Per un rinnovato impegno della politica di Aiuto Pubblico allo Sviluppo

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Per un rinnovato impegno della politica di Aiuto Pubblico allo Sviluppo
L’Italia deve essere in prima fila per il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio, a sostegno della pace e nella lotta contro
la povertà, l’ingiustizia, lo sfruttamento.
La crisi finanziaria che ha colpito le economie dei paesi industrializzati non può essere presa a scusa per tagliare il contributo e gli
impegni che il nostro paese ha nei confronti dei paesi in via di sviluppo, per il conseguimento degli Obiettivi di Sviluppo del
Millennio, per la pace e per la lotta alla povertà , alle ingiustizie ed allo sfruttamento. La stessa attenzione, attraverso politiche di
sostegno economico, che chiediamo per i lavoratori e le lavoratrici, per i pensionati, per i precari direttamente colpiti dalla crisi, nel
nostro paese, la chiediamo per il sostegno ai programmi di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, dove la popolazione rischia di
pagare, con ulteriori limitazioni dei propri diritti fondamentali, gli effetti della crisi mondiale. Una politica miope di disimpegno,
oltre a vanificare gli sforzi fin qui realizzati per ridurre i fattori di fuga, per migliorare le condizioni di salute, di educazione e di
opportunità di impiego dignitoso nei paesi in via di sviluppo, produrrebbe ulteriori ondate migratorie, politiche repressive, conflitti e
scontri sociali, traffici illegali, insomma, si alimenterebbe quel circolo vizioso che tutti quanti vogliamo combattere e sostituire con
quello virtuoso dello sviluppo sostenibile e dell’esercizio dei diritti fondamentali, per tutte e per tutti.
Purtroppo, i dati sono inequivocabili, nelle finanziarie del 2009 e 2010, il volume complessivo delle risorse destinate all’APS ha
subito una forte riduzione, ritornando sotto la media dei paesi dell’UE, allontanandosi da quello 0,33% già fissato come obiettivo in
sede comunitaria entro il 2006, con un misero 0,22%, secondo le ultime rilevazioni DAC/OCSE per il 2008, relegando il contributo
per i progetti promossi dalle ONG, a importi residuali, pari al 2% dei fondi destinati all’aiuto bilaterale, contro la media europea del
7%, fondi sufficienti a finanziare un numero troppo limitato di iniziative promosse dalle ONG Italiane, come dichiarato in più
opportunità dalla stessa Associazione delle ONG Italiane, collocando lo Stato Italiano, più a livello di una Fondazione privata che ad
una delle otto potenze mondiali.
A causa di questa forte riduzione di risorse finanziarie, la suddivisione tra politica bilaterale e politica multilaterale appare molto
sbilanciata, a favore di quest’ultima, con un 51% di risorse a favore delle agenzie multilaterali, contro la media OCSE del 26% (dato
relativo al 2007, OCSE) , da cui appare chiaro come, con la contrazione dei fondi, si tagli in modo pesante la cooperazione bilaterale,
visto che, sotto una certa soglia, quella dei contributi obbligatori, non si può ridurre l’impegno multilaterale, come i contributi
obbligatori con la UE e con le NU. E’ chiaro a tutti che non si può parlare di scelte strategiche, ma di semplice adempimento ad
obblighi istituzionali.
La questione strategica è un altro dei deficit che si va approfondendo sempre più, aumentando le difficoltà della nostra cooperazione
internazionale. Gli interventi a pioggia,
la difficoltà di coordinamento tra Direzioni Generali e Programmi, l’incertezza dei
finanziamenti, sommati alla scelta dell’attuale Ministro degli Esteri, Frattini, di non dare una delega ad hoc, ad un sotto-Segretario di
Stato, rendono vani gli sforzi di chi opera con dedizione e competenza all’interno dello stesso Ministero, e dimostra ulteriormente, la
scarsa convinzione e lo scarso impegno del Governo Berlusconi, nei confronti della Cooperazione allo Sviluppo.
Occorre una riforma strutturale e culturale
Scarso volume delle risorse impiegate, scarsa definizione strategica, un sistema burocratico e di gestione caotico e pieno di percorsi
che si ripetono, conflitti di competenze, perdite di tempo, interpretazioni contraddittorie e contrastanti sull’applicazione delle norme,
struttura tecnica perennemente sotto organico, fanno sì che si debba affrontare con rinnovata urgenza, il tema della riforma del nostro
sistema di APS. Come viene più volte ricordato negli stessi ambienti del Ministero degli Affari esteri dagli stessi funzionari, “… la
macchina è talmente obsoleta che anche se vi fossero più risorse non si riuscirebbe a spenderle…”.
Riforma che deve comprendere anche il sistema di scelte e di utilizzo dei fondi dell’APS, a tutt’oggi impossibile da conoscere, a
causa di una gestione che sfugge al controllo del Parlamento e della società civile, con un ruolo preponderante del Ministero delle
Finanze dove, di fatto, si decide la stragrande maggioranza degli impegni di APS, d’esautorando il Ministero supposto competente,
cioè, il Ministero degli Affari Esteri.
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Il Parlamento e le Commissioni Esteri dei due rami, debbono riappropriarsi della propria funzione di indirizzo e di controllo, affinché
gli impegni presi in sede internazionale siano rispettati, occorre rilanciare l’idea del fondo unico dell’APS, ma, soprattutto, occorre
rilanciare il dibattito politico sulla cooperazione allo sviluppo, collocandola all’interno di una più ampia riflessione che comprenda le
questioni della globalizzazione, del modello di sviluppo, della pace, dei flussi migratori e dell’ambiente, per una strategia di politica
internazionale, coerente con le scelte politiche ed economiche del paese, efficace per contribuire a sconfiggere povertà, sfruttamento,
pandemie ed emarginazione, efficiente per il miglior utilizzo possibile delle risorse umane e finanziarie investite.
Altro elemento molto importante, da migliorare è l’informazione e la trasparenza degli atti, il rispetto dei tempi per l’approvazione ed
il pagamento dei contributi, avendo riscontrato che nella gestione dei fondi dell’APS vi siano ancora aree grigie da eliminare
definitivamente, come sono le diverse interpretazioni burocratiche che tengono bloccati i crediti delle ONG per anni, oppure i criteri
di distribuzione delle risorse alle varie Agenzie Internazionali e nel canale bilaterale, non sempre chiari o rispondenti alle priorità
degli obiettivi del Millennio, o le stesse procedure di assegnazione degli incarichi, degli appalti e della contrattazione del personale,
sia in Italia che nelle Ambasciate all’estero.
La riforma della Legge 49/87 è sempre più necessaria ed urgente. Una riforma che preveda l’assegnazione delle responsabilità e delle
competenze di Direzione e Gestione dell’APS, a manager e tecnici professionalmente preparati, come da anni si sta facendo nei
principali paesi dell’Unione Europea e come già avviene in altri Ministeri italiani, togliendo queste funzioni al corpo diplomatico,
che dovrebbe mantenere la rappresentanza politica ma non interferire nella Direzione e Gestione della Cooperazione.
Ma, la sola riforma dell’articolato di legge, molto probabilmente non è sufficiente, perché occorre dar vita ad una vera riforma di
carattere culturale, cambiando l’idea di fondo che ancora circola nel nostro paese, che la cooperazione allo sviluppo e l’aiuto ai paesi
poveri, sia un gesto umanitario, un gesto di coscienza, un aiuto dovuto a chi è e resterà povero, e niente di più, non riconoscendo che
la cooperazione internazionale è uno degli strumenti principali di politica a disposizione degli stati, delle organizzazioni
sopranazionali ed internazionali, e che la lotta alla povertà non è più un problema localizzabile, ma è oramai entrato a far parte delle
nostre economie, delle nostre società, dei nostri mercati, delle nostre scuole, dell’organizzazione del lavoro e delle relazioni
industriali, del clima che verrà e del nostro futuro. La mobilità delle persone, delle merci e dei mercati finanziari, sono la conferma,
se ce ne fosse ancora bisogno dell’urgenza di pensare e di agire in termini globali.
Superare i localismi e le divisioni.
Dobbiamo, quindi, essere maggiormente impegnati, tutti quanti, come sistema italiano ed europeo, ognuno per le proprie
responsabilità e funzioni, a promuovere una politica di cooperazione allo sviluppo “dignitosa” come si richiede ad un paese, l’Italia e
ad una aggregazione sopranazionale, l’Unione Europea, a partire dall’analisi delle cause che riproducono le povertà, le ingiustizie, le
guerre e le distruzioni dell’equilibrio ambientale, riducendo progressivamente l’approccio assistenzialista e generalista che ancora
caratterizza l’APS italiano, a favore di un maggiore sostegno ai processi di democratizzazione, alla promozione e la tutela dei diritti
umani, all’impegno per la pacificazione nelle aree di guerra e di conflitti, alla gestione dei beni comuni e dell’ambiente. Un sistema
che veda il coordinamento tra i vari soggetti, istituzionali e non, come il coordinamento tra le diverse politiche per presentarsi in
modo ordinato e coerente nel contesto internazionale, dove a sua volta, occorre operare con altrettanta attenzione e responsabilità per
mantenere coerenza,
efficacia ed efficienza, nell’azione di coordinamento e di condivisione delle politiche di cooperazione
internazionale, con gli altri donatori e, soprattutto, in relazione ai diversi attori, istituzionali e non, dei paesi in via di sviluppo.
Fare sistema che significa anche una maggiore presenza e responsabilità della società civile organizzata, che pur nelle sue molteplici
identità e forme organizzative, deve ritornare ad essere più attenta a mobilitarsi ed a mettere al centro del proprio agire le proprie
funzioni di rappresentanza e di impegno civile, invertendo la tendenza degli ultimi anni, alla frammentazione ed alle continue
divisioni, non per ultima, la divisione, all’interno delle ong italiane, che, dopo la nascita di una aggregazione delle ong di emanazione
internazionale, ha visto una ulteriore spaccatura nell’Associazione delle ONG Italiane, con la creazione di un nuovo soggetto
federativo di ong, che trova il suo patto fondativo su aspetti più operativi e gestionali che altro, differenziandosi così dal resto delle
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ong e dalle federazioni storiche, già a loro volta molto distanti da quelle forme di associazionismo e di impegno internazionale nate in
ogni parte della penisola, a partire dalla guerra dell’ex-Jugoslavia. Uno scenario, quello dell’associazionismo italiano, che se non
ricomposto in termini di forum o di confederazione, perde per strada le proprie potenzialità e ruolo di soggetto sociale e di
rappresentanza, incapace di portare nei luoghi della politica e nell’opinione pubblica in generale, le ragioni del sud, le battaglie per i
diritti, per le libertà, per la giustizia.
Andrea Amaro
Sergio Bassoli
Dipartimento Internazionale CGIL
Roma, 29 gennaio 2010
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