N. 4- settembre ottobre 2006

Transcript

N. 4- settembre ottobre 2006
Vo l u m e 4 • N u m e r o 4 • S e t t e m b r e - O t t o b r e 2 0 0 6
Spediz. in abb. post. 45% - art. 2 comma 20.b - legge 662/96 - Filiale di Milano • Una copia: e 0,40
www.dermocosmonews.it
BIMESTRALE DI NOTIZIE, NOVITÀ, AGGIORNAMENTI, TERAPIE IN DERMOCOSMETOLOGIA
Direttore Scientifico:
Ruggero Caputo
Direttore Responsabile:
Riccarda Serri
Coordinatore Scientifico:
Stefano Veraldi
Comitato Scientifico
e di Redazione:
Mauro Barbareschi (MI),
Enzo Berardesca (RM),
Leonardo Celleno (RM),
Gabriella Fabbrocini (NA),
Marcella Guarrera (GE),
Matilde Iorizzo (BO),
Franco Kokelj (TS),
Giorgio Landi (CE),
Giuseppe Micali (CT),
Giuseppe Monfrecola (NA),
Paolo Piazza (RM),
Marcella Ribuffo (RM),
Corinna Rigoni (MI),
Fabio Rinaldi (MI),
Luigi Rusciani (RM),
Adele Sparavigna (Monza - MI),
Aurora Tedeschi (CT),
Antonella Tosti (BO),
Antonello Tulli (CH)
Segreteria di Redazione:
Giuseppe Provveduto
[email protected]
Redazione e Pubblicità:
Via B. Verro, 12
20141 Milano
Tel. 02 895 40 427
Fax 02 895 18 954
[email protected]
Editore: ARTCOM S.r.l.
Via B. Verro, 12
20141 Milano
Tel. 02 895 40 427
Fax 02 895 18 954
Stampa: Arti Grafiche
Stefano Pinelli S.r.l.
Via R. Farnetti, 8
20129 Milano
GLI UNGUENTARI POMPEIANI
E IL LORO CONTENUTO
(Prima parte)
Cecilia Baraldi*, Maria Cristina Gamberini*, Pietro Baraldi**, Maria Perla Colombini***,
Erika Ribechini***
* Dipartimento di Scienze Farmaceutiche - Università di Modena e Reggio Emilia - Modena
** Dipartimento di Chimica - Università di Modena e Reggio Emilia - Modena
***Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale - Università di Pisa - Pisa
ABSTRACT
Il gruppo di studio sulla cosmesi antica e moderna, costituito da ricercatori delle Università di
Modena e Reggio Emilia e di Pisa, ha analizzato il contenuto di un gruppo di balsamari di area
Campana. Mediante tecniche di spettroscopia
infrarossa, microscopia Raman e di gascromatografia abbinata alla spettrometria di massa è
stato possibile identificare componenti di varia
natura tra i quali alcuni finora sconosciuti in
questo campo. Una serie di composti inorganici
presenti fanno pensare alle preferenze delle
matrone romane, altri alle vie commerciali di
approvvigionamento, altri ancora alle tecnologie
per l’elaborazione del cosmetico. In generale, è
possibile rilevare l’impiego di materiali di varia
origine, di larga diffusione e di talora complessa
preparazione. Non mancano però alcune singolarità, che si riferiscono all’uso di prodotti e
tonalità particolari, di probabile provenienza
extraitalica.
INTRODUZIONE
in vari siti noti da tempo, come Pompei,
Ercolano, Capua, Cuma e Calatia portano alla luce sempre ulteriori materiali e
pongono nuovi problemi agli studiosi
della antica cosmesi oltre che della tecnologia antica. La conoscenza dettagliata dei componenti di sostanze rinvenute
in contenitori ritrovati aperti o sigillati
porta alla elaborazione di ipotesi sulle
presenze di prodotti, alla individuazione
D
a alcuni anni le Università di Modena e Reggio Emilia e di Pisa hanno
preparato programmi di ricerca comuni
sulla cosmesi antica e moderna. Le opportunità offerte dalla presenza di gruppi di ricercatori di queste Università in
area Campana sono risultate veramente
considerevoli. Gli scavi tuttora in corso
Iscrizione al ROC
n° 9838
Iscrizione Tribunale
di Milano n° 87
del 15/02/2003
ABBONAMENTI
ANNUALI
e
100 (Italia)
e
150 (Estero)
SOMMARIO
Pag.
8
1
Notizie dalla Letteratura Internazionale
e dai Congressi
Gli unguentari pompeiani e il loro contenuto
(Prima Parte)
di Cecilia Baraldi, Maria Cristina Gamberini,
Pietro Baraldi, Maria Perla Colombini, Erika Ribechini
11
Biorivitalizzazione:
tutti pro o anche dei contro?
Rubrica aperta ai nostri sponsor
6
di Matilde Iorizzo, Maria Pia De Padova
12
Rubrica aperta ai lettori
2
Volume 4 • Numero 4 • Settembre-Ottobre 2006
di legami con la storia classica e
con le fonti. Un esame dettagliato
e critico di testi come Teofrasto(1),
Plinio(2) e Ovidio(3) e i testi di medicina di Galeno(4), oltre ai brani
minori di poeti e scrittori, può portare all’individuazione di percorsi
di artigianato classico dedicati ai
prodotti per la cura della persona.
Queste fonti riportano molto spesso le tracce della evoluzione del
gusto che le classi più elevate di
Roma antica vissero, soprattutto in
contatto con le nuove popolazioni
germaniche o galliche o quelle di
provenienza orientale dai gusti
antichi e cosmeticamente evoluti.
L’acquisizione di nuovi cosmetici
superò così le barriere legislative
opposte da vari autorevoli personaggi dell’era repubblicana. Dalla
Gallia giunse il sapo preparato dal
grasso di capra con cenere di faggio, secondo un procedimento analogo alla saponificazione che, probabilmente, con altre modalità
(noi) era già nota ai Latini del I
sec. d. C. Dalle coste dell’Africa
giungeva l’henné per re n d e re i
capelli rossi e per dipingere parti
del corpo(5). Altri prodotti consentivano la tintura dei capelli di nero
come il decotto di iperico oppure
la peluria bollita del porro. Colori
più eccentrici, come il turchino e
soprattutto il rosso carota erano
riservati alle donne di facili costumi, definite appunto con l’appellativo di “rufae”)(6).
Lo sviluppo della conoscenza di
prodotti e del commercio nel mondo classico portarono un sensibile
incremento del consumo dei cosmetici, soprattutto da parte dei
ceti patrizi come elemento distintivo. Il manuale di cosmesi più celebre del periodo è quello scritto da
Ovidio, che ci introduce anche al
significato dei belletti impiegati da
una donna a seconda dei messaggi
che vuole lanciare al suo interlocutore. Nel De medicamine faciei
feminae(3) riporta i consigli per correggere i difetti del viso e del
corpo. Nel secondo testo è la ricetta di una maschera di bellezza
astringente per pelli grasse, forse
di provenienza etrusca. Era a base
di orzo, lenticchie ed uova, ridotti
a farina finissima, mescolati a bulbi di narciso, a resina, ad amido di
produzione etrusca e a miele.
Ovidio descrive alcune maschere
di bellezza di origine vegetale,
preparate con orzo, lenticchie, farina di fave, di lupini, di ceci, finocchi, con l’aggiunta di essenze
profumate di rosa o mirra, stemperate con un medium come il miele,
la placenta o il midollo.
La biacca o cerussa (carbonato basico di piombo) veniva venduta in
forma di pastiglie da stemperare
con grassi e miele ed era il tipo di
belletto più usato perché dava freschezza e candore giovanile alle
guance. Le romane continuaronono a lungo a servirsene, malgrado
fosse nota la sua tossicità. Alla
biacca si aggiungevano altri ingredienti naturali come la schiuma di
salnitro o la feccia di vino o il derivato di un’alga (fucus), per tingere
di colore rosato le guance.
Le paste depilatorie a base di pece, olio, resine e sostanze caustiche, e gli splenia erano di largo
uso: potrebbero identificarsi con
paste rosate che si stendevano sulla pelle per nascondere cicatrici,
lesioni o marchi infamanti(7), oppure con piccoli nei posticci realizzati con cerottini tondi da applicare sulla guancia come vezzo o per
coprire imperfezioni(8, 5).
Secondo Teofrasto e Plinio, l’olio
più impiegato era l’omphacium
ottenuto dalla spremitura di grosse
olive immature, considerato poco
grasso, ma si impiegava anche l’olio di mandorle.
Altre sostanze di origine minerale,
come il cinabro e il minio, o di origine animale, come la porpora, si
fabbricavano anche rossetti per le
labbra, venduti sempre in forma di
tavolette.
Per dare luce al viso si polverizzavano sulle gote dei lustrini preparati macinando dell’ematite o della
mica.
Un ombretto diffuso era quello giallo tratto dai fiori del croco, pro b abilmente di origine Etrusca, dove
era nota la specie vegetale. I verdi e
gli azzurri erano ottenuti per macinazione di malachite e azzurrite e
applicati impastando con grassi in
piccoli contenitori in alabastro o in
conchiglie o riprodotte in ambra.
Il contorno degli occhi e le sopracciglia erano sottolineati con un cosmetico a base di nero fumo (fuligo), ottenuto bruciando noccioli di
Volume 4 • Numero 4 • Settembre-Ottobre 2006
dattero o sarmenti. Egiziano era il
kohl destinato allo stesso uso: era
costituito da una miscela di galena, cioè solfuro di piombo, ocra
bruna, malachite, caolino e crisocolla, come è risultato da analisi di
reperti funerari(8). kohl e fuligo erano venduti in contenitori stretti e
allungati, dai quali con un finissimo bastoncino si prelevava il necessario e lo si applicava.
I Romani ricavavano le essenze
profumate o per spremitura diretta
o tramite macerazione dei fiori o
delle foglie in oli o grassi. Tale
processo, attestato dalle fonti, è
illustrato anche a Pompei in un
affresco della casa dei Vettii, dove
amorini profumieri sono affaccendati nella lavorazione dei profumi.
È certo che in Campania esistevano coltivazioni di fiori, destinati
alla vendita e alla produzione di
profumi(6, 9); Capua (Seplasia), Napoli e Pompei erano i centri campani famosi per tale produzione, a
fianco di Delo, per il profumo più
antico, e a Corinto, per il profumo
di iris. Le essenze venivano anche
importate e lavorate sul posto
unendole ad eccipienti liquidi: oli,
tra cui l’omphacio, per la produzione di unguenti, o sucus, succo d’uva; alla miscela si aggiungeva resina o gomma come fissatore e coloranti quali cinabro o anchusa.
La cura della persona prevedeva i
bagni: per i Romani i bagni, soprattutto quelli pubblici, erano
importanti per il benessere fisico e
per il piacere che, con tutto il contorno di cure (massaggi, unzione,
depilazione) e di possibilità di incontri sociali, procuravano ai cittadini. Per pulire la pelle si ricorreva a sostanze abrasive, come lo
struthium o la creta fullonica, l’afronitrum, la liscivia o la pumex.
L’uso di detergenti così aggressivi
rendeva poi necessario l’uso di oli
e unguenti(5). Alle terme gli unctores, addetti ai massaggi, gli aliptes,
addetti alla depilazione con pinzette, e i dropacistes, preposti alla
depilazione con il dropax erano
molto ricercati. Ovidio parla della
depilazione del corpo con creme o
cere depilatorie da parte anche
degli uomini, con creme a base di
pece greca contenente resine, cere
e sostanze caustiche(3).
Una considerazione che risulta dal
confronto tra cosmetici e farmaci è
sulla presenza delle stesse sostanze: l’arte della cosmetica infatti
era una branca della medicina
antica.
RICERCHE PREGRESSE
SULLA COSMESI ANTICA
Gli studi di tipo materico sui reperti facenti parte dei Beni Culturali negli ultimissimi decenni sono
andati rapidamenti aumentando di
n u m e ro. Molti di questi studi sono
compilativi e basati sulla esperienza autottica degli archeologi, non
sempre corretta. Di fronte a materiali biancastri la sola esperienza
visiva, anche mediante l’impiego
di microscopi, non è sufficiente a
f o rn i re una descrizione dei reperti.
Le prime indagini per determinare
la natura del contenuto di recipienti datano dall’inizio del XIX
secolo. È noto ad esempio che i
primi scavi ad Ercolano e Pompei
determinarono un elevato interesse tra i chimici di allora quali
Chaptal e Davy(11, 12), che ebbero
campioni di materiali colorati, li
a n a l i z z a rono e pubblicarono i primi risultati. Ma è nel XX secolo
che si intraprendono vere indagini
sui re p e rti funerari egiziani. In
alcuni lavori dell’inglese Plenderleith(13) v e n n e ro riportate le analisi
dei contenitori per cosmetici egiziani. Nella tomba di Tutankamon,
rinvenuta di recente, vennero ritrovati recipienti contenenti grosse
quantità di prodotti. L’analisi dei
prelievi consentì di arr i v a re alla
conclusione che venivano impiegati grassi animali contenenti resine.
In gran parte però dopo la seconda
Guerra Mondiale cominciarono ad
apparire pubblicazioni con analisi
chimiche, microchimiche e strumentali di prodotti ritenuti cosmetici. Dall’esame dei dati analitici e
dalla considerazione sulla stabilità
delle sostanze inorganiche, ma soprattutto organiche si inizia a formulare delle ipotesi sulla loro degradazione nel tempo(14, 15).
Altre ricerche hanno preso in considerazione l’analisi di una serie
di cosmetici prelevati da flaconi di
varia provenienza(16) e hanno accertato la presenza di caolino, apatite, sali di piombo (probabilmente
galena) e altri componenti minori,
tralasciando l’analisi di componenti organici e di loro prodotti di
degradazione.
Nel 1980 nel cimitero reale di Ur
vennero scoperte alcune conchiglie contenenti polveri colorate.
Alcune analisi condotte accertarono che i componenti minerali delle
polveri erano ematite, goethite, azzurrite, apatite, cerussite, malachite, atacamite, pirolusite e wulfenite, cioè una serie ampia di pigmenti inorganici colorati dal giallo
al bruno al verde e all’azzurro, alcuni dei quali probabilmente derivanti dalla degradazione di componenti minerali principali(17).
Negli anni ‘80 Evershed e il suo
gruppo(18-20) hanno iniziato la caratterizzazione di reperti organici
provenienti da scavi archeologici.
Nelle pubblicazioni prodotte sono
stati descritti i metodi di analisi
elaborati, tenendo conto della alterabilità dei materiali trattati e
delle informazioni ottenibili per
via archeologica dai dati di scavo.
I metodi elaborati prevedono l’im-
3
piego di solventi per la dissoluzione di determinati composti, la loro
separazione cromatografica e l’identificazione mediante vari sistemi. L’intervento blando non altera
la matrice che può essere riutilizzata per le analisi di altri tipi di
composti. Sono stati presi in considerazione metodi di indagine di
tipo strumentale come la spettroscopia infrarossa, di risonanza
magnetica nucleare, di gas cromatografia e spettrometria di massa.
E d w a rds e i suoi collaboratori(21-23)
hanno dedicato uno spazio consid e revole allo studio di materiali organici e inorganici antichi, in particolare i pigmenti antichi mediante soprattutto la spettroscopia
IR, la spettroscopia FT-Raman e la
m i c roscopia Raman. Queste tecniche si sono avvalse del progresso
tecnologico in campo di laser,
detector e fibre ottiche. Esse hanno
consentito l’identificazione di
n u m e rosi pigmenti organici e inorganici in re p e rti archeologici, e di
ipotizzare dei cammini di degradazione a seguito dell’interv e nto di fattori ambientali.
Due recenti pubblicazioni riassumono i numerosi problemi che
riguardano l’identificazione dei
componenti di materiali antichi ed
esamina le tecniche attualmente
più rilevanti applicate a oggetti
museali, in particolare attinente
alle sostanze organiche quali oli e
grassi, resine naturali e lacche,
materiali polimerici e coloranti
per prodotti tessili(24), e l’altro riguardante le metodologie scientifiche applicabili alle indagini sui
beni culturali(25). Diverse riviste
specialistiche, come “Studies in
4
Volume 4 • Numero 4 • Settembre-Ottobre 2006
Conservation”, “Archaeometry” e
“Journal of Cultural Heritage”
pubblicano da anni articoli dove,
mediante varie tecniche specifiche, come l’analisi isotopica e le
spettroscopie, si indaga sull’origine e la provenienza dei materiali
impiegati nella preparazione dei
prodotti cosmetici.
Per la presente ricerca, si presa in
considerazione una serie di contenitori per cosmetici di Pompei allo
scopo di fornire una panoramica
sulla situazione dei cosmetici di
epoca romana rinvenuti nel corso
del tempo negli scavi.
Per lo svolgimento della ricerca è
stato stilato un protocollo che
comprendeva: un sopralluogo
presso i depositi di Pompei; un
esame degli schedari per identificare i contenitori di cosmetici, fittili, vitrei o bronzei, i relativi
numeri di catalogo e le coordinate
topografiche del luogo di rinvenimento; un esame autoptico dei singoli contenitori per verificare la
qualità e la quantità del contenuto
dei medesimi; il prelievo di piccoli quantitativi dei residui presenti
e la loro conservazione in recipienti chiusi e numerati. Presso il
Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Modena si è impostata una procedura
sperimentale per ottenere campioni sui quali eseguire le analisi, da
effettuare con metodi di indagine
ritenuti i più idonei e promettenti
per questi materiali: la spettroscopia infrarossa, la microscopia Raman e la gas-cromatografia abbinata alla spettrometria di massa.
Un confronto tra i risultati delle
singole metodiche, applicate agli
stessi campioni, si rivela utile per
trarre alcune considerazioni relative a: natura e varietà dei prodotti
cosmetici, metodi di preparazione
impiegati, alterazioni subite nel
tempo per effetto dell’ambiente,
origine e provenienza dei materiali, distribuzione sul territorio.
I risultati qui riportati riguardano
solamente una parte dei balsamari
di Pompei, il cui numero elevato
non permette al momento di esaurire la ricerca. Si intende in seguito completare l’indagine analizzando i restanti campioni prelevati ed estendere la ricerca ai reperti cosmetici dell’area Vesuviana.
PARTE SPERIMENTALE
Presso i Depositi della Soprintendenza Archeologica di Pompei sono conservati unguentari, balsamari e altri contenitori per cosmetici o unguenti di varia forma e di
vario materiale (bronzo, vetro, fittili). Esaminando le casse contenenti i recipienti e consultando
l’intero schedario è risultato presente a Pompei un insieme di oltre
1200 contenitori per cosmetici in
vetro e di circa 700 balsamari fittili. Nella figura 1 è riportata l’immagine di alcuni di questi contenitori vitrei, alcuni di forma piuttosto comune.
La maggior parte dei recipienti
risultava però essere stato accuratamente lavato e privato del probabile contenuto. Su un totale di oltre 1200 contenitori solo circa 150
presentavano un residuo e su tali
Fig. 1 - Alcuni dei balsamari rinvenuti a
Pompei e dai quali si sono prelevate piccole
aliquote.
reperti sono stati eseguiti prelievi
di piccole quantità di materiali tali
da poter costituire i campioni per
almeno tre tipi di analisi. Alcuni
materiali rilevati sul fondo dei
contenitori erano di aspetto vetroso, cioè con iridescenza tipiche
del vetro originatosi per distacco
dalle pareti interne. Anche tali
frammenti sono stati raccolti per
verificare se in essi vi erano residui di natura organica o inorganica. I prelievi sono stati posti in
provette di materiale plastico e
sigillati. Se il contenuto del balsamario si presentava eterogeneo
nelle sue parti, si prelevavano porzioni di campione in due o tre
posizioni differenti, al fine di
garantire una significatività statistica del prelievo.
Si procedeva all’omogeneizzazione
delle polveri al fine di ottenere un
campione medio rappre s e n t a t i v o
Volume 4 • Numero 4 • Settembre-Ottobre 2006
del contenuto del balsamario. Per
l’analisi dei reperti sono state
impiegate tre diverse tecniche. La
spettroscopia vibrazionale, che
possiamo dividere in infrarossa e
Raman, è uno dei metodi più specifici per arrivare all’identità molecolare dei componenti. La prima
in particolare trova un’ampia diffusione nel mondo della ricerca e
dell’industria e nella caratterizzazione dei materiali. Essa consente
di esaminare quantità relativamente piccole di campione, impiegando la conoscenza pregressa sui
composti, per la quale esistono
ampi data base e una corposa letteratura specifica(26-30). Essa inoltre
risulta specifica, in quanto fornisce indicazioni legate alla natura e
struttura di certi raggruppamenti
molecolari. Determinati gruppi di
atomi assorbono la radiazione
infrarossa in una zona ristretta di
numeri d’onda tale da causare la
vibrazione dei legami molecolari.
In particolare la zona cosiddetta
delle ‘impronte digitali’ tra 1400 e
400 cm-1 può avere un alto valore
ai fini della caratterizzazione delle
molecole.
La spettroscopia Raman dà informazioni altamente specifiche sulle
vibrazioni reticolari a bassi numeri d’onda, a differenza della spettroscopia IR e tali informazioni
analoghe e spesso sono complementari a quelle fornite da quest’ultima. La tecnica è importante
per quei composti, come gli ossidi,
i solfuri, gli alogenuri, che hanno
solo vibrazioni fondamentali o
reticolari a bassi numeri d’onda, o
per quei composti le cui fondamentali si situano ad alti numeri
d’onda, ma non possono essere
discriminati tra loro semplicemente in base a queste. Essa inoltre
non richiede una preparazione del
campione, potendo anche essere
applicata ai campioni tali e quali.
Come regola generale, le vibrazioni molecolari che implicano legami non polari sono forti nello spettro Raman e quelle implicanti legami polari sono forti nello spettro
infrarosso. Nel caso dello spettrofotometria microRaman il raggio
laser di eccitazione è focalizzato
su una micro-area della superficie
del campione per mezzo di un
m i c roscopio ottico che funziona
anche da sistema di raccolta, in
configurazione backscattering, per
la radiazione Raman. L’uso del
m i c roscopio aumenta fort e m e n t e
la risoluzione spaziale (fino ad 1
µm2), il che consente di ridurre la
dimensione del campione. La
focalizzazione del fascio permette
inoltre di mantenere basse le
potenze laser impiegate. Il segnale
in uscita dal microscopio viene filtrato con un filtro olografico Super
Notch per eliminare la componente Rayleigh riflessa dal campione,
quindi viene disperso da un monocromatore a reticolo ed registrato
da un rivelatore CCD (charg e
coupled device) raffreddato ad
azoto liquido o mediante l’effetto
Peltier(31, 32). La tecnica risulta non
distruttiva e non invasiva; inoltre,
l’elevata risoluzione spaziale consente di analizzare selettivamente
zone molto ristrette, riducendo l’eventuale alterazione che potrebbe
derivarne a materiali termosensibili, a volumi microscopici.
La quantità di materiale richiesta
per l’analisi è minima, il che
implica tra l’altro la possibilità di
analisi selettiva di zone differenziate per campioni di composizione non omogenea. Quando si studia una polvere o una superficie
non omogenea, è possibile mediante il microscopio visibile focalizzare i cristalli uno alla volta,
dato che i granuli dei materiali
spesso superano la risoluzione
spaziale. Si può quindi registrare
lo spettro e identificare un cristallo per volta. Lo spessore del campione non rappresenta un problema, poiché è la radiazione diffusa
dalla superficie del campione che
viene raccolta dallo spettrometro
Raman. Questo è il limite che si
può riscontrare con molte sostanze
organiche, ma che non sempre si
verifica. In tali casi si opera eccitando il campione con laser a frequenze alle quali l’assorbimento
da parte del campione sia minimo,
asd esempio un laser infrarosso, e
controllando la potenza del laser
impiegato.
La tecnica della gascromatografia
abbinata alla spettrometria di
massa (GC-MS) è dedicata alle sostanze organiche che, nella loro
forma originale o modificata mediante derivatizzazione, possono
essere separate nella gascromatografo. I gas in uscita passano nelle
spettrometro di massa, dove le molecole vengono bombardate con un
fascio di elettroni si ionizzano, e
gli ioni molecolari carici positivamente si frammentano con formazione di cationi e/o radicali, risultano tipici della sostanza dalla
quale provengono. Gli ioni vengono separati a seconda della massa
e rivelati dallo strumento. La natura e relativa abbondanza dei radicali è indicativa del composto da
cui essi traggono origine e quindi
la ricerca mediante calcolatore su
database specifici consente di
risalire ai composti presenti originariamente(33, 34).
CONDIZIONI OPERATIVE
Per le misure in IR veniva preparata una pastiglia in KBr circa all’1% e quindi si registrava lo spettro con uno spettrofotometro FT-IR
5
Perkin Elmer 1700 che consentiva
una risoluzione di 2 cm-1 operando
con 20 scansioni e con il detector
TGS (triglicinsolfato) nell’intervallo spettrale da 4.000 a 400 cm-1.
Per avere spettri privi delle interferenze rappresentate da vapore
acqueo e anidride carbonica si
attivava un dispositivo di circolazione forzata di aria secca attraverso lo spettrofotometro. Dallo
spettro si passava quindi alla ricerca della natura del campione
per confronto con Data Base e riferimenti di letteratura(26-29, 35). L’identificazione della natura del campione veniva ottenuta in base alla
frequenza dei picchi di assorbimenti presenti nello spettro cercando di ipotizzare i gruppi funzionali presenti e successivamente
mettendo a confronto lo spettro del
campione con spettri di composti
ipotizzati.
Per le misure in microscopia Raman la polvere veniva distesa su
un supporto metallico e sottoposta
all’obiettivo del microscopio. Si
impiegava dapprima il microscopio ottico, focalizzando la particella sulla quale si intendeva registrare lo spettro. Si passava quindi
alla misura Raman impiegando un
laser a 488 nm di uno strumento
Raman Jasco NRS 2000 con una
potenza di circa 1 mW. Il detector
impiegato era un CCD (330x1100)
con 1100 pixel raffreddato ad azoto liquido. L’intervallo spettrale
variava da caso a caso, in alcuni
casi è stato esteso da 4000 a 100
cm-1, ma normalmente andava da
1100 a 100 cm-1. La scelta dipendeva dal tipo di composti che via
6
Volume 4 • Numero 4 • Settembre-Ottobre 2006
via venivano identificati: per i
composti organici era importante
studiare l’intervallo compreso tra
2000 e 1000 cm-1, per i composti
inorganici e in particolare ossidi e
eventuali solfuri l’intervallo a bassi numeri d’onda La potenza del
laser è mantenuta relativamente
bassa per evitare la degradazione
del campione conseguente ad un
eccessivo riscaldamento, che
darebbe una graduale perdita del
segnale.
La durata della registrazione variava da caso a caso: per alcuni
campioni si otteneva rapidamente
un buon spettro con basso ru m o re
e quindi si impiegavano pochi secondi, per altri, specie se il segnale era molto debole, si pro c edeva all’accumulo per alcuni minuti. Per l’identificazione della
colorante sui campioni di cosmetici si è proceduto come per gli
spettri infrarossi per confro n t o
con DataBase e riferimenti di letteratura.
Per le analisi in GC-MS i campioni venivano preparati secondo una
metodologia standard elaborata da
Evershed e coll.(18-20). Si prelevavano circa 0.2 g di campione, si ponevano in un provetta da centrifuga, si aggiungeva 1 ml di metanolo, si agitava il contenitore mediante ultrasuoni per due intervalli di 5 min e quindi si lasciava a
riposo a temperatura ambiente per
24 ore. I campioni venivano poi
centrifugati per 10 min alla velocità di 1700 rpm. Si filtrava quindi
su carta da filtro l’estratto e la
parte limpida veniva iniettata nel
g a s c romatografo per l’analisi. Il
campione 13086 con l’alcool formava grumi che dopo agitazione e
riposo restavano parzialmente in
sospensione. Gli altri campioni,
invece, sedimentavano rapidamente se lasciati a riposo, fornendo una soluzione limpida. Solo i
campioni che nello spettro IR rivelavano la presenza di sostanze
organiche sono stati sottoposti ad
analisi GC-MS.
Per l’esecuzione dell’analisi gascromatografica è stato impiegato
uno spettrometro Finnigan MAT
SSQ 710 A abbinato a un gascromatografo Varian 3400 dotato di libreria specifica per le sostanze naturali per masse molari da 2 a
2000 u.m.a. Si iniettava 1 µl di
estratto. Si è impiegato una colonna Rtx-5MS (lunga 30 m, 0.25 µm
di film di fase fissa, 0.25 mm int.
diam.) della Restek Corp. La colonna entra direttamente nella sorgente dello spettrometro. Il programma di temperatura è stato: 50
(1 minuto), salita a 280 °C a 10
gr/min, a 280 per 5 minuti, iniettore a 250°C; transfer line (fra GC e
MS) a 285°C.
Si ripeteva periodicamente l’iniezione di 1 µl dello stesso metanolo
impiegato per le estrazioni, per
controllare l’eventuale presenza di
impurezze e la costanza dei parametri strumentali. Nei risultati
delle analisi sono stati riportati
solo i composti presenti con elevata probabilità.
___________________________
La seconda parte dell’articolo apparirà sul n° 5
di Dermo Cosmo News
BIORIVITALIZZAZIONE:
TUTTI PRO O ANCHE DEI CONTRO?
Matilde Iorizzo, Maria Pia De Padova
Clinica Dermatologica - Università degli Studi di Bologna
L
a biorivitalizzazione (biostimolazione, mesoterapia del volto,
mesolift) della cute è una metodica che, negli ultimi anni, è rientrata sempre più frequentemente nei
protocolli di medicina estetica.
Le richieste dei pazienti stanno
infatti aumentando e la voglia di
prevenire piuttosto che di correggere si stà facendo sempre più insistente.
La biorivitalizzazione è una tecnica soft, ormai nota, che consiste
nell’iniettare, mediante aghi sottlissimi, sostanze perf e t t a m e n t e
biocompatibili e totalmente riassorbibili a livello del derma superficiale di differenti distretti corporei (volto, collo, scollato, dorso
mani, addome, superficie interna
di gambe e braccia).
Il fine è quello di migliorare il turgore, l’elasticità e la compattezza
della pelle attraverso lo stimolo
alla riattivazione delle funzioni del
derma con produzione autologa da
parte dei fibroblasti di sostanze
della matrice extracellulare. Biorivitalizzare significa quindi attivare
biologicamente un componente
del nostro corpo al fine di ottimizzarne la fisiologia.
Ma cosa attiva i fibroblasti?
L’acido ialuronico è senza dubbio
dotato di biointerattività nei confronti dei fibroblasti, stimolandoli
a produrre collagene, elastina ed
ulteriore acido ialuronico. Ha
7
Volume 4 • Numero 4 • Settembre-Ottobre 2006
azione osmotica-idratante, trofica
sul microcircolo e facilita il reclutamento dei macrofagi ad azione
scavenger. È disponibile in commercio a diverse concentrazioni
(più la concentrazione è alta e più
richiama acqua) e a diversi pesi
molecolari.
È più fluido e maneggevole di un
filler, ma anche meno stabile (l’emivita è più corta e gli effetti durano quindi meno). Non ha speciespecificità e teoricamente nessun
richio di allergie (non è necessario
alcun test preliminare) anche se
talvoltà si possono osservare reazioni da ipersensibilità; bisogna
infatti tenere presente che i prodotti grezzi contengono proteine
batteriche / animali ed il processo
di stabilizzazione modifica la
struttura dell’acido.
L’acido ialuronico si utilizza anche
associato a vitamine, amminoacidi, minerali, coenzimi ed acidi
nucleici. Tutti questi hanno azione
idratante, antiossidante e regolante processi metabolici volti a
migliorare il trofismo cutaneo.
Per attivare i fibroblasti si utlizzano anche macromolecole polinucleotidiche, silicio organico e prodotti omeopatici….per non parlare
dei fattori di crescita !!
Per il silicio organico spaventa un
po’ il fatto che nel prodotto finito
ci sia acido salicilico. È importante non dimenticarlo nel momento
dell’iniezione.
I prodotti disponibili sul mercato
sono quindi numerosissimi ed in
costante aumento. La ricerca di formule sempre più efficaci e di ingredienti superattivi procede rapidissima, di pari passo con la prevenzione di possibili effetti collaterali.
C’è chi sostiene comunque che
l’impiego della monosostanza sia
più sicuro rispetto al cocktail; le
intolleranze sarebbero minori ed i
prodotti, da single, più efficaci.
Bisogna però tenere presente che i
fibroblasti non producono sempre
le stesse sostanze della matrice:
in giovane età si producono proteoglicani ed elastina (idratazione
ed elasticità), mentre in età avanzata si produce collagene (tono,
ma non elasticità). Biostimolare
una cute giovane non avrà quindi
gli stessi effetti che biostimolare
una cute anziana.
La biorivitalizzazione resta una
metodica di semplice esecuzione
sia per il medico che per il
paziente. Quest’ultimo infatti non
deve interrompere le normali attività quotidiane e questo fa della
biorivitalizzazione un lunch hour
treatment.
Gli effetti sono immediati, ma
PRO
Facile esecuzione,
ridotta invasività,
minimo dolore
No necessità
di skin-test
Luminosità, turgore
e tono dell’area
trattata in maniera
globale
Eseguibile in distretti
corporei dove non
si eseguono fillers
(es. scollato, addome,
sup. interna di gambe
e braccia)
CONTRO
Necessari almeno
3 trattamenti prima
di vedere risultati
clinicamente evidenti
Effetti meno evidenti
e meno duraturi
di un filler
Efficace solo nel
photo/chronaging
lieve-moderato
Mancanza di trials
clinici controllati
Scarsità di effetti
collaterali
Tab. 1
soprattutto cumulativi. Il turgore,
l’elasticità e la compattezza migliorano col tempo se i trattamenti
vengono ripetuti in modo costante.
È una metodica mediamente invasiva che può essere utilizzata singolarmente o essere di complemento a fillers e botox. Non è solo
curativa, ma anche preventiva. La
biorivitalizzazione, anche se fatta
con acido ialuronico, non è però
un filler. Non riempie le rughe, ma
ricostruisce e riorganizza la struttura della pelle.
È dotata di scarsi effetti collaterali (lieve eritema e piccoli ematomi,
legati per lo più alla metodica di
esecuzione piuttosto chè ai prodotti iniettati), ma soprattutto è poco
dolorosa per il paziente.
È possibile comunque trovare l’acido ialuronico associato a lidocaina
cloridrato al fine di ridurre al minimo qualsiasi sensazione dolorosa.
Come ogni trattamento estetico ha
le sue controindicazioni (gravidanza, malattie autoimmuni, cute
infiammata, predisposizione alle
cicatrici ipert rofiche, terapia con
anticoagulanti orali, infezioni
batteriche / erpetiche in fase attiva) e bisogna infine tenere presente che sulla biorivitalizzazione
mancano studi clinici contro l l a t i ,
nonché protocolli che rispettino
la medicina basata sull’evidenza,
e questo è un limite significativo,
che espone il medico a pro b l e m atiche medico-legali in caso di
contenzioso.
g
Bibliografia
1. De Goursac C. Le mesolift: un approche
progressive de la rétraction cutanée. J Méd
Esthét Chir Dermatol. 2003; 30:117.
2. Cavallini M. Biorevitalization and cosme tic surgery of the face: synergies of action.
J Appl Cosmetol 2004; 22:125-132.
3. Andre P. Hyaluronic acid and its use as a
“rejuvenation” agent in cosmetic dermato logy. Semin Cutan Med Surg. 2004;
23:218-222.
8
Volume 4 • Numero 4 • Settembre-Ottobre 2006
9
Volume 4 • Numero 4 • Settembre-Ottobre 2006
Notizie dalla Letteratura
Internazionale
e dai Congressi I contributi editoriali dei Lettori vanno inviati a:
I contributi editoriali dei Lettori vanno inviati a:
[email protected]
[email protected]
PARAGONE TRA LASER AD
ALESSANDRITE E LASER A
LUCE PULSATA NELLA TERAPIA DELLE EFELIDI E
DELLE LENTIGGINI NEGLI
ASIATICI
I laser Q-switched e quelli a luce
pulsata vengono utilizzati per i
disordini pigmentari della cute.
L’obiettivo dello studio era di paragonare efficacia ed effetti collaterali di un laser Q-switched ad
alessandrite rispetto ad un laser a
luce pulsata, in caso di efelidi e
lentiggini in pazienti asiatici. In
totale 15 pazienti con efelidi e 17
con lentiggini sono stati trattati in
maniera randomizzata con una
seduta di laser ad alessandrite su
una guancia e con due sedute a
distanza di 4 settimane con laser
a luce pulsata nell’altra guancia.
L’efficacia è stata valutata mediante degli indici di severità e
dimensione della pigmentazione.
Tutti i pazienti sono migliorati in
maniera statisticamente significativa.
Un’iperpigmentazione postinfiammatoria si è sviluppata in 1 paziente con efelidi e in 8 pazienti
con lentiggini dopo terapia con
laser ad alessandrite. Nessun caso di iperpigmentazione si è verificato con la terapia a luce pulsata. Le efelidi hanno tratto un be-
neficio molto maggiore con il laser ad alessandrite. In caso di
lentiggini i risultati con laser a
luce pulsata sono stati superiori
al laser con alessandrite, specie
nei pazienti con iperpigmentazioni postinfiammatorie dopo applicazione di quest’ultimo.
COMMENTO: Le limitazioni includono un limitato campione
numerico ed un follow-up a
distanza troppo ridotto. Il rischio
di iperpigmentazioni post-terapeutiche deve essere tenuto in
considerazione con import a n z a
primaria.
- CC Wang, YM Sue, CH Yang et
al. A comparison of Q-switched
alexandrite laser and intense pulsed light for the treatment of freckles and lentigines in Asian persons: a randomized, physician
blinded, split-face comparative
trial. J Am Acad Dermatol 2006;
54:804-810.
Daniele Gambini - Milano
CARENZA MARZIALE
E PERDITA DI CAPELLI
La carenza di ferro è il deficit nutrizionale più comune al mondo
ed è associata a ritardo nello sviluppo, ridotta performance intellettiva e diminuita resistenza alle
infezioni. Nelle donne in pre - m enopausa, le cause più comuni di
c a renza marziale sono le mestru azioni e la gravidanza, mentre
nelle donne dopo la menopausa e
negli uomini, sono il malassorbimento e le perdite gastro i n t e s t inali. Diversi studi hanno indagato
la relazione tra carenza di ferro ed
alopecia, quasi esclusivamente di
tipo non cicatriziale. Sono state
suggerite relazioni con l’alopecia
areata, l’alopecia androgenetica e
il telogen effluvium. Attualmente
non esistono prove sufficienti in
letteratura per raccomandare uno
screening per la carenza di ferro
in tutti i pazienti con perdita di
capelli, e neanche per intraprendere una terapia marziale in pazienti con accertato deficit di
ferro, in assenza di anemia. A nche in carenza di prove certe, l’opinione degli autori è quella di
e s e g u i re un test di screening per
c a renza di ferro nei loro pazienti
con alopecia, sia di tipo cicatriziale che non cicatriziale. Nella
l o ro esperienza, la cura delle alopecie con deficit marziale accertato, risente infatti favorevolmente della terapia di supporto con
f e rro, sia in assenza che in presenza di anemia. Un eccessivo
supplemento di ferro può però det e rm i n a re un suo accumulo nell ’ o rganismo, e deve essere evitato
specialmente in pazienti a rischio, come quelli affetti da emocromatosi.
COMMENTO: La concentrazione
di emoglobina è utilizzata come
screening, mentre la concentrazione di ferritina nel siero è usata
come conferma del deficit marziale. Poiché tale concentrazione
aumenta in corso di malattie infettive, infiammatorie o neoplastiche, è necessario, a volte, determinare anche il ferro nel siero
oltre alla concentrazione e saturazione della transferrina.
- LB Trost, WF Bergfeld and E
Calogeras. The diagnosis and
treatment of iron deficiency and
its potential relationship to hair
loss. J Am Acad Dermatol 2006;
54:824-844.
Daniele Gambini - Milano
ESPERIENZE CON MICRODERMOABRASIONE
La microdermoabrasione è una
procedura estetica non invasiva
entrata oramai nella pratica comune dei dermatologi con interesse medico estetico.
In questo articolo si rivede la letteratura relativa a questa procedura che utilizza l’azione fisica di
cristalli inerti per esfoliare la
cute e, in particolare, si riportano
le esperienze degli autori nelle
cicatrici post acneiche (10 pz),
nel melasma (10 pz) e nel ringiovanimento del volto (10 pz).
Dopo diverse sedute a cadenza
settimanale, i risultati sono stati
buoni, specialmente poi se si
combina questa tecnica con l’utilizzo dei retinoidi topici.
- Microdermabrasion: reappraisal
and brief review of literature .
Bhalla M, Thami GP. Dermatol
Surg 2006; 32: 809-814.
Matilde Iorizzo - Bologna
TERAPIA DEL MELASMA
La terapia del melasma comprende l’utilizzo di numerosi agenti
topici depigmentanti e di terapie
fisiche; i risultati di tali terapie
sono spesso variabili. Nello studio, la Pigmentary Disord e r s
Academy (PDA) ha paragonato
l’efficacia clinica dei vari trattamenti per definire regole comuni
nell’approccio completo al problema. Per questo sono stati
identificati e tenuti in considerazione. gli studi clinici pubblicati
negli ultimi 20 anni. Il gruppo di
studio ha trovato un consenso
comune nel definire, come terapia di prima linea per il mela-
sma, una terapia topica con l’associazione di 3 sostanze. Nel
caso i pazienti non tollerino tale
associazione o questa non sia disponibile, altri prparati con 2
sostanze (idrochinone + acido
glicolico) o con singoli agenti
(idrochinone al 4%, acido retinoico al 1% o acido azelaico al
20%) dovrebbero essere considerati come alternative. Nei pazienti che non rispondono a queste
terapie, le opzioni per una terapia di seconda linea includono i
peeling, eseguiti singolarmente o
associati alle terapie topiche.
Alcuni pazienti richiedono terapie di mantenimento, ed anche in
questo caso una combinazione di
terapie topiche sembra dare il
migliore risultato. I laser dovrebbero essere utilizzati raramente
nella terapia del melasma e il
fototipo dovrebbe sempre essere
considerato.
COMMENTO: Un coraggioso
tentativo di mettere delle linee
guida sulla terapia di una condizione cutanea comune. L’idrochinone non viene attualmente utilizzato nei paesi europei.
- M Rendon, M Berneburg, I Arellano et al. Treatment of melasma.
J Am Acad Dermatol 2006; 54
(S2):S272-S281.
Daniele Gambini - Milano
10
Volume 4 • Numero 4 • Settembre-Ottobre 2006
I contributi editoriali dei Lettori vanno inviati a:
[email protected]
OPINIONI SULLE LAMPADE SOLARI DEI DERMATOLOGI RISPETTO AD ALTRI
SPECIALISTI NEGLI USA
Lo studio è stato eseguito mediante questionari spediti per posta a
dermatologi, internisti, pediatri e
medici di base. Lo scopo era di
valutare l’atteggiamento dei diversi specialisti sull’utilizzo delle
lampade solari. Hanno risposto il
38% dei medici intervistati (numero totale 364): nel 70% dei casi
i pazienti chiedevano l’opinione al
medico circa le lampade. Una
percentuale superiore di derm a t ologi rispetto agli altri specialisti
ha risposto all’intervista (52% vs
31%), ha riferito di parlare normalmente con i pazienti circ a
rischi e benfici delle lampade,
crede che i centri UV non siano
sicuri e ne vorrebbe una maggiore
regolamentazione. I medici donna
scoraggiavano le applicazioni UV
più degli uomini. I medici praticanti nella zona nordest e centrale
degli USA erano più propensi
all’utilizzo delle lampade UV per
migliorare l’umore, e più comunemente credevano che tali lampade
potevano servire per trattare la
depressione o pre v e n i re la deficienza di vitamina D.
Spesso le persone richiedono
i n f o rmazioni sull’utilizzo delle
lampade UV ai medici, e specialmente ai dermatologi, che generalmente ne scoraggiano l’uso e
le considerano più negativamente rispetto agli altri specialisti.
COMMENTO: Sarebbe utile distribuire un questionario simile in
Europa, con speciale interesse
nel verificare le opinioni dei dermatologi e degli altri specialisti
nei diversi stati ed a differente
latitudine.
- KR Johnson, LF Heilig, EJ Hester et al. Indoor tanning attitudes
and practices of US derm a t o l o g i s t s
compared with other medical specialists. Arch Dermatol 2006; 142:
465-470.
Daniele Gambini - Milano
IL SILICIO NEL TELOGEN
EFFLUVIUM: MICROANALISI AL MICROSCOPIO ELETTRONICO A SCANSIONE
Scopo dello studio è stato quello
di valutare la presenza di silicio
(Si) nei capelli di pazienti con
telogen effluvium, rapportandola
a quella di un gruppo di contro llo senza tale patologia. Sono
state arruolate 20 pazienti aff e tte da telogen effluvium, di età
media pari a 42, 35 anni, e 20
c o n t rolli omogenei di sesso fem-
11
Volume 4 • Numero 4 • Settembre-Ottobre 2006
minile. Da ciascuna di esse sono
stati prelevati capelli, non tinti
e non trattati, mediante pull test,
preparandoli per l’analisi.
Frammenti di un centimetro,
tagliati in prossimità del cuoio
capelluto per ridurre l’influenza
della contaminazione ambientale, sono stati montati su stub di
alluminio e ricoperti di carbone
(Emitech K 950). L’esame è stato
e ffettuato con un microscopio
elettronico a scansione (SEM)
dotato di apparecchiatura per la
microanalisi (Cambridge Stere oscan S 360, Oxford Instruments
INCA 3000).
Il Si è stato evidenziato nel 5%
delle pazienti (1 solo caso) e nel
35% dei controlli (p<0,05 s.), il
Ca nel 70% dei pazienti e
nell’85% dei controlli (p>0,05
n.s.), lo zolfo nel 100% dei
pazienti e dei contro l l i .
In letteratura sono riportate anomale concentrazioni di elementi
essenziali in molte patologie dei
capelli. La concentrazione di elementi inorganici è tuttavia influenzata da numerosi fattori di
difficile identificazione: fase
della crescita, distanza dal bulbo,
localizzazione, esposizione ambientale, shampoo e cosmetici,
lavaggi e metodiche utilizzate per
la microanalisi.
COMMMENTO: Dalla letteratura
I contributi editoriali dei Lettori vanno inviati a:
[email protected]
non risultano finora studi di
microanalisi al SEM sul Si nei
capelli di donne con telogen
effluvium e questi dati preliminari sembrano indicare un certo
ruolo protettivo di questo elemento nei confronti di questa
patologia. Studi pubblicati hanno dimostrato un ruolo del Si
nello spessore e nell’elasticità
cutanea e, poiché questo elemen-
to si concentra elettivamente nel
corneo e nell’epicuticola del pelo
e sembra diminuire con l’età,
p o t rebbe, per analogia, essere
importante anche nel trofismo dei
capelli.
Studi su più vasta scala consentiranno di valutare anche se la
somministrazione orale di Si può
r i d u rre o prevenire il telogen
effluvium.
- Renata Strumia*, Maria Michela Lauriola
Dipartimento di Medicina Clinica
e Sperimentazione, Sezione di
Dermatologia, Università degli
Studi, Ferrara.
* U.O. Dermatologia, Azienda
Ospedaliera Universitaria Arcispedale S. Anna, Ferr a r a .
81° congresso SIDeMaST - Torino
31 maggio - 03 giugno 2006.
ADENOGEN ALLUNGA LA
VITA DEI CAPELLI, LO DIMOSTRA UNO STUDIO CLINICO IN DOPPIO CIECO
spressione genica e la sintesi non
solo di VEGF ma soprattutto di
FGF7 (Fibroblast Growth Factor 7)
il più importante fattore di cre s c i t a
che sostiene la fase Anagen (fase
iniziale di crescita del capello).
Uno studio clinico randomizzato in
doppio cieco verso niacinamide,
eseguito su oltre 100 pazienti
presso la clinica del Prof. Watanabe, noto tricologo di fama internazionale, dimostra l’efficacia di
Adenosina nel trattamento dell’Alopecia Androgenetica.
L’80% dei pazienti, dopo 6 mesi di
trattamento, migliora in modo statisticamente significativo, senza
alcun effetto collaterale, perc e ntuale che sale al 90% se si includono anche i lievi miglioramenti.
Valutazioni oggettive eseguite da
istituti indipendenti dimostrano
che aumenta lo spessore dei capelli: si riducono quelli con diametro
inferiore a 40µ. mentre aumentano
quelli superiori a 60 e 80µ.
Adenogen allunga la vita del capello non solo nell’Alopecia Androgenetica, ma anche ed in tutti i
casi di Telogen Effluvium.
LiM nel 2001 per primo ipotizzò
che Minoxidil promuovesse la crescita del capello in modo indiretto
tramite Adenosina, principio attivo
naturale di Adenogen. Per confermarlo ricercatori Shiseido hanno
studiato l’effetto di Adenosina in
v i t ro, con tecnica DNA micro a rr a y,
dimostrando che favoriva l’allungamento del capello attraverso l’e-
Volume 4 • Numero 4 • Settembre-Ottobre 2006
I contributi editoriali dei Lettori vanno inviati a:
[email protected][email protected]
VITAMINE DEL GRUPPO B
NEL TRATTAMENTO DELL’ACNE
Il quesito
Egregio Prof. Veraldi,
Che cosa pensa dell’utilizzo delle
vitamine del gruppo B nel trattamento dell’acne? Sono eff i c a c i ?
Sono sicure?
Dr. A.G. - Collecchio (PR)
La risposta
Egregio Collega,
Una risposta esaustiva richiederebbe molto spazio, per cui mi limito al ruolo della nicotinamide,
che è, peraltro, la vitamina del
gruppo B di gran lunga più studiata nell’acne.
Numerosi studi sperimentali hanno dimostrato che la nicotinamide
inibisce la migrazione dei polimorfonucleati, il rilascio di enzimi
lisosomiali e la liberazione di amine vasoattive. La molecola agisce
quindi nell’acne in quanto antiinfiammatorio.
A mia conoscenza, sono stati fino
a oggi pubblicati due studi clinici
controllati relativi all’utilizzo
della nicotinamide topica nell’acne(1, 2). Nello studio di Shalita et
al.(1), la nicotinamide al 4% in gel
è stata confrontata con la clindamicina fosfato all’1%, mentre
nello studio di We l t e rt et al.(2) è
stata confrontata con l’eritro m i c ina al 4% in gel. In entrambi gli
studi la nicotinamide è risultata
efficace almeno quanto il farm a c o
di confro n t o .
Gli effetti collaterali erano costituiti da lieve pizzicore e bruciore
nella sede di applicazione del prodotto. Che la nicotinamide sia una
molecola sicura è dimostrato dal
fatto che pochi mesi fa è stato pubblicato uno studio(3) su 198 pazienti con acne o rosacea che sono stati
trattati con nicotinamide orale
(750 - 1.500 mg/die) associata allo
zinco (25-50 mg/die per os) per
otto settimane.
Quanto fino a oggi pubblicato dimostre rebbe che alcune vitamine
del gruppo B, come la nicotinamide, non peggiorano l’acne,
come molti ancora oggi ritengono, ma anzi la migliorano, e presentano un profilo di sicurezza
superiore a molti altri prodotti
anti-acne.
Stefano Veraldi - Milano
Bibliografia
1. Shalita AR et al.: Int J Dermatol 1995; 34:
434-437.
2. Weltert Y et al.: Nouv Dermatol 2004; 23:
385-394.
3. Niren NM & Torok HM: Cutis 2006; 77
(Suppl. 1): 17-28.
TERAPIA FOTODINAMICA
NELL’ACNE
Il quesito
Caro Veraldi,
Che cosa pensi della terapia fotodinamica nell’acne?
Paolo R. - Firenze
La risposta
Caro Collega,
Non ho un’esperienza personale:
non posso quindi dare un giudizio.
Tuttavia, a fronte di alcuni dati
della letteratura positivi, sono rimasto impressionato dai giudizi
negativi che hanno dato Harald
Gollnick (a febbraio a Milano, in
occasione degli Incontri organizzati dalla Intendis) e Gerd Plewig
(a marzo a San Francisco, all’American Academy).
Poiché Gollnick e Plewig sono
considerati tra i maggiori esperti
di acne in Europa... (non so se mi
sono spiegato).
Ai posteri l’ardua sentenza.
Stefano Veraldi - Milano