La danza della realtà – Pressbook

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La danza della realtà – Pressbook
L'ODE AL DENARO
Il denaro è come il Budda, col lavoro l'otterrai.
Trattienilo, svanirà. Non è tuo che per un attimo tra le tue mani,
ma queste mani non sono tue.
Lascialo fluire, non ti possederà più.
Il denaro è di tutti, ma appartiene a sé stesso.
Il denaro porta la luce a chi lo usa per fare sbocciare il mondo,
e fa appassire chi per propria gloria assimila l'anima alla sua fortuna.
Perché l'anima, lei, nella sua essenza è povertà.
Meno si è, più l'esistenza ci trasmette.
Il suono delle monete è un linguaggio compreso da tutti.
Il suono di una moneta che nessuno agita è molto più sconosciuto.
Anche se le nuvole occultano il sole, l'oro non smetterà di risplendere,
come l'anima che brilla del suo proprio splendore sotto l'osso e la carne.
Il denaro è come il sangue: se circola, è vita.
Il denaro è come il Cristo: se lo condividi, ti benedice.
Il denaro è come la donna, si dà a chi l'ama.
Figlio del sole, l'oro sembra sfuggirci dalle mani,
ma è il fulgore che mostra la strada.
Laviamolo dall'avarizia che c'insegna la morte,
fino a renderlo così invisibile quanto un diamante.
Non c'è differenza tra il denaro e la coscienza.
Non c'è differenza tra la coscienza e la morte.
Non c'è differenza tra la morte e la ricchezza.
Per essere ricco, colpisco con la mia lancia la Dea
E mi bagno nel suo sangue.
Alejandro Jodorowsky
(trad. Antonio Bertoli)
SINOSSI
"Essendomi separato dal mio io illusorio, ho cercato disperatamente un sentiero e un
senso per la vita".
Questa frase definisce perfettamente il progetto biografico di Alejandro Jodorowsky:
restituire l'incredibile avventura e ricerca che è stata la sua vita. Il film è un esercizio di
autobiografia immaginaria. Nato in Cile nel 1929, nella cittadina di Tocopilla dove il film
è stato girato, Alejandro Jodorowsky si è confrontato con un'educazione molto dura e
violenta, in seno a una famiglia sradicata. Sebbene i fatti e i personaggi siano reali, la
finzione supera la realtà in un universo poetico dove il regista reinventa la sua famiglia
e particolarmente il percorso di suo padre fino alla redenzione, riconciliazione di un
uomo e della sua infanzia. Jodorowsky traccia qui l'affresco di un'esistenza che esalta,
al di là di ogni misura, le potenzialità dell'essere allo scopo di rifiutare i limiti
dell'immaginario e della ragione, e di risvegliare il capitale di trasformazione della vita
che si trova in ciascuno di noi.
COLLOQUIO CON A.JODOROWSKY
Con LA DANZA DE LA REALIDAD è la
prima volta che lei realizza un film con
materiale esplicitamente
autobiografico, ma la sua scrittura
rimane molto fantasmatica e onirica,
come se sognasse la sua infanzia in una
cittadina povera del Cile, e fornisse delle
chiavi per comprendere meglio al tempo
stesso la sua vita e la sua opera. Che
cosa rappresenta per lei questo film
dalla forma di un ritorno alle origini,
ventitre anni dopo il suo precedente
lungometraggio?
Per me questo film è come una bomba
atomica mentale. Ho scritto libri e
inventato una terapia che si chiama
"psicomagia", che consiste nel guarire
con degli atti dei problemi psicologici
dell'infanzia legati alla famiglia. LA
DANZA DE LA REALIDAD non è
solamente un film, ma anche una forma
di guarigione familiare, poiché tre dei
miei figli ci recitano dentro. Torno alla
sorgente della mia infanzia, nel luogo
stesso dove sono cresciuto, per
reinventarmi. È una ricostruzione che
parte dalla realtà ma mi permette di
cambiare il passato. Abbiamo girato il
film proprio nel paese della mia infanzia,
Tocopilla, che non è cambiato da 80
anni a questa parte, nella via dove si
trovava la bottega dei miei genitori. È il
solo negozio che era bruciato in questa
strada, e l'ho ricostruito per le necessità
del film. Ho fatto alcuni altri ritocchi,
ridipingendo il cinema o riparando
l'asfalto della strada. Quando ero
bambino questa città mi ha rifiutato a
causa del mio aspetto fisico: avevo la
pelle bianca, il naso a punta, mi
chiamavano Pinocchio, ero figlio di
emigrati ebrei russi nel bel mezzo di un
territorio acquisito dalla Bolivia e
popolato di indios. Ero dunque un
mutante, per gli abitanti. Non avevo
nessun amico e ho passato la mia
infanzia chiuso in biblioteca a leggere
tutti i libri che c'erano. Nel film faccio
vedere come i bambini si burlavano del
mio sesso circonciso. Grazie alle riprese
del film e ai miglioramenti che abbiamo
apportato alla città, sono diventato
finalmente il salvatore, il figlio ideale di
Tocopilla. Mi hanno rilasciato anche un
diploma. Sono l'eroe che ha portato il
filtro magico per salvare il suo popolo, e
questo filtro magico è il cinema.
È un luogo molto povero, isolato. Com'è
stato il ritorno nel suo paese natale?
Era come in un sogno. Tutto è
avvelenato dall'inquinamento delle
fabbriche e delle miniere. Eravamo un
po' malati, non c'era alcun albergo. Ho
ritrovato la città tale e quale era. Come
nel film, avevo i capelli lunghi e me li
sono tagliati dallo stesso parrucchiere.
Ed è il figlio del parrucchiere che era
venuto a scuola con me che taglia nel
film i capelli del ragazzo. Per me l'arte
deve essere più dell'arte, bisogna creare
altro da uno spettacolo capace di
divertire o di suscitare ammirazione.
I suoi film precedenti erano anche delle
esperienze che superavano il media
cinematografico. SANTA SANGRE era
anche una terapia violenta dove
metteva in scena i suoi propri figli.
Successe a causa del produttore Claudio
Argento, che voleva un film horror con
un serial killer. L'ho fatto, ma a modo
mio. Quando ho girato EL TOPO, volevo
fare un western per coinvolgere il
pubblico americano, perché il mio primo
film FANDO Y LIS era stato incompreso.
Con LA DANZA DE LA REALIDAD ho
avuto la fortuna di trovare un giovane,
Xavier Guerrero, che mi ha detto che
avremmo ottenuto delle sovvenzioni da
parte del governo cileno e che
dovevamo cominciare a girare molto
velocemente. Alla fine il governo non ci
ha dato niente, ma abbiamo preparato il
film con un po' di denaro e i miei
risparmi. Grazie al documentario su
DUNE ho ritrovato Michel Seydoux, che
non vedevo da moltissimo tempo.
Credevo che fosse arrabbiato con me
perché non eravamo riusciti a realizzare
DUNE, dunque non gli volevo più parlare
per orgoglio. Abbiamo scoperto che
eravamo sempre amici e che avevamo
sofferto entrambi per la mancata
realizzazione di DUNE, allora ho avuto
l'idea di parlargli di questo nuovo
progetto. Mi ha chiesto di quanto avevo
bisogno e gli ho risposto: "Voglio tra
l’uno e i due milioni di dollari per fare un
film di cui non ti dirò niente. Voglio solo
che mi lasci tranquillo, che tu abbia
fiducia in me, e ti mostrerò il film
quando sarà finito". Mi ha detto subito
di sì. Io non piango mai, ma la sua
risposta mi ha talmente commosso che
ho dovuto trattenermi per non
esplodere in singhiozzi. È ciò che chiamo
un miracolo, perché finalmente ho
potuto fare il film proprio come volevo,
in totale libertà.
Lei descrive i suoi genitori come dei
personaggi eccentrici: suo padre,
interpretato da suo figlio Brontis
Jodorowsky, è vestito come Stalin e sua
madre si esprime solo cantando. Qual è
la parte di invenzione e quale la parte di
realtà?
Devo dire che il fatto di interpretare mio
padre ha cambiato la vita di mio figlio!
Tutto è vero, o quasi. Mio padre era
comunista ed era sempre vestito come
Stalin. Il film è adattato dal mio romanzo
autobiografico La danza della realtà
(Feltrinelli 2004); ho scritto anche un
altro libro - Il figlio del giovedì nero
(Giunti-Citylights, 2003) nel quale
invento che mio padre va ad uccidere
Ibáñez (presidente della Repubblica del
Cile dal 1927 al 1931 e dal 1952 al 1958
- ndr). Questa parte è immaginaria,
anche se lui voleva davvero farlo e non
ha mai messo in atto il suo piano. E
anche mia madre voleva essere una
cantante lirica, ma non lo è mai
diventata. Nel film realizzo i sogni di mio
padre e di mia madre, e io realizzo il mio
sogno di riunirli di nuovo e di creare una
famiglia.
Il suo universo visivo è molto barocco e
delirante ma la messa in scena resta
sobria, frontale e quasi teatrale, con
inquadrature fisse che rinviano alla sua
esperienza nel fumetto.
Ho detto al mio direttore della
fotografia, Jean-Marie Dreujou, che
volevo un'immagine clinico-fotografica,
non estetica. Volevo che la bellezza
scaturisse dal contenuto, non dalla
forma. Abbiamo dunque deciso di
eliminare la forma, di non porre niente
tra la cinepresa e ciò che veniva filmato,
di non fare dei movimenti di macchina
inutili. Ho anche soppresso tutta la
macchineria e la tecnica che circondano
normalmente le riprese per mantenere
soltanto un cameraman con la sua
steadicam. Una volta finito il film, ho
rielaborato tutti i colori grazie al
digitale. Questo film rappresenta una
prodezza tecnica perché è stato
realizzato in modo molto originale. Ho
ucciso l'estetismo per creare un'altra
estetica. Mi sono limitato all'essenziale,
il montaggio e i piani sequenza devono
molto al fumetto, il film avanza come un
fiume.
In LA DANZA DE LA REALIDAD si ritrova
un folclore associato al suo cinema: il
mondo del circo, i mendicanti storpi …
Questo faceva parte del suo quotidiano
quando era bambino?
Evidentemente! Gli invalidi erano già là
quando ero bambino, li ho filmati nello
stesso posto. Il villaggio era pieno di
uomini mutilati dagli incidenti in miniera
e dalle esplosioni della dinamite.
Handicappati e incapaci di continuare a
lavorare, erano buttati per strada come i
cani. Si ubriacavano con l'alcol per
bruciare.
Grazie a LA DANZA DE LA REALIDAD si
capisce che tutte le immagini e i
personaggi barocchi che popolavano i
suoi film non provenivano da riferimenti
culturali o cinematografici, ma della sua
vita.
Mia madre aveva dei seni enormi, ho
dovuto cercare un'attrice con un grosso
petto. Se si mostra una donna
abbondante si pensa a Fellini, se si
mostra un nano si pensa a Buñuel, se si
mostra un "freak" si pensa a Tod
Browning. Ma no, era la mia vita nel mio
paese. Tutti gli elementi della mia
infanzia sono lì.
Oggi molti registi non nascondono la
loro ammirazione per i suoi film, da
Nicolas Winding Refn a Gaspar Noè
passando per Rob Zombie…
Sono un piacere e un unguento per
curare le mie ferite. Mi sento come un
radiatore pieno di cicatrici. La mia vita di
regista non è sempre stata facile. In
Messico volevano linciarmi dopo la
proiezione del mio primo film, FANDO Y
LIS. Sono stato vittima di insulti e di
persecuzioni. LA MONTAGNA SACRA ha
impiegato trent' anni per essere
riconosciuta. Ho aspettato molto tempo
per girare i miei film e ho sempre
negato di fare del cinema commerciale.
EL TOPO ha avuto un bel successo
underground a New York e quel periodo
era molto bello per me, ma poi tutto è
stato più complicato. Ma non ho mai
smesso di immaginare dei film che non
potevo realizzare, ce ne sono centinaia
nella mia testa. Spero che LA DANZA DE
LA REALIDAD sia l'inizio di un nuovo
ciclo, una rinascita del mio cinema che è
sempre stato una lotta contro
l'industria.
colloquio realizzato da Olivier Père
(trad. Antonio Bertoli)
JODOROWSKY CINEASTA PANICO
Alejandro Jodorowsky ha firmato
soltanto sette lungometraggi in
quarantacinque anni, ma la sua fama è
immensa nella cerchia degli amanti delle
originalità cinematografiche. Negli anni
70 fu un divo dell'underground, una
vera superstar dei milieux artistici della
controcultura internazionale. Non
avendo potuto mettere in scena dei film
all'altezza delle sue ambizioni deliranti
(fallì nel girare Dune prima di David
Lynch, come ricorda un documentario
proiettato alla "Quinzaine des
réalisateurs" di Cannes nel 2013), si è
dedicato molto alla letteratura, al
fumetto o all'insegnamento del tarocco,
prima di ritornare alla regia con LA
DANZA DE LA REALIDAD, La Danza Della
Realtà. Jodorowsky è un cineasta
visionario, categoria in voga all'epoca
dello psichedelico e del nuovo
permissivismo in materia di sesso e di
violenza, dove si raggruppavano Kubrick
e Fellini, ma anche molti dimenticati
maestri minori. Jodorowsky si è sempre
trovato tra i due, adulato dai fan di rock
o di fantascienza per la sua abbondante
immaginazione e il potere delle sue
immagini, mai preso davvero sul serio
dai custodi del tempio cinematografico.
Tuttavia Jodorowsky è un cineasta
consacrato, di cui ogni film è la traccia di
un'avventura, di una visione o di
un'esperienza ancora più folle,
spaventosa o pericolosa, paragonabile
in questo a Dario Argento o a Werner
Herzog.
Alejandro Jodorowsky, figlio di una
famiglia di ebrei russi emigrata in
Sudamerica, nasce in Cile nel 1929 e
diventa clown in un circo e poi
burattinaio a Santiago. Francese di
adozione, studia il mimo con Marcel
Marceau, incrocia Maurice Chevalier e
crea nel 1962 il movimento Panico (in
omaggio al dio Pan) con Roland Topor e
Fernando Arrabal. È in Messico che
realizza i suoi primi film. FANDO Y LIS
(1968), da una pièce teatrale di Arrabal,
provoca scandalo all'epoca delle sue
proiezioni. EL TOPO (1970) è un western
barocco e sanguinario, ma anche un trip
metafisico dove si incrociano la pop art
e il teatro della crudeltà di Artaud, in
una mescolanza di misticismo e di
religiosità latina che incontra un
successo enorme presso gli hippy del
mondo intero. EL TOPO inaugura in
America e in Europa la moda delle
proiezioni settimanali di mezzanotte,
dove si avventano come alla messa i
fanatici di film come PHANTOM OF THE
PARADISE, PINK FLAMINGOS o
ERASERHEAD. Forte di questo successo,
e aiutato da alcuni mecenati e celebri
ammiratori come John Lennon e George
Harrison, Jodorowsky immagina un
ambizioso colossal esoterico che
mescola diverse pratiche e credenze,
dalla cabala alla meditazione zen. La
Montagna Sacra, (THE HOLY
MOUNTAIN, 1973) è una Divina
Commedia sotto acido, vagamente
ispirata a "Il Monte analogo" di René
Daumal, una successione di quadri
apocalittici, scioccanti e grotteschi che si
conclude con la ricerca di un gruppo di
uomini e di donne, condotti da un guru
(lo stesso regista), verso l'immortalità.
Estremamente spettacolare, filmato in
Cinemascope e in Tecnicolor, LA
MONTAGNA SACRA offre un'esperienza
abbastanza unica per lo spettatore,
spesso impressionante per l'ampiezza
del delirio visivo e la bellezza convulsa
delle immagini, dove l'oscenità,
l'onirismo e la verità si confondono in
un ampio campo poetico. Jodorowsky si
dichiarava allora il "Cecil B. de Mille
dell'underground", ciò che definisce
perfettamente il suo progetto,
estremamente megalomane ma capace
anche di condurre per mano lo
spettatore meno iniziato in mezzo a una
dissolutezza di mezzi e di idee folli grazie
a emozioni e sensazioni elementari.
Nel 1980 Jodorowsky realizza un film
d'avventure per bambini altrettanto
poetico quanto i suoi film precedenti,
ma molto meno violento, TUSK, favola
sui destini paralleli di una ragazza
inglese e di un elefante nati lo stesso
giorno in India. La storia è bella ma
l'esperienza è amara, patendo il film
delle riprese e di una produzione deboli,
e il suo insuccesso allontana Jodorowsky
dai palcoscenici di cinema.
Dopo un'eclissi cinematografica di nove
anni, ritorna al cinema con SANTA
SANGRE (1989). Il produttore italiano
Claudio Argento, fratello di Dario,
propone al cineasta di mettere in scena
un film horror in Messico. Jodorowsky
accetta l'invito, senza per questo
indebolire la follia del suo immaginario e
limitarsi alle regole del genere. SANTA
SANGRE è un grande esito dell'artista
panico, che firma qui il suo film meno
esoterico, pur conservando un legame
molto forte con la magia e la religione. È
anche un film più narrativo e accessibile,
poiché SANTA SANGRE si avvicina a un
melodramma psicoanalitico o a un
thriller fantastico, solo più folle,
sanguinario e commovente della
maggior parte dei film dello stesso
filone. Se le digressioni e le provocazioni
sono sempre molto sorprendenti,
SANTA SANGRE rimane uno dei più
indimenticabili racconti di follia e di
ossessione del cinema contemporaneo,
sulla linea dei capolavori di Tod
Browning, FREAKS e L'IGNOTO. Il
personaggio centrale del film, a diverse
età della vita, è interpretato da due dei
figli del regista, Adan e Cristobal (Axel
all'epoca del film), imbarcati in
un'esperienza al tempo stesso
traumatizzante e liberatoria, che si
prolungherà con LA DANZA DE LA
REALIDAD. Le riprese diventano un vero
e proprio esorcismo familiare,
un'esperienza emozionale ed umana
che supera, come sempre in
Jodorowsky, il dominio stretto della
produzione di un film.
Dopo un esito simile, il fallimento di "Il
Ladro Di arcobaleno" (THE RAINBOW
THIEF, 1990) con Omar Sharif e Peter
O'Toole è tanto più sorprendente. Il
cineasta non sembra aver investito
molto di sé in questo film, che rimane il
meno personale dei suoi.
Contrariamente a LA DANZA DE LA
REALIDAD, che mette fine a un'assenza
cinematografica di 23 anni, una sorta di
prova autobiografica nella quale
Alejandro Jodorowsky invita lo
spettatore a un viaggio introspettivo,
con un commovente ritorno alle origini
della sua infanzia e del suo universo
fantasmatico.
Olivier Père
(trad. Antonio Bertoli)
FILMOGRAFIA SELEZIONATA
2013
1990
1989
1980
1973
1970
1968
LA DANZA DE LA REALIDAD
Il Ladro dell'Arcobaleno (THE RAINBOW THIEF)
SANTA SANGRE
TUSK
La Montagna Sacra (THE HOLY MOUNTAIN)
EL TOPO
Il Paese Incantato (FANDO Y LIS)
INTERPRETI
Jaime
Sara
Alejandro bambino
Alejandro adulto
Carlos Ibanes
Don Aquiles
Anarchico
Teosofo
Brontis Jodorowsky
Pamela Flores
Jeremias Herskovits
Alejandro Jodorowsky
Bastian Bodenhöfer
Andres Cox
Adan Jodorowsky
Cristobal Jodorowsky
SCHEDA TECNICA
Regia
Sceneggiatura
Alejandro Jodorowsky
Alejandro Jodorowsky
Prodotto da
Michel Seydoux
Moises Cosio
Alejandro Jodorowsky
Produttore esecutivo
Direttore della fotografia
Creatrice dei costumi
Musica originale
Supervisione musicale
Mixaggio
Ingegnere del suono
Xavier Guerrero Yamamoto
Jean-Marie Dreujou (AFC)
Pasquale Montandon-Jodorowsky
Adan Jodorowsky
Jonathan Handelsman
Jean-Paul Hurier
Guadalupe Cassius
Sandy Notarianni
Maryline Monthieux
Montaggio
per tutte le fotografie: © Pascale Montandon-Jodorowsky