Il cuore dell`assassino

Transcript

Il cuore dell`assassino
Rielo Institute for Integral Development
presenta
Il
cu ore
dell’assassino
un film di Catherine McGilvray
Un fanatico indù uccide brutalmente una missionaria cristiana.
La famiglia di lei lo perdona, ottiene la sua scarcerazione, lo accoglie come un figlio
e un fratello attraverso il rito induista del Rakhi.
Cosa accade nel cuore di un assassino che riceve il perdono incondizionato?
Rielo Institute for Integral Development
440 West Neck Road
Huntington, NY 11743
tel: +1 631 2095254
[email protected]
Catherine McGilvray
Via Bacchiglione 3
00199 Roma
tel: +39 338 3617227
[email protected]
www.cuoredellassassino.it
Il
cuore
dell’assassino
Sinossi
Un treno attraversa l’India, diretto verso il Kerala, a Sud. Un passeggero, il volto teso, ancora giovane,
guarda fuori dal finestrino. Il suo nome è Samundar Singh. È figlio di contadini del piccolo villaggio
di Udainagar, nell’India Centrale. Samundar è stato in prigione undici anni per aver commesso un
crimine odioso. Mentre osserva il paesaggio che scorre, torna col pensiero alla sua vita di prima, e la
sua storia si dispiega davanti a noi.
India centrale, carcere di Indore, anno 2002. Samundar sconta l’ergastolo per aver ucciso con 54
coltellate una missionaria francescana, suor Rani Maria. Un indiano del Sud dai capelli bianchi, scalzo
e vestito come un sannyasi, lo abbraccia, dicendogli: «Dio ti ha perdonato». È padre Michael, un
sacerdote carmelitano, anche se tutti, cristiani e indù, lo chiamano semplicemente Padre Swami.
Samundar, in treno, rievoca il suo passato di giovane violento, caduto nella trappola del fondamentalismo
religioso, dietro cui si nascondevano dei falsi amici: i potenti del villaggio. Racconta di come, dopo il
delitto, lo abbiano abbandonato tutti, persino i suoi, mentre gli unici a tendergli la mano siano stati
proprio i famigliari della sua vittima.
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Samundar ricorda il giorno straordinario in cui Selmy, sorella di Rani Maria, è venuta in carcere per
celebrare con lui il rito induista del rakshabandan. Selmy gli ha stretto al polso il rakhi, un braccialetto
che simboleggia il sacro legame di fratellanza tra un uomo e una donna. Selmy, una cristiana, e
Samundar, un indù, da quel momento sono diventati per sempre fratello e sorella.
Dopo la cerimonia del rakhi, con l’aiuto di Swami, la famiglia di Rani Maria chiede e ottiene dal
governatore del Madhya Pradesh la grazia per Samundar. Un evento mai accaduto prima in quella
regione. Nel 2006 l’assassino di Rani esce dal carcere.
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Oggi Samundar è un uomo nuovo, libero dal suo orribile buio. È tornato a vivere nel villaggio in cui è
nato. Ma è solo: la moglie, mentre lui era in carcere, si è risposata. Gli abitanti del villaggio lo tollerano
a stento, alcuni perché è un assassino, altri perché ora è amico dei cristiani. Samundar non reagisce
alle provocazioni e tira dritto per la sua strada.
Samundar fa visita a Selmy, prima di prendere il treno per il Kerala. L’unica cosa che conta per lui è
l’amore della sua nuova famiglia. La madre di Rani Maria lo accoglie con un abbraccio: «Sei mio figlio,
sono felice che tu sia qui». Questo abbraccio capovolge la legge dell’odio e sancisce una nuova vita,
per le vittime e per il colpevole.
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intervista A catherine mcgilvray, regista
Come sei venuta a conoscenza di questa storia straordinaria?
Mi è stata raccontata nel 2009 da una giovane missionaria del Kerala. L’immagine della madre che
bacia l’assassino della propria figlia e quella della sorella della vittima che gli allaccia al polso il rakhi,
accogliendolo come fratello, mi hanno colpito profondamente. Così ho deciso di partire per l’India
per incontrare i protagonisti della vicenda. Avvertivo la necessità di dedicare tutte le mie energie a
realizzare un documentario che testimoniasse al mondo questa incredibile storia di perdono.
Cosa ti ha spinto a assumere il rischio di produrre personalmente il film?
Non ho cercato una produzione esterna, perché all’inizio c’erano troppe incertezze e soprattutto
perché volevo essere totalmente libera da condizionamenti e da interessi commerciali. Intendevo
realizzare il documentario nel più assoluto rispetto dei sentimenti e della cultura dei protagonisti.
Renato Spaventa e Arnaldo Colasanti, condividendo il mio pensiero, mi hanno affiancato nella
produzione.
Successivamente la Rielo Institute for Integral Development, una organizzazione non profit con sede
a New York, ha deciso di aiutarci a distribuire il film.
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Quanto tempo ha richiesto la realizzazione del documentario?
In tutto ci sono voluti quattro anni di lavoro. Sono andata per la prima volta in India nell’autunno del
2009. In Madhya Pradesh la situazione era ancora tesa a causa del fanatismo religioso. Le suore erano
preoccupate dalla propaganda anticristiana di alcuni esponenti dei partiti nazionalisti, e temevano
che il film potesse rinfocolare l’odio, ma sono riuscita a ottenere la loro fiducia. Nel 2010 sono tornata
in India Centrale con Renato Spaventa per effettuare le riprese. Il nostro viaggio è iniziato in un ashram
cristiano a Narsinghpur, dove, grazie all’incoraggiamento di Swami che è ormai il suo padre spirituale,
Samundar ha iniziato ad aprirsi con noi e a raccontarci la sua storia. Poi siamo andati con loro nella
città di Indore, dove abbiamo ripreso gli interni della prigione in cui Samundar è stato detenuto.
Da lì, abbiamo raggiunto insieme il villaggio di Udainagar, dove abbiamo filmato il convento di Rani
Maria e i luoghi in cui è avvenuto il delitto. Il nostro viaggio si è concluso in Kerala, dopo un viaggio di
quarantaquattro ore in treno in compagnia di Samundar. Là, nel villaggio di Pulluvadhy, ci aspettava la
mamma di Rani, che ha accolto Samundar come un figlio.
Nel 2012 siamo tornati per la terza volta in India, per terminare le riprese, mostrare una prima
versione del film alle Francescane Clarisse e agli altri protagonisti, così da ottenere le liberatorie. Nel
2013 abbiamo completato a Roma la postproduzione del film.
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Quali e quante difficoltà hai incontrato?
La lingua è stata l’ostacolo principale. I nostri protagonisti, tranne Swami che conosce l’inglese,
parlavano esclusivamente Hindi o Malayalam. Durante le riprese, né io, che ero dietro alla telecamera,
né Renato, che registrava il suono, capivamo una sola parola. Avevamo un interprete, ma per sapere
cosa era stato detto dovevamo aspettare di rivedere il girato. C’era poi il problema dell’elettricità,
che mancava di continuo: persino ricaricare le batterie della telecamera era un’impresa. In generale
ho dovuto abbandonare ogni idea prestabilita e sono stata costretta a improvvisare, adattandomi
alle circostanze. Un’altra difficoltà era costituita dalla differenza culturale. Ad esempio, se chiedevo a
Samundar di compiere davanti alla telecamera dei gesti per noi banali quali radersi, alzarsi dal letto, o
condividere dei momenti con la sua famiglia, lui li percepiva come troppo intimi e si rifiutava, mentre
paradossalmente sono rimasta sorpresa dal modo in cui ha rievocato per noi situazioni piuttosto
drammatiche del suo passato. In sintesi, sono stata costretta a mettere da parte la mia mentalità di
donna occidentale e la mia volontà di controllare a ogni costo gli eventi. Il che, retrospettivamente,
è stata una fortuna. Mi sono dovuta affidare all’ispirazione del momento, abbandonando la struttura
del film che avevo in mente. Ho seguito l’esempio di Swami che, a ogni cambio di programma, diceva,
ridendo: «Che il Signore sia lodato». Portare a termine le riprese è stata realmente un’esperienza
mistica: non avevo altra scelta che lavorare nella completa accettazione di quanto ogni giorno e ogni
situazione avevano da offrirmi.
Realizzare questo documentario ti ha cambiato da un punto di vista spirituale?
Padre Swami Sadanand aveva posto come condizione che io e Renato trascorressimo una settimana
di ritiro spirituale nel suo ashram prima di iniziare le riprese. Abbiamo accettato più che volentieri,
per noi poter assistere alle sue lezioni spirituali è stata una grande fortuna. Con la sua gioia e la sua
instancabile energia, Swami testimonia una vita dedicata completamente a Gesù.
Hai detto che nel fare il film hai dovuto abbandonare la struttura che avevi in mente…
Il viaggio di Samundar in treno costituisce il fil rouge del film. L’assassino è il protagonista del
documentario. È attraverso di lui, per mezzo delle sue parole, dei suoi gesti e dei suoi ricordi, che
veniamo a conoscenza dei fatti. All’inizio, quando rievoca il crimine e gli anni del carcere, il treno
in cui viaggia rappresenta la prigione dell’ignoranza e dell’odio. Solo verso la metà del film, dopo il
racconto della sua scarcerazione, da veicolo dei ricordi diventa un treno reale, che lo porta dal suo
villaggio nell’India Centrale fino al Sud, in Kerala, dove lo aspetta l’abbraccio di Amma, la madre di Rani
Maria. Alla fine del film, quando è una persona nuova grazie all’amore ricevuto, lo vediamo parlare
direttamente alla telecamera, con una luce diversa negli occhi e una voce più calma e consapevole.
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Tranne il dispositivo narrativo del viaggio in treno, il resto del racconto è stato lasciato alla naturale
predisposizione dei protagonisti indiani di far rivivere il passato non solo attraverso le parole ma anche
con i gesti e l’azione. Sono stata felice di lasciarmi trascinare in questa ricostruzione evocativa dei fatti,
un modo tutto indiano di narrare che ha ‘contaminato’ il mio stile così da renderlo, credo, più diretto
ed efficace.
Perché, raccontando una storia di perdono, hai scelto l’assassino come personaggio principale?
Ho scelto di raccontare la storia dal punto di vista dell’assassino perché sia chiaro che il perdono
incondizionato trasforma nel profondo non soltanto chi lo offre, ma ancora più chi ne è oggetto.
Se avessi scelto di narrare la vicenda dal punto di vista della vittima, il risultato sarebbe stato un’agiografia
di Rani Maria, la storia di una santa e dell’incredibile mistero della grazia divina - comunque una
esperienza in cui noi, persone comuni, avremmo avuto difficoltà a identificarci. Con Samundar come
‘eroe’ della storia, invece, possiamo riconoscerci nel protagonista, anche se non abbiamo compiuto
un gesto altrettanto efferato del suo. La sua lotta per innalzarsi dalle tenebre alla luce è qualcosa che
viviamo ogni giorno in quanto esseri umani. Identificandoci con lui, arriviamo a comprendere che,
malgrado tutti i nostri errori, possiamo in qualsiasi momento essere trasformati dall’amore.
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Cos’hai provato a passare tanto tempo accanto a Samundar?
Sulle prime, stare a così stretto contatto con Samundar, sapendo ciò che aveva fatto, mi turbava.
Continuavo a ripetermi: “Possibile che quest’uomo abbia ucciso con 54 coltellate una donna inerme?”.
Samundar è mite, affettuoso con i bambini e gli animali, tenero e rispettoso nei confronti di sua sorella
Selmy e obbediente verso Swami, suo maestro e padre spirituale. Ricorda con dolore il passato, certo
avrebbe preferito non doverne parlare. All’inizio era restio a confidare i suoi pensieri e i suoi ricordi
a una straniera che gli puntava addosso la telecamera. Tuttavia, col tempo, si è sciolto. Credo anche
per una forma di espiazione. Dice spesso: «Le persone devono sapere cosa è male, nessuno deve
fare più quello che ho fatto io». Samundar è pienamente consapevole del grande dono che gli è stato
offerto durante la cerimonia del rakhi, ossia la possibilità di una nuova vita. Ripete sempre: «Selmy è
cristiana, io sono indù, e ora siamo fratello e sorella». Samundar non ha abbandonato la sua fede, ma
ora la abbraccia con un nuovo cuore. Avendolo incontrato a più riprese nell’arco di tre anni, ho potuto
toccare con mano la trasformazione che è avvenuta in lui. Il suo desiderio, ora, è aiutare il prossimo
come può, tenendo a mente l’esempio di Rani Maria.
Quali sono le tue aspettative ora che hai completato il film?
Il mio unico desiderio – condiviso dai miei collaboratori e coproduttori – è che il documentario
raggiunga il pubblico più vasto possibile. Ho cercato la semplicità, sia nella forma sia nello stile, per
rivolgermi al cuore delle persone di ogni livello sociale, di ogni credo e cultura. Spero che il messaggio
del film, mistico e ‘scandaloso’ insieme, convinca le persone di ogni fede e gli stessi non credenti che
sia possibile cambiare il nostro modo di pensare e di reagire alle prove che la vita ci pone davanti.
Se, come testimoniato dal film, è stato possibile per Samundar trasformare il suo cuore, allora ognuno
di noi può farlo. Se la madre e la sorella di Rani sono state capaci di perdonarlo e amarlo come un figlio
e un fratello, ciò significa che ognuno di noi possiede questa immensa capacità di perdono. Il perdono
è la più alta forma di libertà che un essere umano può esprimere. Solo attraverso il perdono, l’umanità
compie un passo in avanti verso la sua evoluzione spirituale.
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I filmmaker
Catherine McGilvray
regista, produttrice
Nata a Roma nel 1965, si è laureata all’università ‘La Sapienza’ di Roma e ha studiato regia al Centro
Sperimentale di Cinematografia. Ha scritto e diretto vari cortometraggi, tra cui: aspettando il
treno premiato in numerosi festival internazionali, trasmesso da SBS, CANAL+ e distribuito da Istituto
Luce, e il cuore all’improvviso premiato più volte e trasmesso da CANAL+ e LA7. Ha scritto e
diretto i documentari: le train pour l’opera 2001, co-produzione italo/francese (GA&A, Les Films
d’Ici), trasmesso da Arte, RTBF, Tele+, Planète, Swiss television; renata scotto: l’ile opera, 2000,
produzione Aller-Retour, trasmesso da Arte, Mezzo; fernando rielo, poeta di dio 2004 prodotto
da Filmago e Associazione Identes; enzo siciliano, lo scrittore e il suo guscio 2006 prodotto da
Filmago, trasmesso da RAITRE e distribuito da FandangoLibri. Il suo primo lungometraggio, l’iguana
(2004), produzione MediaLand, è stato in concorso a: TorinoFilmFestival 2004, Mostra del Cinema di
Pesaro, LAIFA, Shanghai. E’ stato premiato come miglior regia al BAFF e miglior scenografia all’Ischia
Film Festival.
Renato Spaventa
produttore
Nato a Roma nel 1966, si è laureato in biologia e ha lavorato come ricercatore all’Istituto S. Raffaele di
Milano. Negli ultimi anni, il suo interesse si è rivolto allo studio delle principali tradizioni mistiche. Ha
scritto il libro: L’altra riva del fiume. Il viaggio del perdono ed.Intento (2014)
Arnaldo Colasanti
coproduttore
Nato a Fiuggi nel 1957, è scrittore, e critico letterario. È condirettore della rivista Nuovi Argomenti e
redattore della rivista Poesia. È uno studioso di letteratura, arte e filosofia da una prospettiva mistica
e spirituale. È stato direttore artistico di molti festival (Grinzane Cavour; Babel) e ha diretto numerosi
premi letterari. Al momento lavora per la candidatura di Perugia come capitale europea della cultura
2019. Tra i suoi libri: Novanta, il conformismo della cultura italiana (Fazi Editore, 1996); Gatti e
scimmie (Rizzoli, 2001); La prima notte solo con te (Mondadori, 2010); Enzo Siciliano. Quel giorno di
indimenticabile bellezza (con allegato il documentario di Catherine McGilvray- FandangoLibri, 2010);
Febbrili transiti (Mimesis, 2012); Suite Celeste (Gaffi 2014)
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Nicole Sérès
montatrice
Nata a Parigi, ha studiato al INSAS (Institut National Supérieur des Arts du Spectacle) di Bruxelles,
dagli anni ottanta ha lavorato come montatrice e ha insegnato montaggio alla Université Paris 8. Tra
i suoi lavori: Gustave CouRbet, a dream of modern art; Yves Klein, la révolution bleue;
Chagall, à la Russie, aux ânes et aux autres; Play Liszt; A’ la recherche de SChubert. I film
da lei montati hanno ricevuto premi a numerosi festival internazionali: FIPA, FIFA de Montréal, Festival
du Film sur l’art de L’Unesco, Festival Classique en Images, Prix de la SACEM du meilleur documentaire
de création musicale, Diapason d’or, Grand prix de l’académie Charles Cros 1999. Ha, inoltre, montato
i seguenti film: l’iguana di Catherine McGilvray, fantaisie pour biologie marine di François
Painlevé, e aube a grenade, flamenco soy, premiato al San Francisco Festival 2001.
Matteo Passerini
montaggio, effetti digitali
Nato a Bologna nel 1983, si è diplomato all’Università di Bologna e ha studiato montaggio al Centro
Sperimentale di Cinematografia di Roma. Ha lavorato come assistente al montaggio e supervisore
degli effetti digitali con il regista Daniele Segre. Ha lavorato con il gruppo VFX al mockumentary el
mundial olvidado (2011) presentato al Festival del Cinema di Venezia. Ha montato numerosi
cortometraggi, tra cui: astrid, 22’ HD, diretto da Andrea Fasciani, selezionato al Giffoni Film Festival,
michel lewandowsky in l’uomo con la macchina da presa, (documentario) diretto da Marco
Tosti, 12’ HD, premiato al Valdarno Festival e terra, diretto da Piero Messina, 27’ RED, presentato al
65° Festival di Cannes. Nel 2013 ha realizzato in Lituania come regista il documentario MANO LIEPOS.
Roberto Caravella
compositore
Nato a Caracas nel 1959, è studioso e esecutore delle tradizioni musicali dal Medio Evo fino al XVIII
secolo. Ha fondato l’ensemble “De Ghironda et Cantu” e successivamente l’ensemble di musica
barocca “Il Cantiere delle Muse”, con cui si è esibito in Europa e negli Stati Uniti. Come direttore
d’orchestra, ha eseguito un vasto repertorio di musica rinascimentale e barocca, specializzandosi in
partiture rare e poco conosciute. Per le edizioni musicali III Millennio ha pubblicato: musica velata,
sonate e concerti di Raimondo di Sangro, principe di San Severo; rosarium, meditazioni musicali
sul Santo Rosario; la colonna sonora del film l’iguana di Catherine McGilvray e nel 2014 l’Oratorio
Angelus ad Virginem con la voce recitante di Piera degli Esposti. Come musicista ha preso parte a
registrazioni eseguite da Emi Records, Denon, MR Classics e Diapason.
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Co-produzione e distribuzione
Rielo Institute for Integral Development Inc.
Organizzazione no profit fondata nel 2010 dalla Congregazione dei Missionari Identes, rappresenta il
naturale punto di convergenza tra tre diverse istituzioni (Fernando Rielo Association for Medical Care
and Research, Rielo School for Advanced Studies in Biomedical Sciences, Rielo Foundation for Studies
and Research) che hanno operato dal 1982 in Europa e Sud America affrontando i problemi legati alla
povertà, alle migrazioni, alle condizioni igienico sanitarie e alla marginalizzazione degli individui. La
missione dell’Istituto è di promuovere attività in campo pedagogico e sanitario con l’obiettivo di porre
fine alla disperazione e alla povertà, seguendo gli insegnamenti di Fernando Rielo.
Il RIID opera nella convinzione che povertà, scarse condizioni igienico-sanitarie e malattie siano
problemi “maligni” che possono essere risolti attraverso un approccio multidisciplinare “nonconvenzionale”. In particolare, le competenze mediche sono sì necessarie ma non sufficienti, e devono
essere accompagnate da una adeguata formazione nelle scienze umane.
Una appropriata articolazione di queste competenze, che devono dialogare tra loro arricchendosi
reciprocamente per favorire uno “sviluppo integrale”, costituisce quella che definiamo la Scienza della
Solidarietà.
Obiettivo di RIID è promuovere e sviluppare la Scienza della Solidarietà attraverso progetti di ricerca e
programmi di formazione, avvalendosi di nuovi modelli applicativi nel settore della sanità.
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Credits
Specifiche Tecniche
Regia, produzione
Catherine McGilvray
Formato di proiezione
DIGITALBETA PAL, HDCAM PAL, BLU-RAY,
DCP, APPLE PRO-RES HQ , DVD PAL
Produzione Renato Spaventa
Durata
56’
Produzione associata
Arnaldo Colasanti
Coproduzione e distribuzione
Rielo Institute for Integral Development Inc. N.Y.
Montaggio
Matteo Passerini e Nicole Sérès
Aiuto regia
Valentina Zaggia
Ratio
16:9
Lingua originale
Hindi, Malayalam
Sottotitoli
Italiano Spagnolo Inglese Francese
Musica
Roberto Caravella
Montaggio del suono
Riccardo Spagnol
Filmati di repertorio
Shalom TV (Kerala)
Postproduzione Vincenzo Marinese
TTPIXEL
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Partecipazioni a festival e premi ricevuti:
WORLD INTERFAITH FILM FESTIVAL 2013
Premio: “Miglior Documentario Internazionale”
FESTIVAL POPOLI E RELIGIONI 2013 - Selezione ufficiale
DOSHIMA 2013
Premi: Gold Award “Miglior Documentario Internazionale, Miglior Regia, Miglior Fotografia”
e Platinum Award “Miglior Storia”
SGUARDI ALTROVE 2013 - Selezione ufficiale
IFFSRV 2013 (International Film Festival of Spirituality, Religion and Visionary)
Premio: Menzione Speciale
ASIATICA FILM MEDIALE 2013 - Selezione Ufficiale
INTERNATIONAL CHRISTIAN FILM FESTIVAL 2014
Premio: “Miglior Documentario - Secondo posto”
RELIGION TODAY FILM FESTIVAL 2014 - In concorso
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