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scheda tecnica
titolo originale: THE MOTORCYCLE DIARIES
durata: 126 minuti
nazionalità: ARGENTINA, CILE. PERU', USA
anno: 2004
regia: WALTER SALLES
soggetto: CHE GUEVARA, ALBERTO GRANADO
sceneggiatura: JOSE' RIVERA
produzione: SOUTH FORK PICTURES, FILMFOUR, TU VAS VOIR PRODUCTIONS,
SENATOR FILM PRODUKTION
distribuzione: BIM DISTRIBUZIONE
fotografia: ERIC GAUTIER
montaggio: DANIEL REZENDE
scenografia: CARLOS CONTI
musiche: GUSTAVO SANTAOLALLA
interpreti: GAEL GARCIA BERNAL
CHE GUEVARA
RODRIGO DE LA SERNA
ALBERTO GRANADO
MERCEDES MORAN
CELIA DE LA SERNA
JEAN-PIERRE NOHER
ERNESTO GUEVARA LYNCH
SUSANA LANTERI
TIA ROSANA
MIA MAESTRO
CHICHINA FERREYRA
GUSTAVO PASTORINI
PASSEGGERO
MARINA GLEZER
CELITA GUEVARA
LUCAS ORO
ROBERTO GUEVARA
WALTER SALLES
Biografia
Nato nel 1956, a Rio De Janeiro (Brasile) cresce
in Francia e negli Stati Uniti prima di trasferirsi
definitivamente in Brasile. Salles s'impone
nell'industria
cinematografica
e
televisiva
brasiliana come regista di documentari di
successo nel periodo della sua maggiore crisi,
cioè negli anni '80 fino all'inizio degli anni '90.
Interessato ai temi dell'esilio e della ricerca
d'identità, inizia a muovere i primi passi nella
fiction con il thriller "Arte Mortale" (1991).
Nonostante la sua attività di documentarista sia
concentrata in Europa, il regista decide di restare
a vivere in Brasile dove dirige uno dei più
importanti film brasiliani di quel periodo: "Terra
Straniera" (1995), diretto con Daniela Thomas.
Vincitore di vari premi internazionali, il film segna
la rinascita della cinematografia brasiliana. Segue
"Central Do Brasil" (1998), premiato a Berlino'98
come miglior film e per l'interpretazione di
Fernanda Montenegro, e candidato all'Oscar
come miglior film straniero.
Filmografia
ARTE MORTALE - regia - 1993
TERRA STRANIERA - regia, montaggio e
sceneggiatura –1995
CENTRAL DO BRASIL - regia e soggetto –1998
MIDNIGHT - regia, soggetto e sceneggiatura - 1998
DISPERATO APRILE - regia e sceneggiatura 2001
THE ASSUMPTION - regia –2002
I DIARI DELLA MOTOCICLETTA - regia –2004
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GAEL GARCIA BERNAL
VIDAS PRIVADAS - attore - 2001
NESSUNA NOTIZIA DA DIO - attore - 2001
Filmografia
IL CRIMINE DI PADRE AMARO - attore - 2002
AMORES PERROS - attore - 2000
DOT THE I - attore - 2003
Y TU MAMA' TAMBIEN - ANCHE TUA
MADRE - attore - 2000
LA MALA EDUCACION - attore - 2004
I DIARI DELLA MOTOCICLETTA - attore 2004
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PRIMA DELLA RIVOLUZIONE
da Vivilcinema –di Barbara Corsi
Per Gianni Minà il cinema rappresenta una nuova fase in una lunga e ricca carriera,
cominciata come giornalista sportivo e proseguita come autore per la Rai di oltre 150
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emarginato dalla Rai sotto la presidenza Moratti - fra i primi nomi di una lunga serie –tenta
senza successo di realizzare un film tratto da Notas de viaje di Che Guevara e Con el
Che por America latina di Alberto Granado, i due diari del lungo, epico viaggio compiuto
dai due giovani amici nel 1952 attraverso cinque stati del continente sudamericano. A
sbloccare il progetto, quattro anni fa arriva improvvisa la telefonata di Robert Redford, che,
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Minà, proprietario dei restanti diritti su entrambi i diari.
Grazie al loro incontro, la storia del viaggio di Guevara e Granado è diventata un film, I
diari della motocicletta diretto da Walter Salles, e un documentario, In viaggio con Che
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del festival di Cannes.
Lei e Redford avete concordato il taglio da dare al film?
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la miseria, lo sfruttamento di cui sono vittime gli esseri umani nel loro continente, e
tornano cambiati. Guevara diventa un rivoluzionario, Granado sceglie di fare il
ricercatore in un paese povero. Io avevo sempre sognato di ripercorrere le tappe di
questo viaggio, così ho detto a Redford che invece dei soldi, volevo il permesso di
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comprimari.
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America latina che scoprirono allora Granado e Guevara?
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nel sud del Cile. Lì videro le miniere di rame e le condizioni in cui lavoravano i
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Pablo, dove lavorarono quasi un mese. Da lì in Colombia, dove parteciparono a
manifestazioni giovanili e furono arrestati, e infine in Venezuela, dove Granado, che
era biologo, si fermò per fare il ricercatore. Guevara rientrò in Argentina, si laureò e
ripartì per raggiungere il suo amico, ma durante il viaggio si imbatté nella
repressione violenta dello sciopero dei minatori in Bolivia e nel colpo di stato in
Guatemala e in Messico. Conobbe i giovani cubani che stavano preparando la
rivoluzione contro il dittatore Fulgencio Batista e si unì a loro. Quattro anni dopo era
già il comandante Che Guevara, otto anni dopo chiamava a Cuba il suo vecchio
amico. Granado lo raggiunse, fondò la scuola di medicina di Santiago e avviò la
ricerca biotecnologica. Ora ha 82 anni ed è un pensionato povero, mentre avrebbe
potuto essere un ricco barone, ma non si è mai pentito di aver fatto questa scelta. È
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La faccia del Che è finita sulle magliette perché il capitalismo è spietato, e si
appropria delle cose senza pagarle: la famiglia Guevara non ha mai visto una lira.
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ridurre questo personaggio scomodo a un gadget. Ma non ci sono riusciti, perché il
Che parla col suo esempio. Non è normale che due giovani che partono in
motocicletta per cercare avventura e ragazze, finiscano per lavorare senza
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motocicletta, fra qualche anno uscirà il film di Terence Malick con Benicio Del Toro
e del Che si parlerà ancora.
Ha altri progetti cinematografici, dopo questo?
In autunno dovrei iniziare a dirigere un mio film, intitolato Vedrai vedrai, come la
canzone di Luigi Tenco. Si tratta di una commedia amara sulla mia generazione,
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purtroppo scomparsi entrambi. Adesso, dopo la collaborazione con Redford, mi è
stato più facile trovare un produttore, che è Massimo Vigliar. Giovanna Mezzogiorno
e Adriano Giannini saranno due dei quattro protagonisti.
[email protected]
4
I DIARI DELLA MOTOCICLETTA: LATESTI
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da Vivilcinema –di Barbara Corsi
Prima di approdare a Cannes, il prossimo maggio, I diari della motocicletta prodotto da
Robert Redford è stato presentato al Sundance Film Festival, dove è stato accolto da un
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anding ovation. Parliamo del film con Gianni Minà, supervisore artistico
del progetto.
Ci sono voluti sette mesi di lavorazione per ripercorrere le tappe del viaggio di Che
Guevara e Alberto Granado nei luoghi impervi e bellissimi del Sud America, che
raggiunsero con la loro vecchia motocicletta. Il regista, Walter Salles, è stato scelto
da Redford, ma io lo conoscevo dai tempi di Central do Brasil. Salles ha molta
sensibilità cinematografica per i grandi spazi. Con Eric Gautier, direttore della
fotografia, hanno lavorato moltissimo con la camera a spalla, per dare al film un
ritmo nervoso, in movimento continuo. I due giovani attori, Gael Garcia Bernal, che
fa Che Guevara, e Rodrigo De La Serna, che fa Granado, sono bravissimi. Rodrigo
è ingrassato molto peri
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In fase di preparazione, Salles è venuto in Italia per parlare con me della
sceneggiatura, firmata poi da Josè Rivera. Ci ha dato una mano anche Ettore
Scola, che insieme a Maccari aveva scritto il primo grande road movie del cinema
italiano, Il sorpasso, e quindi aveva la mano giusta per descrivere il viaggio di due
giovani uomini. Io sono stato anche supervisore e consulente per tutti i particolari
storici. Il film era delicato, perché i
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passione per Che Guevara, che se avessimo fatto degli sbagli anche minimi,
avremmo provocato reazioni. Bisognava essere precisi, verificando tutto.
Alla proiezione del Sundance, Granado non ha potuto essere presente perché non
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rendono attuale. Facendo questo film, ci si è resi conto che la condizione socioeconomica del continente sudamericano è uguale o addirittura peggiore a quella
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da www.musibrasil.net
l giorno successivo alla presentazione del film Diarios de motocicleta in concorso al
Festival di Cannes abbiamo incontrato Walter Salles. Affabile e disponibile oltre che
soddisfatto per la buona accoglienza riservata dalla stampa al suo film e per i lunghi minuti
di applausi a scena aperta durante la sessione per il pubblico al Grand Théâtre Lumière, il
regista ha risposto alle nostre domande alternando francese, inglese e spagnolo.
Che cosa la ha spinta a partecipare al progetto del film e a dirigerlo?
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del produttore esecutivo Robert Redford che coinvolse quelli che divennero i
produttori, Michael Nozik e Karen Tenkhoff, della Wildwood Enterprises. In seguito,
nel 2001 FilmFour decise di partecipare e cofinanziare la produzione. Walter Salles
sul set del film Central do Brasil
[email protected]
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Accettai la proposta di Redford nel 1999, considerando la reciproca fiducia
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stimolò realmente a partecipare al progetto. Il motivo principale è che racconta di un
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straordinaria storia del processo di maturazione di due giovani adulti. Diarios de
motocicleta definisce la essenza, a livello emotivo, ma anche politico, di quello che
diventeranno Ernesto e Alberto nel futuro.
Per quali ragioni ha scelto come sceneggiatore il portoricano José Rivera, del Board del
Sundance Institute, e come si è sviluppata la collaborazione con lui?
Fra tutti gli sceneggiatori che ho consultato per il progetto Diarios de motocicleta,
José risultò essere il più chiaro e orientato rispetto a quella che doveva essere la
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umani di questi personaggi così singolari. Il film tratta gli avvenimenti di otto mesi
cruciali nella vita di questi due giovani uomini, nei quali si confrontano in una realtà
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in ultima analisi, a decidere che itinerario percorrere in futuro. Per rendere la storia
in forma equilibrata rispetto ai due personaggi, Rivera ha utilizzato come fonte di
riferimento, oltre a Notas de viaje di Guevara, il diario dello stesso Alberto
Granado, intitolato Con el Che por Sudamérica, che documenta fedelmente, con
immediatezza e humour, la cronaca dei fatti. Si tratta quindi di un testo essenziale
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apporto del giornalista e documentarista italiano Gianni Minà, già editore in Europa
di Mi primer gran viaje, diario del viaggio del Che in America latina, che ha
partecipato al progetto nella funzione di supervisore artistico. In effetti Minà
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ha 82 anni, la vedova di Guevara, Aleida Marine e i suoi figli, Aleida, Camilo e
Ernesto.
Che cosa può dirci rispetto al lavoro di ricerca che fu effettuato per realizzare il film,
rispetto alle location e al rodaggio?
Per realizzare il film dalla sua ideazione ad oggi sono stati necessari cinque anni, di
cui tre per le attività di inchiesta e ricerca. José e io abbiamo letto tutte le biografie
pubblicate su Guevara, in particolare quella dello scrittore messicano Paco Ignacio
Taibo, che per me è stata la più interessante. Dopo il primo viaggio, sono tornato
varie volte a Cuba dove ho effettuato vari incontri ed interviste. Prima di girare ho
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conoscere in prima persona le strade percorse da Ernesto ed Alberto 50 anni fa. Fin
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negli altri Paesi, fino a maggio del 2002. Abbiamo girato in più di 30 luoghi diversi in
Argentina, Cile e Perù. In particolare voglio citare la Patagonia, le Ande, il deserto di
[email protected]
6
Atacama, il bacino del Rio Amazonas e il lebbrosario di San Pablo, presso Iquitos,
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sulle Ande e superiori a 45° in Perù. Nei limiti del possibile abbiamo utilizzato i
luoghi che furono realmente visitati da Ernesto ed Albero. In realtà, rispetto ad
allora, molte delle zone più remote sono state ben poco modificate per effetto del
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Che genere di storia racconta il film e qual è il suo significato più profondo?
E` la storia di due giovani adulti che si avventurano alla scoperta di un continente
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ognuno di noi è portato ad adottare nel corso della vita. Ma è anche un film
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posto nel mondo, un posto per il quale valga la pena di lottare. Si può dire quindi
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viene da una realtà. La mia impressione è che i problemi strutturali e sociali che
descrissero Ernesto e Alberto nel 1952 continuano, per la maggior parte, a non
essere risolti. La modernità e la contemporaneità dei loro libri è stata per me una
rivelazione e spero che il film abbia comunicato il senso di scoperta di alcune realtà
politiche e sociali della cultura latinoamericana che non sono granché cambiate in
tutto questo tempo.
Potrebbe descrivere le personalità di Granado ediGuev
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Quando inizia la vicenda, raccontata nel film, Alberto Granado ha 29 anni, vive a
Córdoba in Argentina, lavora in un ospedale e non gradisce il sistema di cure che vi
è attuato. Da anni sta sognando quel viaggio attraversol
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effettuarlo prima di compiere i 30 anni. Ernesto Guevara de la Serna è un grande
amico di suo fratello Tomás e Alberto gli propone di accompagnarlo nel viaggio.
Quando partono da Buenos Aires, nel gennaio del 1952, Ernesto ha 23 anni. Vive in
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suoi interessi vanno molto al di là dei limiti imposti dalla sua condizione sociale. Ha
letto molto e ha già viaggiato in Argentina. È studente di Medicina prossimo alla
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Ci può parlare degli aspetti documentaristici del film e della sua tecnica personale di
rodaggio?
E` ispirato a fatti reali successi nel 1952 nella vita di Ernesto Guevara e Alberto
Granado. Non è quindi un documentario di ricostruzione di quella avventura. Vuole
recuperare lo spirito sociale del viaggio. Il rodaggio è avvenuto in ordine cronologico e
questo ha incrementato le nostre possibilità narrative. Ho voluto che il film descrivesse
per quanto possibile gli incontri che Alberto ed Ernesto fecero durante il loro cammino
e che diedero forma al loro viaggio. Per esempio, in luoghi quali Cuzco o il Machu
Pichu, abbiamo stimolato gli attori a porsi in relazione con la gente che incontravano,
come Alberto ed Ernesto fecero mezzo secolo fa. Questo materiale, totalmente
improvvisato, è stato integrato con la sceneggiatura più strutturata di José Rivera. In
sostanza abbiamo introdotto scene che integravano nella struttura del film quello che la
realtà ci offriva tanto generosamente. Questo avvenne concretamente dopo che la
motocicletta si ruppe. Quando viaggiavano in moto, potevano andare da A a B
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logicamente ebbero molte più opportunità di contatto diretto con la gente. Questa
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esperienza, già descritta nei diari, si è ripetuta per la nostra troupe, specialmente in
Perù, quando entrammo in contatto con la eredità Inca, vale a dire con gli indios che
parlano il Quechua e volevano dialogare con noi. In un certo senso queste scene sono
realmente vicine allo spirito originale del viaggio, quantunque, ovviamente, non siano
contenute nei diari.
Recensioni
la Repubblica (21/5/2004) Paolo D'agostini
C'è un momento chiave nel film prodotto da un americano del nord (Robert Redford), diretto da un
brasiliano (Walter Salles), interpretato da un messicano (Gael Garcia Bernal: Ernesto) e da un
argentino (Rodrigo de la Serna, il suo compagno di viaggio Alberto Granado tutt'oggi vivente). Ne
mette in evidenza il valore rivelando la natura profonda del personaggio principale, Ernesto
Guevara. Durante l'ormai famoso viaggio giovanile in moto da Buenos Aires a Caracas, che dette
luogo a un diario - il "Che" è sempre stato un grafomane, da prima di diventare il leggendario
comandante guerrigliero - e a un libro pubblicato in anni recenti da Feltrinelli come
"Latinoamericana" che del film è il fondamento, Ernesto e Alberto sostarono a lungo in un
lebbrosario sulle rive del Rio delle Amazzoni. La notte prima di partire Ernesto traversa
temerariamente a nuoto le acque minacciose per andare a congedarsi dai pazienti più gravi isolati
sulla riva opposta all'ospedale. Quel gesto contiene il suo carattere ardimentoso e moralista,
coraggioso e credente nell'esempio personale, senza però - fondamentale per la qualità del film imporsi come la forzata prefigurazione di un destino rivoluzionario ed eroico. Rimane il gesto,
compiaciuto ed esibizionista, di un ragazzo borghese dei primi anni 50 folgorato dalla rivelazione di
un'America Latina piagata dalle sofferenze e dalle ingiustizie. Infine: fa pensare che nella gerarchia
del vasto reliquiario guevariano i reperti giovanili e prerivoluzionari abbiano soppiantato l'ormai
obsoleto armamentario ideologico.
Corriere della Sera (22/5/2004) Maurizio Porro
E' il road movie per eccellenza e arriva pieno di ideali e fresco dell'applauso forte di Cannes: nei
Diari della motocicletta il giovane Che Guevara con l'amico Alberto Granado, addì 1952, temprano
affetti e ideali percorrendo oltre diecimila km, spesso cadendo dalla scassata Norton 500 del ' 39,
poi anche a piedi e in battello, da Buenos Aires a Caracas passando per le antiche civiltà di Cile,
Perù, Colombia. Walter Salles, agli ordini democratici di Redford - ma i diritti erano di Gianni Minà costruisce un film divertente e polveroso, in cui l'educazione sentimentale va di pari passo con
quella politica, con la coscienza dei problemi reali della gente. Non è il santino del Che che esce
dal picaresco, variopinto film di viaggio dai panorami meravigliosi e tristi, ma la premessa: il
ragazzo borghese laureando in medicina capisce che deve curare tutta la società. La storia scorre
nello sguardo incantato e poi disincantato dei due amici palpitanti di voglia di vivere e dei vari ed
eventuali partner. Gael García Bernal, l' attore di Almodóvar, è molto convincente, simpatico e
anche eroico. tanto che nuota senza controfigura nel notturno Rio delle Amazzoni per salutare i
lebbrosi, e gli sta molto bene al fianco Rodrigo de la Serna. Il loro finale saluto all'aeroporto sarà,
come sappiamo, solo un arrivederci perché quel fantastico viaggio per prenotarsi un sogno diventa
l' insegnamento morale di un film anche per questo bello e necessario
Film TV (30/5/2004) Alberto Crespi
Ci sono voluti anni, molti produttori e lo sforzo indefesso di Gianni Minà, che deteneva i diritti di
"LatinoAmericana" (il diario del Che sul suo viaggio in America Latina, Feltrinelli) e che é
ringraziato nei titoli di coda: ma "I diari della motocicletta" é finalmente realtà, con la regia del
brasiliano Walter Salles e il decisivo apporto produttivo di Robert Redford. E' quasi inevitabile che,
dopo tale attesa, e con il Mito che Ernesto Che Guevara si porta dovunque appresso, il film sia una
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mezza delusione: ma solo mezza, ed é già un gran risultato. Diciamo anzi che Salles ha fatto quasi
il massimo che si poteva pretendere: una regia discreta, al servizio del paesaggio, che fa di I diari
della motocicletta un road-movie di grande impatto visivo, un Easy Rider tutto a Sud del Rio
Grande. Rispetto al celeberrimo diario c'è meno introspezione, e la presa di coscienza politica del
Che (borqhese argentino, destinato alla laurea in medicina, che di fronte alla povertà diffusa nel
continente decide di darsi alla rivoluzione) é più enunciata che mostrata. C'è ovviamente più
"trama", più dialoqhi, e viene fuori il personaggio di Granado, donnaiolo e fanfarone, simpatico
Sancho Panza al servizio di quel po' po'di Don Chisciotte.
Film TV (1/6/2004) Alberto Crespi
Ci sono voluti anni, molti produttori e lo sforzo indefesso di Gianni Minà, che deteneva i diritti di
"LatinoAmericana" (il diario del Che sul suo viaggio in Àmerica Latina, Feltrinelli) e che é
ringraziato nei titoli di coda: ma I diari della motocicletta é finalmente realtà, con la regia del
brasiliano Walter Salles e il decisivo apporto produttivo di Robert Redford. E' quasi inevitabile che,
dopo tale attesa, e con il Mito che Ernesto Che Guevara si porta dovunque appresso, il film sia una
mezza delusione: ma solo mezza, ed é già un gran risultato. Diciamo anzi che Salles ha fatto quasi
il massimo che si poteva pretendere: una regia discreta, al servizio del paesaggio, che fa di I diari
della motocicletta un road-movie di grande impatto visivo, un Easy Rider tutto a Sud del Rio
Grande. Rispetto al celeberrimo diario c'è meno introspezione, e la presa di coscienza politica del
Che (borghese argentino, destinato alla laurea inmedicina, che di fronte alla povertà diffusa nel
continente decide di darsi alla rivoluzione) é più enunciata che mostrata. C'è ovviamente più
"trama", più dialoghi, e viene fuori il personaggio di Granado, donnaiolo e fanfarone, simpatico
Sancho Panza al servizio di quel pò pò di Don Chisciotte.
Sole 24 Ore (30/5/2004) Roberto Escobar
"Viaggiamo per viaggiare", dice Ernesto Che Guevara de la Serna (Gael García Berna) a chi gli
domanda perché mai, con il suo amico Alberto Granado (Rodrigo De La Serna), stia attraversando
l'America Latina. Avrebbe potuto rispondere in molti modi: per conoscere un continente grande e
sfortunato, o per arrivare su in alto, fino a San Pablo e al suo lebbrosario, o anche per prender
congedo dalla giovinezza. Ma il futuro "Che" non indica altra meta per il loro viaggio che il viaggio
stesso. E in questa risposta lasciata aperta sta il senso migliore di "I diari della motocicletta"
"Diarios de motocicleta", Argentina, Usa, Germania e Gran Bretagna, 2004, 125'). Sono molte le
ragioni che un viaggiatore può addurre per la sua decisione di mettersi in cammino, e almeno
altrettanti sono gli scopi, alcuni anche sinceri. E però tutti rischiano di impoverire la sua
esperienza. Avere una meta, "conoscerla" già prima d'esserci arrivati, banalizza il viaggio. Se non
è solo in transito, se non si sposta solo da luogo a luogo, il viaggiatore è una sorta d'eroe che
s'avventura oltre la soglia dell'ovvio. Il suo valore è misurato dalla sua disponibilità a disorientarsi,
e a perdersi. Perdersi, alla fine, è la condizione per rotrovarsi. Disponibili a disorientarsi, aperti
all'infinita ricchezza del possibile, Ernesto e Alberto salgono dunque sulla loro "Poderosa", sulla
vecchia e (felicemente) inaffidabile Norton 500. Siamo nell'Argentina di Juan Péron, ed è il 4
gennaio '52. Da qui a meno di tre anni, la Francia dovrà andarsene dal Vietnam, per poi essere
sostituita dagli Usa. Nella Saigon di "The Quiet American", nel '55 (ma nel libro si tratta del '52)
Graham Green farà dire a un suo personaggio che "presto o tardi occorre prender partito, se si
vuole restare umani". A parigi, nel '51 Albert Camus ha scritto qualcosa di molto simile in
"L'homme revolté". E ora, proprio in questo gennaio, Jean-Paul Sartre decide di farlo attaccare da
Francis Jeanson. Non è ortodosso, Camus, non si fida di alcuna verità, e non ci si affida: questa è
la sua colpa. Intanto, appunto, Ernesto e Alberto si mettono in viaggio. Alle spalle si lasciano il loro
breve passato, davanti hanno il futuro. Così inizia il film che Walter Salles e lo sceneggiatore Jose
Rivera traggono da due autobiografie di Guevara e Granado: senza altra preoccupazione, senza
altra "cura" che stare in sella alla "Poderosa". I giorni e le settimane non hanno limiti, nemmeno
quelli che Alberto ha programmato sulla carta geografica. Volentieri il cinema s'abbandona a
quest'infinitezza sospesa. L'amore di Ernesto e Chichina (Mia Maestro), le avventure veloci di
Alberto, gli stratagemmi per rimediare un pranzo e un letto, la neve inaspettata sulle montagne del
Cile, la fuga da un marito ubriaco e geloso: tutto arriva e tutto scorre via, nell'ingenuità di un tempo
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che sembra ostinarsi a non conoscere direzione e senso. E tuttavia, di settimana in settimana, il
viaggio cerca e trova la sua direzione e il suo senso. Capita per esempio che i due amici arrivino a
Macchu Picchu, e che vedano quel che resta d'una grandezza ormai morta. E capita anche,
semplicemente, che vedano gli uomini e le donne, nelle strade e nei mercati: volti e voci che,
d'improvviso, non sono più lontani, e che costringono a interrogarsi. Un uomo e una donna vedono
sopra tutti gli altri: costretti a fuggire, derubati della loro stessa casa, agli occhi di Ernesto e di
Alberto sono una domanda di carne e di sangue. Come si può non prender partito, come si può
non "prendersene cura", se si vuole restare umani? Ora davvero i due viaggiatori han varcato una
soglia. Si sono persi nel continente che credevano di conoscere, ma di cui conoscevano solo la
carta geografica. Si sono disorientati. Ed è stato proprio quel che hanno visto a farli perdere, a
disorientarli. Ora per loro si tratta di ritrovarsi, e dunque di cominciare ad avere un futuro, nella
serietà della vita adulta. Ma non sarà lo stesso futuro, ne sarà lo stesso "prendersi cura". Uno,
Alberto, sceglierà la via più normale, più oscura: in ospedale, giorno dopo giorno, a tentare e
ritentare, nella faticosa speranza d'essere utile. Non è incoerente, questa sua scelta, con la sua
abitudine di considerare la vita con troppo rigore. E' pronto a mentire, e a perdonarsi molto.
Dunque, è pronto a perdonarlo agli altri. E soprattutto è pronto a tentare e ritentare. Ernesto è più
sofferente e più duro. Ed è più preoccupato della verità, che gli sembra più importante degli uomini
e delle donne a cui la dice, e più della sua stessa vita. Che sia la sua, la scelta giusta, o che sia
invece quella di Ernesto, in ogni caso i due viaggiatori han finito per trovare il senso del loro
viaggio.
l'Unità (20/5/2004) Alberto Crespi
"Diari della motocicletta", così come Che Guevara li aveva raccolti in un libro che in italiano si
intitola LatinoAmericana (appena riedito da Feltrinelli per la modica cifra di 5 euro), erano un
romanzo di formazione, l'incontro con la povertà della "Maiuscola America", il sogno di udire prima
o poi "il grido belluino del proletariato trionfante". Insomma, la trasformazione del giovane
borghesuccio argentino Ernesto Guevara, destinato a un matrimonio d'interesse e a una sicura
laurea in medicina, nel "Che", futuro leader rivoluzionario nonché icona da sezione di partito, da
negozio di magliette, da curva di stadio. Tutto ciò che sappiamo del "Che" - anche, come no?, la
sua mutazione in santino - nasce da lì, da un viaggio lungo tutta l'America Latina compiuto
assieme all'amico Alberto Granado dal dicembre del 1951 al luglio del 1952. Una simile storia non
poteva non diventare un film. Gianni Minà ci ha girato intorno per anni, coinvolgendo in tempi
diversi Ettore Scola e Luis Puenzo, e arrivando infine ad un produttore di lusso come Robert
Redford, che per fortuna è stato sufficientemente illuminato da assoldare un regista sudamericano
e imporre un cast ispanico ("il Che non può dire okay", è stata la massima che ha guidato Redford:
muchas gracias, Bob; per altro, con tutti gli ispanici che ormai vivono negli Usa, potrebbe essere
una scelta intelligente anche sul piano commerciale). Il progetto è finito nelle mani del brasiliano
Walter Salles, che poteva anche distruggerlo: per fortuna lo stile pseudo-neorealista del suo
Central do Brasil ha prevalso su quello videoclipparo-neocolonialista di Abril despedacado. Salles
ha fatto un film onesto. Si è messo al servizio degli attori (il messicano Gael Garcia Bernal è il Che,
Rodrigo de la Serna è Granado) e dei paesaggi, "sospendendo" lo stile, facendo parlare il
continente. Il risultato è un affascinante film "on the road" che mescola Easy Rider con il Don
Chisciotte (dove naturalmente il Che è il cavaliere dalla triste figura e Granado il suo simpatico,
debordante, sensuale Sancho Panza). Ciò che manca, per la serie "vorrei ma non posso", è la
nascita del leader: non basta che Bernal, nel finale, mormori con aria mesta "c'è tanta ingiustizia in
questo mondo" per spiegare come il grazioso giovanotto visto sullo schermo diventerà un guerriero
capace di aiutare Castro in una rivoluzione. I diari della motocicletta è un ritratto del rivoluzionario
da giovane, in cui il "giovane" finisce per mettere in ombra il "rivoluzionario". Vi regalerà comunque
due ore piacevoli (da domani è nei cinema, distribuito dalla Bim) e vi farà, garantito, l'effetto che
fanno sempre i road-movies azzeccati: l'irrefrenabile voglia di recarvi nella più vicina agenzia di
viaggi. In quanto al Che, il suo personaggio tornerà presto sugli schermi con la grinta ben più
ruvida di Benicio del Toro in un film che sarà diretto da Steven Soderbergh; doveva dirigerlo
Terrence Malick, che purtroppo si è fatto da parte.
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