47 Lavorazione della canapa

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47 Lavorazione della canapa
LAVORAZIONE DELLA CANAPA
La canapa (cànva) rappresentava un tempo un elemento importante
nell'economia della Valsesia e la sua coltivazione era largamente diffusa. Oggi
la sua coltura è completamente scomparsa, ma le complicate fasi della sua
lavorazione e le sue principali applicazioni meritano di essere ricordate.
La canapa è una pianta dioica: ne esistono cioè una forma staminifera
maschile (cànva) e una pistillifera femminile (canvùň). In alta Valgrande essa
era seminata in aprile-maggio, avendo cura di deporre i semi fittamente, allo
scopo di facilitare lo sviluppo di steli lunghi e sottili. La crescita era
particolarmente favorita dal clima umido e dalla ventilazione relativamente
modesta.
Già a metà agosto, tradizionalmente attorno alla festa di San Rocco, si
era soliti selezionare (cèrni) e raccogliere (argòji) il fusto staminifero, che a
quell'epoca tende a ingiallire, per ricavarne la fibra tessile. A settembre era
invece raccolto il fusto pistillifero, che matura solo in autunno, per raccoglierne i
semi (canvóša), ma anche per trarne una fibra più grossolana.
La lavorazione della fibra di canapa iniziava con l'essiccatura e la
sfogliatura dei fusti mediante battitura. Legati in mannelli, i fusti venivano quindi
posti a macerare in acqua in apposite fosse (bôri), assicurandone la completa
immersione con grosse pietre.
Resti di un bóru,
maceratoio per
la canapa,
in Frazione Tetti
(Campertogno).
Dopo 2-3 settimane di macerazione i manelli venivano ritirati, lavati e
posti ad asciugare all’aria nel loggiato (lòbbia) in posizione verticale.
L'operazione successiva di stigliatura (stiê) consisteva nella separazione della
fibra grezza, che veniva staccata dallo stelo spezzandone le estremità e
scortecciandolo. Ne residuava un fusto legnoso cavo, biancastro e
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leggerissimo, il canapule (caniùň), che era in genere utilizzato, talvolta dopo
averne intinto l'estremità nello zolfo (fiór ‘d sólfu), per attizzare il fuoco dalla
brace residua del camino o per trasferire la fiamma alla lucerna (lümm), al
sigaro (cigàla) o alla pipa (pìppa).
La fibra grezza così prodotta era trattata al frantoio (pësta), sottoposta
quindi a cardatura su pettini di forma caratteristica (scardàċċi o spinàiċ) e infine
selezionata per gli usi più diversi in relazione alla finezza delle fibre. Le fibre
grezze si raccoglievano in matasse grossolane, quelle stigliate e cardate in
matasse accuratamente annodate (paniséll). Le fibre erano infine sottoposte a
filatura, mentre quelle più grossolane erano usate direttamente per preparare
cordami (còrdi) mediante ritorcitura, generalmente eseguita nella bassa valle, o
per l’incordatura della suola delle caratteristiche calzature locali (scapìň).
Questa era fatta mediante cucitura a punto continuo con andamento parallelo al
bordo (antralê) dei vari strati di tessuto della suola con una lunga gugliata (trâ)
di fibre, usando un grosso ago (cuaréll) . La fibra grezza era anche usata per
preparare i larghi spallacci (panòğği) delle gerle e di ogni attrezzo da spalla.
Attrezzi (scardàċċi o spinàiċ)
usati per la cardatura della canapa.
La filatura delle fibre più fini veniva eseguita con la conocchia (ròcca) e il
fuso (füs), a braccio, o con la conocchia e il filatoio (filaréll) . La procedura era
più o meno la stessa usata per filare la lana. La conocchia, nella sua forma più
semplice, era un bastone diritto, di nocciolo o di salice, della lunghezza di circa
un metro, scortecciato e talvolta decorato a fuoco o con disegni colorati: essa
poteva essere offerta alle ragazze come pegno di amore. Veniva usata
appoggiandola al fianco e fissandola al corpetto del costume con apposito
fermaglio ad anello o semplicemente con un nastro . Alla sua estremità veniva
fissato un grosso batuffolo (rucâ) di canapa cardata, dalla quale le fibre
venivano tirate e filate con le dita della mano sinistra inumidite con saliva per
ridurle a filo fine (fil) o più rustico (fil ‘d la cavàgña), quest’ultimo così chiamato
perche lo si teneva in una cesta (cavàgña). Per facilitare la produzione di saliva
si teneva in bocca una castagna secca (castìgña biànca). Nella filatura a
braccio il filo era avvolto sul fuso prillato, cioè posto in movimento rotatorio con
la mano destra. Quando invece si usava il filatoio il filo tratto dalla rucâ veniva
avvolto su una bobina la cui rapida rotazione era determinata dal movimento
della ruota dello strumento mossa a pedale.
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Il filo così prodotto era avvolto in matasse (fišö) usando l'arcolaio (vìndu)
e talora sbiancato a caldo sottoponendolo a bucato con cenere bianca (di legno
dolce e non resinoso). Asciugato, il filo era avvolto a gomitolo (gamiséll)
utilizzando l'aspo (àspu), per essere poi impiegato nella confezione del merletto
caratteristico (punčëtt), dell'ordito del tipico panno locale (mèšalàna) o della tela
(téila da cà), prodotta al telaio (télê) in pezza (pèssa o dràp) di varia larghezza e
di circa 7 m di lunghezza. L'ordito della tela era preparato all'aperto, tra due
pali, con fili di pari lunghezza: esso era quindi trasferito sul telaio, formato da
una solida incastellatura di legno con licci sospesi azionati da un sistema di
corde, dal pettine, dai cilindri per l'avvolgimento di ordito e tela e dai pedali. La
navetta di legno, caricata con la spoletta (spulëtta) preparata con appositi
strumenti, veniva fatta scorrere dalla tessitrice tra i fili dell'ordito.
Strumento con il quale si caricavano di filo di canapa le spolette utilizzate
poi nel telaio per la tessitura delle pezze di tela.
Poiché la tela, anche se prodotta con filo sbiancato e lavata a sua volta
con cenere, manteneva un colore giallastro, si provvedeva a un ulteriore
rudimentale candeggio esponendola al sole, possibilmente sulla neve. Il
trasporto delle pezze di tela meno larghe, caratteristicamente avvolte a rullo,
avveniva mediante una gerla (ċivéra o carpiùň) o con una caratteristica
portantina a traliccio (càula); tutti questi strumenti per il trasporto a spalla erano
provvisti di spallacci (panòğği) intessuti con canapa grezza. Le pezze di tela
entravano tradizionalmente a far parte del corredo (dòtta o schèrpa) della
sposa. Le pezze di minore larghezza erano conservate avvolte in rulli, legati
con un nastrino colorato. Quando invece le pezze di tela erano più larghe esse
erano conservate ripiegandole con cura . Con la tela venivano confezionati
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indumenti, quali camicie (camìši) e mutande (bràghi) e biancheria di uso
domestico, come lenzuola (lansöi), tovaglie (tuàjji), tovaglioli (mantìň), federe
(fudrëtti) e asciugamani (sügamàň). Di tela era anche il caratteristico copricapo
che le consorelle delle confraternite indossavano in chiesa, esso pure chiamato
tuàjja.
Caratteristiche confezioni
delle pezze di tela di canapa
tessute sui telai locali.
La tela era considerata un bene prezioso, tanto che per antica tradizione
i parenti dei defunti donavano 1/4 di pezza di tela (circa due metri di tessuto) ai
vicini o parenti poveri ed ai bambini (capüċìň) che accompagnavano i funerali
indossandola ripiegata a tracolla.
Con il filo di canapa, previa tintura a colori vivaci, abili mani di donna
(tarċulàtta) intrecciavano in Val Sermenza e in Valle Strona delle fettuccie
multicolori (tarċòli) e con esso si confezionavano la piccola fettuccia (strupàll)
usata per legare le trecce dell’acconciatura femminile.
Quanto alla pianta pistillifera (canvùň), erroneamente ritenuta nella
tradizione popolare la parte maschile, se ne ricavavano per battitura i frutti
(canvôša). Questi erano utilizzati come granaglia per il pollame, da usare
tuttavia con una certa parsimonia, in quanto si riteneva che in quantità
eccessiva potessero disturbare (scaudê) gli animali, forse per la presenza di
sostanze eccitanti. Come si è detto, la canvôša era anche usata per la
preparazione, mediante maciullamento al frantoio (pesta) e spremitura al
torchio (tòrču), di un olio (öliu 'd canvôša) abitualmente utilizzato per
l’illuminazione.
Era coltivato, sia pure in minore quantità, anche il lino (lìň), da cui si
ricavava una fibra più pregiata di quella della canapa, che veniva usata nella
preparazione di tele a trama fine.
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Fasi della coltura e della lavorazione della canapa
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Una curiosità: alcune persone anziane ricordavano che le foglie di
canapa essiccate erano talvolta usate per confezionare sigarette, che pare
avessero un effetto euforizzante.
Per ulteriori dettagli sull’argomento si rinvia ai precedenti lavori [Molino
1985, Molino 2006].
Prodotti della lavorazione della fibra di canapa: a sinistra corde (còrdi) di varie dimensioni; a
destra una matassa di fibra cardata (paniséll) e alcuni gomitoli di filo rustico (fil ‘d la cavàgña).
Parole dialettali usate nel testo
antralē
àrca
argòjji
àspu
bóru
bràghi
camìša
caniùň
cànva
canvôša
canvùň
capucìň
cass
casùň
càula
cavàgña
incordare (la suola degli scapìň)
mobile tradizionale in cui si riponevano le pezze di tela
raccogliere (le piante di canappa)
aspo, arcolaio a perno verticale per dipanare
maceratoio per la canapa
mutande di tela; pantaloni di mèšalàna
camicia di tela
canapule, fusto legnoso scortecciato
canapa
seme della canapa
pianta seminifera della canapa
bambino che accompagna il funerale indossando a tracolla
una pezza di tela di canapa ripiegata (tradizionale)
sottoveste di panno scuro (mèšalàna) del costume
femminile
cassapanca in cui si riponevano le pezze di tela
trespolo di legno con perni di appoggio e spallacci usato per
trasportare le pezze di tela sul prato a imbiancare al sole
cesta di vimini con manico usato per contenere il
necessario per lavori di cucito tra cui il fil 'd la cavàgña
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cèrni
ċigàla
civéra
cuaréll
drapp
fil 'd la cavàgña
fìl
filaréll
fiór ‘d sólfu
fisö
füs
gamiséll
lansö
lòbbia
lümm
mantìň
mèšalàna
öliu 'd canvôša
paniséll
panòğğa
pèssa
pësta
pìppa
punčëtt
ròcca
rucâ
scapìň
scardàċċi (pl)
scaudē
spinàiċ (pl)
stiê
sugamàň
tarċòla
téila da cà
tèlê
tòrču
ripulire le piante prima del raccolto
sigaro toscano (che si accendeva trasferendo la fiamma
con il canapule)
gerla tipica fatta di strisce di legno a fitto intreccio
ago a grossa cruna per antralê le suole degli scapìň con un
fascetto di fibre di canapa (trâ)
pezza di tela che l'Opera Pia offriva tradizionalmente alle
spose
filo di canapa rustico
filo
filatoio
zolfo in polvere con cui si sporcava l'estremità del canapule
per renderlo infiammabile
matassa grezza di fibre di canapa
fuso di legno usato per filare
gomitolo
lenzuolo
loggiato tipico di legno nel quale si asciugavano i mannelli
lucerna alimentata con öliu 'd canvôša
tovagliolo
panno di lana tessuto localmente su ordito di canapa
olio di semi di canapa, usato per illuminazione
fascio di fibre pronte per essere lavorate
bretella di filo di canapa per gerla, spallaccio
pezza di tela tessuta al telaio che in genere si conservava
arrotolata
frantoio per la maciullatura delle fibre
pipa
puncetto (tipica trina valsesiana)
conocchia
matassa grezza che si pone in cima alla ròcca per essere
filata
calzatura caratteristica di panno, con suola cucita fittamente
con fascetti fibre di canapa (trài)
strumenti per cardare (anche spinàiċ)
scaldare, eccitare (si dice dell'effetto eccitante dei semi di
canapa sul pollame)
strumenti per cardare (anche scardàċċi)
stigliare, separara la fibra dal fusto della canapa
ascuganami
treccia o fettuccia di filo di canapa di vari colori
tela di canapa tessuta in casa
telaio
torchio
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trâ
tuàjia
vìndu
gugliata di fibre grezze usata per incordare la suola degli
scapìň
tovaglia; velo chiesastico muliebre di tela usato dalle
confraternite
matassatrice a perno orizzontale con manovella
Tonetti F., Sulle condizioni agricole della Valsesia. Colleoni, Varallo (1884)
Molino G., Campertogno. Vita, arte e tradizione di un paese di montagna e della sua gente.
Edizioni EDA, Torino, 1985.
Molino G., Campertogno. Storia e tradizioni di una comunità dell'alta Valsesia. Centro Studi
Zeisciu, Magenta (2006)
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