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Quadrimestrale edito da A.N.F.E. Associazione Nazionale Famiglie Emigrati
Delegazione Regionale Sicilia
www.sicilia.anfe.it
Magazine di cultura, turismo, lavoro e politiche migratorie
NEW YORK
Gli italiani mordono
la grande mela
BUENOS AIRES
A Palermo
si parla catalano
LAMPEDUSA
Viviano tenta il
viaggio della speranza
EOLIE
Terzo ciak per il
SalinaDocFest
SPECIALE
TURISMO
Le isole minori
della Sicilia
luglio - ottobre 2009
Anno I - Numero 1
P
ERCORSI
PERCORSI
Quel che affascina
è l’incertezza.
La nebbia
rende meravigliose
tutte le cose
Oscar Wilde
Integrazione
Foto di Giovanni Pepi
In questo
numero
Quadrimestrale di cultura, turismo, lavoro e politiche migratorie
Registrazione Tribunale di Palermo
numero 1153 del 20/03/2009
Edito da A.N.F.E.
Associazione Nazionale Famiglie Emigrati
Delegazione Regionale Sicilia
Presidente nazionale
Learco Saporito
Vicepresidente nazionale e Delegato regionale Sicilia
Paolo Genco
Anno I - numero 1
Luglio - Ottobre 2009
Direttore responsabile
Antonella Caradonna
[email protected]
Redazione
Caporedattore: Alessia Franco
Redazione di Palermo: Walter Viviano
Da New York: Marco Scapagnini
Da Buenos Aires: Dante Ruscica
[email protected]
Hanno collaborato
Vita Augusta, Claudia Brunetto, Gianmauro Costa,
Franco Di Maria, Simona Gazziano, Carla Inconvaia,
Pasquale Peluso, Paola Pottino, Cristiana Rizzo,
Marcello Saja, Sebastiano Tusa, Mariangela Vacanti
9
Editoriale
Paolo Genco
11
Successi e sconfitte,
gioie e sofferenze
Learco Saporito
12
Ritratto di signora
Fotografie
Riccardo Cingillo, Bruno D’Andrea,
Walter Leonardi, Alessandra Maniaci, Giovanni Pepi,
Marco Scapagnini, Laura Sighinolfi, AAVV
Goffredo Palmerini
Stampa
Officine Grafiche Riunite Cosentino & Pezzino - Palermo
Pasquale Peluso
Traduzioni
Annick Lejan, Denis Gailor, Miguel Angel Marcos Martin
16
Un italiano a NewYork
22
Argentina, altra Italia?
Dante Ruscica
Ufficio marketing e pubblicità
Responsabile: Rossella Catalano
[email protected] [email protected]
Logistica e distribuzione
Patrizia Gangi
[email protected]
Coordinamento generale e redazione grafica
Direzione Comunicazione e Immagine
A.N.F.E. Delegazione Regionale Sicilia
Vincenzo Corona (Direzione artistica, progetto grafico)
Rosanna Maranto (Coordinamento tecnico)
Si ringraziano per la collaborazione:
Jacopo Dagnino, Mirko Mignini, Esther Trimboli,
Max Napoli, Mirella Russo
Redazione e uffici
Centro di Coordinamento Delegazione Regionale
A.N.F.E. Sicilia - via della Ferrovia, 54 - 90146 Palermo
Tel. +39.091.6710267 Fax +39.091.6716972
www.sicilia.anfe.it
26
Dalla memoria
alle nuove idee
Gaetano Calà
28
Viaggio attraverso
diverse migrazioni
Marcello Saija
34
Palermo A/R
40
Un dialogo di pace
con idee concrete
Rossella Catalano
42
Straniero è/e strano
Franco Di Maria
46
L’emigrazione
dà i numeri
Mariangela Vacanti
48
Il progresso a servizio
degli immigrati
Walter Viviano
49
72
Pescatori nella leggenda
Carla Incorvaia
74
SalinaDocFest
Alessia Franco
76
Giovanna e
l’anima del festival
Rossella Catalano
Isole dell’Isola
Mazara, integrazione
possibile
78 Eolie, 80 Egadi,
82 Pelagie, 84 Pantelleria,
85 Ustica
Seconda generazione
Le pietre raccontano
50
86
Paola Pottino
Sebastiano Tusa
54
92
Claudia Brunetto
Rossella Catalano
A scuola con Ahmed
L’Isola del desiderio
56
94
Walter Viviano
Cristiana Rizzo
Il capitano Asik
60
La ragnatela
di Saraceno
Antonella Caradonna
64
Una favola per sognare
Vita Augusta
66
Olimpo per nuovi Dei
96
Sapore di mare
Marco Scapagnini
99
Aggiungi un
posto a tavola
100
Musica e radici
Un cuoco
con la coppola
70
102
Carla Incorvaia
Gian Andrea Costa
Antonella Caradonna
Alessia Franco
SiciliaFilmFestival
Cibo italiano celestiale
Editoriale
il vicepresidente
ANFE
Tre generazioni
e un mondo intero
a cui rivolgerci
N
ata il secolo scorso, l’Associazione
Nazionale Famiglie Emigrati ha da
poco compiuto sessant’anni, durante
i quali ha costruito, col suo incessante
lavoro, la fiducia e il rispetto dei tanti
Italiani “dispersi” per il mondo, ma idealmente ancora
stretti alla terra che li ha partoriti.
Nel suo percorso, l’Anfe ha disegnato una parabola ascendente che oggi la vede direttrice polare nell’ambito delle
politiche migratorie. L’Associazione non ha attraversato
solo un secolo, ma un millennio, riuscendo a fronteggiare
e sostenere l’evoluzione delle esigenze dei suoi membri
e della società. Oggi, le urgenze dei nostri concittadini
residenti all’estero non sono più di tipo primario, come il
sostentamento o il ricongiungimento delle famiglie, anzi
molti sono gli Italiani che hanno saputo mettere a frutto
le loro capacità, ottenendo riconoscimenti che li vedono
ricoprire ruoli di prestigio nella patria d’adozione.
Credo che il nuovo compito dell’Associazione, nel moderno villaggio globale, sia di carattere socioculturale e
vada nella direzione del nutrimento delle proprie radici.
Un nutrimento che deve scaturire dalla pianta madre, per
continuare ad utilizzare una metafora botanica, e non già
da una trapiantata, poiché il rischio è quello dello scollamento. Il rischio è aver creato nuovi innesti che proseguono autonomamente la loro evoluzione, perdendo la
propria identità primaria e la loro comune appartenenza.
Oggi l’Anfe rinnova il suo mandato e si offre come voce
di un’Associazione pronta ad accettare le sfide del terzo
millennio che ci vuole Italiani, uniti sotto lo stesso nome,
a condividere un cielo creato per tutti i popoli. Ricordare
il nostro passato serve a costruire non soltanto il nostro
futuro, ma anche quello degli altri, che oggi occupano
quel difficile posto che ieri era il nostro.
Anch’io ho appena festeggiato i miei primi vent’anni,
all’interno della grande famiglia Anfe, che ho cercato di
servire mettendo a frutto le opportunità che man mano
mi si presentavano e, soprattutto, valorizzando le specifiche competenze che all’interno dell’Associazione stessa hanno saputo trovare espressione. Il mio contributo
oggi è tra queste pagine, in un progetto a lungo accarezzato, che finalmente vede la luce nel momento più
propizio. Auguro ai lettori di trovare nei nostri Percorsi
interessanti stimoli di riflessione, distensivi panorami di
una cultura familiare in cui riconoscersi, nuove curiosità
e vecchie rimembranze. Auguro a tutto il mio staff di riuscire a mantenere alta la qualità di un prodotto che nasce
per servire le esigenze di un pubblico vasto, costituito da
un arco ideale che abbraccia tre generazioni e l’intero
territorio del globo terrestre.
Paolo Genco
Vicepresidente nazionale Anfe
e Delegato regionale Sicilia
11
PERCORSI
Editoriale
il presidente
ANFE
Successi e sconfitte
gioie e sofferenze
S
essant’anni di vita testimoniano un lungo percorso in cui successi e sconfitte ci
hanno fatto gioire e soffrire. Il bilancio
è tuttavia positivo. Talvolta ostacoli di
varia natura non ci hanno consentito di
raggiungere pienamente le nostre finalità, ma non ci siamo mai persi d’animo e, con lo stesso slancio che aveva
la nostra Fondatrice, Maria Federici, abbiamo raggiunto
buoni traguardi tanto da ottenere l’ambito riconoscimento di Ente Morale dal Capo dello Stato.
Oggi siamo presenti in undici regioni italiane con delegati regionali e presidenti provinciali. All’estero, siamo
attivi nei cinque continenti. Ciò significa che, come eredi
morali della Fondatrice, abbiamo saputo raccogliere le
sue indicazioni, i suoi fermenti di solidarietà.
Certamente, in questi sessant’anni, l’emigrazione italiana
è completamente cambiata ed il Paese sta ora vivendo
un fenomeno d’immigrazione, conseguente ai progressi
della globalizzazione, impensabile all’epoca della fondazione dell’Anfe. Anche noi ci siamo adattati a questi
nuovi scenari, adeguando il nostro statuto e costituendo
il “Segretariato per le immigrazioni”, mentre per i nostri
connazionali all’estero stiamo riservando maggiore attenzione ai problemi della scolarizzazione dei loro figli,
seguendo l’evoluzione dei processi formativi, anche ai
fini di possibili rimpatri.
Il 24 ottobre 2007 abbiamo festeggiato a Roma il nostro
sessantesimo compleanno. La partecipazione all’udien-
za del Santo Padre nella mattinata, l’accordato patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Presidenza del Comitato d’0nore accolta dall’On. Maria Pia
Caravaglia, vicesindaco del Comune di Roma, le diverse
adesioni di politici ed autorità diplomatiche che rappresentano l’Italia nei Paesi ove è più forte la presenza della
nostra Associazione, sono stati tutti segni di stima che ci
hanno altamente onorato.
Rimane nostra la convinzione che la stagione dei doveri delle nostre istituzioni nei confronti degli italiani nel
mondo non è finita. Oggi, accanto ai connazionali che
da pochi decenni vivono all’estero vi è una moltitudine
di cittadini – quasi quanto quelli che vivono in Italia – di
seconda, terza generazione ed oltre, con passaporto diverso ma cuore e radici nel nostro Paese: anche a loro
occorre offrire la massima considerazione e solidarietà.
Ed iniziative di solidarietà abbiamo richiesto alle sedi
dell’Anfe in Italia ed all’estero per alleviare la sofferenza
delle popolazioni abruzzesi a seguito del terremoto che
ha distrutto l’Aquila e tanti comuni della regione.
Amiamo l’Abruzzo ancora di più dopo le tante distruzioni
e , purtroppo, dopo tanti fratelli morti.
Ci da forza il ricordo della nostra Fondatrice Maria Federici, abruzzese dell’Aquila, di una bellissima terra ora
martoriata
Learco Saporito
Presidente nazionale Anfe
13
PERCORSI
ANFE
la fondatrice
Ritratto di
signora
di Goffredo Palmerini
Q
uando si scriverà la storia dell’emigrazione italiana, secondo i canoni
storiografici cari a Jacques Le Goff,
nessuno storico potrà fare a meno
di tener conto del rilevante patrimonio di attività dell’Anfe, l’Associazione Nazionale
Famiglie Emigrati.
Ma soprattutto non si potrà fare a meno di conoscere
l’opera della sua fondatrice, Maria Agamben Federici.
Nata a L’Aquila il 19 settembre
1899. Laureata in lettere, insegnante e giornalista, sposò nel
1926 Mario Federici, una tra
le personalità più insigni della
cultura abruzzese, col quale si
trasferì all’estero, dove insegnò
negli Istituti Italiani di Cultura a
Sofia, in Egitto e a Parigi.
Cattolica impegnata, la Federici
venne influenzata dal pensiero
cristiano sociale, il personalismo
di Mounier e l’umanesimo integrale di Maritain, che avrebbe
connotato profondamente la
filosofia del secondo Novecento. Al rientro in Italia, nel 1939,
mise a frutto le sue convinzioni
con un intenso impegno sociale e d’apostolato laico. Fu
attiva nelle fila della resistenza, organizzando un centro d’assistenza per profughi e reduci. Nel 1944 fu tra i
fondatori delle Acli, nella cui direzione ricoprì l’incarico
di delegata femminile, e tra le fondatrici del Cif (Centro
italiano femminile) del quale fu primo presidente dal
’45 al ’50. Ma sopratutto fu una delle figure più importanti della nuova Repubblica democratica. Deputato
all’Assemblea costituente per la Democrazia Cristiana,
dal 1946 al 1948, contribuì a
scrivere le regole fondamentali
della Costituzione. Insieme a
Nilde Iotti e Teresa Noce (Pci), a
Lina Merlin (Psi) e Ottavia Penna (Uomo Qualunque), fu tra
le cinque donne entrate nella
Commissione speciale “dei 75”
che elaborò il progetto di Costituzione poi discusso in aula ed
approvato il 22 dicembre ’47.
Eletta alla Camera operò accanto a De Gasperi nella ricostruzione del Paese.
Quello della Federici si può a
buon diritto considerare un
esempio ante litteram d’emancipazione femminile, con
Maria Federici,
fondatrice dell’Anfe: una
figura “forte” che l’Italia
non può dimenticare.
Il suo impegno, che ha
coinvolto vecchio e nuovo
continente, si è sviluppato
in un momento storico
in cui l’universo femminile
era relegato nella sola
dimensione familiare
PERCORSI
14
trent’anni d’anticipo sui movimenti poi nati in Europa.
L’8 marzo 1947, Maria Federici fonda l’Anfe e ne assume
la presidenza, mantenendola come dovere morale fino
al 1981. Sotto la sua guida, l’associazione si espande in
tutta Italia, con una rete operativa diffusa nei comuni a
più alta emigrazione. Fu attiva e presente dovunque i
problemi si presentassero particolarmente ostici, in Argentina, Brasile, Venezuela, Stati Uniti, Canada, Australia, ma anche nel vecchio continente, in Belgio, Francia,
Svizzera, Germania, Olanda, Lussemburgo, Gran Bretagna. Una rete capillare di strutture che diventano punti
decisivi d’assistenza per gli emigrati e i loro problemi
sociali e burocratici, ma anche psicologici, nell’integrazione nelle nuove realtà.
Le attività dell’associazione, riconosciuta nel 1968
“Ente morale”, ne hanno fatto un insostituibile partner
nei più alti organismi internazionali per l’emigrazione e
l’immigrazione.
Maria Federici è scomparsa il 28 luglio 1984. Il suo pensiero illuminato, il suo contatto diretto con persone e
problemi, restano un esempio notevole nel tempo che
viviamo. Un modello che oggi stride con certe distanze mediatiche, con la labilità dei riferimenti ai grandi
valori. Nella difficile transizione che vive l’Italia, dove
domina l’apparenza piuttosto che l’essenza, esempi di
vita quale quello testimoniato da Maria Federici sono
indispensabili riferimenti per poter migliorare il rapporto tra istituzioni e cittadini, per recuperare la necessaria
credibilità della politica, per costruire nel reciproco rispetto il futuro del nostro Paese.
Il pensiero illuminato
di Maria Federici, il suo
contatto diretto con
persone e problemi,
restano un esempio
notevole nel tempo che
viviamo. Un modello che
oggi stride con la labilità dei
riferimenti ai grandi valori
15
PERCORSI
la fondatrice
ANFE
Un lavoro
volontario,
disinteressato,
sacrificale
...Ci siamo posti tutti insieme dinanzi a un grosso
fenomeno sociale.
Al più importante, al più generalizzato, al più vasto
perché ha interessato milioni di persone, al più doloroso perché generato dalla fame e dall’indigenza, che
cacciano gli uomini dalle loro case e dalla loro Patria
assoggettandoli come stranieri fra uomini a lui stranieri.
In un mondo mercificato e mercificante, edonistico e
consumistico, che aspira ad essere società opulenta,
abbiamo dato anni ed anni di lavoro volontario, disinteressato, sacrificale.
Proprio perché volontari siamo stati un fermento, una
nascosta ma vibrante forza sociale di matrice cristiana, una strenua volontà di rendere più umana l’emigrazione.
Questo è quello che è stato fatto. Quello che non è
stato fatto è che non abbiamo mai ingannato gli emigrati, non abbiamo mai strumentalizzato l’emigrazione, non
abbiamo fatto proselitismo politico, non abbiamo chiesto nulla più di ciò che serviva al nostro lavoro, non
abbiamo spento le speranze, ma dato alle famiglie la
speranza.
Abbiamo camminato con la storia facendo noi la storia
dell’emigrazione. Oggi la storia prosegue ed il volontariato dell’Anfe ha ancora molte pagine da scrivere,
perché la nostra posta finale è la pace...
l 1952
Da un discorso de
di Maria Federici
17
PERCORSI
BIG
APPLE
stelle, strisce e tricolore
Un italiano a
New York
L’America, nell’immaginario collettivo, rappresenta
da sempre la libertà. Gli Stati Uniti continuano
ad essere percepiti come la terra dei grandi
spazi. Spazi che vanno oltre la mera fisicità
dei grattacieli di Manhattan o dei quartieri
newyorkesi... Piuttosto uno spazio inteso come
possibilità che una Terra offre alla gente
N
di Pasquale Peluso
ew York. Oggi gli U.S.A. continuano a rappresentare quella chance che
nel passato è stata concessa agli immigrati, i quali hanno trovato qui le
condizioni per ricostruirsi una vita,
per mettere in campo le proprie abilità, professionalità
e competenze per affermarsi nella società.
Il self made man per alcuni è stata una chimera, per altri
un mito, molti però ce l’hanno fatta.
Di quegli emigrati di prima generazione, ne sono rimasti
pochi. Tanti sono invece i figli e i nipoti che si sentono
ancora profondamente italiani, al punto da scegliere di
mantenere la doppia cittadinanza. I loro racconti sono
ancora vividamente impregnati di quella difficoltà che
gli italiani hanno incontrato nel percorso di integrazione, dove spesso le difficoltà nascevano dallo scontro tra
due culture. Tuttavia la grande capacità di adattamento
e la volontà di trovare una pacifica convivenza li ha spinti
PERCORSI
18
stelle, strisce e tricolore
BIG
APPLE
19
PERCORSI
Amsterdam Avenue, New York
BIG
APPLE
stelle, strisce e tricolore
Si comprende quale
sia ancora per i nostri
concittadini naturalizzati
americani, l’importanza
di ritrovarsi uniti sotto
la stessa bandiera, di
custodire tradizioni
e costumi italiani
a cercare una mediazione che non li
strappasse dalle proprie radici, pur
nel rispetto delle usanze del “nuovomondo”, mostrando in questo
modo di avere pienamente recepito
la lezione di Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti, che
all’inizio dell’’800 diceva: “Chi riceve un’idea da me, ricava conoscenza senza diminuire la mia; come chi
accende la sua candela con la mia
riceve luce senza lasciarmi al buio”.
Non è un caso allora che in occasione delle celebrazioni del sessantesimo anniversario della costituzione
dell’A.N.F.E., presso la sede dell’”Italian Art Club” a Manhattan, poi a Rutherford in New Jersey all’“Associazione Italiana Ieri, Oggi e Domani” e,
infine, al “Rockleigh Country Club”
sempre in New Jersey, sono stati
sempre intonati sia l’inno americano
che quello italiano.
Si comprende allora quale sia ancora per i nostri concittadini ormai
naturalizzati americani, l’importanPERCORSI
20
stelle, strisce e tricolore
ph. Marco Scapagnini
BIG
APPLE
za di ritrovarsi uniti sotto la stessa
bandiera, di custodire tradizioni e
costumi italiani, di utilizzare la lingua italiana nei locali, nei ritrovi e
nei circoli frequentati dagli immigrati italiani ormai giunti alla terza
o addirittura quarta generazione.
Valori come la fratellanza, l’identità, la patria diventano valori comuni e condivisi sia dagli americani
che dagli italo-americani, che sono
ben riusciti ad inserirsi nella comunità americana, occupando posti di
prestigio a livello sociale ed economico e la massiccia presenza delle
comunità italiane che sfilano nella
Quinta Strada il giorno del Columbus Day ne offre la misura. I nomi
italiani eccellenti presenti nella
moderna società americana sono
ben noti a tutti e molti di loro continuano ad operare, lontano dalle
luci della ribalta, offrendo il loro
contributo attraverso associazioni
e organizzazioni no profit, a favore
dell’integrazione.
Lo stemma dell’“Associazione Italiana Ieri, Oggi, Domani” rappresenta
emblematicamente lo stato attuale
della realtà italo-americana.
Tre uomini, che simboleggiano i
segmenti temporali a cui l’associazione fa riferimento, sono disegnati sotto tre bandiere, rispettivamente quella italiana, che fa
riferimento a ieri, quella americana
che fa riferimento all’oggi e quella
italiana e americana che si riferisce
ad un domani di completa e definitiva integrazione.
21
PERCORSI
Calampis
i tropici di casa nostra
VACANZE
Che siate un gruppo
o una famiglia
con bambini, che amiate il
riposo e la natura o lo sport
e le escursioni, il vostro
angolo di paradiso
è molto più vicino
e accessibile di quanto
possiate pensare.
Si chiama Calampiso
Un
angolo
Sicilia magica
di
paradiso
I
mmaginate un piccolo paradiso di relax e
natura adatto a tutte le esigenze, a due
passi dal mare, in cui
rifugiarsi per “staccare la spina”
dai ritmi frenetici che spesso ci avvolgono. Immaginate che questa
autentica oasi – da condividere
rigorosamente con le persone più
care – sia lambita da un mare che
non ha niente da invidiare a quello
dei Tropici e che si trovi a due passi
da casa.
Adesso smettete di immaginare,
aprite pure gli occhi e programmate una vacanza nell’oasi dei vostri
sogni. Esiste davvero e si chiama
Calampiso.
A 10 chilometri da San Vito Lo Capo
e a 60 da Trapani, il complesso turistico si estende per 160mila metri quadrati e si trova fra Trapani e
Palermo, vicinissimo ad un’altra
meraviglia della natura siciliana,
l’irrinunciabile Riserva dello Zingaro, uno di quei luoghi incontaminati dove ancora la natura la fa da
padrona. Calampiso ha 267 appartamenti, confortevoli sia nell’arredamento che negli accessori di cui
sono corredati. Tutte le strutture
– monolocali, bilocali e trilocali –
dispongono di angolo cottura nel
soggiorno, sono corredati di utensili per la cucina e per la tavola e
di TV satellitare, cassaforte, aria
condizionata, telefono diretto,
ventilatore a soffitto, asse e ferro
da stiro.
Una cosa è certa: durante l’intera permanenza a Calampiso, sarà
difficile scegliere se godere del riposo all’interno di questi deliziosi
appartamenti o tuffarsi appieno
nella vita del villaggio. Il residence, tra gli altri servizi, dispone di
due piscine, di cui una per bambini, una piazzetta, due ristoranti
(uno nei pressi della spiaggia, per
gli amanti del mare ad oltranza),
un bar nei pressi della piscina, una
boutique e un immancabile mar-
ket, per chi non rinuncia nemmeno in vacanza al piacere di cucinare per sé e gli altri.
La vita di Calampiso è un turbinio
di attività che ben si sposano con
l’ambiente e che si adattano alle
esigenze di tutti: dall’animazione agli spettacoli, dalla discoteca
all’aperto alla possibilità di praticare sport con il club nautico, il
diving center e le lezioni di nuoto.
Per chi predilige il riposo assoluto, cullato dallo sciabordio delle
onde, ecco la spiaggetta di sabbia
e ghiaia e le numerose piattaforme lignee sugli scogli, attrezzate
con ombrelloni e sedie a sdraio,
che si trovano a circa 200 metri
dal centro del villaggio e sono
raggiungibili con il servizio navetta attivo dalle 9.30 alle 17.30, o a
piedi su sentieri ben tracciati. C’è
inoltre la possibilità di organizzare delle escursioni che partono
dal complesso. A voi la scelta: San
Vito, Mozia, le isole Egadi, le rovine di Segesta e Selinunte...
E per una vacanza a misura di bimbo, c’è il miniclub, con animazio-
www.calampiso.it
I.P.
ne, spettacoli e proiezione dei più
recenti cartoni animati e film. Che
siate un gruppo o una famiglia con
bambini, che amiate il riposo e la
natura o lo sport e le escursioni, il
vostro angolo di paradiso è molto
più vicino e accessibile di quanto
pensiate. Si chiama Calampiso.
23
PERCORSI
LINGUA E
LINGUAGGI
italiano, argentino e cocoliche
L’Argentina
cioè l’altra
Italia?
Maggioranza di cognomi italiani,
usi e costumi di provenienza italica,
tradizioni e cultura analoghe
non hanno fatto del Paese del Plata
una Nazione bilingue. Un mistero
B
di Dante Ruscica
uenos Aires. Abitualmente ci sono
due modi in Italia per parlare dell’Argentina: la maniera di quanti liquidano l’argomento affermando, tout
court, che si tratta di un’altra Italia e
la maniera di coloro che di questo Paese ignorano tutto,
non sanno nemmeno dove si trovi e confondono Buenos
Aires con Rio e con il Brasile…
Del secondo caso non mena conto occuparsi, come si diceva una volta. Sulla “visione” numero uno vale la pena,
invece, tentare qualche considerazione e abbozzare
qualche informazione.
Quanti ritengono che l’Argentina sia l’altra Italia, sia
tutta italiana, appena arrivano soffrono una grossa delusione in fatto di lingua. La nostra lingua qui non ha
attecchito granché. Strano. Sì, strano, ma spiegabile,
come vedremo. L’italiano non lo parla quasi nessuno.
Quasi. Su 40 miloni di argentini ci sono sempre circa
100 mila studenti di italiano, ma sono pochi, no? Sissignori, sono pochi.
PERCORSI
24
italiano, argentino e cocoliche
LINGUA E
LINGUAGGI
La Basilica del Pilar, a Buenos Aires
25
PERCORSI
LINGUA E
LINGUAGGI
italiano, argentino e cocoliche
I dialetti si fondevano
rapidamente con lo
spagnolo locale e
diventavano una miscela
comica che qui a Buenos
Aires finirono col battezzare
‘cocoliche’, dal cognome
- pare - di un emigrato
calabrese, Cocolicchio...
Gli altri dicono sempre di capire
l’italiano: “entiendo, entiendo”. Ma
non è vero. Non capiscono che qualche parola e solo a volte “pescano”
il senso di quanto odono. Tuttavia
dicono che capiscono e spesso con
un certo senso di pudore, perché,
essendo quasi sempre di cognome
italiano, temono la brutta figura,
non vogliono restarci male.
E questa è una caratteristica degli
argentini che emerge subito.
Tengono molto al giudizio della gente, a quel che diranno…
Per un italiano che arriva, la scoperta più generale e immediata, quella
dell’ambito, del “mondo” in cui viene a trovarsi è comunque gradevole,
tra usi e costumi noti, risaputi.
Ci si sente subito in territorio proprio, psicologicamente scontato.
Nessun disagio, in qualche modo,
un ritorno a casa.
Questo càpita con l’Argentina e con
gli argentini, al di là della lingua. Si
vedono dappertutto cognomi italiani, si sente alitare ovunque uno spirito di famiglia paesano. Si scopre che
parlano in un’altra lingua per dire le
stesse cose nostre e alla stessa maniera, con analogo atteggiamento,
PERCORSI
26
pensate e vissute in identico modo.
Hanno lo stesso approccio sprezzante su politica e politici, fanno
tesoro delle amicizie, familiarizzano con estrema facilità, apprezzano
la stessa tavola, straparlano, sono
intelligenti, creativi, furbi, a volte
imbroglioni, cinici e bulli quanto basta. Cercano di identificarsi sempre
col più forte, con il migliore. Danno
ragione a chi vince. Un italiano qui
scopre subito, non appena “tasti”
qualunque tema, sentimenti analoghi ai propri.
Sembra non ci siano differenze, ma
poi le differenze ci sono, affiorano.
Si scopre che vengono da una scuola diversa, non hanno il culto del passato. Non sanno mai, gli argentini,
di che paese, di che provincia erano
i loro antenati italiani. Alla dantesca
domanda «Chi fur li maggior tui ?»
non sanno mai rispondere con pre-
cisione. Fosse il padre, il nonno, il
bisnonno non ne sanno indicare regione, città, provincia. Sanno che
era italiano, ne hanno ereditato vizi,
tic e virtù, ma ricordano poche cose:
che diceva sempre quella tale battuta, che mangiava in quel modo, che
era molto lavoratore, rigido nei modi
e nelle cose in cui credeva, rigoroso
nell’educazione delle figlie. Ha fatto
storia qui la figura dell’italiano ottocentesco, quello dai grande baffi,
severo e intransigente.
Quando un argentino, anche un argentino d’oggi, deve spiegare che
in una determinata circostanza si
è proprio seccato ed ha avuto una
reazione furibonda, violenta, dirà
sempre, teatralmente, “m’è venuta
fuori tutta la foga italiana!”
Barzini senior, che scrisse molto sulla presenza italiana qui, ai primi del
Novecento, notava che in queste fa-
italiano, argentino e cocoliche
miglie, pur così caratteristicamente
italiane, non c’era poi tanto rispetto
per la figura umile e modesta del padre e faceva un richiamo alla scuola
da cui venivano i ragazzi, una scuola
che temeva la contaminatio italiana
per lo zoccolo duro dei nostri dialetti
che dominavano la parlata di tanta
parte degli abitanti. C’erano isole di
genovese, di piemontese, veneto,
siciliano e altri dialetti meridionali.
Italiano quasi niente.
Tra il 1875 e il 1924 in Argentina
giunsero oltre due milioni di italiani.
Le guerre, le carestie, le difficoltà
insorte prima e dopo l’unificazione,
spingevano orde di povera gente
dalle nostre regioni oltre l’Oceano.
Si puntava su due grandi città sognate e vissute come due Paesi baciati
dalla prosperità: Novaiorca e Bonosaire. Erano la méta di gente che lasciava un Paese di cui sapeva poco.
Gente prelevata come con una gru
dai campi, da cocuzzoli di monti e
sistemata su una nave. Vedeva, intravvedeva le luci di Napoli, il Beverello o la Lanterna di Genova. E partivano, e partivano i bastimenti…
Culturalmente disarmati, giungevano in città immense, nuove, in
formazione, dove la speculazione,
l’abuso, la legge del più forte erano
la norma con cui convivere.
Ambientarsi, integrarsi era gioco
forza. L’italiano come lingua per
loro non era mai esistito. Imperava
il dialetto. E il dialetto si fondeva
rapidamente con lo spagnolo locale, diventava una miscela comica
che qui a Buenos Aires – nella tradizione pubblicistica e letteraria – finirono col battezzare cocoliche dal
cognome, dicono, d’un immigrato
calabrese, Cocolicchio. E il cocoliche “adornò” lungamente la farsa
dell’avanspettacolo locale; e ai ragazzi, che frequentavano la scuola
argentina, non piaceva avere un padre che parlava cocoliche.
Non mancano, però, i paradossi.
In questo stesso ambiente, sin da
metà dell’Ottocento, si afferma la
tradizione del giornale in lingua italiana. Musei e biblioteche argentine
conservano ancora prime pagine e
interi giornali dai titoli più diversi,
gazzette scritte in italiano, con tirature rilevanti per l’epoca, testate
durate a volte lunghi decenni. Qualcuno non analfabeta, non cocoliche,
li faceva, qualcuno li leggeva questi
giornali. Accanto all’emigrazione
umile, spesso non alfabetizzata, era
giunta anche gente istruita, colta,
navigata che sapeva fare giornali
LINGUA E
LINGUAGGI
e diffonderli – come capitò col palermitano Salvatore Ingegneri che,
dopo aver diretto a Palermo il foglio
rivoluzionario “Il Povero”, emigrò in
Argentina con il figlio Giuseppe, che
divenne qui “Josè Ingenieros” e fece
una lunga carriera politica, letteraria
e scientifica, lasciando testi e libri di
raro valore.
Ma già prima di questa emigrazione
di massa ce n’era stata una culturalmente qualificata di fuorusciti mazziniani e garibaldini che fuggivano
dalle patrie galere e sfogavano sulle rive del Plata, a Buenos Aires e a
Montevideo, le loro idee allora rivoluzionarie.
Di fatto, nel 1810, quando l’Argentina – l’anno venturo si celebrerà il
bicentenario – avvió il proprio processo d’indipendenza, nella prima
Giunta di governo che apre le ostilità contro gli spagnoli, figurano ben
quattro cognomi italiani, divenuti
fondatori di questa Patria: Belgrano,
Alberti, Beruti e Castelli.
E questo ci fa dire che l’Argentina
non è solo un Paese verso cui gli
italiani emigrarono in massiccia
alluvione, in cerca di miglior vita,
ma è anche un Paese che gli italiani
contribuirono a fondare. C’erano,
insomma, sin da prima che “una
Nueva y Gloriosa Nación” – come
cantano gli inni romantici dell’epoca – si affacciasse al mondo. Ciò
vale certo a spiegare l’identità degli argentini, che hanno l’Italia innegabilmente nel proprio DNA, anche se non sempre sanno precisare
regione e comune di provenienza
dei propri antenati e quasi mai
parlano la lingua italiana…
27
PERCORSI
PASSATO
E FUTURO
i giovani e l’associazionismo
Da luogo della
memoria
a cantiere per
nuove idee
Le associazioni italiane all’estero tra
passato e futuro: quanto è stato fatto,
quanto ancora resta da fare per
coinvolgere anche i giovani, emigrati
di terza e quarta generazione
di Gaetano Calà
E
ssere parte di un gruppo, di una famiglia allargata i cui membri, almeno
nella fase iniziale, si conoscono poco o
niente tra loro. Sanno per certo, però,
che la provenienza dalla terra d’origine è la stessa. Quella dell’associazionismo è una storia carica di infinite storie, che nasce con i primi flussi
migratori nel Nuovo Mondo. Per i moltissimi emigrati
che arrivarono in queste terre ignote, le associazioni
rappresentarono il primo front office, indispensabile
per avviare un difficile processo di integrazione nella
nuova patria.
Oggi, oltre un milione e mezzo di individui si riconosce
nelle oltre 5.000 associazioni sparse in Italia e all’estero, come emerge dai lavori del convegno internazionale sul rilancio dell’associazionismo nelle politiche
migratorie, tenutosi a Palermo lo scorso inverno e
PERCORSI
28
organizzato da Anfe. Per loro stessa costituzione le
associazioni di italiani all’estero rappresentano un impegno, collettivo e individuale, nell’adempimento di
principi inderogabili di solidarietà politica, economica
e sociale, per l’affermazione della pari dignità sociale
e l’eguaglianza davanti alla legge, senza distinzione di
sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Concetti della
Carta Costituzionale divenuti materia viva nel mondo
dell’associazionismo italiano all’estero e per l’estero.
Oggi il ruolo dell’associazionismo vive una rinnovata
responsabilità sociale, in quanto può rappresentare un
forte sostegno nella gestione dell’immigrazione.
Il fenomeno migratorio non mette in gioco solo
questioni politiche, economiche e demografiche.
Conoscere la storia sociale e culturale dell’emigrazione
italiana nel mondo è anche utile per capire come i pro-
i giovani e l’associazionismo
PASSATO
E FUTURO
Il presidente Anfe, Learco Saporito (in piedi) apre i lavori del convegno
cessi migratori possono incardinarsi nel nostro Paese
ed operare per una positiva integrazione, valorizzando ciò che per noi è stato essenziale strumento di crescita nelle società di accoglienza.
Considerati questi presupposti, il compito dell’associazionismo, oggi, è tutt’altro che secondario, anche
se va reinterpretato alla luce delle esigenze e delle aspettative dei giovani, emigrati di terza e quarta
generazione, facendo delle associazioni non soltanto
luoghi della memoria, ma anche strumento di contemporaneità, capace di raccogliere nuovi stimoli.
I giovani d’oltrefrontiera sono, oggi più che in altri momenti storici, divisi tra due appartenenze: quella alla società di origine, alla quale sono legati sempre meno man
mano che aumenta la durata della permanenza all’estero, e quella al paese di accoglienza del quale però non
sentono di fare parte in maniera totale.
è necessario quindi un coinvolgimento diretto nelle associazioni, ma anche un arco mirato di interventi culturali, con progetti più concreti di partenariato economico. Quello che i giovani chiedono è un’informazione più
concreta, approfondita ed obiettiva, unita a servizi di “informagiovani” attraverso Internet, siti dedicati, blog. La
storia degli emigrati italiani nel mondo è una storia triste
di cui spesso ci si vergogna, una storia che molti emigrati
tendono a dimenticare. L’associazionismo deve servire a
riscattare un’immagine positiva dell’essere italiani, deve
rappresentare un veicolo per la conservazione e trasmissione del patrimonio culturale. Deve essere, per i giovani,
un luogo dove poter far nascere nuove idee, dove riscoprire le proprie origini imparando la lingua e la cultura dei
loro nonni. Uno strumento di promozione del turismo di
ritorno attraverso scambi culturali.
29
PERCORSI
PASSATO
E FUTURO
quella memoria racchiusa nei musei
Da Roma alla Sicilia
Viaggio attraverso diversi tipi di
emigrazione
Un vecchio adagio,
da alcuni attribuito
agli Indiani d’America,
recita: “se non sai dove
andare, volgiti indietro
e guarda da dove sei
venuto”....
di Marcello Saija
I
n tutte le epoche, il recupero della memoria collettiva è stato avvertito come un bene fondamentale per la costruzione del futuro. Non fa eccezione il periodo delle grandi ondate migratorie
che interessarono tutta l’Europa. L’idea di dare
vita agli archivi dell’emigrazione diventa concreta nel 1990,
in un luogo fortemente simbolico: Ellis Island, New York. Un
modo diverso di guardare all’emigrazione, quello degli archivi della memoria, con un occhio più attento, in cui gli uomini
e le loro storie sono connotati essenzialmente come risorsa.
PERCORSI
30
quella memoria racchiusa nei musei
Musei, ma anche centri di studio,
archivi, centri di documentazione e
ricerca sono sorti anche in Italia.
L’obiettivo, oltre che il recupero
della memoria, è quello di recuperare gli strumenti per affrontare le
ondate migratorie di oggi, che vedono il nostro Paese non più terra
di partenza ma luogo di approdo.
A Roma, al Vittoriale, è stato inaugurato di recente il Museo nazionale delle migrazioni, che si snoda
in tre sezioni: la prima ripercorre
la nascita e lo sviluppo della grande emigrazione italiana; la seconda sezione traccia una geografia
Anche la Sicilia si è dotata di una
rete dei Musei siciliani dell’emigrazione; ciascuno individua le differenze dei flussi migratori a seconda delle singole aree geografiche.
Tutti e sette i musei hanno però
il minimo denominatore comune dell’attrazione suscitata dalle
Anche la Sicilia si è
dotata di una rete
dei Musei siciliani
dell’emigrazione; ciascuno
individua le differenze dei
flussi migratori a seconda
delle singole
aree geografiche...
dell’emigrazione, approfondendo
le caratteristiche migratorie peculiari di ogni singola regione. La
terza sezione, infine, interessa un
viaggio nell’emigrazione attraverso
aree tematiche che consentono al
visitatore di avere una conoscenza
interattiva dell’intero periodo storico tramite il cinema, la letteratura, la
musica, oggetti e documenti rari.
terre d’oltreoceano, indotta dalla
capillare propaganda delle grandi
compagnie di navigazione. Il sogno americano, insomma, arriva in
Sicilia sottoforma di illustrazioni e
scritte colorate.
Le differenze sui tipi di flussi migratori sono invece il tratto peculiare
evidenziato in ogni museo. L’emigrazione dal latifondo, mostrata
31
PASSATO
E FUTURO
PERCORSI
PASSATO
E FUTURO
quella memoria racchiusa nei musei
nei padiglioni di Aquaviva Platani,
in provincia di Caltanissetta, è ad
esempio molto diversa da quella
delle coste, analizzata invece nei
musei di Giarre (Catania), Savoca
(Messina) e Canicattini Bagni (Siracusa), nell’area del Belice. Nel museo Ibleo di Ragusa è invece possibile capire quanto un territorio,
caratterizzato da secoli dall’assenza del latifondo e dalla presenza
di una piccola e media proprietà,
influì nei flussi migratori.
L’emigrazione dalle isole siciliane
è invece rappresentata dal Museo
Eoliano dell’emigrazione che, dal
1999, attraverso il prezioso materiale documentario custodito dalle
famiglie isolane e gli atti ufficiali dei
comuni, ha ricostruito un percorso
prima e dopo la partenza. Il museo
ripercorre alcune fasi di vita eoliana:
il modello economico di sviluppo
prima dell’emigrazione, ma anche
l’infezione filosserica e la crisi pomicifera. Una sezione importante
riguarda inoltre l’esposizione delle
1.132 lettere provenienti dall’America del Nord, dall’Australia e, in minor
misura, dai paesi latinoamericani,
ma anche materiali sulla vita delle
società eoliane di mutuo soccorso in
PERCORSI
32
America e in Australia, dal 1898 in
poi. L’archivio comprende anche
notizie e documenti sulle rimesse e
sulle donazioni per il restauro delle
chiese eoliane e per la esecuzione
di importanti opere pubbliche;
nonché una ricchissima raccolta di
fotografie.
Accanto ai musei e alla documentazione di un importante spaccato
di vita, c’è anche la testimonianza
di una realtà poco conosciuta, documentata dal volume “Una casa
per gli emigranti”, curato da Claudio
Colombo, che in 140 pagine analizza
l’odissea di migliaia di lavoratori italiani per tanti anni costretti a portare
la loro professionalità all’estero. La
casa degli emigranti, un edificio alle
spalle della stazione centrale di Milano, venne inaugurata nel dicembre del 1907, e restò attiva sino alla
metà degli anni Venti. Era composta di un corpo a un piano rialzato
di circa 350 metri di superficie, di un
altro accessorio di 80 metri quadri
e ospitava una sala d’aspetto, due
dormitori, bagni e lavatoi, tutto
dotato di luce elettrica e riscaldamento. Nei suoi primi cinque anni
di vita, la casa diede ospitalità gratuita a mezzo milione di emigranti,
a cui venivano in questo modo evitate speculazioni di commercianti
e albergatori.
Stremati da lunghi viaggi in treno,
gli emigranti venivano rifocillati e
allo stesso tempo informati su tutto ciò che poteva loro essere utile:
orari ferroviari, coincidenze e cambi, organizzazione sindacale del
Paese in cui andavano a lavorare,
informazioni sul mercato del lavoro che li attendeva. Una Milano,
quella del primo Novecento, che
dimostrava di essere all’avanguardia nel fronteggiare il fenomeno
migratorio incombente, con la sua
folla di gente dalle tante storie,
impaurita e allo stesso tempo piena di aspettative nei confronti del
Nuovo Mondo.
Foto tratte da
“Breve Manuale di Storia
dell’Emigrazione siciliana
di Marcello Saija
oreplast
tecnologia
INDUSTRIA
Serietà, professionalità e
competitività, in un mercato
in continua evoluzione.
Questi gli elementi
che fanno di Coreplast
un’azienda siciliana leader
nel settore industriale, che
si sta rapidamente facendo
conoscere anche nel resto
d’Italia e all’estero
Precisione
numerica
per una totale affidabilità
C
oreplast produce
sia gli stampi che
lo stampaggio per
la produzione di
articoli in plastica e progetta, realizza e collauda
stampi ad iniezione. I clienti hanno
così un valore aggiunto per la commercializzazione dei loro prodotti,
trovando nell’azienda un partner
affidabile, che segue tutte le fasi
della lavorazione per ottenere il
meglio nella produzione di componenti ed articoli tecnici.
Punta di diamante della Coreplast,
sono gli strumenti specializzati di
cui l’azienda si avvale, come le macchine automatiche a disposizione
(la fresa a controllo numerico C.B.
Ferrari e le presse computerizzate
Engel). Attraverso la progettazione
cad/cam, il personale è in grado di
assicurare precisione e qualità nel
prodotto finito.
[email protected]
I.P.
Fiore all’occhiello del settore medicale è la produzione dei dispositivi
portaimpronta monouso nei colori
arancio (dimensione piccola), blu
(media) e giallo (grande), distribuito dalla Dental Tray System, facilmente modellabili e adattabili alla
conformazione morfologica del paziente. Una distinzione, quella dei
colori, che rende il prodotto immediatamente riconoscibile per il tipo
di applicazione. Il prodotto consente un risparmio che oscilla tra
il 20 e il 25% di materiale per ogni
impronta effettuata. Il dispositivo
si completa del supporto implant
in acciaio, ancora della Dental Tray
System, che offre al professionista
uno strumento sicuro e preciso per
la rivelazione dell’impronta in implantologia. Sempre nell’ambito
dei prodotti di area medicale è il
boccaglio per gastroenterologia,
pediatrico e per adulti, in polipropilene corredato da cintino in laprene ad elasticità differenziata,
che si anatomizza, perfettamente, al cavo orale con un largo che
abbassa la lingua nella parte inferiore e con un rialzo che aderisce
all’arcata superiore.
Presidio medico di Classe I, si usa
per esami di endoscopia in generale, per interventi in ERCP con
apporto di ossigenazione per pazienti affetti da ipossemia. è distribuito da Meditalia s.r.l.
Il personale è altamente qualificato e in grado di assistere il cliente
tanto in situazioni progettuali che
produttive. Coreplast opera anche
nei settori elettrico ed elettronico,
giardinaggio, casalinghi, automobilistico, serramenti, edilizia.
35
PERCORSI
Palermo
A/R
Testo di Simona Gazziano
Porto Cervo
Costa Smeralda
S
ono le stelle e le palme del
deserto libico le protagoniste di
questa mostra dedicata a Mario
Schifano, una tra le più poliedriche
e significative figure del panorama
artistico internazionale della seconda
metà del XX secolo, nato nel 1934 in
Libia a Holms – l’antica Leptis Magna –
e morto a Roma nel 1998. Sulle origini
nordafricane dell’artista si concentra
l’esposizione, con le immagini di oasi e
palme “antinaturalistiche”, archetipo di
uno spazio alternativo alla condizione
urbana, ma altrettanto artificiale. Prima
di arrivare alla luminosa sala con i cieli
stellati e le suggestioni delle distese di
sabbia d’Oriente, si attraversano, però
altre sezioni dell’esposizione dove sono
presenti alcuni dei temi centrali del
lavoro di Schifano.
La mostra è allestita al Mdm Museum
ed è aperta dalle 18 alle 24, in modo da
potere apprezzare a sera, dalla terrazza
del museo, anche le stelle del cielo di
Sardegna. Fino al 30 ottobre
PERCORSI
36
Lucca
Grosseto
I
n mostra fino al 31 ottobre, oltre
duecento reperti, inediti o esposti
raramente, provenienti dai siti
archeologici della magnifica Maremma. Corredi, urne tavolette, centinaia
di monili ed elmi narrano la vita e la
morte dei “Signori di Maremma”,
ovvero i principi etruschi, nel periodo di
massimo splendore di questa civiltà. La
mostra che ha il titolo: “Elites Etrusche
fra Populonia e Vulci” è in esposizione al
Museo Archeologico e d’Arte della Maremma nella città di Grosseto. Il museo
inoltre, ha previsto una serie di itinerari
archeologici nei siti di provenienza dei
reperti che sono in esposizione. Per
questi itinerari è necessaria la prenotazione che si può effettuare al seguente
numero: 0564-488750
I
l Museo Nazionale del Fumetto e
dell’Immagine di Lucca e l’Amministrazione Comunale festeggiano
l’Anno Internazionale dell’Astronomia
con la mostra “E lucean le stelle…
Viaggio per immagini e fumetti dal
macrocosmo di Galilei al microcosmo
di Einstein”, il più completo tributo alla
scienza – oltre 400 tavole – fatto dall’arte al fumetto e che sarà visitabile fino al
prossimo 31 dicembre. La mostra rende
omaggio alla scienza e ai suoi maggiori
protagonisti da Galileo a Newton, da
Darwin a Einstein, attraverso le storie a
fumetti dei più grandi disegnatori internazionali: da “Le meraviglie del 2000”
di Salgari, a “La guerra dei Mondi” di
Wells; dalle illustrazioni di M.W. Kaluta
per “Metropolis” di Fritz Lang alle storie
di Weird Science dei grandi autori americani degli anni Cinquanta. La manifestazione vede inoltre la partecipazione
della Walt Disney Publishing che farà
realizzare, appositamente per l’evento,
alcune nuove storie dai suoi più importanti artisti italiani. Si può consultare il
seguente sito Internet: www.museoitalianodelfumetto.it
Palermo
A/R
Bucarest
S
i svolgerà a Bucarest e in Transilvania dal 30 agosto al 26 settembre, la diciannovesima edizione
dello storico Festival e Concorso Internazionale “George Enescu”, intestato al
celebre musicista e didatta romeno del
secolo scorso.
Il programma del Festival si presenta
quest’anno quanto mai ricco e prevede:
24 composizioni di Enescu, oltre 80 brani di autori romeni contemporanei, 10
titoli tra opere e balletti, 13 orchestre europee (tra le quali figura anche l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino che
ha già partecipato all’edizione del 2003),
14 orchestre da camera provenienti da
tutto il mondo, 19 ensemble cameristici,
6 cori, 41 solisti in concerto e 6 recital
solistici. Sette sono invece le tematiche
che suddividono questa edizione, di cui
due assolutamente nuove e cioè: “Enescu e i suoi contemporanei” e “Musica
classica in arrangiamenti jazz”.
Ad ospitare gli appuntamenti del
Festival, le principali sale da concerto
di Bucarest come Sala Palatului e
l’Ateneo Romeno; all’aperto la Piazza
del Festival e alcune cittadine rumene
d’interesse storico (Sibiu, Brasov, Iasi,
Cluj e Timisoara) significative per la
biografia e l’attività di Enescu
Atene
D
opo decenni di polemiche
riapre (l’inaugurazione è
fissata per il 20 giugno) il
Nuovo Museo dell’Acropoli di Atene
con la collezione del più famoso sito
archeologico del mondo. L’idea che ha
fatto tanto scalpore e che è alla base del
progetto è quella di rimettere assieme
tutti i marmi superstiti del Partenone
su una struttura della stessa grandezza
e orientazione del tempio. Ma davvero
tutti i pezzi, alcuni in originale, gli altri in
copia (gli originali si trovano oggi tra il
British Museum di Londra e Parigi).
E così una coscia bianca s’incastra nel
busto di marmo pentelico, un pannello
in bassorilievo di gesso sta accanto al
pannello seguente, ancora in marmo
pentelico. E così via.
Lo stupore ovviamente domina.
Circa diecimila visitatori, infatti, sono
attesi in media ogni giorno, “...per tutti
loro sarà un’esperienza più potente di
qualsiasi slogan” commenta Dimitrios
Pandermalis, Presidente dell’Organizzazione per la costruzione del Museo.
Scopo dell’operazione? Ovviamente la
restituzione da parte di tutti i musei del
mondo dei marmi del Partenone
La Roque
D’Antheron,
Francia
D
al 24 luglio al 22 agosto si
svolgerà la XXIX edizione del
Festival International del
Piano, nel suggestivo auditorium de La
Roque d’Anthéron, un piccolo paese
della Provenza. Il folto programma,
offre un repertorio che spazia dalla
musica barocca alla contemporanea e
al jazz (quest’anno ci saranno presenze
fondamentali del jazz contemporaneo
da Richard Galliano a Chick Corea)
così da rendere il Festival un evento di
importanza indiscussa e sempre crescente tanto da essere stato più volte
definito, dalla stampa internazionale,
“la Woodstock del pianoforte”. I luoghi
scelti come sede dei concerti sono tutti
di grande fascino e interesse storico e
culturale, come la conca acustica del
Parco del Castello di Florans, la stessa
Roque d’Anthéron, il chiostro della
cistercense abbazia di Silvacane, le
scenografiche cave di pietra di Rognes
o la chiesa protestante di Lourmarin.
La programmazione 2009 offre, inoltre,
rare possibilità musicali, come l’incontro
con Mayte Martin che interpreterà canti flamenchi accompagnata dalle sorelle
Labèque o l’anteprima del film “Viaggio
nel cuore del pianoforte”, realizzato da
Jean-Frédéric Neuburger e FrancoisRené Martin. Per informazioni sul programma: www.festival-piano.com
37
PERCORSI
Palermo
A/R
New York
D
al Lincoln Center al Metropolitan Opera, da Manhattan al Bronx, questa sarà
un’estate mozzafiato per la città
di New York, tra feste nei parchi,
musica, festival ed eventi. Ecco alcuni
esempi: in occasione del suo 500° anniversario il Lincoln Center ospiterà,
dal 28 luglio al 22 agosto, il Mostly
Mozart Festival, in onore del grande
compositore che esplora musica ed
arte di differenti tradizioni culturali;
dal 5 al 23 agosto, invece, il Lincoln
Center Out of Doors presenta più di
100 spettacoli dal vivo e tante attività
culturali dedicate ai bambini; ma anche il Metropolitan Opera in onore del
suo 125° anniversario, non sarà da
meno: il suo Summer Recital Series
aprirà il 13 luglio al Central Park con il
vincitore dei Tony Award Paulo Stoz,
per poi proseguire fino al 14 agosto,
in tutti i parchi della città, con grandi
nomi del panorama musicale internazionale da Joyce El-Khoury a Keith
Miller. Per tutte le informazioni sugli
eventi newyorkesi cliccare su www.
nycgo.com
PERCORSI
38
Sydney
Rio de Janeiro
i svolgerà a Sidney, fino alla
fine di giugno, Luminous, la
prima edizione di un grande
festival di musica, arte e incontri, che
avrà luogo presso l’Opera House.
Brian Eno, fondatore, nei primi anni
sessanta della band art-rock Roxy
Music e successivamente collaboratore degli U2, si cimenterà nell’arduo
compito di curatore di questa prima
edizione della manifestazione. Il
musicista britannico, padre della
Ambient Music, parteciperà, tra le
altre cose, alla kermesse, con un’opera d’arte senza precedenti, tratta
dalla sua pubblicazione: “77 Million
Paintings”.
L’installazione non è altro che una
sequenza di forme e colori, basata su
300 immagini da lui disegnate, che
si compongono e si ricollocano in un
numero infinito di variazioni. Il nome
dell’installazione indica il numero
totale di combinazioni possibili di
musica e video che possono essere
generati dal software che è alla base
della stessa installazione, fornendo
un’alta possibilità statistica che la
stessa combinazione non venga proposta due volte.
naugurano il 2 luglio, le mostre
fotografiche dai titoli: “Ferma un
Attimo” e “Apoteosi de Alegria”,
rispettivamente di Mauro Villone e
Lidia Urani, direttori del Turin Photo
Festival. Ambedue le mostre arrivano da Torino fino a Rio in occasione
di FotoRio, il più importante festival
internazionale sulla fotografia della
città. “Ferma un Attimo” è un lavoro
di reportage artistico che da ampio
spazio al valore di persone fotografate in tutto il mondo, in questa
edizione, con un particolare riguardo
all’India.
“Apoteosi de Alegria”, invece, è
sempre un lavoro di reportage ma
orientato specificatamente sul carnevale di Rio. Le immagini di Lidia poi,
una volta stampate, subiscono interventi di collage di elementi propri del
carnevale raccolti per la strada dopo
le sfilate. I due lavori si inseriscono in
una più ampia ricerca in progress che
impegna i due autori da diversi anni.
Fino a fine Luglio a Villa Riso (Estrada da Gavea, 728 - Rio de Janeiro)
S
I
Palermo
A/R
New York
A
New York, con una mostra che
si terrà dal 9 luglio al 9 agosto,
l’Harlem Studio Fellowship
ripercorre, nella propria sede, i suoi
primi tre anni di attività. In esposizione le opere di 10 giovani artisti internazionali come Andreas Huyskens,
Tamas Jovanovics e ben tre italiani:
Patrizia Novello, Marco Perroni e
Susanna Pozzoli.
Harlem Studio Fellowship è un
progetto che nasce da un’idea di
Francesca e Ruggero Montrasio con
la collaborazione di Raffaele Bedarida – gallery educator al Guggenheim
Museum – che si pone come obiettivo quello di permettere a giovani
artisti, provenienti da tutto il mondo,
di potere interagire con una realtà
culturale ricca di stimoli creativi come
quella newyorkese.
In occasione della mostra sarà edito il
primo dei tre cataloghi – coedizione
Silvana Editoriale/MontrasioArte –
che raccoglie le opere degli artisti che
hanno lavorato nel primo anno
di attività
Shangai
Buenos Aires
M
alba-Fundacion Costantini
presenta fino al 3 di agosto
una nuova esposizione dal
titolo: “Escuelismo. Arte Argentino
de los 90” con opere appartenenti
al patrimonio del museo, insieme ad
alcuni prestiti, che mostra l’influenza
del modello formativo della scuola
primaria argentina nell’arte contemporanea locale. Il testo “Escuelismo”
del ricercatore Ricardo Martin-Crosa,
pubblicato nel 1978 nella galleria
Artemultipla, fu un’ipotesi di lavoro
per il montaggio del programma
curatoriale.
La mostra riunisce circa 60 opere di
più di 40 artisti rappresentanti della
scena artistica locale degli anni ’80 e
’90. La selezione di disegni, pitture,
fotografie, video, oggetti e installazioni presenti, mette in evidenza la
presenza di un catalogo di ricorsi formali proprio della scuola, che MartinCrosa definisce come una “retorica
dell’insegnamento primario argentino”. Malba – Coleccion Costantini,
3415 Figueroa Alcorta Avenue
L
a galleria dell’Arco di Shangai
presenta la mostra “A move
within”, la seconda personale
in Cina dell’artista Luo Xiaodong,
pittore, classe 1979, ma già tra i più
accreditati nel panorama artistico
asiatico. Luo Xiaodong, nell’atto
pittorico, dimostra una veemenza
e passione straordinaria. Come una
catarsi, un bisogno incontrollabile di
esprimere e liberarsi nell’immediato,
tanto da non avere il tempo di soffermarsi sulla scelta dei colori, cosa che
svierebbe la concentrazione e spezzerebbe l’intensità della creazione.
Una gestualità tanto impulsiva che
lo porta alla ricerca di tecniche e
situazioni a lui più congeniali, come
la peculiare tecnica a spatola. In
questa sua ultima fatica, lo spettatore
è come trascinato in una dimensione
atemporale, dove dimora un silenzio
immortale, un vuoto enorme e privo
di contesto, eppure non ne rimane
disorientato anzi viene come spinto
ad uno sguardo più attento grazie al
quale compiere un passo ulteriore, a
move within… per l’appunto. Fino al
28 luglio
39
PERCORSI
Carrefour
grande distribuzione
QUALITà
Per chi pensa che la grande
distribuzione non sia attenta
ad argomenti quali tipicità,
filiera corta, genuinità,
rappresenterà una lieta
sorpresa fare una visita da
Carrefour e trovare vini,
mieli, conserve, liquori,
salumi e formaggi tipici...
Un
colosso
innamorato
dei prodotti siciliani di qualità
D
al 1959, anno in
cui le famiglie
Fournier e Defforey fondano
la società Carrefour, la realtà di questa società è
in continua ascesa.
Presente in 30 Paesi del mondo,
Carrefour è il secondo più grande
gruppo di vendita al dettaglio in
termini di reddito e di vendite dopo
l’americano Wal-Mart e il primo in
Europa, mentre in Italia occupa il
secondo posto.
Nel nostro Paese sono presenti ben
70 ipermercati del gruppo francese, che ha dimostrato una grande
attenzione alla Sicilia. A Catania,
infatti, Carrefour ha stretto dal
2005 una importante partnership
con il Parco dell’Etna, realtà in continua espansione, in grado di offrire
prodotti di assoluta eccellenza. Il
Carrefour etneo, che si estende per
www.carrefour.it
I.P.
10.500 mq, conta 200 dipendenti e
ha un bacino d’utenza di 515 mila
persone, per un totale di circa un
milione e mezzo di clienti l’anno.
Un fatturato che nel 2008 è cresciuto e che, relativamente alla
sola vendita dei prodotti dell’Etna,
ha fruttato circa 400 mila euro, tra
la vendita di vini, mieli, conserve,
liquori, salumi e formaggi tipici.
Una chiara indicazione, questa, di
quanto sia aumentata nei consu-
matori l’attenzione per i prodotti di
nicchia che – grazie al partenariato
Carrefour-Parco dell’Etna – possono raggiungere le tavole dei consumatori a costi assai minori rispetto
al passato. Da un mese, il polo etneo di Carrefour ha inoltre inserito
al suo interno, con notevole riscontro, anche il reparto panetteria,
mentre, sempre per quest’anno,
è prevista la commercializzazione
della gamma completa di prodotti
relativi al suino nero dell’Etna. Una
strategia vincente, quella di Carrefour, non solo in Sicilia, ma anche
in Italia e nel resto del mondo, accompagnata da politiche di valori
relativi al rispetto dell’ambiente,
alla lotta agli alimenti ogm e all’ottimizzazione delle risorse
41
PERCORSI
EUROMED
rafforzare il dialogo e la cooperazione
Un dialogo di pace
con idee
concrete
Restituire al Mediterraneo la sua funzione primaria
di luogo di scambio e di confronto fra i popoli.
Da questi presupposti è nato il Comitato Permanente
per il Partenariato Euromediterraneo, (Coppem)
con lo scopo di promuovere il dialogo e la cooperazione
per lo sviluppo locale fra città, comuni e Regioni dei Paesi
che vi aderiscono.
I
di Rossella Catalano
l regolamento del Comitato, approvato a
Gaza nel 2000, recepisce in pieno la Dichiarazione di Barcellona siglata nel 1995, che
mira ad istituire un partenariato globale euromediterraneo per trasformare il Mediterraneo in uno spazio comune di pace, di stabilità e di prosperità attraverso il rafforzamento del dialogo politico e
sulla sicurezza, un partenariato economico e finanziario
e un partenariato sociale, culturale ed umano.
Fanno parte del Comitato Permanente per il
Partenariato Euromediterraneo Algeria, Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Estonia, Egitto,
Finlandia, Francia, Giordania, Grecia, Irlanda,
Israele, Italia, Lettonia, Libano, Lituania, Lussemburgo, Malta, Marocco, Paesi Bassi, Palestina, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Germania, Siria, Slovacchia, Slovenia,
Spagna, Svezia, Tunisia, Turchia e Ungheria. «Il
Comitato insiste molto sulla concretezza delle
iniziative che promuove – dice Francesco Sammaritano
PERCORSI
42
(nella foto a sinistra), referente della Commissione Politica e Istituzionale del Coppem –. Ci poniamo obiettivi concreti, perché è importante che le comunità in cui
operiamo tocchino con mano i vantaggi che può avere il
partenariato con altre realtà. Una collaborazione a tutto
tondo, insomma, contribuisce in concreto a rendere la
vita migliore. Coppem e Anfe hanno avviato da tempo
una collaborazione per progetti di eccellenza. Tra questi, il progetto Fisher, destinato alla formazione delle
marinerie della sponda sud del Mediterraneo, che tocca
punti nodali come la sicurezza a bordo dei pescherecci,
la tutela ambientale e la valorizzazione del pescato. Il
progetto – a cui hanno aderito Tunisia, Egitto, Marocco,
Libia, Palestina, Israele – è in partenariato, tra gli altri,
con il Cnr e il Cosvap di Mazara del Vallo (quest’ultima è
la più grande organizzazione di marinerie siciliane), con
i comuni di Sciacca e Messina e con il Parco Tecnologico
di Palermo. Altro fiore all’occhiello, che vede collaborare
Anfe, Coppem e Ismett, è il protocollo d’intesa per la realizzazione di un centro permanente per la formazione di
personale medico e infermieristico-tecnico».
rafforzare il dialogo e la cooperazione
Quali invece i progetti con gli Emirati arabi?
“La nostra iniziativa – continua Sammaritano – è molto
ambiziosa: creare le condizioni perché gli Emirati aprano il loro primo consolato italiano a Palermo. Inutile
dire che cosa questo rappresenterebbe per la Sicilia,
non solo per le enormi risorse finanziarie degli Emirati
arabi uniti, ma anche perché la sede di Palermo potrebbe essere la testa di ponte verso rapporti più stretti con
il Maghreb e il Medioriente».
Una delle prime iniziative discusse è l’avviamento, ad
Erice, di tre master, aperti a 120 laureati dei Paesi che
hanno aderito al trattato di Barcellona. L’obiettivo è
creare nella cittadina trapanese una scuola di specializzazione permanente per laureati dell’area euromediterranea. Il percorso formativo riguarda tematiche che
spaziano dal processo storico-culturale e antropologico
dei Paesi del partenariato euromediterraneo, alla comparazione dei sistemi legislativi ed al riconoscimento
del ruolo sociale e giuridico delle donne.
EUROMED
«Questa iniziativa siglata da Coppem, Anfe e Comune
di Erice ha un grande valore culturale e politico – continua Sammaritano – perché mettere insieme neolaureati provenienti da Paesi differenti per lingua, cultura e
tradizione significa attivare uno scambio in molte direzioni tra i soggetti che saranno la futura classe dirigenziale nei Paesi di provenienza».
Quali sono le necessità più urgenti dell’area euromediterranea?
è necessario, innanzitutto, affrontare questioni delicate, quali immigrazione, terrorismo, sicurezza, tutela
dell’ambiente. Si tratta di fenomeni molto complessi,
che possono essere affrontati esclusivamente attraverso ampi partenariati. Un’altra questione importante
da affrontare è quella del turismo: se si riuscisse, per
esempio, ad armonizzare il restauro dell’immenso patrimonio culturale presente in quest’area, si favorirebbe un massiccio sviluppo del turismo che garantirebbe
enormemente i Paesi interessati».
La convivenza tra i popoli passa anche attraverso il confronto religioso, che ha prodotto
tensioni ed estremismi. Quale
via percorrere per un dialogo
costruttivo?
Credo che bisogni innanzitutto
valorizzare le differenze, considerarle risorse e non ostacolo.
In un passo del Corano è scritto che Allah creò popoli, classi
sociali, genti differenti. Non
perché litigassero fra loro per
decidere chi fosse il migliore,
ma perché ciascuno apprezzasse la diversità dell’altro. è bene
ricordare che gli estremismi, da
qualunque parte provengano,
sono espressioni di intolleranza
molto marginali e che prevale
la moderazione».
43
PERCORSI
L’ALTRO
uguali nelle differenze
Straniero è/e
strano
L’Altro come ricchezza
e come risorsa.
Guidati dall’esperto affrontiamo
il percorso che dal pregiudizio
conduce all’identità con il diverso
e alla condivisione. Verso
un Mediterraneo pacificato
S
di Franco Di Maria
i disintegrano le nazioni, cadono le
frontiere, tendono a scomparire i ghetti, tutti possiamo andare dappertutto.
Ci si mescola, ci si scambia, ci si confonde. E, tuttavia, i pregiudizi continuano
a imperare. Spesso rimangono latenti, ma in momenti
di crisi riemergono con violenza. E così, quando si parla
di barbari, di stranieri e, più in generale, di flussi di gente, di frontiere e di limiti che vengono attraversati e riattraversati, si è nello specifico campo del pregiudizio. E
dal pregiudizio al razzismo, o meglio, ai razzismi (dagli
stranieri agli anziani, agli omosessuali, alle donne, ai diversi, eccetera) il passo è breve.
Ma qual è l’origine di tutto ciò? Stereotipi, pregiudizi e
autoinganni schermano il Sé e lo collocano in una zona
d’ombra. Lo schermo è posto tra il Sé e il reale, tra identità e oggettività, tra sicurezza e incertezza.
Ma cosa è il pregiudizio?
PERCORSI
44
uguali nelle differenze
45
L’ALTRO
PERCORSI
L’ALTRO
uguali nelle differenze
Il Mediterraneo
è spazio della diversità e
del conflitto... Lo spazio
mentale condiviso diviene,
spazio ambientale in cui
bisogna poter accettare la
diversità e la “stranierità”, ma
soprattutto, l’estraneo e lo
strano che ci abitano
Il pregiudizio è una sorta di valutazione intimamente connessa al senso del comune, che non solo non è
un’espressione di una scelta oggettiva di valutazione, ma che neppure si
collega a specifici e consapevoli parametri definitori del nostro campo
d’esperienza. Esso ha inoltre un forte potere prescrittivo sulle condotte
individuali o di gruppo ed un altrettanto potere di veto nei confronti
dell’eventuale insorgenza di giudizi
più soggettivi.
Il razzismo è un precipitato del pregiudizio. Il razzismo non è semplice
avversione a tutto ciò che è diverso
da sé, non è neanche l’etnocentrismo, non è evidenziare le differenze
a proprio vantaggio, ma è tutte queste cose insieme e in più l’utilizzare
la differenza contro gli altri al fine
di trarne profitto, come avviene in
ogni colonizzazione. Alcuni studiosi
riconducono il razzismo alla tesi del
capro espiatorio, altri lo definiscono
come il credere che un determinato
gruppo etnico sia inferiore per ragioni genetiche. Questi naturalmente
sono solo alcuni spunti per eventuali
ulteriori approfondimenti.
PERCORSI
46
In questa sede è importante sottolineare che il razzismo può manifestarsi sia a livello individuale che a livello istituzionale, ed è anche quello
infiltrato o latente in leggi o in norme sociali che discriminano taluni
gruppi culturali ed etnici (i neri, gli
arabi, gli slavi, eccetera).
L’ostilità verso gruppi differenti nasce dal fatto che si desidera conservare la propria identità (o meglio, “identicità”) anche fenotipica,
morfologica, di aspetto esteriore, e
ritrovarla il più possibile nei propri
discendenti (certezza e continuità).
Pagès ha definito questo “omofiliazione fisica”, da cui l’odio per i
meticci, i mulatti, i mezzosangue in
generale, la paura di sporcarsi nella
mescolanza di sangue.
Sempre Pagès parla anche di “omofiliazione culturale”, cioè il desiderio
di perpetuazione di una similitudine
relativa ai valori, ai giudizi, alle abitudini, alle convinzioni.
Giungiamo così all’Altro e alla sua
irriducibile diversità.
L’Altro è lo straniero, il malato psichico, l’omosessuale, insomma l’Altro
con pelle, comportamenti, codici,
lingua, diversi dai nostri. Lo si identifica per un progressivo processo di
differenziazione da noi, cioè per una
percezione dell’Alterità in quanto
aggressione alla nostra “normalità”. L’Altro è il perturbante, ciò che
improvvisamente inquieta i nostri
sogni, le nostre relazioni, le nostre
abitudini. L’Altro è anche l’amore, la rottura dell’equilibrio, la fine
dell’omeostasi, l’Altro è il fratellino
appena nato che perturba equilibri
familiari consolidati. L’Altro, allora,
viene collocato all’interno della dinamica amico/nemico.
Se è amico, amante, allora è identificabile con noi, ci somiglia, ci attrae,
ci seduce, c’è qualcosa della sua diversità di cui vogliamo appropriarci,
che vogliamo fagocitare, c’è qualcosa di noi che vogliamo che l’Altro
mangi, di cui si nutra.
Se è nemico allora è il “falso nemico”, la minaccia, colui che invade
(barbaro in quanto invasore e incivile, privo dei nostri codici di relazione
della nostra lingua, dei nostri costumi, dei nostri stili di vita).
L’Altro è l’ombra persecutoria della
perturbazione, è il timore, il tremo-
uguali nelle differenze
re, il viso che si arrossa, l’incubo,
la mostruosità che attacca la nostra acquietante personalità. La
relazione è, però, lo spazio della
diversità e del conflitto, inutile nasconderlo.
Lo spazio mentale condiviso deve
diventare lo spazio ambientale
in cui bisogna poter accettare la
diversità e la “stranietà”. Ma soprattutto l’estraneo e lo strano che
sono dentro di noi. Lo straniero reale, quello in carne ed ossa, infatti,
evoca e rende visibili le nostre parti
in ombra e sconosciute, l’estraneo
e lo strano dai quali siamo abitati.
Straniero non solo è colui che è diverso da noi, ma soprattutto colui
la cui appartenenza ci sembra “infedele” e opposta alla nostra.
Lo straniero e lo strano che sono in
noi, si confrontano con il già noto,
il conosciuto, rassicurante ed oggetto della continuità fra esistere
ed esser-ci (inteso come “essere
in un luogo”). La paura della perdita dell’esserci diviene paura dello
straniero che l’Altro, l’estraneo reale, finisce con il configurare, con il
definire e con il proporre in quanto
variabile condivisa della paura e
dell’ansia, del panico e della depressione.
I processi che determinano l’individuazione e la gestione di questo
spazio mentale non sono esclusivamente politici, piuttosto interagiscono con quei processi di
formazione e di circolazione delle
competenze sociali sulle quali bisogna poter lavorare per accrescerle.
In una società che deve potersi pensare e agire in modo multietnico,
abbiamo bisogno di conoscenze e
di competenze assai diversificate
ed anche fortemente ancorate a
un pensiero della differenza e della
comunità.
L’ambiente con il quale la nostra
mente deve fare i conti non appartiene alla semplice configurazione
geoantropologica, piuttosto alla
selezione dei vissuti ed alla realizzazione di uno spazio dell’incontro
e della solidarietà. Ma l’incontro
pone se stesso come variabile indipendente, soltanto se nella società
della mente (il mondo interiore,
intrapsichico) è possibile porre la
differenza, non come scontro, non
come “lotta contro”, ma come “lotta per”, come spazio della cessione di parti di sé e di acquisizione di
parti dell’altro.
Un esempio può essere offerto
proprio dal Mediterraneo e dalla
sua particolare configurazione in
quanto spazio ambientale condiviso, appartenente sia alla possibilità della coerenza, quanto a quella
della complessità, all’orizzonte della leggibilità ma anche a quello del
L’ALTRO
mistero. Non è un caso che diversi
studiosi hanno incentrato nell’individuazione di un “Mediterraneo
nella mente”, uno spazio di lavoro
che apre diverse prospettive.
Da un punto di vista esemplificativo, lo spazio ambientale, quello
mediterraneo in particolare, interviene in termini di costruzione
della soddisfazione dei bisogni
ambientali, delle gratificazioni, ma
anche delle ansie, dello stress o dei
conflitti intersoggettivi. In modo
complessivo, infatti, lo spazio ambientale che “noi possiamo pensare” si confronta con la possibilità
che ci è data di pensare anche spazi
mentali affettivi ed emozionali.
Il Mediterraneo è spazio della diversità e del conflitto, inutile nasconderlo. Lo spazio mentale condiviso diviene, proprio in questo
contesto, spazio ambientale in cui
bisogna poter accettare la diversità e la “stranierità”, ma soprattutto, come già detto, l’estraneo e lo
strano che ci abitano.
Il processo che determina il cambiamento, tuttavia, è interno ad una
possibilità di pensabilità del cambiamento stesso. Per processo intendiamo non solo la registrazione
delle trasformazioni, ma la capacità
di progettarle e di governarle, demarcando il nostro ruolo emozionale in esse. Da questo punto di vista lo
straniero è la possibilità che l’irruzione del nuovo possa essere condivisa,
che il conflitto venga vissuto come
crescita nella reciprocità, in quanto
relazione fra nuovi che ancora devono dispiegarsi.
47
PERCORSI
1
2 3
L’emigrazione 58
4
i numeri 2
39
71
60
L’ALTRO
lavoro straniero in Sicilia
dà
Uno spaccato del mercato
siciliano del lavoro i cui
dati testimoniano un’ormai
accreditata presenza degli
stranieri integrati nel nostro
territorio
di Mariangela Vacanti
I
l mercato italiano del lavoro si apre ormai da
anni agli immigrati, per svolgere mansioni
fisicamente disagevoli e faticose, un tempo
affidate alle classi meno abbienti. Da qualche tempo però si registra un fenomeno,
confortato dai dati di Unioncamere, che riguarda gli
immigrati che decidono di lavorare autonomamente
come imprenditori, ad oggi infatti sono oltre quarantamila in Italia, le imprese con titolare nato in Marocco.
In Sicilia si contano 3.464 imprenditori marocchini,
1.608 cinesi e 1.020 nativi del Bangladesh, con una
vera e propria colonia palermitana di 819 attività imprenditoriali, pari ad oltre l’11% del dato nazionale.
Significativa anche la presenza dei tunisini nel palermitano e dei senegalesi nel catanese.
La presenza più diffusa degli imprenditori extracomunitari si riscontra nel capoluogo regionale, con 3.260
imprese su un totale di oltre dodicimila. La maglia nera
va invece ad Enna, dove operano appena 189 imprenditori immigrati. Nel complesso, nonostante il vertiginoso aumento di iscrizioni al registro delle imprese si-
PERCORSI
48
ciliane, l’isola è percentualmente in coda alla classifica
nazionale per numero di imprese individuali con titolare immigrato non UE. Nell’isola l’incidenza è del 3.8%, a
Palermo del 5,3% e ad Enna dell’1,5%: poca cosa a paragone con il 6,5% della media nazionale e le punte del
10% raggiunte in Toscana e Lombardia.
Il principale settore di attività delle imprese di immigrati in territorio siciliano è il commercio (9.348), con
particolare riferimento a quello al dettaglio, seguito
dall’agricoltura, che conta 921 imprese con titolare
non comunitario; sono infine 520 le imprese con titolare extracomunitario nel settore delle costruzioni,
507 nel comparto manifatturiero e 230 tra alberghi
e ristoranti.
Dal punto di vista dell’età anagrafica questi imprenditori hanno per lo più dai 30 ai 50 anni. Uno dei principali
problemi che gli immigrati affrontano, in Sicilia come
nella penisola, è quello dell’accesso al credito: sono ancora molte le difficoltà incontrate nel fornire le garanzie
richieste dalle banche a quanti si adoperano per incrementare ulteriormente il tasso di imprenditorialità.
L’ALTRO
inserimento e integrazione
L’Anfe mette
il progresso a
servizio degli
immigrati
Marsala, col suo sportello
multifunzionale, diventa capitale
dei centri più all’avanguardia per
l’accoglienza degli stranieri in cerca
di una nuova patria. Parole d’ordine:
inserimento e integrazione
di Walter Viviano
U
no dei fiori all’occhiello Anfe è lo sportello multifunzionale di Marsala, che
offre servizi ai cittadini anche e – forse principalmente – immigrati, mirati
all’inserimento nel mondo del lavoro.
Nasce nel 1998 in maniera sperimentale, ma presto la
sua attività, riconosciuta di pubblica utilità, viene finanziata dalla Regione Sicilia e dall’Agenzia Regionale per
l’Impiego. Le principali attività riguardano l’erogazione
di informazioni sul mercato del lavoro, colloqui, seminari
e formazione orientativa, consulenza ma anche altri tipi
di servizi quali la promozione all’autoimprenditorialità,
l’incrocio domanda-offerta di lavoro, stage e tirocini informativi e assistenza nella progettazione di interventi di
riqualificazione ed aggiornamento del personale.
L’ utenza dello sportello è variegata, si tratta principalmente di disoccupati o in cerca di prima occupazione,
soprattutto donne sopra i venticinque anni, pochi i laureati, molti di più i diplomati o con la sola licenza media
inferiore. Ma la modernità della sede di Marsala riguarda proprio l’assistenza e il sostegno offerto ai cittadini
immigrati e alle comunità straniere, con l’obiettivo di
PERCORSI
50
costruire una rete comunicativa che possa agevolare
l’accesso ai servizi da parte di cittadini stranieri regolarmente soggiornanti sul territorio, accompagnandone i
processi di accoglienza e di integrazione. Con il progetto
“AL SALAM”, che si propone di abbattere gli ostacoli tra
le amministrazioni pubbliche e private e i cittadini stranieri, i mediatori culturali, oltre alla funzione linguistica e
culturale, hanno anche il compito di affiancare gli immigrati nella preparazione di disbrigo pratiche.
Poi c’è il progetto “MAHRABAN” il cui obiettivo è, da un
lato, quello di favorire i percorsi di inserimento degli immigrati e dall’altro di apportare un cambiamento nelle
istituzioni e nel contesto sociale, fornendo opportunità di
dialogo e di comprensione reciproca. Infine “ETHNICITY”
punta alla riduzione delle barriere linguistiche e culturali,
all’avviamento di iniziative culturali rivolte a minori, gestite in collaborazione con i genitori e con i responsabili delle
relative comunità, finalizzate allo sviluppo dell’identità e
del senso di appartenenza alle proprie radici culturali. A
tale scopo sono stati creati spazi di aggregazione e di incontro fra italiani e immigrati (laboratori artistici, laboratori di gioco, biblioteca interculturale, servizi sanitari).
inserimento e integrazione
L’ALTRO
Mazara,
città-simbolo
di un’integrazione
possibile
C
ph. Walter Leonardi
hi non conosce questa parte del Paese, non
sa che la sfida che tutti noi, con fatica, stiamo combattendo a livello nazionale, per trovare il
modo di far convivere la nostra cultura insieme alla
cultura musulmana, tra il nostro modo di vivere e
il modo di vivere dei popoli che si affacciano come
noi sul Mediterraneo, quella sfida che stiamo combattendo in Parlamento e nel dibattito politico generale è una sfida che voi, qui, avete già vinto. Questa è una città dove si registra una forte presenza di
stranieri, i quali hanno trovato le condizioni per integrarsi e in molti casi diventano cittadini al pari dei
siciliani, e pertanto accettano le regole di fondo della nostra società, senza rinunciare alla loro identità.
Questa è una città che può essere presa per davvero
a buon modello per quella integrazione che passa
innanzitutto attraverso il reciproco rispetto.
Intervento del Presidente della Camera dei Deputati
Gianfranco Fini, Mazara del Vallo, 15 aprile 2009
51
PERCORSI
L’ALTRO
nati qui
Seconda
generazione
Il popolo degli immigrati
della seconda generazione:
Amor Souhi, un ragazzo
siciliano dal sangue arabo
U
di Paola Pottino
n ragazzo figlio di uno o entrambi genitori stranieri, nato o arrivato in Italia,
in tenera età, si definisce “immigrato
di seconda generazione”. E già l’accezione, di origine inglese (second generation), non è del tutto esatta o, quanto meno, appare
ambigua. Se è vero che l’ immigrato è colui che vive in
prima persona l’esperienza dell’immigrazione, questi
ragazzi, invece, tale esperienza, non l’ hanno mai vissuta direttamente, ma, in molti casi, soltanto attraverso i
racconti dei loro genitori. Ambiguità a parte, loro, i popoli delle seconde generazioni, sono molti, moltissimi e
rappresentano l’ effettiva possibilità di una reale integrazione. Secondo il rapporto Istat del 2008, sono 457
mila i ragazzi e le ragazze stranieri nati in Italia e il loro
non è un mondo a parte, ma un bellissimo connubio fatto di tradizioni, usi, e costumi legati e collegati al mondo
e alla società nella quale vivono. Nulla di male quindi se
PERCORSI
52
nati qui
53
L’ALTRO
PERCORSI
L’ALTRO
nati qui
Credo in un unico Dio.
Chiamiamolo come si
vuole, sempre Dio è.
Davvero, non riesco
a capire tutte queste
guerre tra cattolici e
musulmani...
la loro fidanzata è italiana, se vanno
a ballare la sera, se parlano in dialetto, vestono alla moda, ascoltano
musica house e poi pregano Allah e
digiunano durante il Ramadan.
Questa è la storia di Amor Souhi, un
bel “marcantonio” di 22 anni che dai
suoi 187 centimetri di altezza ci racconta la sua esperienza di ragazzo,
figlio di una mamma siciliana e di un
papà tunisino arrivato in Italia più di
venticinque anni fa e che insieme,
uniti nell’amore, hanno creato una
famiglia bellissima nella quale musulmani e cattolici pregano insieme.
Che sia la Santa Pasqua o il Ramadan, a loro, poco importa.
Amor, ti sei mai sentito escluso dal
resto dei tuoi amici, per il cognome che porti?
«Mai. E dico la verità. Non ho mai
avvertito nell’ambiente che frequento alcuna resistenza, del resto
perché mai avrebbero dovuto escludermi? Un cognome straniero è solo
un cognome diverso, ma essendo
nato e vissuto a Palermo, io mi sento un cittadino italiano a tutti gli effetti con una fortuna in più: quella
di conoscere la cultura del popolo
PERCORSI
54
tunisino che fa parte del mio codice
genetico».
Che studi hai fatto?
«Sono diplomato all’Istituto d’arte,
ma poi non ho proseguito perché
trovare un lavoro in questo campo è
pura utopia».
E adesso?
«Lavoro come volontario nella Croce Rossa. Sono recentemente tornato dall’Abruzzo, dove abbiamo
cercato di dare una mano a questa
popolazione martoriata dal terremoto. Prima di questa esperien-
nati qui
za, ho lavorato, come volontario,
nella Protezione Civile. Aiutare gli
altri credo che sia la mia vera indole e priorità, ma anche in questo
campo trovare un lavoro è molto
difficile, e i miei coetanei ne sanno
qualcosa».
Amor, credi in Dio, Allah o chi?
«Credo in un unico Dio. Chiamiamolo come si vuole, sempre Dio è.
Davvero, non riesco a capire tutte
queste guerre tra cattolici e musulmani. Mia madre è cattolica, mio
padre musulmano e in venticinque
anni si sono molto amati a prescindere dalla loro religione».
Nella tua famiglia, come vivete i
momenti religiosi?
«Nel libero rispetto di ognuno. Nel
periodo del ramadan, per esempio, anch’io digiuno e non perché
lo abbia imposto mio padre, ma
perché sento di farlo, senza costrizioni. Mio padre è una figura
molto importante, mi ha dato dei
grandi insegnamenti e quando ho
sbagliato, mi ha spiegato gli errori
con l’esempio e il ragionamento.
E poi nutro un profondo rispetto
per la sua storia personale, per i
sacrifici che ha dovuto affrontare
andando via dalla sua terra e per
far crescere la sua famiglia con dignità e amore».
Tu parli l’arabo?
«Lo capisco perfettamente, anche se ovviamente parlo di più
l’italiano».
In un futuro, vorresti andare a vivere in Tunisia?
«Si, perché si vive una vita più ri-
L’ALTRO
lassata, e se mio padre, quando
andrà in pensione, vorrà ritornare
nella sua terra, io lo seguirò».
Cosa ne pensi della recente presa
di posizione del nostro governo
sul problema dei clandestini?
«Credo che chi ci governa non abbia la benché minima idea delle
tragedie personali che ognuna di
queste persone è costretta ad affrontare quando decide di intraprendere questi “viaggi della speranza”. E la decisione di rispedirli
indietro significa spedirli letteralmente verso l’inferno».
Amor, tu che musica ascolti?
«Il genere di musica che preferisco
è il tango argentino, ma amo anche Battiato, il blues,il jazz…».
Cosa ami della cultura tunisina e
in quella italiana?
«Sia dell’Italia che della Tunisia
amo l’arte, la storia, la letteratura
e ovviamente la cucina!».
Amor col fratello Semi e,
nell’altra pagina, con la sorella Zaara
Cosa ti auguri per il futuro?
«Vorrei tanto trovare un lavoro
come infermiere, questa è la mia
strada e poi sono molto felice con
la mia fidanzata Cristina e spero
che la nostra unione possa continuare. Insomma, una vita tranquilla che si augura qualsiasi ragazzo
della mia età, e poi – in futuro – desidero crearmi una famiglia, avere
dei figli ai quali, il giorno della loro
nascita, dirò: “Marhaba”».
E che significa “Marhaba”?
«Benvenuto…»
55
PERCORSI
L’ALTRO
compagni di classe
A con
scuola
Ahmed
Storie di integrazione, bimbi immigrati oramai
cittadini di Sicilia, compagni di banco “a colori”,
ricreazioni al sapore di cous cous
di Claudia Brunetto
C
ome ogni anno, in concomitanza con
la riapertura delle scuole, ci capita di
trovare davanti ai cancelli degli istituti della nostra città il solito assembramento di bambini e ragazzini che,
zainetti in spalla, attendono il suono della campanella.
Ma a differenza di alcuni anni fa, adesso, oltre ai bimbi
“nostrani”, ad attendere il drin-drin che dà inizio alle
lezioni ci sono bimbi nordafricani, singalesi, cinesi, romeni, albanesi… E spesso, a detta di maestri e addetti
ai lavori, sono anche tra i più bravi e volenterosi. Senza considerare il fatto che, venendo a mancare la loro
presenza, molte scuole elementari e medie sarebbero
in grosse difficoltà, visto che non riuscirebbero a raggiungere il numero minimo di iscrizioni fissato a quota 500. Già, perché in molti casi gli studenti stranieri
costituiscono una percentuale variabile tra il dieci e il
venticinque per cento della popolazione scolastica che
gravita nelle aule.
Roberta frequenta la seconda media alla scuola Pecoraro di Palermo e, anche se i suoi genitori non possono
PERCORSI
56
acquistare i libri di testo, studia dalle fotocopie e ormai
sa leggere e scrivere in italiano correttamente.
È una bambina rom del campo nomadi alle porte della
Favorita. Come lei altri 88 bambini rom sono regolarmente iscritti nelle scuole della città. Anche Hajar, una
bambina marocchina arrivata in Sicilia dalla Libia con
un’imbarcazione di fortuna, dopo essere stata seguita
dalle insegnanti con il progetto della scuola in ospedale a Villa Sofia, adesso frequenta con successo la terza
elementare.
Sono soltanto frammenti di storie di piccoli immigrati che ormai sono parte integrante del tessuto scolastico palermitano grazie a un crescente processo di
sensibilizzazione e a un approccio multietnico dell’insegnamento. «I bambini della mia scuola, nonostante
le grandi difficoltà materiali che hanno e le condizioni
precarie di vita che conducono, in classe si sforzano di
rendere al meglio. Sono curiosi, desiderano essere accettati e contribuire a loro volta alla vita scolastica. Per
i bambini rom è stato firmato un protocollo d’intesa fra
le scuole della città più vicine al campo nomadi per fa-
compagni di classe
vorire l’inserimento scolastico: De Gasperi, Monti Iblei,
Pallavicino, San Lorenzo, Tomaselli, Trinacria, Borgese, Florio, Marconi, Orlando, Pecoraro e Virgilio Marone», dice Maria Giovanna Granata, dirigente scolastico
dell’Alcide De Gasperi, che ospita 45 alunni rom dalla
scuola d’infanzia alle elementari.
«Dovresti impegnarti di più, come fa Ahmed»: proprio
questo potrebbe capitare di sentirsi dire a Giovanni dal
proprio insegnante. Il fatto che gli studenti stranieri siano più interessati e presenti degli altri potrebbe anche
derivare dal fatto che si sentano, “un passo indietro”
agli altri per questioni prettamente legate alla lingua.
Ma, anche in questo, sono supportati sia dal corpo docenti, che integra l’italiano come seconda lingua, sia
dai loro compagni di banco. «Ci sono molte situazioni
difficili – dice Giuseppina Sorce, dirigente del Madre Teresa di Calcutta – ma in linea generale posso dire che i
bambini stranieri sono felici di venire a scuola. Per loro
rappresenta la possibilità di conoscere la cultura della
città che li ospita, di imparare a leggere e scrivere in italiano in modo da non sentirsi eternamente stranieri tra
noi. Sono davvero volenterosi e si sforzano di colmare
le lacune che inevitabilmente hanno». Molte comunità
di immigrati, inoltre, vedono nella scuola l’unico modo
per tutelare le loro tradizioni e la loro cultura. Così i
L’ALTRO
bambini studiano tutto il giorno, la mattina nella scuola
italiana e il pomeriggio al doposcuola dove imparano
la loro lingua d’origine, dal momento che molti di questi bambini sono nati a Palermo e considerano l’italiano la loro prima lingua. Così accade fra i tamil dello Sri
Lanka, che sono ospiti del comprensivo “Peppino Impastato” di piazza Principe di Camporeale. Tre pomeriggi alla settimana, gli alunni divisi in sei classi in base
all’età, studiano la lingua e la letteratura tamil, l’inglese
e l’italiano: «Finalmente abbiamo trovato un luogo per
fare studiare i nostri bambini – dice Thayaraj Thayalan,
insegnante di inglese – vogliamo conservare le nostre
più antiche tradizioni nelle giovani generazioni, ma allo
stesso tempo far imparare bene l’italiano ai bambini
per una più felice integrazione nel territorio».
«Sì, mi piace studiare insieme a lui. È un mio compagno, ma gli spiego lo stesso alcune cose, così mi sento
più grande e brava, un po’ come la nostra professoressa». A parlare è Giulietta, una ragazzina di dodici anni
che divide il banco di scuola con Mhedi, tredici anni
proveniente da Casablanca, Marocco. «Ho cominciato
la scuola qui in Sicilia. I miei compagnetti sono diventati subito miei amici. Certo, il primo giorno è difficile
per tutti, ma non penso che dipenda da dove vieni o da
dove sei nato». Quanta saggezza e verità nelle parole
di Khaled, grembiulino azzurro e fiocchetto rosso inamidato, l’emozione del primo giorno di scuola è universale. Non ricorda neanche bene il nome della sua città
natale, perché è arrivato in Sicilia ancora in fasce assieme alla sua famiglia. Frequenta la terza elementare e
ha tutta l’intenzione di continuare a studiare come tutti
gli altri bambini della sua classe. Durante la ricreazione
Ahmed e Giovanni giocano insieme e dividono le loro
merendine. Anche il cibo che adesso circola nelle scuole
è diverso da quello di alcuni anni fa. Accanto alla classica brioche, al panino con prosciutto e mozzarella, alla
ciambella, si trovano contenitori colmi di cous cous,
brochettes, tajin… Genitori e bimbi infatti portano nelle
cartelle pietanze tipiche del loro paese di origine, scambiandosi a volte le ricette nelle lingue più disparate. Anche questa è integrazione, non solo fra gli studenti, ma
soprattutto tra le loro mamme. Si sa, come sempre, a
tavola si è tutti un’unica famiglia.
57
PERCORSI
CULTURA
storie di frontiera
Dio?
Fa il capitano
e si chiama Asik
Il gesto coraggioso
di un giornalista sale
in palcoscenico e diventa
monito per un riscatto
etico dell’essere umano
di Walter Viviano
26
giugno 2009, Lampedusa.
Francesco Viviano, giornalista palermitano, riceve
la cittadinanza onoraria
dell’isola, per l’impegno dimostrato nei confronti degli immigrati che ogni anno a
migliaia sbarcano sulle sue coste.
Viviano non è nuovo a vicende, spesso pericolose, che lo
vedono coinvolto al fianco di cittadini extracomunitari,
come quella recente che ha avuto come protagonista un
comandante e la sua nave: la Pinar.
Da questa tragica storia è nata una pièce teatrale dal titolo “La porta della vita”, magistralmente interpretata da
Filippo Luna e adattata teatralmente da Maria Elena Vittorietti. Lo spettacolo, già presentato in occasione della
consegna al giornalista della cittadinanza lampedusana e
che sarà riproposto al Salina Doc Festival, ripercorre passo passo le vicende di alcuni dei protagonisti che hanno
vissuto questa tragedia. Dalla fuga dal proprio villaggio
per paura – certezza in molti casi – di essere uccisi, alla
PERCORSI
58
storie di frontiera
traversata del deserto per raggiungere la Libia, agli stupri subiti dalle donne, all’imbarco su gommoni
e vecchie carrette, che gli scafisti
chiamano “barche” e da cui, quelli che non ce la fanno, bambini e
donne per lo più, vengono gettati
in mare come bucce di patate, fino
all’incontro con il capitano Asik
Tuygun, che tutti a bordo chiamano “Dio”, un uomo che ha seguito
ciò che gli dettava il cuore, senza
esitare nel mettere a repentaglio la
sua vita, quella dei suoi uomini ed
il suo stesso pane. Testimonianze
forti ma vere, inverosimilmente
salire a bordo della Pinar. Da qui,
comincia a diffondere notizie e,
come per miracolo, tutta l’Italia è
sulla plancia con lui.
Il comandante Asik Tuygun, rischia
il posto di lavoro; il suo armatore
è arrabbiato perché tutto questo
ritardo nella consegna del cargo
Il comandante Asik
Tuygun, rischia il posto di
lavoro, il suo armatore
è arrabbiato perché
tutto questo ritardo
nella consegna del cargo
rappresenta una notevole
perdita economica...
vere, raccolte dal giornalista che,
venuto a conoscenza dell’incredibile vicenda di questa nave – all’ancora tra Malta e l’Italia, carica di
oltre centocinquanta anime abbandonate a se stesse in balia di
leggi e burocrati che si rimbalzavano responsabilità e doveri – decide
di noleggiare un gommone e dopo
45 miglia di mare grosso, chiede di
rappresenta una notevole perdita economica. Ma ormai anche se
volesse, e non vuole, Asik non può
muoversi. Intanto, sulla plancia
della nave, il capitano, il suo equipaggio e 154 disperati, tra cui una
ragazza diciottenne morta con il
suo bimbo in grembo, aspettano da
dieci giorni. Giorni in cui a bordo si
rischia un’epidemia.
59
CULTURA
PERCORSI
CULTURA
storie di frontiera
Finalmente arriva l’autorizzazione
all’ormeggio a Porto Empedocle.
L’odissea è finita, almeno per Asik
ed i suoi uomini.
Un’altra comincia soltanto adesso
per tutti gli altri. “Respingimento” è
una parola nuova che in 154 impareranno presto.
A Viviano non resta che continuare
a diffondere le notizie, è il suo lavoro, lo fa bene; è il suo contributo alla
giustizia, il suo tassello nel difficile
puzzle per costruire un mondo migliore. Gli abbiamo chiesto di raccontarci una delle inchieste che lo
hanno reso celebre, come inviato di
frontiera...
E lui racconta...
«Mi occupo di clandestini da decenni.
Quando lavoravo all’Ansa realizzai
un servizio da Pantelleria di 70 righe
che nessuno pubblicò ma, dopo qualche anno, quando il fenomeno era
ormai all’attenzione di tutti, lessi una
frase che avevo scritto in quell’occasione: “quando arrivano chiedono
della stazione, ma l’unica stazione
che c’è nell’isola è quella dei carabinieri...”. Cominciai a nutrire sempre
maggiore interesse per l’argomento conducendo inchieste in Libia,
Tunisia, raccontando il fenomeno e,
soprattutto, facendo nomi e cognomi
degli scafisti, alcuni “eccellenti”
perché ufficiali in servizio dell’esercito libico o tunisino, che favorivano la
tratta dei disperati. Mi ero introdotto
nel centro di accoglienza di Lampedusa fingendomi extracomunitario
e per questo sono stato denunciato
e condannato per “dichiarazioni di
PERCORSI
60
false generalità”; ero riuscito a raggiungere in alto mare la Capanamur
bloccata in mare per 15 giorni con 35
clandestini a bordo.
Quella sulle traversate dei clandestini era un’inchiesta che avevo
intenzione di fare da tempo e così
insieme al collega Luigi Pelazza delle
“Iene”, incrociato mentre preparavo
il servizio, decidemmo di partire.
Nonostante una, comprensibile,
iniziale diffidenza, da parte degli
scafisti, l’esperienza mi aiutò ad
avvicinarmi a loro. Trovai un contatto con il portiere di una malfa-
mata pensione di Tunisi. Bastarono
una cinquantina di euro perché mi
fornisse il nome di un altro contatto
il quale, a sua volta ben “oleato”,
ci portò ad un altro e così via. Dopo
una quindicina di passaggi – e quasi
un mese di tempo – finalmente a
Mahdia, tra Sousse e Sfax, contattammo lo scafista che ci avrebbe
preso a bordo. Non capiva perché
volessimo fare quel viaggio rischiando la vita, ma riuscimmo a convincerlo, e quando ebbe la certezza che
non fossimo poliziotti e nemmeno
agenti segreti, accettò, non senza
storie di frontiera
porre come condizione quella di farci
pagare il doppio della tratta.
Accettammo. Mansour, un omone
di circa 40 anni, pescatore, ci portò
in un casolare sulla spiaggia, dove
trovammo una decina di clandestini.
Erano per lo più poveri disperati,
ma brutti ceffi. Con noi c’era anche
una donna con due bambini di 3 e 4
anni. Un vero strazio. Da quel giorno
cominciò la nostra odissea. Dormivamo in giacigli di fortuna, c’era un solo
bagno alla turca che presto s’intasò.
Per fortuna in giardino c’era un rubinetto con l’acqua ed in qualche modo
ce la cavammo. Chiesi alla donna se
sapesse nuotare e lei mi rispose di
no. Mi disse che non era importante
sapere nuotare. E quando le chiesi
come avrebbe fatto nel malaugurato caso in cui la barca fosse stata
travolta dalle onde e affondasse, con
molta tranquillità e rassegnazione,
mi rispose che tutto è scritto: “...se
Allah vuole arriverò in Italia, in Europa, con i miei figli, se non vuole, vuol
dire che ha deciso così. Quindi a cosa
serve saper nuotare?”. Quella risposta mi mise in difficoltà e anch’io, a
poche ore dalla partenza, cominciai
a fare brutti pensieri, che si appesantirono ulteriormente la vigilia della
partenza. Mansour aveva recuperato una barca e gli aveva montato
su due motori fuoribordo. Naturalmente pensavo ai miei figli, anche
a te che sei qui ad intervistarmi, a
mia madre, a mia moglie alla quale
avevo promesso che, appena partito,
l’avrei avvertita con una telefonata. Non lo feci, non serviva a nulla.
Qualche ora prima della partenza
estrassi dal mio zaino un salvagente
che avevo portato dall’Italia insieme
ad una radioricetrasmittente e ad un
telefono satellitare. Diedi alla donna
il mio salvagente e lei lo indossò. La
tensione nel covo era alle stelle e si
fece incandescente, quando Ahmed,
uno dei giovani clandestini, già una
volta espulso dall’Italia, cominciò
a protestare che anche lui non
sapeva nuotare e che quel salvagente doveva indossarlo lui. Furono
momenti drammatici in cui sarebbe
potuta accadere qualunque cosa.
In giro c’erano dei coltelli e lui ne
CULTURA
aveva sempre uno in tasca. Anch’io
ne avevo uno che avevo portato per
altri usi. Ebbi paura, tanta paura,
ma gli altri clandestini si schierarono
dalla mia parte e Ahmed desistette.
Eravamo pronti, aspettavamo la
telefonata di Mansour per dirigerci
verso il punto in cui ci aspettava con
la barca, quando si scatenò l’inferno.
Fasci di luce di cellule fotoelettriche
illuminavano la zona dell’imbarco,
sentimmo anche dei colpi d’arma da
fuoco. Il nostro covo era a trecento
metri di distanza dalla spiaggia,
spegnemmo tutte le luci ed attendemmo. Qualche ora dopo sentimmo
rumori di motori di motovedette e di
camion. Erano i militari tunisini che,
probabilmente avvertiti da qualcuno,
erano intervenuti sequestrando la
barca ed arrestando due degli amici
di Mansour che avevano organizzato
tutto. Poco prima dell’ alba vedemmo spuntare Mansour, pieno di lividi
e graffi su tutto il corpo, che ci disse
di fuggire via veloci. Negli occhi della
donna si leggeva la disperazione,
ma anche tanta fede. “Allah questa
notte non ha voluto, ma vedrete
che prima o poi mi darà il via libera”
ci disse mentre si allontanava con i
suoi due figli uno dei quali portava
una maglietta con su scritto in inglese “va dove ti porta il vento”.
Racconto del giornalista palermitano
che per realizzare un reportage sulle
rotte dell’emigrazione clandestina si è
finto extracomunitario infiltrandosi tra le
fila dei “disperati” in attesa di espatrio.
Nell’immagine centrale:
Eugene Delacroix
“Barca di Dante, 1822”
61
PERCORSI
CULTURA
espressioni d’arte
Buenos Aires, Palermo,Venezia
dentro la ragnatela di
Saraceno
Successo alla
biennale d’arte
per l’artista italo-argentino
promosso dalla
Fondazione Sambuca
di Antonella Caradonna
è
nata a Palermo l’affascinante ragnatela
di cavi elastici che alla Biennale di Venezia ha lasciato tutti estasiati, apparendo
sui telegiornali nazionali e sulle pagine
di quotidiani come il New York Times e
l’Herald Tribune. Un’installazione che nella sua primordiale semplicità unisce bellezza, arditezza tecnologica e
armonia. L’opera dell’artista argentino Tomas Saraceno si
intitola “Galaxies Forming Along Filamens, Like Droplets
Along the Strands of a Spider’s Web” (Galassie che si formano lungo filamenti, come goccioline lungo i fili di una
tela di ragno) e raffigura su larga scala la tela di un ragno,
ma è anche il modello dell’origine stessa dell’universo.
Quali sono stati gli incontri e i luoghi che hanno determinato il suo percorso artistico?
«Ho viaggiato molto e ogni paese posso dire, mi ha lasciato una traccia; la Germania, l’Argentina, ma anche lo
Iuav di Venezia, dove ho trovato ottimi insegnanti, non
solo italiani».
PERCORSI
62
espressioni d’arte
Quando mi chiedono
di dove sono rispondo:
del pianeta terra, finora...
Quali sono gli artisti che lei considera un riferimento ?
«Tanti, difficile sceglierne uno. Comunque senz’altro Thomas Bayrle,
Olafur Eliasson, Dan Graham, Kyula Kosiche, R. B. Fuller, Sonic Youth
e gli Ant Farm».
nuovo buoni amici. La mia famiglia è
di origine italiana, mio padre è di Milano, ma io sono nato in Argentina.
Avevo poco più di un anno quando ci
siamo ritrasferiti in Italia e dieci anni
dopo nell’86 siamo tornati a Buenos
Aires, dove nel frattempo era stata
Lei appartiene a quel numeroso
popolo di italiani che vivono fuori dai confini geografici della loro
nazione. Quale considera la sua
casa?
«Quando mi domandano di dove
sono rispondo: del pianeta terra,
finora. Comunque oggi vivo a Francoforte e da quando sono tornato
in Europa sono riuscito a farmi di
ristabilita la democrazia. Un paio di
anni fa sono tornato a vedere i luoghi
della mia infanzia, la casa dove vivevo e giocavo, che si trova a Pasian di
Prato, vicino Udine e dove vivono i
miei cugini e i miei zii».
Il segreto del suo lavoro?
«La “mobilità”. Si può dire in italiano?
Il segreto è non rimanere mai fermi
troppo a lungo».
63
CULTURA
PERCORSI
CULTURA
espressioni d’arte
Come vede l’arte contemporanea
italiana?
«Non saprei giudicare, però quello
che mi stupisce è che gli artisti italiani che mi piacciono davvero non
vivono in Italia».
Un giudizio sulla Biennale?
«A Venezia sono stato felice, mi
sentivo a casa, i miei genitori mi
portavano sempre sulla laguna. La
Biennale è stata bellissima, c’erano
tante cose interessanti, ma l’opera
che mi ha più colpito è stata senz’altro quella di Thomas Bayrle».
A portare a Venezia Tomas Saraceno è stata, in sinergia con La
Fondazione Garrone di Genova, la
Fondazione Sambuca di Palermo,
nata poco meno di un anno fa dal
sogno di Marco e Rossella Giammona, imprenditori specializzati
nel recupero del patrimonio storico
monumentale.
«La Fondazione Sambuca mira a
portare a Palermo artisti, collezionisti e imprenditori amanti dell’arte, che in Sicilia vogliano investire,
per far meglio conoscere al mondo
quest’angolo di paradiso – dichiara
il presidente Giammona, facendo
appello agli italiani del mondo –.
è un dovere di tutti gli imprenditori investire nell’arte. Nella nostra
terra in particolare il binomio arteimpresa non è estraneo alle tradizioni, basta pensare a quello che i
Florio hanno fatto cent’anni fa».
Secondo il curatore della mostra,
Paolo Falcone «...l’opera di Saraceno coniuga scienza, arte, architettura e ricerca spaziale ed è sintesi
perfetta della futura programma-
PERCORSI
64
espressioni d’arte
CULTURA
zione culturale della Fondazione
Sambuca». Il successo riportato a
Venezia incentiva i fondatori, che
insieme al finanziere Fulvio Reina,
dopo aver concluso un sodalizio con
il museo regionale Riso, mirano a
creare un arcipelago di luoghi espositivi definito “un sistema museale
diffuso”. Una serie di spazi suggestivi e inconsueti che vanno da una
Rolls Royce d’epoca, al pontile di un
mercantile, passando per la cavallerizza di Palazzo Sambuca e finendo
nell’ex fienile di uno dei palazzi nobiliari più preziosi di Palermo.
«Tutto può essere trasformato in sede
per l’arte contemporanea – conclude
Falcone – arte e territorio devono dialogare, e da questo connubio nascerà
una nuova Palermo»
Nelle immagini di questo servizio:
la straordinaria installazione
di Tomas Saraceno
65
PERCORSI
CULTURA
italian style
sognare
Una favola che non smette di far
“Journey to La Dolce Vita”. Un viaggio
tra fotografia, musica, cinema e gusto
per ricordare una declinazione
di Italian Style. I proventi, ai bambini indigenti
ed alle vittime del sisma in Abruzzo
di Vita Augusta
N
ew York. Più che un film, “Vacanze
Romane” è un vortice di emozioni e, in
un certo senso, anche un modo di guardare alla vita, di assaporarne l’intensità.
Sarà per questo che tre parole come “La
dolce vita” continuano ancora oggi ad evocare un fascino
indiscusso.
Non soltanto in Italia. Questa declinazione dell’Italian
Style è approdata infatti in uno dei luoghi più suggestivi
degli Usa.
Realizzato in collaborazione con l’Istituto italiano di cultura
di New York, Rai Corporation, Enti e Istituzioni nazionali e
statunitensi e Foedus USA, “Journey to La Dolce Vita” si è
articolato in cinema, musica, fotografia.
Dumbo è stato il quartiere scelto per l’evento: sotto il Ponte di Brooklyn, in una zona di artisti, di vecchie fabbriche
e loft che ancora conserva il fascino di una New York mercantile e dimenticata.“Journey to La Dolce Vita” non è stato soltanto un evento glamour per rivivere una favola, ma
un’occasione per raccogliere fondi in favore dei bambini
PERCORSI
66
italian style
Gli intervenuti
hanno potuto gustare
i migliori prodotti della
tradizione italiana:
prosciutto di Parma,
taleggio, cappuccino,
gelato artigianale...
disagiati e delle vittime del recente
terremoto in Abruzzo. La manifestazione ruotava intorno ad una mostra
di immagini fotografiche di archivio
sulla “Dolce vita” romana degli anni
’50 e ’60, curata da Renato Miracco,
direttore dell’Istituto italiano di cul-
l’Empire-Fulton Ferry State Park, gli
intervenuti hanno assaporato i migliori piatti della tradizione italiana,
dal prosciutto di Parma al taleggio,
dal cappuccino al gelato artigianale.
Al Brooklyn Bridge Park, si è esibita
l’artista italo-brasiliana Rosalia de
tura di New York. La mostra si è tenuta a Powerhouse Arena, nota casa
editrice ed ente fondatore del prestigioso New York Photo Festival. Le
immagini, inedite negli Stati Uniti,
ritraggono famiglie reali, presidenti
e star hollywoodiane durante le loro
visite a Roma in quel decennio. Dopo
la proiezione del film “Vacanze romane” nel Parco del Ponte di Brooklyn,
Souza, sempre sul tema della “Dolce
vita”. Alla performance si sono uniti
altri artisti della scena internazionale, come Claudia Acuña, Dead Perez
e molti altri. Da New York la mostra
farà tappa in autunno anche a Miami, nel blasonato club “Casa Tua” di
South Beach. Perché il sogno della
Dolce Vita non smette di incantare.
Nemmeno gli americani.
67
CULTURA
PERCORSI
CULTURA
suoni d’origine
La musica
mantiene le
radici
L’Anfe porta la Sicilia ai nostri
connazionali emigrati e chiama a
raccolta artisti come Carmen Consoli,
Mario Venuti, i Sun e gli Arancia Sonora.
Perché per le strade di Buenos Aires
si continui a cantare Ciuri ciuri
di Antonella Caradonna
M
usica, teatro, cinema… C’è anche un
côté artistico dell’Anfe. Mantenere
le tradizioni, nutrire le radici, anche
questo è compito dell’associazione,
così quando per le stradine di Montevideo o Buenos Aires si sente canticchiare Ciuri ciuri ci si
rallegra perchè l’obiettivo è stato raggiunto.
Grazie alla collaborazione di artisti del calibro di Mario
Venuti, Carmen Consoli, Sun e Arancia Sonora, la musica
ha gettato un ponte alle nostre comunità d’Oltreoceano,
soprattutto ai giovani, lanciando un messaggio forte di appartenenza alla terra di origine.
“Mi piace pensare all’emigrazione come a un valore aggiunto. Gli italiani hanno portato la ricchezza dei loro costumi,
la lingua, la letteratura, l’arte e la cucina nei paesi di adozione”. Parla così Carmen Consoli, che abbiamo incontrato
in Argentina, una delle tappe estere del suo spettacolo Eva
contro Eva.
PERCORSI
68
suoni d’origine
Cosa significa cantare per un pubblico siciliano in un paese che non
è la Sicilia?
«Io amo le contaminazioni, il mio
spettacolo è una contaminazione di
generi, un dialogo fra teatro e musica con monologhi di Emma Dante
con degli impianti armonici e melodici di altissimo livello».
La musica si può utilizzare come
strumento per custodire le radici?
«Sì e anche di più. La musica può
essere anche uno strumento politico. Politico non partitico, nel senso
scritti per Simona Malato. Cantare
all’estero mi offre la possibilità di vedere come i siciliani hanno contaminato il luogo in cui si sono stabiliti. A
Buenos Aires ho inserito alcune canzoni in dialetto siciliano proseguendo il cammino che vede il recupero
della canzone popolare siciliana. La
nostra cultura possiede una ricchezza di testi e di musiche straordinaria
di uno strumento per portare avanti
ideali. La politica, nella sua espressione più nobile di servizio ai cittadini, diventa il linguaggio comune
di tutti i popoli e, come tale, luogo
di convivenza pacifica e armoniosa
di svariate umanità, diverse tra loro
per razza, sesso, idee e religione».
CULTURA
Crede che la musica possa cancellare i confini segnati sul planisfero?
69
PERCORSI
CULTURA
suoni d’origine
«Come diceva Baudelaire la musica
evoca, rimembra. Tutte le arti hanno
il potere di evocare sensazioni ed
emozioni, riportare alla mente una
terra lontana, un sapore, un odore,
un amore perduto. Guardando un
film, visitando un paese torna alla
mente una musica. L’arte riesce a radunare tutti sentimenti confinati nel
sottobosco della nostra razionalità».
La cantantessa,
che incontriamo
in uno dei suoi
tour all’estero, ci
parla della forza
evocatrice delle note,
«portatrici di ricordi,
sapori, di una terra
ormai lontana» e la
commozione si fa
palpitante quando
sulla platea piena di
emigrati dal palco
piovono gocce di
poesia siciliana
PERCORSI
70
Quanto si sente portatrice di cultura siciliana?
«Ognuno di noi è portatore di una
cultura. Noi italiani lo abbiamo nel
dna, siamo portatori di cultura e
di bellezza. Ma la cultura è un’autentica risorsa economica ed è un
peccato che le istituzioni non se ne
rendano conto e si lascino sfuggire
giovani artisti talentuosi, che vanno
via dall’Italia alla ricerca di una terra
che ospiti le proprie idee, le proprie
arti. Io mi sento portatrice della cultura siciliana, non solo all’estero, ma
anche in Italia, in Sicilia, a Palermo,
nella mia Catania. Noi abbiamo provato vergogna, per troppo tempo,
della lingua siciliana, non rendendoci conto di quanto sia poetica e per
questo nota in tutto il mondo. Le
poesie di Buttitta, di Pitré, l’intera
antologia siciliana è intraducibile.
Ho viaggiato tanto, per certi versi
mi posso considerare un’emigrante
anche io, anche se non sono stata
costretta a lasciare la mia terra per
trovare fortuna. La mia Eldorado io
l’ho trovata proprio a Catania. Nessuno voleva produrmi, mandai provini dappertutto, a Milano, a Roma,
senza nessun risultato, eppure quei
provini erano di canzoni che poi han-
no raccolto vasti consensi. Alla fine
mi produsse un catanese. Oggi vivo
tra la Catania e Parigi, ma nella mia
città torno sempre, non posso stare
lontana dall’Etna, per me la Sicilia
non è un punto di partenza ma di ritorno».
Crede che per gli emigrati la Sicilia
possa essere, allo stesso modo, un
punto di ritorno e non di partenza?
«Noi siciliani siamo sempre in procinto di partire. Come diceva mia
nonna “nuatri ama a partiri, siempre.
Fino a ottant’anni si tu rici a na fimmina ri partiri idda si fa i valigi”. Poi,
però, davvero, non ci riesce».
Ma la voglia di tornare?
«Non parlerei di un senso letterale del
termine. Direi, piuttosto, che ritorniamo ad un sentimento, ad una sensazione che noi siciliani riusciamo a creare in ogni luogo dove ci trasferiamo.
Creiamo la nostra Sicilia nel luogo che
scegliamo come dimora. L’Argentina
poi è talmente simile al nostro paese
che la lontananza si sente meno, non
funziona allo stesso modo, se si va a
vivere in Danimarca».
Quale messaggio vuole dare ai giovani emigrati siciliani?
«Di creare valore. Noi giovani siamo
capaci e bravi a creare valore. Perché ci innamoriamo delle cose, delle persone, dei mestieri. Mettiamo
energia e passione in tutto ciò che
facciamo. Come si dice dalle nostre
parti “ni ittamu cu tuttu u sceccu”,
ci buttiamo a capofitto in ogni cosa
che facciamo, senza freni, senza
badare alla stanchezza e ai sacrifici
che ciò comporta».
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CULTURA
Sicilia in pellicola
SiciliaFilmFestival
festeggiato a Miami il quarto compleanno
di Carla Incorvaia
F
ranco Nero, David di Donatello come
miglior attore protagonista in “Il giorno
della Civetta” (1968) di Damiano Damiani anche quest’anno, per la seconda
volta, è ospite del SicilianFilmFestival,
alla sua quarta edizione. Già invitato l’anno scorso
per il premio alla carriera, Franco Nero, attore di ben
12 film tutti girati in Sicilia, ha accettato di tornare in
America come ospite d’onore del Sff, un intero festival
dedicato alla Sicilia, durante il quale è stato proiettato «Dicerie dell’untore» tratto dall’omonimo romanzo
di Gesualdo Bufalino. Lo abbiamo raggiunto a pesca
nella baia di Miami Beach in Florida, alle prese con un
branco di barracuda.
«Ho sempre avuto un bellissimo legame con la Sicilia,
nato a Partinico quando giravo “Il giorno della Civetta”,
con Claudia Cardinale. L’anno dopo, Damiani mi ha di
nuovo chiesto di lavorare con lui, questa volta in “Confessioni di un commissario di polizia al procuratore della Repubblica”, il film italiano più venduto al mondo. Ho
interpretato il ruolo di un magistrato, il giudice Falcone.
Anche “Dicerie dell’untore”, “Gente di rispetto” di Luigi
Zampa, tratto dal romanzo siciliano di Giuseppe Fava e
“L’escluso”, sono stati realizzati in Sicilia. E devo dire che
tutti i film girati in Sicilia sono sempre andati benissimo.
La Sicilia mi porta bene. A Palermo ero ospite di Donna
Silvana Paladino, che ha una antica e splendida residenza vicino Villa Igea. Conservo dei bellissimi ricordi, party e
feste con amici e persone conosciute sul posto. Quest’anno ho accettato di tornare al SicilianFilmFestival perché è
PERCORSI
72
piccolo in quanto familiare, ma grande per i bellissimi film
da far vedere agli americani».
Non mente Franco Nero, il legame c’è ed è forte. Ogni
anno torna in Sicilia, «Vado a Capo D’Orlando a pescare
i “surici”» ci confessa.
Consolidata vetrina americana della cinematografia siciliana, il SicilianFilmFestival, si è tenuto alla Miami Beach
Cinematheque col patrocinio dell’Assemblea Regionale
Siciliana. Il SicilianFilmFestival promuove oltreoceano la
cultura e il cinema siciliano, che non mancano di offrire
attrattive e sorprese e rende omaggio ai siciliani o oriundi siciliani, che hanno fatto parte della storia del cinema
mondiale.
Ma anche i non siciliani possono aspirare ad un omaggio
del festival. In occasione della sua IV edizione il premio
come miglior regista è stato vinto da Marco Amenta per
“La siciliana ribelle”. Alla protagonista del film, Veronica
D’Agostino, è andato il riconoscimento come migliore attrice. La pellicola si era già aggiudicata due candidature
ai David di Donatello (miglior regista esordiente e David
Giovani).
Il SicilianFilmFestival ha il merito di avere per primo evidenziato in tutto il mondo l’esistenza di un vero e proprio
“cinema siciliano” e la sua internazionalità.
Numerosissimi i film giunti per le selezioni da parte
di produzioni italiane e straniere. La MGM ha inviato
da Hollywood il celebre film “Vestito per uccidere” di
Brian De Palma e prodotto dal siciliano George Litto,
a cui il festival ha dedicato un incontro, per raccontare la sua fortunata carriera. Nella sezione competitiva,
Sicilia in pellicola
Foto da www.sicilianfilmfestival.com
ecco alcuni titoli di sicuro interesse: “I Viceré”, grande trasposizione del romanzo omonimo di Federico De Roberto ad opera di Roberto Faenza; “Cover Boy” di Carmine
Amoroso, il film italiano più premiato ai festival internazionali, prodotto tra gli altri, da Augusto Allegra, che ha
tenuto una conferenza sulla produzione cinematografica
siciliana; film di giovani autori siciliani, come Lisa Romano (“Se chiudi gli occhi”).
Numerosi inoltre i documentari, alcuni presentati da
Gambero rosso, sulla tradizione culinaria, tra cui “Street
food” e uno dedicato al Principe Alliata, e ancora “Il mare
come il vino”, di Luigi Valente sulla tonnara di Favignana,
e altri ancora sulla Sicilia di Vincenzo Consolo e su varie
feste e celebrazioni in terra di Sicilia con riprese a Palermo, Trapani, Selinunte, Marsala, Mozia, Ustica, Sant’angelo Muxaro, San Biagio Platani, Prizzi, Terrrasini, Cinisi,
San Martino delle Scale, Etna, Acitrezza, Siracusa, Vara
ed altri luoghi.
Anche quest’anno “La Sicilia di Montalbano” è stata uno
degli eventi speciali (con la collaborazione di Antonio Bruni, responsabile RAI per i festival internazionali) che per la
seconda volta ha portato al pubblico americano la nuova
serie della fiction televisiva interpretata da Luca Zingaretti dal titolo “La Luna di Carta” e tratta dai romanzi di
Andrea Camilleri. Una giuria internazionale ha assegnato per i lungometraggi un premio per il miglior film, la
migliore regia, i migliori interpreti e il miglior contributo
tecnico; numerosi i cortometraggi firmati da alcuni giovani autori, giunti a dimostrare la vitalità e il futuro del
cinema siciliano; in esclusiva i sei cortometraggi finalisti
CULTURA
della sezione corti siciliani del Festival di Taormina, diretto da Deborah Young. Il SicilianFilmFestival, di cui lo
scultore Emanuele Viscuso è creatore e presidente e il
cui direttore artistico è Salvo Bitonti, regista teatrale e
cinematografico e docente di Storia del Cinema e Regia
a Torino, sta facendo conoscere e apprezzare la Sicilia in
tutto il mondo. A Tegucigalpa, Honduras, col supporto
dell’Ambasciata Italiana si realizzerà un evento dedicato
al festival in cui verranno proiettati il film “Lettere dalla
Sicilia” di Manuel Giliberti, il cortometraggio “Fedra” di
Salvo Bitonti e il documentario “Storie di Sicilia” di Sasà
Salvaggio già premiati in altre edizioni del festival.
Tra le altre novità, è allo studio una SicilianFilmFestivalWebTV che, fin dalla prossima edizione dovrebbe essere
presente con le sue telecamere.
Ricordiamo che alla sua seconda edizione, il sindaco di
Miami Beach ha ufficialmente proclamato un SicilianFilmFestival Day e concesso le chiavi della città al suo creatore Emanuele Viscuso che, promotore a tutto campo
della cultura siciliana, ha già creato direttamente in Sicilia
anche il Festival Internazionale di Musica d’Organo nelle
Chiese dello Storico Principato di Castelbuono (F.I.M.O.)
la cui prima edizione, promossa dallo stesso tipo di comunicazione di un festival cinematografico internazionale, è
stata di grande successo. Il presidente Emanuele Viscuso
ha confermato la direzione artistica di Diego Cannizzaro
anche per la seconda edizione del FIMO dall’8 al 14 settembre 2009.
«Per un italiano all’estero – dice Emanuele Viscuso,
scultore palermitano vissuto a Milano e poi trasferitosi a Miami – un festival di questo tipo è quasi uno
shock. La Sicilia è sempre e solo stata al centro dell’attenzione per il solito luogo comune. Un intero festival destinato a un pubblico internazionale e dedicato
all’Isola, alla sua cultura e creatività, alla sua poesia e
alla storia della Sicilia, al suo cinema al di fuori dello
scontato tema mafioso, sono un inatteso dono alla
mia Regione. Un regalo ai siciliani e a tutti gli italiani,
abituati per certi versi a vergognarsi un po’ di questa
sorella così particolare. Il SFF non è un fenomeno squisitamente locale, ma ne parla il mondo intero. Ci giungono richieste di riproporlo ovunque, persino in India,
in Siria e in Egitto».
73
PERCORSI
CULTURA
Dalla Sicilia all’Alaska
Pescatori leggendari
di Carla Incorvaia
T
utto è iniziato con
un panino al salmone. Perché a
Enzo Incontro, direttore del Plemmirio, l’area marina protetta di Siracusa di cui è considerato pioniere e
per otto anni consulente subacqueo
per il programma Rai “Linea Blu”,
mentre si trovava a Punta Bassana
a Marettimo, per delle riprese, ad
un certo punto è venuta fame. E per
soddisfare l’appetito si è rivolto ai
pescatori del posto. Gli hanno consegnato un panino con il pregiatissimo pesce.
«Mi sono subito chiesto da dove fosse arrivato – racconta Incontro –; mi
hanno detto: lo peschiamo noi da
più di 100 anni» ed ecco come nasce
la storia “Il mare di Joe, dalla Sicilia
all’Alaska”.
Il docu-film narra la vita dei pescatori siciliani in trasferta negli Stati Uniti
per la pesca di una specie di salmoni
fra le più pregiate al mondo, quello
rosso, il sockeye. Il progetto, costato 120 mila euro, è stato realizzato
grazie a una coproduzione di Scubafilm e Anfe, l’associazione nazionale
famiglie emigrati ed è stato presentato in anteprima mondiale a Marettimo, nello scorso mese di giugno.
«Ci sono ancora comunità di marettimani che vivono negli Stati Uniti,
più di mille a Monterey, in California,
PERCORSI
74
che ogni anno, per quindici giorni,
pescano il salmone sockeye in località come Coldbay, nella baia di Bristol,
nelle acque più fredde dell’Alaska, di
fronte le isole aleutine, a Naknek. Ci
sono le famiglie: i Guerra, i Bonanno,
gli Aliotti e i Campo che provengono
anche da Isola e Trapani. I più grossi
commercianti di pesci sono di Augusta, i Trincali: parlano siciliano antico
e americano».
La fotografia del documentario è
stata curata da Marco Mensa, della
Ethnos, una società di produzione di
Bologna di cui fa parte anche il fonico Maurilio Quadarella.
«Ci sono voluti due anni di ricerche e
sopralluoghi – continua Enzo Incontro – e di collegamenti via Skype.
Ma ce l’abbiamo fatta. La pesca
dura cinque settimane, da giugno
a luglio, e ogni anno partono flotte
di giovani. Il business della pesca è
alto e può arrivare anche a 100 mila
dollari. Inoltre l’attività è rigidamente regolata dall’autorità preposta
alla pesca la “Fish and game”, che
gestisce in maniera ferrea il regime
di cattura e apre la pesca soltanto
quando i biologi hanno constatato
che il numero di salmoni che risalgono è quello giusto per assicurare la
continuità della specie». Le riprese
sono durate tre mesi fra Marettimo,
California e Alaska. Il personaggio
della storia è Joe Bonanno, 63 anni.
Dalla Sicilia all’Alaska
Questi uomini sono
la forza della pesca al
salmone in Alaska. E sono
siciliani...
Vive a Monterey da più di 40, anche
se il suo cuore è a Marettimo. «La
cosa più sconvolgente – dice il direttore del Plemmirio – è vedere la
preparazione di cibarie e vivande. La
loro è una cucina prettamente mediterranea. Preparano cous cous e
arancini e mangiano negli alloggi. La
pesca è intensa e l’apice è il 4 luglio,
CULTURA
quando per orologio biologico c’è il
più alto numero di catture. Con il primo pescato si prepara il salmone “a
ghiotta”, con patate olive e pomodoro, ricco di omega». Grazie all’Anfe e
al lavoro di Enzo Incontro della Scuba
film e di Marco Mensa della Ethnos di
Bologna “Il mare di Joe, dalla Sicilia
all’Alaska” farà il giro del mondo.
75
PERCORSI
CULTURA
appuntamento eoliano
Terzo ciak per il
SalinaDocFest
Dal 18 al 27 settembre, apre
i battenti la kermesse diretta
dalla regista Giovanna Taviani.
Tra cinema, musica, scrittura
e teatro
di Alessia Franco
T
erza edizione per SalinadocFest, il festival del documentario narrativo ideato e
diretto da Giovanna Taviani. Una scommessa vincente, quella di organizzare una
rassegna nel cuore dell’arcipelago eoliano
che, più di una volta, è stato protagonista indiscusso della
storia del cinema.
Quest’anno, immagini suoni e realtà del Mediterraneo si
alterneranno, dal 18 al 27 settembre, attraverso un percorso itinerante dell’isola, che si articola in diverse sezioni.
Della sezione cinema fanno parte il concorso “Il mio paese:
gli invisibili” e “Reperti di memoria”, spazio
riservato alla proiezione di documentari di
grandi nomi del cinema italiano e straniero, quest’anno dedicato al grande Roberto
Rossellini. Ancora, la sezione “Finestra sul
presente” è incentrata sulla produzione
documentaristica di giovani cineasti già
PERCORSI
76
appuntamento eoliano
affermati che, al termine della proiezione del loro film, terranno un
incontro-lezione.
Riservata esclusivamente al pubblico
isolano è la tre giorni “Documentiamoci”, che vota e premia il miglior
documentario tra alcuni grandi titoli
prestigiosa Mostra Internacional de
Cinema de Sao Paulo.
Altra importante sezione della rassegna è quella dedicata alla letteratura, su scrittori e intellettuali che
si sono distinti per il loro impegno
civile al confine tra letteratura e ci-
concorso di fotografia documentaria e uno di scrittura creativa.
Rilevante, inoltre, la conferenza
internazionale – organizzata da
Anfe con la collaborazione di Onu
e Save the Children – sul dramma
dei bambini fantasma, i minori non
contemporanei che hanno contribuito a ridefinire il genere.
“Sguardi sul cinema italiano” è, invece, la sezione dedicata ai giovani registi italiani, che mescolano elementi
documentaristici al cinema di finzione. Nella “Sezione speciale cinema”,
invece, John Turturro presenterà il
suo nuovo documentario sulla Sicilia.
Continua, poi, il gemellaggio con la
nema. La sezione “Teatro e musica”
prevede, inoltre, la presenza della
drammaturga Emma Dante, che
dialogherà con Polifemo e del cuntista Mimmo Cuticchio, alle prese
con Ulisse.
Salinadocfestival è anche un importante appuntamento punteggiato da workshop per insegnanti,
masterclass sul documentario, un
accompagnati che sbarcano sulle
coste italiane.
Numerosi gli ospiti di prestigio che
si alterneranno nel corso di questa
terza edizione: tra questi, oltre ai già
citati, Vincenzo Pirrotta, Dacia Maraini, Vittorio Taviani, Carlo Lucarelli,
Isabella Rossellini, Wu Ming.
CULTURA
www.salinadocfest.org
77
PERCORSI
CULTURA
appuntamento eoliano
Giovanna, il festival e la sua
anima
Studiosa di letteratura
contemporanea, saggista
e nota critica del cinema,
Giovanna Taviani, ha già attirato
l’attenzione del pubblico con
i primi suoi due documentari
“I nostri trent’anni: generazioni
a confronto” presentato
nell’ambito del Torino film
festival e “Ritorni”, presentato
a Roma nel 2006
S
di Rossella Catalano
ubito dopo la laurea in letteratura, è
entrata a far parte della redazione di
“Allegoria”, rivista di teoria e critica letteraria diretta da Romano Luperini. Il
suo immenso desiderio di narrare le fa
superare qualunque confine e barriera.
Nel 2007, organizza a Salina il primo festival del documentario narrativo, il SalinaDocFest, esordendo con
ottimo successo di critica e di pubblico.
Riproposto nel 2008 con altrettanto successo, torna
anche quest’anno con un programma ricco di incontri
e iniziative.
Il SalinaDocFest ha esordito appena due anni fa con
un’ottima risposta da parte della critica.
Cosa è cambiato quest’anno e, soprattutto, pensa di
aver raggiunto gli obiettivi che si era prefissata?
«Sin dalla prima edizione, il Festival ha ricevuto una
buona risposta mediatica certamente dovuta al fatto
PERCORSI
78
che abbiamo offerto una proposta culturale più ampia.
Il Salinadocfest non vuole essere una vetrina mondana
ma vuole proporre un turismo culturale sostenibile attraverso la creazione di un luogo ideale, che sia anche
un’officina di riflessione sul documentario. Salinadocfest è infatti, prima di tutto il festival del “cinema del
reale”, dedicato alla nuova produzione documentarista
che in Italia, a differenza di altri paesi, non trova una
distribuzione capace di darle visibilità sugli schermi del
circuito nazionale. Il documentario ha lo scopo di ricostruire la realtà attraverso uno sguardo personale ».
Nell’edizione 2008, tra i dieci film in concorso, la metà
ha avuto come tema l’emigrazione e anche quest’anno un considerevole spazio è dedicato allo stesso
tema.
«L’anima del festival è stata proprio l’emigrazione. Tutti sappiamo che l’emigrazione è ancora oggi una condizione reale ed oggettiva ma non dimentichiamo che
è anche una condizione soggettiva
interiore. La condizione del migrante oggi è propria dell’intellettuale del terzo millennio, che vede
nella scrittura un’ancora di salvezza per rivendicare la propria identità. Io stessa mi sento una eterna
emigrante, esiliata ed estraniata,
rispetto ad una società in cui spesso non mi identifico».
Anche quest’anno continua la
partnership cinematografica tra
Salina e San Paolo. Cosa ha ispirato questa unione e, soprattutto,
cosa hanno in comune due popoli
cosi lontani?
«Terra di fughe e di approdi, di esili
e partenze, il Brasile, come le Eolie,
appartiene alla storia degli uomini
che conoscono il dramma dell’emigrazione e dell’esilio dalla propria
terra. Per questo abbiamo pensato
ad un gemellaggio con un paese
così lontano geograficamente. Vi
è, inoltre, una tradizione cinematografica brasiliana di cui il festival
di Salina non può non tener conto
(un nome per tutti, Glauber Rocha)
e una nuova generazione di documentaristi brasiliani che sta tornando con forza a raccontare le atroci
verità di un paese dove il dramma
dei desaparecidos aspetta ancora
di trovare giustizia».
Nella sezione dedicata ai convegni,
anche quest’anno l’Anfe organizza, una conferenza internazionale
dal tema “ I bambini Fantasma”.
Quanto, secondo lei, l’opinione
pubblica è sensibile al dramma
dei minori non accompagnati che
sbarcano sulle coste italiane?
«Il tema dei bambini fantasma non
accompagnati che, ogni anno, dopo
essere sbarcati nelle nostre coste si
perdono nelle capitali d’Europa per
trasformarsi in fantasmi invisibili, è
un tema di urgentissima attualità
su cui l’opinione pubblica dovrebbe
concentrare di più la propria attenzione. Il cinema documentario delle nuove generazioni sente molto
questo problema e, spesso, sceglie
questo come soggetto privilegiato
(penso ai casi di Costanza Quatriglio, documentarista palermitana, ed al suo “Il mondo addosso”,
o al “Paradà” di Pontecorvo, figlio
di Gillo, un altro maestro del cinema italiano, che potrebbero essere proiettati al festival di Salina
al termine della conferenza internazionale organizzata dall’Anfe).
Molte le proposte culturali e molti
gli ospiti presenti in questa nuova
edizione 2009 del SalinaDocFest».
Può anticiparci qualcosa? Ha già
in mente un ospite in particolare
di cui vorrebbe parlarci?
«La novità della terza edizione riguarda l’apertura al Mediterraneo
ed a tutti quei Paesi che condividono con il nostro Paese, in particolare con la Sicilia, abitudini, cultura
e tradizioni. Ospite della prossima
edizione sarà la Spagna, cui dedicheremo un focus specifico sul documentario, a partire da un omaggio
al grande maestro del cinema spagnolo Bunuel. L’intento è quello di
creare una rete euromediterranea,
fatta di scambi e di incontri, che si
estenda dalla riva nord alla riva sud
del Mediterraneo, fino al nord Africa
e ai paesi del Medio Oriente. In questa direzione, il Comitato di Onore
del festival, ha deciso di assegnare
per la nuova edizione del festival
il premio letterario allo scrittore
pakistano emigrato in Inghilterra
Mohsin Hamid, per “Il fondamentalista riluttante”. Dagli Stati Uniti
aspettiamo invece conferma per un
invito ad alcuni illustri personaggi
del cinema (di cui per scaramanzia
non faccio i nomi) che potrebbero
essere presenti al festival per i sessanta anni dal film “Stromboli, Terra
di Dio” di Roberto Rossellini, cui il
Salinadocfest renderà omaggio».
79
PERCORSI
SPECIALE
isole minori
Isoledell’Isola
Eolie
Un arcipelago unico,
disseminato di storie
incredibili come i nomi
di luoghi e contrade
In queste isole prese dimora Eolo,
to il versante orientale dell’isola delle eriche, che digrada
all’arcipelago. Secondo la mitolo-
dolcemente verso il mare. Da non perdere la piccolissima
riusciva a prevedere i capricci del
tempo dalla forma delle nubi sbuffate dallo Stromboli. Un rapporto
con il mito e la natura molto diretto, dunque, che con il passare dei
secoli è diventato la cifra distintiva
80
to a forti flussi migratori del dopoguerra. è abitato soltan-
dio dei venti, che diede il nome
gia greca, Eolo viveva a Lipari, e
PERCORSI
Alicudi conta appena un centinaio di abitanti, in segui-
Contrada Agurbio, una frazione formata solamente da
cinque case, che prendono il nome dei cinque sensi.
A Filicudi l’energia elettrica è arrivata nel 1986. Soltanto a partire da quell’anno, l’isola ha visto il diffondersi in
massa di televisori ed elettrodomestici, oltre che un notevole impulso turistico. In quest’isola, a Fossetta, lo scultore Jacques Basler organizza una effervescente Biennale
d’arte.
Sede del Museo archeologico eoliano, Lipari è abitata
di Alicudi, Filicudi, Lipari, Panarea,
fin dall’antichità. Nel 1544, l’isola fu testimone di un de-
Salina, Stromboli e Vulcano.
vastante saccheggio e di una deportazione di massa: il
Isoledell’Isola
Eolie
turco Kaireddln Barbarossa approdò al Porto delle Genti
(una frazione di Lipari), rase al suolo la città e condusse gli
abitanti in schiavitù nelle sue terre.
L’isola di Panarea è un arcipelago nell’arcipelago: comprende, infatti, gli isolotti di Basiluzzo, Spinazzola, Lisca
Bianca, Dattilo, Bottaro, Lisca Nera e gli scogli dei Panarelli e delle Formiche.
A metà del Cinquecento, l’isola soffrì molto a causa delle
incursioni dei pirati. Ne resta traccia nella toponomastica:
la baia e la contrada di Drautto prendono il nome dal pirata Drauth. Dopo un lungo periodo Panarea durante il quale rimase quasi disabitata, si riprese a coltivarla, evitando
però la presenza di donne e bambini per timore di nuove
incursioni.
Salina è la più fertile isola delle Eolie e la più ricca d’acqua. Tra le uve pregiate che vi si coltivano, quelle da cui si
Panarea
ricava il celebre vino dolce Malvasia, apprezzato in tutto il
mondo. Fu proprio in quest’isola incontaminata che Massimo Troisi girò il suo ultimo e indimenticato film, “Il Postino”, che diede un’ulteriore spinta al turismo.
Il nome di
Stromboli
deriva dal greco e significa ro-
tondo, dalla forma perfettamente circolare del vulcano.
Lo Stromboli viene chiamato dagli isolani “Struògnoli”,
Alicudi
ma quando è attivo e la sua eruzione spaventa, l’appellativo frequente è “Iddu”, Lui, quasi a testimoniarne l’ance-
Lipari
strale natura divina e indomabile.
Vulcano
nasce dalla fusione di tre crateri: Vulcano
della Fossa. Vulcanello, Monte Aria, oggi completamente
inattivo, e Monte Saraceno.
Secondo la mitologia greca, qui sorgevano le fucine di Efesto, dio del fuoco e fabbro degli dei, coadiuvato dai ciclopi.
Il corrispettivo romano di Efesto è Vulcano, da cui l’isola
prende il nome..
81
PERCORSI
SPECIALE
isole minori
Isoledell’Isola
Egadi
Una farfalla sul mare,
per un volo sulle Egadi
Il nome di questo arcipelago a due passi da Trapani signifiAffascinanti, aspre e ammantate di
verde e di tufo dorato. Benvenuti in
questo arcipelago tutto da scoprire.
Non solo sott’acqua.
ca “favorevole, propizio”. Non potrebbe essere altrimenti,
viste la mitezza del clima, la pescosità del mare e la quantità infinita di calette, grotte, anfratti. Gli uomini amarono
le Egadi fin dall’Età dei metalli, lasciandovi preziosissime
testimonianze.
L’arcipelago comprende Favignana, Levanzo, Ma-
rettimo e due grandi scogli, disabitati, Maraone e
Formica.
Placidamente distesa sulle acque, quasi a volersi riposare
da estenuanti fatiche, Favignana, la più grande delle
isole, prende il suo primo nome proprio da Aegusa, perché
la sua forma ricorda quella di una farfalla con le ali spiegate. Dorata dal tufo di cui è fatta, punteggiatata da una
vegetazione che cade a strapiombo su pendii e precipizi,
PERCORSI
82
Isoledell’Isola
Egadi
l’isola è frequentata per quel suo mare cristallino che ha
dell’incredibile e, in primavera, per la mattanza, la pesca
del tonno, accompagnata da canti propiziatori, le cialome,
che ne fanno un rito senza tempo.
Levanzo è un piccolo gioiello poco distante da Favignana, con il suo porticciolo, il suo raccolto paesino e
un turismo dedicato esclusivamente a chi ama avere un
rapporto diretto,senza fronzoli e orpelli, con la gente e
con la natura.
Un rapporto, una comunicazione, che sembrano provenire
dal neolitico e dal paleolitico, come testimoniano i graffiti
della Grotta del Genovese, in cui due epoche storiche convivono. Sono molto di più che testimonianze, è un dialogo
iniziato da uomini in tempi incredibilmente lontani.
Immersa in acque cristalline, Marettimo è l’isola più
montuosa e verdeggiante delle Egadi. Le sue rupi scoscese e le sorgenti di acqua incontaminata la rendono un
paradiso non sono per gli amanti del mare, ma anche per
chi apprezza il verde, la botanica (innumerevoli le specie
vegetali che accoglie) e un turismo diverso. Marettimo fu
molto amata anche dai romani, come testimoniano i reperti dell’isola. Da non perdere la chiesetta normanna.
Nelle foto di queste pagine:
(di Bruno D’Andrea) Favignana
83
PERCORSI
SPECIALE
isole minori
Isoledell’Isola
Pelagie
Colorato e ricco di
vegetazione, allo stesso
tempo brullo e intenso,
questo arcipelago fa
innamorare proprio
tutti. Uomini e animali...
Lampedusa, Linosa e Lampione.
Le isole Pelagie sembrano unire
in un abbraccio le coste tunisine
e quelle siciliane: politicamente
PERCORSI
84
Te ne accorgi non appena metti piede a Lampedusa, splendido scrigno eletto dalla natura come
custode di una specie delicata come la tartaruga Caretta
Caretta. Nell’isola dei Conigli, le tartarughe depongono
abitualmente le uova.
La vegetazione di Lampedusa, tipicamente africana, ha
fanno parte dell’Italia, geografica-
tre tipi di ambiente: la steppa, che copre la parte pianeg-
mente dell’Africa, con vegetazione
giante dell’isola, la prateria, che occupa i valloni, e la gari-
brulla e coste alte e frastagliate.
ga, presente in valloni e cale del versante nord.
Isoledell’Isola
Pelagie
Nelle immagini di queste pagine: Lampedusa
Un’isola dolce e dal carattere difficile ma genuino, che ha
fatto innamorare personaggi del calibro di Domenico Modugno e Claudio Baglioni, che dal 2003 organizza O’ Scià,
un concerto-evento per sensibilizzare l’opinione pubbloica
sull’immigrazione clandestina e le storie di disperazione e
solidarietà che porta con sé.
Raccolte su uno scoglio lavico, in un’esplosione di colore, fanno bella mostra di sé le particolarissime abitazioni
di Linosa. Un colpo d’occhio, come se gli abitanti non
si fossero rassegnati al monocromatismo scuro della loro
terra e avessero voluto darle allegria e leggerezza.
Un’allegria che si espande con l’amore degli abitanti per la
musica: I primi 33 coloni, infatti, portarono con sé fisarmonica, chitarra e tamburello: e da allora non c’è ricorrenza in
cui non si balli e non si canti.
85
PERCORSI
SPECIALE
isole minori
Isoledell’Isola
Pantelleria
Simbolo di una sinergia
perfetta tra uomo
e natura, Pantelleria
racchiude paesaggi unici
e mari incontaminati,
rocce nere e una
rigogliosa vegetazione
Ph. Bruno D’Andrea
Quest’isola
Pantelleria…isola dalle infinite
storie, dai nomi dei luoghi che
evocano racconti millenari, in cui
convivono realtà e mito.
Il più delle volte, a raccontare
queste storie è il vento. Il nome
arabo dell’isola è, infatti, Qawsarah
o Bent-el-Rion. Figlia del Vento,
appunto. Pantelleria è invece un
appellativo di origine tardo greca
o bizantina e significa Terra carica
di offerte…che la dice lunga sulle
infinite declinazioni attraverso cui
si conosce e si ama questo lungo
scoglio così prossimo all’Africa il suo
mare, i laghi e la sua pietra lavica.
PERCORSI
86
“Figlia-del-Vento” è ancora oggi una
splendida dimostrazione di come natura e uomo possano convivere, addirittura completandosi. Incastonati nel
paesaggio di pietra scura di Pantelleria, lavico e verdeggiante, accarezzato dal vento, interrotto dal mare e da
conche d’acqua, l’uomo ha costruito i caratteristici muri a
secco che percorrono l’isola in lungo e in largo; i “jardini”,
costruzioni cilindriche molto caratteristiche, che proteggono dai venti e dalla salsedine gli alberi di agrumi.
E i “dammusi”, simbolo dell’isola: fabbricati cubici in pietra
lavica, con aperture ad arco a tutto sesto e tetti bianchi a
cupola, per raccogliere l’acqua piovana.
Stanchi delle opere, pur discrete, dell’uomo? Allora andate
dritti allo “Specchio di Venere”, il lago dalle acque verdi che
ospita una sorgente sulfurea. Si narra che Venere si specchiasse qui di continuo per confrontare la sua bellezza con
quella di Psiche, sua eterna rivale. Altro luogo della natura,
altra storia: la splendida “Balata dei Turchi”, largo e piatto
scoglio protetto dal vento, un tempo l’approdo preferito
dai saraceni per approdare indisturbati nell’isola. Un approdo, tra l’altro, assolutamente inebriante per i profumi
degli alti cespugli di ginestra selvatica e pini odorosi.
isole minori
SPECIALE
Isoledell’Isola
Ustica
Ph. Riccardo Cingillo
Mito e storia si
fondono fino a
confondere il limite tra
l’uno e l’altra in questa
piccolissima isola la cui
inebriante bellezza è
sopra e sotto l’acqua
Altri miti parlano invece di altre ossa: quelle degli sventurati naviganti che, ammaliati dalla bellezza e dal melodioso canto delle sirene di Ustica, finivano per schiantarsi contro le sue rocce frastagliate.
E c’è, in ultimo, chi identifica l’isola con Eèa, dimora inaccessibile della maga Circe, che trasformava in animali
chiunque osasse avvicinarsi.
Un’isola dalle bellezze inenarrabili, terrestri e sottomarine,
contesa dalla storia e dal mito. Gli uomini l’amarono profondamente fin dal Paleolitico, come dimostra il villaggio
paleocristiano riportato di recente alla luce. In questo piccolo scrigno a galla sul mare, è presente un’enorme varietà
di vegetazione: piccoli lembi di macchia artemisia arborea,
lentisco, calicofone spinosa e ginestra. Sparsi lungo il territorio si trovano ulivi, mandorli, viti ed alberi da frutta. Tra
le specie endemiche, invece, spiccano limonium bocconei
e la crithmo limonetea, che si alternano a zone di steppa
mediterranea.
Il mare, quasi a volere competere con tanta bellezza e varietà della superficie, ha una flora e una fauna mediterranea e a tratti anche tropicale. Un vero paradiso. Sopra e
sotto l’acqua.
Un fazzoletto di terra posato
dagli dei sopra un mare cangiante,
la cui bellezza reale supera
di gran lunga perfino l’ottima fama
di cui gode. Eppure un’isola così
intensa e dalla posizione
invidiabile – Ustum, bruciata,
secondo gli antichi storiografi,
perché prende il nome da
un vulcano spento – nasconde un
risvolto inquietante.
I Greci la chiamavano Osteodes,
isola delle ossa, perché si racconta
che qui i Cartaginesi depositarono
alcuni mercenari, ammutinati,
che morirono di fame e di sete...
87
PERCORSI
SPECIALE
isole minori
Le
pietre
raccontano
di Sebastiano Tusa
L
e Isole Eolie sono la cerniera tra Sicilia e
Penisola, da sempre luogo di incontro di
tradizioni, genti e civiltà diverse. Abitate
sin dal Neolitico a causa dell’attrazione
dell’ossidiana sui popoli circostanti, esse
furono sede di molteplici abitati preistorici che la sapiente
e appassionata opera di Madeleine Cavalier e Luigi Bernabò Brea ha messo in luce realizzando anche quel Museo
Archeologico Eoliano, oggi intitolato proprio allo studioso
genovese, che raccoglie la memoria della storia di questo
luogo centrale nella storia del Mediterraneo. Da Filicudi
(Montagnola di Capo Graziano) a Panarea (capanne della
media età del bronzo del Milazzese), a Salina (Portella), il
percorso si snoda attraverso i millenni della preistoria vissuti tra i muretti a secco delle capanne circolari che si abbarbicano tra le rocce insidiose spesso a strapiombo sul
mare. Da qui passarono i Micenei, nel loro peregrinare alla
ricerca dei metalli, ma anche Greci e Romani. A questi ultimi si deve l’accattivante collezione di maschere e figure
della commedia ellenistico-romana o i colori solari e marini
del Pittore di Lipari che lasciò i suoi pregevoli ornati sui vasi
dell’epoca.
Nel mare delle Eolie sono state rinvenute tracce di quei passaggi millenari nei carichi di anfore e vasellame pregiato,
come quello a vernice nera di provenienza campana, rinvenuto nel relitto di Capistello a Lipari. Uno dei comprensori tra i più ricchi per emergenze archeologiche subacquee
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Isoledell’Isola
Le pietre raccontano
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PERCORSI
SPECIALE
isole minori
resta quelo di Capo Graziano, nelle acque di Filicudi, dove
l’insidiosa secca fu la causa di molteplici tragedie del mare,
come quella della nave posa-cavi Città di Milano che giace
ai suoi piedi su un fondale di oltre 100 metri. Qui è possibile
visitare il relitto A, intitolato a Gianni Roghi, di cui rimangono anfore greco-italiche sparse su una sella sabbiosa ed
in un canalone insieme a ceramiche a vernice nera di produzione campana.
Ad Ustica le tracce più consistenti di vita risalgono alla fine
della media età del bronzo (XII sec.a.C.). L’insediamento
3
4
dei Faraglioni era fortificato sul lato di terra mediante un
grande muro in pietra dotato di mura semicircolari aggettanti all’esterno.
Abitata in epoca ellenistico-romana presenta molteplici
tracce di tale presenza alla Falconiera e nelle contrade occidentali. Con il primo secolo dell’era cristiana sembra che
ad Ustica le preoccupazioni difensive cessino. E’ a questo
periodo di grande sviluppo e prosperità per la piccola Ustica, durato fino alla crisi dell’impero romano (V sec.d.C.),
che si collegano le tante evidenze archeologiche subacquee identificate nei fondali circostanti l’isola (Punta Alera, Scoglio del Medico, Secca della Colombaia, Falconiera
etc.), dimostrando ancora una volta la ricchezza storicoarcheologica dei mari usticesi.
Nelle Egadi la più rilevante attrazione archeologica dell’arcipelago è stata la gran quantità di grotte che l’erosione
marina, nel corso delle numerose trasgressioni pleistoceniche, ha scavato sulle spettacolari falesie calcarenitiche
delle tre isole. Marettimo offre un ricco e spettacolare
campionario di grotte, ma tutte al livello del mare e, quindi, ancora in formazione e, pertanto, di limitato interesse
archeologico anche se una di queste – la Grotta della Pipa
- recava tracce consistenti di frequentazione antropica di
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epoca ellenistico-romana e medievale. Le grotte delle altre due isole, invece, furono ripetutamente e diffusamente
abitate sin dal Pleistocene Finale o Paleolitico Superiore.
La rilevanza di queste caverne è data soprattutto dalla presenza, in un caso – Grotta di Cala dei Genovesi – a Levanzo,
di manifestazioni di arte rupestre animalistica (più antica)
e schematica dipinta (più recente), di cui merita essere citato il famoso cerbiatto con la testa reclinata sul corpo ed
il toro visto frontalmente.
Indizi ben più corposi indicano la sicura esistenza di vasti insediamenti ellenistico-romani in tutte e tre le isole
dell’arcipelago. Interessantissimo è lo stabilimento per la
lavorazione del pesce (produzione di “garum”) che si trova sulla Punta Altarella di Levanzo e le “Case Romane” di
Marettimo. Legato alle testimonianze terrestri, è ciò che il
mare ha restituito di alcuni relitti ellenistici, romani e medievali, come il rinvenimento, nell’area della nota battaglia
Isoledell’Isola
Le pietre raccontano
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mutano nella fase più tarda in edifici quadrangolari all’interno di uno spazio costiero racchiuso da un poderoso
muro di fortificazione, al di là del quale si estende la necropoli, che ha reso nota Pantelleria nell’ambito degli studi
di preistoria mediterranea per i Sesi, strutture circolari a
tronco di cono, costruite secondo una tecnica megalitica
ed adibite ad esclusiva funzione funeraria .
L’insediamento romano egemone, sulle due alture di Santa Teresa e San Marco, si dispiega su una vasta area a monte del capoluogo comunale attuale e, quindi, in diretta
relazione con lo scalo marittimo più valido ed importante
dell’isola che recenti ricerche archeologiche subacquee
hanno verificato come tale. Le due alture sono separate
da una sella pianeggiante di discreta ampiezza dove un
saggio di scavo ha messo in evidenza una vasta spianata pavimentata scandita da setti murari aggettanti che
8
tra Romani e Cartaginesi (a nord-ovest di Levanzo), di due
rostri in bronzo molto probabilmente appartenenti a navi
affondate durante il conflitto.
Tra le mete di maggiore rilievo ricordiamo Cala Minnola a
Levanzo, dove è stato messo in luce ciò che resta del carico
di una nave romano repubblicana di proprietà della nota
famiglia Papia di imprenditori laziali. Il campo di anfore
rimasto sul fondo a circa m 30 è visibile anche a distanza
mediante un impianto di telecontrollo con telecamere che
rimandano le immagini in diretta attualmente presso il comune di Favignana.
A Pantelleria, in corrispondenza di una fase avanzata
dell’antica età del bronzo siciliana, visse l’insediamento
fortificato di Mursia, attivamente inserito nella rete commerciale egeo-levantina della metà del II millennio a.C..
L’insediamento, oggi visibile attraverso corpose e monumentali vestigia, era costituito da capanne circolari che
9
potrebbe identificarsi come una grande piazza (foro). Gli
scavi recenti hanno messo in luce parte della cinta muraria di epoca punica attraversata da una porta urbica, la cui
struttura muraria conserva parzialmente i resti di un muro
a telaio di tipo punico di grande pregio.
Dal riempimento delle cisterne sulla cima di San Marco
proviene un interessante materiale scultoreo di epoca tardo-punica e romana in frammenti riguardante più statue
ed alcune epigrafi latine frammentarie, ma soprattutto i
ben noti tre ritratti imperiali romani raffiguranti Giulio Cesare, Antonia Minore e Tito.
Anche Pantelleria possiede fondali marini ricchi di storia e
di relitti. Uno dei luoghi più interessanti è la baia di Gadir
dove rapide ricognizioni effettuate da Lamboglia nel ‘72 e
’73 portarono al recupero di oltre 100 anfore puniche ed
ellenistico-romane pertinenti due relitti databili tra la fine
del III ed il I sec.a.C.
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Un altro interessante relitto, che trasportava principalmente un carico di ceramiche pertinenti la ben nota produzione
locale di pentole detta “pantellerian ware”, tuttora in corso
di scavo, si trova nella baia di Scauri, tra i cui reperti vale la
pena citare un anellino d’argento con castone di corniola,
decorato dal simbolo cristiano dell’ancora, ed una gemma
in corniola con figura divina con arco e cerbiatto. I dati desunti dallo scavo del relitto rafforzano la visione del vivace
dinamismo che sottende alla diffusione di questa ceramica fatta a Pantelleria negli insediamenti di Sabratha,
Leptis, Djerba, Tharros, Turris Libisonis, Ostia, Luni, Cosa
ed Albintimilium. Le isole Pelagie sono popolate sin dalla
preistoria, e ben inserite nei circuiti commerciali del mondo romano grazie alla formidabile portualità costituita soprattutto dal vero e proprio “fiordo” di cala Guitcia di Lampedusa. Lampedusa e Linosa furono abitate addirittura
già dal neolitico a giudicare dalle labili, ma sicure, tracce di
un insediamento identificato sulle balze della Cala Pisana
a Lampedusa. La presenza di un insediamento neolitico
realizzato da coloni provenienti dalla Sicilia, ci permette di
comprendere l’alto livello di cognizioni marinare che già in
quell’epoca le popolazioni siciliane possedevano.
La presenza di numerose cisterne dello stabilimento per
la produzione di garum e di vaste necropoli, attestano
un’intensa frequentazione in epoca romana. Le splendide
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acque delle Pelagie, note per la loro limpidezza e visibilità,
celano interessanti testimonianze del passaggio di rotte mercantili e di flotte guerreggianti in questa porzione
del Mediterraneo dall’antichità fino al secondo conflitto
mondiale. Tra le evidenze subacquee più interessanti, per
il richiamo storico, ricordiamo anche i cannoni di Cala Pisana che, in parte, dovevano appartenere ad una flotta comandata da Antonio Doria che fece naufragio sulle coste
settentrionali ed orientali di Lampedusa mentre navigava
alla volta dell’Africa.
Le conoscenze sulla preistoria e l’archeologia delle isole
minori della Sicilia si devono al faticoso lavoro di ricerca realizzato da singoli, ma spesso, soprattutto recentemente,
in situazione di cooperazione internazionale. A Pantelleria
lavorano insieme archeologi e studenti italiani insieme a
colleghi di altre nazionalità, dando la misura dell’importanza della cooperazione internazionale come la via migliore, per approfondire la conoscenza della nostra interattiva civiltà mediterranea.
Le foto
1 - Pesci ed idoli dipinti
attribuibili all’eneolitico
all’interno della Grotta di Cala
dei Genovesi a Levanzo
2 - Sala del Museo
Archeologico Regionale
Eoliano L. Bernabò Brea
di Lipari dedicata al carico
recuperato nel relitto della
Secca di Capistello
3 - Anfore del relitto ellenistico
“Roghi” sui fondali della Secca
di Capo Graziano a Filicudi
4 - Villaggio della media età del
bronzo dei Faraglioni ad Ustica
5 - Ruderi di età romano
imperiale in località “Case
Romane” a Marettimo
6 - Il carico di anfore del relitto
ellenistico romano sui fondali
di Cala Minnola a Levanzo
7 - Sebastiano Tusa e Jeff Royal
con il rostro bronzeo della
battaglia delle Egadi all’atto
del ritrovamento sui fondali a
Nord di Levanzo
8 - Cerbiatto inciso attribuibile
al paleolitico superiore
all’interno della Grotta di Cala
dei Genovesi a Levanzo
9 - Capanna del villaggio
dell’antica età del bronzo di
Mursia a Pantelleria
10 - Il sese grande della
necropoli dell’antica età del
bronzo di Mursia a Pantelleria
11 - Le mura dell’acropoli
punico-ellenistico-romana di
San Marco a Pantelleria
AGVD
Puoi sbagliare l’auto, ma non il vino.
SPECIALE
isole minori
L’Isola del
desiderio
Giuseppe Cassarà traccia un bilancio del turismo siciliano
di Rossella Catalano
S
icilia, amore mio. Secondo le ricerche demoscopiche, sia nel 2007
che nel 2008 l’isola è stata, senza
esitazioni, la meta più desiderata
dai turisti di tutta Europa. Parola di
Giuseppe Cassarà, presidente nazionale onorario della
Fiavet (Federazione Italiana Associazioni Imprese Viaggi e Turismo)e presidente del Coretur (Consorzio Regionale per la Cooperazione Turistica) e tra le voci più autorevoli del panorama turistico nazionale, secondo cui la
nostra isola sta attraversando un momento importante
e positivo dal punto di vista dei flussi turistici e della domanda e dell’offerta ad essi legate.
«Il primo desiderio di uno che vuole andare in vacanza
è la Sicilia – spiega Cassarà –. Poi però dal primo posto passiamo al quinto, nel momento in cui il desiderio
deve diventare realtà. La marginalità geografica, la crisi
economica, la concorrenza di altre mete del mediterraneo, come la Turchia, hanno creato una competitività
al contrario che ci ha un po’ penalizzati. In realtà però
queste destinazioni offrono rispetto a noi solamente il
sole e il mare, ma non hanno il prodotto aggiuntivo della cultura che noi possediamo, come la grandezza del
patrimonio che abbiamo in Sicilia».
PERCORSI
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La Sicilia, da sempre meta di passaggio e terra promessa di tante popolazioni, assiste da qualche anno
ad un incremento dello sviluppo turistico attraverso
un’offerta che tende sempre di più ad ampliarsi e crescere sia qualitativamente che quantitativamente.
Quale è secondo lei il punto fondante di questa evoluzione positiva?
Isoledell’Isola
L’Isola del desiderio
«Ovviamente si tratta di un’evoluzione lenta, ma progressiva; il che è un bene, perché non si tratta di un boom
determinato da fatti eccezionali, ma di un flusso che è
aumentato nel tempo in relazione all’apprezzamento del
prodotto turistico siciliano, un convincimento da parte
degli operatori italiani e stranieri a venire in Sicilia come
meta differenziata rispetto al bacino del Mediterraneo.
La Sicilia meriterebbe probabilmente di più, di avere
aumentati i flussi, ma qui dobbiamo tenere conto che la
crisi economica, ormai planetaria tocca anche la nostra
regione, soprattutto a causa della marginalità geografica, che determina un costo più elevato in termini di raggiungimento».
Crede che la Sicilia con tutte le sue bellezze mozzafiato e la sua innata vocazione all’accoglienza possa
finalmente diventare meta di turismo e non base di
partenza?
«Più che meta di partenza, la Sicilia è stata meta di
ricettività che, però ha avuto un’evoluzione lenta anziché avere l’evoluzione che meritava e che secondo
me merita».
Il desiderio di conoscere la Sicilia è in parte dovuto alla
nostra proverbiale ospitalità?
«L’ospitalità è senz’altro un fattore molto importante,
un valore aggiunto indispensabile per i tour operator e
per i turisti. Quella dell’accoglienza è una delle cose più
importanti perché fa parte del carattere, della cultura
innata che c’è nel siciliano e che è un fenomeno che viene molto considerato dagli operatori. Ma chi sceglie la
Sicilia lo fa soprattutto perché desidera condividerne il
patrimonio culturale, le città d’arte, i siti archeologici, il
clima, la posizione geografica centrale rispetto al Medi-
terraneo. Quindi le ragioni sono molteplici, quello che
serve è invece che queste ragioni vengano conosciute».
Nell’offerta turistica siciliana è ancora forte la presenza di centri artistici culturali classici conosciuti come
Palermo, Agrigento, Siracusa. Di contro è quasi inesistente l’offerta di località e itinerari alternativi, come
gli agriturismo. Secondo lei come è possibile migliorare il turismo tematico?
«Quello di individuare segmenti turistici differenziati,
a seconda degli interessi, non è un percorso totalmente
assente nella nostra programmazione – dice il dirigente
– ma è un fenomeno relativamente giovane, che inizia
sei o sette anni fa».
Il turismo sta individuando un frammento appetibile
nella cosiddetta “generazione 1.000 euro”. La Sicilia,
per quanto concerne i rapporti costi-servizi è secondo
lei appetibile a questo target?
«Ancora non in maniera soddisfacente. Il target giovanile
non è ancora appropriatamente trattato dagli operatori,
ma è una sorta di flusso quasi spontaneo appena incoraggiato dalle organizzazioni giovanili e dalle università
siciliane. E’ un tema che però abbiamo in agenda e che
dev’essere approfondito».
Esiste ancora il pregiudizo che vede nella mafia un pericolo immediato per i turisti?
«Io credo che negli ultimi tempi questo stereotipo sia
ampiamente superato. Oggi la comunicazione complessiva ha portato la gente a rendersi conto che quello che
succede in Sicilia succede nel mondo intero e, inoltre,
credo che la progressione della lotta alla mafia abbia largamente modificato questo pregiudizio».
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PERCORSI
SPECIALE
isole minori
Nuovi Dei scelgono
Olimpo
nelle isole della Sicilia
il loro
“Il risveglio degli dèi dormienti”.
Così qualcuno definì la nascita dell’hotel Raya
di Panarea, nel 1962, dando il merito a
Myriam Beltrami e a Paolo Tilche di aver svelato
al mondo la “perla delle Eolie” e di averne fatto
la più mondana delle isole siciliane
M
di Cristiana Rizzo
a d’estate si risveglia la Sicilia
tutta, non solo Panarea, non
solo le Eolie, rinnovando il rito
che porta ogni anno sull’Isola
personaggi di calibro internazionale che, in certi casi, vi mettono radici e non vogliono più tornare indietro. Già i maniaci del vip watching
hanno avuto pane per i loro denti, con gli avvistamenti
di personaggi come Ennio Doris, presidente di Banca
Mediolanum, che ha esplorato le isole del vento a bordo del “Principessa Vaivia”, uno yacht a vela di lusso già
appartenuto al premier Silvio Berlusconi.
Tra Lipari, Panarea e Salina sono stati visti anche il cantante Lee Ryan, Osvaldo De Santis amministratore della
Twenty Century Fox Italia, Mickey Arison, proprietario
di “Miami Heats” e il responsabile del settore giovanile
della Juventus, Gianluca Pessotto. A Lipari il “Cicerone”
dell’ex manager bianconero è il barone Bartolo Matarazzo che a “La Nassa” gli ha fatto gustare le specialità
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di “Mamma Teresa”. Gianluca Pessotto è andato a Lipari su suggerimento di Pierino Zaia, tifoso bianconero
che più volte è stato ospite a Torino per seguire le vicissitudini della squadra di Alex Del Piero.
A Lipari, qualche giorno di relax, anche per Claudio Bisio, Massimo Giuliani e Pino Insegno.
Su una delle imbarcazioni attraccate a pochi metri
dall’isola, è stato avvistato anche Mario Zamma, comico del Bagaglino di Pier Francesco Pingitore.
Fra le star internazionali, letteralmente innamorato
della Sicilia e delle sue isole è Rod Stewart che, accompagnato dalla moglie Penny Lancaster e da alcuni amici, ha deciso di farvi ritorno, dopo aver festeggiato lì,
l’anno scorso, un anniversario importante. La star britannica è giunta a bordo di un vero e proprio gioiello del
mare, “Braveheart” e si è ancorato nella rada di Lipari.
Nell’isola è approdato nel pomeriggio e all’imbrunire si
è trasferito in uno dei ristoranti più esclusivi, “E Pulera”,
di cui ha apprezzato le prelibatezze della cucina eolia-
Isoledell’Isola
Nuovi Dei
na, senza farsi mancare alcune bottiglie di malvasia. Per
la popstar, che ormai include quasi sempre la tappa eoliana nelle sua vacanze, si tratta di una sosta gastronomica irrinunciabile. L’artista, dopo aver firmato il libro
degli ospiti famosi, non si è sottratto a scambiare due
chiacchiere con i titolari del locale e, a quanto pare, ha
anche manifestato l’idea di acquistare una villetta nelle isole. Non ha rinunciato, poi, a una sosta a Panarea,
dove si è diretto nel Ristorante “Da Pina”.
Pit stop nell’isola dei vip per eccellenza, stando ai rumors
che lì si rincorrevano, anche per Alba Parietti, che lì affitta ogni anno la stessa villa e per i mondanissimi Flavio
Briatore ed Elisabetta Gregoraci, che nella più piccola
delle Eolie hanno trascorso il ponte del 2 giugno.
Sono molti anche i personaggi dello show business,
dell’imprenditoria e della politica che sono rimasti talmente affascinati da questi luoghi da “invertire la rotta” e acquistare meravigliose dimore. Come il fotografo Fabrizio Ferri e il re della moda, Giorgio Armani, che
ospitano nei loro dammusi a Pantelleria personaggi che
vanno da Victoria Beckham a Sharon Stone, da Sting a
Madonna. Ad Armani, che ha acquistato casa sull’isola
ormai da anni, in contrada Gadir, il sindaco ha consegnato le chiavi della cittá. “Chiamatemi paesano”, dice
a chi lo incontra per strada.
Fra gli aficionados dell’isola anche il Principe Amedeo
di Savoia Aosta e la moglie Silvia Paternò di Spedalotto, che possiedono un dammuso con un rigoglioso giardino botanico.
Hanno preferito invece Favignana, la più grande delle
Egadi, Simona Izzo e Ricky Tognazzi, mentre Francesco
Rutelli e la moglie, Barbara Palombelli, hanno comprato casa a Filicudi, forse seguendo il sentiero battuto
da Giovanna Meandri, che in questo piccolo scoglio in
mezzo al mare, lontana dal jet-set, ha casa già da qualche anno.
A Panarea, invece, ha una bellissima villa il ministro
dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, che, si dice, abbia già fatto lì una puntatina a giugno.
Non è sfuggito al richiamo della Sicilia nemmeno Claudio
Baglioni, che, però qualche anno fa si è fatto incantare
dalle acque celesti di Lampedusa, dove sul finire dell’estate, ogni anno organizza il festival musicale O’ Scià.
Anche mete meno conosciute, persino ai siciliani, hanno fatto presa. Basti pensare che Bill Gates ha manifestato l’intenzione di acquistare immobili a Salemi, aderendo all’iniziativa lanciata dal sindaco Vittorio Sgarbi,
o a Cesare Settepassi, presidente di Tiffany Italia e vicepresidente di Tiffany Europa e Paolo Panerai, l’editore
del gruppo Class-Milano Finanza, che hanno preso casa
fra i vitigni e le spiagge di Menfi (Agrigento).
Tortorici, nel Messinese, è stata scelta dal compositore
greco Mikis Theodorakis, noto in Italia per la colonna
sonora del film “Zorba il greco”, mentre l’attore Luca
Zingaretti porterà sempre nel cuore le puntate del suo
“Commissario Montalbano”, visto che ha messo radici a Ragusa Ibla, dove è stata girata la fiction. Resta un
evergreen Taormina, dove hanno deciso di acquistare
un’abitazione il sindaco di Roma, Gianni Alemanno e il
calciatore Christian Panucci.
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PERCORSI
La Salina Borgo di Mare
SPECIALE
isole minori
Sapore
di mare
S
di Marco Scapagnini
ono tante, suddivise in arcipelaghi o
grandi e solitarie in mezzo al mare,
sono amate da sempre sia dal turista
d’élite sia da quello naturalista ed avventuroso, sono le isole minori della
Sicilia, ricche di natura e tradizioni, un patrimonio che
andremo a scoprire attraverso la linea guida delle peculiari prelibatezze enogastronomiche.
Partiamo dalle Isole probabilmente più conosciute e più
vicine al “continente”, ma non per questo le più facilmente raggiungibili, ovvero le isole Eolie. Sono sette
e fra queste l’Isola che spicca maggiormente per produzioni enogastronomiche e per l’abbondanza di tesori
culinari eoliani è, senza dubbio, Salina. Famosa per la
coltivazione e la lavorazione del cappero e per la produzione del vino da dessert Malvasia delle Lipari DOC,
possiede al suo interno alcuni punti di forza della ristorazione a carattere regionale. Teodoro Cataffo e la sua
signora hanno in mano un vero gioiello, Il Porto Bello,
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per la posizione invidiabile con una terrazza affacciata
sul porticciolo di Santa Marina, ma soprattutto per la
squisita cucina che vede fra le specialità un delicatissimo carpaccio di cernia, l’insalata di tonno crudo marinato, gli spaghetti al fuoco, con pomodorini e ricotta
salata, e le aragoste fritte. Inoltre, Teodoro ha da poco
aperto uno splendido relais in località Lingua chiamato La Salina Borgo di Mare, situato appunto vicino alle
antiche saline, dallo charme mediterraneo con grandi
terrazze ricoperte di bouganville.
Sempre a Lingua, sul lungomare, Alfredo e la sua granita attirano turisti da tutte le altre isole. Provate quella
di gelsi neri, di fichi o di pistacchio: inimitabili.
Tornando a Santa Marina troviamo poi un altro tesoro,
quello della cucina che porta un tocco d’arte, ovvero
la filosofia da gastronauta, dello chef Fabio Giuffrè, il
Marco Polo della cucina eoliana, colui che ha portato
nel mondo i sapori di questa splendida isola. Il locale
si chiama Nni Lausta, dall’aragosta, ed è suddiviso su
Isoledell’Isola
Sapore di mare
due piani, all’altezza della strada c’è il wine bar dove si
può gustare al bancone uno squisito aperitivo a base
di vino bianco di Salina e la fantastica salsa eoliana, a
base di pomodoro, capperi, olive e peperoncino. Nella
bella terrazza superiore si possono gustare invece seduti le specialità dello chef come la caponata, gli spaghetti con le telline mandorle e menta e la “capuliata”
(dadolata) di tonno crudo e pinoli. Per chi vuole, inoltre,
fare acquisti golosi, oltre ai prodotti confezionati dallo
stesso Giuffrè, in giro per l’isola si trovano tante cantine dove si può degustare e comprare la Malvasia e acquistare anche i famosi capperi o i “cucunci”, ovvero il
fiore o il frutto della pianta. Molto buoni sono i prodotti
dell’Azienda Agricola Caravaglio nel paese di Malfa.
Proseguiamo il nostro tour gastronomico delle Isole
minori della Sicilia e dalle Eolie ci spostiamo, navigando
a sud della bella Ustica, riserva marina e paradiso dei
subacquei, in un altro arcipelago affascinante, ovvero quello delle Isole Egadi. Per raggiungerle bisogna
imbarcarsi da Trapani, magari dopo aver mangiato uno
squisito cous cous di pesce alla Trattoria del Porto, per
sbarcare a Favignana, la più grande e la più turistica delle Egadi, con la sua magnifica Cala Rossa meta di
molti fotografi ed esteti del mare modello caraibico, e
famosa anche per la pesca e la mattanza del tonno.
Ma il vero tesoro di gastronomia si trova nell’isoletta
di fianco, Levanzo, famosa soprattutto per la grotta
paleolitica del Genovese, ricca di graffiti raffiguranti uoPorto Bello
Lungomare Giuffrè
Santa Marina – Salina
090 9843125
La Salina
Borgo di Mare
Loc. Lingua – Salina
090 9843441
www.lasalinahotel.com
Alfredo - Piazza
Marina Garibaldi
Loc. Lingua - Salina
mini ed animali preistorici. In poco più di dieci minuti di
aliscafo da Favignana si raggiunge questo piccolo porticciolo dove è un must andare a mangiare all’Albergo
Ristorante Paradiso per rimanere assolutamente rapiti
dai sapori del mare, con degli squisiti ravioli di cernia
con pomodorini ed il meglio che i pescherecci hanno
portato la mattina dalle acque attorno Marettimo,
l’isola delle Egadi più orientale.
Lasciamo adesso la Sicilia orientale, navighiamo al largo della mondana Pantelleria, dove si producono
vino Passito e Capperi DOP, per arrivare nell’arcipelago
delle Pelagie. L’isola di cui parliamo è la splendida e
unica Lampedusa, purtroppo oggi sulle pagine dei
giornali più per i clandestini che per le sue bellezze naturali. Ma una visita vale veramente la pena, per ammirare il mare turchese e cristallino di cala Pulcino e della
famosa Baia dei Conigli. Per mangiare la vera cucina
Lampedusana bisogna andare al Ristorante Al Porto,
dove in determinati giorni della settimana si prepara un
cous cous di cernia davvero memorabile.
In alternativa, per chi volesse un’esperienza più intensa, allora consigliamo di visitare Linosa, piccola isola di origine vulcanica, a circa due ore di navigazione
da Lampedusa, caratterizzata nel panorama culinario
dall’ottimo ristorante di solo pesce Errera, letteralmente adagiato sugli scogli con anche possibilità di alloggio. Da non perdere le polpettine di sgombro e le farfalle triglie e finocchietto selvatico.
Nni Lausta
Via Risorgimento 188
Santa Marina – Salina
090 9843486
www.isolasalina.com
Albergo Ristorante
Paradiso
Lungomare n.68
Levanzo – TP
0923 924080
Azienda Agricola
Caravaglio
Via Nazionale 33
Malfa – Salina
090 9843420
Ristorante al Porto
Via Madonna, fronte
porto
Lampedusa - AG
0922 970516
Trattoria del Porto
Via Ammiraglio Staiti
45 (di fronte molo
aliscafi) Trapani
0923 547822
Albergo Ristorante
Errera
Via Scalo Vecchio 1
Linosa – AG
0922 972041
www.linosaerrera.it
283 AMSTERDAM AVE. - NEW YORK
VIA FARINI, 27 - PARMA
SPECIALE CIBO
“L’uomo è ciò che mangia” [Ludwig Feuerbach]
Aggiungi un posto a
tavola
I cibi del villaggio globale
che nutrono l’anima
prima del corpo
imbandiscono una tavola
alla quale tutti sono invitati
a prendere posto
L’
alimentazione ha avuto da sempre
una valenza culturale sociale secondo cui il cibo non nutre solo il corpo
ma anche le relazioni.
Mangiare insieme assume così
un’importanza che va ben al di là della semplice spartizione del nutrimento. La ritualità legata al cibo e alla convivialità esprime un valore comunicativo, di trasmissione
delle memorie, di accompagnamento dei momenti di
passaggio, di celebrazione degli eventi.
Il rito fondante del Cristianesimo, cioè la condivisione del
pasto spirituale con Dio, l’Eucaristia è l’azione sacrificaleconviviale nella quale il popolo dei fedeli entra in comunione con il Divino.
Nell’atto del mangiare si consuma, per estensione, l’eterna liturgia dello scambio affettivo.
Cucinare diventa così un atto d’amore. Si cucina per una
persona amata e in questo gesto si traduce la propria dichiarazione d’amore, la madre cucina per i figli, la fidanzata per il fidanzato e quando si invita un ospite a cena si ha
cura di scegliere ingredienti e preparazioni extra ordinarie. Attorno all’atto del cucinare si moltiplicano valenze e
significati, esso infatti è un mezzo più che un fine e come
tale identificabile in un linguaggio che declina le aree semantiche della sua geografia.
Cucinare esprime uno stato d’animo, è un atto creativo,
ma è anche un potentissimo atto identificativo. La ricetta della nonna è il simbolo della legge nel microcosmo
dell’ universo familiare, tramandarne la fattura equivale
a tramandare il nome stesso della famiglia. In scala più
grande ogni popolo ha un piatto nazionale che lo distingue e lo identifica, dichiarandone provenienza, cultura,
perfino religione. Il pranzo di Natale è un must a cui nessuno si sottrae, alla sua tavola si ritrovano una volta l’anno tutti i cristiani di ogni longitudine e latitudine.
Il cibo dunque si incarica del ruolo di testimone, di perpetuare usi e costumi di un gruppo di persone che si riconoscono nello stesso denominatore comune. La condivisione
del pasto inaugura, sancisce e fortifica un’appartenenza.
Parole come cous-cous, gulash, sushi, guacamole, evocano lo skyline di terre lontane e accorciano le distanze tra
gli emigrati e la loro terra di origine. Si potrebbe dire che
nel piatto si condensa l’universo culturale di un popolo e
che questi piatti attorno ad una tavola offrono all’ospite la
vera condivisione di un autentico vilaggio globale.
101
PERCORSI
SPECIALE CIBO
“L’uomo è ciò che mangia” [Ludwig Feuerbach]
Quel cuoco con la
coppola
che fa impazzire l’Italia
Natale Giunta,
giovane chef palermitano
a cavallo tra tradizione
e innovazione
di Alessia Franco
I
l suo amore per la cucina è sbocciato quando, ancora ragazzino, guardava sua madre
ai fornelli. Natale Giunta, chef palermitano,
ha poco meno di trent’anni ed è già conosciuto al grande pubblico per la partecipazione alla trasmissione Rai “La prova del cuoco”, condotto fino alla scorsa edizione da Antonella Clerici.
è stata proprio la conduttrice a soprannominarlo affettuosamente “il cuoco con la coppola”.
Perché la cucina mediterranea è tanto amata nel
mondo?
«Perché è una delle poche che rispetta ancora le tradizioni. Inoltre, la bontà dei prodotti, la mitezza del cli-
PERCORSI
102
ma, la storia e la nostra cultura sono
tutti elementi che rendono la cucina
siciliana assolutamente unica. I grandi cuochi sono alla ricerca di nuovi gusti, ma i piatti forti rimangono sempre
quelli tipici e semplici. Io tengo nella
massima considerazione il piatto locale. è vero, tuttavia, che il piatto
particolare fa spesso la differenza. La
mia ricerca si orienta, quindi, sul prodotto del territorio rivisto e corretto
a modo mio».
Lei ha pubblicato di recente un libro
di cucina molto particolare…
«Sì, è un libro di cucina e fotografia,
che contiene 44 ricette e 99 foto e
che ho prodotto in coppia con Pucci
Scafidi. Abbiamo girato per un anno
tutte le province dell’Isola, io sono
andato alla ricerca delle ricette meno
conosciute e le ho rivisitate; Pucci ha
fotografato, valorizzandoli, luoghi insoliti e personaggi».
La recente polemica sull’uso degli
additivi chimici in cucina ha fatto
emergere due scuole di pensiero. Ci
sono chef che li utilizzano e li ritengono innocui, altri che li bandiscono. Lei da che
parte sta?
«Sono assolutamente contrario e non li ho mai “propinati” ai miei ospiti. Mi è capitato di utilizzarli nell’ambito
di competizioni nazionali ed internazionali, dove i piatti
non vengono consumati poiché si tratta di esposizioni
puramente estetiche. Gli additivi servono soltanto per
fare spettacolo, per esaltare la bellezza del piatto: un
gambero può diventare polvere o spuma ma, dal punto
di vista del gusto, non cambia niente. Oggi si usa tanto
l’azoto liquido, ad esempio, per fare i gelati all’istante. Io
però continuo a credere nel valore della tradizione. E, per
fortuna, siamo in molti a farlo».
Ancora oggi, le ondate migratorie dimostrano che
molti cercano fuori dall’Italia migliori prospettive di
lavoro. Lei ha aggiunto i vertici della sua professione
a Palermo, ma cosa consiglia a chi decide di andare
all’estero?
«L’emigrazione di massa è un fenomeno del passato,
oggi si registra invece l’emigrazione di talenti in cerca di
lavoro, dotati di grande spirito imprenditoriale. A loro,
consiglio di credere sempre in se stessi, di non smettere
di seguire i propri sogni».
Ha mai pensato di esportare la sua cucina anche
all’estero?
«Certamente! Qualche anno fa ho aperto un ristorante
a Chigaco e uno a New York. Ho, inoltre, fatto delle consulenze per degli emigrati italiani che vivono all’estero e
che fanno cucina siciliana».
Cosa distingue un siciliano nel mondo?
«Proprio la sicilianità: la cultura dell’ospitalità, dell’amicizia, dell’amore per il lavoro, della solidarietà. Le persone, i loro valori e i loro interessi».
Un piatto che la rapresenta?
«Qualcosa di frizzante, forse più qualcosa da bere... una
bottiglia con migliaia di bollicine! Accompagnata da una
semplicissima caponata».
Il suo motto, invece?
«Vivere il presente dimenticando il passato e guardando al futuro».
103
PERCORSI
SPECIALE CIBO
“L’uomo è ciò che mangia” [Ludwig Feuerbach]
Cibo italiano
celestiale
L’estro e l’abilità dei cuochi italiani
li ha portati a divenire tra le figure
professionali più richieste all’estero.
E in Italia? Il “Gambero Rosso” premia
un indiano e un marocchino nella speciale
classifica delle migliori paste “alla carbonara”...
di Gian Andrea Costa
S
ono le ore quattordici dell’undici luglio
dell’anno 2007 ed il pranzo è servito.
Il menu prevede una ricca scelta di antipasti, dove non mancano parmigiano
reggiano, tortellini, risotto e fregola
sarda, parmigiana di melanzane e dolcetti siciliani alle
mandorle.
La tavola non è apparecchiata, anzi non esiste e i commensali, tutti astronauti del nodo 2, Stazione spaziale internazionale, banchettano galleggiando a gravità zero.
La cucina della tradizione italiana, che negli anni si è
spinta in tutto il mondo, non era mai arrivata così lontano da casa.
Appena una settimana prima, negli Stati Uniti, si celebrava il Ringraziamento e sulle tavole degli italo-americani ,
pasta al forno, polpette, cannoli e cassate contendevano
il posto al monumentale tacchino ripieno. I primi emi-
PERCORSI
104
granti italiani attraversarono l’Oceano portandosi dietro
la nostalgia e le ricette povere di casa, insieme a pochi ingredienti che erano, al tempo stesso, alimento e legame
con la terra da cui si separavano.
In pochi anni l’ italian taste è passato dalle bancarelle di
Little Italy alle cucine delle celebrità.
John Travolta, Quentin Tarantino e Madonna impazziscono per i piatti a base di tartufo, al punto che la cantante
ha assunto un team di esperti per studiare l’andamento
dell’esclusivo fungo sul mercato.
Dan Aykroyd coltiva una vigna seguendo scrupolosamente le tecniche messe a punto in Italia.
Il cuoco italiano all’estero è una delle figure più ricercate
e paradossalmente assistiamo ad una sorta di migrazione circolare, per cui i migliori chef operanti in Italia sono
stranieri. La prestigiosa rivista gastronomica Gambero
Rosso, stilando la classifica delle migliori paste alla car-
bonara ha tributato i primi due posti ad uno chef marocchino e ad uno indiano. I sapori della tradizione diventano così elemento di trasmissione culturale, ma
rischiano di perdere le caratteristiche peculiari che li
hanno resi inimitabili.
È stato necessario che il Ministero delle politiche agricole stilasse un rigoroso “disciplinare della pizza”, per
tutelare questo piatto così semplice e tuttavia così
particolare, minacciato dal suo stesso successo.
La carta vincente della cucina italiana sta nella sua caratteristica di “cibo affettivo” che veicola tradizioni e
ricordi.
Dalla nordica polenta, che sulle tavole povere veniva
presentata condita da un unico nodo di salsiccia, premio per il commensale più vorace e svelto, agli ingenui
dolci di martorana siculi, che riproducevano frutti ed
agnellini, ogni portata rievoca un evento, un ricordo,
una ricorrenza. Basti pensare che nella cucina siciliana,
senza dubbio la più ricca e creativa, esiste un piatto per
ogni data del calendario. Dai cannoli di carnevale alle pecorelle pasquali, dal gelo di “mellone”, alla mostarda di
vino cotto, dalla “cuccìa” ai buccellati, ogni giorno lega
un piatto a un sapore del ricordo.
Testimonianze della nostalgia e dell’interesse legati alla
cucina tradizionale italiana si trovano nei frequentatissimi blog e forum culinari di cui è ricca la rete.
Vi si trovano iscritti di ogni condizione e nazionalità:
dall’emigrato allo studente fuori sede, dalla nonna ai giovanissimi interessati a tecniche e tradizioni.
Vi invitiamo a dare un’occhiata e vi segnaliamo alcuni
siti specializzati come www.coquinaria.it e www.gennarino.org. Ci troverete numerosi laboratori di ricerca
sull’origine e le tecniche della tradizione e curiose esperienze di contaminazione, come il “tiramisushi”.
105
PERCORSI
SPECIALE CIBO
Ricettario
Adobo Filippine
Sushi Giappone
Prelibatezza filippina
L’adobo è il piatto nazionale delle Filippine, ed
annovera una quantità di varianti e di metodi di
preparazione, tante quante sono le provincie del
territorio. Il viaggiatore che assaggerà le differenti
preparazioni dell’adobo avrà un eccellente biglietto
da visita delle diverse sfumature che caratterizzano il territorio filippino. Il denominatore comune di
questo piatto è l’influenza della cucina spagnola,
retaggio di antiche dominazioni.
La ricetta
Ingredienti per 4 persone
1 pollo, 1 dl di crema di cocco, 4 cucchiai di aceto di mele, 1 cucchiaio di salsa di soia, 3 spicchi di
aglio, sale, pepe
T
agliate il pollo a pezzetti regolari, scartando la
pelle. Mettetelo a marinare per 2 ore con l’aceto, la salsa di soia, gli spicchi di aglio schiacciati,
una presa di pepe macinato e un cucchiaio di sale.
Trasferite pollo e marinata in una casseruola e cuocete (coperto) a fuoco moderato per circa 30 minuti
o finché il pollo sarà morbido. Aggiungete la crema
di cocco e cuocete (scoperto) per altri 5-10 minuti,
sempre a fuoco moderato, finché il fondo di cottura
si sarà addensato.
PERCORSI
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Dall’oriente con sapore
Anticamente il metodo di preparazione del sushi era
soltanto un modo per conservare il pesce. Se ne hanno notizie già nel V secolo a.C. In Asia sudorientale,
arrivò in Giappone nel VII secolo d.C. Al momento di
mangiare questo piatto, il riso fermentato veniva buttato via e si consumava solo il pesce. Durante il XV secolo si sviluppò un altro metodo di conservazione del
pesce attraverso una fermentazione molto più breve,
che permetteva di mangiare anche il riso. Nell’Ottocento, il giapponese Yohei Hanaya fu il primo che
preparò con il riso, aromatizzato all’aceto, un unico
bocconcino, composto da una pallina di riso con sopra
una fettina di pesce crudo.
La ricetta
Ingredienti per 4 persone
120 gr di filetto fresco di tonno,1 cetriolo piccolo,
4 foglie di alga nori, 640 gr di riso sushi, 20 gr di
wasabi,100gr di zenzero, salsa di soia
T
agliare il tonno a strisce lunghe circa 5 cm e larghe circa 1,5 cm. Lavare e sbucciare il cetriolo e
tagliarlo a strisce. Spianare le foglie di alga e dimezzarle per la larghezza. Disporre la mezza foglia di
alga su cui cospargere uno strato di riso sushi spesso
1/2cm, lasciando libero un bordo di 1cm. Stendere il
wasabi in uno strato sottile e mettere in mezzo una
striscia di tonno oppure 3 di cetrioli. Avvolgere l’alga,
facendole assumere una forma tonda. Tagliare i rotoli così ottenuti in larghe fette di uguali dimensioni.
Ornare il piatto con qualche fettina di zenzero.
Portare in tavola anche una ciotola di salsa di soia
per intingere i sushi, a cui si può mescolare un po’
di wasabi.
SPECIALE CIBO
Ricettario
Kebab Paesi arabi
Sarde a beccafico Sicilia
Un piatto, mille varianti
Le origini del kebab sono molto antiche, la preparazione originaria è documentata addirittura a partire
dal decimo secolo dopo Cristo in una ricetta persiana. Esistono molte varianti di questo piatto: una è
lo shish kebab, una sorta di spiedino.
In alcuni Paesi arabi è possibile trovare il kebab con
tonno fresco.
C’è poi il döner kebab, un panino preparato con
pane arabo e l’aggiunta di molti ingredienti oltre
alla carne.
La ricetta
Ingredienti per 2 persone
1 kg di agnello a pezzetti, 2 pomodori, una cipolla,
menta, pane arabo, olio extravergine di oliva, 30
gr di burro, peperoncino tritato, 250 gr di yogurt
magro, sale e pepe
F
ate marinare l’agnello per 2/3 ore con le spezie
tritate e l’olio. Accendete il forno e tagliate i pomodori a pezzetti. Togliete la carne dalla marinata,
conservando la salsa. Infilate su degli spiedi i pezzi
di agnello e fateli cuocere. Scaldate il pane arabo,
tagliatelo a striscioline, adagiatelo su un vassoio e
conditelo con il burro. Quando l’agnello è pronto,
mettete sul pane il pomodoro, togliete la carne dagli
spiedi e adagiatela sul pane. Alla fine guarnite con lo
yogurt, la menta e servite con del riso.
Squisitezza aristocratica
Quella delle sarde a beccafico è una delle tante ricette che provengono direttamente dalle cucine
baronali siciliane. Questo piatto è la modifica di una
pietanza prelibata nella quale gli ingredienti principali erano degli uccelletti, i beccafichi.
Particolarmente apprezzati dagli aristocratici, i beccafichi venivano sistemati nei piatti con le piume
della coda rivolte all’insù, così da poterli prendere
agevolmente. L’origine del nome sta nel fatto che
le sarde beccafico, una volta servite sul piatto, assumono l’aspetto di questi piccoli volatili.
La ricetta
Ingredienti per 4/5 persone
1 chilo di sarde, olio extravergine d’oliva, 10 cucchiai di pangrattato, 100 grammi di uva passa, 100
grammi di pinoli, 1 cucchiaio di zucchero, qualche
foglia di alloro, un ciuffo di prezzemolo, succo di
limone o arancia, sale e pepe.
D
iliscare le sarde e privarle delle teste. Sciacquarle, asciugarle e aprirle a libro. Preparare
il pangrattato abbrustolito: mettere in una padella
il pangrattato, quando sarà ben colorato togliere la
padella dal fuoco, unirvi un filo d’olio e amalgamare
bene.In una scodella unire il pangrattato con le passoline e pinoli, lo zucchero, il sale e pepe ed il prezzemolo tritato finemente. Adagiare su ogni sarda un
poco del ripieno. Arrotolare le sarde farcite, in modo
da ottenere degli involtini. Disporli in una teglia oliata, l’uno accanto all’altro, alternandoli con foglie di
alloro. A questo punto innaffiare con un filo d’olio
e poco succo di limone o arancia. Infine spolverarle
con pangrattato e mettere in forno caldo per circa
venti minuti.
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PERCORSI
LO STILE E LO CHARME NEL CUORE DI PALERMO.
V I A R. WAG N E R , 2 - 90139 PA L E R M O - T E L . +39 091 336572
W W W. G R A N D H OT E LWAG N E R . I T - I N F O @ G R A N D H OT E LWAG N E R . I T
When the history of Italian emigration is
written, according to the historiographic canons dear to Jacques Le Goff, no historian will
be able to ignore the remarkable patrimony
of activity of Anfe, the National Association
of Emigrants’ Families, which is celebrating the sixty years since its foundation. But
above all it will be impossible to ignore the
work of its founder, Maria Agamben Federici,
born at L’Aquila from a well-off family, on 19
September 1899. A graduate in Humanities,
a teacher and journalist, in 1926 she married
Mario Federici, one of the most outstanding
personalities of Abruzzo culture, with whom
she moved to foreign countries, where she
taught in the Italian Institutes of Culture in
Sophia, in Egypt and in Paris. A committed
Catholic, Maria Federici was influenced by
Christian social thought, the personalism of
Mounier and the integral humanism of Maritain, which was profoundly to characterise
philosophy in the second half of the twentieth century. Returning to Italy in 1939 she put
her convictions into practice with intense social commitment and lay apostolate. He was
active in the Resistance, organizing a centre
for assisting refugees and war veterans.
In 1944 she was among the founders of the
Aclis, in the direction of which she was a female delegate, and was among the founders
of Cif (Italian Women’s Centre); she was its
first president from 1945 to 1950. But above
all she was one of the most important figures
in the new democratic Republic. A deputy in
the Constituent Assembly for the Christian
Democracy party from 1946 to 1948, she
contributed to the writing of the fundamental rules of the Constitution. Together with
Nilde Iotti and Teresa Noce (Italian Communist Party), Lina Merlin (Italian Socialist Party)
and Ottavia Penna (Umo Qualunque party),
she was among the five women to enter the
Special Committee of 75 that worked out the
project for the Constitution afterwards discussed in the assembly and approved on 22
December 1947. Elected to the Chamber, she
worked alongside De Gasperi in the reconstruction of the country. That of Maria Federici can rightly be considered an example of
precocious female emancipation, thirty years
in advance of the movements that later arose
in Europe.
On 8 March 1947, Maria Federici founded
Anfe and became its president, maintaining it as a moral duty until 1981. Under her
guidance, the association expanded all over
Italy, with a diffused operational network in
the communes with highest emigration. She
was active and present wherever problems
proved particularly difficult, in Argentina,
Brazil, Venezuela, the United States, Canada,
and Australia, but also in the old continent,
in Belgium, France, Switzerland, Germany,
Holland, Luxemburg and Great Britain. There
was a widespread network of structures that
became decisive assistance points for emigrants and their social, bureaucratic and psychological problems regarding integration
in the new countries. The activities of the
association, recognized in 1968 as a “moral
body”, made it an irreplaceable partner in
the highest international organisms for emigration and immigration.
Maria Federici died on 28 July 1984. Her
enlightened ideas, her direct contact with
people and problems, continue to be a major
example in the period we live in. It is a model
that today clashes with certain mediumistic
distances, with the weakness of references
to great values. In the difficult transition that
Italy is going through, in which appearance
rather than essence dominates, examples of
life like that of Maria Federici are essential
reference points for improving the relationship between institutions and citizens, for recovering the necessary credibility of politics
and for building up the future of our country
with mutual respect.
Goffredo Palmerini
An Italian
in New York
In the collective imagination America has
always represented freedom. The United
States continue to be perceived as the land of
big spaces – spaces that go beyond the mere
physicality of the skyscrapers of Manhattan
or the districts of New York, and are seen
rather as opportunities that a country offers
people. Today the USA continue to represent
that chance that in the past was granted to
immigrants, who here found the necessary
conditions for starting a new life, for bringing
into play their skills, professional capacities
and competences and for getting a place in
society.
For some the self-made man was a chimera, for others a myth, but many made it.
Of those first-generation emigrants, few
are left now, but there are a great many children and grandchildren of theirs that still feel
deeply Italian, to the extent of choosing to
maintain dual nationality. Their stories are
still vividly impregnated with that difficulty
that Italians met in the pathway of integration, where often the difficulties arose from
a clash between two cultures. Nevertheless,
the great capacity to adapt and the desire to
attain peaceful coexistence led them to look
for a mediation that allowed them not to
forego their roots while respecting the customs of the New World, so they showed they
had fully learnt the lesson of Thomas Jefferson, the third president of the United States,
who at the start of the nineteenth century
said: “Anyone who gets an idea from me gets
knowledge without decreasing mine; just as
a person who lights his candle with mine gets
light without leaving me in the dark.”
So it is not by chance that on the occasion
of the celebrations of the sixtieth anniversary of the constitution of A.N.F.E. (National
Association of Emigrants’ Families), at the
venue of the “Italian Art Club” in Manhattan,
then in Rutherford in New Jersey at the Italian Yesterday, Today and Tomorrow Association and lastly at the Rockleigh Country Club
in New Jersey, the American and the Italian
national anthems were both always sung.
So one understands the importance still
now, for our fellow-citizens who are naturalized Americans, of finding themselves united
under the same flag, of preserving Italian traditions and customs, of using Italian in eating
and drinking places, at meetings and at clubs
frequented by Italian immigrants who have
now reached the third or even the fourth
generation. Values like brotherhood, identity
and country become common values shared
both by Americans and by Italo-Americans,
who have succeeded well in integrating in the
American community, occupying prestigious
places at a social and economic level; and the
big presence of Italian communities that go
in a procession in Fifth Avenue on Columbus Day gives us a clear idea of all this. The
prestigious Italian names present in modern
American society are well known to everyone
and many of them continue to operate, out
of the limelight, offering their contribution
through no profit associations and organizations, for integration. The blazon of the Italian Yesterday, Today and Tomorrow Association perfectly mirrors the present state of the
Italo-American reality. Three men, who symbolise the temporal segments to which the
association makes reference, are portrayed
under three flags, the Italian one referring
to yesterday, the American one referring to
today and the Italian and American one referring to complete and definitive integration
tomorrow.
Pasquale Peluso
Argentina,
that is to say
the other Italy?...
Buenos Aires. In Italy usually there are
two ways of speaking of Argentina: the way
of those that dismiss the matter affirming, tout court, that it is another Italy, and
the way of those people that know nothing
about this country, don’t even know where
it is and confuse Buenos Aires with Rio and
with Brazil…
It is not even worth dealing with the second case, as people once said. On “vision”
number one, instead, it is worth attempting
to make some considerations and sketching
out some information. Those that believe
that Argentina is the other Italy, is all Italian,
109
PERCORSI
PERCORSI WORLDWIDE
PORTRAIT
OF A LADY
PERCORSI WORLDWIDE
get a big disappointment regarding language
as soon as they arrive. Here our language
has not taken root very much. Strange. Yes,
strange, but explainable, as we will see. Almost no one speaks Italian. Almost. Out of 40
million Argentinians there are always about
100 thousand people that study Italian, but
that is not a lot, right? Indeed not – very few.
The others always say they understand Italian: “entiendo, entiendo.” But it is not true.
They only understand a few words and only
at times “catch” the meaning of what they
hear. Nevertheless, they say they understand
and often with a certain sense of bashfulness, because, always almost having Italian
surnames, they are afraid to make a bad
impression and don’t want to upset anyone.
And this is a characteristic of the Argentinians that emerges immediately. They care a
lot about people’s opinions, about what they
will say…
For an Italian arriving, the most general and
immediate discovery, that of the milieu, of
the “world” in which he or she now is, is at all
events pleasant, amid well-known customs
and traditions. He or she immediately feels
at home, in a territory that leaves no doubts
psychologically. No uneasiness, at all events,
a return home.
This happens with Argentina and Argentinians, over and above the language. Everywhere you see Italian surnames, everywhere
you feel a homely spirit. You discover that
they speak in a different language to say the
same things as us and in the same way, with
an analogous attitude, thought of and experienced in an identical way. They have the
same disdainful approach to politics and politicians, they treasure friendships, familiarize
with other people very easily, appreciate the
same cuisine, talk too much, are intelligent,
creative, cunning, at times cheats, cynics and
roughnecks to the necessary degree. They always try to identify with the strongest, with
the best. For them, whoever wins is right. An
Italian immediately discovers here, as soon
as he or she “touches on” any theme, feelings
like his or her own.
It seems there are no differences, but then
there are differences, they appear on the
surface. You discover that they come from
a different school, they have no cult of the
past. They never know, the Argentinians,
what town or village, what province their Italian ancestors came from. To the Dantesque
question “Chi fur li maggior tui?” (Who were
your ancestors?) they can never give a precise answer. Whether it was the father, the
grandfather, the great-grandfather, they
cannot indicate the region, city, or province. They know he was Italian, they have
inherited his vices, tics and virtues, but they
remember few things: that he always made
such and such a wisecrack, that he ate in such
and such a way, that he was a hard worker,
PERCORSI
110
rigid in the ways and things he believed in,
strict in the upbringing of his daughters. The
nineteenth-century Italian, the one with the
big moustache, severe and intransigent, has
made history here.
When an Argentinian, even an Argentinian
of today, has to explain that in a given circumstance he really got annoyed and had a
furious, violent reaction, he will always say,
theatrically, that “all the Italian heat came
out in me!”
Barzini Senior, who wrote a lot on the Italian presence here in the early twentieth century, noticed that in these families, though
they were so characteristically Italian, in the
end there was not so much respect for the
humble and modest figure of the father, and
alluded to the school from which the boys
came, a school that feared Italian contaminatio because of the hard core of our dialects
that dominated the speech of so many of the
inhabitants. There were islands of Genoese,
Piedmontese, Venetian, Sicilian and other
southern dialects. Almost no Italian.
Between 1875 and 1924 over two million
Italians came to Argentina. Wars, famines,
the difficulties that arose before and after
Unification drove hordes of poor people from
our regions over the ocean. They concentrated on two big cities dreamt of and experienced as two countries kissed by prosperity:
Novaiorca (New York) and Bonosaire (Buenos
Aires). These were the destination of people
that left a country knowing little about it.
People lifted as if by a crane from the fields,
from peaks of mountains, and dropped on a
ship. They saw, half-saw, the lights in Naples,
the Beverello or the Lantern of Genoa.
And the ships departed and departed…
Culturally disarmed, they came to immense
cities, new ones, ones taking shape, where
racketing, abuse and the law of the strongest were the norm to live with. Settling in,
integrating was vital. For them, Italian had
never existed as a language. Dialect reigned
supreme. And dialect quickly blended with
the local Spanish, forming a comic mixture
that here in Buenos Aires – in the advertising
and literary tradition – they ended up calling
cocoliche from the surname – they say – of
a Calabrian immigrant, Cocolicchio. And cocoliche for a very long time “adorned” the
farce of local curtain-raisers; and boys that
attended Argentinian school did not like having a father that spoke cocoliche.
However, there are also paradoxes. In this
same milieu, from the middle of the nineteenth century the tradition of the newspaper
in Italian spread. Museums and Argentinian
libraries still preserve first pages and whole
newspapers with the most different titles,
gazettes written in Italian, with big circulations for the period, newspapers that at times
lasted several long decades. Someone who
was not illiterate, not a speaker of cocoliche,
produced them, and someone read these
newspapers. Alongside humble emigration,
often not alphabetized, educated people had
come, also cultured, experienced people that
knew how to produce newspapers and spread
them – as happened with the Palermitan Salvatore Ingegneri that, after having edited in
Palermo the revolutionary broadsheet “The
Poor man”, emigrated to Argentina with his
son Giuseppe, who became “Josè Ingenieros”
and had a long political, literary and scientific
career leaving behind texts and books of rare
value.
But already before this mass emigration
there had been a culturally qualified one of
refugees who had supported Mazzini and
Garibaldi and had run away from prison
at home, and on the banks of the Plata, in
Buenos Aires and Montevideo, gave vent
to their revolutionary ideas. In actual fact,
in 1810, when Argentina – which next year
will celebrate its bicentenary – started its
own process of independence, in the first
government Junta that set hostilities going
against the Spanish there figure no fewer
than four Italian surnames, to become
founders of this country: Belgrano, Alberti,
Beruti and Castelli.
And this leads us to say that Argentina is not
only a country towards which the Italians emigrated in a great flood, looking for a better
life, but is also a country that Italians helped
to found, who in short were there even before “una Nueva y Gloriosa Nación” – as the
country is called in the romantic hymns of the
day – appeared on the world scene. This certainly explains the identity of the Argentinians that undeniably have Italy in their DNA,
even if they cannot always specify the region
and commune their ancestors came from
and almost never speak Italian…
Dante Ruscica
From being a place
of memory to being
a workshop
for new ideas
Being part of a group, of an extended family whose members, at least in the initial
phase, know one another or not at all. They
know for certain, however, that the land of
origin is one and the same.
The story of associations is one full of endless stories, which began with the first migrations to the New World. For the countless emigrants that went to these unknown
lands, associations represented the first front
office, essential to starting a difficult process
of integration in the new country.
Today, over a million and a half individuals
recognize themselves in the over 5000 associations scattered around in Italy and abroad,
transmission of the cultural patrimony. For
young people, it must be a locus in which it
is possible to give birth to new ideas, in which
to rediscover their own origins learning the
language and the culture of their grandparents – an instrument of promotion of backto-the-homeland tourism through cultural
exchanges.
Gaetano Calà
From Rome to Sicily,
a journey through
the different types
of emigration
An old adage, attributed by some to the
Indians of America, says: if you don’t know
where to go, look back and see where you
came from.
In all epochs, the recovery of collective
memory has been perceived as a fundamental good for the construction of the future.
The period of the big migrations that affected
the whole of Europe is no exception. The idea
of creating emigration archives became concrete in 1990, in a highly symbolic place: Ellis Island, New York. This was a different way
of looking at emigration, that of archives of
memory, with a more attentive eye, in which
men and their stories are essentially characterised as a resource.
Museums, but also study centres, archives,
centres for documentation and research have
also arisen in Italy. The objective, in addition
to the retrieval of memory, is to recover the
instruments for facing today’s migrations,
which see our country no longer as a land
people set out from but one they come to.
In Rome, at the Vittoriale, recently the National Museum of Migrations was inaugurated. It is divided into three sections. The first
section goes over the rise and development
of big Italian emigration. The second section
traces out the geography of emigration, with
in-depth exploration of the peculiar migratory characteristics of each single region.
Lastly, the third section concerns a journey in
emigration through thematic areas allowing
the visitor to have interactive knowledge of
the whole historical period through the cinema, literature, music and rare objects and
documents.
Sicily too now has a network of Sicilian museums of emigration; each one shows the
differences in migratory flows according to
single geographical areas.
All seven museums, however, have the
common denominator of the attraction
aroused by lands overseas, induced by the
thoroughgoing propaganda of the big sailing companies. In short, the American dream
came to Sicily in the form of illustrations and
coloured writings.
The differences in types of migration are
instead the peculiar features highlighted in
each museum. For instance, emigration from
the latifundium, shown in the pavilions of
Aquaviva Platani, in Caltanissetta province,
is very different from that of the coasts, analyzed instead in the museums at Giarre (Catania province), Savoca (Messina province) and
Canicattini Bagni (Syracuse province), in the
area of the Belice. In the Iblei Museum in
Ragusa, instead, one can understand how a
territory characterized for centuries by the
absence of latifundium and by the presence
of small and medium estates influenced migration.
Emigration from the Sicilian islands is represented instead by the Aeolian Museum of
Emigration, which since 1999, through precious documentary material preserved by
families in the islands and the official deeds
of communes has made it possible to build
up a picture before and after emigration. The
museum goes over some phases of life in the
Aeolian Island: the Aeolian model of economic development before emigration, also
including the phylloxera infection and the crisis in the pumice trade. An important section
shows 1132 letters from North America, from
Australia and, to a lesser extent, from Latin
American countries, but also contains material on the life of Aeolian mutual aid societies
in America and Australia, from 1898 on. The
archive further includes notices and documents on remittances and on donations for
the restoration of Aeolian churches and for
the execution of important public works; and
there is a rich collection of photos.
Alongside the museums and the documentation of an important slice of life, there is
also a testimony to a not very well known situation, documented by the volume “A house
for emigrants”, edited by Claudio Colombo,
analyzing in 140 pages the odyssey of thousands of Italian workers forced for so many
years to take their professional skills abroad.
The emigrants’ house, a building behind the
central station in Milan, was inaugurated in
December 1907, and remained active down
to the middle of the 1930s. It consisted of
a building with a raised floor with a surface
area of about 350 metres and an ancillary
one with a surface area of 80 metres, and
contained a waiting room, two dormitories,
baths and washhouses, all with electric light
and heating. In its first five years of life, the
house gave free hospitality to half a million
emigrants, who were thus spared being taken
advantage of by dealers and hotel keepers.
Exhausted by long train journeys, the emigrants refreshed themselves and at the same
time were given information on everything
that could be useful to them: railway timetables, connections and changes, union organization in the country in which they were
going to work, and information on the work
111
PERCORSI
PERCORSI WORLDWIDE
as emerges from the sessions of the international conference on the relaunching of
associationism in migration policies, held in
Palermo last winter and organized by ANFE
(National Association of Emigrants’ Families).
By their very constitution, the associations
of Italians abroad represent a commitment,
collective and individual, in the fulfilment
of indispensable principles of political, economic and social solidarity, for the affirmation of equal social dignity and equality before the law, without distinction of sex, race,
language, religion, political opinions and personal and social conditions. These are concepts of the Constitutional Charter that have
become living material in the world of Italian
associationism in foreign countries and for
foreign countries.
Today the role of associationism faces renewed social responsibility, in that it can represent a strong support in the management
of immigration. “The migratory phenomenon does not only bring into play political,
economic and demographic issues,” states
Paolo Genco, national vice-president of the
National Association of Emigrants’ Families.
“Knowing the social and cultural history of
Italian emigration in the world is also useful
to us for understanding how migratory processes can fit in in our country and for working for positive integration by valorising what
for us has been an essential instrument of
growth in the host societies.”
Considering these presuppositions, the assignment of the associations today is anything but secondary, although it has to be
reinterpreted in the light of the needs and
expectations of young people, third and
fourth generation emigrants, making associations not only loci of memory but also
an instrument of contemporaneity receiving
new stimuli.
Young people abroad, today more than in
other historical moments, are divided between two affiliations: to the society of origin, to which they are linked less and less as
the duration of the stay abroad increases,
and to the host country, which however they
do not feel they fully belong to. So direct
involvement in associations is necessary,
alongside a carefully selected set of cultural
actions with more concrete projects for economic partnership. What young people want
is more concrete information, in-depth and
objective information, together with “informagiovani” (information for young people)
services, through the Internet, dedicated
sites and blogs.
The history of Italian emigrants in the world
is a sad one of which we are often ashamed,
a history that many emigrants tend to forget. Associationism must serve to recover a
positive image of the Italian identity, it must
represent a vehicle for the maintenance and
PERCORSI WORLDWIDE
market they would find. Thus Milan in the
early twentieth century proved to be in the
avant-garde in facing the looming migratory
phenomenon, with its crowd of people with
so many different stories, frightened and at
the same time full of expectations about the
New World.
Marcello Saija
A dialogue for peace,
with concrete ideas
Giving back to the Mediterranean its primary function as a place of exchange and
encounter among peoples. From these presuppositions there has come the Permanent
Committee for Euro-Mediterranean Partnership (Coppem) aiming to promote a dialogue
and cooperation for local development between towns, communes and regions in the
countries that adhere.
The regulation of the Committee, approved
in Gaza in 2000, fully implements the Barcelona Declaration signed in 1995, which aims
to found a global Euro-Mediterranean partnership to turn the Mediterranean into a
common space of peace, stability and prosperity through the strengthening of political dialogue and dialogue on safety, an economic and financial partnership and a social,
cultural and human partnership.
The members of the Permanent Committee for Euro-Mediterranean Partnership are
Algeria, Austria, Belgium, Cyprus, Denmark,
Estonia, Egypt, Finland, France, Jordan,
Greece, Ireland, Israel, Italy, Latvia, Lebanon, Lithuania, Luxemburg, Malta, Morocco,
Netherlands, Palestine, Poland, Portugal,
United Kingdom, Czech Republic, Germany,
Syria, Slovakia, Slovenia, Spain, Sweden, Tunisia, Turkey and Hungary.
“The Committee insists very much on the
concreteness of the initiatives that it promotes,” says Francesco Sammaritano, an
executive of Coppem. “We set ourselves concrete objectives, because it is important that
the communities in which we operate should
clearly see the advantages that partnership
with other countries can bring. In short, all
round collaboration concretely contributes
to making life better.”
Coppem and Anfe have for some time been
cooperating on outstanding projects. Among
these is the Fisher project for the formation
of fleets on the southern shore of the Mediterranean, which touches on fundamental
points like safety on board fishing-boats, environmental protection and the valorisation
of the fish caught. The project – to which Tunisia, Egypt, Morocco, Libya, Palestine and
Israel have adhered – is also in partnership
with Cnr and Cosvap in Mazara del Vallo (the
latter is the biggest organization of Sicilian
fleets), with the communes of Sciacca and
PERCORSI
112
Messina and with the Technological Park in
Palermo.Another important project involving collaboration between Anfe, Coppem
and Ismett is the agreement for the realization of a permanent centre for the training of
medical, nursing and technical staff.
What about projects with the Arabic
Emirates?
“Our initiative,” continues Sammaritano,
“is very ambitious: to create the conditions
for the Emirates to open their first Italian
consulate in Palermo. There is no need to say
what this would represent for Sicily, not only
because of the enormous financial resources
of the united Arabic Emirates, but also because the consulate in Palermo could be the
bridgehead leading to closer relations with
the Maghreb and the Middle East.”
One of the first initiatives discussed is the
creation, at Erice, of three masters, open to
120 graduates from the countries that have
adhered to the Barcelona treaty. The objective is to create in this little town in Trapani
province a permanent specialization school
for graduates from the Euro-Mediterranean
area. The course concerns themes ranging
from the historical-cultural and anthropological process of the countries in the EuroMediterranean partnership to comparison of
the legislative systems and the recognition of
the social and legal role of women.
“This initiative signed by Coppem, Anfe
and the Commune of Erice has major cultural
and political value,” continues Sammaritano,
“because to put together recent graduates
coming from countries differing in language,
culture and tradition means activating an exchange in a lot of directions among people
that will form the future managerial class in
the countries of origin.”
What are the most urgent needs in the
Euro-Mediterranean area?
It is necessary first of all to face delicate issues like immigration, terrorism, safety and
protection of the environment. This is a very
complex phenomenon, which can only be
faced through big partnerships. Another issue to be faced is tourism: if we succeeded,
for instance, in harmonizing the restoration
of the immense cultural patrimony present in
this area, big development of tourism would
be favoured that would bring enormous benefits to the countries involved.
Coexistence among peoples also involves
religious encounters, and this has produced
tensions and extremisms. What is the way
to go for a constructive dialogue?
I believe that first of all we need to valorise
the differences, to consider them resources
and not an obstacle. In a passage in the Koran
it is written that Allah created peoples, social
classes, different races. Not so that they
would quarrel with one another to decide
who was the best, but so that each should ap-
preciate the difference in the other. It is well
to remember that extremisms, wherever they
come from, are very marginal expressions of
intolerance and that moderation prevails.
Rossella Catalano
FOREIGNER
AND/OR STRANGER
The nations break up, frontiers fall, ghettos
tend to disappear, we can all go everywhere.
We mix, we swap, we are confused with one
another. And nevertheless prejudices continue to reign. They are often latent, but in
moments of crisis they resurface violently.
And so, when we speak of barbarians, of foreigners and, in general, of flows of people, of
frontiers and limits that are crossed and recrossed, we are in the specific field of prejudice. And from prejudice to racism or, more
exactly, racisms (from foreigners to the elderly, to homosexuals, to women, to the different, et cetera) the distance is short.
But what is the origin of all of this? Stereotypes, prejudices and self-deceptions screen
the Self and put it in a shadow area. The
screen is set up between the Self and reality,
between identity and objectivity, between
safety and uncertainty.
But what is prejudice?
Prejudice is a sort of evaluation intimately
connected to the sense of the common,
which not only is not an expression of an objective choice of evaluation, but is not even
connected to specific and conscious parameters defining our field of experience. It also
has a marked prescriptive power over individual or group behaviours and no less power
of veto towards the possible rise of more subjective judgments.
Racism is a precipitate of prejudice. Racism is not simple aversion to everything that
is different from us, it is not even ethnocentrism; it is not highlighting the differences
to one’s own advantage, but it is all these
things together and also using difference
against others for the purpose of profiting
by it, as happens in every colonization. Some
researchers link racism to the thesis of the
scapegoat, while others define it as believing
that a given ethnic group is inferior for genetic reasons. These of course are only some
of the starting points for possible further indepth examinations.
Here it is important to stress that racism
can be revealed at both an individual and
an institutional level, and it is also infiltrated
or latent in laws or social norms that discriminate against cultural and ethnic groups
(blacks, Arabs, Slavs, et cetera). Hostility towards different groups arises from the fact
that there is a desire to preserve one’s own
identity (or, more exactly, “sameness”) also
phenotypic, morphological, regarding ex-
cation and management of this mental space
are not exclusively political, but rather interact with those processes of formation and
circulation of social competences on which
it is necessary to be able to work to increase
them. In a society that has to be able to think
of itself and act in a multiethnic way, we
need highly diversified forms of knowledge
and competences also strongly anchored to
a concept of difference and community.
The environment with which our mind has
to reckon does not belong to simple geoanthropological configuration, but rather to
the selection of experiences and the realization of a space for encounter and solidarity.
But encounter only becomes an independent variable if in the society of the mind
(the internal, intra-psychic world) it is possible to see difference not as a clash, not as
a “struggle against”, but as a “struggle for”,
as a space for the transfer of parts of the self
and for acquisition of parts of the other.
An example can be given precisely by the
Mediterranean and its particular configuration as a shared environmental space, belonging both to the possibility of consistency
and to that of complexity, to the horizon of
legibility but also to that of mystery. It is not
by chance that different researchers have
centred in the identification of a “Mediterranean of the mind” a work space that opens
up different perspectives.
From an exemplificational point of view,
the environmental space, the Mediterranean one in particular, intervenes in terms
of construction of the satisfaction of environmental needs, of gratifications, but also
of anxieties, of stress or of inter-subjective
conflicts. The fact is that in an overall way
the environmental space that “we can think
of” faces up to the possibility that we can
also think of affective and emotional mental
spaces.
The Mediterranean is a space of difference and conflict, it is useless to hide it. The
shared mental space, precisely in this context, becomes an environmental space in
which it is necessary to be able to accept difference and “strangership”, but above all, as
already mentioned, the extraneous one and
the strange that live there.
However, the process that determines
change is inside a possibility of imagining
change. “Process” means not only the recording of the transformations, but the ability to plan them and govern them demarcating our emotional role in them. From this
point of view the foreigner is the possibility
that the break-in of the new can be shared,
that the conflict can be experienced as
growth in reciprocity, as a relation between
new beings that still have to be revealed.
Franco Di Maria
SOME FIGURES
ON EMIGRATION
The Italian work market has for years
opened up to immigrants to do physically unpleasant and fatiguing jobs once done by the
least well-to-do classes. For some time, however, a phenomenon has emerged, confirmed
by the data of Unioncamere, concerning immigrants that decide to work autonomously
as entrepreneurs: to date in Italy there are
over forty thousand firms with owners born
in Morocco.
In Sicily there are 3464 Moroccan entrepreneurs, 1608 Chinese and 1020 from Bangladesh, with a real Palermitan colony of
819 entrepreneurial activities, amounting to
more than 11% of the national datum. Also
significant is the presence of Tunisians in the
Palermo area and Senegalese in the Catania
area.
The biggest numbers of entrepreneurs
from outside the EU is in the regional capital,
with 3260 enterprises out of a total of over
twelve thousand. The black tee-shirt goes
instead to Enna, where just 189 immigrant
entrepreneurs operate. Altogether, despite
the giddy increase in enrolments in the register of Sicilian firms, in percentage terms the
island is bottom in the national classification
for number of individual firms with immigrant owners not from the EU. On the island
as a whole the incidence is 3.8%, in Palermo
5.3% and in Enna 1.5%: not very good compared with the 6.5% national average and the
peaks of 10% attained in Tuscany and Lombardy. The main activity of the firms of immigrants in the Sicilian territory is commerce
(9348), with particular reference to retail,
followed by agriculture, with 921 firms with
owners from outside the EU; lastly, there are
520 firms with owners from outside the EU in
the building sector, 507 in the manufacturing
sector and 230 hotels and restaurants.
Regarding age these entrepreneurs are
mostly aged from 30 to 50. One of the main
problems that immigrants face, in Sicily as in
mainland Italy, is access to credit: there are
still a lot of difficulties about providing the
guarantees required by banks for those that
set out to further increase the rate of entrepreneurship.
Mariangela Vacanti
Anfe puts progress
at the service
of immigrants
One of the proudest boasts of Anfe is the
multifunctional office in Marsala, which offers services to people, also and perhaps
above all immigrants, aiming at insertion in
the work world. It started experimentally in
1998, but soon its activity, recognized to be
113
PERCORSI
PERCORSI WORLDWIDE
ternal appearance, and to find it as much as
possible in one’s own descendants (certainty
and continuity). Pagès has defined this as
“physical homofiliation”, causing hatred for
half-castes, mulattos, half-breeds in general,
the fear of dirtying oneself in the mixing of
blood. Pagès also speaks of “cultural homofiliation”, i.e. the desire for perpetuation of
similarity relating to values, judgments, habits and convictions.
So we come to the Other and his or her irreducible difference.
The Other is the foreigner, the psychically
sick person, the homosexual, in short the
Other with skin, behaviours, codes, language
different from ours. He is identified through
a progressive process of differentiation from
us, i.e. through a perception of Otherness as
aggression of our “normality.” The Other is
the perturbing, what suddenly disquiets our
dreams, our relations, our habits. The Other
is also love, the breakdown of the equilibrium, the end of homeostasis; the Other is the
newborn sib that upsets consolidated family
equilibriums. The Other is then placed in the
friend/enemy dynamic. If a friend, a lover,
then he or she is identifiable with us, he or
she resembles us, attracts us, seduces us,
there is something in his/her difference we
want to appropriate to ourselves, we want to
devour, there is something in us that we want
the Other to eat, to feed on. If an enemy,
then s/he is the “false enemy”, the threat,
the invader (barbaric as an uncivil invader,
deprived of our relationship codes, our language, our customs, our lifestyles).
The Other is the persecutory shadow of
perturbation, is fear, tremor, the blushing
face, nightmare, the monstrosity that attacks our acquiescent personality. The relationship, however, shades the space of difference and conflict, it is useless to hide it.
The shared mental space has to become the
environmental space in which it is necessary
to be able to accept the difference and the
“strangeness” – but above all the extraneous
and the strange that are inside us. Indeed,
the real foreigner, the one in flesh and blood,
evokes and makes visible our parts in shadow and unknown, the extraneous and the
strange by which we are inhabited.
The stranger is not only the person who
is different from us, but above all the one
whose affiliation seems to us an “infidel”
one opposite to ours. The foreigner and the
strange person that are in us face up to the
already known, the familiar, which is reassuring and an object of the continuity between
existing and being-there (seen as “being in
a place”). The fear of the loss of being-there
becomes fear of the foreigner that the Other,
the extraneous reality, ends up representing,
defining and proposing as a shared variable
of fear and anxiety, of panic and depression.
The processes that determine the identifi-
PERCORSI WORLDWIDE
of public utility, was financed by the Sicilian
Region and by the Regional Employment
Agency. Its main activities concern information on the work market, interviews, seminars and training guidance, consultation but
also other types of services like the promotion of independent entrepreneurial activity,
the intersection of work offer and demand,
training courses and informative apprenticeships and assistance in planning actions
for retraining and updating personnel. The
people using the office are varied; they are
mainly unemployed people or ones looking
for first occupation, above all women over
twenty-five; there are few graduates, and a
lot more who have finished senior or junior
secondary school. But the modernity of the
Marsala office concerns precisely the assistance and support offered to immigrants and
foreign communities, with the objective of
building up a synergic communicative network that can facilitate access to services for
foreign citizens regularly staying in the territory, accompanying their processes of reception and integration. With the AL SALAM
project, which aims to demolish the barriers
between public and private administrations
and foreign citizens, the cultural mediators,
in addition to the linguistic and cultural function, also have the indispensable task of supporting immigrants in bureaucratic procedures. Then there is the MAHRABAN project,
whose objective is on one side to favour processes of insertion of immigrants and on the
other side to make a change in institutions
and in the social context, furnishing opportunities for dialogue and mutual understanding. Lastly, ETHNICITY, in addition to reducing linguistic and cultural barriers, aims to set
going cultural initiatives for younger people,
managed in collaboration with parents and
with the people responsible for the various
communities, aiming at the development of
identity and a sense of affiliation to one’s own
cultural roots. For this purpose spaces for aggregation and meetings between Italians and
immigrants have been created (artistic workshops, play workshops, intercultural library,
health services).
Walter Viviano
AMOR SOUHI, A SICILIAN
BOY WITH ARAB BLOOD
A child having one or both parents foreign,
who was born in or came to Italy very young,
is defined as a “second generation immigrant.” But this term, first used in English, it is
not entirely exact or at least appears ambiguous. If it is true that an immigrant is someone
that experiences immigration in the first person, these young people have never had this
experience directly, but, in many cases, only
through stories told by their parents. Leaving aside the ambiguity, the second generaPERCORSI
114
tion people are numerous, very numerous,
and hold out a real hope of true integration.
According to the 2008 Istat report, there are
are 457,000 foreign boys and girls born in
Italy and theirs is not a world apart, but is a
beautiful blend made up of traditions, lore
and customs connected to the world and the
society they live in. So there is nothing wrong
if a boy has an Italian girlfriend, if they go
dancing in the evening, if they speak in dialect, dress according to the fashion, listen to
house music and then pray to Allah and fast
during Ramadan. This is the story of Amor
Souhi, a handsome and strapping man of 22
who from his height of 187 centimetres tells
us his experience as a boy, a boy with a Sicilian mother and a Tunisian father that came
to Italy more than twenty-five years ago and
that together, united in love, have created a
very beautiful family in which Muslims and
Catholics pray together. Whether it is Easter
or Ramadan matters little to them.
Amor, have you ever felt excluded by the
rest of your friends, because of your surname?
Never. And this is the truth. In the milieu
that I frequent I have never felt the least resistance, and besides why should they ever
have excluded me? A foreign surname is only
a different surname, but having been born
and lived in Palermo, I feel I am an Italian citizen to all intents and purposes, with an extra
advantage: knowing the culture of Tunisian
people, which is part of my genetic code.
What have you studied?
I took a diploma at art school, but then I
went on studying because hoping to find a
job in this field is pure utopia.
And now?
I work as a volunteer in the Red Cross. I recently returned from Abruzzo, where we tried
to give a hand to these people afflicted by the
earthquake. Before this experience, I worked
as a volunteer in Civil Defence. I believe that
helping others is my true nature and priority,
but in this field too finding a job is very difficult, and people my age know all about it.
Amor, do you believe in God, Allah or
who?
I believe in a single God. We can call him
whatever we want, he is always God. Really,
I can’t understand all these wars between
Catholics and Muslims. My mother is a Catholic, my father a Muslim, and in twenty-five
years they have loved each other a lot apart
from religion.
Here, in your family, how do you experience religious moments?
In free respect for everyone. In the Ramadan period, for example, I fast too and not
because my father has imposed it on me, but
because I feel like doing it without any obligation. My father is a very important figure,
he has given me some great teachings and
when I have been wrong, he has explained
my errors to me with his example and reasoning. And then I have a deep respect for his
personal story, for the sacrifices that he had
to face by going away from his land and raising a family with dignity and love.
Do you speak Arabic?
I understand it perfectly, though obviously I
speak more Italian.
In future, would you like to go and live in
Tunisia?
Yes, because life is more relaxed there, and
if my father, when he retires, wants to return
to his country, I will follow him.
What do you think about the position recently taken up by our government on the
problem of clandestine immigrants?
I believe that those who govern do not have
the slightest idea of the personal tragedies
that each of these people is forced to face
when he or she decides to undertake these
“journeys of hope.” And the decision to send
them back means literally sending them towards hell.
Amor, what music do you listen to?
The kind of music that I prefer is Argentinian
tango, but I also like Battiato, blues, jazz…
What do you love in Tunisian and in Italian culture?
Of both Italy and Tunisia I love the art, the
history, the literature and obviously the cuisine!
What do you hope for your future?
I would like so much to find a job as a nurse,
this is the way forward for me, and then I am
very happy with my fiancée Cristina and I
hope that our union can continue. In short, a
calm life which is the hope of any young man
my age and then, in future, I want to raise a
family, to have some children and then I will
say say to them, on the day of their birth:
“Marhaba.”
And what does “Marhaba” mean?
… Welcome…
Paola Pottino
At SCHOOL WITH AHMED
Like every year, when schools reopens, in
front of the gates of the schools in our city we
find the usual gathering of children and boys
and girls that, schoolbags on their shoulders,
await the sound of the bell. But, unlike some
years ago, now, in addition to the “homegrown” children, awaiting the bell that signals the start of the lessons there are children
that are North African, Singhalese, Chinese,
Romanian, Albanian… And often, according
to teachers and staff, they are also among
the best and most willing. Without considering the fact that if they were not there a lot
of elementary and middle schools would be
in big difficulty, since they would not succeed
own language, as many of these children
were born in Palermo and consider Italian
their first language. This happens among the
Tamils from Sri Lanka, who are guests of the
Peppino Impastato comprehensive school
in Piazza Principe di Camporeale. Three afternoons a week, the pupils, divided into six
classes by age, study Tamil language and literature, English and Italian: “We have at last
found a place to let our children study,” says
Thayaraj Thayalan, a teacher of English, “we
want to preserve our oldest traditions in the
young generations, but at the same time to
let the children learn Italian well for better
integration in the territory.” “Yes, I like studying together with him. He’s a classmate of
mine, but all the same I explain some things
to him, so I feel older and better, a bit like our
teacher.” The person speaking is Giulietta,
a twelve-year-girl that sits with Mhedi, thirteen, from Casablanca, Morocco. “I started
school here in Sicily. My classmates immediately became my friends. Certainly, the
first day is difficult for everybody, but I don’t
think it depends on where you come from or
where you were born.” What a lot of wisdom
and truth in the words of Khaled, with a blue
smock and starched red bow; the emotion of
the first day of school is universal. He doesn’t
even remember very well the name of his native town, because he arrived in Sicily still in
swaddling clothes together with his family.
He attends the third elementary class and
has every intention of going on studying like
all the other children in his class. During the
break Ahmed and Giovanni play together and
share their tuck. The food that now circulates
in schools is also different from a few years
ago. Alongside the classical brioche, the ham
and mozzarella sandwich and the bun, there
are containers full of couscous, brochettes,
tajin… The fact is that parents and children
bring in their satchels dishes typical of their
country of origin, sometimes swapping recipes in the most disparate languages. This too
is integration, not only among students, but
above all among their mothers. We know, as
always, at table we are all one family.
Claudia Brunetto
God? He makes
the commander
and calls him Asik
26 June 2009, Lampedusa. Francesco Viviano, a Palermitan journalist, receives honorary
citizenship of the island for his commitment
to immigrants, thousands of whom every
year land on its coasts.
Viviano is not new to vicissitudes, often dangerous ones, that see him involved alongside
people from outside the EU, like the recent
one that had as its protagonist a commander
and his ship: the Pinar.
From this tragic story a play came with the
title “The door of life”, brilliantly played by
Filippo Luna and adapted for the theatre by
Maria Elena Vittorietti. The show, already
presented at the time when the journalist
was made an honorary citizen of Lampedusa
and to be repeated at the Salina Doc Festival, goes step by step over the vicissitudes of
some of the protagonists that experienced
this tragedy: from the escape from their own
villages out of fear – certainty in many cases –
of being killed, to crossing the desert to reach
Libya, the rape of women, embarkation on
dinghies and old wrecks that the profiteers
still call boats and from which those that
don’t make it –mostly children and women
– are thrown in the sea like potato peel, to
the meeting with captain Asik Tuygun, whom
everyone on board calls god, a man that did
what his heart told him to, without hesitating
to jeopardize his own life, that of his men and
his earnings.
These are shocking but true testimonies,
improbably true, collected by the journalist,
who when he heard the unbelievable story
of this ship, anchored between Malta and
Italy, loaded with over one hundred and fifty
souls left to their own devices, at the mercy
of laws and bureaucrats who passed on all
responsibilities and duties, decided to rent a
raft and after 45 miles of heavy sea asked to
go on board the Pinar. From here he began to
spread news, and as by a miracle the whole
of Italy was on the bridge with him. The commander Asik Tuygun risked his job, the shipowner was angry because all this delay in the
delivery of the freighter represented a big
financial loss. But by this time even if he had
wanted – and he didn’t want – Asik could not
move. Meanwhile, on the bridge, the captain, his crew and 154 desperate people, and
an eighteen year-old girl who had died with
her baby in her womb, had been waiting for
ten days.
In the meantime there was the risk of an
epidemic on board. The authorization finally
came to moor in Porto Empedocle. The odyssey had ended, at least for Asik and his men.
Another one now began for all the others.
“Rejection” was a new word that 154 people
would soon learn.
Viviano could only go on spreading information, it is his job, he does it well, it is his
contribution to justice, his piece in the difficult puzzle serving to build a better world.
We asked him to tell us about one of the investigations that have made him famous, as
a frontier envoy.
I have been dealing with clandestine immigrants for decades. When I worked at Ansa I
did a report from Pantelleria of 70 lines that
no one published, but after a few years, when
the phenomenon had come to the attention of
everybody, I read a sentence that I had written on that occasion: “When they arrive they
115
PERCORSI
PERCORSI WORLDWIDE
in reaching the minimum number of 500
enrolments. Yes, because in many cases foreign students constitute a percentage varying between ten and twenty-five percent of
the school population that gravitates in the
classrooms.
Roberta atends the second class at the
Pecoraro junior secondary school in Palermo and, though her parents cannot buy
the textbooks, she studies from photocopies and now she can read and write in Italian
correctly. She is a Rom child from the gypsy
camp at the entrance to the Favorita Park.
Like her, 88 other Rom children are regularly
enrolled in the schools in the city. Hajar too,
a Moroccan child who came to Sicily from
Libya on a makeshift boat, after having been
followed by the teachers with the project of
the school in the Villa Sofia hospital, now successfully attends the third elementary class.
These are only fragments of stories of young
immigrants that are now an integral part of
the Palermo school population thanks to an
increasing process of sensitization and a multiethnic approach to teaching. “The children
at my school, despite the big material difficulties that they have and the precarious life
they lead, in class endeavour to do their best.
They are curious, they desire to be accepted
and to contribute in turn to school life. For
Rom children an agreement has been signed
between the schools in the city nearest to the
gypsy camp to favour insertion in school: De
Gasperi, Monti Iblei, Pallavicino, San Lorenzo, Tomaselli, Trinacria, Borgese, Florio, Marconi, Orlando, Pecoraro and Virgilio Marone,”
says Maria Giovanna Granata, an executive
of the Alcide De Gasperi school, which has 45
Rom pupils from play school to primary.
“You should make more effort, as Ahmed
does”: Giovanni may happen to hear his
teacher say just this to him. The fact that
foreign students are more interested and
present than others could also derive from
the fact that they feel, “a step behind” the
others for language reasons. But in this case
too they are supported both by the teaching staff, who integrate Italian as a second
language, and by their classmates. “There
are a lot of difficult situations,” says Giuseppina Sorce, executive of the Madre Teresa di
Calcutta school, “but by and large I can say
that the foreign children are happy to come
to school. For them it represents an opportunity to know the culture of the city that hosts
them, and to learn to read and to write in Italian so as not to eternally feel like foreigners
among us. They are really keen and strive to
make up for the lacunae that they inevitably
have.” Moreover, a lot of communities of immigrants see in school the only way to protect
their traditions and their culture. This way the
children study the whole day, in the morning
in Italian school and in the afternoon in extracurricular activities in which they learn their
PERCORSI WORLDWIDE
ask for the station but the only station on the
island is the police station.” I became more and
more interested in the subject, making investigations in Libya and Tunisia, talking about the
phenomenon and above all giving names and
surnames of the profiteers, some “important”
ones, officers in the Libyan or Tunisian army
that favoured the transporting of desperate
people. I had got into the reception centre on
Lampedusa pretending to be from outside the
EU and for this reason I was reported and convicted for “declaration of false generalities.” I
had succeeded in reaching at sea the Capanamur blocked in the sea for 15 days with 35 clandestine immigrants on board.
The investigation on the voyages of clandestine immigrants was one that I had intended to
do for a long time and so together with my colleague Luigi Pelazza of the “Iene” programme
that I met while I was preparing the report, I
decided to set out.
Despite comprehensible initial distrust on
the part of the boaters, experience helped me
to approach them. I found a contact with the
doorman of a disreputable pension in Tunis.
About fifty euros was enough to get the name
of another contact, who in turn, well oiled,
took us to another one and so forth. After
about fifteen passages and almost a month,
at last at Mahdia, between Sousse and Sfax,
we contacted the boater that would take us on
board.
He couldn’t understand why we wanted
to take that trip risking our lives, but we succeeded in convincing him and when he was
certain that we were not police officers or secret agents, he accepted, not without setting
the condition that we would pay a double price
for the voyage.
We accepted and Mansour, a big 40-yearold fisherman, took us to a farm on the beach
where we found about ten clandestine travellers. They were poor desperate people; with us
there was also a woman with two children, 3
and 4. A real torment. That day our odyssey
started. We slept on makeshift pallets; there
was only Turkish toilet that soon clogged up.
Luckily in the garden there was a tap with water and somehow we got by.
I asked the woman if she could swim and
she said no. She told me it was not important
to know how to swim. And when I asked her
what she would do if things went wrong and
the boat was crushed by the waves and sank,
with great calm and resignation she answered
that everything is written: “if Allah wants I will
reach Italy, Europe, with my children, and if
he doesn’t want, it means that he has decided
this way. So what’s the point of knowing how
to swim?” That answer gave me some difficulty
and I too, a short time after departure, began
to have bad thoughts, which subsequently
turned worse on the eve of departure. Mansour
had found a boat and had put two outboard
motors on it. Naturally I thought about my
PERCORSI
116
children, about you too, here to interview me,
my mother, my wife, to whom I had promised
that as soon as I left I would let her know by
phone. I didn’t do it, it served no purpose.
A short time before departure I extracted
from my backpack a lifebelt that I had brought
together with a radio transmitter and a satellite phone. I gave the woman my lifebelt and
she put it on. The tension in the hideout was
terrible and turned incandescent when Ahmed,
one of the young clandestine people, already
expelled from Italy once, started to protest
that he didn’t know how to swim either and
that he should wear that lifebelt. They were
dramatic moments when anything could happen. There were knives lying around and he always had one in his pocket. I had one too that
I had brought for other uses. I was afraid, very
afraid, but the other people sided with me and
Ahmed desisted.
We were ready, we were waiting for the
phone call from Mansour to direct us towards
the point where the boat was waiting, when
hell was unleashed. Beams of light from photoelectric cells lit up the embarkation area, and
we also heard some shots. Our hideout was
three hundred metres from the beach; we put
out all lights and waited. A few hours later we
heard sounds of patrol boat motors and lorries.
It was Tunisian soldiers that, probably warned
by someone, had intervened and seized the
boat and arrested two of Mansour’s friends
that had organized everything. Shortly before
dawn we saw Mansour appear, full of bruises,
and scratches all over his body; he told us to
run away fast. In the eyes of the woman you
could see despair, but also so much faith. “Allah this night has not wanted, but you will see
that sooner or later he will give me the green
light” she told us while she was going away
with her two children, one of whom had a shirt
on on which it said in English Go where the
wind takes you.
The story of the Palermitan journalist who
to do a report on the routes of clandestine
emigration pretended to be a non-EU citizen
and joined the queues of desperate people
awaiting expatriation.
Walter Viviano
Buenos Aires,
Palermo, Venice
in the cobweb
of Saraceno
In Palermo there came into being the fascinating cobweb of elastic cables that made
everyone ecstatic at the Venice Biennale, appearing in national TV news bulletins and in
the pages of daily papers like the New York
Times and the Herald Tribune. An installation that in its primordial simplicity unites
beauty, technological boldness and harmo-
ny. The work of the Argentinian artist Tomas
Saraceno is entitled “Galaxies Forming Along
Filaments, Like Droplets Along the Strands of
a Spider’s Web” and it represents on a large
scale the cobweb of a spider, but it is also a
model of the very origin of the universe.
What are the meetings and encounters
that have determined your artistic development?
I have travelled a lot and I can say that every country has left a trace in me, Germany,
Argentina, but also Iuav in Venice, where I
found good teachers, not only Italian.
Which artists do you consider reference
points?
So many, difficult to choose one. However
certainly Thomas Bayrle, Olafur Eliasson,
Dan Graham, Kyula Kosiche, R. B. Fuller, Sonic Youth and Ant Farm.
You belong to that big population of Italians that live outside the geographical confines of their nation – where do you consider to be your home?
When they ask me where I am from I answer: “from the planet earth till now.” Anyway, today I live in Frankfurt and since I returned to Europe I have succeeded in getting
good friends again. My family is of Italian origin, my father is from Milan, but I was born in
Argentina. I was a little more than a year old
when we moved to Italy and then ten years
later in 1986 we returned to Buenos Aires,
where in the meantime democracy had been
re-established. A couple of years ago I went
back to see the places of my infancy, the
house where I lived and played, which is at
Pasian di Prato, near Udine, where my cousins and my uncles and aunts live.
The secret of your work?
Can you say ‘mobility’ in your language?
The secret is never to stay still for too long.
How do you see contemporary Italian art?
I would not know how to judge, but what
surprises me is that the Italian artists that I
really like don’t live in Italy.
A judgment on the Biennale?
In Venice I was happy, I felt at home, my
parents always took me to the lagoon. The
Biennale was very beautiful, there were so
many interesting things but the work that
struck me most was certainly that of Thomas
Bayrle.
Tomas Saraceno went to Venice thanks to
the Garrone Foundation in Genoa in synergy
with the Sambuca Foundation in Palermo,
which came into being just under a year ago
thanks to the dream of Marco and Rossella
Giammona, entrepreneurs specializing in
the recovery of the monumental historical
patrimony. “The Sambuca Foundation aims
to bring to Palermo artists, collectors and
art-loving entrepreneurs that want to invest
Antonella Caradonna
MUSIC MAINTAINS
THE ROOTS
Music, theatre, cinema… There is also an
artistic side to Anfe. Maintaining traditions,
nurturing roots – this is another task of the
association, so when in the streets of Montevideo or Buenos Aires you hear someone
humming Ciuri ciuri people cheer up because
the objective has been attained.
Thanks to the collaboration of artists of the
calibre of Mario Venuti, Carmen Consoli, Sun
and Arancia Sonora, music has thrown out a
bridge to our communities overseas, above
all to young people, holding out a strong
message of affiliation to the land of origin.
“I like to think of emigration as an added
value. Italians have taken the richness of their
customs, language, literature, art and cuisine
to the host countries.”
The person speaking is Carmen Consoli. We
met her in Argentina, one of the overseas
destinations of her show Eva against Eva.
What does it mean to sing for a Sicilian
audience in a country that is not Sicily?
I love contaminations; my show is a contamination of genres, a dialogue between
theatre and music with monologues by
Emma Dante written for Simona Malato.
Singing abroad gives me a chance to see
how the Sicilians have contaminated the
place in which they have settled. In Buenos
Aires I inserted some songs in Sicilian dialect
continuing along the pathway involving the
recovery of the Sicilian folk song. Our culture
possesses an extraordinary richness of texts
and music with some high-level harmonic
and melodic arrangements.
Can music be used as an instrument for
preserving roots?
Yes and also more. Music can be also a political instrument. Political but not a party
instrument, in the sense of being an instrument to propose ideals. Politics, in its noblest
expression as service to citizens, becomes
the common language of all people and as
such a locus of pacific and harmonious cohabitation of varied humanities, differing in
race, sex, ideas and religion.
Do you believe that music can wipe out
the confines marked out on the planisphere?
As Baudelaire said, music evokes, reminds.
All arts have the power to evoke feelings and
emotions, to bring to mind a distant land, a
taste, an odour, a lost love. Watching a movie, visiting a country, music comes back into
the mind. Art succeeds in concentrating all
the feelings confined to the undergrowth of
our rationality.
To what extent do you feel you are a bearer of Sicilian culture?
Each of us is a bearer of a culture. We Italians have it in our DNA; we are bearers of
culture and beauty. But culture is an authentic economic resource and it is a pity
that the institutions don’t realize it and lose
talented young artists, who go away from
Italy in search of a land that will host their
ideas, their arts. I feel I am a bearer of Sicilian culture, not only abroad, but also in Italy,
in Sicily, in Palermo, in my own city Catania.
We have been ashamed, too long, of the Sicilian language, not realising that it is poetic
and for this reason known all over the world.
The poetries of Buttitta, of Pitré, the whole
Sicilian anthology is untranslatable. I have
travelled a lot, in some respects I can also
consider myself an emigrant, though I have
not been forced to leave my land to seek my
fortune. I have found my Eldorado in Catania.
Nobody wanted to produce me, I sent samples everywhere, to Milan, to Rome, without
any result, yet they were samples of songs
that then became very popular. In the end a
Catania man produced me. Today I live between Catania and Paris, but I always return
to my city, I cannot be far away from Etna,
and for me Sicily is not a point of departure
but of return.
Do you believe that for emigrants too Sicily can be a point of return and not of departure?
We Sicilians are always about to depart. As
my grandmother said “nuatri ama a partiri
siempre (we always love going away). Up
to the age of eighty si tu rici a na fimmina ri
partiri idda si fa i valigi (if you tell a female to
go away she packs her bags).” Then, however, she doesn’t really succeed.
But the desire to return?
I would not speak of a literal sense of the
term. I would say, rather, that we return to a
feeling, to a feeling that we Sicilians succeed
in creating in every place we move to. We
create our Sicily in the place that we choose
as an abode. Then Argentina is so similar to
our country that the distance is felt less, it
doesn’t work in the same way, if you go to
live in Denmark.
What message do you want to give to
young Sicilian emigrants?
To create value. We young people are skilled
and good at creating value. Because we fall in
love with things. With people, trades. We put
energy and passion into everything we do. As
they say in my part of the world “ni ittamu cu
tuttu u sceccu” (we throw ourselves in with
all the donkey), we throw ourselves headfirst
into everything that we do, without brakes,
without minding about the tiredness and the
sacrifices that this involves.
Antonella Caradonna
Sicily on film
Franco Nero – a Donatello David as the best
lead actor in The Day of the Owl (1968) by
Damiano Damiani – this year too, for the second time, is a guest of the Sicilian Film Festival, being held for the fourth time. Already a
guest last year for a prize for his career, Franco
Nero, an actor in no fewer than 12 films made
in Sicily, has agreed to return to America as
a guest of honour of the festival, all devoted
to Sicily, during which “The Plague Sower”
based on the novel by Gesualdo Bufalino was
shown. We caught up with him fishing in the
bay of Miami Beach, Florida, while struggling
with a school of barracuda.
“I have always had a very beautiful bond
with Sicily, which began at Partinico when I
filmed ‘The Day of the Owl’ with Claudia Cardinale. The year after Damiani again asked
me to work with him, this time in Confessions
of a police commissioner to the public prosecutor, the Italian film most sold in the world.
I played the part of a judge, judge Falcone.
The Plague Sower too, People of Respect
by Luigi Zampa, from the Sicilian novel by
Giuseppe Fava and The man excluded were
made in Sicily. And I have to say that all the
films made in Sicily have always gone very
well. Sicily brings me luck. In Palermo I was
a guest of Donna Silvana Paladin, who has a
splendid old residence near Villa Igea. I preserve some beautiful memories, parties with
friends and people met in the place. This year
I have agreed to return to the Sicilian Film
Festival because it is small in that it is familiar, but big for the beautiful films to show the
Americans.” Franco Nero is not lying: the
bond exists and is strong. Every year he re-
117
PERCORSI
PERCORSI WORLDWIDE
in Sicily, to give the world better knowledge
of this part of paradise,” declares president
Giammona appealing to Italians in the world.
“It is a duty of all entrepreneurs to invest in
art. In our land in particular the coupling of
art and enterprise is not extraneous to the
traditions: you just have to think about what
the Florios did one hundred years ago.”
According to the administrator of the exhibition Paolo Falcone “Saraceno’s work blends
science, art, architecture and spatial research
and is a perfect synthesis of the future cultural planning of the Sambuca Foundation.”
The success in Venice stimulates the founders, who together with the financier Fulvio
Reina, after having formed an association
with the Riso museum regional, aim to create
an archipelago of display places defined ‘a
diffused museum system’. A series of charming and unusual spaces that go from a period
Rolls Royce to the wharf of a merchantman,
through the manege of Palazzo Sambuca
and ending in the former barn of one of the
most precious noble mansions in Palermo.
“Everything can be turned into a venue for
contemporary art,” concludes Falcone, “art
and territory must hold a dialogue, and from
this blending a new Palermo will be born.”
PERCORSI WORLDWIDE
turns to Sicily: “I go to Capo d’Orlando to fish
for surici,” he confesses to us. A consolidated
American showcase of Sicilian cinematography, the Sicilian Film Festival, was held at the
Miami Beach Cinematheque with the patronage of the Sicilian Regional Parliament.
The Sicilian Film Festival promotes overseas Sicilian culture and cinema, offering
plenty of attractions and surprises and paying tribute to Sicilians or people originating
from Sicily, who have been part of the history of world cinema. But also non-Sicilians
can aspire to a tribute at the Festival. When
it was held for the fourth time the prize for
the best director was won by Marco Amenta for The Rebellious Sicilian Woman, at the
same time as it was being distributed in
Italy. The lead actress in the film, Veronica
D’Agostino, won the prize as best actress.
The film had already won two nominations
for the Donatello David (best debutante director and Young Davids). The Sicilian Film
Festival has the merit of having for the first
time highlighted all over the world the existence of a real “Sicilian cinema” and its
internationality. Numerous films have been
submitted for selection by Italian and foreign
productions. From Hollywood MGM sent the
famous film Dressed to kill by Brian De Palma
and produced by the Sicilian George Litto,
to whom the festival devoted a meeting for
him to talk about his successful career. In
the competitive section here are some titles
of certain interest: The Viceroys, a big transposition by Roberto Faenza of the novel by
Federico De Roberto; Cover Boy by Carmine
Amoroso, the Italian film that has won most
prizes at international festivals, produced
among others by Augusto Allegra, who held
a lecture on Sicilian cinema production; films
by young Sicilian directors like Lisa Romano
(If you close your eyes). There are also numerous documentaries, some presented by
Gambero Rosso, on the culinary tradition,
among them Street food and one devoted to
Prince Alliata, and then The sea like wine, by
Luigi Valente, on the Favignana tuna station,
and yet others on the Sicily of Vincenzo Consolo and on various feasts and celebrations in
Sicily with filming in Palermo, Trapani, Selinunte, Marsala, Motya, Ustica, Sant’Angelo
Muxaro, San Biagio Platani, Prizzi, Terrasini,
Cinisi, San Martin delle Scale, Etna, Acitrezza, Syracuse, Vara and other places.
This year too Montalbano’s Sicily was one
of the special events (with the collaboration
of Antonio Bruni, RAI representative for international festivals) who for the second
time brought the American audience the
new series of the TV fiction played by Luca
Zingaretti with the title Paper Moon and
based on the novels of Andrea Camilleri. For
feature films an international jury assigned a
prize for the best film, the best direction, the
best cast and the best technical contribution;
PERCORSI
118
there were numerous short films by young directors, showing the vitality and the future of
Sicilian cinema; there was an exclusive showing of the six short films that were finalists
in the Sicilian shorts section of the Taormina
Festival, directed by Deborah Young.
The Sicilian Film Festival – whose creator
and president is the sculptor Emanuele Viscuso while the artistic director is Salvo Bitonti,
a theatre and cinema director and a lecturer
in History of the Cinema and Directing in Turin – is getting Sicily known and appreciated
all over the world. At Tegucigalpa, Honduras,
with the support of the Italian Embassy there
will be an event devoted to the festival in
which the film Letters from Sicily by Manuel
Giliberti will be shown, as well as the short
film Phaedra by Salvo Bitonti and the documentary Stories of Sicily by Sasà Salvaggio,
who has already won prizes at previous festivals. Among the other novelties, a SicilianFilmFestivalWebTV is being worked on that
from the next edition should be present with
its TV cameras.
We must mention that at the second edition the mayor of Miami Beach officially proclaimed a Sicilian Film Festival Day and gave
the keys of the city to its creator Emanuele
Viscuso who, an all round promoter of Sicilian culture, has also already directly created
in Sicily the International Festival of Organ
Music in Churches in the Historical Principality of Castelbuono (F.I.M.O.) whose first edition, promoted by the same type of communication as an international cinema festival,
was highly successful. President Emanuele
Viscuso has also confirmed the artistic direction of Diego Cannizzaro for the second edition of FIMO from 8 to 14 September 2009.
“For an Italian abroad,” says Emanuele Viscuso, a Palermitan sculptor who lived in Milan
and then moved to Miami, “a festival of this
type is almost a shock. Sicily has always only
been at the centre of attention for the usual
commonplace. A whole festival for an international public and devoted to the island, to
its culture and creativeness, to its poetry and
the history of Sicily, to its cinema outside the
obvious mafia theme, is an unexpected gift
to my Region. A gift to Sicilians and all Italians, accustomed in some respects to be a little ashamed of this very particular sister. The
SFF is not a markedly local phenomenon, for
the whole world is talking about it. We get requests to repeat it all over the world, as from
the whole world, even from India or Syria or
Egypt.”
Carla Incorvaia
Joe’s sea,
from Sicily to Alaska
It all started with a salmon sandwich. The
fact is that Vincenzo Incontro – the director of
Plemmirio, the protected marine area in Syracuse of which he is considered a pioneer, as
well as having been for eight years the underwater advisor for the Rai programme “Linea
Blu” – while at Punta Bassana on Marettimo
to film all of a sudden felt hungry. So to satisfy his appetite he turned to the local fishermen. They gave him a sandwich with the high
quality fish. “I immediately wondered where
it had come from,” Incontro says, “and they
told me: we have been catching it for more
than 100 years.” This was the start of the
story “Joe’s sea, from Sicily to Alaska.” The
documentary narrates the life of Sicilian fishermen who go abroad to the United States to
catch a species of salmon that is among the
most appreciated in the world, red salmon,
sockeye. The project, costing 120 thousand
euros, was realized thanks to a co-production
of Scubafilm and Anfe, the national association of emigrants’ families, and will have its
world preview on Marettimo in the month of
June. “There are still communities of Marettimo people that live in the United States,
more than a thousand in Monterey in California, who every year for two weeks catch
the sockeye salmon in places like Coldbay,
in the bay of Bristol, in the coldest waters
in Alaska, opposite the Aleutian Islands, at
Nackneck. There are the folowing families:
the Guerras, the Bonannos, the Aliottis and
the Campos that also originate from Isola
and Trapani. The biggest fish dealers are
from Augusta, the Trincalis: they speak old
Sicilian and American.” The photography for
the documentary is by Marco Mensa, of Ethnos, a Bologna production company which
also includes the sound technician Maurilio
Quadarella. “It took two years of researches
and surveys,” continues Enzo Incontro, “and
Skype connections. But we succeeded. The
fishing lasts five weeks, from June to July,
and every year hordes of young people set
out. The fishing business is big and can even
reach a hundred thousand dollars. Also, the
activity is rigidly regulated by the fishing authority, “Fish and game”, which rigidly controls fishing and only opens the fishing when
the biologists have ascertained that the number of salmon going up is the correct one to
ensure the continuity of the species.” Filming
lasted three months on Marettimo and in California and Alaska. The character in the story
is Joe Bonanno, alias Giuseppe, 63 years, who
has lived in Monterey for more than 40 years
though his heart is on Marettimo. “The most
overhwleming thing,” says the director of
Plemmirio, “is to see the preparation of provisions and foods. Theirs is purely Mediterranean cuisine. They prepare couscous and
arancini and eat in their lodgings. The fishing
is intense and the climax is on 4 July, when by
the biological clock there is the biggest number of fish caught. With the first fish caught
the salmon is prepared a ghiotta, with pota-
Carla Incorvaia
Third clapperboard
for the
Salinadocfestival
So we come to the third edition of SalinadocFest, the narrative documentary festival
conceived and directed by Giovanna Taviani.
It has proved to be a winning bet organizing
a festival in the heart of the Aeolian archipelago, which more than once has been the
undisputed protagonist of the history of the
cinema.
This year, images, sounds and realities of
the Mediterranean will alternate with one
another from 18 to 27 September in an itinerant festival on the island, divided into various
sections.
The cinema section includes the competition “My country: the invisible people”, and
“Memory items”, a space reserved for the
projection of documentaries by big names
in Italian and overseas cinema, this year devoted to the great Roberto Rossellini. Then
the section “Window on the present” centres
on the documentary production of young
cineastes who are already well known: they
will each hold a meeting-lesson at the end of
the showing of their films.
Exclusively for the island public is the threeday event “Let’s document”, with voting and
a prize for the best documentary among
some big contemporary titles that have contributed to redefining the genre.
“Glances at Italian cinema” is the section
devoted to young Italian directors who mix
documentary elements with cinema fiction.
In the “Special cinema section”, John Turturro will present his new documentary on
Sicily. Then the twinning continues with the
prestigious Mostra Internacional del Cinema
de Sao Paulo.
Another important section of the festival is
the one devoted to literature, to writers and
intellectuals that have distinguished themselves with their civil commitment on the
border between literature and cinema.
The section “Theatre and music” also
contemplates the presence of the dramatist Emma Dante, who will converse with
Polyphemus, and the cuntista Mimmo Cuticchio, dealing with Ulysses.
Salinadocfestival is also an important event
with workshops for teachers, master classes
on the documentary, a documentary photography contest and a creative writing one.
Another important feature is the interna-
tional conference – organized by Anfe with
the collaboration of the U.N. and Save the
Children – on the drama of ghost children,
unaccompanied minors that disembark on
the Italian coasts.
There will be numerous prestigious guests
during this third edition: among them, in addition to those already mentioned, there will
be Vincenzo Pirrotta, Dacia Maraini, Vittorio
Taviani, Carlo Lucarelli, Isabella Rossellini
and Wu Ming.
Alessia Franco
And Giovanna Taviani
created the
SalinaDocFest
A contemporary literature scholar, an essayist and a well-known cinema critic, Giovanna Taviani already attracted the attention
of the public with her first two documentaries “OUR THIRTY YEARS: GENERATIONS
FACING ONE ANOTHER” presented at the
Turin Film Festival, and “Return”, presented
at the 2006 Rome festival.
Immediately after taking her degree in literature she became part of the editing staff
of “Allegoria”, a literary theory and criticism
journal run by Romano Luperini. Her immense desire to narrate causes her to overcome any confine and barrier.
In 2007 on Salina she organized the first narrative documentary festival, SalinaDocFest,
beginning with a major success in terms of
reaction by critics and the public.
It was repeated in 2008 with just as much
success, and this year too is being done again
with a programme rich in meetings and initiatives.
SalinaDocFest began just two years ago
with a good response from critics.
What has changed this year and above all
do you think you have attained the objectives that you set yourself?
Right from the start the Festival has certainly had a good media response due to the
fact that we have offered a broader cultural
range. Salinadocfest is not meant to be a
fashionable showcase but aims to propose
sustainable cultural tourism through the
creation of an ideal place also serving as a
workshop for reflection on the documentary.
In this connection, Salinadocfest is first of all
a festival of “cinema of reality”, devoted to
new documentary production which in Italy,
unlike what happens in other countries, finds
no distribution space able to give it visibility
on screens in the national circuit. The documentary has the purpose of reconstructing
reality through a personal gaze.
In 2008 half of the ten competing films
had emigration as their theme and this
year too a considerable space is devoted to
the same theme. The soul of the festival has
precisely been emigration. We all know that
today emigration is still a real and objective
condition but don’t let’s forget that it is also a
subjective-internal condition. Today the condition of the emigrant is proper to the intellectual of the third millennium, who in writing
still sees an anchor of salvation for claiming
his or her own identity. I myself feel like an
eternal emigrant, exiled and estranged, in
relation to a society in which I often don’t
identify myself.
This year too the cinematographic partnership continues between Salina and Sao
Paolo. What has inspired this union and
above all thing what do two such distant
peoples have in common?
Brazil is a land of escapes and arrivals, exiles and departures, like the Aeolian Islands,
it belongs to the history of men that know
the drama of emigration and exile from their
own land. For this reason we thought about a
twinning with such a geographically distant
country. There is also a Brazilian cinematographic tradition which the Salina festival
cannot not take into account (one name for
all of them is Glaubers Rocha) and a new generation of Brazilian documentarists that is
forcefully recounting the atrocious truths of
a country where the drama of the desaparecidos is still awaiting justice.
In the section devoted to conferences,
this year too Anfe is organizing an international conference on the theme “The Ghost
Children.” How sensitive do you think public opinion is to the drama of unaccompanied minors that disembark on the Italian
coasts?
The theme of unaccompanied ghost children that every year after disembarking on
our coasts are lost in the capitals of Europe
and turn into invisible ghosts is an urgently
topical theme on which public opinion should
concentrate its attention more. The documentary cinema of the new generations feels
this problem very much and often chooses
this as a privileged subject (I am thinking of
the cases of Constanza Quatriglio, a Palermitan documentarist, and her The world on
top, and Paradà by Pontecorvo, the son of
Gillo Pontecorvo, another maestro of Italian
cinema, which could be shown at the Salina
festival at the end of the international conference organized by Anfe).
There are a lot of cultural proposals and
a lot of guests in this new 2009 edition of
SalinaDocFest. Can you tell us something
about it in advance? Do you already have in
mind any guest in particular you would like
to speak about?
What is new about the third edition is opening up to the Mediterranean and all those
countries that share habits, culture and traditions with our country, particularly with
Sicily. The guest of the next edition will be
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PERCORSI WORLDWIDE
toes, olives and tomato and rich in Omega.”
Thanks to Anfe and the work of Enzo Incontro of Scuba film and Marco Mensa of Ethnos
in Bologna “Joe’s sea, from Sicily to Alaska”
will go round the world.
PERCORSI WORLDWIDE
Spain, to which we will dedicate a specific
focus on the documentary, beginning from a
tribute to the great Spanish director Buñuel.
The intent is to create a Euro-Mediterranean
network, made up of exchanges and of meetings, extending from the north shore to the
south shore of the Mediterranean, to North
Africa and the countries of the Middle East.
In this direction the Committee of Honour of
the festival has decided to assign for the new
edition of the festival a literary prize for the
Pakistani writer Mohsin Hamid, an emigrant
to England, for The reluctant fundamentalist;
from the United States instead we are waiting for confirmation of an invitation to some
illustrious characters of the cinema (whose
names I will not say to be on the safe side)
who could be present at the festival for the
sixty years since the film Stromboli, Land of
God by Roberto Rossellini to which the Salinadocfest will pay a tribute.
Stones tell a story
The Aeolian Islands are a sort of bridge
between Sicily and mainland Italy, and have
always been a meeting place of traditions,
peoples and different civilizations. Inhabited
starting from the Neolithic because of the lure
of obsidian for the surrounding peoples, they
were the place of manifold prehistoric settlements that the shrewd and impassioned work
of Madeleine Cavalier and the Genoese Luigi
Bernabò Brea brought to light; these people
also created the Aeolian Archaeological Museum, today named after Bernabò Brea; this
place preserves the memory of the history of
this central place in the history of the Mediterranean. From Filicudi (Montagnola di Capo
Graziano) to Panarea (huts from the Milazzese middle Bronze Age), to Salina (Portella),
the pathway unfolds through the millennia of
prehistory spent among the dry-stone walls
of the circular huts perched among insidious
rocks often sheer over the sea. Here came
the Mycenaeans in their wandering in search
of metals, but also Greeks and Romans. To
the latter we owe the alluring collection of
masks and figures from Hellenistic-Roman
comedy or the sunny marine colours of the
Lipari Painter, who left his fine decorations
on the vases of the epoch.
In the sea around the Aeolian Islands, traces of those millennial passages have been
recovered in the cargos of amphoras and
quality china like the black-painted china
from Campania, recovered in the Capistello
wreck off Lipari. However, one of the richest
areas for underwater archaeological finds is
the Capo Graziano area, in the waters of Filicudi, where an insidious shoal was the cause
of many maritime tragedies like that of the
cable ship Città di Milano, which lies below
it at a depth of over 100 metres. Here it is
PERCORSI
120
possible to visit wreck A, named after Gianni
Roghi, from which there are Greek-Italic amphoras scattered on a sandy saddle and in a
gully together with black-painted ceramics
from Campania.
On Ustica the biggest traces of life date
from the end of the middle Bronze Age (12th
century BC). The Rock-stack settlement was
reinforced on the land side by a big stone
wall with semicircular walls protruding on the
outside. Inhabited in the Hellenistic-Roman
epoch, it presents manifold traces of this
presence at Falconiera and in the western
areas. With the first century of the Christian
era it seems that on Ustica defensive worries
ceased. This was a period of major development and prosperity for the small island of
Ustica, which lasted until the crisis of the Roman Empire (5th century BC); to this period
there are connected the many underwater
archaeological finds identified in the seabeds
surrounding the island (Punta Alera, Scoglio
del Medico, Secca della Colombaia, Falconiera, etc.), showing once again the historicalarchaeological richness of the seas around
Ustica.
In the Aegadean Islands the most remarkable archaeological attraction has been the
big quantity of caves that marine erosion,
during the numerous Pleistocene transgressions, hewed out on the spectacular calcarenite cliffs of the three islands. Marettimo affords a rich and spectacular sample of caves
but all at sea level, and hence still forming
and consequently of limited archaeological
interest though one of them – the so-called
Pipe Cave – bore big traces of human frequentation in the Hellenistic-Roman and medieval periods. By contrast, the caves on the
other two islands were repeatedly and widely
inhabited from the Final Pleistocene or Upper
Palaeolithic. The importance of these caves is
given above all by the presence, in one case –
Grotta di Cala dei Genovesi on Levanzo – of
manifestations of animalistic rock art (more
ancient) and schematic painting (more recent), among which mention must be made
of the famous fawn with its head reclining on
its body and the bull seen frontally.
Much more robust signs point to the certain
existence of vast Hellenistic-Roman settlements on all three islands in the archipelago.
Of major interest is the establishment for the
processing of fish (production of garum) at
Punta Altarella on Levanzo and the “Roman
Houses” on Marettimo.
Linked to terrestrial testimonies is what
the sea has yielded of some Hellenistic, Roman and medieval wrecks, like the recovery,
in the area of the well-known battle between
Romans and Carthaginians (in the northwestern part of Levanzo), of two rostrums in
bronze very probably belonging to ships sunk
during the battle. Among the most important
destinations we can mention Cala Minnola on
Levanzo, where there has come to light what
is left of the cargo of a Roman republican ship
belonging to the well-known Papia family of
Latium entrepreneurs. The field of amphoras
left on the seabed about 30 metres down is
also visible at a distance through a remote
controlled plant with TV cameras directly
sending images, currently to the offices of
the commune of Favignana.
On Pantelleria, corresponding to an advanced phase of the Sicilian Ancient Bronze
Age, there was the reinforced Mursia settlement, actively inserted in the commercial Aegean-Levantine network in the middle of the
2nd millennium BC. The settlement, today to
be seen through big and monumental vestiges, was constituted by circular huts that
in the latest phase change into quadrangular
buildings inside a coastal space enclosed by a
sturdy fortification wall, beyond which there
lies the necropolis, which has made Pantelleria well-known in studies on Mediterranean
prehistory thanks to the sesi, circular truncated cone structures, built according to a
megalithic technique and used exclusively
for funerals.
The hegemonic Roman settlement, on the
two Santa Teresa and San Marco hills, lies in
a vast area above the present-day chief village and therefore in a direct relation with
the most valid and important maritime port
on the island, which recent underwater archaeological campaigns have verified to be
such. The two hills are separated by a fairly
big flattish saddle where exploratory digging
showed up a vast paved open space divided
up by protruding walls that could be identified as a big square (forum). Recent diggings
have brought to light part of the ring of walls
from the Punic epoch in which there was a
gate whose masonry structure partially preserves the remains of a frame wall of the Punic type showing fine facture.
The filling of the cisterns on the top of San
Marco has yielded interesting sculptural material from the late Punic and Roman epoch
in fragments of several statues and some
fragmentary Latin epigraphs, but above all
the three well-known Roman imperial portraits depicting Julius Caesar, Antonia Minor
and Titus.
Pantelleria too has seabeds rich in history and wrecks. One of the most interesting
places is the bay of Gadir, where rapid reconnaissance by Lamboglia in 1972 and 1973 led
to recovery of over 100 Punic and HellenisticRomans amphoras relating to two wrecks
datable to between the end of the 3rd century
BC and the 1st century BC. Another interesting wreck, which mainly transported a cargo
of ceramics relating to the well-known local
VITTI ‘NA CROZZA
(I have seen a skull)
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production of pots called “Pantelleria ware”,
still being excavated, is in the bay of Scauri,
among whose finds it is worth mentioning a
silver ringlet with a cornelian bezel decorated
with the Christian symbol of the anchors and
a cornelian gem with a divine figure with an
arch and a fawn. The data deduced from the
excavation of the wreck reinforce the idea of
vivacious dynamism subtending the diffusion
of these ceramic objects made on Pantelleria
in the Sabratha, Leptis, Djerba, Tharros, Turris Libisonis, Ostia, Luni, Cosa and Albintimilium settlements.
The Pelagie Islands have been peopled since
prehistory and well inserted in the commercial circuits of the Roman world thanks to the
big network of ports constituted above all by
the true “fiord” of Cala Guitcia on Lampedusa. Lampedusa and Linosa were even inhabited way back in the Neolithic judging from
the transitory but certain traces of a settlement identified on the crags of Cala Pisana
on Lampedusa. The presence of a Neolithic
settlement created by settlers coming from
Sicily allows us to realise the high level of
maritime knowledge that the Sicilian populations already possessed in that epoch.
The presence of numerous cisterns, the establishment for the production of garum and
vast necropolises attest to intense frequentation in the Roman epoch.
The splendid waters of the Pelagie Islands,
well known for their transparency and visibility, conceal interesting traces of the passage
of merchant routes and military fleets in this
part of the Mediterranean from antiquity until World War Two. Among the most interesting underwater features from the historical
point of view we can mention the guns of Cala
Pisana, which must partly have belonged to
a fleet commanded by Antonio Doria, shipwrecked on the northern and eastern coasts
of Lampedusa while sailing towards Africa.
Our knowledge of the prehistory and archaeology of the smaller islands around Sicily is due to the hard research work done by
single people, but often, above all recently,
in situations of international cooperation. On
Pantelleria there work together archaeologists and Italian students together with colleagues of other nationalities, giving an idea
of the importance of international cooperation as the best way to get deeper knowledge
of our interactive Mediterranean civilization.
Sebastiano Tusa
New gods choose
their Olympus in the
islands of Sicily
“The awakening of the sleeping gods.”
This was how someone defined the birth of
the Raya di Panarea hotel, in 1962, giving the
credit to Myriam Beltrami and Paolo Tilche
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122
for having disclosed to the world the “pearl
of the Aeolian Islands” and for having made
it the worldliest of the Sicilian islands. But in
summer all Sicily reawakens, not only Panarea, not only the Aeolian Islands, renewing the
rite that every year brings to the island characters of international calibre that, in certain
cases, put down roots there and don’t want
to go away again.
Already the maniacs of VIP-watching have
had plenty of scope, with sightings of characters like Ennio Doris, president of the Mediolanum Bank, who explored the islands of
wind on board the “Princess Vaivia”, a luxury
sailing yacht that previously belonged to premier Silvio Berlusconi. On Lipari, Panarea or
Salina people have also seen the singer Lee
Ryan, Osvaldo De Santis, the administrator of
Twentieth Century Fox Italy, Mickey Arison,
owner of “Miami Heats” and the person responsible for the juvenile sector of Juventus,
Gianluca Pessotto. On Lipari the “Cicerone”
of the former manager of Juventus is Baron
Bartolo Matarazzo, who at “La Nassa” got
him to taste the specialties of “Mother Teresa.” Gianluca Pessotto went to Lipari on a
suggestion from Pierino Zaia, a Juventus fan
that several times has been a guest in Turin to
follow the vicissitudes of the team of Alex Del
Piero. On Lipari there were also a few days’
relaxation for Claudio Bisio, Massimo Giuliani
and Pino Insegno.
On one of the boats moored a few metres
from the island Mario Zamma, a comedian
of the Bagaglino of Pier Francesco Pingitore,
has also been sighted. Among the international stars, literally in love with Sicily and its
islands is Rod Stewart who, accompanied by
his wife Penny Lancaster and some friends,
decided to return there, after celebrating an
important anniversary there last year.
The British star came on board a real jewel
of the sea, “Braveheart” and anchored in the
harbour on Lipari. He landed on the island in
the afternoon and at dusk moved to one of
the most exclusive restaurants, “E Pulera”,
where he appreciated the fineries of Aeolian
cuisine, also ordering a few bottles of malmsey. For the pop star, who now almost always
includes an Aeolian stay in his holidays, it is a
gastronomic must.
The artist, after signing the famous guestbook, proved willing to chat for a while with
the owners of the place and, it seems, also
manifested the idea of purchasing a little
villa in the islands. He then also made a trip
to Panarea, where he went to the “Da Pina”
restaurant. A pit stop on the island of VIPs
par excellence, according to rumours circulating there, also for Alba Parietti, who every
year rents the same villa there, and for the
very worldly Flavio Briatore and Elisabetta
Gregoraci, who on the smallest of the Aeolian Islands spent the long weekend of 2 June.
There are also many show business, entrepreneurial and political characters that have
been so fascinated by these places as “to
invert the route” and purchase marvellous
abodes. Like the photographer Fabrizio Ferri
and the King of fashion, Giorgio Armani, who
in their dammusi on Pantelleria entertain
characters that go from Victoria Beckham to
Sharon Stone, to Sting and Madonna.
To Armani, who purchased a house on the
island years ago, in the Gadir area, the mayor has given the keys to the city. “Call me a
fellow-countryman”, he says to anyone who
meets him in the street. Also among the aficionados of the island is Prince Amedeo di
Savoia Aosta and his wife Silvia Paternò di
Spedalotto, who own a dammuso with a luxuriant botanical garden. Instead, Favignana,
the biggest of the Aegadean Islands, has been
preferred by Simona Izzo and Ricky Tognazzi,
while Francesco Rutelli and his wife, Barbara
Palombelli, have bought a house on Filicudi,
perhaps following the path trodden by Giovanna Meandri, who on this small rock in the
middle of the sea, distant from the jet-set,
has had a house for some years.
On Panarea, instead, a beautiful villa belongs to the Minister of the Environment Stefania Prestigiacomo, who, it is said, popped in
there in June. Not even Claudio Baglioni has
escaped the call of Sicily, though some years
ago he was enchanted by the celestial waters
of Lampedusa, where towards the end of
the summer every year he organizes the O’
Scià music festival. Destinations that are less
well known, even to the Sicilians, have also
been very successful. One only has to think
that Bill Gates has manifested the intention
to purchase real estate at Salemi, adhering
to the initiative launched by the mayor Vittorio Sgarbi, or Cesare Settepassi, president
of Tiffany Italia and vice-president of Tiffany
Europa and Paolo Panerai, the publisher of
the Class-Milano Finanza group, who have
taken a house among the vines and beaches
of Menfi (Agrigento). Tortorici, in Messina
province, was chosen by the Greek composer Mikis Theodorakis, known in Italy for the
soundtrack of the film “Zorba the Greek”,
while the actor Luca Zingaretti will always
carry in his heart the episodes of his “Commissioner Montalbano”, considering that he
put down roots at Ragusa Ibla, where the fiction was filmed. Taormina continues to be an
evergreen, where the mayor of Rome, Gianni
Alemanno, and the soccer player Christian
Panucci have decided to buy houses.
Cristiana Rizzo
Quand on écrira l’histoire de l’émigration
italienne, selon les canons historiographiques chers à Jacques Le Goff, aucun historien ne pourra négliger le patrimoine considérable des activités de l’Anfe, l’Associazione
nazionale famiglie emigrati (Association nationale familles d’émigrés), qui célèbre les
soixante ans de sa fondation.
Mais surtout on ne pourra pas omettre
l’œuvre de sa fondatrice, Maria Agamben
Federici, née à L’Aquila d’une famille aisée,
le 19 septembre 1899. Diplômée en lettres,
enseignante et journaliste, elle épousa en
1926 Mario Federici, une des plus éminentes
personnalités de la culture abruzzaine, avec
qui elle partit à l’étranger, où elle enseigna
dans les Centres Culturels Italiens à Sofia, en
Egypte et à Paris.
Catholique engagée, Maria Federici fut influencée par la pensée chrétienne sociale, le
personnalisme de Mounier et l’Humanisme
Intégral de Maritain, qui devait connoté profondément la philosophie de la deuxième
moitié du XIXème. À son retour en Italie en
1939, elle fit fructifier ses idées par un engagement social intense et d’apostolat laïque.
Elle fut active dans les rangs de la Résistance, en organisant un centre d’assistance pour
les réfugiés et les anciens combattants.
En 1944 elle fut parmi les fondateurs de
l’Acli, et en tant que directrice, eut le rôle de
déléguée féminine, elle fut aussi parmi les
fondatrices du Cif (Centro italiano femminile) et premier président de 1945 à 1950. Mais
surtout elle fut l’une des plus importantes
figures de la nouvelle République démocratique. Députée à l’Assemblée constituante
pour la Démocratie Chrétienne, de 1946 à
1948, elle contribua à écrire les règles fondamentales de la Constitution. Avec Nilde
Iotti et Teresa Noce (Pci), Lina Merlin (Psi)
et Ottavia Penna (Uomo Qualunque), elle
fit partie des cinq femmes entrées à la Commission spéciale des 75 qui élabora le projet
de Constitution discutée et approuvée le 22
décembre 1947. Elle fut élue à la Chambre et
œuvra aux côtés de De Gasperi à la reconstruction du Pays.
On peut considérer de bon droit l’exemple
de Maria Federici un exemple ante litteram
d’émancipation féminine, avec trente d’avance sur les mouvements nés par la suite en Europe. Le 8 mars 1947, Maria Federici fonda
l’Anfe et en devint la présidente, la maintenant comme un devoir moral jusqu’en 1981.
Sous sa direction, l’association s’étend dans
toute l’Italie, avec un réseau opérationnel
diffus dans les communes à haut taux d’émigration. Elle fut active et présente partout où
les problèmes se firent particulièrement difficiles, en Argentine, au Brésil, Vénézuela, aux
Etats-Unis, Canada, en Australie, mais aussi
sur le vieux continent, en Belgique, France,
Suisse, Allemagne, Hollande, Luxembourg,
Grande-Bretagne. Un réseau capillaire de
structures qui deviennent des points décisifs
d’assistance pour les émigrés et leurs problèmes sociaux, bureaucratiques mais aussi
psychologiques dans l’intégration de leur
nouvelle réalité. Les activités de l’association, reconnue en 1968 “personne morale”,
en ont fait un partenaire irremplaçable pour
les organismes internationaux de l’émigration et de l’immigration.
Maria Federici est décédée le 28 juillet
1984. Sa pensée illuminée, son contact direct avec les personnes et problèmes, restent un exemple remarquable au temps où
nous vivons. Un modèle qui aujourd’hui jure
avec certaines distances, avec la légèreté
des références aux grandes valeurs. Dans la
difficile transition que vit l’Italie, où domine
l’apparence et non l’essence, des exemples
de vie telle que celle dont témoigne Maria
Federici sont des références indispensables
pour pouvoir améliorer le rapport entre les
institutions et les citoyens, pour récupérer
la crédibilité nécessaire de la politique, pour
construire dans un respect réciproque le futur de notre Pays.
Goffredo Palmerini
UN ITALIEN A NEW YORK
L’Amérique représente depuis toujours
dans l’imaginaire collectif la liberté. Les
Etats-Unis continuent d’être perçus comme
la terre des grands espaces. Espaces qui vont
au-delà de la simple matérialité des gattesciels de Manhattan ou des quartiers newyorkais, mais plutôt un espace vu comme
possibilité qu’une Terre offre aux gens.
Aujourd’hui les U.S.A. continuent de représenter cette chance qui dans le passé a été
accordée aux immigrés, qui y ont trouvé les
conditions pour reconstruire leur vie, pour
faire valoir leur savoir-faire, leur professionnalisme, leurs compétences et s’affirmer
dans la société.
Le self made man pour certains a été une
chimère, pour d’autres un mythe, mais beaucoup ont réussi. De ces émigrés de première
génération, il en reste peu, mais nombreux
sont encore les enfants et petits-enfants
qui se sentent encore profondément italiens, si bien qu’ils décident de maintenir la
double nationalité. Leurs récits sont encore
fortement imprégnés de cette difficulté que
les italiens ont rencontré sur le parcours
de l’intégration, où les difficultés souvent
naissaient du conflit entre deux cultures. La
grande capacité d’adaptation et la volonté
de trouver une cohabitation pacifique les a
poussés à chercher une médiation qui ne les
arrachait pas à leurs racines tout en respectant les coutumes du Nouveau Monde, et ils
ont démontré ainsi d’avoir totalement accepté la leçon de Thomas Jefferson, troisiè-
me président des Etats-Unis, qui au début du
XVIIIème siècle disait: “Celui qui reçoit une
de mes idées, en tire de la connaissance sans
diminuer la mienne; comme celui qui allume
une bougie avec la mienne reçoit la lumière
sans me laisser dans l’ombre”.
Ce n’est donc pas un hasard si à l’occasion
des célébrations pour le soixantième anniversaire de la création de l’A.N.F.E., à “l’Italian Art Club” à Manhattan, puis à Rutherford
dans le New Jersey à l’”Association Italienne
Ieri, Oggi e Domani” et enfin au “Rockleigh
Country Club” dans le New Jersey, les deux
hymnes, l’américain et l’italien, ont été entonnés. On comprend donc mieux maintenant quelle est encore pour nos concitoyens
naturalisés américains, l’importance de se
retrouver unis sous le même drapeau, de
conserver les traditions et coutumes italiennes, d’utiliser la langue italienne lors de réunions, dans les cercles récréatifs fréquentés
par les immigrés italiens arrivés maintenant
à la troisième ou quatrième génération. Des
valeurs comme la fraternité, l’identité, la
patrie deviennent des valeurs communes
et partagées par les américains et les italoaméricains, qui se sont bien intégrés dans la
communauté américaine, en occupant des
postes prestigieux au niveau social et économique et la grande présence des communautés italiennes qui défilent sur la Cinquième Avenue le jour du Colombus Day nous en
donne une idée. Les noms célèbres italiens
présents dans la société moderne américaine
sont connus de tous et beaucoup d’entre eux
continuent d’opérer, loin des réflecteurs, en
offrant leur aide à travers des associations et
organisations no profit, pour l’intégration.
Le blason de l’”Association Italienne Ieri,
Oggi, Domani” représente de manière emblématique l’état actuel de la réalité italoaméricaine. Trois hommes, symbolisant les
segments temporaires auxquels l’association se réfère, sont représentés sous trois
drapeaux, le drapeau italien qui représente
hier, l’américain pour aujourd’hui et le drapeau italien et américain pour un demain
d’intégration complète et définitive.
Pasquale Peluso
L’ARGENTINE,
L’AUTRE ITALIE?...
Buenos Aires. Habituellement il y a deux façons en Italie pour parler de l’Argentine: ceux
qui liquident l’argument en affirmant, tout
court, qu’il s’agit d’une autre Italie et ceux
qui de ce Pays ignorent tout, ils ne savent
même pas où il se trouve et confondent Buenos Aires avec Rio et le Brésil... Des seconds
il ne vaut pas la peine de s’en occuper. Sur
la “vision” numéro un, par contre, on peut
tenter quelques considérations et ébaucher
quelques informations.
123
PERCORSI
PERCORSI WORLDWIDE
PORTRAIT DE FEMME
PERCORSI WORLDWIDE
Ceux qui croient que l’Argentine est l’autre
Italie, qu’elle est toute italienne, quand ils
arrivent une grosse désillusion les attend
à propos de la langue. Notre langue ici n’a
pas pris racines. Oui, étrange, mais compréhensible comme nous allons le voir. Presque
personne ne parle italien. Presque. Sur 40
millions d’argentins il y a toujours 100 mille
étudiants d’italien, mais c’est peu, non? Et
oui c’est bien peu.
Les autres disent toujours qu’ils comprennent l’italien: “entiendo, entiendo”. Mais ce
n’est pas vrai. Ils comprennent seulement
quelques mots et seulement parfois ils “pêchent” le sens de ce qu’ils entendent. Toutefois ils disent comprendre et souvent avec
une certaine pudeur, parce que, ayant presque toujours un nom italien, ils craignent de
faire une mauvaise impression. Et ça c’est
la particularité des argentins qui résulte immédiatement. Ils sont très attachés au jugement des gens, à ce qu’ils diront...
Pour un italien, qui arrive, la découverte
générale et immédiate, celle du milieu, du
“monde” où il se trouve est agréable, avec
des us et coutumes connus, sus. On se sent
tout de suite sur un terrain familier, psychologiquement acquis. Aucune difficulté, en
somme, un retour à la maison.
C’est comme ça avec l’Argentine et les argentins, au-delà de la langue. On voit partout
des noms italiens, on respire partout un esprit
de famille local. On découvre qu’ils parlent
une autre langue pour dire les mêmes choses
que nous et de la même manière, avec des
attitudes analogues, pensées et vécues de
manière identique. Ils ont le même approche
méprisant sur la politique et les politiciens,
les amitiés sont précieuses, ils familiarisent
avec grande facilité, apprécient la même
cuisine, parlent beaucoup, sont intelligents,
créatifs, malins, parfois escrocs, cyniques et
machos. Tout ce qu’il faut. Ils cherchent toujours à s’identifier au plus fort, au meilleur. Ils
donnent raison à celui qui gagne. Un italien
découvre tout de suite, en tâtant n’importe
quel thème, des sentiments analogues aux
siens. On dirait qu’il n’y a pas de différences,
mais il y en a et elles viennent à la surface.
On découvre qu’ils viennent d’une école différente, ils n’ont pas le culte du passé. Ils ne
savent jamais, les argentins, de quel village,
de quelle province, étaient leurs ancêtres
italiens. À la question dantesque “Chi fur li
maggior tui?” ils ne savent jamais répondre
avec précision. Qu’il s’agisse du père, grandpère ou arrière-grand-père ils ne savent pas
indiquer la région, ville, province. Ils savent
qu’il était italien, ils en ont hérité les vices,
tics et vertus, mais se souviennent de peu
de choses: qu’il disait toujours une certaine
phrase, mangeait d’une certaine façon, était
un grand travailleur, rigide sur ce en quoi il
croyait, strict sur l’éducation des filles. Ici la
figure de l’italien du XVIIIème avec ses granPERCORSI
124
des moustaches, sévère et intransigeant a
fait légende.
Quand un argentin, même un argentin
d’aujourd’hui, doit expliquer dans une circonstance précise qu’il s’est fâché et a eu une
réaction furibonde, violente, il dira toujours,
théâtralement, que “toute ma rage italienne
est ressortie”!
Barzini senior qui a beaucoup écrit sur la
présence italienne ici au début du XIXème
siècle, remarquait que dans ces familles,
même si profondément italiennes, il n’y
avait pas un grand respect pour la figure
du père et il se référait à l’école d’où provenaient les garçons, une école qui craignait la
contamination italienne à cause du morceau
dur de nos dialectes qui dominaient le parler
d’une grande partie des habitants. Il y avait
des îlots de génois, piémontais, vénitiens, siciliens et autres dialectes méridionaux. L’italien presque pas.
Entre 1875 et 1924 en Argentine arrivèrent plus de deux millions d’italiens. Les
guerres, les famines, les difficultés surgies
avant et après l’unification poussaient des
hordes de pauvres gens de nos régions par
delà l’Océan. Ils miraient deux grandes villes
rêvées et vécues comme deux pays touchés
par la prospérité: Novaiorca et Bonosaire.
C’était la destination de gens qui quittaient
un Pays qu’ils connaissaient peu. Des personnes prélevées comme avec une grue des
champs, des sommets de montagnes et déposées sur un bateau. Elles voyaient, apercevaient les lumières de Naples, le Beverello ou
la Lanterne de Gènes.
Et les navires partaient, partaient...
Désarmées culturellement, ellels arrivaient
dans des villes immenses, nouvelles, en formation, où la spéculation, les abus, la loi du
plus fort étaient ce avec quoi il fallait vivre.
S’adapter, s’intégrer était un jeu de force.
L’italien comme langue, pour eux, n’avait jamais existé. Le dialecte régnait. Le dialecte
se mélangeait rapidement avec l’espagnol
local, devenait un mélange comique qu’ici à
Buenos Aires – dans la tradition publicitaire
et littéraire – ils baptisèrent cocoliche du
nom – disent-ils – d’un immigré calabrais,
Cocolicchio. Et les cocoliche agrémenta longuement la farce de l’avant-spectacle local;
les jeunes, qui fréquentaient l’école argentine, n’aimaient pas avoir un père qui parlait
cocoliche.
Mais les paradoxes ne manquent pas. Dans
ce même univers, depuis la moitié du XVIIIe,
s’affirme la tradition du journal en langue italienne. Musées et bibliothèques argentines
conservent encore des premières pages et
des journaux entiers aux titres les plus divers,
des gazettes écrites en italien, avec un tirage
important pour l’époque, des journaux ayant
vécus pendant de longues décennies parfois.
Quelqu’un, pas des illettrés, pas des cocoliche, les faisaient, et quelqu’un les lisait, ces
journaux. Avec l’émigration humble, souvent
non alphabétisée, étaient arrivés des gens
instruits, cultivés, expérimentés qui savaient
faire des journaux et les diffuser – comme
pour le palermitain Salvatore Ingegneri qui,
après avoir dirigé à Palerme le papier révolutionnaire “Il Povero”, émigra en Argentine
avec son fils Giuseppe, qui devint ici José Ingenieros et fit une longue carrière politique,
littéraire et scientifique, en laissant des textes et des livres de valeur rare.
Mais déjà avant cette émigration de masse
il y en avait eu une culturellement qualifiée
de réfugiés politiques mazziniens et garibaldiens qui fuyaient les prisons de la patrie et
donnaient libre cours sur les rives du Plata, à
Buenos Aires et à Montevideo, à leurs idées
à l’époque révolutionnaires.
En fait, en 1810, quand l’Argentine – l’année prochaine on célèbrera le bicentenaire
– commença le processus d’indépendance,
dans le premier gouvernement qui ouvre les
hostilités contre les espagnols, on trouve au
moins quatre noms italiens, devenus fondateurs de cette Patrie: Belgrano, Alberti, Beruti et Castelli.
Et ceci nous porte donc à dire que l’Argentine n’est pas seulement un Pays vers lequel
les italiens émigrèrent en alluvion massive, à
la recherche d’une vie meilleure, mais aussi
un Pays que les italiens ont contribué de
fonder, qu’ils y étaient déjà avant que “una
Nueva y Gloriosa Nación” – comme récitent
les hymnes romantiques de l’époque – se
présente au monde. Ce qui sert à expliquer
l’identité des argentins qui ont incontestablement l’Italie dans leur DNA, même si bien
souvent ils ne savent pas préciser la région
ou la commune de provenance de leurs ancêtres et ne parlent presque jamais la langue
italienne...
Dante Ruscica
DE LIEU DE MEMOIRE
A CHANTIER POUR DE
NOUVELLES IDEES
Faire partie d’un groupe, d’une famille
agrandie dont les membres, au moins au
début, ne se connaissent pas ou peu, mais ils
sont certains que la provenance de la terre
d’origine est la même.
L’histoire des associations est une histoire
chargée de mille histoires, qui nait avec les
premiers flux migratoires vers le Nouveau
Monde. Pour les nombreux émigrés qui
arrivèrent sur ces terres inconnues, les associations représentèrent le premier front
office, indispensable pour commencer un
processus difficile d’intégration dans la nouvelle patrie. Aujourd’hui, plus d’un million et
demi d’individus se reconnaît dans plus de
5000 associations éparpillées en Italie et à
l’étranger, comme il en résulte à travers les
patrimoine culturel. Elle doivent être, pour
les jeunes, un lieu où pouvoir faire naitre de
nouvelles idées, où pouvoir retrouver ses
propres origines en apprenant la langue et la
culture des ancêtres. Un instrument de promotion du tourisme de retour à travers des
échanges culturels.
Gaetano Calà
LA MEMOIRE RENFERMEE
DANS LES MUSEES
Un vieil adage, attribué aux Indiens d’Amérique selon certains, dit ceci: si tu ne sais pas
où aller, retourne-toi et regarde d’où tu viens.
À toutes les époques, la récupération de la
mémoire collective a été vue comme un bien
fondamental pour la construction du futur.
Et la période des grandes vagues migratoires
qui caractérisèrent toute l’Europe ne fait pas
exception. L’idée de donner vie aux archives
de l’émigration devient concrète en 1990,
dans un endroit hautement symbolique: Ellis Island, New York. Une façon différente de
regarder l’émigration, celle des archives de
la mémoire, avec un regard plus attentif, où
les hommes et leurs histoires sont connotés
essentiellement comme ressource. Musées,
mais aussi centres d’études, archives, centres de documentation et de recherches sont
nés également en Italie. L’objectif, à part
la récupération de la mémoire, est celui de
récupérer les instruments pour affronter les
vagues migratoires d’aujourd’hui, qui voient
notre Pays non plus terre de départ mais
point d’arrivée.
À Rome, au Vittoriale, le Musée national
des migrations a été inauguré récemment,
il se dénoue sur trois sections: la première
parcourt la naissance et le développement
de la grande émigration italienne; la deuxième trace une géographie de l’émigration,
en approfondissant les caractéristiques migratoires particulières à chaque région. La
troisième section, enfin, concerne un voyage
de l’émigration à travers des zones thématiques qui permettent au visiteur d’avoir une
connaissance interactive de toute la période
historique à travers le cinéma, la littérature,
la musique, des objets et documents rares.
La Sicile aussi s’est dotée d’un réseau de
Musées siciliens de l’émigration; chaque
musée identifie les différences de flux migratoires selon les zones géographiques. Mais
les sept musées ont tous un dénominateur
commun, l’attraction suscitée par les terres
d’outre-mer induite par la propagande capillaire des grandes compagnies de navigation.
Le rêve américain, en somme, arrive en Sicile
sous forme d’illustrations et textes colorés.
Les différences sur les types de flux migratoires sont la caractéristique de chaque musée. L’émigration du latifundium, montrée
dans les pièces de Aquaviva Platani, province
de Caltanissetta, est par exemple très diffé-
rente de celle des côtes, analysée dans les
musées de Giarre (Catane), Savoca (Messine)
et Canicattini Bagni (Syracuse), dans la zone
du Belice. Dans le musée Ibleo de Raguse on
peut par contre comprendre comment un
territoire caractérisé par des siècles d’absence du latifundium et par la présence d’une
petite et moyenne propriété a influencé les
flux migratoires.
L’émigration des îles siciliennes est représenté au Musée Eolien de l’émigration depuis 1999. À travers le précieux matériel de
documentation conservé par les familles des
îles et les actes officiels des communes, il a
été possible de construire un parcours avant
et après le départ. Le musée parcourt certaines phases de la vie éolienne: le modèle
économique de développement éolien avant
l’émigration, mais aussi l’infection de phyloptère jusqu’à la crise liée à la pierre ponce. Une
section importante concerne l’exposition
des 1132 lettres provenant de l’Amérique du
Nord, de l’Australie, et en plus petite quantité des pays latino-américains, mais aussi
du matériel sur la vie des sociétés éoliennes
de secours mutuel en Amérique et en Australie, depuis 1898. Les archives comprennent
aussi des notes et documents sur les envois
d’argent et les donations pour la restauration des églises éoliennes et pour l’exécution
d’importantes œuvres publiques; et une richissime collection de photographies.
À côté des musées et de la documentation
d’un important morceau de vie, il y a aussi
le témoignage d’une réalité peu connue,
documentée par le volume “Una casa per
gli emigranti”, de Claudio Colombo, qui en
140 pages analyse l’odyssée de milliers de
travailleurs italiens pendant de nombreuses
années contraints de porter leur professionnalisme à l’étranger.
La maison des émigrants, un édifice derrière la gare centrale de Milan, fut inaugurée
en 1907, et active jusqu’à la moité des années vingt.
Elle était composée d’un corps à un étage
d’environ 350 mètres de superficie, d’un
autre bâtiment de 80 mètres carrés et comprenait une salle d’attente, deux dortoirs,
toilettes et salles d’eau, le tout doté de lumière électrique et de chauffage. Durant les
cinq premières années, la maison accueillit
gratuitement un demi million d’émigrants,
qui évitaient ainsi les spéculations de commerçants et hôteliers. Epuisés par de longs
voyages en train, les émigrants étaient nourris et en même temps informés sur tout ce
qui pouvait leur être utile: horaires de train,
changements et correspondances, organisation syndicale du Pays où ils allaient travailler, informations sur le marché du travail
qui les attendait.
Milan, au début du XIXème, démontrait
donc d’être à l’avant-garde face au phénomène migratoire dominant, avec sa foule de
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PERCORSI
PERCORSI WORLDWIDE
travaux du séminaire international sur la relance des associations des politiques migratoires, qui a eu lieu à Palerme l’hiver dernier
et organisé par l’Anfe. Pour leur constitution
les associations d’italiens à l’étranger représente un engagement, collectif et individuel,
dans l’accomplissement des principes inéluctables de la solidarité politique, économique
et sociale, pour l’affirmation de la parité de la
dignité sociale et l’égalité devant la loi, sans
distinction de sexe, race, langue, religion,
opinions politiques, conditions personnelles
et sociales. Des concepts de la Charte Constitutionnelle devenue matière vivante dans le
monde des associations italiennes à l’étranger et pour l’étranger.
Aujourd’hui le rôle de l’association vit une
nouvelle responsabilité sociale, pouvant représenter un fort soutient dans la gestion de
l’immigration.
“Le phénomène migratoire ne met pas
seulement en jeu les questions politiques,
économiques et démographiques – affirme
Paolo Genco, vice-président national de
l’Associazione Nazionale Famiglie Emigrati
– connaître l’histoire sociale et culturelle de
l’émigration italienne dans le monde nous
est utile pour comprendre comment les processus migratoires peuvent se fonder dans
notre Pays et opérer pour une intégration
positive en valorisant ce qui pour nous a été
un instrument essentiel de croissance dans
les sociétés d’accueil”.
Considérés ces prémisses, le devoir des associations, aujourd’hui, n’est pas secondaire,
il doit être réinterprété suivant les exigences
et attentes des jeunes et des émigrés de
troisième et quatrième génération. Elles ne
doivent pas devenir uniquement des lieux
de mémoire, mais être des instruments de
contemporanéité, qui recueillent de nouvelles idées. Les jeunes d’outre-frontière sont,
aujourd’hui plus qu’à d’autres périodes historiques, divisés entre deux appartenances: à la
société d’origine, à laquelle ils sont de moins
en moins liés au fur et à mesure que la durée
de permanence à l’étranger augmente, et au
pays d’accueil auquel ils n’appartiennent pas
de façon totale.
Il est donc nécessaire une implication directe dans les associations, mais aussi un
ensemble ciblé d’interventions culturelles,
avec des projets concrets de partenariat économique. Ce que les jeunes demandent c’est
une information plus concrète, approfondie
et objective, unie à des services d’infos-jeunes à travers internet, des sites spécifiques,
des blogs.
L’histoire des émigrés italiens dans le monde est une histoire triste dont souvent on a
honte, une histoire que beaucoup d’émigrés
tentent d’oublier. Les associations doivent
servir à récupérer une image positive de
l’appartenance italienne, devenir un véhicule pour la conservation et transmission du
PERCORSI WORLDWIDE
personnes aux histoires nombreuses, apeurée et en même temps pleine d’attentes à
l’égard du Nouveau Monde.
Marcello Saija
UN DIALOGUE DE PAIX,
AVEC DES IDEES
CONCRETES
Rendre à la Méditerranée sa fonction primaire de lieu d’échange et de confrontation
entre les peuples. De ces prémisses est né
Le Comitato Permanente per il Partenariato
Euromediterraneo, Coppem, dans le but de
promouvoir le dialogue et la coopération
pour le développement local ente les villes,
communes, Régions des Pays qui y adhèrent.
Le règlement du Comité, approuvé à Gaza,
accepte complètement la Déclaration de
Barcelone signée en 1995, qui vise à instituer
un partenariat global euro-méditerranéen
pour transformer la Méditerranée en un espace commun de paix, de stabilité et prospérité à travers le renforcement du dialogue
politique et sur la sécurité, un partenariat
économique et financier et un partenariat
social, culturel et humain.
Les pays suivants font partie du Comitato
Permanente per il Partenariato Euromediterraneo: Algérie, Autrice, Belgique, Chypre, Danemark, Estonie, Egypte, Finlande,
France, Jordanie, Grèce, Irlande, Israël, Italie, Lettonie, Liban, Lituanie, Luxembourg,
Malte, Maroc, Pays-Bas, Palestine, Pologne,
Portugal, Royaume-Uni, République Tchèque, Allemagne, Syrie, Slovaquie, Slovénie,
Espagne, Suède, Tunisie, Turquie et Hongrie.
“Le comité insiste beaucoup sur le pragmatisme des initiatives qu’il promeut – dit Francesco Sammaritano, dirigent du Coppem
– Nous avons des objectifs concrets, parce
que c’est important que les communautés
où nous travaillons se rendent compte des
avantages que le partenariat peut avoir avec
d’autres réalités. Une vraie collaboration
contribue, en somme, en réalité à rendre la
vie meilleure”.
Coppem et Anfe ont depuis longtemps
engagé une collaboration pour des projets
d’excellence. Entre autres, le projet Fisher,
destiné à la formation dans la marine sur les
rives sud de la Méditerranée, qui concerne
des points importants comme la sécurité
à bord des bâteaux de pêche, la protection
de l’environnement et la mise en valeur de la
pêche. Au projet – auquel ont adhéré la Tunisie, l’Egypte, le Maroc, la Libye, la Palestine,
Israël – est en partenariat, entre autres, avec
le Cnr et le Cosvap de Mazara del Vallo (la
plus grande organisation de ports siciliens),
avec les communes de Sciacca et Messine et
le Parc Technologique de Palerme.
Un autre fleuron, la collaboration entre
PERCORSI
126
Anfe, Coppem et Ismett, qui est un protocole d’entente pour la réalisation d’un centre
permanent pour la formation de médecins et
infirmiers.
Quels sont les projets avec les Emirats
Arabes?
“Notre initiative – continue Sammartino –
est très ambitieuse: créer les conditions pour
que les Emirats ouvrent leur premier consulat à Palerme. Inutile de dire ce que cela représenterait pour la Sicile, pas seulement
pour les énormes ressources financières des
Emirats arabes unis, mais aussi parce que la
présence à Palerme pourrait être le tête d’un
pont vers des rapports plus étroits entre le
Maghreb et le Moyen-Orient”. Une des premières initiatives discutées est la mise sur
pied, à Erice, de trois masters, ouverts à 120
lauréats des Pays qui ont adhéré au traité de
Barcelone.
L’objectif est de créer dans la petite ville
trapanaise une école de spécialisation permanente pour les diplômés universitaires
dans la zone euro-méditerranéenne. Le parcours de formation concerne des thématique
qui vont du processus historique, culturel et
anthropologique des Pays du partenariat
euro-méditerranéen à la comparaison des
systèmes législatifs et à la reconnaissance
du rôle social et juridique des femmes.
“Cette initiative signée Coppem, Anfe et
Commune de Erice a une grande valeur
culturelle et politique – continue Sammartino – parce que mettre ensemble des néo
diplômés universitaires provenant de Pays
différents au niveau de la langue, culture et
tradition signifie activer un échange dans de
nombreuses directions entre des personnes
qui seront la future classe dirigeante dans les
Pays de provenance”.
Quelles sont les nécessités les plus urgentes de la zone euro-méditerranéenne?
Il est nécessaire avant tout d’affronter des
questions délicates, comme immigration,
terrorisme, sécurité, protection de l’environnement. Il s’agit de questions complexes
qui peuvent être affrontées exclusivement
grâce à des partenariats énormes. Une autre
question à affronter est celle du tourisme: s’il
était possible, par exemple, d’harmoniser la
restauration de l’immense patrimoine culturel présent dans cette zone, on créerait un
massif développement du tourisme qui garantirait énormément les Pays intéressés.
La cohabitation entre les peuples passe
aussi à travers la confrontation religieuse,
qui a porté à des tensions et extrémismes.
Quelle voie parcourir vers un dialogue
constructeur?
Je crois que tout d’abord il faut valoriser les
différences, les considérer des ressources et
non pas des obstacles. Dans un passage du
Coran il est écrit que Allah créa des peuples,
des classes sociales et des gens différents. Et
par pour qu’ils se disputent entre eux pour
savoir quel est le meilleur, mais pour que
chacun apprécie la diversité de l’autre. Il faut
rappeler que les extrémismes, peu importe
d’où ils viennent, sont des expressions d’intolérance marginales et que la modération
l’emporte.
Rossella Catalano
L’EMIGRATION
EN CHIFFRES
Le marché italien du travail est ouvert depuis des années aux immigrés pour remplir
des fonctions physiquement pénibles et fatigantes, appartenant autrefois aux classes
les plus défavorisées. Mais depuis quelques
temps on remarque un phénomène, confirmé par les chiffres de Unioncamere, qui
concerne les immigrés qui décident de travailler à leur propre compte comme entrepreneurs, aujourd’hui les entreprises avec un
entrepreneur à leur tête né au Maroc, sont
plus de quarante mille en Italie.
En Sicile on compte 3464 entrepreneurs
marocains, 1608 chinois et 1020 nés au Bangladesh, avec une véritable colonie palermitaine de 819 activités, équivalant à 11% des
chiffres nationaux. Importante également la
présence des tunisiens à Palerme et des sénégalais à Catane.
La présence la plus grosse d’entrepreneurs
extra-communautaires se trouve dans le
chef-lieu régional, avec 3260 entreprises sur
un total de plus de douze mille. La lanterne
rouge va à Enna où il n’y a que 189 activités
d’immigrés.
Dans l’ensemble, malgré l’augmentation
vertigineuse d’inscriptions au registre des
entreprises siciliennes, l’île est en pourcentage à la queue de la classification nationale
pour le nombre d’entreprises individuelles
avec à leur tête une personne extra-communautaire. Dans l’île l’impact est de 3,8%,
à Palerme 5,3% et à Enna 1,5%, peu par rapport au 6,5% de la moyenne nationale et les
pics de 10% de la Toscane et Lombardie.
Le principal secteur d’activités des entreprises d’immigrés sur le territoire sicilien est
le commerce (9348), en particulier au détail,
suivi par l’agriculture, qui compte 921 activités; enfin elles sont 520 dans le secteur des
constructions, 507 dans le secteur manufacturier et 230 entre hôtels et restaurants.
Du point de vue de l’état civil, ces entrepreneurs ont en général entre 30 et 50 ans. Un
des principaux problèmes que les immigrés
affrontent, en Sicile comme sur la péninsule,
c’est celui de l’accès au crédit: il y a encore
beaucoup de difficultés rencontrées pour
fournir les garanties demandées par les banques à ceux qui voudraient augmenter encore le taux d’activités.
Mariangela Vacanti
Un des fleurons de l’Anfe est le guichet
multifonctionnel de Marsala, qui offre des
services aux citoyens, et surtout aux immigrés, visant l’insertion dans le monde du
travail. Il nait en 1998 de façon expérimentale, mais rapidement son activité, reconnue
d’utilité publique, est financée par la Région
Sicile et par l’Agence Régionale pour l’Emploi. Les principales activités concernent
les informations sur le marché du travail, les
colloques, séminaires et la formation orientée, la consultation mais aussi d’autres types
de services comme la promotion à la propre
entreprise, le croisement demande-offre
de travail. Stages et apprentissages d’informations et assistance aux projets de reconversion professionnelle et remise à jour du
personnel. Les usagers sont variés, il s’agit
principalement de chômeurs ou personnes
à la recherche d’un premier emploi, surtout
des femmes de plus de vingt-cinq ans, peu
de diplômés universitaires, plus de diplômés
de l’enseignement supérieur ou bien du collège. Mais la modernité du centre de Marsala
concerne l’assistance et le soutient offert
aux citoyens immigrés et aux communautés
étrangères, avec l’objectif de construire un
réseau de communication synergique qui
puisse aider l’accès aux services de la part des
citoyens étrangers séjournant régulièrement
sur le territoire en les accompagnant dans les
processus d’accueil et d’intégration. Avec le
projet AL SALAM, qui propose d’abattre les
obstacles entre les administrations publiques et privées et les citoyens étrangers, les
médiateurs culturels, en plus de la fonction
linguistique et culturelle, ont le devoir indispensable de soutenir les immigrés dans la
préparation d’instruction des dossiers. Puis il
y a le projet MAHRABAN dont l’objectif est
d’une part de favoriser les parcours d’insertion des immigrés et de l’autre d’apporter
un changement dans les institutions et le
contexte social, en fournissant des opportunités de dialogue et de compréhension
réciproque. Enfin ETHNICITY mire, à la réduction des barrières linguistiques et culturelles, mais aussi à la mise en route d’initiatives culturelles s’adressant aux mineurs,
gérées en collaboration avec les parents et
les responsables des communautés d’appartenance, ayant pour but le développement
de l’identité et du sens d’appartenance aux
propres racines culturelles. Dans cet objectif
des espaces d’agrégation et de rencontres
entre italiens et immigrés ont été créés (laboratoires artistiques, de jeu, bibliothèque
interculturelle, services de santé).
Walter Viviano
LE PEUPLE DES IMMIGRES
DE LA SECONDE
GENERATION
Un enfant fils de l’un ou des deux géniteurs
étrangers, né ou arrivé, très jeune, se définit
“immigré de seconde génération”. Et déjà
l’acception, d’origine anglaise (second generation), n’est pas tout à fait exacte ou, est
ambiguë.
Si l’immigré est celui qui vit directement
l’expérience de l’immigration, ces jeunes,
par contre, cette expérience eux, ils ne l’ont
jamais vécues directement, mais, dans de
nombreux cas, seulement à travers les récits
de leurs parents. L’ambiguïté mise à part,
eux, les peuples de la seconde génération,
sont nombreux, et représentent la possibilité réelle d’une vraie intégration. Selon les
statistiques Istat de 2008, ils sont 457 mille,
filles et garçons étrangers nés en Italie, et
leur monde n’est pas un monde à part, mais
une très belle union faite de traditions, usages et coutumes liés et reliés au monde et
à la société dans laquelle ils vivent. Rien de
mal donc si leur fiancée est italienne, s’ils
vont danser le soir, parlent le dialecte, s’habillent à la mode, écoutent de la musique
house et puis prient Allah et jeûnent pendant
le Ramadan. C’est l’histoire d’Amor Souhi,
un jeune homme bien planté de 22 ans qui
de son mètre quatre-vingt-sept de hauteur
nous raconte son expérience de jeune homme, fils d’une maman sicilienne et d’un papa
tunisien arrivé en Italie il y a plus de vingtcinq ans et qui ensemble, unis dans l’amour,
ont créé une très belle famille dans laquelle
musulmans et catholiques prient ensemble.
Que ça soit Pâques ou le Ramadan pour eux,
peu importe.
Amor, tu ne t’es jamais senti exclu du
reste de tes amis à cause de ton nom?
Jamais. Et je dis la vérité. Je n’ai jamais
senti dans le milieu que je fréquente aucune
plus petite résistance, et pourquoi d’ailleurs
devraient-ils m’exclure? Un nom étranger est
seulement un nom différent, mais étant né et
ayant vécu à Palerme, je me sens un citoyen
italien à part entière et avec une chance en
plus: celle de connaître la culture du peuple
tunisien qui fait partie de mon code génétique.
Quelles études as-tu fait?
Je me suis diplômé à l’Institut artistique,
mais ensuite je n’ai pas continué parce que
trouvé un travail dans ce milieu est une vraie
utopie.
Et maintenant?
Je travaille comme volontaire pour la Croix
Rouge. Je viens de rentré des Abruzzes, où
nous avons tenté d’aider cette population
persécutée par le tremblement de terre.
Avant cette expérience j’ai travaillé, comme
volontaire, dans la Protection Civile. Aider
les autres je crois que c’est ma vraie nature
et priorité, mais là aussi trouver un travail est
très difficile, et les jeunes de mon âge en savent quelque chose.
Amor, tu crois en Dieu, Allah ou qui?
Je crois en un seul Dieu. Appelons-le comme on veut, c’est toujours Dieu. Vraiment,
je ne réussis pas à comprendre toutes ces
guerres entre catholiques et musulmans. Ma
mère est catholique, mon père musulman et
pendant vingt-cinq ans ils se sont aimés indépendamment de leur religion.
Et, dans ta famille, comment vivez-vous
les moments religieux?
Dans la liberté pour chacun de nous. Pendant le ramadan par exemple je jeûne moi
aussi et non pas parce que mon père me l’a
imposé, mais parce que je sens ce désir, sans
aucune constriction. Mon père est une figure
très importante, il m’a donné de grands enseignements et quand je me suis trompé, il
m’a expliqué mes erreurs avec des exemple
et par le raisonnement. Et puis je nourris un
profond respect pour son histoire personnelle, pour les sacrifices qu’il a dû faire en quittant sa terre et pour faire grandir sa famille
dans la dignité et l’amour.
Tu parles l’arabe?
Je le comprend parfaitement, mais bien sûr
je parle plus l’italien.
Et plus tard, tu voudrais aller vivre en Tunisie?
Oui, parce qu’on y vit une vie plus tranquille,
et si mon père, quand il sera en retraite, voudra retrouver sa terre natale, je le suivrai.
Que penses-tu de la récente prise de position de notre gouvernement sur le problème des clandestins?
Je crois que ceux qui nous gouvernent n’ont
pas la plus pâle idée des tragédies personnelles que toutes ces personnes sont contraintes
d’affronter quand ils décident d’entreprendre
ces “voyages de l’espoir”. Et la décision de les
ramener en arrière signifie littéralement les
réexpédier vers l’enfer.
Amor, quelle musique tu écoutes?
Le genre de musique que je préfère est le
tango argentin, mais j’aime aussi Battiato, le
blues, le jazz...
Qu’est-ce que tu aimes dans la culture tunisienne et la culture italienne?
Ce que j’aime aussi bien pour l’Italie que la
Tunisie c’est l’art, l’histoire, la littérature et
bien sûr la cuisine!
Que te souhaites-tu pour le futur?
Je voudrais vraiment trouver un travail
comme infirmier, c’est ma voie et puis je suis
très heureux avec ma fiancée Cristina et j’espère que notre union durera. Une vie tranquille en fait, que tous les garçons de mon
âge désirent, et plus tard je voudrais créer
une famille, avoir des enfants, et le jour de
leur naissance, je leur dirai : “Marhaba”.
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PERCORSI
PERCORSI WORLDWIDE
ANFE MET LE PROGRES
AU SERVICE DES
IMMIGRES
PERCORSI WORLDWIDE
Que signifie “Marhaba”?
...Bienvenu...
Paola Pottino
A L’ECOLE AVEC AHMED
Comme tous les ans, avec la réouverture
des établissements scolaires, on trouve devant les portes des écoles de la ville des groupes d’enfants, avec leur cartable, qui attendent le son de la cloche pour entrer en classe.
Mais la différence avec les années passées,
c’est que maintenant, en plus de “nos” enfants, à attendre le dring-dring du début des
leçons, il y a des enfants nord-africains, du
Sri-Lanka, chinois, roumains, albanais...Et
souvent, d’après les instituteurs, ce sont les
plus doués et de bonne volonté. Sans considérer, que sans eux, beaucoup d’écoles élémentaires et collèges seraient en difficulté,
vu que le nombre minimum d’inscriptions
fixé à 500 élèves ne seraient pas atteint. Parce que dans de nombreux cas les étudiants
étrangers constituent un pourcentage variable entre dix et vingt-cinq pour cent de la
population scolaire.
Roberta fréquente la 5ème de l’école Pecoraro de Palerme et, même si ses parents
ne peuvent acheter les livres, elle utilise des
photocopies et maintenant elle sait lire et
écrire correctement en italien. C’est une fille
roumaine du camp de nomades aux portes
du parc de la Favorita. Comme elle il y a 88
autres enfants roumains régulièrement inscrits dans les écoles de la ville. Hajar elle, une
petite fille marocaine arrivée en Sicile par la
Libye avec un bateau de fortune, après avoir
été suivie par les enseignants avec le projet
de l’école à l’hôpital à Villa Sofia, maintenant fréquente avec succès la 4ème. Des
fragments d’histoires de petits immigrés
qui désormais font partie intégrante du tissu
scolaire palermitain grâce à un processus
croissant de sensibilisation et une approche
multi-ethnique de l’enseignement. “Les enfants de mon école, malgré les grandes difficultés matérielles qu’ils ont et les conditions
précaires de vie, en classe tentent de faire de
leur mieux. Ils sont curieux, ils veulent être
acceptés et contribuer eux-aussi à la vie scolaire. Pour les enfants roumains un protocole
à été signé entre les écoles de la ville les plus
proches du camp nomades pour favoriser
l’insertion scolaire: De Gasperi, Monti Iblei,
Pallavicono, San Lorenzo, Tomaselli, Trinacria, Borgese, Florio, Marconi, Orlando, Pecoraro, Virgilio Marone”. Nous dit Maria Giovanna Granata, directrice de l’école Alcide
De Gasperi qui accueille 45 élèves roumains
entre maternelle et primaire.
“Tu devrais travailler plus, comme fait Ahmed”, Giovanni pourrait entendre son professeur lui dire cela. Peut-être que les élèves
étrangers sont plus intéressés et présents
parce qu’ils se sentent, en arrière, par rapport
PERCORSI
128
aux autres à cause de langue. Mais, là aussi,
ils sont aidés par les professeurs, qui intègre
l’italien comme seconde langue, et aussi par
leurs copains de classe. “Il y a beaucoup de
situations difficiles – nous dit Giuseppina
Sorce, directrice du Madre Teresa de Calcutta – mais en gros je peux dire que les élèves
étrangers sont contents d’aller à l’école. Pour
eux c’est la possibilité de connaître la culture
de la ville qui les accueille, d’apprendre à lire
et écrire en italien de façon à ne pas se sentir
toujours étrangers parmi nous. Ils sont vraiment plein de bonne volonté et s’efforcent
de combler les lacunes que bien évidemment ils ont”.
Beaucoup de communautés d’immigrés,
de plus, voient à travers l’école le seul moyen
pour protéger leurs traditions et leur culture. Les enfants étudient toute la journée, le
matin à l’école italienne et l’après-midi où
ils apprennent leur langue d’origine, vu que
beaucoup de ces enfants sont nés à Palerme
et considère l’italien leur première langue.
C’est ce qui se passe chez les tamils du Sri
Lanka, qui sont accueillis au complexe “Peppino Impastato” de Place Principe di Camporeale. Trois après-midi par semaine, les élèves divisés en six classes selon l’âge, étudient
la langue et littérature tamil, l’anglais et l’italien: “Finalement nous avons trouvé un endroit où nos enfants peuvent étudier – nous
dit Thayaraj Thayalan, enseignant d’anglais
– nous voulons transmettre nos plus anciennes traditions aux jeunes générations, mais
en même temps faire bien apprendre l’italien
aux enfants pour une intégration plus heureuse sur le territoire”.
“Oui, J’aime étudier avec lui. C’est mon compagnon de classe, et je lui explique certaines
choses, comme ça je me sens plus grande,
comme notre prof”. C’est Giulietta qui parle,
une petite fille de douze ans qui partage le
pupitre avec Mehdi, treize ans provenant de
Casablanca au Maroc. “J’ai commencé l’école
ici en Sicile. Les élèves de ma classe sont devenus tout de suite mes copains.
Bien sur, le premier jour est difficile pour
tout le monde, mais je ne crois pas que ça
dépend d’où tu viens ou bien où tu es né”.
Que de sagesse et de vérité dans les mots
de Khaled, tablier bleu et nœud rouge amidonné, l’émotion du premier jour d’école est
universelle. Il ne se souvient pas très bien du
nom de sa ville natale, parce qu’il est arrivé
en Sicile dans ses langes, avec sa famille. Il
fréquente le CE2 et il veut absolument continuer ses études comme tous les enfants de
sa classe.
Pendant la récréation Ahmed et Giovanni
jouent ensemble et partagent leurs confiseries. Même la nourriture qui circule maintenant dans les écoles est différentes. Avec
la brioche classique, le sandwich au jambon
et mozzarella, les beignets on trouve des
récipients plein de couscous, brochettes, ta-
jine...Parents et enfants apportent les mets
typiques de leur pays d’origine, et s’échangent parfois les recettes dans des langues
disparates. Ca aussi c’est de l’intégration,
pas seulement entre les élèves, mais surtout
leurs mamans. Comme nous le savons, à table nous sommes tous unis.
Claudia Brunetto
DIEU? IL EST
COMMANDANT ET
S’APPELLE ASIK
26 juin 2009 Lampedusa. Francesco Viviano,
journaliste palermitain est nommé citoyen
d’honneur de l’île, pour l’engagement manifesté envers les immigrés qui tous les ans débarquent par milliers sur les côtes.
Ce n’est pas la première fois que Viviano est
impliqué dans des affaires, souvent dangereuses, qui concernent les immigrés extra-communautaires, comme la plus récente qui a eu
comme personnage un commandant et son
bateau: la Pinar. De cette histoire tragique est
née une pièce théâtrale : “La porta della vita”
magistralement interprétée par Filippo Luna
et adaptée théâtralement par Maria Elena
Vittorietti.
Le spectacle, présenté à l’occasion de la soirée dédiée au journaliste et qui sera proposé
au Salina Doc Festival, parcourt pas à pas les
vicissitudes de certains personnages qui ont
vécu cette tragédie. De la fuite du village par
peur d’être tués – certitude dans de nombreux
cas –, à la traversée du désert pour rejoindre la
Libye, aux viols subis par les femmes, à l’embarcation sur les canots à moteur et vieilles
charrettes que les passeurs appellent encore
bateaux et d’où, ceux qui ne supportent pas,
les femmes et les enfants en général, sont jetés à mer comme des pelures de pommes de
terre, jusqu’à la rencontre avec le capitaine
Asik Tuygun, que tous à bord appellent dieu,
un homme qui a suivi ce que lui dictait son
cœur, sans hésiter à risquer la vie, celle des
ses hommes et perdre son pain.
Des témoignages forts mais vrais, incroyablement vrais, recueillis par le journaliste, qui
ayant découvert l’incroyable histoire de ce bateau, au mouillage entre Malte et l’Italie, chargée de cent-cinquante âmes abandonnées à
elles-mêmes à la merci de lois et bureaucrates qui se renvoyaient les responsabilités et
devoirs, décide de louer un canot à moteur
et après 45 miles de mer agitée, demande
de monter à bord de la Pinar. A partir de là, la
nouvelle commence à se répandre, et comme
par miracle toute l’Italie est sur la passerelle
avec lui.
Le commandant Asik Tuygun, risque son
poste de travail, son armateur est en colère
parce que tout ce retard dans la livraison du
cargo représente une grosse perte économique. Mais maintenant même s’il le voulait,
Nous acceptâmes et Mansour, un homme
d’environ 40 ans, pêcheur, nous conduisit dans
une baraque sur la plage où se trouvaient une dizaine de clandestins. C’était surtout des pauvres
désespérés, mais des sales gueules, avec nous il
y avait aussi une femme avec ses deux enfants
de 3 et 4 ans.
Un vrai supplice. À partir de ce jour notre odyssée commença. Nous dormions sur des paillasses improvisées, il y avait un seul WC à la turque qui se boucha bien vite. Heureusement que
dans la jardin il y avait un robinet avec de l’eau
et nous réussîmes à nous en sortir. Je demandais
à la femme si elle savait nager et elle me dit que
non. Elle me dit qu’il n’était pas important de
savoir nager.
Et quand je lui demandais comment elle aurait
fait si par malchance le canot aurait été emporté
par les vagues et coulé, avec beaucoup de tranquillité et résignation, elle me dit que tout est
écrit “si Allah le veut j’arriverai en Italie, en Europe avec mes enfants, s’il ne veut pas, ça veut
dire qu’il en a décidé ainsi. Donc à quoi sert de
savoir nager?”. Cette réponse me créa des difficultés et moi aussi, à quelques heures du départ,
je commençai à avoir des idées noires, qui s’amplifièrent encore la veille du départ. Mansour
avait récupéré un canot et avait monté deux
moteurs hors bord.
Naturellement je pensais à mes enfants, à toi
qui est là en train de me faire l’interview, à ma
mère, ma femme à laquelle j’avais promis que,
juste après le départ, je l’aurais avertie par un
coup de fil. Je ne le fis pas, ça ne servait à rien.
Quelques heures avant le départ je sortis de
mon sac à dos un gilet de sauvetage que j’avais
apporté d’Italie avec une radio émetteur et un
téléphone satellite. Je donnai mon gilet de sauvetage à la femme et elle le mit.
La tension dans la planque était très forte et
s’embrasa quand Ahmed, un des jeunes clandestins, déjà expulsé une fois d’Italie, commença de
protester que lui aussi ne savait pas nager et que
c’était lui qui devait porter le gilet de sauvetage.
Ce fut des moments dramatiques et il pouvait se
passer n’importe quoi. Il y a avait des couteaux
qui trainaient et lui en avait toujours un dans sa
poche.
Moi aussi j’en avais un, amené pour autre
chose. J’eus peur, très peur, mais les autres
clandestins se mirent de mon côté et Ahmed
abandonna. Nous étions prêts, nous attendions
le coup de fil de Mansour pour nous diriger vers
l’endroit où nous attendait le bateau, quand
l’enfer se déchaina.
Des faisceaux de lumière photoélectriques
illuminaient la zone d’embarquement, nous entendirent des coups d’arme à feu. Notre planque
se trouvait à trois cent mètres de la plage, nous
éteignîmes toutes les lumières et attendîmes.
Quelques heures plus tard nous entendîmes
des bruits de vedettes à moteur et camions.
C’étaient les militaires tunisiens qui, probablement avertis par quelqu’un, avaient séquestrés
le bateau et arrêtés deux des amis de Mansour
qui avait tout organisé. Peu avant l’aube nous
vîmes Mansour arrivé plein de bleus et meurtrissures sur tout le corps, ils nous dit de nous enfuir
en vitesse. Dans les yeux de la femme on lisait
le désespoir, mais aussi beaucoup de foi. Allah
cette nuit n’a pas voulu, mais vous verrez tôt ou
tard il me fera passer nous dit-elle alors qu’elle
s’éloignait avec ses deux enfants, l’un d’eux
portait un tee-shirt avec une inscription en anglais: va où te porte le vent.
Récit du journaliste palermitain qui pour
réaliser un reportage sur les voies de l’émigration clandestine s’est fait passé pour un extracommunautaire en s’infiltrant dans les rangs
des désespérés en attente d’expatriation.
Walter Viviano
BUENOS AIRES, PALERME,
VENISE, A TRAVERS
LA TOILE D’ARAIGNEE
DE SARACENO
La fascinante toile d’araignée de câbles
élastiques qui à la biennale de Venise a fasciné tout le monde, apparaissant aux journaux
télé nationaux et sur les pages d’hebdomadaires comme le New York Times et l’Herald
Tribune est née à Palerme. Une installation
qui dans sa simplicité première unit beauté,
technologie audacieuse et harmonie. L’œuvre de l’artiste argentin Tomas Saraceno se
nomme “Galaxies Forming Along Filamens,
Like Droplets Along the Strands of a Spider’s
Web” (Galaxies qui se forment le long de filaments, comme des petites gouttes le long
des fils d’une toile d’araignée) et représente
à grande échelle la toile d’une araignée, mais
c’est aussi la maquette de l’origine de l’univers.
Quels ont-été les rencontres et les lieux qui
ont déterminé votre parcours artistique?
J’ai beaucoup voyagé et je peux dire que
tous les pays ont laissé une trace en moi,
l’Allemagne, l’Argentine, mais aussi le Iuav
de Venise, où j’ai trouvé de très bons enseignants, pas seulement italiens.
Quels sont les artistes que vous considérez une référence?
Beaucoup, difficile d’en choisir un. Sans
aucun doute Thomas Bayrle, Olafur Eliasson,
Dan Graham, Kyula Kosiche, R. B: Fuller, Sonic Youth et les Ant Farm.
Vous faites partie de ce peuple nombreux
d’italiens qui vit hors des frontières géographiques de la nation, où considérezvous votre chez vous?
Quand on me demande d’où je suis je réponds: “jusqu’à présent de la planète terre”.
Je vis à Francfort et depuis que je suis retourné en Europe j’ai réussi à me faire des
tas d’amis. Ma famille est d’origine italienne,
mon père est de Milan, mais moi je suis né en
Argentine. J’avais un peu plus d’un an quand
129
PERCORSI
PERCORSI WORLDWIDE
mais il ne veut pas, Asik ne peut pas bouger.
Sur la passerelle du bateau, le capitaine, son
équipage et 154 désespérés, dont une jeune
fille de dix-huit ans morte avec son enfant
dans le ventre, attendent depuis dix jours. Des
jours durant lesquels on risque l’épidémie à
bord. Finalement l’autorisation de l’amarrage
à Porto Empedocle arrive. L’odyssée est terminée, pour Asik et ses hommes, mais une autre
commence seulement maintenant pour tous
les autres. “Refoulement” est un mot nouveau
que les 154 rescapés apprendront bien vite.
À Viviano il ne reste qu’à continuer de diffuser les nouvelles, c’est son travail, il le fait bien,
c’est son aide à la justice, son élément dans
le difficile puzzle pour construire un monde
meilleur.
Nous lui avons demandé de nous raconter une des enquêtes qui l’a rendu célèbre,
comme envoyé de frontière. Je m’occupe de
clandestins depuis des décennies. Quand je
travaillais à l’Ansa je fis un article depuis Pantelleria de 70 lignes que personne ne publia, mais
après quelques années, quand le phénomène
était désormais connu, je lus une phrase que
j’avais écrite précédemment “quand ils arrivent
ils demandent la station, mais la seule station
qu’il y a sur l’île c’est celle des flics”.
Je commençais de m’intéresser de plus en plus
à l’argument et menais des enquêtes en Libye,
Tunisie, en racontant le phénomène et surtout
en dénonçant les passeurs, certains “excellents”
parce que des officiers en service dans l’armée
libyenne ou tunisienne qui alimentaient la traite
des désespérés. Je me suis introduit dans le
centre d’accueil de Lampedusa en me faisant
passer pour un extra-communautaire et j’ai été
dénoncé et condamné pour “fausses déclarations”, j’avais réussi à rejoindre en pleine mer
la Capanamur bloquée depuis 15 jours avec 35
clandestins à bord.
L’enquête sur la traversée des clandestins,
j’avais l’intention de la faire depuis longtemps et
donc, avec mon collègue Luigi Pelazza du programme “le Iene” rencontré alors que je préparais l’article, nous décidions de partir ensemble.
Malgré une méfiance au début compréhensible,
de la part des passeurs, l’expérience me servit à
me rapprocher d’eux.
Je trouvai un contact avec un concierge d’une
pension malfamée de Tunis. J’eus besoin que de
cinquante euros pour qu’il me fournisse un autre
contact, qui bien huilé, nous amena à un autre
et ainsi de suite.
Après une quinzaine de passages et environ
un mois de temps finalement à Mahdia, entre
Sousse et Sfax nous contactâmes le passeur qui
allait nous prendre à bord. Il ne comprenait pas
pourquoi nous voulions faire ce voyage risquant
notre vie, mais nous réussîmes à la convaincre
et quand il eut la certitude que nous n’étions pas
des flics ni des agents secrets, il accepta mais en
posant comme condition le paiement double du
trajet.
PERCORSI WORLDWIDE
nous sommes retournés en Italie et dix ans
plus tard en 1986 nous sommes repartis à
Buenos Aires, où entre temps la démocratie
avait été rétablie. Il y a deux ans je suis retourné voir les lieux de mon enfance, la maison où j’ai vécu et ou je jouais, qui se trouve
à Pasian di Prato, près d’Udine et où vivent
mes cousins et mes oncles.
Le secret de votre travail?
La mobilité, on peut le dire en italien? Le
secret c’est de ne pas resté au même endroit
trop longtemps.
Comment voyez-vous l’art contemporain
italien?
Je ne saurais pas porter un jugement, mais
ce qui me surprend c’est que les artistes italiens qui me plaisent vraiment ne vivent pas
en Italie.
Un jugement sur la Biennale?
À Venise je me sens bien, je me sens chez
moi, mes parents m’amenaient souvent sur
la lagune. La Biennale est merveilleuse, il y
avait un tas de choses intéressantes, mais
l’œuvre qui m’a le plus touché est sans aucun
doute celle de Thomas Bayrle.
À faire venir Tomas Saraceno ça a été, en
synergie avec La Fondation Garrone de Gènes, La Fondation Sambuca de Palerme, née
un peu moins d’an du rêve de Marco et Rossella Giammona, entrepreneurs spécialisés
dans la restauration du patrimoine historique monumental. “La Fondation Sambuca
vise à amener à Palerme des artistes, collectionneurs et entrepreneurs amateurs d’art,
qui veulent investir en Sicile, pour mieux
faire connaître au monde ce coin de paradis
– déclare le président Giammona en faisant
appel aux italiens dans le monde. C’est le
devoir de tous les entrepreneurs d’investir
dans l’art. Sur notre terre en particulier le
binôme art-entreprise n’est pas étranger aux
traditions, il suffit de penser aux Florio d’il y
a cent ans”.
Selon Paolo Falcone chargé de l’exposition
“l’œuvre de Saraceno conjugue sciences, art,
architecture et recherche spatiale et c’est
une synthèse parfaite pour la programmation culturelle future de la Fondation Sambuca”. Le succès de Venise poussent les fondateurs, qui avec le financier Fulvio Reina,
après avoir conclu une association avec le
musée régional Riso, visent à créer un archipel de lieux d’exposition défini ‘un système
de musées diffus’. Une série d’espace séduisants et insolites qui vont de la Rolls Royce
d’époque au débarcadère d’un cargo, en passant par le manège du Palazzo Sambuca et
se terminant dans l’ex-fenil de l’un des palais
les plus prestigieux de Palerme. “Tout peut
être transformer en lieu d’exposition pour
l’art contemporain – conclut Falcone – art et
territoire doivent dialoguer, et de cette union
peut naître un nouveau Palerme”.
Antonella Caradonna
PERCORSI
130
LA MUSIQUE MAINTIENT
LES RACINES
Musique, théâtre, cinéma...Il y a aussi le
côté artistique de l’Anfe. Maintenir les traditions, nourrir les racines, cela aussi c’est
le devoir de l’association, et quand dans les
rues de Montevideo ou Buenos Aires on entend chantonner Ciuri, ciuri on sourit parce
que l’objectif a été rejoint. Grâce à la collaboration d’artistes du calibre de Mario Venuti,
Carment Consoli, Sun et Arancia Sonora, la
musique a jeté un pont à nos communautés
d’outre-atlantique, surtout aux jeunes, en
lançant un message fort d’appartenance à la
terre d’origine.
“J’aime penser à l’émigration comme à
une valeur ajoutée. Les italiens ont amené
la richesse de leurs coutumes, la langue, la
littérature, l’art et la cuisine dans les pays
d’adoption”. C’est Carmen Consoli qui parle,
que nous avons rencontré en Argentine, lors
d’une des étapes à l’étranger de son spectacle Eva contro Eva.
Que signifie chanter pour un public sicilien dans un pays qui n’est pas la Sicile?
J’aime les contaminations, mon spectacle
est une contamination de genres, un dialogue entre théâtre et la musique avec des
monologues de Emma Dante écrits pour Simona Malato. Chanter à l’étranger me donne
la possibilité de voir comment les siciliens
ont contaminé le lieu où ils se sont établis.
À Buenos Aires j’ai intégré quelques chansons en dialectes sicilien en poursuivant le
chemin vers le retour à la chanson populaire
sicilienne. Notre culture possède une richesse de textes et de musiques extraordinaires
avec des sons harmoniques et mélodiques
de haut niveau.
Peut-on utiliser la musique comme instrument pour conserver les racines?
Oui et même plus. La musique peut être
un instrument politique. Politique mais pas
de partis, dans le sens d’un instrument pour
défendre des idéaux. La politique, dans son
expression la plus noble de service aux citoyens devient le langage commun à tous les
peuples et comme tel un lieu de cohabitation
pacifique et harmonieux d’humanité variée,
différents entre eux de par la race, le sexe,
les idées et la religion.
Croyez-vous que la musique peut effacer
les frontières marquées sur le planisphère?
Comme disait Baudelaire la musique évoque, rappelle. Tous les arts ont le pouvoir
d’évoquer des sensations et émotions, ramener à l’esprit une terre lointaine, un saveur,
une odeur, un amour perdu. En regardant
un film, en visitant un pays une musique revient à l’esprit. L’art réussit à regrouper tous
les sentiments confinés dans le sous-bois de
notre rationalité
Dans quelle mesure vous sentez-vous
porteuse de culture sicilienne?
Nous sommes tous porteur d’une culture.
Nous italiens nous l’avons dans le DNA, nous
sommes porteurs de culture et de beauté.
Mais la culture est une authentique ressource économique et c’est un grand dommage que les institutions ne s’en rendent
pas compte et laissent s’échapper de jeunes
artistes talentueux, qui quittent l’Italie à la
recherche d’une terre qui puisse accueillir
leurs idées, leur art. Moi je me sens porteuse
de la culture sicilienne, mais pas seulement
à l’étranger, en Italie aussi, en Sicile, à Palerme, à Catane chez moi. Nous avons eu
honte, pendant trop longtemps, de la langue
sicilienne, sans nous rendre compte combien
elle est poétique et pour cela connue dans le
monde entier. Les poésies de Buttitta, Pitré,
toute l’anthologie sicilienne est intraduisible.
J’ai beaucoup voyagé, je peux d’une certaine
manière me considérer une émigrante moi
aussi, même si je n’ai pas été contrainte de
quitter ma terre pour trouver la fortune. Moi
j’ai trouvé mon Eldorado à Catane. Personne
ne voulait me produire, j’ai fait des auditions
un peu partout, à Milan, Rome, sans aucun
résultat, même si c’était des chansons qui
ensuite ont eu une vaste approbation. À la
fin c’est un catanais qui m’a produite. Maintenant je vis entre Catane et Paris, mais je
retourne toujours chez moi, je ne peux pas
rester loin de l’Etna, pour moi la Sicile n’est
pas un point de départ mais de retour.
Croyez-vous que pour les émigrés la Sicile peut être, de la même façon, un point
de retour et non de départ?
Nous siciliens nous sommes toujours sur le
point de partir. Comme disait ma grand-mère “nous autres nous aimons partir toujours.
Jusqu’à quatre-vingts ans si tu dis à une femme de partir, celle-ci fait ses valises”. Mais à
la fin vraiment on n’y arrive pas.
Et l’envie de retourner?
Je ne parlerais pas d’un sens littéral du
terme. Je dirais plutôt que nous retournons
vers un sentiment, une sensation que nous
siciliens nous réussissons à créer partout où
nous allons. Nous créons notre Sicile dans
le lieu que nous choisissons pour demeure..
L’Argentine par exemple est si semblable à
notre pays que l’éloignement se fait moins
sentir, ce n’est pas pareil si on va vivre au Danemark.
Quel message voudriez-vous donner aux
jeunes émigrés siciliens?
De créer des valeurs. Nous les jeunes nous
sommes capables et habiles de créer des
valeurs. Parce que nous tombons amoureux
des choses. Des personnes, des métiers.
Nous mettons l’énergie et la passion dans
tout ce que nous faisons. Comme on dit chez
Antonella Caradonna
SICILE EN FILM
Franco Nero, David de Donatello comme
meilleur acteur protagoniste dans Il giorno
della civetta (1968) de Damiano Damiani,
cette année encore, pour la deuxième fois,
est l’invité du Sicilian Film Festival, à sa quatrième édition. Déjà invité l’année dernière
pour le prix à la carrière, Franco Nero, acteur
de plus de 12 films tous tournés en Sicile a
accepté de retourné en Amérique comme
invité d’honneur du SFF, un festival entier
dédié à la Sicile, qui a projeté Dicerie dell’untore tiré du roman homonyme de Gesualdo
Bufalino. Nous l’avons rejoint à la pêche dans
la baie de Miami Beach, en Floride, devant
un banc de barracudas.
“J’ai toujours eu un beau lien avec la Sicile,
qui est né à Partinico quand je tournais Il
giorno della civetta avec Claudia Cardinale.
L’année suivante Damiani m’a à nouveau
demandé de travailler avec lui, cette fois
dans Confessioni di un commissario di polizia al procuratore de la Repubblica, le film
italien le plus vendu au monde. J’interprétais
le rôle d’un magistrat., le juge Falcone. Dicerie dell’untore, Gente di rispetto de Luigi
Zampa tiré du roman sicilien de Giuseppe
Fava et L’escluso, ont été réalisés en Sicile.
Et je dois dire que tous les films tournés en
Sicile ont toujours bien marchés. La Sicile
me porte chance. A Palerme j’étais l’invité de
Donna Silvana Paladino, qui a une demeure
antique et splendide près de Villa Igea. Je
garde de très bons souvenirs, soirées et fêtes
avec des amis connus alors. Cette année j’ai
accepté de retourner au Sicilian Film Festival
parce qu’il est petit, c’est à dire familial, mais
très grand pour les très beaux films à faire
découvrir aux américains”. Franco Nero ne
ment pas, il y a un lien très fort. Tous les ans
il retourne en Sicile “je vais à Capo d’Orlando
pêcher les surici” nous confesse-t-il.
Vitrine américaine du cinéma sicilien, le
Sicilian Film Festival, a eu lieu à la Miami
Beach Cinematheque avec le sponsoring de
l’Assemblée Régionale Sicilienne. Le Sicilian
Film Festival promeut outre-Atlantique la
culture et le cinéma sicilien, intéressant et
plein de surprises et rend hommage aux siciliens et siciliens d’origine qui ont fait partie
de l’histoire du cinéma mondial. Mais les non
siciliens peuvent aussi aspirer à un hommage
du Festival. A l’occasion de sa quatrième édition le prix comme meilleur réalisateur a été
décerné à Marco Amenta pour la Siciliana ri-
belle, en même temps que sa distribution en
Italie. A l’actrice principale du film, Veronica
D’Agostino, le prix de la meilleure actrice. Le
film avait déjà eu deux candidatures au David de Donatello (meilleur jeune réalisateur
et David Jeunes). Le Sicilian Film Festival a le
mérite d’avoir mis en évidence dans le monde entier l’existence d’un véritable cinéma sicilien, et de son internationalité. Nombreux
les films qui sont arrivés pour les sélections
de la part de productions italiennes et étrangères.
La MGM a envoyé d’Hollywood le célèbre
film Vestitio per uccidere de Brian De Palma
et produit par le sicilien George Litto, auquel
le festival a dédié un moment, pour raconter sa belle carrière. En compétition voici
quelques titres d’un intérêt certain: I Vicere,
grande transposition du roman homonyme
de Federico De Roberto et réalisé par Roberto Faenza; Cover Boy de Carmine Amoroso,
le film italien le plus récompensé dans les
festivals internationaux, produit entre autre,
par Augusto Allegra, qui a tenu une conférence sur la production cinématographique
sicilienne; films de jeunes auteurs siciliens,
comme Lisa Romano, Se chiudi gli occhi.
Nombreux aussi les documentaires, certains
présentés par Gambero Rosso, sur la tradition gastronomique, dont Street food et un
autre dédié au Principe Alliata, et puis aussi
Il mare come il vino, de Luigi Valente sur la
tonnara de Favignana et d’autres encore sur
la Sicile de Vincenzo Consolo sur diverses fêtes et célébrations en terre de Sicile avec des
prises de vue à Palerme, Trapani,Selinunte,
Marsala, Mozia, Ustica, Sant’Angelo Muxaro,
San Biagio Platani, Prizzi, Terrasini, Cinisi,
San Martino delle Scale, Etna, Acitrezza, Siracusa, Vari et bien d’autres lieux.
Cette année aussi La Sicilia di Montalbano
a été un des évènements spéciaux (avec la
collaboration de Antonio Bruni, responsable RAI pour les festivals internationaux)
qui pour la deuxième fois a amené au public
américain la nouvelle série de la série télévisée interprétée par Luca Zingaretti au titre
La Luna di Carta et extraite des romans de
Andrea Camilleri.
Un jury international a récompensé dans les
longs métrages, le meilleur film, la meilleure
réalisation, les meilleurs interprètes et la
meilleure aide technique, nombreux les
courts métrages réalisés par quelques jeunes
auteurs, arrivés pour démontrer combien le
cinéma italien est vital et a un futur. En exclusivité les six courts métrages finalistes de
la section courts siciliens du Festival de Taormine, dirigé par Deborah Young. Le Sicilian
Film Festival, dont le sculpteur Emanuele
Viscuso est le créateur et président et dont
le directeur artistique est Salvo Bitonti, metteur en scène, réalisateur et professeur d’His-
toire du Cinéma et Réalisation à Turin, est en
train de faire connaître et apprécier la Sicile
dans le monde. A Tegucigalpa, Honduras,
avec le support de l’Ambassade Italienne, un
évènement dédié au festival sera réalisé où
seront projetés les films Lettere dalla Sicilia
de Manuel Giliberti, le court métrage Fedra
de Salvo Bitonti et le documentaire Storie di
Sicilia de Sasà Salvaggio déjà récompensé
dans d’autres éditions du festival. Parmi les
nouveautés, à l’étude une SicilianFilmFestivalWebTV qui, à partir de la prochaine édition devrait être présentée avec les caméras.
Rappelons qu’à la deuxième édition, le maire
de Miami Beach a officiellement proclamé
un Sicilian Film Festival Day et remis les clés
de la ville à son créateur Emanuele Viscuso
qui, promoteur à 360 degrés de la culture sicilienne, a déjà créé directement en Sicile le
Festival Internazionale di Musica d’Organo
nelle Chiese dello Storico Principato di Castelbuono (F.I.M.O.) dont la première édition,
promue par le même type de communication d’un festival de cinéma international, a
été un grand succès. Le président Emanuele
Viscuso a confirmé la direction artistique
de Diego Cannizzaro pour la 2ème édition
du FIMO du 8 au 14 septembre 2009. “Pour
un italien à l’étranger – nous dit Emanuele
Viscuso, sculpteur palermitain ayant vécu à
Milan et ensuite à Miami – un festival de ce
type est presque un choc. La Sicile a toujours
été au centre de l’attention pour un seul
cliché. Tout un festival destiné à un public
international et dédié à l’Ile, à sa culture et
créativité, à sa poésie et l’histoire de la Sicile,
à son cinéma loin du thème de la mafia, sont
un don inattendu à ma Région. Un cadeau au
siciliens et à tous les italiens, qui souvent ont
honte de cette sœur un peu particulière. Il
SFF n’est pas un festival local uniquement, le
monde entier en parle. Ils nous arrivent des
propositions pour l’organiser ailleurs, dans
tout le monde, même de l’Inde, de la Syrie
ou de l’Egypte.
Carla Incorvaia
Joe le marin
Tout a commencé avec un sandwich au
saumon. Parce que Vincenzo Incontro, directeur du Plemmirio, la zone maritime protégée de Syracuse dont on considère qu’il est
le pionnier et pendant huit ans conseiller
plongeur pour le programme de la Rai “Linea
Blu”, alors qu’il se trouvait à Punta Bassana
à Marettimo pour faire des prises de vue, il
a eu faim. Et pour satisfaire son appétit il
s’est adressé aux pêcheurs du coin. Ils lui ont
donné un sandwich avec le précieux poisson.
“Je me suis tout de suite demandé d’où il
venait- raconte Incontro -ils m’ont dit: C’est
nous qui le pêchons depuis plus de 100 ans”
131
PERCORSI
PERCORSI WORLDWIDE
nous “nous nous jetons avec le seau”, nous
nous jetons à corps perdu dans tout ce que
nous faisons, sans freins, sans tenir compte
de la fatigue et des sacrifices que cela comporte.
PERCORSI
132
Carla Incorvaia
TROISIEME CIAK
POUR LE
SALINADOCFESTIVAL
Troisième édition pour SalinadocFestival,
le festival du documentaire narratif conçu et
dirigé par Giovanna Taviani. Un pari gagnant,
l’idée d’organiser un festival dans le cœur de
l’archipel éolien, qui plus d’une fois a été le
personnage principal absolu de l’histoire du
cinéma.
Cette année, images sons et réalité de la
Méditerranée s’alterneront du 18 au 27 septembre à travers un parcours itinérant de
l’île, qui s’articule en différentes sections.
De la section cinéma feront partie du
concours Il mio paese: gli invisibili et Reperti
di memoria, espace réservé à la projection
de documentaires de grands noms du cinéma italien et étranger, cette année dédié au
grand Roberto Rossellini. La section Finestra sul presente est dédiée à la production
de documentaires de jeunes cinéastes déjà
affirmés, qui après la projection de leur film
animeront un débat-leçon.
Réservés exclusivement au public îlien les
trois jours Documentiamoci, qui vote et récompense le meilleur documentaire parmi
des grands titres contemporains qui ont
contribué à redéfinir le genre. Sguardi sul
cinema italiano est la section dédiée aux jeunes réalisateurs italiens, qui mélangent des
éléments de films documentaires au cinéma
de fiction. Dans la section Speciale cinema,
John Tuturro présentera son nouveau documentaire sur la Sicile. Puis, le jumelage avec
la prestigieuse Mostra Internacional del Cinema de Sao Paulo continue.
Une autre section importante du festival
est celle dédiée à la littérature, sur des écrivains et intellectuels qui se sont distingués
dans leur engagement civil aux confins de la
littérature et du cinéma. La section Teatro e
Musica prévoit la présence de la dramaturge
Emma Dante, qui dialoguera avec Polyphème, et du conteur Mimmo Cuticchio, aux prises avec Ulysse.
Salinadocfestival est aussi un rendez-vous
important ponctué de workshop pour enseignants, masterclass sur le documentaire, un
concours de photographies documentaires
et un d’écriture créative.
Importante également, la conférence internationale - organisée par l’Anfe en collaboration avec l’Onu et Save the Children
– sur le drame des enfants fantômes, les mineurs non accompagnés qui débarquent sur
les côtes italiennes.
Nombreux les invités importants qui s’alterneront au cours de cette troisième édition: En plus de ceux déjà cités, Vincenzo Pirrotta, Dacia Maraini, Vittorio Taviani, Carlo
Lucarelli, Isabella Rossellini, Wu Ming.
Alessia Franco
GIOVANNA TAVIANI
Spécialiste en littérature contemporaine,
essayiste et célèbre critique de cinéma, Giovanna Taviani, a déjà attiré l’attention du public avec ses deux premiers documentaires,
I nostri trent’anni: generazioni a confronto
présenté dans le cadre du Torino Film Festival et Ritorni, présenté à la fête de Rome
2006. Tout de suite après la maitrise en littérature elle est rentrée dans la rédaction de
Allegoria, une revue de théorie et critique
littéraire dirigée par Romano Luperini. Son
immense désir de narrer lui fait dépasser
n’importe quelle frontière ou barrière. En
2007 elle organise à Salina le premier festival du documentaire narratif: SalinaDocFest;
débutant avec un excellent succès de critique et public. Proposé à nouveau en 2008
avec autant de succès, il retourne cette année avec un programme riche en rencontres
et initiatives.
Le SalinaDocFest a commencé il y a à
peine deux ans avec une excellente réponse de la part de la critique. Qu’est ce
qui a changé cette année et surtout est-ce
que vous pensez avoir rejoint des objectifs
préétablis?
Depuis la première édition le Festival a
reçu une bonne réponse médiatique due
au fait que nous avons fait une proposition
culturelle plus large. Le SalinaDocFest ne
veut pas être une vitrine mondaine mais
veut proposer un tourisme culturel possible
à travers la création d’un lieu idéal, qui puisse
être aussi, un cabinet de réflexion sur le documentaire. SalinaDocFest est en fait avant
tout le festival du “cinéma du réel” dédié à
la nouvelle production de documentaires en
Italie. Contrairement à d’autres pays, elle ne
réussit pas à trouver une distribution capable
de lui donner une visibilité sur les écrans du
circuit national. Le documentaire a pour but
de reconstruire la réalité à travers un regard
personnel.
Dans l’édition de 2008 parmi les dix films
en concours, la moitié a eu comme thème
l’émigration et cette année aussi un espace
considérable lui est dédié.
L’âme du festival a été l’émigration. Nous
savons tous que l’émigration est encore
aujourd’hui une condition réelle et objective
mais n’oublions pas aussi une condition subjective-intérieure. La condition du migrant est
celle de l’intellectuel du troisième millénaire,
qui voit dans l’écriture une bouée de sauvetage pour revendiquer sa propre identité.
Moi même je me sens une éternelle émigrée,
exilée et éloignée, par rapport à une société
dans laquelle souvent je ne m’identifie pas.
Cette année aussi la partnership cinématographique entre Salina et Sao Paolo
continue. Qu’a inspiré cette union et surtout qu’ont en commun deux peuples si
éloignés?
133
PERCORSI
PERCORSI WORLDWIDE
et voici comment est née l’histoire “Il mare di
Joe, dalla Sicilia all’Alaska”. Le documentaire
narre la vie des pêcheurs siciliens en déplacement dans les Etats-Unis pour la pêche d’une
des variétés de saumons parmi les plus rares
au monde, le saumon rouge, le sockeye.
Le projet, qui a couté 120 mille euros, a
été réalisé grâce à une coproduction de Scubafilm et Anfe, L’association nationale familles d’émigrés et a été présenté en avant
première mondiale à Marettimo au mois
de juin. “Il y a encore des communautés de
Marettimo qui vivent aux Etats-Unis, plus de
mille à Monterey en Californie, qui tous les
ans pendant quinze jours pêchent le saumon
sockeye à Coldbay, dans la baie de Bristol,
dans les eaux les plus froides de l’Alaska, en
face des îles Aleutian, à Nackneck. Il y a les
familles: Guerra, Bonanno, Aliotti, et Campo
qui proviennent de Isola et de Trapani.
Les plus gros commerçants de poissons
sont de Augusta, la famille Trincali: ils parlent l’ancien sicilien et l’américain”. La photographie du documentaire a été dirigée
par Marco Mensa, de la Ethnos, une société
de production de Bologne dont fait partie
le preneur de son Maurilio Quadarella. “Il a
fallu deux années de recherches et d’inspections – continue Enzo Incontro – et de liaison
sur Skype. Mais nous avons réussi. La pêche
dure cinq semaines, de juin à juillet, et tous
les ans il y a des flottes de jeunes qui partent.
Le business de la pêche est gros et peut arriver jusqu’à 100 mille dollars. De plus l’activité
est réglée sévèrement par l’autorité de la pêche la “Fish and game”, qui gère fermement
le mode de capture et ouvre la pêche seulement quand les biologistes ont constaté que
le nombre de saumons qui remontent est
juste pour assurer la continuité de l’espèce”.
Les prises de vue ont duré trois mois entre
Marettimo, California et Alaska. Le personnage de l’histoire est Joe Bonanno, alias Giuseppe, 63 ans, il vit à Monterey depuis plus
de 40 ans même si son cœur est à Marettimo.
“La chose la plus impressionnante – nous dit
le directeur du Plemmirio – est de voir la préparation des victuailles et des mets. Leur cuisine est essentiellement méditerranéenne.
Ils préparent du couscous et des arancine et
mangent dans les logements.
La pêche est intense et le summum est le
4 juillet, quand à l’horloge biologique il y a
le plus de captures. Avec la première pêche
on prépare le saumon à la ghiotta, avec des
patates, olives et tomates, riche en Oméga”.
Grace à l’Anfe et au travail de Enzo Incontro
de la Scuba Film et de Marco Mensa de la
Ethnos de Bologne “Il mare di Joe, della Sicilia all’Alaska” fera le tour du monde.
PERCORSI WORLDWIDE
Terre de fuites et d’accostage, d’exils et
de départs, le Brésil comme les îles Eoliennes, appartiennent à l’histoire des hommes
qui connaissent le drame de l’émigration
et de l’exil de la propre terre. C’est pour ça
que nous avons pensé à un jumelage avec
un pays si lointain géographiquement. Il y
a en plus une tradition cinématographique
brésilienne dont le festival de Salina ne peut
pas ne pas tenir compte (un nom pour tous
Glauber Rocha) et une nouvelle génération
de documentaristes brésiliens est en train
de retourner avec force pour raconter les
atroces vérités d’un pays où le drame des
desaparecidos attend encore qu’on lui rende
justice.
Dans la section dédiée aux rendez-vous,
cette année aussi l’Anfe, organise une
conférence internationale sur le thème
“Les enfants fantômes”. Combien, selon
vous, l’opinion publique est sensible au
drame des mineurs non accompagnés qui
débarquent sur les côtes italiennes?
Le thème des enfants fantômes non accompagnés qui tous les ans après avoir débarqués sur nos côtes se perdent dans les
capitales d’Europe pour se transformer en
fantômes invisibles est un thème d’une urgente actualité que l’opinion publique devrait prendre un peu plus en considération.
Le cinéma documentaire des nouvelles générations sent fortement ce problème et
souvent le choisit comme thème privilégié
(je pense à Costanza Quatriglio, documentariste palermitaine, et à son Il mondo addosso, et à Paradà de Pontecorvo, fils de Gilo,
un autre grand maître du cinéma italien, qui
pourraient être projetés au festival de Salina
au terme de la conférence internationale organisée par l’Anfe).
Nombreuses les propositions culturelles
et nombreux les invités présents pour cette nouvelle édition 2009 du SalinaDocFest.
Pouvez-vous anticiper quelque chose?
Vous pensez déjà à un invité en particulier
dont vous voudriez nous parler?
La nouveauté de la troisième édition
concerne l’ouverture à la Méditerranée et à
tous les pays qui partagent avec notre pays,
en particulier avec la Sicile, des habitudes,
culture et tradition. L’invité de la prochaine
édition est l’Espagne, à laquelle nous dédierons un Focus spécial sur le documentaire,
à partir d’un hommage au grand maître du
cinéma espagnol Bunuel. L’intention est de
créer un réseau euro-méditerranéen, fait
d’échanges et de rencontres, qui s’étende
de la rive nord à la rive sud de la Méditerranée, jusqu’au nord de l’Afrique et aux pays du
Moyen-Orient. Dans cette direction le Comité d’Honneur du festival a décidé de décerner pour la nouvelle édition du festival le
prix littéraire à l’écrivain pakistanais émigré
PERCORSI
134
en Angleterre Moshin Hamid, pour Il fondamentalista riluttante. Des Etats-Unis nous
attendons la confirmation pour un invité et
quelques personnages illustres du cinéma
(que je ne nomme pas par superstition) qui
pourraient être présents au festival pour les
soixante ans du film Stromboli, Terra di Dio
de Roberto Rossellini auquel le SalinaDocFest rendra hommage.
D’autres artistes de la scène internationale se
sont joints à la performance, tels que Claudia
Acuña, Dead Perz et beaucoup d’autres.
De New York l’exposition ira à l’automne à
Miami, dans le noble club Casa Tua de South
Beach. Parce que le rêve de la Dolce Vita ne
finit pas d’enchanter. Pas même les américains.
Vita Augusta
Rossella Catalano
LES PIERRES RACONTENT
UNE FABLE QUI CONTINUE
DE FAIRE REVER
Journey to La Dolce Vita: un voyage entre
photographie, musique, cinéma et goût pour
rappeler cette déclinaison d’Italian Style. Aux
enfants démunis et aux victimes du séisme
en Abruzzes iront les gains.
Plus qu’un film, Vacanze Romane, est un
tourbillon d’émotions et, dans un certain
sens, une façon aussi de regarder la vie,
d’en savourer l’intensité. Ça doit être pour
cela que trois mots comme ‘La Dolce Vita’
continuent encore aujourd’hui d’avoir un
charme certain. Et pas seulement en Italie.
Cette déclinaison de l’Italian Style est arrivé
dans un des endroits les plus fascinants des
Usa. Réalisé en collaboration avec le Centre
Culturel Italien de New York, Rai Corporation, la Ville de Brooklyn et Organismes et
Institutions nationaux et américains, Foedus
USA, Journey to La Dolce Vita, s’est développé en cinéma, musique, photographie.
Dumbo est le quartier qui a été choisi pour
l’évènement: sous le pont de Brooklyn, dans
une zone d’artistes, de vieilles usines et lofts
qui garde encore le charme d’une New York
marchande et oubliée. Journey to La Dolce
Vita n’a pas été qu’un rendez-vous glamour
pour revivre une fable, mais une occasion
pour réunir des fonds pour les enfants démunis et les victimes du récent tremblement de terre des Abruzzes. La manifestation s’articulait autour d’une exposition de
photographies d’archives de la Dolce Vita
romaine des années 50 et 60, géré par Renato Miracco, directeur du centre culturel
italien de New York. L’exposition a eu lieu à
Powerhouse Arena, célèbre maison d’édition
et organisme fondateur du prestigieux New
York Photo Festival. Les photos, inédites aux
Etats-Unis, représentent de vraies familles,
présidents et stars hollywoodiennes durant
leurs visites à Rome pendant cette décennie.
Après la projection du film Vacanze romane
dans le Parc du Pont de Brooklyn, l’Empire
Fulton Ferry State Park,les intervenants
ont gouté aux meilleurs plats de la tradition
italienne, du jambon de parme au fromage
Lombard Taleggio, du cappuccino à la glace
artisanale. À Brooklyn Bridge Park, l’artiste
italo-brésilienne Rosalia de Souza, s’est exhibée toujours sur le thème de la Dolce Vita.
Les îles éoliennes sont la charnière entre la
Sicile et la Péninsule, depuis toujours lieu de
rencontre de traditions, personnes et civilisations diverses. Habitées depuis le Néolithique à cause de l’attraction de l’obsidienne
sur les peuples environnants, elles furent le
centre de nombreux habitats préhistoriques
que l’œuvre avertie et passionnée de Madeleine Cavalier et Luigi Bernabò Brea ont mis
au jour en réalisant le Musée Archéologique
Eolien, aujourd’hui dédié justement au spécialiste génois, qui recueille la mémoire de
l’histoire de ce lieu central dans l’histoire de
la Méditerranée. De Filicudi (Montagnola
di Capo Graziano) à Panarea (cabanes du
Moyen Age du bronze de la région de Milazzo) à Salina (Portella), le parcours se déroule à travers les millénaires de la préhistoire vécus entre les petits murs en pierre
séchées des cabanes circulaires qui s’enracinent entre les rochers dangereux souvent
en surplomb sur la mer. Par ici passèrent les
Mycéniens dans leurs pérégrinations à la recherches des métaux, mais aussi les Grecs
et les Romains. C’est à ces derniers que l’on
doit la fascinante collection de masques et
figures de la comédie hellénistique et romaine ou les couleurs solaires et marines du
Peintre de Lipari qui laissa ses décorations
précieuses sur les vases de l’époque.
Dans la mer des Eoliennes, des traces de
ces passages millénaires ont été retrouvées
dans les chargements d’amphores et de
vaisselle précieuse, comme celle vernis de
noir provenant de la Campane, et retrouvée
dans l’épave de Capistello à Lipari. Un des
lieux les plus riches pour les découvertes
archéologiques sous-marines est toujours
Capo Graziano, dans les eaux de Filicudi, ou
le haut-fond dangereux fut la cause de nombreuses tragédies de la mer, comme celle du
bâteau pause-câble Città di Milano qui gît à
ses pieds sur une profondeur de plus de 100
mètres. Ici on peut visiter l’épave A, intitulée à Gianni Roghi, où il reste des amphores
greco-italiques éparpillées entre un banc
sableux et un gros canal, et des céramiques
au vernis noir de la Campane.
A Ustica les traces les plus importantes
de vie remontent à la fin du Moyen Age du
bronze (XIIè av. J.C.). L’habitat des Faraglio-
environ 30 mètres est visible à distance par
un système télécommandé par des caméras
qui ramènent les images en direct actuellement à la mairie de Favignana.
A Pantelleria, en correspondance avec une
phase avancée de l’ancien âge du bronze sicilien, vécut l’habitat fortifié de Mursia, activement inséré dans le réseau commercial
égéo-levantain de la moitié du IIè millénaire
av. J.C.. L’habitat, visible aujourd’hui à travers des vestiges imposants et monumentaux, était constitué de cabanes circulaires
qui changeront durant la phase plus tardive
pour devenir des édifices quadrangulaires à
l’intérieur d’un espace côtier renfermé par
un puissant mur de fortification, au-delà
duquel s’étend la nécropole, qui a rendu
célèbre Pantelleria dans le cadre es études
de préhistoire méditerranéenne pour les
Sesi, structures circulaires au tronc en cône,
construites selon une technique mégalithique et utilisées uniquement pour des fonctions funéraires.
L’habitat romain hégémonique, sur les
deux hauteurs de Santa Teresa et San
Marco, se déploie sur une vaste zone en
amont du chef-lieu communal actuel et,
donc, en directe relation avec l’escale maritime la plus acceptable et importante de l’île
que de récentes recherches archéologiques
sous-marines ont vérifié. Les deux hauteurs
sont séparées par une zone plate assez
grande où des fouilles ont mis en évidence
une vaste esplanade dallée segmentée par
des morceaux de murs saillants qui pourrait
être identifiable en une grande place (forum). Les fouilles ont permis de découvrir
une partie de l’enceinte d’époque punique
traversée par une porte dont la structure
des murs conserve encore partiellement les
restes d’un châssis de type punique d’une
grande valeur.
Du remplissage des citernes sur le sommet
de San Marco proviennent des sculptures
intéressantes d’époque punique et romaine
tardive en fragments pour plusieurs statues
et quelques épigraphes latines, mais surtout les trois célèbres portraits impériaux
romains représentant Jules César, Antonia
Mineure et Titus.
Pantelleria possède aussi des fonds marins
riches en histoire et épaves. Un des lieux les
plus intéressants est la baie de Gadir où des
recherches rapides effectuées par Lamboglia en 1972-73 firent découvrir plus de 100
amphores puniques et hellénistiques-romaines appartenant à deux épaves datables entre la fin du IIIè et le Ier siècles av. J.C..
Une autre épave intéressante, qui transportait surtout un chargement de céramiques concernant la production bien connue
de marmites appelée “pantellerian ware”
toujours en cours de fouilles, se trouve dans
la baie de Scauri. Parmi les objets trouvés
il faut citer un petit anneau d’argent avec
un chaton en cornaline décoré du symbole
chrétien de l’ancre et une perle en cornaline
avec une figure divine portant un arc et un
faon. Les données provenant des fouilles de
l’épave renforce la vision d’un dynamisme
prompt qui concerne la diffusion de ce type
de céramique faite à Pantelleria dans les habitats de Sabratha, Leptis, Djerba, Tharros,
Turris Libisonis, Ostia, Luni, Cosa et Albintimilium.
Les îles Pelagie sont peuplées depuis la
préhistoire, et très bien insérées dans les circuits commerciaux du monde romain grâce
aux formidables ports et surtout au véritable fjord de l’anse Guitcia de Lampedusa.
Lampedusa et Linosa furent habitées déjà
depuis le néolithique à juger des
traces, mais des traces certaines sont celles de l’habitat identifié sur les corniches de
Cala Pisana à Lampedusa. La présence d’un
habitat au néolithique réalisé par des colons
venant de Sicile, nous permet de comprendre le haut niveau de connaissances marines
que les populations siciliennes possédaient
déjà à cette époque.
La présence de nombreuses citernes, de
l’établissement pour la production de garum
et de vastes nécropoles, attestent l’intense
fréquentation à l’époque romaine.
Les eaux splendides des Pelagie, connue
pour leur limpidité et visibilité, renferment
d’intéressants témoignages du passages
des voies marchandes et de flottes en guerre dans cette portion de la Méditerranée
depuis l’antiquité jusqu’au deuxième conflit
mondial. Parmi les découvertes sous-marines les plus intéressantes du point de vue
historique, rappelons les canons de Cala
Pisana qui, en partie, devaient appartenir
à une flotte commandée par Antonio Doria
qui fit naufrage sur les côtes septentrionales
et orientales de Lampedusa alors qu’il naviguait vers l’Afrique.
Les connaissances sur la préhistoire et
l’archéologie des îles mineures de la Sicile
se doivent au travail fatiguant de recherche
réalisé par de seules personnes, mais souvent, surtout récemment, par des projets
de coopération internationale. A Pantelleria
des archéologues et étudiants italiens travaillent avec des collègues d’autres nationalités en faisant comprendre l’importance
de la coopération internationale comme la
meilleure voie pour approfondir la connaissance de notre civilisation méditerranéenne
interactive.
Sebastiano Tusa
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PERCORSI
PERCORSI WORLDWIDE
ni était fortifié sur un côté par un grand mur
en pierre doté de remparts semi-circulaires
donnant sur l’extérieur.
Habitée à l’époque hellénistico-romaine
elle présente de nombreuses traces de présence à la Falconiera et dans les contrées à
l’ouest. Avec le premier siècle de l’ère chrétienne on dirait qu’à Ustica les inquiétudes
défensives cessent. C’est à cette période de
grand développement et prospérité pour la
petite Ustica, qui a duré jusqu’à la crise de
l’empire romain (Vè apr. J.C.) que remontent
les découvertes archéologiques sous-marines identifiées sur les fonds autour de l’île
(Punta Alera, Scoglio del Medico, Secca della Colombaia, Falconiera etc..) démontrant
encore une fois la richesse archéologique
des eaux de Ustica.
Dans les îles Egadi l’attraction archéologique la plus importante est la grande quantité de grottes que l’érosion marine, au cours
des nombreuses transgressions pléistocènes, a creusé sur les falaises spectaculaires
calcaires des trois îles. Marettimo offre un
riche échantillon de grottes, mais toutes au
niveau de la mer, donc, encore en formation
et de ce fait d’intérêt archéologique limité
même si l’une d’entre elles – La grotta della
Pipa – portait des traces importantes de fréquentation anthropique d’époque hellénistico-romaine et médiévale. Les grottes des
deux autres îles, furent, elles, maintes fois et
abondemment habitées à partir du Pléistocène Final ou Paléolithique Supérieur. L’importance de ces cavernes est due surtout à
la présence, dans un cas – Grotta di Cala dei
Genovesi – à Levanzo, d’art rupestre animalier (plus ancien) et dessins schématiques
(plus récent), dont il faut citer le célèbre
faon à la tête baissée sur le corps et le taureau vu de face.
Des indices bien plus gros indiquent l’existence certaine de vastes habitats hellénistico-romains dans les trois îles de l’archipel.
Très intéressant l’établissement pour le travail du poisson (production de garum) qui se
trouve sur la Punta Altarella de Levanzo et
les “Maisons Romaines” de Marettimo.
Ce que la mer a rendu de certaines épaves hellénistiques, romaines et médiévales
est lié aux témoignages terrestres, comme
la découverte, dans la zone de la fameuse
bataille entre Romains et Carthaginois (au
nord-ouest de Levanzo), de deux rostres en
bronze ayant appartenus très probablement
à des bateaux coulés durant le conflit.
Parmi les lieux les plus intéressants rappelons Cala Minnola à Levanzo où a été découvert ce qui reste du chargement d’un bateau
romain républicain appartenant à la célèbre
famille Papia entrepreneurs du Latium. Le
champ d’amphores restées sur le fond à
PERCORSI WORLDWIDE
RETRATO DE SEÑORA
Cuando se escriba la historia de la emigración
italiana, según los cánones historiográficos amados por Jacques Le Goff, ningún historiador podrá evitar tener en cuenta el relevante patrimonio
de actividades de la Anfe, la Asociación nacional
de familias de emigrantes, que celebra los sesenta años de su fundación.
Pero, sobre todo, no se podrá evitar conocer
las obras de su fundadora, Maria Agamben Federici. Nació en L’Aquila, en una familia acomodada, el 19 de septiembre de 1899. Licenciada
en Letras, profesora y periodista, se casó en
1926 con Mario Federici, una de las personalidades más insignes de la cultura de Abruzzo, con
el cual se fue al extranjero, donde enseñó en los
Instituto Italianos de Cultura en Sofía, Egipto y
París.
Católica activa, Federici fue influenciada por
el pensamiento cristiano social, el personalismo
de Mounir y el humanismo integral de Maritai,
que connotaría profundamente la filosofía de
la segunda mitad del siglo XX. Al volver a Italia,
en 1939, concretó sus ideas con un intenso compromiso social y apostolado laico. Activista en
las filas de la Resistencia, organizó un centro de
asistencia para prófugos y veteranos.
En 1944, fue una de los fundadoras de las
ACLI, en cuya dirección desempeñó la función
de delegada femenina, y una de las fundadoras del CIF (Centro italiano femenino), del cual
fue primer presidente, desde el 45 hasta el 50.
Pero, sobre todo, fue una de las figuras más importantes de la nueva República democrática.
Diputada en la Asamblea Constituyente para la
Democracia Cristiana, desde 1946 hasta 1948,
contribuyó a la redacción de las reglas fundamentales de la Constitución. Junto a Nilde Iotti
y Teresa Noce (PCI), a Lina Merlin (PSI) y Ottavia
Penna (Uomo Qualunque), fue una de las cinco
mujeres que entraron en la Comisión especial de
los 75 que elaboró el proyecto de Constitución
que más tarde se llevó a las cámaras aprobándose el 22 de diciembre del 47. Elegida por la Cámara de diputados, actuó al lado de De Gasperi
en la reconstrucción del País.
El de Federici se puede considerar con razón
un ejemplo ante litteram de emancipación femenina, con treinta años de antelación respeto
a los movimiento nacidos en Europa.
El 8 de marzo, Maria Federici funda la Anfe
y asume su presidencia, manteniéndola como
deber moral hasta 1981. Bajo su guía, la asociación se expande por toda Italia, con una red
operativa difundida en los municipios con mayor emigración. Estuvo activa y presente en
cualquier lugar donde los problemas se presentaban especialmente difíciles, en Argentina, en
Brasil, en Venezuela, en los Estados Unidos, en
Canadá, en Australia, pero también en el viejo
continente, en Bélgica, en Francia, en Suiza, en
Alemania, en Holanda, en Luxemburgo, en Gran
Bretaña. Una red capilar de infraestructuras que
se convierten en puntos decisivos para los emigrantes y sus problemas sociales, burocráticos,
pero también psicológicos en la integración en
las nuevas realidades. Las actividades de la asociación, reconocida en 1968 “entidad moral”,
PERCORSI
136
han hecho de ella un pártner en los más altos
organismos internacionales para la emigración
y la inmigración. Maria Federici desapareció el
28 de julio de 1984. Su pensamiento iluminado,
su contacto directo con personas y problemas,
siguen siendo un ejemplo notable en el tiempo
en que vivimos. Un modelo que hoy choca con
ciertas distancias mediúmnicas, con la labilidad
de las referencias a los grandes valores. En la difícil transición que vive Italia, en la que domina
la apariencia más que la sustancia, ejemplos de
vida como el testimoniado por Maria Federici
son referencias indispensables para mejorar la
relación entre instituciones y ciudadanos, para
recuperar la necesaria credibilidad de la política,
para construir el futuro de nuestro País en el respeto mutuo.
Goffredo Palmerini
Un italiano
en Nueva York
América representa, desde siempre, en el imaginario colectivo la libertad. Los Estados Unidos
siguen siendo percibidos como la tierra de los
grandes espacios. Espacios que superan el mero
volumen de los rascacielos de Manhattan o de
los barrios neoyorkinos, más que un espacio entendido como posibilidad que una Tierra ofrece
a la gente.
Hoy, los Estados Unidos siguen representando aquella oportunidad que en el pasado se les
brindó a los emigrantes, quienes encontraron
aquí las condiciones para reconstruirse una vida,
para aprovechar sus habilidades, profesionalidades, competencias y afirmarse en la sociedad.
El sel made man para algunos ha sido una quimera, para otros un mito, muchos, sin embargo,
lo han conseguido.
De aquellos emigrantes de primera generación, han quedado pocos, muchos son, en cambio, los hijos y los nietos que se siguen sintiendo
profundamente italianos, hasta el punto que
han optado por mantener la doble nacionalidad.
Sus narraciones siguen impregnadas de aquella
dificultad que los italianos han encontrado en
su camino hacia la integración, donde a menudo las dificultades nacían del choque entre dos
culturas. Sin embargo, la gran capacidad de
adaptación y la voluntad de encontrar una pacífica convivencia los ha empujado a buscar una
mediación que no los arrancara de sus propias
raíces aun respetando las costumbres del Nuevo Mundo, demostrando, de esta manera, haber entendido la lección de Thomas Jefferson,
tercer presidente de los Estados Unidos, que a
principios del siglo XIX decía: “Quien reciba una
idea de mí, adquiere conocimiento sin que disminuya el mío; como quien enciende su vela con
la mía, recibe luz sin dejarme a oscuras”. No es
por casualidad, entonces, que en ocasión de las
celebraciones de sesenta aniversario de la constitución del A.N.F.E., en la sede del “Italian Art
Club” en Manhattan, y luego en Rutherford, en
New Jersey en la Asociación Italiana Ayer, Hoy y
Mañana” (“Associazione Italiana Ieri, Oggi e Domani”), y, finalmente en el “Rockleigh Country
Club” en New Jersey, se han entonado siempre
el himno americano y el italiano. Se entiende,
por lo tanto, cuál es, para nuestros conciudadanos italianos ya naturalizados americanos,
la importancia de encontrarse unidos bajo la
misma bandera, de custodiar tradiciones y costumbres italianas, de emplear la lengua italiana
en los lugares, en los locales y en los círculos
frecuentados por los emigrantes italianos que
ya han llegado a la tercera o, incluso, cuarta generación. Valores como la fraternidad, la identidad, la patria se convierten en valores comunes
y compartidos tanto por los americanos como
por los ítalo-americanos, que han conseguido
integrarse en la comunidad americana, ocupando puestos de prestigio en el nivel social y económico y la maciza presencia de las comunidades italianas que desfilan por la Quinta Avenida
el día del Columbus day es prueba de ello. Los
nombres italianos excelentes presentes en la
moderna sociedad americana son muy conocidos y muchos de ellos siguen operando, fuera de
los ojos de la gente, ofreciendo su contribución
a través de asociaciones y organizaciones noprofit, a favor de la integración.
El emblema de la “Associazione Italiana Ieri,
Oggi, Domani” representa, simbólicamente el
estado actual de la realidad ítalo-americana.
Tres hombres, que representan los segmentos
temporales a los que la asociación se refiere,
están dibujados bajo tres banderas, respectivamente, la italiana que se refiere al ayer, la americana que se refiere al hoy y la italiana y americana que se refiere a un mañana de completa y
definitiva integración.
Pasquale Peluso
Argentina, es decir
¿Otra Italia?...
Buenos Aires. Normalmente hay dos maneras
en Italia para hablar de Argentina: la manera
de quienes despachan el tema afirmando, tout
court, que se trata de otra Italia, y la manera de
quienes de este País lo ignoran todo, ni siquiera
saben dónde está y confunden Buenos Aires con
Río y con el Brasil... Del segundo caso no merece
la pena ocuparse, como se decía antaño. Sobre
la “visión” número uno merece la pena, en cambio, intentar alguna consideración y esbozar
alguna información. Quienes consideran que
Argentina es la otra Italia, que es toda italiana,
nada más llegar sufren una gran decepción por
lo que se refiere a la lengua. Nuestra lengua aquí
no se ha arraigado mucho. Extraño. Sí, extraño,
pero explicable, como veremos. El italiano no lo
habla casi nadie. Casi. Sobre 40 millones de argentinos, siempre hay unos 100.000 estudiantes de italiano, pero son pocos, ¿no? Sí señor,
son pocos.
Los demás siempre dicen entender italiano:
“entiendo, entiendo”. Pero no es verdad. No
entienden sino algunas palabras y solo algunas
veces “pescan” el sentido de lo que oyen. Sin
embargo, dicen que entienden y a menudo con
cierto sentido del pudor, porque, llevando casi
siempre un apellido italiano, temen quedar mal,
no quieren quedar decepcionados. Y ésta es una
característica de los argentinos que emerge
re. Eran la meta de gente que dejaba un País del
que sabía poco. Gente sacada como con un grúa
de los campos, de una cumbre de un monte y colocados en un barco. Veía, divisaba las luces de
Nápoles, el Beverello o la Lanterna de Génova.
Y salían, salían buques... Culturalmente desarmados, llegaban a ciudades inmensas, nuevas,
en vías de formación, donde la especulación, el
abuso, la ley del más fuerte era la norma con la
que vivir. Ambientarse, integrarse era obligatorio. El italiano como lengua para ellos no había
existido nunca. Imperaba el dialecto, y el dialecto se fundía rápidamente con el español local,
se convertía en una mezcla cómica que aquí en
Buenos Aires – en la tradición publicista y literaria – acabaron bautizando cocoliche, del apellido
– dicen – de un emigrante calabrés, Cocolicchio.
Y el cocoliche “adornó” durante mucho tiempo
la farsa teatral local; y a los jóvenes que frecuentaban la escuela argentina no les gustaba tener
un padre que hablara cococliche.
No faltan, sin embargo, las paradojas.
En este mismo ambiente, ya desde la mitad del
siglo XIX, se afirma la tradición del periódico en
lengua italiana. Museos y bibliotecas argentinas
siguen conservando primeras páginas y periódicos enteros con los títulos más diversos, gacetas
escritas en italiano, con tiradas relevantes para
la época, periódicos que a veces duraron largos
decenios. Alguien, no analfabeto, no cocoliche,
los hacía, alguien los leía estos periódicos. Junto
a la emigración humilde, a menudo sin alfabetizar, había llegado también gente instruida, culta, experimentada que sabía hacer periódicos
y difundirlos – como le sucedió al palermitano
Salvatore Ingegneri que, después de haber dirigido en Palermo el diario revolucionario “Il Povero”, emigró a Argentina con su hijo Giuseppe,
que aquí se convirtió en “José Ingenieros” e hizo
una larga carrera política, literaria y científica,
dejando textos y libros de raro valor.
Pero, ya antes de esta emigración masiva, había habido otra culturalmente calificada de emigrantes mazzinianos y garibaldinos que huían
de las cárceles y desahogaban, en las riberas del
Plata, en Buenos Aires y Montevideo, sus ideas
revolucionarias.
De hecho, en 1810, cuando Argentina – el año
que viene se celebrará el bicentenario – dio comienzo a su proceso de independencia, en la
primera Junta de Gobierno que abre las hostilidades contra los españoles, aparecen cuatro
apellidos italianos, que se convirtieron en fundadores de esta Patria: Belgrano, Alberti, Beruti y Castelli.
Esto nos anima a decir que Argentina no es
sólo un País hacia el cual los italianos emigraron
como un aluvión masivo, en busca de una vida
mejor, sino que es también un País que los italianos contribuyeron a fundar, es decir, que estaban desde antes de que “una Nueva y Gloriosa
Nación” – como cantan los himnos románticos
de la época – se asomara al mundo. Eso explica, desde luego, la identidad de los argentinos
que tienen innegablemente a Italia en su ADN,
aunque no siempre sepan precisar región y municipio de procedencia de sus antepasados y casi
nunca hablen italiano...
De lugar
de la memoria
a cantera para
nuevas ideas
Formar parte de un grupo, de una gran familia
cuyos miembros, por lo menos en la fase inicial,
se conocen poco o nada entre ellos. Saben con
certeza, sin embargo, que la procedencia de la
tierra de origen es la misma. La del asociacionismo es una historia cargada de infinitas historias,
que nace con los primeros flujos migratorios en
el Nuevo Mundo. Para muchísimos emigrantes
que llegaron a estas tierras ignotas, las asociaciones representaron el primer front office, indispensable para poner en marcha un difícil proceso de integración en la nueva patria.
Hoy, más de un millón y medio de individuos
se reconoce en las más de 5000 asociaciones
esparcidas por Italia y en el extranjero, como se
deduce de los trabajos del congreso internacional sobre el relanzamiento del asociacionismo
en las políticas migratorias, que se ha desarrollado en Palermo el pasado invierno y organizado por ANFE.
Por su misma constitución, las asociaciones
de italianos en el extranjero representan un
empeño, colectivo e individual, en el respeto
de principios inderogables de solidaridad política, económica y social, para la afirmación de la
igualdad de dignidad social y la igualdad ante la
ley, sin distinción de sexo, de raza, de lengua, de
religión, de opiniones políticas, de condiciones
personales y sociales. Conceptos de la Carta
Constitucional que se han convertido en materia viva en el mundo del asociacionismo italiano
en el extranjero y para el extranjero.
Hoy el papel del asociacionismo vive una renovada responsabilidad social, puesto que puede
representar un fuerte apoyo en la gestión de la
emigración.“El fenómeno migratorio no pone
en juego sólo cuestiones políticas, económicas
y demográficas – afirma Paolo Greco, vicepresidente nacional de la Asociación Nacional de
Familias De Emigrantes -. Conocer la historia
social y cultural de la emigración italiana en el
mundo nos es útil para comprender cómo los
procesos migratorios pueden fundarse en nuestro País y actuar para una positiva integración
valorizando lo que para nosotros ha sido esencial instrumento de crecimiento en las sociedades de acogida”.
Considerando estos presupuestos, el papel
del asociacionismo, hoy, no es nada secundario, aunque va reinterpretado a la luz de las
exigencias y de las expectativas de los jóvenes,
los emigrantes de tercera y cuarta generación,
haciendo de las asociaciones no sólo lugares de
la memoria, sino también instrumento de contemporaneidad que recoge nuevos estímulos.
Los jóvenes que viven en el extranjero están,
hoy más que en otros momentos históricos,
divididos entre dos pertenencias: la de la sociedad de origen, a la cual están ligados cada vez
menos a medida que aumenta la duración de
la permanencia en el extranjero, y la del país
de acogida, a la cual, sin embargo, no sienten
pertenecer de manera total. Es necesario, por
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PERCORSI
PERCORSI WORLDWIDE
en seguida. Temen el juicio de la gente, el qué
dirán... Para un italiano que llega, el descubrimiento más general e inmediato, el del ambiente, del “mundo” en el que se encuentra, es de todas formas agradable, entre usos y costumbres
conocidos, notorios. Uno se siente en seguida
en su propio terreno, sicológicamente consabido. Ningún sentimiento de incomodidad, de
alguna manera, una vuelta a casa. Esto sucede
con Argentina y los argentinos, más allá de la
lengua. Se ven en todas partes apellidos italianos, se siente respirar dondequiera un espíritu
de familia paisano. Se descubre que hablan otra
lengua para decir nuestras mismas cosas y de la
misma manera, con una actitud análoga, pensadas y vividas de una idéntica manera. Tiene
la misma actitud desinteresada con la política
y los políticos, consideran sagrada la amistad,
familiarizan con extrema facilidad, aprecian la
misma mesa, hablan demasiado, son inteligentes, creativos, listos, a veces mentirosos, cínicos
y lo suficientemente gamberros. Intentan identificarse siempre con el más fuerte, con el mejor. Dan la razón a quien gana. Un italiano aquí
descubre en seguida, en cuanto cata cualquier
tema, sentimientos análogos a los suyos.
Parece que no haya diferencias, pero luego las
diferencias existen, afloran. Se descubre que
proceden de una escuela diferente, no tienen el
culto al pasado. Nunca saben, los argentinos, de
qué pueblo, de qué provincia eran sus antepasados italianos. A la pregunta dantesca «¿Quién
fue tu mayor?», nunca saben contestar con precisión. Si fue el padre, el abuelo o el bisabuelo,
no saben explicar de qué región, ciudad o provincia. Saben que era italiano, han heredado
sus vicios, tic y virtudes, pero recuerdan pocas
cosas: que decía siempre la misma broma, que
comía de aquella manera, que era muy trabajador, rígidos en sus modales y en las cosas en las
que creía, riguroso en la educación de sus hijas.
Ha hecho historia aquí la figura del italiano del
siglo XIX, de grandes bigotes, severo e intransigente. Cuando un argentino, también un argentino actual, debe explicar que en una determinada circunstancia se ha enfadado de verdad y
ha tenido una reacción furibunda, violenta, dirá
siempre, teatralmente, que “me ha salido toda
la vehemencia italiana!”.
Barzini señor, que escribió mucho sobre la
presencia italiana aquí en los primeros años
del siglo XX, notaba que en estas familias, aun
siendo tan característicamente italianas, no había demasiado respeto por la figura humilde y
modesta del padre y se refería a la escuela de la
que provenían los muchachos, una escuela que
temía la contaminatio italiana por el núcleo duro
de los dialectos que dominaban el habla de gran
parte de la población.
Había islas de genovés, piamontés, véneto,
siciliano y otros dialectos meridionales. Italiano casi nada. Entre 1875 y 1924, a Argentina
llegaron más de dos millones de italianos. Las
guerras, las carestías, las dificultades surgidas
antes y después de la unificación empujaban a
catervas de pobre gente de nuestras regiones
más allá del Océano. Se dirigían a dos grandes
ciudades soñadas y vividas como dos países besados por la prosperidad: Novaiorca y Bonosai-
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tanto, involucrarlos directamente en las asociaciones, pero también intervenir adecuadamente con intervenciones culturales, con proyectos
más concretos de partenariado económico. Lo
que los jóvenes piden es una información más
concreta, profunda y objetiva, unida a servicios
de “informajóvenes” a través de internet, páginas específicas, blog.
La historia de los emigrantes italianos en el
mundo es una historia triste de la que a menudo uno se avergüenza, una historia que muchos
emigrantes tienden a olvidar. El asociacionismo
debe servir para rescatar una imagen positiva
del ser italianos, debe representar un vehículo
para la conservación y la transmisión del patrimonio cultural. Debe ser, para los jóvenes, un
lugar donde poder hacer nacer nuevas ideas,
donde redescubrir sus propios orígenes aprendiendo la lengua y la cultura de sus abuelos. Un
instrumento de promoción del turismo de retorno a través de intercambios culturales.
Gaetano Calà
Aquella memoria
conservada
en los museos
Un viejo refrán, por algunos atribuido a los Pieles rojas de América, recita: si no sabes adónde
ir, date la vuelta y mira por dónde has venido.
En todas las épocas, la recuperación de la memoria colectiva ha sido sentida como un bien
fundamental para la construcción del futuro. No
hace excepción el período de los grandes flujos
migratorios que afectaron a toda Europa. La
idea de dar vida a los archivos de la emigración
se hace concreta en 1990, en un lugar fuertemente simbólico: Ellis Island, Nueva York. Un
modo diferente de mirar la emigración, el de
los archivos de la memoria, con una mirada más
atenta, en la que los hombres y sus historias están connotados esencialmente como recurso.
Museos, pero también centros de estudio,
archivos, centros de documentación e investigación han nacido también en Italia. El objetivo,
además de la recuperación de la memoria, es el
de recuperar los instrumentos para afrontar los
flujos migratorios hodiernos, que ven nuestro
País ya no como tierra de partida, sino como lugar de llegada.
En Roma, en el Vittoriale, se ha inaugurado
hace poco el Museo nacional de las migraciones, que se articula en tres secciones: la primera
recorre el nacimiento y el desarrollo de la gran
emigración italiana; la segunda sección traza
una geografía de la emigración, profundizando las características migratorias peculiares de
cada región. La tercera sección, finalmente, está
dedicad a un viaje por la emigración a través de
áreas temáticas que le consienten al visitante
tener un conocimiento interactivo de todo el período histórico mediante el cine, la literatura, la
música, los objetos y documentos raros.
También Sicilia se ha dotado de una red de
Museos sicilianos de la emigración; cada uno
identifica las diferencias de los flujos migratorios según las distintas áreas geográficas. Los
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siete museos tienen, sin embargo, el mínimo
denominador común de la atracción suscitada
por las tierras de más allá del océano, inducida
por la capilar propaganda de las grandes compañías de navegación. El sueño americano, en
resumidas cuentas, llega a Sicilia en forma de
ilustraciones e inscripciones a color.
Las diferencias entre los tipos de flujos migratorios son, en cambio, el elemento peculiar evidenciado en cada museo. La emigración del latifundio, expuesta en los pabellones de Aquaviva
Platani, en la provincia di Caltanissetta, es, por
ejemplo, muy diferente de la de las costas, analizada en cambio en los museos de Giarre (Catania), Savoca (Messina) y Canicattini Bagni (Siracusa), en el área del Belice. En el museo Ibleo de
Ragusa es posible comprender hasta que punto
un territorio caracterizado durante siglos por la
ausencia del latifundio y por la presencia de una
pequeña y mediana propiedad influyó en los flujos migratorios.
La emigración desde las islas si está representada, en cambio, por el Museo Eoliano de la emigración existe desde 1999. A través del precioso
material documentario custodiado por las familias isleñas y las actas oficiales de los municipios,
de hecho, ha sido posible construir un recorrido
antes y después del viaje. El museo recorre algunas fases de vida eoliana: el modelo económico
de desarrollo eoliano antes de la emigración,
pero también la infección de filoxera, la crisis de
la piedra pómez. Una sección importante está
dedicada, además, a la exposición de las 1132
cartas procedentes de América del Norte, de
Australia y, en menor medida, de los países latinoamericanos, pero también de materiales sobre la vida de las sociedades eolianas de mutua
ayuda en América y Australia, desde 1898 en
adelante. El archivo comprende también noticias y documentos sobre las remesas y los donativos para la restauración de las iglesias eolianas
y para la ejecución de importantes obras públicas; y una riquísima colección de fotografías.
Además de los museos y la documentación de
un importante retrato de vida, existe también el
testimonio de una realidad poco conocida, documentada por el volumen “Una casa para los
emigrantes”, al cuidado de Claudio Colombo,
que en 140 páginas analiza la odisea de miles de
trabajadores italianos durante años obligados a
llevar su profesionalidad al extranjero.
La casa de los emigrantes, un edificio que
se encuentra detrás de la estación ferroviaria
central de Milán, fue inaugurada en el mes de
diciembre de 1907, y siguió activa hasta mediados de los años Veinte. Estaba compuesta
por un cuerpo en un piso realzado de unos 350
metros de superficie, y de otro accesorio de 80
metros cuadrados; tenía una sala de espera, dos
dormitorios, cuartos de baños y lavaderos, todo
dotado de luz eléctrica y calefacción. Durante
sus primeros cinco años de vida, la casa hospedó
gratuitamente a medio millón de emigrantes, a
los que se evitaba, de esta manera, especulaciones de comerciantes y hoteleros. Reventados
por los largos viajes en tren, a los emigrantes se
les daba de comer y, a la vez, se les informaba
sobre todo lo que les pudiera ser útil: horarios
ferroviarios, coincidencias y cambios, organi-
zación sindical del País al que iban a trabajar,
informaciones sobre el mercado del trabajo que
los esperaba.
Una Milán, la de principios del siglo XX, que
demuestra estar a la vanguardia en el afrontar el
fenómeno migratorio incumbente, con su masa
de gente, con sus numerosas historias, asustada
y, al mismo tiempo, llena de expectativas hacia
el Nuevo Mundo.
Marcello Saija
Un diálogo de paz,
con ideas concretas
Devolver al Mediterráneo su función primaria de lugar de intercambio y de confrontación
entre pueblos. Con estas premisas ha nacido el
Comité Permanente para el Partenariado Euromediterráneo (Coppem), con el fin de promocionar el diálogo y la cooperación para el desarrollo
local entre ciudades, municipios y Regiones de
los Países que lo integran. El reglamento del Comité, aprobado en Gaza en el 2000, acoge plenamente la Declaración de Barcelona firmada
en 1995, que pretende instituir un Partenariado
global euromediterráneo para transformar el
Mediterráneo en un espacio común de paz, de
estabilidad y prosperidad a través del fortalecimiento del diálogo político y la seguridad, un
Partenariado económico y financiero y un partenariado social, cultural y humano. Forman
parte del Comité Permanente para el Partenariado Euromediterráneo Argel, Austria, Bélgica,
Chipre, Dinamarca, Estonia, Egipto, Finlandia,
Francia, Jordania, Grecia, Irlanda, Israel, Italia,
Letonia, Líbano, Lituania, Luxemburgo, Malta,
Maruecos, Países Bajos, Palestina, Polonia, Portugal, Reino Unido, República Checa, Alemania,
Siria, Eslovaquia, Eslovenia, España, Suecia, Túnez, Turquía y Hungría.
“El Comité insiste mucho sobre el carácter
concreto de las iniciativas que promociona –
dice Francesco Sammaritano, dirigente del
Coppem. Nos planteamos objetivos concretos,
porque es importante que las comunidades en
las que actuamos toquen con la mano las ventajas que puede tener el partenariado con otras
realidades. Una colaboración a total, en resumidas cuentas, contribuye concretamente a hacer
mejor la vida”.
Coppem y Anfe han puesto en marcha desde
hace tiempo una colaboración para proyectos
de excelencia. Entre éstos, el proyecto Fishar,
destinado a la formación de las marinas de la
costa sur del Mediterráneo, que toca puntos
fundamentales como la seguridad a bordo de los
barcos pesqueros, la tutela del medioambiente
y la valorización del pescado. Del proyecto – en
el que participan Túnez, Egipto, Marruecos, Libia, Palestina, Israel – son pártner, entre otros,
el CNR y el COSVAP de Mazara del Vallo (esta
última es la mayor organización de marinas sicilianas), los municipios de Sciacca y Messina y el
Parque Tecnológico de Palermo. Otro broche de
oro que ve colaborar Anfe, Coppen e Ismett es
el protocolo de acuerdo para la realización de un
centro permanente para la formación de personal médico y enfermero-técnico.
Rossella Catalano
EXTRANJERO
ES/Y EXTRAÑO
Se desintegran las naciones, caen las fronteras, tienden a desaparecer los guetos, todos
podemos ir a donde queramos. Nos mezclamos,
hacemos intercambios, nos confundimos. Y, sin
embargo, los prejuicios siguen imperando. A
menudo permanecen latentes, pero en momentos de crisis emergen con violencia. Y, así, cuando se habla de bárbaros, de extranjeros y, más
en general, de flujos de gente, de fronteras y de
límites que se atraviesan y se vuelven a atravesar, entramos en el campo específico del prejuicio, y del prejuicio al racismo, o mejor dicho, a
los racismos (de los extranjeros a los ancianos,
a los homosexuales, a las mujeres, a los diferentes, etcétera) el paso es breve.
Pero, ¿cuál es el origen de todo esto? Estereotipos, prejuicios y autoengaños protegen al “Sí
mismo” y lo colocan en una zona de sombra. La
pantalla se pone entre el “Sí mismo” y lo real,
entre identidad y objetividad, entre seguridad e
incertidumbre.
Pero, ¿Qué es el prejuicio? El prejuicio es una
suerte de evaluación íntimamente vinculada al
sentido de lo común, que no solamente no es
una expresión de una elección objetiva de evaluación, sino que tampoco se conecta con específicos y conscientes parámetros definitorios
de nuestro campo de experiencia. El prejuicio,
además, tiene un fuerte poder de prescripción
sobre las conductas individuales o de grupo y un
igual poder de veto hacia el posible surgir de juicios más sujetivos.
El racismo es un precipitado del prejuicio. El racismo no es simple hostilidad hacia todo lo que
es diferente de sí, no es tampoco etnocentrismo, no es evidenciar las diferencias para interés
propio, sino que es todo esto a la vez y, además,
utilizar la diferencia contra los demás con el
fin de sacar provecho de ello, como sucede en
toda colonización. Algunos estudiosos ligan el
racismo a la tesis del chivo expiatorio, otros lo
definen como creer que un determinado grupo
étnico es inferior por razones genéticas. Éstos,
desde luego, son sólo algunas sugerencias para
ulteriores profundizaciones.
En esta ocasión es importante subrayar que el
racismo puede manifestarse tanto a nivel individual como a nivel institucional, y es también
el infiltrado o latente en leyes o en normas sociales que discriminan algunos grupos culturales
y étnicos (los negros, los árabes, los eslavos,
etcétera). La hostilidad hacia grupos diferentes
nace del hecho que se desea conservar la propia
identidad (mejor dicho, “identicidad”), también
fenotípica, morfológica, de aspecto exterior, y
encontrarla lo más posible en los propios descendientes (certeza y continuidad). Pagès lo ha
definido como “homofiliación física”, de ahí el
odio hacia los mestizos, los mulatos, las mezclas
en general, el miedo a ensuciarse en las mezclas
de sangre. Siempre Pagès habla también de
“homofiliación cultural”, es decir, el deseo de
perpetuación de una similitud relativa a valores,
juicios, costumbres, convicciones. Llegamos, de
esta manera, al Otro y a su irreducible diversidad. El Otro es el extranjero, el enfermo psíquico, el homosexual, en resumidas cuentas, el Otro
con piel, comportamientos, códigos, lengua, diferentes de la nuestra. Se identifica por un progresivo proceso de diferenciación de nosotros,
es decir, por una percepción de la Alteridad, en
cuanto agresión a nuestra “normalidad”. El Otro
es el que perturba, el que de repente inquieta
nuestros sueños, nuestras relaciones, nuestras
costumbres. El Otro es también el amor, la
ruptura del equilibrio, el final de homeostasis,
el Otro es el hermanito recién nacido que turba equilibrios familiares consolidados. El Otro,
por tanto, se coloca en el interior de la dinámica
amigo/enemigo. Si es amigo, amante, es, pues,
identificable con nosotros, se nos parece, nos
atrae, nos seduce, hay algo de su diversidad de
lo que queremos apropiarnos, que queremos fagocitar, hay algo de nosotros que queremos que
el Otro coma, que se nutra de ello. Si es enemigo, entonces, es el “falso enemigo”, la amenaza,
el que invade (bárbaro porque invasor e incívico,
falto de nuestros códigos de relación de nuestra
lengua, de nuestras costumbres, de nuestro estilos de vida). El Otro es la sombra persecutoria de
la perturbación, es el temor, el temblor, el rostro
que se colora, la pesadilla, la monstruosidad que
ataca nuestra tranquilizante personalidad. La
relación, sin embargo, es el espacio de la diversidad y del conflicto, inútil negarlo. El espacio
mental compartido tiene que convertirse en el
espacio ambiental en el que es necesario aceptar la diversidad y lo extraño”. Pero, sobre todo,
el extraño y lo extraño que están dentro de nosotros. El extranjero real, en carne y hueso, de
hecho, evoca y hace visibles nuestras partes en
la sombra y desconocidas, el extraño y lo extraño que nos habitan. Extranjero no es sólo el que
es diferente de nosotros, sino, sobre todo, quien
cuya pertenencia nos parece “infiel” y opuesta
a la nuestra. El extranjero y lo extraño que están en nosotros se confrontan con lo conocido,
tranquilizante y objeto de la continuidad entre
existir y estar (entendido como “estar en un lugar”). El miedo a la pérdida del estar se convierte en miedo al extranjero que el Otro, el extraño
real, acaba por el configurar, por el definir y por
el proponer en cuanto variable compartida por
el miedo y la ansiedad, el pánico y la depresión.
Los procesos que determinan la individualización y la gestión de este espacio mental no son
exclusivamente políticos, sino que interactúan
con aquellos procesos de formación y de circulación de las competencias sociales sobre las que
es necesario poder trabajar para mejorarlas. En
una sociedad que hay que debe poderse pensar
y actuar de manera multiétnica, necesitamos
conocimientos y competencias muy diversificadas y, también, fuertemente ancladas en una
idea de la diferencia y de la comunidad.
El ambiente con el que nuestra mente debe
confrontarse no pertenece a la simple configuración geoantropológica, sino a la selección
de lo vivido y a la realización de un espacio del
encuentro y de la solidaridad. Pero, el encuentro se pone a sí mismo como variable independiente, sólo si en la sociedad de la mente (el
mundo interior, intrapsíquico) es posible situar
la diferencia, no como choque, no como “lucha
en contra”, sino como “lucha por”, como espacio
de la cesión de partes de sí y de adquisición de
partes del otro. Un ejemplo puede ser ofrecido
justo por el Mediterráneo y por su particular
configuración, como espacio ambiental compartido, perteneciente tanto a la posibilidad
de la coherencia, como a la de la complejidad,
al horizonte de la legibilidad, pero también a la
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¿Cuáles son en cambio lo proyectos con los
Emiratos árabes?
“Nuestra iniciativa – continúa Samaritano – es
muy ambiciosa: crear las condiciones para que
los Emiratos abran su primer consulado italiano
en Palermo. Inútil decir qué representará esto
para Sicilia, no sólo por los enormes recursos
financieros de los Emiratos árabes unidos, sino
también porque la sede de Palermo podría ser
la cabeza de puente para relaciones más estrechas con el Maghreb y Oriente Medio”. Una de
las primeras iniciativas de las que se ha hablado
es la puesta en marcha, en Erice, de tres máster, abiertos a 120 licenciados de los Países que
han firmado el tratado de Barcelona. El objetivo
es crear en la ciudad trapanesa una escuela de
especialización permanente para licenciados
del área euromediterránea. El iter formativo
comprende temas que abarcan desde el proceso histórico-cultural y antropológico de los Países del Partenariado auromediterráneo hasta
la comparación de los sistemas legislativos y el
reconocimiento del papel social y jurídico de las
mujeres. “Esta iniciativa firmada por Coppem,
Anfe y el Ayuntamiento de Erice tiene un gran
valor cultural y político – continúa Samaritano
– porque juntar neolicenciados procedentes de
Países diferentes por lengua, cultura y tradición
significa activar un intercambio en muchas direcciones entre sujetos que serán la futura clase
dirigente en los Países de los que proceden”.
¿Cuáles son las necesidades más urgentes
del área euromediterránea?
Es necesario, ante todo, afrontar cuestiones
delicadas, como inmigración, terrorismo, seguridad, tutela del medioambiente. Se trata
de fenómenos muy complejos, que pueden
ser afrontados exclusivamente mediante amplios partenariados. Otra cuestión que hay que
afrontar es la del turismo: si se consiguiera, por
ejemplo, armonizar la restauración del inmenso
patrimonio cultural presente en esta área, se favorecería un macizo desarrollo del turismo que
garantizaría enormemente a los países involucrados.
La convivencia entre pueblos se realiza también mediante la confrontación religiosa, que
ha producido tensiones y extremismos. ¿Qué
camino recorrer para un diálogo constructivo?
Creo que es necesario, antes que nada, valorizar las diferencias, considerarlas recursos y no
obstáculos. En un fragmento se lee que Alá creó
pueblos, clases sociales, gentes diferentes. No
porque lucharan entre ellos para decidir quién
era el mejor, sino porque cada uno apreciara la
diversidad del otro. Está bien recordar que los
extremismos, de dondequiera que procedan,
son expresiones de intolerancia muy marginales
y que prevalece la moderación.
PERCORSI WORLDWIDE
del misterio. No es una casualidad que diversos
estudiosos hayan enfocado en la individualización de un “Mediterráneo en la mente”, un
espacio de trabajo que abre diversas perspectivas. Desde un punto de vista ejemplificador, el
espacio ambiental, el mediterráneo en particular, interviene en términos de construcción de la
satisfacción de las necesidades ambientales, de
las gratificaciones, pero también de las ansiedades, del estrés o de los conflictos intersujetivos.
En general, de hecho, el espacio ambiental que
“nosotros podemos pensar” se confronta con la
posibilidad que se nos da de pensar también en
espacios mentales afectivos y emocionales.
El Mediterráneo es espacio de la diversidad y
del conflicto, inútil negarlo. El espacio mental
compartido se convierte, justo en este contexto, en espacio ambiental en el que es necesario
poder aceptar la diversidad y la “extrajeridad”,
pero, sobre todo, como se ha dicho, el extraño
y lo extraño que habitan en él. El proceso que
determina el cambio, sin embargo, es interno
a una posibilidad de pensabilidad del cambio.
Como proceso entendemos no sólo la registración de las transformaciones, sino también la
capacidad de proyectarlas y gobernarlas, delimitando nuestra función emocional sobre ellas.
Desde este punto de vista, el extranjero es la posibilidad que la irrupción de lo nuevo puede ser
compartida, que el conflicto se viva como crecimiento en la reciprocidad, en cuanto relación
entre nuevos que todavía deben desplegarse.
Franco Di Maria
LA EMIGRACIÓN
DA LOS NÚMEROS
El mercado italiano del trabajo se abre ya
desde hace años a los inmigrantes, para desempeñar funciones físicamente incómodas y
fatigosas, antaño destinadas a las clases menos
pudientes. Sin embargo, desde hace algún tiempo se registra un fenómeno, confirmado por los
datos de Unioncamere, relativo a los inmigrantes que deciden trabajar autónomamente como
empresarios; hoy, de hecho, son más de cuarenta mil, en Italia, las empresas cuyo titular ha
nacido en Marruecos. En Sicilia se cuentan 3464
empresarios marroquíes, 160 chinos y 1020 de
Bangladesh, con una verdadera colonia palermitana de 819 actividades empresariales, equivalentes a más del 11% de la cifra nacional. Significativa también es la presencia de tunecinos
en la zona de Palermo y de los senegaleses en
la de Catania. La presencia más difundida de los
empresarios extracomunitarios se encuentra en
la capital regional, con 3620 empresas sobre un
total de más de doce mil. El farolillo rojo lo tiene, en cambio, Enna, donde operan apenas 189
inmigrantes.
En general, a pesar del vertiginoso aumento
de inscripciones en el registro de las empresas
sicilianas, el porcentaje de la isla está a la cola
de la clasificación nacional por número de empresas individuales con titular inmigrante no
UE. En la isla la incidencia es del 3.8%, en Palermo del 5.3% y en Enna del 1.5%: poca cosa en
comparación con el 6.5% de la media nacional
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y las máximas del 10% alcanzada en Toscana y
Lombardía. El sector principal de actividad de
las empresas de inmigrantes en territorio siciliano es el comercio (9348), especialmente al por
menor, seguido por la agricultura, que cuenta
con 921 empresas con titular no comunitario;
finalmente, son 520 las empresas con titular extracomunitario en el sector de la construcción,
507 en la manufacturera y 230 entre hoteles y
restaurantes.
Desde el punto de vista de la edad anagráfica,
estos empresarios tienen en su mayoría de 30 a
50 años. Uno de los problemas principales que
los inmigrantes afrontan, tanto en Sicilia como
en la península, es el acceso al crédito: son todavía muchas las dificultades encontradas, para
cumplir con las garantías exigidas por los bancos, por quienes se esmeran en incrementar ulteriormente el porcentaje de empresarialidad.
Mariangela Vacanti
Anfe pone
el progreso
al servicio de
los inmigrantes
Uno de los motivos de orgullo de Anfe es la
sucursal multifuncional de Marsala, que ofrece
servicios a los ciudadanos, también y, tal vez
principalmente, inmigrados, destinados a la inserción en el mundo del trabajo. Nace en 1998
de manera experimental, pero pronto su actividad, reconocida de utilidad pública, es financiada por la Regione Sicilia y por la Agencia Regional para el Empleo.
Las principales actividades son informaciones sobre el mercado del trabajo, coloquios,
seminarios y formación orientadora, asesoría,
pero también otros tipos de servicios como la
promoción de la autoempresarialidad, el cruce
demanda-oferta de trabajo, stage y prácticas
informadoras y asistencia a la proyectación de
intervenciones de recualificación y actualización del personal.
Los usuarios de la sucursal son varios; se trata,
principalmente, de desempleados o en busca
de primera ocupación, sobre todo mujeres de
más de veinticinco años, poco los licenciados,
muchos más los diplomados o con un diploma
de enseñanza obligatoria. Pero la modernidad
de la sede de Marsala se refiere exactamente a
la asistencia y ayuda ofrecidos a los ciudadanos
inmigrantes y a las comunidades extranjeras,
con el objetivo de construir una red sinérgica
comunicativa que pueda facilitar el acceso a los
servicios a los ciudadanos extranjeros regularmente residentes en el territorio, acompañando
los procesos de acogida y de integración.
Con el proyecto “AL SALAM”, que se propone abatir los obstáculos entre las administraciones públicas y privadas y los ciudadanos
extranjeros, los mediatores culturales, además
de la función lingüística y cultural, desempeñan
también el papel de ayudar a los inmigrantes
en la preparación de los trámites burocráticos.
Existe, también, el proyecto MAHRABAN, cuyo
objetivo es, por un lado, favorecer el camino de
inserción de los inmigrantes y, por otro, aportar
un cambio en las instituciones y en el contexto
social, dando oportunidades de diálogo y de
comprensión recíproca. Finalmente, ETHNICITY aspira, además de a la reducción de barreras lingüísticas y culturales, a la puesta en
marcha de iniciativas culturales destinadas a
los menores, gestionadas en colaboración con
los padres y los responsables de las diversas comunidades, destinadas al desarrollo de la identidad y del sentido de pertenencia a las propias
raíces culturales. Con este objetivo, se han
creado espacios de agregación y de encuentro
entre italianos e inmigrantes (talleres artísticos, talleres de juego, biblioteca intercultural,
servicios sanitarios).
Walter Viviano
UN CHICO SICILIANO
DE SANGRE ÁRABE
Un muchacho, hijo de uno o de ambos padres
extranjeros, nacido o llegado a Italia en tierna
edad, se define “inmigrante de segunda generación”. La misma acepción, de origen inglés
(second generation), no es del todo exacta o,
por lo menos, parece ambigua.
Si es verdad que el inmigrante es quien vive
en primera persona la experiencia de la inmigración, estos chicos, en cambio, tal experiencia, no la han vivido nunca directamente, sino,
en muchos casos, sólo a través de las narraciones de sus padres. Ambigüedad a parte, ellos,
los pueblos de las segundas generaciones, son
muchos, muchísimos, y representan la efectiva
posibilidad de una integración real. Según el
informe Istat de 2008, son 457.000 los chicos y
las chicas extranjeras nacidos en Italia y el suyo
no es un mundo a parte, sino un bellísimo connubio hecho de tradiciones, usos y costumbres
ligados y vinculados al mundo y a la sociedad
en la que viven. Nada malo, por tanto, si su
novia es italiana, si van a bailar por la noche, si
hablan en dialecto, visten a la moda, escuchan
música house y luego rezan a Alá y ayunan durante el Ramadán. Esta es la historia de Amor
Souhi, un muchachón de 22 años que, desde
sus 187 centímetros de altura, nos cuenta su
experiencia de chico, hijo de madre siciliana
y de padre tunecino, llegado a Italia hace más
de veinticinco años, y que, juntos, unidos en
el amor, han creado una familia bellísima en la
cual musulmanes y católicos rezan juntos. Que
sea Semana Santa o el Ramadán a ellos les importa poco.
Amor, ¿te has sentido alguna vez excluido
por tus amigos, por el apellidos que llevas?
Nunca. Y digo la verdad. Nunca he advertido
en el ambiente que frecuento ninguna mínima
resistencia. Además, ¿por qué tendrían que haberme excluido? Un apellido extranjero es sólo
un apellido diferente, pero, habiendo nacido
y vivido en Palermo, yo me siento a todos los
efectos ciudadano italiano con una suerte más:
la de conocer la cultura del pueblo tunecino
que forma parte de mi código genético.
¿Qué has estudiado?
Me he diplomado en el instituto de arte, pero
Paola Pottino
EN LA ESCUELA
CON AHMED
Como todos los años, en concomitancia con
la vuelta al colegio, nos podemos encontrar delante de las cancelas de los institutos de nuestra
ciudad con la habitual reunión de niños y chiquillos que, con sus mochilas en los hombros, esperan que suene el timbre. Pero, diferentemente
a hace algunos años, esperando el ring-ring que
señala el comienzo de las clases hay algunos
niños norteafricanos, srilankeses, chinos, rumanos, albaneses... Y, a menudo, según dicen los
maestros y los especialistas son de los mejores
y voluntariosos. Sin considerar el hecho de que,
si faltara su presencia, muchas escuelas y colegios tendrían grandes dificultades, puesto que
no conseguirían alcanzar el número mínimo de
inscripciones fijado en 500. Obvio, porque en
muchos casos los estudiantes extranjeros constituyen un porcentaje variable entre el diez y el
veinticinco por ciento de la población escolar
que gravita en las aulas.
Roberta cursa la segunda media en la escuela
Pecoraro de Palermo y, aunque sus padres no
pueden comprar los libros de texto, estudia con
las fotocopias y ya sabe leer y escribir en italiano
correctamente. Es una niña rumana del campo
nómada a las puertas de la Favorita. Como ellas,
otros 88 niños rumanos está regularmente matriculados en las escuelas de la ciudad. También
Hajar, una niña marroquí llegada a Sicilia desde Libia en un cayuco, después de haber sido
guiada por las profesoras con el proyecto de la
escuela en el hospital de Villa Sofia, ahora cursa
con éxito tercero de primaria. Son solamente
fragmentos de historias de pequeños inmigrados que ya forman parte integrante del tejido
escolar palermitano, gracias a un creciente proceso se sensibilización y a un enfoque multiétnico de la enseñanza. «Los niños de mi escuela, a
pesar de las grandes dificultades materiales que
tienen y las condiciones precarias de la vida que
conducen, en clase se esfuerzan por rendir de la
mejor manera posible. Son curiosos, desean ser
aceptados y contribuir a su vez a la vida escolar.
Para los niños rumanos se ha firmado un protocolo de acuerdo entre las escuelas de la ciudad
más cercanas al campo nómada para favorecer
la integración escolar: De Gasperi, Monti Iblei,
Pallavicino, San Lorenzo, Tomaselli, Trinacria,
Borgese, Florio, Marconi, Orlando, Pecoraro y
Virgilio Marone», dice Maria Giovanna Granata, directora del Alcide De Gasperi acoge a 45
alumnos rumanos desde la guardería hasta la
primaria.
«Tendrías que esforzarte más, como hace
Ahmed»: justo esto podría oírle decir Giovanni
a su profesor. El hecho de que los estudiantes
extranjeros estén más interesados y presentes
que los demás podría derivar también del hecho
de que se sienten “un paso atrás” con respeto a
sus compañeros, por cuestiones estrictamente
vinculadas a la lengua. Pero, también en esto,
están ayudados tanto por los profesores, que
integran el italiano como segunda lengua, como
por los propios compañeros de pupitre. «Hay
muchas situaciones difíciles – dice Giuseppina
Sorce, directora del Madre Teresa de Calcuta –
pero, en general, puedo afirmar que los niños
extranjeros son felices de venir a la escuela.
Para ellos representa la posibilidad de conocer
la cultura de la ciudad que los acoge, de aprender a leer y escribir en italiano de modo que no
se sientan eternamente extranjeros entre nosotros. Son verdaderamente voluntariosos y se
esfuerzan para superar las lagunas que inevitablemente tienen.» Muchas comunidades de
inmigrados, además, ven en la escuela la única
manera para tutelar sus tradiciones y su cultura.
Por eso, los niños estudian todo el día, por la mañana en la escuela italiana y por la tarde en clases donde aprenden su propia lengua de origen,
puesto que muchos de estos niños han nacido
en Palermo y consideran el italiano su primera
lengua. Esto sucede entre los tamil de Sri Lanka,
matriculados en la escuela “Peppino Impastato”
de pza. Principe di Camporeale. Tres tardes a la
semana, los alumnos, repartidos en seis clases
según la edad, estudian la lengua y la literatura
tamil, el inglés y el italiano: «Por fin hemos encontrado un lugar para que nuestros niños estudien – dice Thayaraj Thayalan, profesor de inglés – queremos conservar nuestras tradiciones
más antiguas entre las jóvenes generaciones,
pero, a la vez, que aprendan bien italiano para
una integración más feliz en el territorio».
«Sí, me gusta estudiar con él. Es un compañero, pero le explico igualmente algunas cosas,
así me siento mayor y mejor, casi como nuestra
profesora». Habla Giulietta, una niña de doce
años que comparte el pupitre con Medí, de trece años, originaria de Casablanca, Marruecos.
«Empecé la escuela aquí en Sicilia. Mis compañeros se han convertido en seguida en mis amigos. Claro, el primer día fue difícil para todos,
pero no pienso que dependa de donde vienes o
de donde has nacido». Cuánta sabiduría y verdad
en las palabras de Khaled, babi azul y lazo rojo
almidonado, la emoción del primer día de escuela es universal. No recuerda bien ni siquiera el
nombre de s ciudad natal, porque llegó a Sicilia
todavía bebé junto a su familia. Curso tercero de
primaria y tiene intención de seguir estudiando
como todos los demás niños de su clase. Durante el recreo Ahmed y Giovanni juegan juntos y
comparten sus meriendas. También la comida
que ahora circula en las escuelas es diferente
de la de hace algunos años. Además del clásico
cruasán, del bocadillo de jamón y mozzarella, de
la rosquilla, se encuentran recipientes llenos de
cous cous, brochettes, tajin… Padres y niños, de
hecho, llevan en las carteras platos típicos de su
país de origen, intercambiando a veces las recetas en las lenguas más diferentes. Esta también
es integración, no sólo entre los estudiantes,
pero sobre todo entre sus mamás. Ya se sabe,
en la mesa somos todos una única familia.
Claudia Brunetto
¿Dios? Es un
comandante
y se llama Asik
26 de junio de 2009, Lampedusa. Francesco
Viviano, periodista palermitano, recibe la ciudadanía honorífica de la isla, por el empeño
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luego no he seguido estudiando porque encontrar un trabajo en este ámbito es pura utopía.
¿Y ahora?
Trabajo como voluntario en Cruz Roja. He
venido hace poco de Abruzzo, donde hemos
intentado dar una mano a esta gente martirizada por el terremoto. Antes de esta experiencia,
he trabajado, como voluntario, en Protección
Civil. Creo que ayudar a los demás es mi verdadera índole y prioridad, pero también en este
campo encontrar un trabajo es muy difícil y mis
coetáneos lo saben.
Amor, ¿crees en Dios, Alá o en quién?
Creo en un solo Dios. Llamémoslo como queramos, sigue siendo Dios. De verdad, no consigo entender todas estas guerras entre católicos
y musulmanes. Mi madre es católica, mi padre
musulmán y, durante veinticinco años, se han
querido mucho a pesar de su religión.
Entonces, en tu familia, ¿cómo vivís los momentos religiosos?
En libre respeto mutuo. En el período del ramadán, por ejemplo, yo también estoy en ayunas y no porque me lo haya impuesto mi padre,
sino porque quiero hacerlo, sin constricciones.
Mi padre es una figura muy importante, me ha
enseñado mucho y cuando me he equivocado
me ha explicado los errores con el ejemplo y
el razonamiento. Además, siento un profundo
respeto por su historia personal, por los sacrificios que ha tenido que afrontar yéndose de su
tierra para que su familia creciera con dignidad
y amor.
¿Tú hablas árabe?
Lo entiendo perfectamente, aunque, obviamente, hablo más italiano.
En un futuro, ¿te gustaría ir a vivir a Túnez?
Sí, porque se vive una vida más relajada y si
mi padre, cuando se jubile, quisiera volver a su
tierra, yo le seguiría.
¿Qué opinas de la reciente postura de nuestro gobierno a propósito del problema de los
clandestinos?
Creo que quien gobierna no tiene la mínima
idea de las tragedias personales que cada una
de estas personas está obligada a afrontar
cuando decide emprender estos “viajes de la
esperanza”. Y la decisión de devolverlos a su
país significa literalmente mandarlos al infierno.
Amor, ¿qué música escuchas?
El género de música que prefiero es el tango
argentino, pero me gusta también Battiato, el
blues, el jazz...
¿Qué esperas del futuro?
Me gustaría mucho encontrar un trabajo de
enfermero, este es mi camino y, además, soy
muy feliz con mi novia Cristina y espero que
nuestra unión pueda continuar. En resumidas
cuentas, una vida tranquila que desea cualquier
chico de mi edad y, además, deseo crear una
familia, tener hijos, a los que, el día de su nacimiento les diré: “Marhaba”.
¿Y qué significa “Marhaba”?
Bienvenida...
PERCORSI WORLDWIDE
demostrado con los inmigrados que todos los
años, a miles, desembarcan en sus costas. No es
la primera vez que Viviano se ve involucrado en
historias, a menudo peligrosas, al lado de ciudadanos extracomunitarios, como la reciente que
ha tenido como protagonista un comandante y
su barco: el Pinar.
De esta trágica historia ha nacido una obra
teatral titulada “La puerta de la vida”, magistralmente interpretada por Filippo Luna y adaptada teatralmente por Maria Elena Vittorietti.
El espectáculo, ya presentado en ocasión de la
entrega al periodista de la ciudadanía honorífica
lampedusana y que se volverá a proponer en el
Salina Doc Festival, recorre paso a paso los avatares de los protagonistas que han vivido esta
tragedia. Desde la fuga de su aldea, por miedo –
certeza, en muchos casos – a ser matados, hasta
la travesía del desierto para llegar a Libia, hasta
los estupros sufridos por las mujeres, hasta el
embarque en lanchas y pateras, que los patrones siguen llamando barcas, y de las que, los que
no aguantan, normalmente niños y mujeres, son
tirados al mar como piel de patata, hasta el encuentro con el capitán Asik Tuygun que todos,
a bordo, llaman dios, un hombre que ha hecho
lo que le decía el corazón, sin dudar en poner en
peligro su vida, la de sus hombres y su pan.
Testimonios fuertes, pero verdaderos, inverosímilmente verdaderos, recogidos por el periodista, que habiendo oído la increíble historia de
este barco, anclado entre Malta e Italia, cargado
con más de ciento cincuenta almas abandonadas a su suerte a merced de leyes y burócratas
que se endosaban recíprocamente responsabilidades y deberes, decide flotar una lancha y
después de 45 millas de mar gruesa, pide subir a
bordo del Pinar. Desde aquí, empieza a difundir
noticias y, como por milagro, toda Italia está en
la pasarela con él. El comandante Asik Tuygun
arriesga su puesto de trabajo, su armador está
enfadado, porque todo este retraso en la entrega de la carga representa una notable pérdida
económica. Pero, a estas alturas, aunque quisiera, y no quiere, Asik no puede moverse. Mientras tanto, en la pasarela del barco, el capitán, su
tripulación y 154 desesperados, entre los cuales
se encuentra una joven de 18 años fallecida con
su niño en el regazo, esperan diez días.
Días durante los cuales a bordo puede propagarse una epidemia. Por fin llega la autorización
para amarrar en Puerto Empedocles. La odisea
ha terminado, por lo menos para Asik y sus
hombres. Otra empieza sólo ahora para todos
los demás. “Rechazo” es una palabra nueva que
154 aprenderán pronto.
A Viviano no le queda otra posibilidad que seguir difundiendo noticias, es su trabajo, lo hace
bien, es su contribución a la justicia, su pieza en
el difícil puzzle para construir un mundo mejor.
Le hemos pedido que nos cuente una de los reportajes que lo han hecho famoso, como enviado de frontera.
Me ocupo de clandestinos desde hace decenios.
Cuando trabajaba para el Ansa escribí desde Pantelleria un artículo de 70 líneas que nadie publicó,
pero, después de unos años, cuando el fenómeno
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saltó a la crónica, leí una frase que había escrito
en aquella ocasión «cuando llegan preguntan por
la estación, pero la única estación que hay en la
isla es la de los carabinieri». Empecé a sentir un
interés cada vez mayor por el tema realizando artículos en Libia, Túnez, relatando el fenómeno y,
sobre todo, publicando nombres y apellidos de los
patrones, algunos “excelentes”, porque oficiales
al servicio del ejército líbico o tunecino que favorecían la trata de los desesperados. Me introduje
en el centro de acogida de Lampedusa haciéndome pasar por extracomunitario y, por eso, me
han denunciado y condenado por “declarar señas
personales falsas”, conseguí alcanzar en alta mar
el Capanamur bloqueado en mar durante 15 días
con 35 clandestinos a bordo. El sobre las travesías de los clandestinos era un artículo que tenía
intención de hacer desde hacía mucho y así, con el
colega Luigi Pelazza de las “Iene”, con el que me
había cruzado mientras preparaba el reportaje,
decidimos partir.
A pesar de una comprensible difidencia inicial de
los patrones, la experiencia me ayudó a acercarme
a ello. Encontré un contacto con el portero de una
pensión de alta fama en Túnez. Fueron suficientes
unos cincuenta euros para que me diera el nombre
de otro contacto, quien a su vez, bien sobornado,
nos llevó a otro, y éste a otro... Después de unos
quince contactos y casi un mes de tiempo, por fin,
en Mahdia, entre Sousse y Sfax, contactamos con
el patrón que nos llevaría a bordo. No entendía
por qué queríamos hacer aquel viaje arriesgando
la vida, pero conseguimos convencerle y cuando
estuvo seguro de que no éramos policías, ni agentes secretos, aceptó, poniendo como condición que
pagáramos el doble por la travesía. Aceptamos y
Mansour, un hombrón de unos 40 años, pescador,
nos llevó a una caseta en la playa donde encontramos a una decena de clandestinos. Eran sobre
todo pobres desesperados, pero de aspecto sospechoso; con nosotros había también una mujer con
dos niños de 3 y 4 años. Una verdadera tragedia.
Aquel día empezó nuestra odisea. Dormíamos en
lechos de fortuna, había sólo un baño a la turca
que pronto se atascó. Afortunadamente, en el jardín había un grifo con agua y, de alguna manera
nos apañamos.
Le pregunté a la mujer si sabía nadar y ella me
contestó que no. Me dijo que no era importante
saber nadar. Y cuando le pregunté qué haría si
por desgracia la barca fuera arrastrada por las
olas y se hundiera, con mucha tranquilidad y resignación, me contestó que todo está escrito “si
Alá quiere, llegaré a Italia, a Europa con mis hijos,
si no quiere, significa que lo ha decidido así. Por
tanto, ¿para qué sirve saber nadar?” Aquella respuesta me inquietó y yo también, a pocas horas
del viaje, empecé a tener malos pensamientos,
que empeoraron más el día anterior a la salida.
Monsour había recuperado una barca y le había
montado dos motores fuera borda. Desde luego,
pensaba en mis hijos, también en ti que ahora me
estás entrevistando, en mi madre, en mi mujer a la
que había prometido que, nada más partir, la avisaría con una llamada. No lo hice, no servía para
nada. Algunas horas antes de salir, saqué de mi
mochila un chaleco salvavidas que me había llevado desde Italia, junto a un radiorreceptor y a un
teléfono satelital.
Le di a la mujer el chaleco y ella se lo puso. La
tensión en el refugio era altísima y se hizo candente cuando Ahmed, uno de los jóvenes clandestinos, expulsado ya una vez de Italia, empezó a protestar porque el tampoco sabía nadar
y aquel chaleco tenía que ponérselo él. Fueron
momentos dramáticos durante los cuales podría
haber pasado cualquier cosa. Circulaban algunos cuchillos y él siempre tenía uno en el bolsillo.
Yo también tenía uno que llevaba para usarlo
de otra manera. Tuve miedo, pero los demás
clandestinos se pusieron de mi parte y Ahmed
desistió. Estábamos preparados, esperábamos
la llamada de Mansour para dirigirnos hacia el
punto en el que nos esperaba la barca, cuando
se desencadenó el infierno.
Rayos de luz de células fotoeléctricas iluminaban la zona del embarque, oímos también unos
disparos. Nuestro refugio estaba a trescientos
metros de la playa, apagamos todas las luces y
esperamos. Algunas horas después, oímos ruidos de patrulleras y camiones. Eran los militares
tunecinos que, probablemente avisados por alguien, intervenían requisando la barca y arrestando a dos amigos de Monsour que lo habían
organizado todo. Poco antes del alba vimos aparecer a Monsour, lleno de cardenales, y arañazos
por todo el cuerpo, nos dijo que huyéramos rápido. En los ojos de la mujer se leía la desesperación, pero también tanta fe. “Alá esta noche no
ha querido, pero ya veréis que antes o después
me lo permitirá”, nos dijo mientras se alejaba
con sus dos hijos, uno de los cuales llevaba una
camiseta con una frase en inglés ve dónde te lleve el viento.
Narración del periodista palermitano que,
para realizar un reportaje sobre las rutas de la
emigración clandestina, se ha hecho pasar por
extracomunitario, infiltrándose en las filas de
los “desesperados” a la espera de expatriación.
Walter Viviano
dentro
de la telaraña
de Saraceno
Ha nacido en Palermo la fascinante telaraña
de cables elásticos que en la Bienal de Venecia
ha dejado a todo el mundo extasiado, apareciendo en los telediarios nacionales y en las
páginas de periódicos como el New York Times y el Herald Tribune. Una instalación que
en su primordial simplicidad une belleza, osadía tecnológica y armonía. La obra del artista
argentino Tomás Sarraceno se titula “Galaxies
Forming Along Filamens, Like Droplets Along
the Strands of a Spider’s Web” (Galaxias que
se forman a lo largo de filamentos, como gotitas a lo largo de los hilos de una telaraña) y
representa a gran escala una telaraña, pero es
también el modelo del origen mismo del universo.
¿Cuáles han sido los encuentros y los lugares
que han determinado su recorrido artístico?
He viajado mucho y puedo decir que cada país
ha dejado una huella, Alemania, Argentina, pero
también el Iuav de Venecia, donde he encontrado óptimos maestros, no sólo italianos.
Han llevado a Venecia a Tomás Sarraceno,
en colaboración con la Fundación Garrone de
Génova, la Fundación Sambuca de Palermo, nacida hace poco menos de un año del sueño de
Marco y Rossella Giammona, empresarios especializados en la recuperación del patrimonio
histórico monumental. “La Fundación Sambuca
quiere traer a Palermo artistas, coleccionistas
y empresarios amantes del arte, que quieran
invertir en Sicilia, para que el mundo conozca
mejor este rincón de paraíso – declara el presidente Giammona apelando a los italianos por el
mundo.- “Es un deber de todos los empresarios
invertir en arte. En nuestra tierra; en particular,
el binomio arte-empresa no es ajeno a las tradiciones, basta pensar en lo que hicieron los Florio
hace cien años”.
Según Paolo Falcone, el director de la exposición , “La obra de Sarraceno conjuga ciencia,
arte, arquitectura y estudio espacial y es una síntesis perfecta de la futura programación cultural
de la Fundación Sambuca.”. El éxito obtenido en
Venecia incentiva a los fundadores, que junto al
financiero Fulvio Reina, después de establecer
un acuerdo con el museo regional Riso, pretenden crear un archipiélago de lugares expositivos
definido ‘un sistema museal difundido’. Una
serie de espacios sugestivos e insólitos que van
desde un Rolls Royce antiguo a una pasarela de
un buque mercante, pasando por las caballeri-
zas de Palacio Sambuca, hasta el exhenil de uno
de los palacios nobiliarios más preciosos de Palermo. “Todo puede ser transformado en sede
para el arte contemporáneo – concluye Falcone
- arte y territorio tienen que dialogar, y de esta
unión nacerá una nueva Palermo”.
Antonella Caradonna
UN CUENTO QUE
NO DEJA DE HACER
SOÑAR
Jorney to La Dolce Vita. Un viaje entre fotografía, música, cine y gusto por recordar esta
declinación de Italian Style. A los niños indigentes y a las víctimas del seísmo en Abruzzo, los
ingresos Más que una película, Vacaciones en
Roma es un vértice de emociones y, en cierto
sentido, también una manera de ver la vida, de
saborear su intensidad. Será por eso que tres palabras como ‘La dolce vita’ hoy siguen evocando
una fascinación indiscutible.
No solamente en Italia. De hecho, esta declinación del Italian Style ha desembarcado en uno
de los lugares más sugestivos de EE. UU.
Realizado con la colaboración del Instituto
Italiano de Cultura de Nueva York, Rai Corporation, la Ciudad de Brooklyn y Entidades e Instituciones nacionales estadounidenses, Foedus
USA, Journey to La Dolce Vita se ha articulado
en cine, música, fotografía. Dumbo ha sido el
barrio elegido para el evento: bajo el puente de
Brooklyn, en una zona de artistas, de viejas fábricas y loft, que sigue conservando la fascinación de una Nueva York mercantil y olvidada.
Journey to La Dolce Vita no ha sido solamente un evento de glamour para revivir un cuento,
sino una ocasión para recolectar fondos a favor
de los niños pobres y las víctimas del reciente
terremoto en Abruzzo. La manifestación giraba
alrededor de una exposición de imágenes fotográficas de archivo sobre la Dolce Vita romana
de los años 50 y 60, dirigida por Renato Miracco, director del Instituto Italiano de Cultura de
Nueva York. La exposición se ha realizado en la
Powerhouse Arena, conocida editorial e institución fundadora del prestigioso New York Photo
Festival. Las imágenes, inéditas en los Estados
Unidos, retratan a familias reales, presidentes
y estrellas de Hollywood durante sus visitas a
Roma en ese decenio. Después de la proyección
de la película Vacaciones en Roma en el Parque
del Puente de Brooklyn, l’Empire-Fulton Ferry
State Park, los participantes han degustado los
mejores platos de la tradición italiana, desde
el jamón de Parma al queso taleggio, desde el
capuchino al helado artesanal. En el Brooklyn
Bridge Park, ha actuado la artista ítalo-brasileña Rosalia de Souza, siempre sobre el tema de
la Dolce vita. En la performance han participado
otros artistas de la escena internacional, como
Claudia Acuña, Dead Perez y muchos otros. De
Nueva York la exposición irá en otoño también a
Miami, blasonado club Casa Tua de South Beach. Porque el sueño de la Dolce Vita no deja de
encantar. Tampoco a los americanos.
Alessia Franco
LA MÚSICA MANTIENE
LAS RAÍCES
Música, teatro, cine... Hay también una faceta artística del Anfe. Mantener las tradiciones,
nutrir las raíces, ésta también es tarea de la asociación, así, cuando por las callejuelas de Montevideo o Buenos Aires se oye canturrear Ciuri
ciuri uno se alegra porque se ha alcanzado el objetivo. Gracias a la colaboración de artistas del
calibre de Mario Venuti, Carmen Consoli, Sun y
Arancia Sonora, la música ha lanzado un puente
a nuestras comunidades de más allá del Océano,
sobre todo a los jóvenes, lanzando un mensaje
fuerte de pertenencia a la tierra de origen.
“Me gusta considerar la emigración como un
valor añadido. Los italianos han llevado la riqueza de sus costumbres, la lengua, la literatura, el
arte y la cocina a los países de adopción”. Habla
así Carmen Consoli; la hemos encontrado en
Argentina, una de las etapas extranjeras de su
espectáculo Eva contro Eva.
¿Qué significa cantar para un público siciliano en un país que no es Sicilia?
Yo amo las contaminaciones, mi espectáculo
es una contaminación de géneros, un diálogo
entre teatro y música con monólogos de Emma
Dante escritos para Simona Malato. Cantar en el
extranjero me brinda la posibilidad de ver cómo
los sicilianos han contaminado el lugar en el que
se han establecido. En Buenos Aires he añadido
algunas canciones en dialecto siciliano prosiguiendo el camino que ve la recuperación de la
canción popular siciliana. Nuestra cultura posee
una riqueza de textos y de músicas extraordinaria con estructuras armónicas y melódicas de
altísimo nivel.
¿Se puede utilizar la música como instrumento para preservar las raíces?
Sí y también para más. La música puede ser
también un instrumento político. Político, no de
partido, en el sentido de un instrumento para
desarrollar ideales. La política, en su expresión
más noble de servicio a los ciudadanos se convierte en lenguaje común de todos los pueblos
y, como tal, lugar de convivencia pacífica y armoniosa de diferentes humanidades, diferentes
por su raza, sexo, ideas y religión.
¿Cree que la música puede borrar los confines marcados en el planisferio?
Como decía Baudelaire la música evoca, recuerda. Todas las artes tienen el poder de evocar
sensaciones y emociones, traer a la mente una
tierra lejana, un sabor, un olor, un amor perdido.
Viendo una película, visitando un país vuelve a la
mente una música. El arte consigue reunir todos
los sentimientos confinados en sotobosque de
nuestra racionalidad.
¿En qué medida se siente portadora de cultura siciliana?
Cada uno de nosotros es portador de una cultura. Los italianos lo llevamos en el ADN, somos
portadores de cultura y de belleza. Pero la cultura es un auténtico recurso económico y es una
pena que las instituciones no se den cuenta de
ello y se dejen escapar a jóvenes artistas con talento, que dejan Italia en busca de una tierra que
acoja sus ideas, sus artes. Yo me siento portado-
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PERCORSI
PERCORSI WORLDWIDE
¿Qué artistas considera como punto de referencia?
Muchos, difícil elegir uno. Sin duda, Thomas
Bayrle, Olafur Eliasson, Dan Graham, Kyula Kosiche, R. B. Fuller, Sonic Youth y los Ant Farm.
Usted pertenece a aquel numeroso pueblo
de italianos que viven fuera de los confines
geográficos de su nación, ¿qué país considera
su casa?
Cuando me preguntan que de dónde soy,
contesto: “del planeta tierra, hasta ahora.” De
todas formas, hoy vivo en Frankfurt y desde que
he vuelto a Europa he conseguido hacer buenos
amigos. Mi familia es de origen italiano, mi padre es de Milán, pero yo nací en Argentina. Tenía
poco más de un año cuando volvimos a trasladarnos a Italia y diez años después, en el 86, volvimos a Buenos Aires, donde, mientras tanto se
había restablecido la democracia. Hace un par
de años volví a ver los lugares de mi infancia, la
casa donde vivía y jugaba, que se encuentra en
Pasian de Prato, cerca de Udine y donde viven
mis primos y mis tíos.
¿El secreto de su trabajo?
La movilidad (¿se puede decir en italiano?). El
secreto es no quedarse nunca parados durante
demasiado tiempo.
¿Cómo ve el arte contemporáneo italiano?
No se juzgarlo, pero lo que me asombra es que
los artistas italianos que me gustan de verdad
no viven en Italia.
¿Un juicio sobre la Bienal?
En Venecia me he sentido feliz, me sentía en
casa, mis padres me llevaban siempre a la laguna. La Bienal ha sido bellísima, había muchas
cosas interesantes, pero la obra que me ha sorprendido ha sido sin duda la de Thomas Bayrle.
PERCORSI WORLDWIDE
ra de la cultura siciliana, no sólo en el extranjero,
sino también en Italia, en Sicilia, en Palermo, en
mi Catania. Nosotros hemos sentido vergüenza,
durante demasiado tiempo, de la lengua siciliana, sin darnos cuenta de lo poética que es y por
esto conocida en todo el mundo. Los poemas de
Buttitta, de Pitré, toda la antología siciliana no
se puede traducir. He viajado mucho, en cierto
sentido yo también me puedo considerar una
emigrante, aunque no me han obligado a dejar
mi tierra para encontrar fortuna. Mi “El Dorado”
lo he encontrado justo en Catania. Nadie quería
producir mi música, mandé maquetas por todos
lados, a Milán, a Roma, sin ningún resultado, y
sin embargo aquellas maquetas eran canciones
que luego han tenido mucho éxito. Al final encontré un productor en Catania. Hoy vivo entre
Catania y París, pero vuelvo siempre a mi ciudad,
no puedo estar lejos del Etna, para mí Sicilia no
es un punto de partida sino de retorno.
¿Cree que para los emigrantes Sicilia puede
ser, de la misma manera, un punto de retorno
y no de partida?
Los sicilianos estamos siempre dispuestos
a partir. Como decía mi abuela: “nuatri ama a
partiri, siempre. Fino a ottant’anni si tu rici a na
fimmina ri partiri idda si fa i valigi”. Luego, sin
embargo, de verdad, no lo conseguimos.
¿Y las ganas de volver?
No hablaría de un sentido literal del término.
Diría, más bien, que volvemos a un sentimiento, a una sensación que los sicilianos conseguimos crear en cada lugar al que nos trasladamos.
Creamos nuestra Sicilia en el lugar que elegimos
como residencia. Argentina, además, es tan parecida a nuestro país que la distancia se siente
menos, no funciona de la misma manera si se va
a vivir a Dinamarca.
¿Qué mensaje quiere dar a los jóvenes emigrantes sicilianos?
Que creen valor. Los jóvenes somos capaces y
buenos en crear valor. Porque nos enamoramos
de las cosas. De las personas, de los trabajos.
Ponemos energía y pasión en todo lo que hacemos. Como se dice en mi tierra “ni ittamu cu
tuttu u sceccu”, nos tiramos de cabeza en todo
lo que hacemos, sin frenos, sin hacerle caso al
cansancio y a los sacrificios que eso conlleva.
Antonella Caradonna
Sicilia en película
Franco Nero, David de Donatello como mejor actor protagonista en El día de la lechuza
(1968) de Damiano Damiani, también este
año, por segunda vez, está invitado al Sicilian
Film Festival, llegado a su cuarta edición. Ya
invitado el año pasado por el premio a la carrera, Franco Nero, actor de 12 películas todas rodadas en Sicilia, ha aceptado volver a
América como invitado de honor del SFF, un
festival enteramente dedicado a Sicilia, durante el cual se ha proyectado «Perorata de
un apestado», sacada de la homónima novela
de Gesualdo Bufalino. Nos hemos visto mientras pescaba en la bahía de Miami Beach, en
Florida, mientras luchaba con un banco de
barracuda. «Siempre he tenido una espléndida
PERCORSI
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relación con Sicilia, nacida en Partinico, cuando
rodaba “El día de la lechuza”, con Claudia Cardinale. Al año siguiente, Damiani me volvió a
pedir que trabajara con él, esta vez en ¿Por qué
se asesina a un magistrado?, la película italiana
más vendida en el mundo. He interpretado el
papel de un magistrado, el juez Falcone. También Perorata de un apestado, Gente de respeto
de Luigi Zampa sacada de la novela siciliana de
Giuseppe Fava y Sin invitación, se han realizado
en Sicilia. Y tengo que decir que todas la películas rodadas en Sicilia han ido siempre muy bien.
Sicilia siempre me ha dado suerte. En Palermo
estaba invitado por la señora Silavana Paladino,
que tiene una antigua y espléndida casa cerca de
Villa Igea. Guardo bellísimos recuerdos, party y
fiestas con amigos y personas conocidas allí.
Esta año he aceptado volver al Sicilian Film Festival porque es pequeño, siendo familiar, pero
grande y con películas bellísimas que hay que
enseñar a los americanos». No miente Franco
Nero, la relación existe y es fuerte. Todos los
años vuelve a Sicilia, «voy a Capo d’Orlando a
pescar surici», nos confiesa.
Consolidado escaparate americano de la cinematografía siciliana, el Sicilian Film Festival, se
ha realizado en la Miami Beach Cinematheque
con el patrocinio de la Assemblea Regionale
Siciliana. El Sicilian Film Festival promociona
más allá del océano la cultura y el cine siciliano, que ofrecen atracciones y sorpresas y rinde
homenaje a los sicilianos u oriundos sicilianos,
que han formado parte de la historia del cine
mundial. Pero también los no sicilianos pueden
aspirar a un homenaje del Festival. En ocasión
de su IV edición, el premio como mejor director
lo ha ganado Marco Amenta por La siciliana rebelde, contemporáneamente a su distribución
en Italia. La protagonista de la película, Verónica D’Agostino, ha ganado el premio como
mejor actriz. La película ya había obtenido dos
candidaturas a los David de Donatello (mejor
director novel y David Giovanni). El Sicilian Film
Festival tiene el mérito de haber sido el primero
en evidenciar en todo el mundo la existencia de
un verdadero “cine siciliano” y su internacionalidad. Son numerosísimas las películas llegadas
para las selecciones, tanto producciones italianas como extranjeras. La MGM ha enviado desde Hollywood la célebre película Vestida para
matar de Brian De Palma y producida por el
siciliano George Litto,, a quien el festival ha dedicado un encuentro, para contar su afortunada
carrera. Entre las películas que han competido
hay unos títulos seguramente interesantes: Los
virreyes, gran transposición de la novela homónima de Federico De Roberto de Roberto Faenza; Cover Boy de Carmine Amoroso, la película
italiana más premiada en los festivales internacionales, producida, entre otros, por Augusto
Allegra, que ha dado una conferencia sobre la
producción cinematográfica siciliana; películas
de jóvenes autores sicilianos, como Lisa Romano (Se chiudi gli occhi). Numerosos, además, los
documentales, algunos presentados por Gambero rosso, sobre la tradición culinaria, entre los
cuales Street food y uno dedicado al Principe
Alliata, o Il mare come il vino, de Luigi Valente
sobre la lonja de Favignana, y otros sobre Sici-
lia de Vincenzo Consolo y sobre varias fiestas
en tierra Siciliana rodados en Palermo, Trapani,
Selinunte, Marsala, Mozia, Ustica, Sant’angelo
Muxaro, San Biagio Platani, Prizzi, Terrrasini,
Cinisi, San Martino delle Scale, Etna, Acitrezza,
Siracusa, Vara y otros lugares.
También este año La Sicilia di Montalbano de
Montalbano ha sido uno de los eventos especiales (con la colaboración de Antonio Bruni, responsable RAI para los festivales internacionales), que, por segunda vez, ha llevado al público
americano la nueva serie televisiva interpretada
por Luca Zingaretti, titulada La Luna di Carta y
sacada de las novelas de Andrea Camilleri. Un
jurado internacional ha asignado a los largometrajes un premio a la mejor película, la mejor dirección, los mejores intérpretes y la mejor
contribución técnica; numerosos los cortometrajes firmados por algunos jóvenes autores,
que han demostrado la vitalidad y el futuro del
cine siciliano; en exclusiva los seis cortometrajes
finalistas de la sección cortos sicilianos del Festival di Taormina, dirigido por Deborah Young. El
Sicilian Film Festival, cuyo creador y presidente
es el escultor Emanuele Viscuso y cuyo director artístico es Salvo Bitonti, director teatral y
cinematográfico y profesor de historia del Cine
y Dirección en Turín, está haciendo conocer y
apreciar Sicilia en todo el mundo. En Tegucigalpa, Honduras, con el apoyo de la Embajada Italiana se realizará un evento dedicado al festival
en el que se proyectarán la película Lettere dalla Sicilia de Manuel Giliberti, el corto Fedra de
Salvo Bitonti y el documental Storie di Sicilia de
Sasà Salvaggio ya premiados en otras ocasiones
del festival. Entre otras novedades, se está estudiando un SicilianFilmFestivalWebTV que, ya
desde la próxima edición debería estar presente
con sus cámaras.
Recordemos que en su segunda edición, el
alcalde de Miami Beach ha proclamado oficialmente un Sicilian Film Festival Day y ha
concedido las llaves de la ciudad a su creador
Emanuele Viscuso que, siendo promotor de la
cultura siciliana, ya ha creado directamente en
Sicilia también el Festival Internazionale di Musica d’Organo nelle Chiese dello Storico Principato di Castelbuono (F.I.M.O.) , cuya primera
edición, promocionada por el mismo tipo de
comunicación de un festival cinematográfico internacional, ha tenido gran éxito. El presidente
Emanuele Viscuso ha confirmado la dirección
artística de Diego Cannizzaro también para la
segunda edición del FIMO desde el 8 hasta 14
septiembre de 2009. «Para un italiano en el
extranjero – dice Emanuele Viscuso, escultor
palermitano que ha vivido en Milán y luego se
ha trasladado a Miami – un festival de este tipo
es casi un shock. Sicilia ha estado en el centro
siempre y solo por el mismo lugar común. Un
festival destinado enteramente a un público
internacional y dedicado a la Isla, a su cultura y
creatividad, a su poesía y a la historia de Sicilia,
a su cine sin el tema mafioso de siempre, son un
inesperado don a mi Región. Un regalo a los sicilianos y a todos los italianos, acostumbrados en
cierto sentido a avergonzarse un poco de esta
hermana tan especial. El SFF no es un fenómeno estrictamente local sino del que se habla en
Carla Incorvaia
EL MAR DE JOE
Todo empezó con un bocadillo de salmón. Porque a Vincenzo Incontro, director del Plemmirio, área marina protegida de Siracusa, de la que
está considerado pionero y durante ocho años
asesor submarino para el programa Rai “Linea
Blu”, mientras se encontraba en Punta Bassana
en Marettimo para un rodaje, a un cierto punto
le entró hambre. Y para satisfacer su apetito se
dirigió a los pescadores del lugar. Le entregaron
un bocadillo con el preciosísimo pescado. “Me
pregunté en seguida de dónde venía – cuenta Incontro – me dijeron: lo pescamos nosotros desde hace más de cien años”. Y es así como nace la
historia “El mar de Joe, desde Sicilia a Alaska”.
El documental narra la vida de los pescadores
sicilianos que se trasladan a los Estados Unidos
para pescar una especie de salmón entre las más
apreciadas, el rojo, el sockeye. El proyecto, que
ha costado 120 mil euros, ha sido realizado con
una coproducción de Scubafilm y Anfe, la asociación nacional familias emigrantes y será preestrenado en Marettimo en el mes de junio. “hay
todavía comunidades de marettimani que viven
en los Estados Unidos, más de mil en Monterrey
en California, que cada año durante quince días
pescan el salmón sockeye en localidades como
Coldbay, en la Bahía de Bristol, en las aguas más
frías de Alaska, en frente de las islas aleutinas,
en Nackneck. Están las familias: los Guerra, los
Bonanno, los Aliotti y los Campo que provienen
de Isola y Trapani. Los mayores comerciantes
de pescado son de Augusta, los Trincali: hablan
siciliano antiguo y americano”. La fotografía del
documental ha sido cuidada por Marco Mensa,
de la Ethnos, una sociedad de producción de
Bolonia para la que trabaja también el técnico
de sonido Maurilio Quadarella. “Han sido necesarios dos años de estudio y de localizaciones
– continúa Enzo Incontro – y de llamadas con
Skype. Pero, lo hemos conseguido. La pesca
dura cinco semanas, de junio a julio y cada año
parten flotas de jóvenes. El negocio de la pesca
es próspero y puede alcanzar incluso los 100 mil
dólares. Además, la actividad está rígidamente
reglamentada por la autoridad encargada de
la pesca, la “Fish and game”, que gestiona de
manera férrea el régimen de captura y abre la
pesca sólo cuando los biólogos han constatado
que el número de salmones que remontan es
el adecuado para asegurar la continuidad de la
especie”. El rodaje ha durado tres meses, entre
Marettimo, California y Alaska. El personaje de
la historia es Joe Bonanno, alias Giuseppe, 63
años, vive en Monterrey desde hace más de 40,
aunque su corazón está en Marettimo. “lo más
impresionante – dice el director del Plemmirio
– es ver la preparación de comidas y platos. La
suya es una cocina fundamentalmente mediterránea. Preparan cous cous y arancini y comen
en sus alojamientos. La pesca es intensa y el
ápice es el 4 de julio, cuando por el reloj biológico se produce el número más alto de capturas.
Con el primer pescado se prepara el salmón “a
ghiotta”, con patatas, aceitunas y tomate, es
rico en Omega”. Gracias al Anfe y al trabajo de
Enzo Incontro de la Scuba film y de Marco Mensa de la Ethnos de Bolonia, “El mar de Joe, desde
Sicilia a Alaska” dará la vuelta al mundo.
Carla Incorvaia
Tercer Golpe de
Claqueta para el
Salinadocfestival
Tercera edición para Salinadocfestival, el festival del documental narrativo ideado y dirigido
por Giovanna Taviani. Una apuesta vencedora,
la de organizar un festival en el corazón del archipiélago eólico, que más de una vez ha sido
protagonista indiscutible de la historia del cine.
Este año, imágenes sonidos y realidades del
Mediterráneo se alternarán del 18 al 27 septiembre a través de un recorrido itinerante por
la isla, que se articula en distintas secciones. A la
sección cine pertenecen el concurso “Mi pueblo:
los invisibles” y “Restos de memoria”, espacio
reservado a la proyección de documentales de
grandes nombres del cine italiano y extranjero,
este año dedicado al gran Roberto Rossellini.
Más aún, la sección “Ventana en el presente”
está centrada en la producción documentaria
de jóvenes cineastas ya consagrados, que al
término de la proyección de sus películas darán
una charla-lección. Reservada exclusivamente
al público insular son los tres días “Documentémonos”, que vota y premia al mejor documental
entre algunos grandes títulos contemporáneos
que han contribuido a redefinir el género.
“Miradas sobre cine italiano” es sin embargo
la sección dedicada a los jóvenes directores italianos, que mezclan elementos documentales
al cine de ficción. En la “Sección especial cine”,
sin embargo, John Turturro presentará su nuevo
documental sobre Sicilia. Continúa, después, el
hermanamiento con la prestigiosa Mostra internacional del Cinema de Sao Paolo.
Otra importante sección del festival es la dedicada a la literatura, sobre escritores e intelectuales que han destacado por su empeño civil
en la frontera entre literatura y cine. La sección
“Teatro y música” prevé además la presencia de
la dramaturga Emma Dante, que dialogará con
Polifemo, y del cuntista Mimmo Cuticchio, empeñado con Ulises. Salinadocfestival es también
una importante cita caracterizada por talleres
para enseñantes, masterclass en documentales,
un concurso de fotografía documental y uno de
escritura creativa.
Relevante, además, la conferencia internacional –organizada por Anfe con la colaboración de
Onu y Save the Children – sobre el drama de los
niños fantasma, los menores no acompañados
que desembarcan en las costas italianas.
Numerosos los invitados de prestigio que se
alternarán en el curso de esta tercera edición:
entre ellos, además de los ya citados, Vincenzo
Pirota, Dacia Maraini, Vittorio Taviani, Carlo Lucarelli, Isabella Rossellini, Wu Ming.
Alessia Franco
Y Giovanna Taviani
creó el SalinadocFest
Estudiosa de literatura contemporánea, ensayista y crítica de cine, Giovanna Taviani, ya
ha llamado la atención del público con sus dos
primeros documentales “NUESTROS TREINTA
AÑOS: GENERACIONES FRENTE A FRENTE”
presentado en el ámbito del Torino film festival y “RETORNOS”, presentado en la fiesta de
Roma 2006. Enseguida después de la licenciatura en literatura ha entrado a formar parte de
la redacción de “allegoria”, revista de teoría y
crítica literaria dirigida por Romano Luperini.
Su inmenso deseo de narrar le hace superar
cualquier frontera y barrera.
En 2007 organiza en Salina el primer festival
del documental narrativo: SalinadocFest; debutando con óptimo éxito de crítica y público.
Repropuesto en 2008 con igual éxito, vuelve
también este año con un programa rico en encuentros e iniciativas.
El SalinaDocFest ha surgido apenas hace
dos años con una óptima respuesta por parte
de la crítica. ¿Qué ha cambiado este año y,
sobre todo, cree que ha conseguido los objetivos que se había fijado?
Desde la primera edición el festival ha recibido una buena respuesta mediática sin lugar
a dudas debida al hecho de haber ofertado
una propuesta cultural más amplia. El Salinadocfest no quiere ser un escaparate mundano
sino proponer un turismo cultural sostenible a
través de la creación de un lugar ideal, que sea
también, un taller de reflexión sobre el documental. Salinadocfest es de hecho, antes de
nada, el festival del “cine de lo real”, dedicado
a la nueva producción documental que en Italia, a diferencia de otros países, no encuentra
una distribución capaz de proyectarlos en las
pantallas del circuito nacional. El Documental
tiene la función de reconstruir la realidad a través de una mirada personal.
En la edición 2008 entre las diez películas
a concurso la mitad ha tenido como tema la
emigración y también este año un considerable espacio está dedicado al mismo tema.
El alma del festival ha sido justamente la emigración. Todos sabemos que la emigración es
todavía hoy una condición real y objetiva pero
no olvidemos que también una condición subjetiva-interior. La condición del emigrante hoy
es propia del intelectual del tercer milenio, que
ve en la escritura un salvavidas para reivindicar
la propia identidad. Yo misma me siento una
eterna emigrante, exiliada y ajena, respecto a
una sociedad con la que a menudo no me identifico.
También este año continúa la partnership
cinematográfica entre Salina y San Paolo.
¿Qué ha inspirado esta unión y sobre todo
qué tienen en común dos pueblos tan lejanos?
Tierra de fugas y de desembarques, de exilios
y salidas, el Brasil, como las Eólicas, pertenece a la historia de los hombres que conocen el
drama de la emigración y del exilio de la propia
tierra. Por esto hemos pensado en un herma-
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PERCORSI
PERCORSI WORLDWIDE
todo el mundo. Nos llegan propuestas para repetirlo en todo el mundo, y de todo el mundo,
hasta de la India, Siria o Egipto».
PERCORSI WORLDWIDE
namiento con un país tan lejano geográficamente. Hay además una tradición cinematográfica brasileña que el festival de Salina no
puede no tener en cuenta (es suficiente citar
a Glauber Rocha) y una nueva generación de
documentalistas brasileños que está volviendo
con fuerza a contar las atroces verdades de un
país donde el drama de los desaparecidos espera todavía encontrar justicia.
En la sección dedicada a los congresos
también este año la Anfe organiza, una conferencia internacional del tema “Los niños
fantasma”. ¿Cuánto, según usted, la opinión
pública es sensible al drama de los menores
no acompañados que desembarcan en las
costas italianas?
El tema de los niños fantasma no acompañados que cada año después de desembarcar en
nuestras costas se pierden en las capitales de
Europa para transformarse en fantasmas invisibles es un tema de urgentísima actualidad
sobre el cual la opinión pública debería concentrar más la propia atención. El cine documental
de las nuevas generaciones es muy sensible a
este problema y a menudo lo elige como sujeto
privilegiado (pienso en los casos de Costanza
Quatriglio, documentalista palermitana, y de
su El mundo encima, y en el Paradà de Pontecorvo, hijo de Gillo, otro maestro del cine italiano, que podría proyectarse en el festival de
Salina al final de la conferencia internacional
organizada por la Anfe).
Muchas las propuestas culturales y muchos
los invitados en esta nueva edición 2009 del
SalinaDocFest. ¿Puede anticiparnos algo?
¿Tiene ya en mente un invitado en particular
de quien quisiera hablarnos?
La novedad de la tercera edición se refiere a la
apertura hacia el Mediterráneo y a todos aquellos países que comparten con el nuestro, en
particular Sicilia, costumbres, cultura y tradiciones. Invitado de la próxima edición será España,
a la que dedicaremos un Focus específico sobre
el documental, partiendo de un homenaje al
gran maestro del cine español Buñuel. La intención es la de crear una red euromediterránea,
hecha de intercambios y encuentros, que se extienda de la ribera norte a la ribera sur del Mediterráneo, hasta el norte de África y a los países
de Oriente Medio. En esta dirección el Comité
de Honor del festival ha decidido asignar para la
nueva edición del festival el premio literario al
escritor paquistaní emigrado a Inglaterra Mohsin Hamid, por El Fundamentalista contrario; de
los Estados Unidos esperamos confirmación de
una invitación a algunos ilustres personajes del
cine (de los cuales por si acaso no digo los nombres) que podrían estar presentes en el festival
por los sesenta años de la película Stromboli,
Tierra de Dios de Roberto Rossellini de la cual
Salinadocfest rendirá homenaje.
Rossella Catalano
Las piedras cuentan
Las islas Eólicas son la cremallera entre Sicilia
y la Península, desde siempre lugar de encuentro de tradiciones, gentes y civilizaciones diferentes. Pobladas desde el Neolítico a causa de
PERCORSI
146
la atracción de la obsidiana sobre los pueblos
circunstantes, fueron sede de múltiples poblados prehistóricos que la sabia y apasionada
obra de Madeleine Cavalier y Luigi Bernabò
Brea a sacado a luz realizando también aquel
Museo Arqueológico Eoliano, hoy dedicado al
estudioso genovés, que recoge la memoria de
la historia de este lugar central en la historia
del Mediterráneo. Desde Filicudi (Montagnola
de Capo Graziano) hasta Panarea (cabañas de
la edad media del bronce del área de Milazzo),
hasta Salina (Portella), el recorrido se despliega a lo largo de milenios de la prehistoria vividos entre los muros en seco de las cabañas
circulares que trepan entre los acantilados insidiosos (que se asoman al mar). Por aquí pasaron los Miceneos en su peregrinación en busca
de los metales, pero también Griegos y Romanos. A estos últimos se les debe la cautivante
colección de máscaras y figuras de la comedia
helenístico-romana o los colores solares y marinos del Pintor de Lipari que dejo sus apreciadas decoraciones en los jarrones de la época.
En el mar de las Eolícas se han encontrado huellas de estos pasajes milenarios en las ánforas
y vasijas de valor, como el de pintura negra de
procedencia campana, encontrado en los restos del barco de Capistello en Lipari. Una de las
áreas más ricas por sus restos arqueológicos
submarinos sigue siendo el de Capo Graciano, en las aguas de Filicudi, donde el insidioso
bajío fue la causa de numerosas tragedias del
mar, como la del barco cablero Ciudad de Milán que yace a sus pies a más de 100 metros de
profundidad. Aquí es posible visitar los restos
A, dedicado a Gianni Roghi, de los que quedan
ánforas griego-itálicas esparcidas en un banco
de arena y en un canalón junto a cerámicas de
pintura negra de producción campana.
En Ústica las huellas más consistentes de
vida se remontan a finales de la edad media del
bronce (siglo XII a. C.). el asentamiento de los
Farallones estaba fortificado en el lado hacia el
interior mediante un gran muro de piedra con
murallas semicirculares que resaltan hacia el
exterior.
Poblada en época helenístico-romana, presenta numerosas huellas de esta presencia en
la Falconiera y en las áreas occidentales. Con
el primer siglo de la era cristiana parece ser
que en Ústica desaparecen las preocupaciones defensivas. A esta época de gran desarrollo y prosperidad para la pequeña Ústica, que
dura hasta la crisis del imperio romano (Siglo
V d.C.), se remontan los numerosos restos arqueológicos submarinos identificados en los
fondos que rodean la isla (Punta Alera, Escollo del Médico, Bajío de la Palomar, Falconiera, etc.), demostrando una vez más la riqueza
histórico-arqueológica del mar de Ústica.
En las islas Egadi, la más relevante atracción
arqueológica del archipiélago ha sido la gran
cantidad de grutas que la erosión marina, a lo
largo de las numerosas transgresiones pleistocénicas, ha cavado en las espectaculares acantilados calcareníticos de las tres islas. Marettimo ofrece una rica y espectacular muestra de
grutas, pero todas al nivel del mar y, por tanto,
aún en vía de formación y, por consiguiente,
de escaso interés arqueológico, si bien, una de
éstas – la Gruta de la Pipa – tenía huellas consistentes de frecuentación antrópica de época
helenístico-romana y medieval. Las grutas de
las otras dos islas, en cambio, estuvieron repetidamente y ampliamente pobladas desde
el Pleistoceno Final o Paleolítico Superior. La
relevancia de estas cuevas está determinada,
sobre todo, por la presencia, en un caso – Gruta de Cava de los Genoveses – en Levanzo, de
arte rupestre zoomórfico (más antiguo) y de
pintura esquemática (más reciente), del que
merece citar el famoso cervato con la cabeza
reclinada sobre el cuerpo y el toro visto frontalmente.
Indicios bastante más consistentes indican
la segura existencia de amplios asentamientos
helenístico-romanos en las tres islas del archipiélago. Interesantísimo es el establecimiento
para la elaboración del pescado (producción
de “garum”) que se encuentra que se encuentra en la Punta Altarella de Levanzo y las “Casas Romanas” e Marettimo.
Ligado a los testimonios terrestres es lo que
el mar ha devuelto de algunos restos de barcos helenísticos, romanos y medievales, como
el descubrimiento, en el área de la conocida
batalla entre Romanos y Cartaginenses (Al
nor-oeste de Levanzo), de dos espolones de
bronce, que pertenecieron probablemente a
barcos hundidos durante el conflicto.
Entre las metas de mayor relieve recordamos Cala Minnola en Levanzo, donde se ha
encontrado lo que queda de una carga de un
barco romano republicano de propiedad de la
conocida familia Papia de empresarios laciales. El campo de ánforas, que se ha quedado
en el fondo a unos 30 metros, se puede ver de
lejos mediante una instalación de telecontrol
de cámaras que devuelven las imágenes en
directo, actualmente en el ayuntamiento de
Favignana.
En Pantelleria, coincidiendo con una fase
avanzada de la antigua edad del bronce siciliana, vivió el asentamiento fortificado de Mursia, activamente integrado en la red comercial
egeo-levantina de la mitad del II milenio a. C.
El asentamiento, hoy visible por importantes
y monumentales vestigios, estaba constituido
por cabañas circulares que se convirtieron, en
la última fase, en edificios cuadrangulares en
el interior de un espacio costero encerrado
por un poderoso muro de fortificación, más
allá del cual se extiende la necrópolis, que
ha hecho famosa Pantelleria en el ámbito de
los estudios de prehistoria mediterránea por
los “Sesi”, estructuras circuares en tronco de
cono, construidas según una técnica megalítica y destinadas exclusivamente a función
funeraria. El asentamiento romano hegemónico, en las dos alturas de Santa Teresa y San
Marcos, se despliega en una amplia área más
arriba de la capital actual y, por lo tanto, en
directa relación con el puerto más válido e importante de la isla que recientes investigaciones arqueológicas submarinas han confirmado
como tal. Las dos alturas están separadas por
un puerto llano en donde una primera excavación ha puesto en evidencia una vasta expla-
El conocimiento de la prehistoria y la arqueología de las isla menores de Sicilia se deben al
duro trabajo de investigación realizado individualmente, pero, a menudo, sobre todo recientemente, en situaciones de cooperación internacional. En Pantelleria trabajan arqueólogos
y estudiantes italianos junto a colegas de otras
nacionalidades demostrando la importancia
de la cooperación internacional como el mejor
camino para profundizar en el conocimiento de
nuestra interactiva civilización mediterránea.
Sebastiano Tusa
Nuevos Dioses
eligen su Olimpo
en las islas de Sicilia
“El despertar de los dioses durmientes”. Así
alguien definió el nacimiento del hotel Raya de
Panarea, en 1962, dando el mérito a Myriam
Beltrami y a Paolo Tilche por haber revelado al
mundo la “perla de las Eólicas” y por haber hecho de ella la más mundana de las islas sicilianas.
Pero en verano se despierta Sicilia entera, no
sólo Panarea, no sólo las Eólicas, renovando el
rito que lleva cada año a la Isla personajes de calibre internacional que, en algunos casos, echan
raíces y no quieren volver a atrás. Ya los maniacos del vip watching se han entretenido viendo
a personajes como Ennio Doris, presidente del
Banco Mediolanum, que ha explorado las islas
del viento a bordo del “ Princesa Vaivia”, un yate
a vela de lujo que perteneció al primer ministro
Silvio Berlusconi. Entre Lipari, Panarea y Salina
han sido vistos también el cantante Lee Ryan,
Osvaldo De Santis administrador de la Twenty
Century Fox Italia, Mickey Arison, propietario
de “Miami Heats” y el responsable de la cantera de la Juventus, Gianluca Pessotto. En Lipari
el “Cicerón” del ex manager blanconegro es el
barón Bartolo Matarazzo que en “La Nassa” le
ha hecho degustar las especialidades de “Mamma Teresa”. Gianluca Pessotto ha ido a Lipari
aconsejado por Pierino Zaia, hincha blanconegro que muchas veces ha sido invitado a Turín
para seguir las aventuras del equipo de Alex Del
Piero. En Lipari, algún día de relax también para
Claudio Bisio, Massimo Giuliani e Pino Insegno.
En una de las embarcaciones atracadas a pocos
metros de la isla ha sido visto también Mario
Zamma, cómico del Bagaglino de Pier Francesco Pingitore. Entre las estrellas internacionales,
literalmente enamorado de Sicilia y de sus islas
está Rod Stewart que, acompañado de su mujer
Penny Lancaster y de algunos amigos, ha decidido volver, después de haber festejado allí, el
año pasado, un aniversario importante. La estrella británica ha llegado a bordo de una verdadera joya del mar, “Braveheart” y lo ha anclado
en la rada de Lipari. Ha llegado por la tarde y
cuando estaba anocheciendo ha ido a uno de los
restaurantes más exclusivos, “E Pulera”, donde
ha apreciado las exquisiteces de la cocina eólica,
sin perderse algunas botellas de malvasía. Para
la estrella del pop, que ya incluye casi siempre
la etapa en las Eólicas durante sus vacaciones,
se trata de una parada gastronómica irrenunciable. El artista, después de firmar en el libro de
los huéspedes famosos, se ha parado a charlar
con los titulares del establecimiento y, al parecer, ha manifestado también la idea de comprar
una villita en las islas. No ha renunciado, después, a una parada en Panarea, donde se ha dirigido al restaurante “Da Pina”. Pit stop en la isla
de los vip por excelencia, según los rumores que
circulaban, también para Alba Parietti, que allí
alquila todos los años la misma villa, y para los
mundanísimos Flavio Briatore y Elisabetta Gregoraci, que en la más pequeña isla de las Eólicas
han pasado el puente del 2 de junio.
Son muchos también los personajes del show
business, de las empresas y de la política que
se han quedado tan fascinados por estos lugares que han “invertido la ruta” y han comprado
maravillosas viviendas. Como el fotógrafo Fabrizio Ferri y el Rey de la moda, Giorgio Armani,
que hospedan en sus dammusi de Pantelleria a
personajes que van desde Victoria Beckham a
Sharon Stone, desde Sting a Madonna. A Armani, que ha comprado una casa en la isla hace
ya unos años, en la zona de Gadir, el alcalde le
ha entregado las llaves. “Llamadme paisano”,
le dice a quien se encuentra por la calle. Entre
los aficionados a la isla, se encuentran también
el príncipe Amadeo de Saboya Aosta y su esposa Silvia Paternò de Spedalotto, que poseen
un dammuso con un frondoso jardín botánico.
En cambio, han preferido Favignana, la mayor
de las Egadi, Simona Izzo y Ricky Tognazzi,
mientras Francesco Rutelli y su mujer, Barbara Palombelli, han comprado casa en Filicudi,
tal vez siguiendo el camino recorrido por Giovanni Melandri, que en este pequeño escollo,
en medio del mar, lejos de la jet-set, tiene una
casa desde hace unos años. En Panarea, en
cambio, tiene una bellísima villa la ministra
de Medioambiente, Stefania Prestigiacomo, y
que, al parecer, ya ha hecho una escapada en
junio. No ha podido evitar la atracción de Sicilia ni siquiera Claudio Baglioni, que hace unos
años se dejó encantar por las aguas celestes de
Lampedusa, donde al final del verano, todos
los años organiza el festival O’ Scià.
Incluso metas menos conocidas a los sicilianos han despertado atracción. Es suficiente
pensar en Bill Gates que ha manifestado la
intención de comprar inmuebles en Salemi,
acogiendo la iniciativa promovida por el alcalde Vittorio Sgarbi; o en Cesare Settepassi,
presidente de Tiffany Italia y vicepresidente
de Tiffany Europa y en Paolo Panerai, el editor
del grupo Class-Milano Finanza, que han comprado una casa entre los viñedos y las playas
de Menfi (Agrigento). Tortorici, en la provincia
de Messina, ha sido elegida por el compositor
griego Mikis Theodorakis, conocido en Italia
por la banda sonora de la película “Zorba el
griego”, mientras que el actor Luca Zingaretti
guardará siempre en su corazón los episodios
de su “Commissario Montalbano”, dado que
ha echado raíces en Ragusa Ibla, donde se ha
rodado la serie. Sigue siendo un evergreen
Taormina, donde han decidido comprar una
casa el alcalde de Roma, Gianni Alemanno, y
el futbolista Christian Panucci.
Cristiana Rizzo
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PERCORSI
PERCORSI WORLDWIDE
nada pavimentada marcada por tabiques que
resaltan y que podrían identificarse como una
gran plaza (foro). Las excavaciones recientes
han sacado a la luz parte de la muralla de época púnica atravesada por una puerta urbana
cuya estructura muraría conserva parcialmente los restos de un muro de gran valor.
Del rellenado de las cisternas en la cumbre
de San Marcos proviene interesante material
escultórico de época tardo-púnica y romana en
fragmentos pertenecientes diversas estatuas y
algunos epígrafes latinas fragmentarias, pero,
sobre todo, los tres conocidos retratos imperiales romanos que representan a Julio César, Antonia Menor y Tito. También Pantelleria posee
fondo marinos ricos de historias y de restos de
barcos. Uno de los lugares más interesantes
es la bahía de Gadir donde las primeras investigaciones efectuadas por Lamboglia en 72-73
llevaron a recuperar más de 100 ánforas púnicas y helenístico-romanas, pertenecientes a los
restos de dos barcos que datan entre finales del
siglo III y el siglo I a. C. Otros restos interesantes
de un barco que transportaba principalmente una carga de cerámicas de la bien conocida
producción local de ollas, llamada “pantellerian
ware”, aún sin finalizar su rescate, se encuentra
en la bahía de Scauri, entre cuyos restos merece la pena citar un pequeño anillo de plata con
un engaste de corniola decorado con el símbolo
cristiano del ancla y una gema de corniola con
una figura divina con arco y un cervato. Los datos deducidos por la excavación de los restos del
barco refuerzan la visión del vivaz dinamismo
que caracteriza la difusión de esta cerámica hecha en Pantelleria en los asentamientos de Sabratha, Leptis, Djerba, Tharros, Turris Libisonis,
Ostia, Luni, Cosa ed Albintimilium.
Las islas Pelagias están pobladas desde la
prehistoria y bien integradas en los circuitos
comerciales del mundo romano gracias a la formidables características portuarias constituidas
sobre todo por la veradera “ría” de cala Guitcia
de Lampedusa. Lampeusa y Linosa fueron pobladas, nada menos, ya en el neolítico según se
deduce por las débiles, pero seguras, huellas de
asentamiento identificado en las terrazas de la
Cala Pisana en Lampedusa. La presencia de un
asentamiento neolítico realizado por colonos
procedentes de Sicilia, nos permite comprender
el alto nivel de conocimientos marineros que ya
en esa época poseían las poblaciones sicilianas.
La presencia de numerosas cisternas, en el
establecimiento para la producción del garum
y de vastas necrópolis, testimonian una intensa
frecuentación en época romana.
Las maravillosas aguas de las Pelagias, conocidas por su transparencia y visibilidad, esconden interesantes testimonios del paso de rutas
mercantiles y de flotas guerreras en esta área
del Mediterráneo desde la antigüedad hasta el
segundo conflicto mundial. Entre las restos submarinos más interesantes por su valor histórico,
recordamos también los cañones de Cala Pisana
que, en parte, debían de pertenecer a una flota
comandada por Antonio Doria que naufragó en
las costas septentrionales de Lampedusa mientras navegaba hacia África.
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