martedì 16 febbraio 2010 - Nuovo Cineforum Rovereto

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martedì 16 febbraio 2010 - Nuovo Cineforum Rovereto
martedì 16 febbraio 2010
Moon
Duncan Jones, UK 09, 97’
Moon è decisamente il film imperdibile di queste settimane. Per un
motivo sopra tutti gli altri: è diverso. Davvero si resta meravigliati
nel trovare finalmente di nuovo
in sala un film che non punta su
effetti, tecnologie e nemmeno su
attori, nomi o trame stravolgenti.
Semplicemente su una bella idea
e sul lavoro serio di tante persone. Il primo plauso va quindi alla
distributrice italiana Lucky Red,
che ancora una volta si assume
il rischio di un’operazione controcorrente.
Costato 5 milioni di dollari, realizzato con un unico attore (il sorprendente Sam Rokwell) e tutto
dentro uno studio di produzione
con il vecchio sistema dei modellini, il debuttante Duncan Jones ci
regala uno dei film di fantascienza più affascinanti degli ultimi
anni. Degno erede di capostipiti quali 2001 Odissea nello
spazio, Atmosfera zero, Solaris,
ricco delle regole dettate da Asimov e dei replicanti capaci di
piangere di Blade Runner, Moon
fa la sua parte nel guardare al
futuro. In un tempo non lontano
da oggi, gli umani hanno costruito sulla Luna la base Selène
dove un robot e un impiegato
della multinazionale Lunar sono
addetti al compito di “mietere”
l’Helium 3, gas indispensabile
alla Terra, da tempo in grave
crisi energetica. Gertie (il robot,
perfetto omaggio a Hal 9000)
ha il compito di assistere l’impiegato, Sam Bell, e di accudirlo
nei tre anni del mandato. Il film
si apre su Sam quasi alla fine del
suo triennio, desideroso di tornare sulla Terra da moglie e figlia.
Qualcuno dovrà arrivare a sostituirlo, ma le cose stanno molto
diversamente da come sembrano
e il rientro a casa per Sam sarà
tutt’altro che facile. Termini vaghi
per non svelare al nostro lettore
la chiave del film, che in sala
invece si manifesta sin troppo
presto. Il tema di fondo è tra i più
belli “cantati” dalla fantascienza
del Novecento: un futuro in cui
le macchine potrebbero avere
più cuore degli umani e in cui
distinguere gli uni dalle altre sarà
praticamente impossibile. Non
solo per chi osserva da fuori. A
regalarci questo gioiellino (definizione che accompagna il film
sin dalla sua prima apparizione
al Sundance), Duncan Jones, fino
a poco tempo fa meglio noto
come Zowie Bowie, figlio di David Bowie (ex Uomo che cadde
sulla Terra). Ad impreziosire ulteriormente la pellicola, la voce (in
originale) di Kevin Spacey per
Gertie (in italiano è quella del
doppiatore di Spacey, Roberto
Pedicini) e le musiche ipnotiche
di Clint Mansell.
Liberazione, 18 12 2009
Sam Bell è vicino al termine del
suo contratto con la Lunar dopo
essere stato suo impiegato fedele per tre lunghi anni passati
alla Selene, una base lunare in
cui ha vissuto da solo, estraendo
l’Helium 3, un prezioso gas che
potrebbe risolvere il problema
energetico della terra. Isolato,
determinato e costante, Sam ha
seguito le regole della base con
rigore e il tempo è passato lentamente e senza eventi; inoltre,
la solitudine gli ha offerto tempo
per riflettere sul suo passato e per
lavorare sul suo temperamento
irascibile. Ma due settimane prima della partenza Sam comincia
a vedere e sentire delle “cose”
e ad avvertire strani sentimenti,
un’operazione di routine va storta e Sam comincia a sospettare
che la Lunar abbia dei piani molto originali per la sua sostituzione
e per il suo imminente rientro.
Esempio di quella fantascienza
che ha reso intramontabile il
genere. Una delle opere Sci-Fi
più interessanti di questo ultimo
ventennio. Moon racconta la
storia di Sam, minatore spaziale
impegnato nella ricerca di risorse energetiche sulla Luna, dentro
un’astronave asettica come quella di Alien e immerso in una fotografia (splendida) che ci riporta
alla mente l’allunaggio del ’69.
Sam Rockwell (enorme) è attore
unico di questo piccolo – solo
in termini di budget – gioiello
intimista e claustrofobico, che sviluppa la sua trama a partire da
una semplice considerazione: se
decidessimo di fare affari nello
spazio profondo saremmo senza
scrupoli come siamo da sempre
sulla Terra? La risposta fa paura
e l’ipotesi è cervellotica come nei
migliori esempi degli anni 70 e
80 (ricorda Solaris, Atmosfera
zero e 2002: la seconda odissea). Duncan Jones approda alla
regia omaggiando cinema e letteratura. Sorride GERTY, il robot
di bordo che ha la voce di Kevin Spacey. Ricorda, in versione
edulcorata, HAL 9000 di 2001:
Odissea nello spazio. Il rigore
lirico della macchina da presa
fa il resto, restituendo al grande
schermo un’idea di fantascienza,
filosofica e profonda, da tempo
perduta.
FilmTv
Abituati a identificare il genere
fantascientifico con i successi delle ultime stagioni, dove l’accento
è messo soprattutto sugli effetti
speciali e le visioni apocalittiche
del nostro futuro, rischiamo di
dimenticare che la fantascienza può essere anche un genere
«intimista», riflessivo, dove l’ambientazione in un futuro prossimo
diventa pretesto per affrontare,
da nuove prospettive, temi «eterni» come la condizione umana
e i suoi dilemmi morali. Se ne
è ricordato l’esordiente Duncan
Jones, apprezzato regista trentottenne di spot e videoclip, dietro
il cui nome più o meno anonimo
si «nasconde» il figlio di David
Bowie e della sua prima moglie
Mary Angela Barnett, lo stesso a
cui il padre dedicava la canzone
Kooks. Per il suo esordio nel lungometraggio, dopo una gavetta
come operatore di macchina (anche per Tony Scott) e poi regista
pubblicitario, Jones ha scelto di
recuperare le atmosfere della fantascienza anni Settanta, soprattutto quella di film come 2002,
la seconda Odissea di Douglas
Trumbull o come Outland di Peter
Hyams, dove al centro del plot
c’era l’uomo e le sue domande
sulla difficoltà di essere in sintonia con il mondo delle macchine
e del business. Moon si svolge
naturalmente sulla Luna, ma nella
parte che non si vede mai dalla
Terra. È qui che la società energetica Lunar ha la base per raccogliere l’elio 3, un isotopo non
radioattivo dell’elio che ha risolto
i problemi di inquinamento e di
energia pulita del nostro pianeta.
Lo raccolgono dei giganteschi
«mietitrebbia» che arano la superficie lunare senza bisogno di
guidatori e che devono solo essere svuotati quando i magazzini
sono pieni. Un lavoro che può
svolgere facilmente un uomo da
solo e infatti la base della Lunar
è abitata da un astronauta per
volta, coadiuvato dal simpatico
robot tuttofare Gerty (che in originale ha la voce di Kevin Spacey e in italiano quella del suo
doppiatore Roberto Pedicini).
Non anticipiamo quello che lo
spettatore scoprirà sullo schermo,
ci limitiamo a dire che a un certo punto il film cambia marcia e
intensità, ricollegandosi a quella
fantascienza «umanistica» che interrogava lo spettatore e le sue
angosce. L’odissea esistenziale
di Sam, costretto a fare i conti
con la scoperta della sua «nonunicità» e soprattutto obbligato
a venire a patti con il «bisogno
dell’altro» (che cosa vuol dire rivolgersi a un’immagine registrata
della moglie? Fino a che punto
possono arrivare le nostre aspettative su una persona ridotta allo
stato «virtuale»?) non solo svela
l’altra faccia - come quella della
Luna - dell’avidità commerciale
dei padrini del futuro, ma spinge
lo spettatore a interrogarsi anche
sul bisogno che ogni essere umano ha del confronto con se stesso
e con gli altri (a cominciare dalla
moglie e dai figli), per continuare
con l’ambiguo sogno dell’autoisolamento. Che per il figlio di
una star come Bowie sono domande per niente scontate.
Corriere della Sera, 3 12 2009