Una specie di riunione di famiglia, ma non come tutte le altre. Con
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Una specie di riunione di famiglia, ma non come tutte le altre. Con
Una specie di riunione di famiglia, ma non come tutte le altre. Con orgoglio, l’uomo prese il telefono cellulare e compose il numero del primo dei dodici. Si sentiva un eletto, depositario di una verità che nessuno, a parte lui, conosceva. Fra pochi giorni sarebbero stati in tredici a saperlo, come era scritto che dovesse avvenire, ma l’uomo non credeva nel destino. La situazione gli permetteva di ribaltare quello che la discendenza aveva preparato per lui, e se ne sarebbe servito. Dopo un paio di squilli rispose un uomo. “Pronto?” “Giabir?” Dall’altra parte ci fu una breve pausa. “Sono io” rispose Giabir. “Sono Ermete. Anche se forse non crederai alle mie parole, il momento è arrivato.” Ci fu una pausa più lunga della precedente. “Sorpreso?” esclamò Ermete rompendo il silenzio. “Certo che lo sono. Non avrei mai pensato che toccasse veramente a qualcuno di noi. Non è che stai scherzando?” rispose Giabir con un tono di voce incredulo ed eccitato nello stesso momento. “Ti sembra che potrei scherzare su una cosa del genere?” disse Ermete nel tono più glaciale possibile. Ancora alcuni secondi di silenzio, poi Giabir riprese a parlare a voce più alta. “Come fai a esserne sicuro? Devo dedurne che tu sai molto più di noi!” “La tua deduzione è esatta. Dobbiamo incontrarci al più presto.” “E’ quasi Natale! Come faccio a mollare la mia famiglia?” rispose in un tono preoccupato che infastidì Ermete. “Non allarmarti, ci incontreremo il 28 Dicembre, così potrai passare il Natale con i tuoi. Inoltre non sarà un problema, visto che tu sei quello che deve fare meno strada.” “Meno strada? Ma dove ci dobbiamo incontrare?” “Per comunicarti la destinazione e l’ora esatta userò un metodo più discreto. Ti invierò una e-mail come farò con gli altri.” “Non posso ancora crederci. Ma cosa succederà adesso di preciso?” “Quando ci incontreremo saprai tutto quello che c’è da sapere. Goditi il Natale.” “Grazie. Auguri anche a te.” Giabir attaccò, senza sapere che sarebbe stato l’ultimo Natale della sua vita. ‘Goditelo fino in fondo’ pensò Ermete. L’uomo prese una penna e tracciò una X accanto al nome di Giabir. Un pezzo di carta lì dentro aveva un sapore antico. Il pensiero lo fece sorridere mentre si guardava intorno. L’ambiente nel quale si trovava sembrava stonare con il foglio che aveva in mano, ma il fuoco così avrebbe eliminato ogni traccia. Nessun file in nessun computer poteva nascondere quello che stavano per fare e per vivere. In mezzo alla stanza si trovava un enorme tavolo ovale color ebano con intorno dodici sedie dello stesso colore. Un lato dell’ovale era tronco e aveva davanti una sedia più grande, sulla quale era seduto lui. Alla sua destra una postazione con alcuni computer e dodici enormi monitor posti in tre file di quattro, tutti spenti. Una volta l’anno si incontravano in quella sala e, se qualcuno non poteva essere presente, si collegava in videoconferenza, ma stavolta non sarebbe stato così. Si sarebbero dovuti incontrare tutti fisicamente, in un posto che nella mente di Ermete appariva in tutto il suo paradossale splendore, moderno come la postazione alla sua destra, antico più della carta che aveva in mano. Ermete si alzò dalla sedia, si diresse verso i computer e ne accese uno. Cominciò a scrivere il messaggio che sarebbe servito agli altri dodici per trovare il posto in cui si sarebbero riuniti. Per loro sarebbe bastata solo l’e-mail, ma con Giabir non era riuscito a trattenersi, per l’amicizia che li legava da sempre. Per un attimo questo pensiero fece nascere dentro Ermete l’idea che forse quello che stava per fare fosse sbagliato, ma scacciò subito via ogni traccia di scrupolo. No. Doveva farlo, perché quello che lui sapeva non poteva essere realmente condivisibile. Ermete non avrebbe permesso a nessuno di unirsi alla sua vittoria. La spia luminosa di uno dei monitor cominciò a lampeggiare. ‘Non è possibile, proprio adesso?’ si chiese Ermete mentre lo accendeva. Sullo schermo apparve il volto incappucciato di una persona. “Salve Ermete, come va?” Nella voce dell’uomo si avvertiva un tono allegro, anche se era camuffata elettronicamente. “Cosa ti ha spinto a chiamarmi proprio adesso Isaac?” domandò Ermete con una punta di irritazione, che sembrò rendere Isaac ancora più allegro. “Ermete caro, vuoi dirmi forse che non hai niente da riferirmi?” Doveva stare in guardia. Fra i dodici ce ne erano alcuni pericolosi, che avrebbero fatto di tutto per impadronirsi del segreto che di lì a poco sarebbe stato costretto a rivelare. Il più pericoloso era senza ombra di dubbio Isaac. “Stavo per inviarti una e-mail proprio adesso, ma non capisco chi ti abbia messo al corrente.” mentì Ermete. “Come sai ho le mie fonti, Ermete, e potrai intuirlo. Che fai? Tu non accendi la tua camera?” Ermete si diresse nuovamente al tavolo ovale e si sedette alla sua postazione. Prese dal tavolo un cappuccio come quello di Isaac e se lo mise sulla testa, quindi schiacciò un tasto sul bracciolo destro della sedia. “Eccoti qui Ermete, adesso ti vedo. Comunque chi ti dice che ci riferiamo alla stessa cosa? Di che mi dovevi mettere al corrente?” Il tono di voce di Isaac era sempre più allegro e insieme arrogante. Ermete trattenne la rabbia e cercò di rispondere nel modo più calmo possibile. “Forse hai ragione Isaac, non credo proprio che tu sappia quello che sto per dirti. Perché prima non mi dici il motivo della tua chiamata?” Isaac emise un profondo sospiro, come se stesse per rivolgere la parola a un bambino che aveva appena commesso un guaio. “Ermete, allora non capisci? Un uomo nella mia posizione non può non prendere precauzioni, come tuo vice intendo. Il nostro voto di anonimato reciproco non è mai stato purtroppo abbastanza rigido da non provocare fughe di notizie, e sai quante volte sono dovuto intervenire per risolvere anche drasticamente i problemi che sono nati. La tua amicizia con Giabir, in primis. Non potevo non mettere sotto controllo il suo telefono, quindi avrai già capito il motivo della mia chiamata.” Ermete sapeva che purtroppo Isaac aveva ragione, anche se non lo avrebbe ammesso mai. Fra i tredici c’era un voto di anonimato molto rigido. Nessuno doveva conoscere le vere generalità dell’altro, con la sola eccezione di lui, che era il capo in carica. In passato non era stato così, ma i tempi erano cambiati. Nel ventesimo secolo la tecnologia aveva permesso di tenere sotto controllo gli scelti, quindi l’unico modo per mantenere in piedi tutto era stato l’introduzione della regola sull’anonimato, ma non era mai stata molto rigida sotto il suo comando, e questo aveva provocato non pochi problemi. Isaac dal canto suo si era offerto più volte di risolvere i problemi sorti, in virtù della sua posizione e del suo potere, all’insaputa degli altri.. “Non abbiamo detto niente di compromettente Isaac, te ne sarai accorto. Quando non uso le nostre linee protette, sai benissimo che non mi espongo. Potevo certamente intuire che tu potessi ascoltare la conversazione, ma sei il mio vice, e quindi di fatto mi sono risparmiato di chiamarti.” Ermete cercava di mantenere il tono della voce più tranquillo possibile, ma Isaac era troppo scaltro per non accorgersi del suo nervosismo anche da sotto un cappuccio. “Chiudiamo il discorso qui, Ermete. Quello che adesso mi preme di sapere è se sei sicuro veramente di quello che hai appena rivelato a Giabir.” La domanda di Isaac ricordò a Ermete che dopotutto, nonostante tutto il potere che aveva, non poteva sapere la verità che lui custodiva gelosamente dentro di se. “Certo che ne sono sicuro Isaac, perché lo so da quando sono nato che il momento sarebbe arrivato, bastava solo aspettare. Ci dobbiamo incontrare in un luogo preciso. Ti invierò una e-mail come a tutti gli altri.” Tagliò corto per far capire a Isaac che dopotutto il capo era ancora lui. “D’accordo Ermete. Attenderò con ansia allora. Ci vediamo il 28 Dicembre.” Il monitor si spense. Ermete si alzò, si tolse il cappuccio e lo appoggiò alla spalliera della sedia. Doveva stare attento, perché le cose non stavano proprio andando come aveva previsto. Ma forse non importava. Neppure Isaac poteva sapere quello che gli stava per succedere. Tornò al computer e inviò il messaggio ai dodici. Estrasse un accendino dalla tasca dei pantaloni e diede fuoco alla lista dei nomi reali degli scelti.