Scienza e media ai tempi della globalizzazione

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Scienza e media ai tempi della globalizzazione
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Pietro Greco, Nico Pitrelli
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Indice
VII
Prefazione
Capitolo 1
3
Il giornalismo scientifico
Capitolo 2
25
Non c’è scienza senza comunicazione
Capitolo 3
65
Nuovi pubblici, nuova comunicazione
Capitolo 4
87
La società della conoscenza
Capitolo 5
95
Il sistema dei media
Capitolo 6
111
La scienza nella società della conoscenza
Capitolo 7
La comunicazione della scienza nella società della conoscenza
Pietro Greco, Nico Pitrelli
Scienza e media
ai tempi della globalizzazione
141
Progetto grafico: studiofluo srl
Impaginazione: adfarmandchicas
Redazione: Stefano Milano
Coordinamento produttivo: Enrico Casadei
155
I media non sono adatti al discorso scientifico
183
191
Note
Bibliografia
© 2009 Codice edizioni, Torino
Tutti i diritti sono riservati
ISBN 978-88-7578-141-5
Capitolo 8
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Prefazione
Sarà la comunicazione a salvarci dal riscaldamento globale?
La questione è stata posta qualche tempo fa a uno degli autori di
questo libro durante una lezione all’università. Il tono era forse un
po’ provocatorio, ma secondo noi è una buona domanda.
Primo, perché racchiude mille altre questioni che riguardano la
complessa relazione contemporanea tra scienza e società. Secondo,
perché, seppur con aria di sfida, pone interrogativi sul valore della
comunicazione della scienza.
Siamo entrambi impegnati da diversi anni in attività pratiche e di
ricerca in questo campo e abbiamo la sensazione che si stenti ancora
molto a riconoscer loro un reale spessore. Questo è vero soprattutto
nel nostro paese, in diversi circoli accademici e politici, così come
tra i professionisti.
Uno dei motivi per cui abbiamo scritto questo libro è far comprendere, anche ai non addetti ai lavori, che la comunicazione della
scienza è una cosa complessa e sempre più interconnessa col futuro
della società, dell’innovazione e della scienza stessa. A dispetto di
quanto si ritiene comunemente, non si può più ridurre questa comunicazione, se mai è stato possibile, a un divertissement per scienziati in pensione, ricercatori incapaci o giornalisti precari.
Nella prima parte del libro (dal primo al terzo capitolo), scritta
da Nico Pitrelli, i lettori troveranno una panoramica della letteratura scientifica più consolidata e più recente sulla comunicazione
della scienza, le direzioni più interessanti in cui si è sviluppata la ricerca e le sfide più stimolanti che dovrà accettare nei prossimi anni.
L’attenzione sarà rivolta soprattutto al rapporto tra scienza e mass
media, il tema centrale del nostro libro. Gli studi accademici hanno
infatti avuto origine in gran parte per rispondere alle tensioni tra
scienziati e giornalisti durante gli anni Sessanta del Novecento, per
poi prendere strade molto diverse, raccogliendo contributi dalla storia della scienza, dalla sociologia della conoscenza scientifica, dalle
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scienze politiche, dagli studi di retorica e da molte altre discipline.
Finora è stata prodotta una letteratura anche di qualità ma dispersa,
in cui si sono esaltati i distinguo disciplinari perdendo di vista l’omogeneità dell’oggetto di studio: i processi di diffusione, circolazione e
negoziazione della scienza. Si è consolidata, ad esempio, una distinzione netta tra mezzi di comunicazione di massa e tutte le altre forme di comunicazione che riguardano la scienza e la tecnologia.
È necessaria invece una visione più ampia per comprendere appieno le specificità del ruolo dei mass media nei processi di circolazione
della conoscenza scientifica. Si mostrerà che essi, in particolare i nuovi media, hanno assunto un’importanza rilevante non solo nei rapporti sempre più stretti tra scienza e società, ma anche nel progresso
interno della scienza e nello sviluppo democratico della società.
Fornire una versione d’insieme della comunicazione della scienza
è però solo la premessa, necessaria ma non sufficiente, per rispondere
alla domanda iniziale: la comunicazione ci salverà dal riscaldamento
globale e da tutto ciò che riguarda l’impatto sociale della scienza nel
XXI secolo? Ad argomentare una possibile risposta a questo interrogativo sarà Pietro Greco nella seconda parte del volume (dal quarto
capitolo in avanti).
Siamo entrati, si dice, nella società e nell’economia della conoscenza, il cui elemento centrale è la costruzione della “cittadinanza
scientifica”. Un concetto complesso, da non confondersi con l’ideale di un cittadino in armonioso e ammirato accordo con un unico
sviluppo possibile della storia del mondo guidato dalla razionalità
scientifica. È una nozione che riguarda la piena capacità di esprimersi e di scegliere, da parte di tutti gli abitanti del pianeta, nel corso
della transizione, epocale e globale, verso la società dell’informazione e della conoscenza, che ha la scienza tra i suoi pilastri costitutivi.
Chi è in grado di favorire un pieno diritto di cittadinanza in un
mondo in cui la conoscenza è diventata una risorsa primaria di
produzione?
I mezzi di comunicazione di massa sembrerebbero una possibilità ragionevole, ma riteniamo che oggi, da soli, non siano in grado di
rispondere a questa richiesta. Allo stesso tempo crediamo che senza
comunicazione pubblica della scienza non ci sia una vera società democratica della conoscenza.
Le domande allora diventano: esistono altri spazi, oltre ai media,
in cui si può esprimere la richiesta di cittadinanza scientifica? Se no,
quali sono i rischi che corriamo?
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Capitolo 1
Il giornalismo scientifico
Il futuro degli Stati Uniti è seriamente in pericolo. È il 1997. Jim
Hartz, giornalista scientifico con 40 anni di carriera alle spalle, e Rick
Chappell, fisico della NASA con un passato da consigliere di Al Gore,
non hanno dubbi: il crepuscolo dell’America sarà segnato dalle cattive relazioni tra scienziati e giornalisti1. Con il senno di poi delle Torri gemelle e dei mutui subprime, l’analisi di Hartz e Chappell può far
sorridere. Ma solo a una lettura superficiale. I due, dichiaratamente
di parte, innamorati della ricerca e dell’innovazione tecnologica,
scrivono un documento con i presupposti di chi vede la scienza continuamente sotto attacco. Colgono però un punto su cui sarebbero
convenuti insigni studiosi degli anni a venire: nella società e nell’economia basate sulla conoscenza chiunque assuma la leadership
mondiale scientifica e tecnologica deterrà il predominio politico ed
economico. Non sbagliavano. Basta guardare a Obama e alla Cina.
Cioè ai soldi in ricerca e sviluppo che le due vere e uniche superpotenze rimaste in cirolazione stanno investendo per uscire dalle secche della recessione globale. Hartz e Chappell non si sbagliavano
neanche riguardo alle relazioni con i media. Che piaccia o no, gli
scienziati devono fare i conti con i giornalisti, con cui i rapporti sono
tesi. O almeno sono percepiti come tali.
Tensioni
Paul Adrien Maurice Dirac è stato un grande scienziato. Vincitore
del premio Nobel per la fisica nel 1933, viene ricordato per i contributi alla formalizzazione della meccanica quantistica e per aver teorizzato l’antimateria. Meno note sono le sue raccomandazioni riguardo ai giornalisti. Poche parole – Dirac era un tipo schivo e riservato –
ma chiare: starne alla larga2. La diffidenza non era del tutto ricambiata. Il primo corrispondente scientifico britannico, James Gerald
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Crowther, per convincere un redattore del “Manchester Guardian” a
pubblicare un articolo di Dirac uscito sulla rivista specialistica “Future of Atomic Physics”, usava queste parole: «È un genio assoluto,
[…] ha solo 27 anni ed è probabilmente la più straordinaria figura
della fisica inglese in circolazione». L’enfasi non basta a convincere
William Crozier, il caporedattore del “Guardian”. L’argomento è «di
sicuro interessante, – dice Crozier – ma non possiamo permetterci di
pubblicare articoli che vengano letti solo da pochi altri accademici»3.
Sono passati più di 70 anni dai tempi di Dirac e i conflitti tra scienziati e giornalisti non sembrano essersi risolti. È da più di 30 anni, ad
esempio, che la American Association for the Advancement of
Science (AAAS), la più grande associazione scientifica generalista del
mondo, finanzia seminari, corsi e work-shop per aiutare giovani ricercatori a interagire meglio con radio, televisione e giornali. In
questa direzione è seguita a ruota da fondazioni di beneficenza e
istituzioni di ricerca, come la CIBA Foundation o l’European Molecular Biology Laboratory. Sull’argomento vengono periodicamente prodotti manuali e guide pratiche4. In rete esistono social
network come il Research and Media Network5 realizzati per far
condividere esperienze, idee, informazioni sulle migliori strategie
mediatiche per diffondere al meglio i risultati della ricerca. Sono
anche nate imprese private specializzate nel formare scienziati-comunicatori6. Il progetto ESConet7, finanziato dall’Unione europea
nell’ambito del Settimo programma quadro, ha coinvolto per tre
anni, fino al 2008, una rete di 17 istituzioni di 12 diversi paesi con
l’obiettivo di costruire moduli d’insegnamento in comunicazione
indirizzati agli scienziati. Lo scopo era fornire, soprattutto ai ricercatori più giovani, le competenze per comunicare più efficacemente con pubblici diversi, sottolineando l’importanza dei temi di
scienza e società. Nel 2007, nell’Europa a 27, si contavano più di
80 scuole di giornalismo scientifico o di comunicazione della scienza8. A queste iniziative vanno aggiunti innumerevoli workshop ad
hoc, moduli specifici all’interno di insegnamenti più generali, scuole estive, corsi interdisciplinari.
Esiste insomma una grande ricchezza di insegnamenti formali e
informali in comunicazione della scienza e uno sforzo a livello mondiale per migliorare le interazioni fra scienziati e giornalisti. Il presupposto è che ci sia qualcosa che non va, un qualche tipo di deficit.
E come dare torto a chi la pensa così quando si legge sui quotidiani di OGM e cellulari che uccidono le api, di acceleratori di parti-
Il giornalismo scientifico
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celle spacciati per “bombe fine di mondo”, di ragni giganti che invadono l’Europa o quando in televisione si continuano a vedere
complottisti che negano l’allunaggio umano e strade magiche in cui
le automobili in discesa invece di andare in giù vanno in su.
Sulla scorta di esperienze maturate inizialmente negli Stati Uniti,
anche in Italia associazioni come il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale (CICAP), nato per iniziativa di
Piero Angela e di scienziati come Silvio Garattini, Margherita Hack
e Rita Levi Montalcini, si battono attivamente per denunciare le
“bufale”, le superstizioni e le leggende che vengono diffuse in maniera crescente dai mass media in chiave antiscientifica9.
Tra chi si occupa di rapporti fra scienza e società c’è la tendenza a
ridurre gli episodi denunciati ad aneddoti poco significativi o a circoscriverli entro un conflitto dai contorni precisi e dalla storia antica,
cioè quello che vede gli scettici razionalisti fronteggiarsi con guaritori, astrologi e oscurantisti di varia natura.
Ma come giudicare il dibattito messo in scena sui media quando
si parla di temi dalle vaste implicazioni politico-sociali come fecondazione assisitita, cambiamenti climatici, evoluzione, rifiuti, energia
nucleare? Gli scienziati, mediamente, lo giudicano male. Accusano i
giornalisti di inaccuratezza, imprecisione, sensazionalismo, ignoranza, mancanza di obiettività, distorsione, pigrizia, malafede, di fornire
un’immagine negativa della scienza, di dare ascolto a fonti poco attendibili, di alimentare paure irrazionali, di creare false aspettative di
cura. Dal canto loro, i giornalisti ribattono che gli scienziati sono incapaci di spiegarsi in termini chiari, di parlare senza gerghi e tecnicismi, di comprendere le logiche dei media, li accusano di essere spesso arroganti, autoreferenziali e distanti dalle preoccupazioni delle
persone comuni.
Mondi a parte, insomma, come recitava il titolo del rapporto di
Hartz e Chappell già citato. Un divario culturale incolmabile separa
il mondo della ricerca e i mezzi di comunicazione perché scienziati e
giornalisti guardano al mondo in modo diverso e lavorano secondo
logiche differenti.
Per i primi, almeno in tempi di scienza “normale”, ogni scoperta
è un piccolo tassello di un mosaico molto più ampio alla cui realizzazione contribuisce l’intera comunità disciplinare: le discontinuità
ci sono, ma per la maggior parte dei casi la scienza è un’impresa cumulativa e cooperativa. I giornalisti, all’opposto, amano le storie di
geni romantici, incompresi e isolati o di svolte rivoluzionarie.
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I tempi di lavoro sono un’altra differenza profonda. I comunicatori
hanno poche ore per scrivere un articolo o realizzare un servizio.
Lavorano sotto pressione. Devono prendere decisioni in tempi rapidi magari su argomenti controversi in cui non è possibile sentire tutte le campane. Gli scienziati viceversa possono impiegare anni per
portare a termine una ricerca. Nella peer-review, il processo di revisione tra pari che garantisce la qualità della letteratura scientifica, dal
momento della sottomissione a una rivista specialistica alla pubblicazione finale, le revisioni di un lavoro portano via molto tempo e mal
si adattano alle esigenze dei media. Una scoperta non pubblicata che
potrebbe essere in un certo momento d’interesse per il grande pubblico non lo è più mesi dopo, quando finalmente ha ricevuto tutti i
crismi della pubblicazione scientifica.
Franz Ingelfinger (1910-1980), gastroenterologo di fama mondiale di origine tedesca, fu un importante editor della rivista “New England Journal of Medicine”. Nel 1977 enunciò una regola che porta
il suo nome e che ha avuto una grande influenza sull’editoria scientifica: non è consentita la pubblicazione di articoli il cui contenuto
sia stato reso pubblico in contesti diversi da quello che l’ha accettato
per la pubblicazione.
Dai tempi di Ingelfinger, le violazioni della norma sono diventate
in realtà sempre più frequenti. Ciò non vuol dire però che la mancata osservazione della regola non susciti polemiche anche feroci10.
Per struttura, stile e linguaggio, gli articoli scientifici sono poi
agli antipodi di quelli giornalistici. I primi esprimono oggettività e
disinteresse, e raccontano (o dovrebbero raccontare) passo passo
quello che è successo in laboratorio per consentire, almeno idealmente, al resto della comunità di riprodurre risultati analoghi. Il
linguaggio delle notizie è viceversa immediato, attivo, con concessioni narrative lontane dalla prosa misurata e passiva dell’articolo
specialistico.
Gli scienziati vorrebbero infine essere i garanti dell’accuratezza
con cui vengono riportate le notizie scientifiche. La pretesa di controllo sul processo comunicativo è uno dei maggiori terreni di scontro con i giornalisti, i quali si considerano responsabili di ciò che
scrivono e ritengono gli scienziati delle fonti da trattare con lealtà,
citandoli correttamente ma niente di più. L’intervento esterno è
percepito come una censura inaccettabile.
I primi studi sulla copertura della scienza da parte dei mass media, iniziati alla fine degli anni Sessanta del Novecento, muovono
Il giornalismo scientifico
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dai problemi descritti e giungono tutti a conclusioni simili11. I media
spettacolarizzano la scienza, la distorcono per vendere di più e non
assolvono una cruciale funzione educativa. Un fatto grave poiché,
visto il ruolo crescente della scienza nella società, un trattamento
non adeguato può essere deleterio per il funzionamento di una democrazia matura, che ha bisogno di cittadini e politici scientificamente alfabetizzati per fare le scelte più opportune allo sviluppo economico e sociale.
L’interesse accademico nei confronti del rapporto tra scienza e
mezzi di comunicazione di massa nasce dalla convinzione che ci sia
bisogno di una “migliore” comprensione pubblica della scienza e di
una stampa diligente, informata e responsabile nei confronti della
scienza, in grado di spiegare in termini chiari ma corretti gli avanzamenti della ricerca, capace di stimolare l’interesse, l’apprezzamento e
il supporto pubblico nei confronti dell’impresa scientifica. Il raggiungimento di questi obiettivi passa per la capacità, da parte del
giornalista, di trasmettere con la massima fedeltà possibile l’informazione che arriva dalle fonti scientifiche.
Nei disegni di ricerca di alcuni studi è previsto che gli scienziati
diano i voti agli articoli giornalistici. Vengono giudicati diversi tipi
di errori, dalle omissioni di informazioni rilevanti ai titoli fuorvianti,
fino ai refusi. Inutile dire che questi lavori registrano percentuali
d’insoddisfazione molto elevate.