Il progetto “Fabbrica Italia” e la crisi delle relazioni industriali
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Il progetto “Fabbrica Italia” e la crisi delle relazioni industriali
Il progetto “Fabbrica Italia” e la crisi delle relazioni industriali. La Fiat lancia il progetto “Fabbrica Italia”, nuova frontiera per l’azienda italiana e per il sistema delle relazioni industriali nel nostro Paese. La costituzione della newco “Fabbrica Italia Pomigliano” rappresenta una prima materializzazione concreta del piano aziendale che prevede la separazione societaria del settore auto dal resto del gruppo, con un deciso – almeno queste paiono le intenzioni dichiarate – radicamento della produzione auto nelle fabbriche nazionali, pur nella dimensione multinazionale del gruppo. La strategia richiede, la Fiat lo ha sempre dichiarato nel corso delle note trattative, un diverso sistema produttivo, che implica livelli di alta produttività degli impianti, pena lo sforamento degli obiettivi ed il discostamento da quello che è il mercato su larga scala. Ciò che immediatamente è stato evidenziato dell’operazione Pomigliano è la circostanza che attraverso la creazione della newco “Fabbrica Italia Pomigliano”, si raggiungerebbe lo scopo – più o meno dichiarato, e comunque ascritto alle intenzioni di Marchionne – di escludere lo stabilimento di Pomigliano d’Arco dalla applicazione del CCNL Metalmeccanici, potendo così meglio atteggiare l’organizzazione della produzione eludendo la scadenza naturale del contratto vigente, del 2011. Tale eventualità è stata recepita immediatamente dai sindacati quale vulnus dell’autonomia collettiva e delle conseguenti garanzie che la stessa reca nei confronti dei diritti dei singoli lavoratori e pone, comunque, ancora una volta, l’atavico problema del nostro sistema di relazioni industriali relativo alla efficacia, vincolatività, ambito applicativo, derogabilità dei contratti collettivi e delle relazioni tra quelli di diverso livello. È noto infatti che le regole in materia sono frutto di consuetudini radicate nel tempo, e talvolta formalizzate in accordi c.d. interconfederali (da ultimo quello del 2009, non sottoscritto dalla Cgil, sostitutivo del precedente del 1993), che recano comunque un significativo grado di incertezza, conseguente alla mancata attuazione del sistema di relazioni sindacali previsto dalla Costituzione. Se ne ricava perciò l’applicabilità dei contratti collettivi soltanto a chi li ha sottoscritti o ha dato mandato all’associazione che li ha firmati, cosicché una nuova società come quella appena costituita per lo stabilimento di Pomigliano d’Arco, ben potrà regolamentare l’organizzazione del lavoro prescindendo del tutto dal vigente contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici, alla cui disciplina sarebbe estranea. Della possibilità che si verifichino nuovi assetti organizzativi non può però essere considerata solo un aspetto negativo, né deve ritenersi pericolosa per l’occupazione dei lavoratori interessati, come pure è stato prospettato richiamando il “caso Alitalia”. Va subito dichiarata la netta distinzione tra le due vicende, laddove la compagnia aerea era sottoposta a procedura concorsuale, mentre nel caso della Fiat il passaggio alla newco ed il posto di lavoro dei singoli dipendenti è garantito dalla disciplina relativa al trasferimento d’azienda (art. 2112 c.c.), che appunto impedisce di “lasciare a casa” anche un singolo lavoratore nel passaggio dall’una alla nuova società. Un approccio obiettivo alla vicenda, più che alle conseguenze immediate che può avere la possibilità (legittima secondo le regole attuali) di sottrarre la nuova realtà aziendale di Pomigliano all’applicazione del CCNL Metalmeccanici, ed alle paventate ricadute negative che ciò dovrebbe avere sulle garanzie dei lavoratori (tutt’altro che automatiche od indefettibili), dovrebbe consentire di considerare l’evento quale occasione di riflessione e momento di sprone per una riforma del sistema di relazioni industriali, peraltro da più parti caldeggiata. Il ricorso alla newco infatti, a meno che non si voglia indugiare in intenzioni dietrologiche tese ad evidenziare esclusivamente l’ampliato potere contrattuale dell’azienda, è un espediente che, indipendentemente dagli interessi specifici della Fiat nel caso concreto, appare piuttosto verosimilmente necessitato dall’esigenza – al fine di garantire sistemi produttivi efficienti ed in grado di reggere la concorrenza su larga scala – di apprestare meccanismi di negoziazione che possano garantire adeguato grado di certezza ed effettività del contratto stipulato, unitamente a prospettive di stabilità future che possano attrarre e giustificare investimenti. Non v’è dubbio che l’attuale galassia delle controparti sindacali ed il sistema che ne deriva non può garantire tale effettività. È pur vero che l’espediente della “Fabbrica Italia” di Pomigliano rappresenta un salto in avanti di non poco conto. Attraverso ciò l’azienda vorrà disapplicare il CCNL vigente in favore dell’esclusiva adozione dell’accordo del 15 giugno. Ma ciò, seppure plausibile per l’attuale sistema delle relazioni industriali, ne rappresenta sicuramente un acme di crisi, con problematiche connesse a tale utilizzazione-superamento delle regole attuali di duplice natura. Da un lato, l’immediatamente denunciato – dai sindacati – pericolo di carenze di tutela per i lavoratori. Peraltro, l’episodio rappresenta un significativo esempio della debolezza del sistema, regolato da prassi, interpretazioni giurisprudenziali, consuetudini applicative, che ben poco possono prestarsi alla richiesta certezza, efficacia, affidabilità ai meccanismi di democrazia sindacale. Ed allora, bisogna arrendersi all’arrocco del muro contro muro, finalizzato a tutelare le posizioni degli attori sindacali, o – più realisticamente – ammettere che lo “strappo di Pomigliano” rappresenta l’ennesima denuncia, concreta, di un sistema di relazioni industriali ormai al collasso e comunque inadeguato alla realtà globale che, giocoforza, insiste finanche sulla disciplina dei rapporti di lavoro? È evidente che in linea di principio non possa non condividersi la seconda soluzione, pur nella consapevolezza della complessità e delle difficoltà di darsi – soprattutto entro termini sufficientemente brevi per essere immediatamente efficaci – nuove regole nella cui ricerca adoperarsi proprio in ragione del subitaneo cambiamento di fatto registrato negli eventi di Pomigliano. E ciò, senza preconcetti, sarebbe comunque da salutare con favore, siano le nuove regole provenienti dalla autonomia collettiva o anche di fonte legale, purché giovino alle istanze prepotentemente richieste dal sistema, a salvaguardia del medesimo ed aderenti alla mutata realtà industriale e sociale. Rosario De Luca