Effe. Periodico di altre narratività. Vol. 4

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Effe. Periodico di altre narratività. Vol. 4
Luca Menichetti
Effe. Periodico di altre narratività. Vol. 4
23 maggio 2016
Roberto Bioy Fälscher, nell’introduzione al numero quattro di “Effe”, ricorda le “Storie segrete”,
ovvero “racconti scritti a mano o stampati in ciclostile da autori anonimi, che riuscivano a evadere i
controlli della temibile commissione del Glavit” (organo di censura sovietico “che decretava chi
fossero gli intellettuali nemici del popolo”); e poi, tornando alla realtà italiana, conclude affermando
che “certo, questo volumetto non deve fare i conti con nessun Regime o censura programmatica, ma
anche oggi come allora – talvolta – per leggere una narrativa buona e diversa dal solito, occorre
comunque aggirare i circuiti ufficiali” (pp.6). Sono considerazioni intelligenti ma, oltre alla denuncia
delle “logiche aziendali” che mortificano la creatività e la letteratura, lettori pessimisti e malfidati
come noi non possono non mettere in conto anche l’esistenza di una forma più insidiosa di regime e
di censura (in questo caso “non programmatica”). Assediati da “comunicatori”che traboccano
conformismo e che ci vogliono sempre e comunque ottimisti, le pagine contenute nel semestrale
“Effe” non c’è dubbio che rappresentino un esperimento eterodosso e coerente con la definizione di
“altre narratività”: un’antologia di racconti, illustrati in copertina da Lucamaleonte e poi da altri
giovani artisti italiani, che “42 linee” giustamente ha presentato come “esperimento indipendente”,
“vetrina per gli esordienti e un passaggio collaudato per gli autori già noti” e luogo “in cui far
convogliare tutte le facce della creatività”. Per scenari che spaziano dall’Arizona, a Berlusconi, al
rock, a invasioni di ratti, televisori contesi, a loschi ambienti di scambisti, hanno dato il loro
contributo scrittori quasi esordienti insieme ad altri autori ormai affermati. Così il quarto numero
della rivista: “C6H12O6” di Paolo Zardi (illustrazioni di Massimiliano di Lauro); “Il televisore” di
Elvis Malaj (ill. di Margherita Morotti); “La diva e il terremoto“ di Giuseppe Truini (ill. di Elisa
Macellari); “15 Jumps on the Edge” di Livio Santoro (ill. di Alberto Fiocco); “Da nessuna parte” di
Valentina Maini (ill. di Giada Ganassin); “La signora Anna” di Vins Gallico (ill. di Alessandra De
Cristofaro); “La camicia di Spinoza” di Corrado Castiglione (ill. di Daniele Castellano); “Cariati” di
Athos Zontini (ill. di Viola Niccolai).
Proprio perché antologia che convoglia “tutte le facce della creatività” non possiamo inventarci un
unico filo rosso che, una volta bandite le visioni della vita più rassicuranti, si dovrebbe dipanare tra
situazioni disturbate, grottesche, misteriose e sinistre. Pensiamo alle ambientazioni squallide – ma
efficaci – contenute in ” C6H12O6″ di Paolo Zardi: “c’era qualcosa di chimico, in quella scelta, come
se quegli stakanovisti dell’orgia sapessero che l’energia scaturisce dalla rottura dei legami” (pp.10).
In realtà il gelido protagonista del racconto non può rompere legami perché è single, e proprio per
infilarsi in un club per scambisti è costretto a noleggiare una russa: “dal vivo, quella piccoletta lo
guardava con l’entusiasmo di un dipendente statale un attimo prima di prendere servizio” (pp.11).
Atmosfere di ben altro tipo nel racconto “Il televisore” di Elvis Malaj, dove si coglie il contrasto, al
limite del grottesco, tra la cultura tradizionalista della famiglia di Bashkim e gli atteggiamenti
spregiudicati dell’italiana Maddalena. Un’immersione nella più recente e squallida cronaca politica
e criminale nel racconto futuristico “La diva e il terremoto” di Giuseppe Truini, pagine decisamente
più cupe rispetto quelle del romanzo “Di polvere e di altre gioie”. Una fine bucolica e fantastica per
la rocker Marianna, depressa e maltrattata dai critici, in “15 Jumps on the Edge” di Livio Santoro. In
“Da nessuna parte” di Valentina Maini il precariato sembra aver assorbito tutti gli aspetti
dell’esistenza: “In questa società di spostamenti continui le disse che si trovava a suo agio, col tempo
aveva imparato a non affezionarsi mai a niente […] “Molto meglio non avere radici”-ripeteva-“Non
servono a niente. Imparerai” (pp.68). Atmosfere enigmatiche in “La signora Anna” di Vins Gallico
che si chiude con parole perplesse e che non svelano cosa davvero è stato visto: “Oppure sono finito
in uno di quei binari paralleli che sto investigando per il mio progetto. Ho soltanto scostato il velo
che separa il mondo materiale da quello immateriale” (pp.85). Il ritorno da Tucson in una Napoli che
sembra un suk in “La camicia di Spinoza“ di Corrado Castiglione: pagine che lasciano inevasi molti
interrogativi sull’identità di chi racconta. In “Cariati” di Athos Zontini, quasi la premessa di un vero
e proprio racconto horror, i topi hanno preso possesso di uno stabile abbandonato e una
derattizzazione tradizionale, in presenza di una popolazione demente, non sembra destinata ad avere
successo: “Il pavimento brulica di topolini appena nati. Sono ciechi e nudi; i peli gli cresceranno nel
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23 maggio 2016
giro di tre giorni, gli occhi si apriranno tra due settimane e quel punto cominceranno ad accoppiarsi
anche loro. Tra un po’ saranno così tanti che non avranno paura più di niente” (pp.106)
Da quanto abbiamo letto il “sondare gli umori della scena letteraria”- lo possiamo confermare – non
ha prodotto racconti rassicuranti; ma proprio per questa ragione “l’esperimento indipendente” ci
sembra riuscito ed è bene che prosegua, come scrive ancora Fälscher, “operando scelte di qualità
anche senza il consenso di chi è abituato a decidere cosa si può e non si può pubblicare” (pp.6).
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