Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di
Transcript
Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di
Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari Alessandro Artom 1.- Premessa In data 24 marzo 2012 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale (24 marzo 2012, n. 71) la Legge 24 marzo 2012 n. 27, recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività” di conversione del Decreto Legge 24 gennaio 2012, n. 1, c.d. Decreto Liberalizzazioni o “cresci Italia”. Com’è noto, la nuova normativa si inserisce nel quadro degli interventi d’urgenza predisposti dall’esecutivo tecnico Monti per il rilancio e la crescita dell’Italia a fronte degli effetti della crisi economica, e che comprende due ulteriori decreti legge: Decreto SalvaItalia (Decreto Legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con Legge 22 dicembre 2011, n. 214) e Decreto Semplificazioni (Decreto Legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito con Legge 4 aprile 2012, n. 35). Il decreto, convertito in legge, introduce con l’articolo 62 una nuova disciplina, proposta dal neo Ministro dell’Agricoltura Mario Catania, delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari. Il legislatore era già intervenuto sul tema nel 2007 con il disegno di legge AS 1644, rimasto poi inattuato (c.d. Bersani-ter sulle liberalizzazioni), introducendo l’art. 3-bis per il controllo da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) delle clausole contrattuali aventi ad oggetto la cessione di prodotti alla GDO, al fine di evitare oneri, diretti o indiretti, a carico del fornitore 1 . La problematica inerente i rapporti contrattuali tra l’industria dei beni di largo consumo e la GDO era stata oggetto di attenzione da parte dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Normativa e (1) Art. 3-bis Clausole contrattuali recanti oneri impropri a carico dei fornitori.”L’Autorità Garante della concorrenza e del mercato vigila e verifica, anche su segnalazione delle associazioni degli imprenditori, che la previsione di clausole contrattuali recanti oneri, diretti o indiretti, a carico del contraente per il suo inserimento nella lista dei fornitori o per l’accesso dei propri prodotti all’esposizione negli esercizi commerciali appartenenti a catene distributive, nonché di altre tipologie di vendita promozionale comunque denominate, non configuri abuso di posizione dominante o pratica anticoncorrenziale ai sensi della legge 10 ottobre 1990, n. 287”. 1 Contenziosa, con Risoluzione n. 36/E del 7 febbraio 2008, ove veniva effettuata un’analisi delle pratiche commerciali di settore con particolare riguardo ai costi fiscalmente deducibili 2 . Questa materia nel 2008, ha costituito oggetto di discussione della seconda Tavola Rotonda dell’Associazione di Diritto Alimentare A.I.D.A. su “I contratti del mercatoagroalimentare”, svoltasi nell’ambito della manifestazione CIBUS 2008, durante la quale si presero in esame i contratti dall’impresa agricola all’industria di trasformazione, i contratti dall’industria alla GDO e i contratti del consumo alimentare 3 . Da ultimo, tali questioni hanno altresì interessato l’AGCM, che il 27 ottobre 2010 ha deliberato l’avvio di un’indagine conoscitiva sul ruolo della GDO nell’ambito dell’intera filiera agro-alimentare 4 , con particolare riferimento all’effettivo grado di concorrenza esistente tra le imprese aderenti ai vari raggruppamenti presenti nel settore, alle dinamiche contrattuali con le quali si determinano le condizioni di acquisto e di vendita dei prodotti agro-alimentari, nonché all’eventuale rilevanza concorrenziale, anche sui mercati della produzione industriale, dei comportamenti tenuti dagli operatori della GDO nella contrattazione delle condizioni di acquisto. 2.- Campo d’applicazione ed elementi essenziali del contratto – art. 62 comma 1 Il comma 1 prevede che la nuova disciplina si applichi a tutte le cessioni ovvero ai contratti di vendita dei prodotti agricoli destinati all’alimentazione umana e ai prodotti alimentari come definiti dal Regolamento CE n. 178/2002: “qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani. Sono comprese le bevande, le gomme da masticare e qualsiasi sostanza, compresa l’acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione, preparazione o trattamento” 5 . Rientrano nel campo di (2) Risoluzione n. 36/E del 7 febbraio 2008 dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Normativa e Contenziosa consultabile su http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/d6694600426e0fb893429bc065cef0e8/Ris+36E+ del+7+febbraio+2008.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=d6694600426e0fb893429bc065cef0e8 . (3) V. q. Riv., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 2-2008. (4) Su cui v. A. Artom, L’indagine conoscitiva dell’AGCM sul ruolo della GDO nella distribuzione agroalimentare, in q. Riv., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 3-2010, p. 31. (5) Art. 2 Reg. (CE) 28 gennaio 2002, n. 178/2002. 2 applicazione della norma tutti i contratti conclusi tra “professionisti” 6 , con esclusione di quelli con il consumatore finale. Nella generalità dei casi, i rapporti contrattuali fra l’industria alimentare e la GDO interessano due fattispecie: i) il contratto di fornitura periodica di prodotti alimentari tra azienda produttrice e GDO (intesa come singola entità o centrale d’acquisto per i propri associati); ii) la prestazione di servizi resi dalla GDO/cliente al fornitore/produttore di alimenti. Riteniamo che tra gli operatori economici coinvolti possa essere annoverata anche la Pubblica Amministrazione, con applicazione analogica dell’art. 2, comma 1, lettera a) del D. Lgs. 231/2002 relativo ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (norma richiamata indirettamente al comma 3 e direttamente al comma 11 dell’art. 62), laddove per relazioni commerciali si intendono: “i contratti comunque denominati tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni che comportano in via esclusiva o prevalente la consegna di merci contro il pagamento di un prezzo” 7 . La nuova legge prevede che questi contratti siano obbligatoriamente stipulati in forma scritta e debbano indicare una serie di elementi a pena di nullità: “la durata, le quantità e le caratteristiche del prodotto venduto, il prezzo, le modalità di consegna e di pagamento”. Sulla forma scritta del contratto, è opportuno svolgere alcune considerazioni. In primo luogo, riteniamo che tale requisito si possa applicare anche ad un accordo quadro, che stabilisca la durata delle pattuizioni, le caratteristiche del prodotto venduto (anche attraverso i codici identificativi di prodotto), le modalità di consegna e di pagamento. In tal senso, è necessario che questi contratti vengano comunque integrati con tutte le condizioni relative alle prestazioni accessorie ed ai servizi erogati e con successive eventuali modifiche e integrazioni a queste condizioni e pratiche commerciali nel corso della durata del contratto. In assenza di un accordo quadro, la forma scritta potrebbe essere validamente soddisfatta attraverso l’integrazione dei consueti documenti, opportunamente sottoscritti dalle parti, quali: l’ordine, la bolla di consegna o la fattura, sempre a condizione che tali documenti contengano gli elementi essenziali richiesti dalla norma: “la durata, le quantità e le (6) Art. 3 lett. c) D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 Codice del Consumo: “professionista: la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario”. (7) D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, “Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali” - art. 2 lett. a) transazioni commerciali. 3 caratteristiche del prodotto venduto, il prezzo, le modalità di consegna e di pagamento”. In secondo luogo, l’obbligatorietà della forma scritta stabilita dalla legge comporta che questi contratti rientrino in quegli atti “specialmente indicati dalla legge” previsti dal n. 13 dell’art. 1350 c.c., che stabilisce che tali atti debbano essere redatti con una particolare forma, ossia per atto pubblico o scrittura privata. Ne consegue che la forma scritta dei contratti stabilita all’art. 62, comma 1, sia una forma ad substantiam e pertanto costituisca uno dei requisiti essenziali ex art. 1325 n. 4 c.c., la cui mancanza comporta la nullità del contratto rilevabile d’ufficio anche dal giudice, ai sensi dell’art. 1421 c.c. (legittimazione all’azione di nullità). Il contratto nullo non avrà effetto alcuno, salva la possibilità per entrambe le parti di convertirlo ex art. 1424 c.c. Le considerazioni sulla nullità valgono altresì qualora il contratto non contenga uno dei requisiti essenziali richiesti dal primo comma. Inoltre, il legislatore fissa i principi a cui i contratti agroalimentari dovranno essere informati: “la trasparenza, la correttezza, la proporzionalità e la reciproca corrispettività delle prestazioni, con riferimento ai beni forniti”. In pratica, questa disposizione richiama la casistica del citato articolo 3-bis “Clausole contrattuali recanti oneri impropri a carico dei fornitori”, ove erano vietate tipologie di vendita che potevano costituire abuso di posizione dominante o pratica anticoncorrenziale, ai sensi della Legge 287/1990. Infine, è opportuno fare riferimento all’art. 7 della Direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, secondo cui per determinare se una clausola contrattuale o una prassi sia gravemente iniqua per il creditore, si deve tenere conto di tutte le circostanze del caso, tra cui qualsiasi grave scostamento dalla corretta prassi commerciale in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza. 3.- Condizioni contrattuali vietate – art. 62 comma 2 Il comma 2 mette in pratica i principi indicati al comma 1, stabilendo una casistica di condizioni contrattuali vietate: a) imporre direttamente o indirettamente condizioni di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose, nonché condizioni extracontrattuali e retroattive. Si tratta di pratiche commerciali sleali imposte dal distributore al fornitore, come ad esempio: 4 - sconti, premi, contributi, storni o remunerazione di accordi di cooperazione commerciale da liquidarsi in via anticipata o in forma retroattiva; - contributi a carico del fornitore per le spese di marketing dell’insegna sostenute dal distributore e/o contributi a carico del fornitore per spese di adeguamento dei software del distributore e/o semplificazione contabile telematica (spese per razionalizzazione della fatturazione); - contributi a carico del fornitore per i minori profitti derivanti dalla rivendita dei suoi prodotti; - pagamento di una somma forfetaria da parte del fornitore, cui è subordinata la tenuta in magazzino o altre attività logistiche, o per l’inclusione nel listino del distributore dei prodotti del fornitore, o per il presidio e il mantenimento dell’assortimento nei punti vendita; - sconti, premi, contributi per il solo rispetto dei termini di pagamento previsti dal contratto di fornitura; - facoltà per il distributore di respingere e/o restituire i prodotti o dedurre penali contrattualmente previste in assenza di preventiva contestazione e/o reclamo al fornitore nei termini previsti dal contratto di fornitura o, in mancanza da quelli previsti dall’art. 1495 c.c.; b) applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti: è il caso di condizioni discriminatorie applicate dai distributori nei confronti di fornitori di prodotti alimentari appartenenti alla stessa categoria merceologica; c) subordinare la conclusione, l’esecuzione dei contratti e la continuità e regolarità delle medesime relazioni commerciali alla esecuzione di prestazioni da parte dei contraenti che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l’oggetto degli uni e delle altre. In tal senso saranno vietate quelle condizioni contrattuali che prevedano una o più prestazioni che non riguardino direttamente la vendita dei prodotti alimentari, come ad esempio nei rapporti tra fornitore e distributore, la richiesta da parte del fornitore alla GDO di farsi carico dei costi di distribuzione dei prodotti dell’azienda produttrice; oppure inversamente l’imposizione da parte della GDO al fornitore di costi per servizi amministrativi non connessi direttamente alla vendita del prodotto; d) conseguire indebite prestazioni unilaterali, non giustificate dalla natura o dal contenuto delle relazioni commerciali: come ad esempio il pagamento di una somma forfetaria da parte del fornitore per la tenuta in magazzino e altre attività logistiche, per l’inclusione nel listino del distributore dei prodotti del fornitore, per il presidio e il mantenimento dell’assortimento nei punti vendita e per altri servizi di referenziamento; 5 e) adottare ogni altra condotta commerciale sleale che risulti tale anche tenendo conto del complesso delle relazioni commerciali che caratterizzano le condizioni di approvvigionamento, ovvero tutte le clausole contrattuali che possono configurare abuso di posizione dominante o pratica anticoncorrenziale. E’ bene osservare che tali clausole considerate vietate valgono anche nella contrattualistica tra fornitori di prodotti alimentari e Centrali d’acquisto. La Centrale/Gruppo d’acquisto è una struttura che nasce per volontà di più aziende distributrici operanti nel medesimo settore (alimentari, ecc.) che abbiano l’esigenza comune di procedere all’approvvigionamento presso le imprese produttrici, di materie prime, di beni di consumo o di servizi necessari all’attività intrapresa. La Centrale d’acquisto, quindi, adempie ad una funzione principale coincidente con l’approvvigionamento di beni e servizi presso le industrie per conto delle proprie associate, da classificarsi civilisticamente nell’ambito del contratto di commissione quale definito dall’art. 1731 c.c. Fermo restando il ruolo specifico per il quale nasce detta struttura, la Centrale d’acquisto, sulla base degli accordi che intervengono con le imprese produttrici e distributrici, potrà rendere anche altre tipologie di prestazioni di servizi, sia alle società associate che alle imprese produttrici, nell’ambito dell’attività organizzativa, amministrativa e commerciale. Sul punto, la citata Risoluzione n. 36/E prende in considerazione le operazioni che intercorrono tra la Centrale d’acquisto e le imprese fornitrici di prodotti con costi posti a carico di queste ultime: a) Attività commerciale e marketing: - coordinamento e/o governo centralizzato dell’inserimento/lancio di prodotti; - gestione centralizzata listini; - gestione centralizzata calendario operazioni promozionali a livello nazionale; - attività controllo esecuzione attività concordate; - intervento su mandanti inadempienti; - implementazione e controllo attività definite nell’accordo quadro e altre (controllo e sensibilizzazione su applicazione listini, raggiungimento target fatturato). b) Attività organizzativa: - organizzazione e coordinamento commissioni commerciali per incontri con le imprese mandanti; - messa a disposizione uffici con servizio telefonico, fax, fotocopiatrice, sale riunioni; - predisposizione documentazione e presentazioni varie. c) Attività amministrativa: - stesura accordo quadro; - divulgazione alle singole imprese delle attività definite con lo stesso; 6 - divulgazione altre informative su altri accordi e tematiche; effettuazione conteggi dati acquisto dei singoli mandanti sui singoli fornitori; effettuazione controlli dati acquisto dei singoli mandanti sui singoli fornitori; raccolta dati ed elaborazione statistiche commerciali. 4.- Termini di pagamento – art. 62 comma 3 Il comma 3 prevede che il pagamento del prezzo della vendita di prodotti alimentari debba essere effettuato entro il termine legale di trenta giorni se si tratta di alimenti deteriorabili e di sessanta giorni per tutti gli altri prodotti alimentari. In entrambi i casi il termine decorre dall’ultimo giorno del mese di ricevimento della fattura e gli interessi decorrono automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine. Sul punto riteniamo che il saggio degli interessi applicabile, non derogabile per accordo fra le parti, sia quello previsto dall’art. 5 del già citato D. Lgs. 231/2002 ovvero il tasso di riferimento applicato dalla Banca Centrale Europea, maggiorato di ulteriori 2 punti in percentuale 8 . Il legislatore con la nuova norma ha pertanto ridotto i termini di pagamento per i contratti aventi ad oggetto la cessione di prodotti alimentari deteriorabili, rispetto al testo del comma 3 dell’art. 4 del D. Lgs. 231/2002, che prevedeva un termine legale di sessanta giorni per tali prodotti, decorrenti dalla consegna o dal ritiro dei prodotti medesimi. Di conseguenza i commi 3 e 4 dell’art. 4 del D.Lgs. 231/2002 sono espressamente abrogati in base al comma 11 dell’articolo 62. La nuova disciplina relativa alla decorrenza dei termini di pagamento potrebbe, tuttavia, presentare alcuni problemi applicativi, in quanto è difficile individuare il giorno del ricevimento della fattura, ad eccezione dei casi in cui la fattura accompagni la merce consegnata. Auspichiamo che il decreto recante le modalità applicative, previsto dal comma 11bis di questa legge, possa fornire una soluzione a tale problematica, individuando (8) Art. 5 D. Lgs. 231/2002: “1. Salvo diverso accordo tra le parti, il saggio degli interessi, ai fini del presente decreto, è determinato in misura pari al saggio d'interesse del principale strumento di rifinanziamento della Banca centrale europea applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento principale effettuata il primo giorno di calendario del semestre in questione, maggiorato di sette punti percentuali. Il saggio di riferimento in vigore il primo giorno lavorativo della Banca centrale europea del semestre in questione si applica per i successivi sei mesi. 2. Il Ministero dell'economia e delle finanze dà notizia del saggio di cui al comma 1, al netto della maggiorazione ivi prevista, curandone la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana nel quinto giorno lavorativo di ciascun semestre solare”. 7 con maggior precisione il momento di decorrenza dei termini per i prodotti deteriorabili e per tutte le altre merci. In attesa che il decreto attuativo intervenga in tal senso, la data di decorrenza del termine potrà essere individuata nella data di ricevimento della fattura validamente certificata attraverso l’invio della fattura stessa mediante raccomandata A.R. o mediante posta certificata (“PEC”) o per mezzo di qualunque altra modalità, anche elettronica, che attribuisca al mittente certezza circa il ricevimento della fattura da parte del destinatario. In mancanza di certezza circa la data di ricevimento della fattura, il termine potrebbe decorrere dall’avvenuto ricevimento della merce. E’ bene evidenziare che la mancata corresponsione del prezzo entro i termini legali di pagamento, dovrebbe costituire titolo per l’ottenimento di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ai sensi degli articoli 633 e ss c.p.c. Tale interpretazione è confortata dalla previsione di una procedura accelerata per il recupero dei crediti, evidenziata dall’art. 10 della citata Direttiva 2011/7/UE 9 . Nei casi in cui il contratto non stabilisca alcun termine di pagamento, riteniamo che si applichi la disciplina contenuta nell’art. 4, comma 2 del D. Lgs. 231/2002, poi ribadita nella Direttiva 2011/7/UE, secondo cui il creditore ha diritto agli interessi di mora alla scadenza di uno dei termini seguenti: - trenta giorni dalla data di ricevimento della fattura da parte del debitore o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente; - trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci, quando non è certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento; - trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci quando la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento è anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi; - trenta giorni dalla data dell’accettazione o della verifica eventualmente predisposta dalla legge o dal contratto ai fini dell’accertamento della conformità (9) Art. 10 Direttiva 2011/7/UE “Procedure di recupero crediti non contestati”: “1. Gli Stati membri assicurano che un titolo esecutivo possa essere ottenuto, anche mediante una procedura accelerata e indipendentemente dall'importo del debito, di norma entro novanta giorni di calendario dalla data in cui il creditore ha presentato un ricorso o ha proposto una domanda dinanzi all'autorità giurisdizionale o un'altra autorità competente, ove non siano contestati il debito o gli aspetti procedurali. Gli Stati membri assolvono detto obbligo conformemente alle rispettive disposizioni legislative, regolamentari e amministrative nazionali. 2. Le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative nazionali applicano le stesse condizioni a tutti i creditori stabiliti nell'Unione. 3. Per calcolare il periodo di cui al paragrafo 1 non si tiene conto di quanto segue: a) i periodi necessari per le notificazioni; b) qualsiasi ritardo imputabile al creditore, come i termini necessari per regolarizzare il ricorso o la domanda. 4. Il presente articolo fa salve le disposizioni del regolamento (CE) n. 1896/2006.” 8 della merce alle previsioni contrattuali, qualora il debitore riceva la fattura o la richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a tale data. 5.- Prodotti alimentari deteriorabili – art. 62 comma 4 Il comma 4 definisce come prodotti alimentari deteriorabili i seguenti: a) i prodotti agricoli, ittici, e alimentari preconfezionati che riportano una data di scadenza e un termine minimo di conservazione non superiore a sessanta giorni; b) prodotti agricoli ittici, e alimentari sfusi, comprese erbe e piante aromatiche, anche se posti in involucro protettivo o refrigerati, non sottoposti a trattamenti atti a prolungare la durabilità degli stessi per un periodo superiore a sessanta giorni; c) prodotti a base di carne con particolari caratteristiche fisico-chimiche; d) tutti i tipi di latte. Queste tipologie di prodotti erano già previste dall’art. 4 del D. Lgs. 231/2002 e dal Decreto del Ministro delle Attività produttive del 13 maggio 2003, disposizioni ora abrogate dal comma 11 dell’art. 62. 6.- Sanzioni – art. 62 commi 5, 6 e 7 I commi 5, 6 e 7 prevedono le sanzioni amministrative pecuniarie da comminarsi rispettivamente in caso di violazione delle disposizioni di cui al primo, secondo e terzo comma dell’art. 62, salvi i casi in cui il fatto non costituisca reato. Ricordiamo che la sanzione amministrativa pecuniaria è la sanzione prevista dalla legge per la violazione di una norma che costituisca un illecito amministrativo. L’art. 8 della Legge 689/1981 “Modifiche al sistema penale” disciplina il regime sanzionatorio amministrativo applicabile nel caso in cui vi siano più violazioni di disposizioni di legge. Qualora con un’azione od omissione si violino diverse disposizioni che prevedono l’applicazione di sanzioni amministrative ovvero più volte la stessa disposizione, si applica la sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata sino al triplo (c.d. cumulo giuridico), ai sensi dell’art. 8, primo comma, L. 689/81. Se, viceversa, le violazioni sono poste in essere con più azioni od omissioni, si applicheranno tante sanzioni quanti sono gli illeciti accertati. In particolare, la parte che contravvenga agli obblighi di cui al primo comma e quindi non stipuli per iscritto il contratto di cessione dei prodotti agricoli e agroalimentari o tale contratto sia privo dei requisiti essenziali, è sottoposta alla sanzione 9 amministrativa pecuniaria da euro 516,00 a euro 20.000,00. In tal caso, l’entità della sanzione sarà determinata con riferimento al valore dei beni oggetto di cessione. La violazione dei divieti imposti dal comma 2 per la corretta instaurazione delle relazioni commerciali tra operatori economici improntata ai principi di trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni di cui al comma 1, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 516 a euro 3.000,00. In tal caso, la sanzione sarà determinata con riferimento al beneficio ricevuto dal soggetto che non ha rispettato i divieti prescritti dal comma 2. Valga ad esempio per la determinazione dell’ammontare della sanzione il beneficio economico che la GDO potrebbe ricavare dall’utilizzo di informazioni riservate ricevute dal fornitore/produttore di prodotti alimentari. Infine, il mancato rispetto dei termini di pagamento da parte del debitore, previsti nel comma 3, viene punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 500,00 a euro 500.000,00. In tal caso, l’entità della sanzione viene determinata in ragione del fatturato dell’azienda, della ricorrenza e della misura dei ritardi. La ratio della norma sembra mirare alla tutela delle piccole e medie aziende produttrici creditrici, poiché stabilisce l’entità della sanzione amministrativa pecuniaria a carico del debitore (GDO) in relazione al suo fatturato che in generale è piuttosto elevato. Tale orientamento è confermato dalla direttiva 2011/7/UE, che al considerando n. 6 sottolinea la necessità di creare un contesto giuridico ed economico che favorisca le piccole e medie imprese e la puntualità dei pagamenti nelle transazioni commerciali 10 . 7.- Vigilanza e irrogazione delle sanzioni – art. 62 comma 8 Il legislatore in base al combinato disposto dei commi da 5 a 8 ha affidato all’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato sia la vigilanza sull’applicazione dell’intera disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti (10) Direttiva 2011/7/UE Considerando n. (6): “Nella comunicazione del 25 giugno 2008 dal titolo “Una corsia preferenziale per la piccola impresa – Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la piccola impresa (un “Small Business Act” per l’Europa)”, la Commissione ha sottolineato la necessità di agevolare l’accesso al credito per le piccole e medie imprese (PMI) e di creare un contesto giuridico ed economico che favorisca la puntualità dei pagamenti nelle transazioni commerciali. E’ utile osservare che alle Pubbliche Amministrazioni spetta una particolare responsabilità al riguardo. I criteri per la definizione di PMI sono contenuti nella raccomandazione 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003, relativa alla definizione delle micro imprese, piccole e medie imprese”. 10 agroalimentari, che l’irrogazione delle sanzioni. L’AGCM provvederà d’ufficio o su segnalazione di qualunque soggetto interessato ad accertare le violazioni delle disposizioni dei commi 1 (assenza di forma scritta e/o dei requisiti essenziali e quindi accertamento della nullità del contratto), 2 (presenza di pratiche commerciali sleali) e 3 (ritardi nei pagamenti). L’AGCM per l’attività di accertamento si potrà avvalere della Guardia di Finanza, che opererà in qualità di agente di polizia giudiziaria. La competenza dell’AGCM in tale materia era già stata prevista all’art. 3 bis del citato disegno di legge in premessa. Riteniamo che il richiamo fatto dal legislatore alla Legge 689/1981 in questo comma sia limitato ai soli poteri dell’AGCM in materia di irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie. In forza di quanto previsto da questa nuova legge e di quanto stabilito dagli artt. 12 e ss. della Legge n. 287 del 1990 sui “poteri dell’Autorità in materia di intese restrittive della libertà di concorrenza e di abuso di posizione dominante”, l’AGCM dovrebbe disciplinare con proprio regolamento la procedura istruttoria al fine di garantire il contraddittorio, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione. Questo regolamento dovrà indicare le linee guida interpretative per definire le pratiche commerciali sleali in violazione dei principi di cui al comma 1 e alle fattispecie vietate di cui al comma 2. 8.- Risarcimento e inibitoria – art. 62 comma 10 Innanzitutto è bene rilevare che il comma 10 attribuisce alla competenza del giudice ordinario sia le azioni individuali di risarcimento dei danni conseguenti alle violazioni di cui all’art. 62, da esperire in via di cognizione ordinaria, che le azioni collettive di risarcimento da parte delle associazioni di categoria. La legittimazione attiva per le azioni collettive per il risarcimento del danno, derivante dalle violazioni alla norma in oggetto, spetta sia alle categorie imprenditoriali presenti nel Consiglio Nazionale dell’Economia del Lavoro (CNEL) o comunque rappresentative a livello nazionale, che alle associazioni dei consumatori aderenti al Consiglio Nazionale dei Consumatori e Utenti (CNCU). Sul punto non comprendiamo la legittimazione ad agire delle associazioni dei consumatori, essendo esclusi dal campo d’applicazione di questa norma i contratti di vendita di prodotti alimentari conclusi con il consumatore finale, come previsto al comma 1. La legittimazione ad agire delle associazioni, a tutela degli interessi collettivi era già prevista dall’art. 8 del D.Lgs. 231/2002, laddove queste ultime potevano richiedere 11 al giudice competente: ”di accertare la grave iniquità delle condizioni generali concernenti la data del pagamento o le conseguenze del relativo ritardo e di inibirne l’uso; di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento potesse contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate”. L’azione per il risarcimento dei danni e la legittimazione attiva delle associazioni di categoria sono altresì considerate dall’art. 7 commi 1 e 5 della Direttiva 2011/7/UE sui ritardi di pagamento. Il comma 5 prevede che, al fine di impedire il ricorso continuo a clausole contrattuali o prassi gravemente inique, le organizzazioni rappresentative delle imprese o titolari di un legittimo interesse a rappresentare le imprese, possano agire a norma della legislazione nazionale dinanzi alle autorità giurisdizionali o agli organi amministrativi competenti. L’ultimo periodo del comma 10, legittima le associazioni di categoria ad agire anche in via d’urgenza ai sensi degli articoli 669 bis e ss. c.p.c. per chiedere al giudice ordinario l’inibitoria dei comportamenti in violazione dei commi 1 e 2 dell’art. 62, analogamente a quanto era previsto dal comma 2 dell’art. 8 del citato D. Lgs. 231/2002 11 . 9.- Abrogazioni – art. 62 comma 11 Come sopra evidenziato al punto 4 “Termini di pagamento” e al punto 5 “Prodotti deteriorabili”, sono state abrogate le relative disposizioni di cui al D. Lgs. 231/2002 e al decreto del Ministro delle attività produttive del 13 maggio 2003. 10.- Efficacia e Decreto attuativo – art. 62 comma 11 bis L’entrata in vigore di questa nuova disposizione è stata differita dal Parlamento, in sede di conversione, al 25 ottobre 2012. Il rinvio consentirà di attuare le nuove disposizioni con un decreto interministeriale del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico, da emanarsi entro il 25 giugno 2012. Il decreto applicativo dovrà, come già evidenziato (11) Art. 8, comma 2 D.Lgs. 231/2002 Tutela degli interessi collettivi: “l’inibitoria è concessa, quando ricorrono giusti motivi di urgenza, ai sensi degli artt. 669 bis e segg. del Codice di Procedura Civile”. 12 in precedenza, fornire agli operatori interessati (imprese agricole, aziende alimentari e GDO) le linee applicative delle nuove disposizioni in materia di contratti agroalimentari: in particolare, per quanto riguarda l’assolvimento dei requisiti di forma scritta di cui al comma 1 e alla disciplina del termine di pagamento e del saggio di interessi di cui al comma 3. Contestualmente auspichiamo che l’AGCM vorrà dotarsi del regolamento, come indicato nel precedente punto 7. 13