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VENERDÌ, 15 GIUGNO 2007
Pagina 52 - Cultura
SEDIE CINESI E UN CUOCO SPAGNOLO
Si apre domani a Kassel Documenta
In questa dodicesima e coloratissima edizione del più importante appuntamento tedesco per l´arte non figurano
italiani
Presenti molti artisti 40enni e 50enni e un esercito di Grandi Vecchi
Una collezione di dipinti e disegni persiani, prodromi dei contemporanei
KASSEL
È quasi come un´opera la dodicesima edizione di Documenta, il più importante appuntamento con l´arte
contemporanea della Germania, che si tiene ogni cinque anni a Kassel: una buona ouverture, un paio di atti
discreti, e un ottimo finale. E dopo un gran dibattito per stabilire se il dramma è piaciuto, se le voci dei solisti sono
state all´altezza, se il direttore dell´orchestra ha mantenuto le promesse. Non sono questioni da poco soprattutto
in una manifestazione come questa che apre al pubblico da domani al 23 settembre, che in questi cento giorni
vuol concorrere in gloria con la Biennale di Venezia, e che ha tre assunti, tre domande grandi come il mondo nel
titolo: «E´ la modernità la nostra antichità? Che cos´è la vita? Educazione: che cosa deve essere fatto?».
Non ci si potevano attendere risposte definitive e forse neppure parziali da Documenta, nata nel dopoguerra per
rilanciare la contemporaneità di una Germania culturalmente distrutta dal nazismo, e che oggi ha come direttore
artistico Roger M. Buergel e come curatrice la moglie, Ruth Noack, entrambi poco più che quarantenni.
All´indomani della grande ubriacatura offerta dal mercato Art Basel (destinata a chiudere i battenti domenica)
hanno dato vita a un´edizione coloratissima, allegra, politicamente molto corretta ma da cui, va detto, sono stati
completamente esclusi i nostri artisti.
Non ci sono italiani tra i 122 invitati (e non sono previsti neppure alla kermesse che Münster dedica alla scultura).
C´è stata una cancellazione totale. Dice Ruth Noack che non v´è alcuna ragione, che le scelte non hanno
riguardato in alcun modo la nazionalità degli artisti. Ma esaminando attentamente gli elenchi ci si accorge che un
bilancino più o meno coscientemente, è stato usato. Tanto per cominciare è stato confermato l´asse
Usa-Germania: sedici artisti sono statunitensi e altrettanti sono i tedeschi. Otto provengono dall´America del Sud
e altrettanti dalla Cina, undici sono gli africani e altrettanti quelli nati nei paesi slavi... Insomma c´è stato un uso
sapiente delle provenienze, inserite in un contesto dove però si ipotizza la non esistenza delle nazionalità, dove si
vuol presentare un´arte senza spazio e senza tempo, dove le radici del passato più recente vengono cercate nel
lontano Oriente perché «ha influenzato la nostra idea della forma», con la convinzione comunque che spuntano e
spunteranno connessioni di ogni genere, tra India e Africa, tra Cina ed Europa...
E gli italiani, pur non essendo presenti fisicamente, lo sono idealmente: ricorda Ruth Noack che Kerry James
Marshall, assai amato dai curatori, è stato fortemente influenzato dal Rinascimento e che altri artisti hanno
studiato in Italia... Ma è chiaramente un gettare acqua sul fuoco di una qualsiasi polemica destinata a lambire
questa mostra che vuole essere «assolutamente contemporanea». Molti quarantenni, cinquantenni ma per far
quadrare il cerchio di una tesi assai raffinata vengono presentate opere di dodici artisti, spesso sconosciuti dal
grande pubblico, morti da qualche anno - Agnes Martin, Nasreen Mohamedi, Jorge Oteiza, Luis Sacilotto, Jo
Spence, Tanaka Atsuko, Lee Lozano... - mentre una decina hanno più di settant´anni.
A questo esercito di Grandi Vecchi vanno aggiunti quelli che nel catalogo, ordinato cronologicamente, vengono
presentati come i prodromi dei contemporanei ed esposti nelle sedi di Documenta: una collezione di dipinti e
disegni persiani, cinesi, ottomani del Trecento e del Cinquecento, portati a Berlino dall´ambasciatore prussiano a
Costantinopoli, scritture persiane, pannelli di lacca cinese, miniature indiane, tappeti del Pamir, un libro illustrato di
Hokusai e una riproduzione della veduta dell´Esposizione Universale di Manet, Paul Klee e le foto di Grete Stern.
E´ così che si arriva agli anni Cinquanta e che comincia un viaggio nella contemporaneità carico di novità, di
video, di foto, di dipinti, di curiosità; l´intera Documenta è attraversata da sedie cinesi di legno della dinastia
Quing. Sono 1001, tante quanti i giovani che l´artista concettuale Ai Weiwei ha invitato a Kassel per partecipare al
progetto Fairytale. Sono da lui collezionate e restaurate.
Al vernissage vi si è seduto lo chef spagnolo Ferran Adrià, il cuoco più celebrato al mondo, capace di decostruire
e disaggregrare forme e sapori. Non è stato invitato perché è un cuoco, spiegano i curatori: «La sua è una pratica
artistica». La sua è una «cucina concettuale», ha influenzato un´intera generazione. E il ristorante elBull che si
trova in Spagna, a Roses, è considerato un site-specific. Adrià non ha aperto a Kassel ma i visitatori di
Documenta potranno prenotare e volare nella penisola iberica per un pranzo il cui costo finale sicuramente non
sarà inferiore all´opera di un giovane artista, come alcuni di quelli arrivati a Documenta a cui va riconosciuto un
merito: la teoria storica di fondo è da discutere e discutibile ma la mostra indica nuove strade ai collezionisti,
meno storicizzate di quelle veneziane e meno consumiste e modaiole di Basilea. Sono cinquecento le opere
sparse nelle quattro sedi principali, - il museum Fridericianum, l´Aue-Pavillon, progettato per quest´edizione dagli
architetti francesi Lacaton & Vassal, Documenta-Halle e la Neue Galerie - ed è un Grand Tour nella
contemporaneità difficile, assai concettuale, non sempre adeguatamente allestito ma spesso entusiasmante.
Si comincia dal Fridericianum con una scultura di Zheng Guogu, la sequenza di immagini di Monument di Zofia
Kulik, l´installazione Where We Were Then, Where We Are Now di Simon Wachsmuth, ispirata ai mosaici di Pompei
sulla battaglia di Persepoli, ovvero opere degli anni Ottanta, Novanta e 2007. Ed è una sequenza non casuale che
si ripete per l´intera mostra. Il fantastico Electric Dress di Tanaka Atsuko acceso dai rossi, dai gialli, dagli azzurri
dei neon, che è della metà degli anni Cinquanta, si incrocia con i dipinti della metà degli anni Sessanta di Poul
Gernes, riscoperto dopo la morte, le corde del 2007 di Sheila Gowda, il video di Luis Jacob, l´installazione di
Trisha Brown, delicatamente accompagnata da leggiadre danzatrici.
E´ una sequenza che si rivede nella Halle con un monumentale tappeto iraniano dell´Ottocento e la splendida
installazione di Cosima Von Bonin, Relax it´s only a ghost, che gioca con le forme dei pirati dei Caraibi, degli
animali realizzati con materiali poveri.
E´ un mondo carico di colori, che aspira a un nuovo modo di vivere, alla pace: gli uomini non possono essere
«dannati se partono, dannati se restano» come ricorda una grande barca, il sogno di una fuga dell´africano
Romuald Azoumè, o il lunghissimo rotolo di Lu Hao, che documenta la costruzione di Hang Avenue a Pechino, che
s´incontrano nel grande Aue-Pavillon prima di salire nelle magiche sale della Neue Galerie, dove il percorso, con il
solito incrocio che parte dalla seconda metà del Novecento, è segnato dai fumetti di Marshall, da un dipinto di
Agnes Martin, dai disegni di Nasreen Mohamedi e di Peter Friedl degli anni Sessanta, dall´installazione di dipinti
che trasmettono onde musicali che Olga Neuwirth ha realizzato quest´anno. E ancora: la magica installazione di
Hu Xiaoyuan, le antiche foto di Grete Stern, i disegni di Solakov e le foto di Louise Lawler, la trasparente casa di
Mary Kelly e la spaventosa camera della morte di Churchill Madikida, lo splendido film di James Coleman, Retake
with evidence, immagini di morte che hanno come unico attore Harvey Keitel.
Con qualche cosa di troppo, a volte. Saadane Afif presenta un´installazione che ha per titolo Black Chords plays
Lyrics, una serie di chitarre che suonano automaticamente. «Il suono diventa scultura», si legge in catalogo.
Chissà cosa ne pensano a Münster, dove si parlerà solo di scultura, il prossimo appuntamento, la nuova opera di
questa estate della contemporaneità.