour, del 1945), l'assistente alla fotografia Alfred Zinnemann (abbreviato il nome in Fred, è il regista di, tra i tanti, Mezzogiorno di fuoco nel 1952 e Da qui all'eternità nel 1953; tre i Premi Oscar per lui), l'autore del soggetto Kurt Siodmak (poi Curt, è stato sceneggiatore e scrittore; suo il soggetto per L'uomo lupo, del 1941, di George Waggner) e lo sceneggiatore Samuel «Billie» Wilder (diventerà Billy Wilder, in assoluto uno tra i più grandi registi della storia del cinema; impossibile riassumerne qui la carriera). Il film narra di due uomini e due donne (presi dalla strada) che trascorrono una domenica sulle rive del Wan- di Roberto Rippa nsee a Berlino. Una storia innocua? Per nulla: si tratta del ritratto feroce di una battaglia tra i sessi vista da quattro diversi punti di vista. Ma è lo stile visivo del film a essere rivoluzionario per l'epoca: debitore a Ruttmann, Vertov e Eisenstein e precursore del Neorealismo italiano e della Nouvelle Vague francese, il film ha come vero protagonista la cinepresa e non gli attori, che non di rado vengono abbandonati in favore di dettagli, panoramiche o primi piani di persone che non hanno ruolo nella vicenda. Il film è stato restaurato nel 1997 dal Nederlands Filmmuseum integrando spezzoni provenienti dalle cineteche svizzera, belga e italiana. È ora disponibile in DVD ed è da vedere. Voglio abbonarmi a nome e cognome _____________________________________________________________________________________________ indirizzo e località _____________________________________________________________________________________________ 21 L’abbonamento a “Confronti” costa fr. 50.- (fr. 70.- sostenitori / fr. 100.- solidarietà) per un anno (12 numeri) Inviare a: Confronti, Piazza Governo 4, 6500 Bellinzona / Telefono: 091 825 94 62 / [email protected] sport ? Tifosi di Libano Zanolari La resa dei conti, in tutti i sensi, è vicina: perché allo Stato (cioè a noi) il tifo costa 3 milioni l'anno e perché le FFS, i Cantoni e il Dipartimento dei Trasporti non sembrano più disposti a tollerare le distruzioni negli stadi e all'interno dei treni. Quando si tratta di moneta («Pas d'argent, pas de Suisse»), le autorità si muovono. Minore impatto avevano avuto finora i ferimenti dei cittadini colpiti dalla violenza gratuita dei «fan»… 22 Di ritorno da Basilea dopo la sconfitta nella finale di Coppa Svizzera, un migliaio di tifosi del Sion ha devastato il treno speciale che li riportava a casa. Déjà vu: qualche reazione a caldo e si passa all'ordine del giorno. Il treno viene rimesso a posto. Sennonché quel giorno i «fan» hanno inventato un nuovo gioco: il lancio di oggetti vari e di petardi fra la gente in attesa alle fermate. Uno è scoppiato a un metro dal passeggino di un bimbo… A Ostermundigen i tifosi dello Young Boys hanno atteso la fermata del treno che collega la capitale a Thun spaccando i vetri con spranghe e grosse pietre, devastando le carrozze e seminando il panico fra i viaggiatori normali, colpevoli solo di essere presenti sul convoglio usato anche dai tifosi del Thun in festa per l'imprevista vittoria a Berna. A Zurigo 1.500 tifosi del Basilea, in marcia con bandiere e torce al vento, hanno sfondato le porte d'entrata, rapinato l'incasso delle buvette, rubato tutto quanto si poteva cacciare in gola e spaccato infine gli interni dei bagni. Danni per 150 mila franchi, a cui si aggiungono i costi per l'impiego della polizia: 250 mila franchi. Il Letzigrund cambierà i cancelli e le reti di protezione all'interno dello stadio per separare i settori dei «tifosi» e proteggere la gente normale. Costo: 1,2 milioni. A questo punto si potrebbe applicare una legge non scritta che causa danni allo sport e alle società: rinunciare allo stadio, troppo pericoloso per grandi e piccini. Al treno però gli svizzeri, massimi fruitori al mondo, non vogliono rinunciare. Ci mancherebbe altro. Una tavola rotonda fra le autorità e il mondo dello sport che si tiene due volte l'anno non cava il classico ragno dal buco anche perché nessuno può impedire a una persona in possesso di un biglietto valido di salire su un treno o di entrare in uno stadio. A meno di schedare i tifosi o di munirli di una tessera come si fa in Italia. Figuriamoci: la Federazione Svizzera non vuole, i club nemmeno. Ma potrebbe volerlo lo Stato. Siamo all'eterna questione, all'eterno doppio gioco: il mondo del calcio è reticente perché teme di perdere le «Sturmtruppen», che oltre a far cassa fanno «colore», incitano la squadra amica e fischiano gli avversari, incutono paura all'arbitro e cercano di condizionarlo. Insomma fanno il gioco sporco, tipico anche della nostra società, senza passare necessariamente per i servizi segreti. Qui di segreto o misterioso c'è semmai il comportamento delle «autorità», della politica, dello Stato. Ci deve scappare il morto? Conosciamo bene certe tesi sul male minore: meglio lasciar sfogare questa gente allo stadio, evitando guai peggiori… Ora però il vaso è colmo: presto qualcuno dovrà uscire allo scoperto anche a costo di correre qualche rischio o di perdere voti. Le FFS e il Dipartimento dei Trasporti lavorano insieme per vedere se si può trovare una base legale per negare il trasporto ai «fan». La Città di Berna, stufa di pagare, propone partite a porte chiuse e un permesso ai club per poter organizzare le partite: a mali estremi, estremi rimedi, ma sarebbe la fine del campionato. Il Canton Neuchâtel pensa di chiedere il deposito di una cauzione alla società ospite (chi rompe paga). Ma di chi è la responsabilità oggettiva? Il presidente della Federazione Svizzera di Calcio Thomas Grimm la mette sull'assurdo: se il club è responsabile oggettivo della violenza dei tifosi, è responsabile anche di un tifoso che rapina una banca? Forse l'idea più semplice arriva dal Canton San Gallo: i bruti, facilmente identificabili dalle telecamere, vengono sottoposti a processo immediato e puniti. Il ministro dello sport Ueli Maurer dice che non si può punire la passione sportiva e non si possono confondere malessere sociale e sport. Giusto. Ma non si possono nemmeno punire i viaggiatori delle FFS e i normali cittadini amanti dello sport per proteggere le turbe psichiche e le pulsioni violente di molti «fan». Che oltretutto non si limitano alla violenza. In molti mostrano anche la couleur: nera come il carbone. Apertamente, con simboli, canti e bandiere. Che sia questo il problema? glamour Nel nome della di Emma Peel Ce ne sono tantissime: mosqueta, centifolia, damascena, gallica, turca, bulgara. Tutte sono messaggere di splendore. Molte hanno virtù curative e cosmetiche sorprendenti. Alcune sprigionano essenze che incantano i profumi. Altre allietano i palati della cucina mediorientale: si chiamano Folle courtisane, Neige d'Avril, Meijerem, Virgo Mallerin, Esperanza, Mermaid. La lista è lunga, l'incanto prolungato. Le virtù medicamentose della rosa, antinfiammatorio naturale, sono celebri fin dall'Antichità. L'olio di rosa è il preferito in alta profumeria. Possiede virtù analgesiche, antidepressive, antisettiche, antitubercolotiche, emostatiche, sedative, depurative cicatrizzanti e, soprattutto, afrodisiache. Leggiamo in un piccolo prontuario di erboristeria: «L'aggiunta, all'olio di rosa 23 Da Afrodite ad Adone, da Cleopatra a Confucio, da Dante a Guillaume de Lorris e il suo Roman de la Rose: la regina dei fiori ha profonde radici nelle civiltà orientale e greco-romana. È fonte di ispirazione per i poeti ma anche per i creatori di profumi, per i quali le rose rappresentano, unitamente ai gelsomini, ciò che il pianoforte e il violino sono nei concerti di musica classica, per solisti o per duo. mosqueta, di olio essenziale della Rosa di Damasco (Rosa damascena) la regina delle rose dalla fragranza vellutata e avvolgente - consente di ottenere un mix dall'aroma ultrafemminile e dall'azione ammorbidente e idratante per la cute». Famosa l'acqua di rose dell'Officina farmaceutica di Santa Maria Novella, una delle farmacie più antiche del mondo, le cui origini risalgono al XIII secolo, per opera dei frati domenicani di Firenze, che producono l'acqua di rose, considerata a quei tempi sia un efficace disinfettante di ambienti sia un blando medicinale da diluire con il vino o per ingerire delle pillole. Generosa e soprattutto preziosa (ci vogliono dai 3.500 ai 5.000 fiori appena colti per ottenere un chilogrammo di olio essenziale puro al 100%), la rosa fa bene anche all'anima: basta metterne una goccia sul fazzoletto, il cuscino o il cuore. E, per combattere i segni del tempo, mescolare in 50 millilitri di olio di jojoba 2 gocce di rosa turca e 2 gocce di neroli. Basta sfogliarla simbolicamente tra i libri per scoprire altri segreti, virtù, rimedi e ricette. La rosa rossa, quella della passione e delle idee, andrebbe coltivata in ognuno di noi con dedizione particolare. Confronti, Piazza Governo 4, 6500 Bellinzona GAB 6500 Bellinzona Accidenti di Firmino La Lega allarga gli orizzonti L'allucinante Bignasca jr Finora le proposte andavano dai trasporti gratuiti per i giovani alla tredicesima per i «noss vecc». Nei giorni scorsi tuttavia i leghisti hanno avviato sul MattinOnline la battaglia in difesa dei nascituri (o meglio per criminalizzare l'interruzione di gravidanza), per concludere con un atto parlamentare che propone di regolamentare con una nuova legge l'attività dei becchini (difendiamo i «noss mort»!). Il tributo all'integralismo religioso è chiaro. Sbaglia però chi pensa che il neodeputato Sanvido abbia semplicemente voluto difendere la sua onorata e funebre attività commerciale. È solo che, frequentando il PPD, nella Lega hanno capito che i morti possono avere un decisivo peso elettorale… «Ma ogni ora che passa, le favole si arricchiscono di sempre più entusiasmanti particolari: la RSI l'ha definito un "fondamentalista cristiano", altri giornali l'hanno etichettato come un pazzo di estrema destra, altri ancora come un neonazista. Qualcuno ha scritto che è pure massone. Tutto e il suo contrario. In realtà occorreranno alcuni giorni per capire quanto è successo e chi c'è veramente dietro due azioni che non hanno pari in nessun Paese scandinavo. Ma, come in tutti gli attentati terroristici degli ultimi anni, a partire da quelli dell'11 settembre, la versione ufficiale continua a non convincere chi pensa con la propria testa e non si beve tutto quello che emerge da Internet. Risulta molto difficile, anche per i dilettanti dell'informazione, credere che un solo uomo abbia potuto pianificare nei minimi dettagli due azioni di stampo militare, eseguite alla perfezione». Questo testo allucinante è stato scritto da Bignasca junior su «il Mattino» del 14 luglio. Di che restare allibiti, se non si sapesse che l'ideologia del norvegese Breivik coincide in quasi tutto e per tutto con le posizioni della Lega: anti-islamismo virulento, odio per gli stranieri, nazionalismo spinto, impegno cristiano concepito come salvifico Il manganello e il doppiopetto «il Mattino» torna a insultare Paolo Bernasconi, una delle poche personalità di prestigio del Cantone. Il 10 luglio lo definisce «emerito cretino», «squallido personaggio», «besugo», «emerito bambela» e via discorrendo. È allora bene sapere (ma non lo diciamo per Bernasconi, che queste cose le insegna) che la persona lesa nell'onore può denunciare non solo il giornale che lo ha insultato, ma anche lo stampatore. E chi è lo stampatore? La rotativa del «Corriere del Ticino». Mensile progressista della Svizzera italiana Editore Confronti Sagl, [email protected] Redazione Marco Cagnotti, direttore, [email protected] Abbonamenti 50.- franchi all’anno (12 numeri), solidarietà da 70 franchi, sostenitore 100 franchi. Confronti, Piazza Governo 4, 6500 Bellinzona Tel. 091 825 94 62, [email protected] Cambiamenti d’indirizzo Confronti, Piazza Governo 4, 6500 Bellinzona [email protected] e impositivo. Questo è quanto semina da anni la Lega. La speranza è che in Ticino non ci debbano mai essere raccolti come quello di Oslo. Mistero Ministero La decisione del Ministero pubblico di silurare le denunce contro i tre Consiglieri di Stato che hanno deciso per il blocco parziale dei ristorni ai frontalieri lascia di stucco. Non entriamo certo nel merito della questione giuridica (ci penserà il Tribunale federale), ma di sicuro un paio di cose stridono da far paura e un po' puzzano. La prima è stata la decisione del Procuratore generale di passare a una collega un incarto istituzionale così importante: i suoi predecessori avevano sempre trattato in prima persona i dossier istituzionali. La seconda è la iper-rapidità con cui la Procuratrice (nota peraltro per l'attesa infinita con cui altri dossier megaimportanti di reati finanziari giacciono nei suoi cassetti) ha fucilato le denunce. Caro Noseda, è vero che i Bilaterali, con le loro norme a favore degli operai, permettono al Ministero di far bella figura, ma quella luce non serva a far ombra su tutto il resto. Ci ridia, per favore, una Procura coraggiosa su tutti i fronti. Inserzioni Confronti, Piazza Governo 4, 6500 Bellinzona [email protected] Grafica e impaginazione Studio POP, S. Antonino Stampa Tipografia Aurora, Canobbio Tiratura 2’000 copie