La Cina vince la sfida del fotovoltaico

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La Cina vince la sfida del fotovoltaico
La Cina vince la sfida del fotovoltaico
Mercoledì 13 Ottobre 2010 10:28
SHANGAI - Il simbolo della rivoluzione solare cinese si trova a Wuxi, una città di cinque milioni
di abitanti a un paio d'ore di auto da Shanghai. Il quartier generale di Suntech è coperto di
pannelli fotovoltaici. Sono 2.600, ognuno lungo due metri. Il più grande impianto al mondo
costruito sulla facciata di un edificio. Al suo interno migliaia di persone lavorano alla produzione
dei moduli fotovoltaici che finiscono sui tetti e nelle centrali di tutto il mondo facendo
dell'azienda il leader mondiale del settore. Mentre nei laboratori si sperimentano le celle di
nuova generazione che promettono un salto di qualità nell'efficienza dell'energia solare.
I pannelli sono sui vetri delle finestre, sui tetti, esposti sulle pareti. Vicino alle fotografie di
Zhengrong Shi, il fondatore dell'azienda. Shi è nato qui vicino. Dopo una laurea in ottica e un
master in fisica dei laser, Shi, negli anni Ottanta, decise però di continuare gli studi all'estero.
Pensava agli Stati Uniti, ma finì in Australia, dove ha conosciuto Martin Green, direttore del
Photovoltaic Center of Exellence della University of New South Wales, a Sidney. Oggi Green è
considerato il pioniere del fotovoltaico. Ha messo le mani sul primo pannello negli anni
Sessanta e da quel giorno non ha smesso di fare ricerca, registrando diversi record di efficienza
delle celle in laboratorio.
Shi è stato suo allievo, portando a termine un Phd e iniziando a lavorare alla Pacific Solar, una
start up nata in quelle aule che cercava di commercializzare i primi moduli con tecnologia a film
sottile. «Non mi piace stare fermo, cerco sempre nuove opportunità», dice Shi, che oggi è uno
degli uomini più ricchi della Cina ed è stato celebrato dalle copertine di Fortune, Forbes e Time
come il Re Sole del ventunesimo secolo, uno dei simboli della rivoluzione green. «Il lavoro alla
Pacific mi ha portato in giro per il mondo. Sono entrato in contatto con diverse realtà tra cui
l'italiana Eurosolare, dell'Eni».
Il fondatore di Suntech parla senza soste, con l'entusiasmo dello scienziato e la concretezza del
manager. Racconta di quando nel 2000 decise di tornare in Cina con l'idea di fondare
un'azienda che producesse moduli tradizionali a silicio mono e policristallino ma a basso costo.
«Non era facile, il paese era molto diverso da oggi». Il venture capital non era sviluppato. Dopo
diverse ricerche Shi trovò una risposta nel governo locale di Wuxi, che gli garantì 6 milioni di
dollari. «Nei primi sei mesi riuscimmo a produrre 10 megawatt. Tra il 2002 e il 2003 girammo
molto per farci conoscere. Ricordo una fiera del solare a Berlino dove eravamo l'unica azienda
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asiatica. Ci guardavano con curiosità e stupore. Poi capirono che i nostri prodotti erano
affidabili. Nel 2003 finimmo in anticipo la produzione e decidemmo di crescere ulteriormente.
Nel 2004 la Germania aumentò gli incentivi e fu una grande opportunità. Le cose stavano
cambiando. Per arrivare prima sul mercato iniziammo a spedire i moduli in aereo, evitando di
perdere settimane con il trasporto marittimo».
Suntech riuscì a partire con costi bassi grazie a un forte uso della manodopera e l'acquisto di
macchinari di seconda mano da Stati Uniti ed Europa. Fece accordi convenienti con i fornitori di
silicio. Il costo di produzione era circa la metà di quello tradizionale. Ha cavalcato il boom del
settore dall'inizio conservando questo vantaggio competitivo. Nel 2002 la produzione era di 10
MW, mentre il 2010 si chiuderà con 1.8 gigawatt. Suntech nel frattempo si è quotata alla Borsa
di New York e nel 2009 ha registrato ricavi per 1,7 miliardi di dollari. «Se un giorno l'energia del
Sole avrà un peso considerevole dovremo ringraziare la Germania. È stata la prima a credere
negli incentivi. Poi sono arrivati Italia (che oggi è il secondo mercato mondiale per l'azienda,
ndr), Spagna, Francia e Stati Uniti».
Nel frattempo la capacità produttiva della Cina è passata dai due MW del 2002 agli oltre 4mila
di oggi, superando Germania, Giappone e Stati Uniti. Secondo i dati di Solarbuzz nel secondo
trimestre del 2010 quattro tra i cinque maggiori produttori sono cinesi: First solar (americana),
Suntech, JA Solar, Yingli Green Energy e Trina Solar. Non senza polemiche: poche settimane
fa una lunga inchiesta del New York Times denunciava gli aiuti che Pechino garantirebbe alle
aziende che sfornano pannelli solari nella città di Changsha violando le regole della Wto (senza
contare gli interventi sul mercato valutario).
I pannelli cinesi finiscono soprattutto in Europa e Stati Uniti, mentre il mercato interno, pur
crescendo, non è tra i grandi. «Il governo sta studiando il giusto regime di incentivi – spiega Shi
-. Ci vuole una soluzione che tenga conto delle differenze regionali, sia affidabile e garantisca
un giusto ritorno dell'investimento. Credo che nei prossimi tre anni assisteremo a una forte
crescita e la Cina diventerà un mercato importante».
Certamente «i sussidi non potranno durare per sempre». L'obiettivo dell'industria è il
raggiungimento della grid parity, momento di parità tra il costo della corrente elettrica prodotta
con i pannelli solari e la bolletta tradizionale. Shi è ottimista e crede che a breve verrà raggiunta
in Italia e altri paesi con buona insolazione (il nostro paese è "avvantaggiato" anche dagli alti
costi dell'energia elettrica). «Oggi l'energia del Sole soddisfa il 2% della domanda di corrente
elettrica in Germania e meno dell'1% nel mondo, siamo ancora in fase embrionale. Ci sono
grossi margini di crescita».
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La stessa visione di Stuart Wenham, responsabile dello sviluppo tecnologico dell'azienda e allo
stesso tempo direttore del centro di ricerca di Green, che oggi ha abbandonato la ricerca attiva
ma fa ancora parte del board dell'istituto e collabora con Suntech. Wenham coordina il lavoro di
ricerca del colosso cinese. Il percorso intrapreso per migliorare l'efficienza delle celle
tradizionali è quello iniziato a suo tempo da Green e dal giovane dottorando Shi. Suntech lo ha
chiamato progetto Pluto. Si tratta di intervenire sul processo di stampa delle superfici. Le linee
di pasta di argento vengono avvicinate il più possibile in modo da rendere più efficiente la
raccolta di carica dal silicio. Vengono utilizzati wafer più sottili e dunque il processo di stampa
va modificato. «Al momento produciamo 6 MW al mese con la prima fase di Pluto - continua
Wenham – ma nel 2011 prevediamo di mettere sul mercato 450 MW». L'efficienza di questi
moduli arriva al 19-19,5%, contro una media del 15%. La fase 2, che dovrebbe arrivare sul
mercato per la fine del 2011, raggiungerà il 21%, mentre la fase 3 il 22-3%. «L'incremento di un
punto percentuale nell'efficienza taglia i costi del 6%», dice Wenham.
Nel frattempo Suntech collabora con con la SwinburnSuntech, mette a frutto le competenze dei
migliori laboratori europei, americani e australiani. «Tra cinque o dieci anni le cose non
staranno più così. La Cina perderà questo vantaggio. Conterà più la tecnologia del posto in cui
si produce. Per questo il paese sta puntando su progetti di ricerca più focalizzati», conclude
Wenham.e University of Technology di Melbourne per sviluppare «la terza generazione del
fotovoltaico», quella che riesce a superare i limiti teorici delle celle assorbendo tutte le
lunghezze d'onda della luce solare. Questi progetti non arriveranno alla fase commerciale
«prima di dieci anni». Quanto alla tecnologia al film sottile, il responsabile dello sviluppo di
Sunteh dice di non essere «un entusiasta» di questa tecnologia, che «ancora non è
competitiva. Oggi l'efficienza è di circa l'11%, diventerà interessante quando raggiungerà il
15%». Negli ultimi anni la crescita mondiale del fotovoltaico è dipesa più dal calo del prezzo dei
moduli che dall'aumento dell'efficienza. Lo stesso balzo della Cina dipende soprattutto dal
basso costo di produzione piuttosto che dal lavoro di ricerca, che generalmente, come nel caso
di di Suntech, mette a frutto le competenze dei migliori laboratori europei, americani e
australiani. «Tra cinque o dieci anni le cose non staranno più così. La Cina perderà questo
vantaggio. Conterà più la tecnologia del posto in cui si produce. Per questo il paese sta
puntando su progetti di ricerca più focalizzati», conclude Wenham.
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