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periferie nel mondo senza centro • il rotary: una casa accogliente • la
giugno 2016
Periodico del Rotary Club Cagliari
Distretto 2080
• PERIFERIE NEL MONDO SENZA CENTRO
• IL ROTARY: UNA CASA ACCOGLIENTE
• LA SCOMPARSA DI TRE GRANDI ROTARIANI
• SECOLARIZZAZIONE E CRISI DELLA FAMIGLIA
Rotary Club Cagliari
Periodico del Rotary Club Cagliari
Distretto 2080
Anno di fondazione 1949
n. 3/4
giugno 2016
Pubblicazione riservata
ai soci Rotariani
Direttore responsabile:
Lucio Artizzu
Comitato di redazione:
Francesco Birocchi,
Salvatore Fozzi,
Caterina Lilliu,
Mauro Manunza,
Marcello Marchi,
Giovanni Sanjust
Autorizzazione
del Tribunale di Cagliari
n. 171 del 18 agosto 1965
Progetto grafico e impaginazione
Sommario
È tempo di bilanci – Stefano Oddini Carboni
Una casa accogliente – Caterina Lilliu
Una vita per la scienza. Da protagonista
– Francesco Birocchi
Le pietre che cantano – Mauro Manunza
La bandiera nel castello – Rafaele Corona
Le banche italiane nel percorso
di integrazione europea – Luigi Bettoni
Secolarizzazione e crisi della famiglia
– Rafaele Corona
Premio La Marmora
Periferie nel mondo senza centro
– Francesco Birocchi
Progetto Sant’Elia – F. B.
Passeggiando per le vie e le piazze di Cagliari
– Michele Pintus
L’armata cosacca del III Reich in Carnia
– Angelo Deplano, Giovanni Barrocu
Concorso nazionale “legalità e cultura dell’etica”
– Maria Luigia Muroni
Borsa di studio LUISS Rotary International
Benvenuto ai nuovi soci
Commissioni anno 2016-2017
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LE RIUNIONI
Le presenze
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Bruno Pittau – www.brokenart.org
fotografie:
Archivio Rotary, soci del Club
Stampa e allestimento:
Archimedia S.r.l., Novara
_____________________________
Le opinioni espresse negli
articoli firmati impegnano
esclusivamente i loro autori.
Hanno collaborato a questo numero:
GIOVANNI BARROCU • LUIGI BETTONI • FRANCESCO BIROCCHI •
RAFAELE CORONA • ANGELO DEPLANO • CATERINA LILLIU • MAURO MANUNZA •
MARIA LUIGIA MURONI • STEFANO ODDINI CARBONI • MICHELE PINTUS •
In copertina: Cagliari, quartiere Sant’Elia.
giugno 2016 —
Rotary Club Cagliari
1
Si chiude un anno rotariano ricco di successi
È tempo
di bilanci
Stefano Oddini Carboni
L
a fine dell’anno sociale 20152016 fa sì che in un certo senso si
debba riguardare al passato di
questo tempo trascorso al fine di
poter, appunto, fare un bilancio.
Difficilmente posso giudicare il mio stesso, difettoso, operato.
Mi limito soltanto a dire che è stato un
anno, per me, strepitoso e del quale sono grato a tutti.
Un anno nel quale sono costantemente cresciuti i miei sentimenti di affetto, amicizia e
di coesione nei confronti di tutto il club e in
particolare delle persone che mi sono state più
vicine.
Senza le quali non ci sarebbe stato permesso di realizzare in termini reali tutte le attività che questo anno ci ha portato.
Sicuramente le mie idee sono state accolte
e rispettate e sono stato molto aiutato nel cercare di portarle avanti.
Il principale dei progetti, in “fil rouge” di
tutto quello che abbiamo fatto, la “Cagliari
per i nostri figli” è apparso essere la forza che ha fatto sì che sul territorio il
nostro club si sia particolarmente
distinto nel suo operato.
Sicuramente una chiave del
successo è stata il coniugare la nostra
grande ricchezza,
che è l’importan-
te esperienza rappresentata dalle persone che
fanno parte del Club da tanti anni, con l’iniezione di persone giovani che con la loro freschezza e il loro entusiasmo e la loro fervente
attività, hanno sicuramente caratterizzato
questo anno passato.
Infatti un’altra peculiarità di questo
anno, nella tradizione del nostro Club, è stata l’abbraccio importante verso i Giovani, che
poi saremmo noi stessi di qualche anno fa,
con una apertura non sterile, non una invasione, ma una selezione di coloro i quali sono
sicuramente più desiderosi di approfittare della grande esperienza che esiste all’interno del
nostro club e di renderla feconda.
Rendendo più essenziale la presenza di
persone che sono gratificate nel consigliare,
proporre, nell’essere di esempio ai Giovani
che, talvolta timidamente, si propongono di
affiancarci nelle nostre Azioni.
Concludendo così pienamente il simbolico significato della “Ruota che gira”.
Vi è ancora moltissimo da fare per la nostra Mission, il mio impegno per il futuro rimarrà sicuramente costante e
si fonda sul mio sentimento di
gratitudine nei confronti di tutte
le persone che fanno parte del
club.
Grazie di questo
meraviglioso
anno!
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2
Rotary Club Cagliari — giugno 2016
Programma anno rotariano 2016/2017
Una casa
accogliente
Caterina Lilliu
arà una visione tutta “al femminile”, ma
ciò che io trovo di più grande nel Rotary è l’Essere una Casa.
Una Casa solida e accogliente costruita sul
rigore ma riscaldata da quel senso dell’amicizia che, settimana dopo settimana, mese
dopo mese, anno dopo anno, fa sentire i suoi
soci sempre più solidali e motivati a operare; una Casa che sa accogliere i problemi e
i bisogni della Società per dedicarvi le migliori
professionalità e risorse.
In questa casa io mi sono sempre sentita
a mio agio, circondata da amici, ed è sostanzialmente per questa ragione che ho potuto superare non piccole difficoltà personali
ed accettare l’incarico della presidenza del
Club. Cosa che ovviamente mi onora e per
la quale ringrazio il Club, che ha riposto in
me tanta fiducia; ma che nello stesso tempo,
innegabilmente, mi preoccupa, trovandomi
a guidare per un anno un Club Rotary di
S
grande prestigio, e sulla scia di predecessori che hanno saputo dare tanto.
Conosco, peraltro, la solida struttura del
Club e la generosità ed entusiasmo dei suoi
soci, e ho la speranza che tutti insieme riusciremo a costruire un anno stimolante, che
possa confermarci nel piacere, nell’impegno
e nell’orgoglio di essere rotariani.
Tuttavia, tracciare il percorso di un anno
non è facile, e lo è ancora meno in momenti di crisi epocale, come quella che stiamo vivendo, e che investe sotto certi aspetti anche
l’organizzazione rotariana e la vita stessa dei
nostri club.
“Il Rotary al servizio dell’Umanità” è sicuramente il tema da cui partire, come indicato da John F. Germ, Presidente del Rotary
International per l’anno 2016-2017, con riferimento al nostro contributo alla campagna antipolio, grazie alla quale la malattia sarà presto debellata a livello mondiale, essendo ormai circoscritta ai soli territori dell’Afghanistan e del Pakistan. Ma la sensibilità verso le
emergenze sanitarie ci porterà a condividere
con il Distretto 2080 anche la nuova importante sfida contro il papillomavirus, non
trascurando, per altro verso, di curare le iniziative tradizionalmente promosse dal
Club, come le campagne per la prevenzione della spina bifida e di informazione sull’importanza delle vaccinazioni pediatriche.
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Ma sono tante le iniziative di Servizio che
gli amici del Club si propongono di realizzare durante l’anno. Alcune, già strutturate in progetto o addirittura avviate, coinvolgeranno luoghi, tradizioni e monumenti-simbolo della Città, o quartieri disagiati, o strumenti informativi, a dimostrazione del forte legame che sempre ci unisce a Cagliari e del desiderio di contribuire alla sua crescita armoniosa e alla sua
valorizzazione. Altri temi coi quali le competenze e le professionalità dei soci avranno modo
di misurarsi, anche nell’ambito di manifestazioni pubbliche, sono rappresentati dal rischio
ambientale e dallo scenario internazionale.
Parliamo ora dei Giovani, uno dei cardini dell’attività rotariana, a cui il nostro
Club, secondo modalità consolidate, dedica
i programmi Rotaract, Interact, NGSE,
RYLA e Scambio Giovani. Si aggiungeranno il Premio Rotary Start Up, creatura del nostro Club al suo secondo anno con l’assegnazione del riconoscimento, e Rotary per le
Scuole, che prevede iniziative sul tema della legalità e dell’etica, e nel settore dell’alternanza scuola-lavoro.
Questi al momento i progetti previsti per
il 2016-2017, accompagnati dagli eventi di raccolta fondi – Musikaralis, Golf, Tennis – divenuti ormai un fiore all’occhiello del Club.
Altri progetti potranno aggiungersi su iniziativa dei soci o in concomitanza di importanti ricorrenze, quale ad esempio il Centenario della Fondazione Rotary che si celebra
appunto nel nostro anno.
Passando al fronte interno del Club, è opportuno considerare alcuni aspetti che destano
(e non solo da oggi) una certa preoccupazione. A cominciare dall’Effettivo, che va registrando negli anni una perdita progressiva, lenta ma costante, per continuare con l’Assiduità dei soci, che registra numeri certamente non all’altezza delle aspettative.
Tante ragioni possono essere all’origine di
queste problematiche, del resto comuni nell’organizzazione rotariana dell’area occidentale, dunque in parte riconducibili a cambiamenti storici e culturali di vasta portata,
che evidentemente non possono rientrare nel
nostro “piccolo” campo di analisi.
Rotary Club Cagliari
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Al di là di questo, è comunque importante che il Club curi molto se stesso per potersi
conservare e rafforzare. E deve farlo ponendo
come chiave di volta delle sue strategie i valori rotariani. Può sembrare fastidioso e pedante
dirlo, ma i valori rotariani devono essere conosciuti a fondo e realmente condivisi dai soci
(da cui la funzione essenziale della formazione); tali valori costituiscono infatti l’insostituibile
nesso tra i soci – anche nel senso della trasmissione generazionale – e l’unico autentico
elemento di prestigio e di richiamo all’esterno.
Potrà essere inoltre utile, ai fini dello sviluppo dell’Effettivo e di una più incisiva azione rotariana, censire e rivalutare per quanto possibile le classifiche, fatto salvo il rigore della selezione dei nuovi soci, nella personale convinzione che le ragioni della qualità (in senso professionale e umano) siano
sempre vincenti sulle ragioni dei numeri.
Il clima interno del Club è un altro
aspetto importantissimo. Trovo che il nostro
Club esprima molto bene il valore rotariano
dell’amicizia, ma le occasioni di incontro non
sono mai troppe per consolidare i rapporti tra
i soci e generare sempre nuovo “bisogno” di
stare insieme, ciò soprattutto in relazione ai
nuovi affiliati.
Il proponimento è quello di creare diverse occasioni di affiatamento in Città, nell’Isola
e fuori dell’Isola. Ed è anche quello di curare
un programma di appuntamenti settimanali interessante, con molti spunti di attualità,
ma retto da un filo conduttore che ho voluto individuare nel tema del Patrimonio Culturale e dell’Identità. Conoscere, amare e rispettare le proprie radici, si tratti di un popolo, di un individuo, ma anche di un’organizzazione, è infatti (e sempre sarà) il presupposto essenziale per non disperdere un capitale di valori e per progettarsi nel futuro.
Grazie a tutti gli amici del Club per la fiducia, i consigli e l’incoraggiamento. Ne avevo bisogno.
Grazie per quanto gli amici daranno al
Club e all’organizzazione rotariana in questo anno 2016-2017.
Buon lavoro a tutti.
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Rotary Club Cagliari — giugno 2016
La scomparsa di Ugo Carcassi,
grave lutto per la medicina, la cultura e il Rotary
Una vita per la scienza
Da protagonista
a grande navata gotica della chiesa di
San Giacomo, a Cagliari, era gremita, il pomeriggio del 18 maggio scorso, per l’ultimo saluto al prof. Ugo Carcassi, scomparso due giorni prima all’età di 95
anni. Si è spento un grande personaggio che
ha lasciato un’impronta profonda nel mondo della medicina e della cultura. Medico, ricercatore di fama, scienziato di livello internazionale, professore universitario, preside
di Facoltà, direttore di Clinica Medica. Ma
non solo. Anche storico rigoroso e appassionato. E grande rotariano.
Il racconto della sua vita, così ricca di
eventi, esperienze ed iniziative in campo
medico e culturale e della grande eredità
morale che ha lasciato, merita un lavoro di
approfondimento ed uno spazio che deve essere rimandato ad altro numero di questa
rivista, già in fase di composizione al momento della sua scomparsa. Ci limitiamo
dunque, per ora, ad una schematica biografia che, se fornisce una prima idea della
vastità dell’attività in campo scientifico, non
esaurisce certo gli aspetti umani e i meriti
professionali della sua straordinaria personalità.
Era nato a Cagliari ma, quando il padre,
capo ufficio della Sezione Esteri della Banca
Commerciale italiana, fu trasferito a Sassari, Ugo Carcassi ha seguito la famiglia,
frequentando prima il Liceo Azuni e poi la
locale Università, laureandosi con Lode in
medicina e chirurgia nel 1946.
Ha insegnato malattie infettive nell’Università di Siena; semeiotica, patologia medica e clinica medica nell’Università di
Cagliari (dal 1950) e Reumatologia nel-
L
l’Università di Roma “La Sapienza” (dal
1955 al 1994). È stato Preside della Facoltà
di Medicina e Chirurgia dell’Università di
Cagliari dal 1970 al 1981. Presidente della
Associazione Europea di Medicina Interna
e successivamente Presidente Onorario della
Federazione Europea di Medicina Interna
(dal 1989 al 1994).
Nel 1952, come British Council scholar,
ha frequentato, nella Victoria University di
Manchester, l’Istituto di Batteriologia, diretto dal Professor H.B. Maitland, conseguendo il Diploma in Batteriologia. In
quello stesso Istituto, nel 1957, con un finanziamento della British Foundation for
the study of the Poliomyelitis è stato Visiting Professor ed ha eseguito importanti ricerche sulle cardiopatie virali.
Nel 1962 è stato invitato quale Visiting
Professor alla Columbia University di New
York ed è stato stretto collaboratore dei professori Joseph Ferrebbe ed Edward Donnall
Thomas (Premio Nobel per la Medicina
1990) nelle prime ricerche sul trapianto di
midollo osseo.
Il suo contributo scientifico più rilevante
riguarda i rapporti tra malaria e talassemia
e poi lo studio del favismo in Sardegna.
Nel 1951 ha descritto per la prima volta
un’anemia emolitica acuta da ingestione di
piselli, attirando l’attenzione, anche dei medici non italiani, su quadri emolitici acuti,
apparentemente da cause sconosciute, imputabili invece all’ingestione di fave o di piselli.
Tra il 1953 ed il 1954, con alcuni collaboratori, aveva scelto quattro paesi della provincia di Nuoro, di cui due costieri,
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intensamente malarici ma con alta frequenza di talassemia. Le ricerche sui gruppi
sanguigni avevano dimostrato che le popolazioni erano geneticamente identiche, eliminando in questo modo l’ipotesi che
potesse trattarsi di due gruppi di popolazioni geneticamente diversi. In base a questi dati si poteva concludere che l’infezione
malarica aveva esercitato una pressione selettiva che avvantaggiava gli eterozigoti talassemici (portatori di un solo gene
talassemico) rispetto ai soggetti normali che
invece potevano soccombere all’infezione da
plasmodio malarico.
Questo modello è diventato, a livello internazionale, uno degli strumenti classici di
ricerca nella genetica di popolazione e ha
contribuito a trasformare la Sardegna in un
laboratorio naturale.
Nel 1961 gli è stata affidata la Direzione
Scientifica del Centro di Ricerca Ematologica, nell’Ospedale San Francesco di Nuoro,
attivato con un contributo concesso dall’Istituto di Ricerche degli Stati Uniti
(N.I.H.). I risultati ottenuti da questo Centro Ospedaliero nuorese hanno portato poi
alla costituzione, da parte del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dell’Istituto di Ricerche sulla Talassemia ed Anemie
Mediterranee a Cagliari del quale Ugo Carcassi è stato direttore dal 1980 al 1992.
L’Istituto Nazionale per l’Assicurazione
contro le Malattie (INAM) gli affidò, dal
1965 al 1987 il neonato servizio di Reumatologia presso il Poliambulatorio di Oristano.
Nel 1975 è stato insignito dell’onorificenza di Commendatore della Repubblica,
su proposta del Ministro della Pubblica
Istruzione.
Per le molteplici attività cliniche, didattiche e di ricerca, il 22 maggio 2012 gli è
stata attribuita dal Lions Club Cagliari Host
la Maschera Punica, istituita dal 1987, «da
conferire ad un sardo di nascita che abbia
fatto conoscere la Sardegna anche al di fuori
dei suoi confini».
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I suoi interessi culturali e scientifici
hanno riguardato campi diversi, fra i quali
l’insegnamento della Medicina nella Comunità Europea e le affezioni di personaggi
storici quali Cristoforo Colombo, Papa Giovanni XXI, Giuseppe Garibaldi, Nicolò Paganini, Giacomo Casanova e di Giuseppe
Garibaldi (in tre diversi volumi).
È autore di numerose monografie e di
oltre 500 lavori scientifici pubblicati su riviste nazionali ed internazionali, Presidente
Onorario a vita della Federazione Europea
di Medicina Interna, membro della New
York Academy of Sciences (USA – 1983), e
della Royal Society of Medicine (UK –
1980).
Nel 1988 è stato eletto membro d’Onore
(Honorary Member) dell’Indian Rheumatism Association e nel 1997 membro d’Onore
(Honorary Fellow) del Royal College of
Physicians of London (UK).
Era Professore Emerito di Clinica Medica nella Facoltà di Medicina dell’Università di Cagliari (dal 1995).
Era sposato con Paola Marcellino, scomparsa tre anni fa, ed aveva sei figli: Anna
Maria, Marco, Carlo, Alessandra, Luca e
Gianmatteo, oltre a numerosi nipoti. Carlo,
anche lui medico, professore ordinario di
genetica medica all’Università di Cagliari, è
socio del Rotary Cagliari.
Era iscritto al Rotary Cagliari dal 14
maggio 1970 e nell’anno rotariano 19951996 è stato presidente del Club. Assiduo
frequentatore delle iniziative del Club ha
svolto al Rotary numerose apprezzate conferenze sulla medicina e sulla storia e non
ha mai fatto mancare, nel corso delle riunioni, interventi puntuali, sostenuti sempre
dalla sua vastissima cultura.
Nel 2011 l’Università di Cagliari gli ha
dedicato un importante Convegno scientifico. Lucidissimo sino all’ultimo, aveva comunicato ai familiari e ai suoi amici, con
precisa consapevolezza medica, l’avvicinarsi della sua fine. Aveva ragione lui.
Come sempre.
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Rotary Club Cagliari — giugno 2016
Ricordo di Pinuccio Sciola
Le pietre
che cantano
Mauro Manunza
Q
uanto era rotariano Pinuccio Sciola?
Ora che se n’è andato, e ci guarda da
lassù oltre il celeste del cielo e dei suoi
occhi, si può ricordarlo come sappiamo che un rotariano deve essere. Faceva
parte del nostro club dal febbraio del 1991 e
in un quarto di secolo non lo abbiamo visto
spesso nelle riunioni e nelle attività collegiali, ma occorre riflettere sul valore dell’assiduità:
certo è un piacere stare e operare insieme, certo consideriamo doverosa la frequentazione,
ma a patto che questa non derivi dalla preoccupazione di mantenere l’iscrizione. Fare il
proprio dovere è la regola rotariana, dedica-
re all’interesse comune la propria professione è dettato rotariano, il desiderio di realizzare un servizio per chi è più sfortunato di noi
o per un vantaggio generale è una spinta rotariana, la capacità di realizzare una migliore comprensione fra le nazioni è un obiettivo
rotariano, l’aiutarsi reciprocamente e stringere
amicizia è una propensione rotariana.
In tutto ciò Pinuccio si spendeva: per il Rotary, ma oltre gli incontri ufficiali e le ritualità. Il suo impegno, sinceramente rotariano,
comprendeva tutto e tutti. Era un socio che
raramente partecipava alle riunioni del club,
però faceva il suo dovere rotariano fuori dal
Pinuccio Sciola nella sua ultima visita al nostro Club, in occasione della cena degli auguri di Natale il 17 dicembre 2015.
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club, con atti concreti più convincenti delle
parole. E non dimenticava mai di essere rotariano: a cominciare dalla sua intima missione di messaggero di amicizia e pace.
Adesso, più che mai, per lui parlano – anzi
cantano – le pietre sonore: attorno alle quali s’incontrano anime diverse, persone di nazioni, lingue, fedi, gusti, culture differenti, esseri umani risucchiati in un’empatia non soltanto emotiva. Il suo messaggio umanitario
era nelle sculture, quelle da vedere e quelle
da ascoltare.
Doveri, interessi comuni, servizio, amicizia, pace universale sono concetti che Pinuccio
ha portato “anche” nel club, talvolta attraverso qualche conversazione e – una volta –
sfiorando con le mani le sue pietre sonore che
chiamava “litofoni”. Ricordate quelle vibrazioni che raggiungevano l’anima? Potremo
sentirle ancora così come solo lui sembrava
potesse evocarle dal basalto?
Era attento all’esigenza di visibilità dei
princìpi rotariani, e ci ha lasciato un paio di
visibilissimi simboli in trachite rossa. Uno è
a Cagliari, nel giardino fra il Parco delle Rimembranze e la chiesa di San Lucifero: lo realizzò nel 1999 in occasione del cinquantenario
della fondazione del nostro Rotary Club. L’altra grande ruota dentata è al centro della Sardegna, sull’area verde all’ingresso Nord di
Macomer, quasi affacciata sulla superstrada:
alla cerimonia di consegna, nel giugno 2002,
c’erano le autorità cittadine, regionali e rotariane (con il governatore del Distretto, Antonio Lico); cantarono le pietre e anche il
gruppo folcloristico Santa Barbara. Significativa la scelta del luogo, attorno al quale si
concentra una grande quantità di nuraghi e
monumenti naturali di basalto.
Fu in quell’occasione che lo scultore disse di voler creare una “foresta di pietre”. E
più tardi inventò i “semi di pietra”, facendoli seminare dai ragazzetti in terreni appositamente arati attorno al suo paese, oppure spargendoli in molti luoghi lontani, anche oltre i confini nazionali. Era uomo sen-
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“Pietra sonora” di Pinuccio Sciola.
sibile e artista di livello e notorietà mondiali. Il suo giardino delle pietre, alla periferia
di San Sperate, è ormai un mito. Il suo “intervento scultoreo” nell’esposizione biennale di Venezia fu un successo internazionale.
Il suo indimenticabile “Cantico delle pietre”
davanti alla basilica di San Francesco ad Assisi richiamò l’attenzione del Papa e ha fatto scrivere a Gillo Dorfles che «la pietra sonora di Pinuccio Sciola ha il potere di suscitare in noi l’equivalente di un evento sacro»…
È così. Le pietre di Pinuccio recano un prezioso messaggio naturalista e spirituale. Lui
che mai volle cercare onori e cariche, lui che
disprezzava i soldi, lui che si teneva lontano dalla politica partitica, proprio lui il Consiglio regionale volle omaggiare con l’incarico (tutt’altro che teorico) di presidente della Commissione per il Paesaggio e la qualità architettonica.
Nel dicembre scorso Pinuccio chiese di restare nel nostro club come socio onorario, e
così fino all’ultimo suo giorno ha conservato la ruota distintiva del Rotary. Anche di questo gli siamo grati.
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Rotary Club Cagliari — giugno 2016
Commemorazione di Alberto Villa Santa
La bandiera
nel castello
Rafaele Corona
a commemorazione di Alberto Villa
Santa prende le mosse dal Castello di
Sanluri. Precisamente da una vecchia
bandiera, della quale un ufficiale tedesco si
era impossessato a Caporetto. Dopo mezzo
secolo circa, l’ufficiale tedesco, rotariano in
visita a Cagliari, la consegnò agli amici del
Rotary. Il Presidente del club, il prof. Giuseppe Peretti, donò la bandiera ad Alberto
Villa Santa, per conservarla nel museo del Castello di Sanluri.
Evento splendido. Testimonianza indimenticabile della ritrovata amicizia, dello
spessore del Rotary, della statura morale e dello stile dei rotariani del tempo.
Il museo del Castello – ignoro quanti l’abbiano visitato – conserva tante memorie, soprattutto della grande guerra 1915-18, che Alberto, con cultura, intelligenza, pazienza ed
impegno, ha ordinato. Cimeli (l’originale bollettino della Vittoria con la firma autografa
di Armando Diaz); armi (pistole, bombarde,
mitragliatrici, fucili modello ’91, e perfino uno
Chassepot impiegato a Mentana); uniformi
(tra le altre, la divisa del Duca d’Aosta, Emanuele Filiberto di Savoia, comandante della Terza Armata, l’unica formazione non travolta a Caporetto e che poi organizzò la difesa sul Piave); bandiere (la prima bandiera italiana che sventolò a Trieste, portata dal
bersagliare Putzu di Monserrato, che sbarcato dal cacciatorpediniere Baionetta fece di
corsa tutta la salita di San Giusto e la issò sul
castello); documenti originali (i verbali della battaglia di Gorizia, le lettere di D’Annunzio, Nitti, Salandra etc.).
Il Conte Alberto Villa Santa veniva da una
grande famiglia. Il padre, il generale Nino Vil-
L
la Santa, nella Grande Guerra fu aiutante di
campo del Duca d’Aosta, che gli donò la maggior parte dei cimeli affinché li conservasse
nella terra dei sardi componenti le brigate
Sassari e Reggio; durante la campagna
d’Etiopia, il generale Villa Santa comandò la
divisione Gavinana, che occupò Adua e prelevò l’obelisco di Auxum; laureato in lettere, giurisprudenza e scienze politiche, il generale Villa Santa presiedette la commissione ministeriale per la riforma dei codici militari di pace e di guerra, tuttora vigenti. La
zia paterna Giovannica Villa Santa sposò l’ufficiale superiore Giovanni Riva, pluridecorato,
che perdette la vita sull’Altipiano di Asiago;
ebbero un figlio – Alberto Riva Villasanta –
medaglia d’oro, uno dei più giovani e l’ultimo caduto in guerra, cui è dedicato l’edificio scolastico di piazza Garibaldi a Cagliari. Lo zio Carlo Villa Santa fu stimatissimo
prefetto di Cagliari e padre del procuratore
generale Giuseppe Villa Santa, il quale, negli anni di piombo, garantì in città l’ordine
e la sicurezza. Ricorderete tutti le scritte che
imbrattavano i muri: «Villa Santa boia». Ma
a Cagliari la legalità non venne mai meno.
Alberto nacque nel 1927.
Seguì la carriera militare in marina e per
molto tempo fu imbarcato. Giovanissimo raggiunse il grado di capitano di vascello, ma una
grave malattia lo costrinse a lasciare il servizio.
Nondimeno, nella vita civile si distinse egregiamente: si dedicò all’agricoltura, in particolare alla coltivazione delle olive ed all’allevamento del bestiame e della tenuta Villa
Santa, alle porte di Sanluri, fece una azienda modello. Acquisì numerosissimi riconoscimenti e gli furono conferiti molti incarichi
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(tutti rigorosamente gratuiti).
Tra gli altri, fece parte del comitato consultivo della Banca d’Italia e del direttivo dell’Unione Agricoltori.
Entrò al Rotary nel gennaio 1964 e dopo aver fatto
parte di numerose commissioni e del consiglio direttivo,
nel 1975-76 fu eletto Presidente, il più giovane presidente del Club. La sposa
Anna Maria Aymerich, figlia del noto ginecologo, è ricordata dagli amici del Rotary per il garbo, la gentilezza, l’eleganza. Egli fu uno dei
promotori della costituzione
del Rotary di Sanluri.
Che cosa Alberto abbia
dato al Rotary, oltre il prestigio, la frequenza, l’assiduità, è presto detto: ha dato
lo stile, lo stile inimitabile,
senza indulgenze per la retorica e la fastidiosa ridondanza. La accurata scelta
dei programmi, con riferimento all’attualità; la puntualità nelle sedute; la padronanza dell’assemblea nel
dirigere le relazioni e gli interventi; la cordialità nei rapporti con gli associati, con gli
ospiti e con le signore. Il
grande contributo all’affiatamento. Concluso il servizio
come Presidente, continuò a
frequentare assiduamente il
club, senza invadenze e carrierismi. Senza far mancare
la collaborazione, quando gli
veniva richiesta. Ricordo con
particolare gratitudine un
episodio. Quando diventai
Presidente nel 1987-88, Alberto fu l’artefice della manifestazione più riuscita del
mio anno. Il Club aveva più
Rotary Club Cagliari
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Alberto Villa Santa mostra un’opera eseguita nel 1917 nell’isola de L’Asinara da T. Bottlik, prigioniero di guerra austriaco (13 novembre 1999).
volte invitato personaggi illustri. In marina, Alberto aveva
conosciuto, perché prestava servizio come guardiamarina,
il Principe Amedeo di Savoia Aosta: questi venne a Cagliari con la consorte e fu ricevuto, con grande riguardo, dal Sindaco don Paolo De Magistris e dal Presidente della Regione avv. Mario Melis. La serata conviviale del Rotary fu straordinaria: la grande sala del Mediterraneo conteneva a stento i cento e oltre rotariani intervenuti (il 95%, il massimo storico). La grande partecipazione fu merito soprattutto di Alberto, del suo ascendente, della sua reputazione e delle sue
amicizie. Ricordo che accompagnai a tutti i tavoli il Principe, il quale volle salutare personalmente i Rotariani, intrattenendosi a conversare cordialmente con ciascuno: spe-
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cie con i repubblicani impenitenti, che rimasero affascinati. Il giorno successivo, Alberto ricevette i Principi al Castello di Sanluri ed ebbe modo di far vedere i ricordi, anche della famiglia Savoia Aosta, e della visita scrisse un vivace resoconto nel bollettino del club.
Con Alberto ripetutamente abbiamo discorso del suo attaccamento per la dinastia
dei Savoia e della sua devozione per il ramo
Savoia-Aosta. I Savoia per lui rappresentavano l’Unità d’Italia, il simbolo della unificazione, l’impegno o il tentativo di costruire uno Stato, in cui l’interesse generale prevalesse sugli interessi locali. La preminenza
del bene comune, in una parola la Patria, rappresentava un ideale, cui fermamente credeva
e cui tenne fede per tutta la vita. La conoscenza dei Savoia-Aosta non era fatta soltanto
di valori (o di retorica). Alberto mi ha raccontato un episodio gustoso. Nei pressi di Curtatone e Montanara fu combattuta una famosa battaglia della prima guerra di indipendenza. Il Re Vittorio Emanuele III era piccolo di statura, mentre la Regina Elena, proveniente dalle montagne del Montenegro, era
piuttosto alta e robusta. Lo zio del nostro ospite, Amedeo d’Aosta, l’eroe dell’Amba Alagi,
morì in Kenya, in prigionia: gli ufficiali inglesi, al funerale gli resero gli onori militari
e portarono al braccio il segno del lutto: omaggio rarissimo ad un nemico; Amedeo d’Aosta, ventenne, ad una cerimonia al Quirina-
le, all’arrivo del Re e della Regina si lasciò
sfuggire la battuta: «Ecco Curtatone e Montanara». Vittorio Emanuele III lo fece allontanare dall’Italia e fu la sua fortuna: studiò
in Inghilterra, a Eton ed a Oxford, imparò perfettamente la lingua e soprattutto ebbe l’occasione di respirare un’aria diversa.
Da qualche tempo la frequenza di Alberto
Villa Santa al club era diminuita per ragioni di salute. È mancato il 29 ottobre 2015.
Al Rotary, il Conte Alberto Villa Santa va
ricordato per il galantomismo e la signorilità: derivanti certamente dell’educazione ricevuta in famiglia e nella marina militare, ma
soprattutto dalla sua nobiltà d’animo. Al Rotary, va ricordato l’uomo, il padre di famiglia, l’ufficiale di marina e l’imprenditore nell’agricoltura; va ricordato, infine, per l’opera prestata al Castello di Sanluri: la manutenzione, il riordino, l’accessibilità, la divulgazione. Con la speranza che anche gli studiosi dell’Università, i quali dedicano attenzione a vicende non di primo piano, si accostino finalmente a documenti significativi della storia della nostra gente.
La riunione del Rotary per la commemorazione di Alberto Villa Santa non è cominciata con il solito rito di onore alle bandiere; il Presidente ha voluto che si concludesse con l’onore a quella vecchia bandiera della quale ha parlato all’inizio e con
l’inno della marina militare, che sarebbe
piaciuto ad Alberto.
■
giugno 2016 —
Rotary Club Cagliari
11
Un sistema bancocentrico
Le banche italiane
nel percorso
di integrazione europea
Luigi Bettoni
argomento da trattare è di estrema
attualità, poiché sta occupando i media da mesi. Ritengo opportuno passare in rassegna le caratteristiche del sistema bancario italiano e l’evoluzione che ha
compiuto per corrispondere alle novità normative europee e per reagire alla lunga crisi economica in atto. Cercherò di semplificare
al massimo l’esposizione di regole e normativa, per evitare di rendere la trattazione troppo tecnica.
Il sistema Italia è banco centrico: lo scarso sviluppo dei mercati di capitali crea uno
stretto legame fra banche ed imprese. Inoltre, l’insufficiente patrimonializzazione delle imprese italiane – per lo più caratterizzate da dimensioni medio-piccole e dalla loro
numerosità – acuisce la stretta dipendenza dal
sistema bancario, che è la fonte unica di finanziamento esterna. Ciò apporta fragilità al
sistema imprenditoriale e freno alle potenzialità di sviluppo per lo sbilanciamento sul
breve termine dei finanziamenti. Il 38% dei
prestiti sono sotto i dodici mesi (a fronte del
18% medio per gli analoghi crediti registrati in Germania e Francia e del 24% registrato
in media nell’eurozona); oltre il 50% dei finanziamenti è in conto corrente, quindi
teoricamente revocabile ad nutum. La maggiore dipendenza dal debito a breve termine espone le imprese italiane a più elevati rischi di rifinanziamento e restringe l’orizzonte
temporale degli investimenti.
L’operatività delle banche italiane è molto tradizionale: sono per loro centrali raccolta
ed impieghi. Questa peculiarità da al nostro
L’
sistema bancario elementi di forza e di fragilità nel confronto europeo. Gli investimenti
finanziari prevalenti sono in Titoli di Stato
della Repubblica italiana, bond che hanno pagato sempre un interesse adeguato ed hanno contribuito a realizzare il conto economico
delle aziende di credito. Il nostro sistema bancario è quindi stato fortunatamente immune dai rischi tipici della finanza moderna che
in altri Paesi ha causato immani dissesti all’inizio della crisi economica mondiale. È pur
vero che la dipendenza dai titoli di Stato può
in teoria arrecare problemi nel caso di instabilità del nostro Debito Pubblico.
Gli impieghi prevalenti delle banche italiane
sono in crediti a imprese e famiglie; in questo comparto, sette anni di crisi hanno lasciato
il segno coi crediti inesigibili. Dal 2008 sono
fallite più di 90.000 imprese; oltre il 4% delle famiglie ha subito decurtazioni di reddito
a causa della perdita del posto di lavoro di un
loro componente; la produzione industriale è
oggi più bassa di oltre il 20%; quasi un milione
di occupati in meno. La crisi ha portato quindi un rilevante accrescimento dei crediti deteriorati, che ad oggi sono 340 miliardi di euro,
pari al 18% degli impieghi complessivi del sistema1 (nel 2008 erano pari al 6%) e sta creando un problema nei conti delle aziende di
credito italiane. Il corto circuito che si realizza fra incremento degli impieghi deteriorati,
che arreca appesantimento dei conti e causa
incremento della necessità di patrimonializ1
Nella regione Sardegna, i crediti deteriorati si ragguagliano al 30% degli impeghi locali.
12
Rotary Club Cagliari — giugno 2016
zazione per rimanere nei parametri europei è
la principale fragilità del nostro sistema.
I problemi indotti dalla crisi finanziaria
globale hanno reso necessari, sin dall’inizio
pesanti interventi pubblici per il salvataggio
delle banche in tutto il mondo: esaminiamo
quelli europei in questa tavola:
In Italia l’impegno è stato molto relativo:
130 miliardi messi a disposizione del sistema
bancario, di cui 15 effettivamente utilizzati.
Il Belgio ha speso 72 mld ed ha un PIL pari
a quello della Lombardia; l’Irlanda 350
mld, ed il suo PIL è pari alla metà di quello belga! Il problema strutturale italiano è che
il nostro debito pubblico è troppo alto da tempo. Vediamo ora le percentuali di utilizzo dei
PIL nazionali per il salvataggio di banche: Italia e Francia hanno utilizzato solo lo 0,1%
contro l’8,2% della Germania ed una media
nell’eurozona del 4,8%.
Paese
Belgio
Germania
Irlanda
Grecia
Paese
Francia
Italia
Cipro
Lettonia
Lituania
Lussemburgo
Olanda
Austria
Portogallo
Slovenia
Eurozona
% di Pil
46
82
226
222
50
1
1
194
55
9
53
55
84
110
182
48
Durante la crisi economica il Presidente
della BCE, Draghi, ha disposto interventi di
“quantitative easing”, cioè di facilitazioni creditizie per le banche affinché ampliassero i
prestiti alla clientela, realizzando così politiche espansive in funzione anti crisi. A suo
tempo il Governo Tedesco pose come condizione per la realizzazione degli interventi l’introduzione prima di una Vigilanza unica europea, per evitare che le facilitazioni andassero a banche non sicure: il dr. Draghi, spinto da questa imposizione, in circa un anno
e mezzo ha compiuto questo storico passo in
avanti attuando l’Unione bancaria europea.
Tale Unione si basa su tre pilastri: Meccanismo di Vigilanza Unico; Meccanismo di Risoluzione Unico delle Crisi bancarie; Sistema di Garanzia dei Depositanti.
Nell’ottobre 2014, preliminarmente, come
noto, si è tenuto lo “stress test” sulle principali banche europee, che consisteva in una
prova di tenuta con due distinti scenari avversi: il prolungamento della crisi economica in atto e l’aggiungersi su questa di una grave crisi economica nazionale. Come si può immaginare, il secondo test è stato molto pesante
per le banche italiane, a causa degli investimenti in titoli di Stato nazionali. Il risultato divulgato dalla BCE per le banche italiane da sottoporre alla vigilanza europea è stato che nove, sin dal 2013 evidenziavano carenze di capitale. La doverosa precisazione
contestuale della Banca d’Italia, è stata che
tutte le banche risultavano già adeguate,
avendo effettuato gli aumenti di capitale necessari entro ottobre 2014 (data di pubblicazione dei risultati dello Stress test), tranne Monte Paschi di Siena e Cassa di Risparmio di Genova, le quali comunque avevano adeguamenti in corso già delineati2.
Va sottolineato che tutti gli aumenti di capitale realizzati sono stati effettuati senza aiuti pubblici, con apporto di denaro fresco sul
2 Per il MPS, erano stati stanziati gli aiuti pubblici ad
un tasso – elevato – dell’8% da trasformare eventualmente in partecipazione azionaria, e varato un piano
di riassetto patrimoniale. Per la CARIGE, era prevista la vendita di asset (società di assicurazione) posseduto.
giugno 2016 —
Rotary Club Cagliari
13
mercato, oltre tutto in un periodo di crisi economica in atto, e che conseguentemente il patrimonio netto delle banche italiane è passato
da una media del 7,1% (2008) al 12,3% odierno. Recentemente è stato ribadito dalla
BCE che non sono richieste nuove operazioni
di aumento di capitale per le aziende di credito italiane.
Si rileva, infine, che la graduazione nelle valutazioni dei parametri relativi ai rischi
finanziari e creditizi è stata effettuata in sede
europea ed è stato il risultato di una dialettica interna fra le banche centrali nazionali. Ciò ha portato peraltro ad una certa sopravvalutazione dei rischi da esposizioni creditizie tradizionali e ad una sottovalutazione della rischiosità degli strumenti finanziari;
in proposito si rammenta che ad esempio
grandi banche straniere come la Deutsche
Bank hanno almeno un terzo dei loro attivi
in derivati, che nel recente passato non si sono
mostrati meno rischiosi dei crediti a clientela!
Passiamo ora ad esaminare il 1° pilastro,
il Meccanismo di Vigilanza Unico, che riguarda le Banche “significant” (n. 129 in Europa, di cui 153 italiane), con un valore delle attività totali superiore a 30 mld di euro
o le prime tre nazionali, e quelle “less significant” (n. 6.000 circa, di cui 663 italiane),
senza rilevanza sistemica. Per tutte la BCE
ha la responsabilità complessiva ed una
funzione direttiva, di Vigilanza amministrativa (verifica dei coefficienti, autorizzatoria) ed ispettiva, esercitata emanando il
quadro normativo direttamente, ma poi per
lo più tramite le varie Banche Centrali nazionali sugli intermediari di competenza ed
effettuando la supervisione necessaria. I
compiti quindi delle varie Banche centrali nazionali non ne risultano sminuiti, ma coordinati unitariamente, e le decisioni finali a livello di sistema sono prese con il coinvolgimento dei vari vertici nazionali. La Germania ha chiesto ed ottenuto che il sistema del-
le Landesbanken rimanesse sottoposto al controllo nazionale, completamente al di fuori
di quello della BCE.
Il 2° pilastro dell’Unione Bancaria è il cd.
Meccanismo di risoluzione unico delle crisi
bancarie, entrato in vigore dal 1.1.2016, e creato perché se una banca è in dissesto od a rischi di dissesto, la sua “risoluzione” riveste
un rilevante interesse pubblico. Lo scopo è
infatti di evitare le spese elevatissime in precedenza sostenute durante la crisi a carico dei
vari bilanci pubblici ed evitare le incertezze
che possono nelle more della procedura
coinvolgere i sistemi bancari nazionali od altre banche, generando fughe di capitali o corse agli sportelli. È stata creata appositamente
una struttura nazionale (in Italia un Servizio della Banca d’Italia dotato di apposita autonomia) per sovrintendere al processo ed evitare i problemi di stabilità sistemica, attuare le protezioni ai depositanti ed ai clienti, garantendo la continuità nei servizi finanziari
essenziali. Questa Autorità può vendere parte delle attività della banca in risoluzione ad
altri (attuando il cd. spezzatino), creare una
bridge bank per la sua successiva vendita,
creare una bad bank per farvi confluire le attività deteriorate e cederle ad altri enti finanziari, applicare le regole del bail in (o salvataggio interno). È necessario esperire la procedura del bail in comunque prima di giungere all’utilizzo di fondi od aiuti temporanei
pubblici (cfr. il III pilastro).
3
La procedura di bail in elenca gerarchicamente le attività da utilizzare per ripianare
dall’interno della banca stessa le passività che
causano il dissesto. Sono ovviamente esclu-
Banche significant: italiane: Carige, Monte Paschi, Unicredit, San Paolo Intesa, Popolare Sondrio, Creval,
BPER, Banco Popolare, Popolare Milano, B. Pop. Vicenza, Barclays Italia, Iccrea, Mediobanca, UBI, Veneto
Banca.
14
Rotary Club Cagliari — giugno 2016
si i conti di deposito titoli o di quote di Fondi di investimento; è possibile frazionare i depositi fra banche diverse o cointestare il deposito per accrescere il livello di esclusione
dalla procedura.
Il terzo pilastro è la costituzione di un Fondo di garanzia: i negoziati sono in corso, ma
la Germania li ha ora bloccati per evitare il
rischio di utilizzare fondi tedeschi per banche di altri Paesi4.
Gli Stati creeranno un fondo “salva-banche” unico, finanziato con prelievi sugli istituti di credito. I prelievi, dapprima gestiti a livello nazionale, confluiranno gradualmente (10
anni) in un unico fondo europeo. Nel primo
anno dalla costituzione, le banche in default
potranno attingere solo al fondo del proprio
Paese. Alla fine, ogni Stato rimarrà comunque responsabile su base temporanea e sussidiaria, se l’intervento sarà inevitabile per la
stabilità dell’intero sistema bancario nazionale.
Facciamo però un passo indietro ed esaminiamo come sino al 31.12.2015 avveniva, in
Italia, la risoluzione delle crisi bancarie. Lo
strumento era il commissariamento della banca in dissesto, deciso dal Ministero dell’Economia con Decreto, su proposta della
Banca d’Italia. Il Commissario sostituiva gli
Organi aziendali, rimossi perché responsabili
della mala gestio e amministrava la banca per
giungere alla conclusione della procedura. Al
termine si otteneva la remissio in bonis dell’azienda stessa, una volta accertate e pagate le passività, restituendo agli azionisti la
banca per la elezione di nuovi Organi di vertice: soprattutto per piccole banche la procedura ha avuto questo sbocco; in alternativa, si poteva giungere alla cessione ad altro istituto di credito oppure alla definitiva
liquidazione coatta amministrativa, quasi mai
utilizzata. I tempi previsti erano di un anno,
ma i commissariamenti italiani duravano ordinariamente di più, perché la via prioritariamente seguita era quella di realizzare l’ipotesi di cessione dell’azienda in dissesto ad
un’altra banca, con danni patrimoniali (totali o parziali) per i soli azionisti. Eventualmente gli azionisti stessi potevano avere un
danno solo parziale, derivante da un con-
cambio sfavorevole delle loro azioni; obbligazionisti e depositanti sono stati completamente tutelati anche con l’intervento, a carico del sistema bancario, dei Fondi già da
tempo istituiti in Italia. Nel nostro Paese esistono infatti da tempo per la tutela dei depositanti due fondi: uno interno al sistema
della Banche di Credito Cooperativo ed uno
per tutto il sistema bancario.
Come tutti sappiamo, a dicembre dell’anno 2015 erano in corso 4 gestioni straordinarie, relative a banche caratterizzate da
ricorrenti episodi di mala gestio, già denunciati dalla Banca d’Italia all’Autorità Giudiziaria all’atto del commissariamento, con
la trasmissione integrale del relativo rapporto
ispettivo, in cui erano riportate tutte le irregolarità accertate. Queste gestioni andavano concluse entro il 31.12.15 proprio per evitare il ricorso al bail in. La soluzione proposta
da Governo e Banca d’Italia in sede europea
comprendeva l’utilizzo del Fondo interbancario per la tutela dei depositi e fu bocciata
perché – a giudizio della Commissione europea – realizzava un aiuto di Stato (la motivazione era che l’azionamento del fondo è
deciso con provvedimento della Banca d’Italia, nella veste di Autorità preposta alla Vigilanza: secondo noi, la costruzione era
molto speciosa perché il fondo è interamente costituito da capitali privati messi a disposizione dalle banche). Si rileva che contemporaneamente, sia una banca portoghese che una tedesca sono state ammesse dalla Commissione europea al salvataggio con
l’utilizzo di un intervento statale solo perché
erano a partecipazione pubblica, e quindi il
quel caso gli Stati, in qualità di azionisti, sono
stati ammessi ad intervenire direttamente!5
4 In proposito, si rammenta l’affermazione che gli aiuti alla Grecia sarebbero stati erogati dalla UE in ultima analisi per permettere che venissero rimborsate integralmente dal Governo ellenico le banche tedesche
e francesi, che avevano concesso la maggior parte dei
prestiti a quel Paese.
5
È solo il caso di rammentare che spesso in ambito europeo si tengono diatribe fra schieramenti di Stati e le
decisioni vengono prese, più che in punto di diritto, sulla base di accordi, nei quali lo schieramento prevalente
decide secondo i propri interessi: cfr. ad
giugno 2016 —
Comunque, l’unica via d’uscita sarebbe
stato un ricorso alla Corte di Giustizia europea, ma ciò, in pendenza di giudizio,
avrebbe generato incertezze a livello di sistema bancario italiano e reso necessari accantonamenti per le 4 banche a copertura degli eventuali futuri oneri nel caso di soccombenza.
Si è quindi deciso di seguire una soluzione intermedia per Decreto: è intervenuto il
sistema bancario italiano con un esborso ad
hoc, sono state create delle bad banks per farvi confluire le posizioni deteriorate e delle new
banks da cedere poi ad altri (si stanno ora
valutando gli acquirenti che hanno manifestato interesse), colpendo però azionisti ed obbligazionisti subordinati. La tutela degli
eventuali diritti lesi e l’accertamento delle responsabilità rilevanti in sede civile o penale, procede comunque ad opera dell’Autorità Giudiziaria.
Alcuni cambiamenti normativi sono stati introdotti in chiusura d’anno da Governo
e Banca d’Italia per posizionare meglio il sistema bancario nazionale nel contesto dell’Unione Bancaria europea e rafforzarlo
adeguatamente.
È stata percorsa finalmente l’ipotesi di
creazione di bad banks per farvi confluire i
crediti deteriorati: come detto all’inizio il nostro sistema bancario ha accumulato una significativa massa di posizioni del genere e la
pulizia degli attivi non è mai stata fatta con
ampiezza e determinazione proprio perché lo
Stato non ha mai creato le necessarie agevolazioni fiscali, come avvenuto in più occasioni in altri Paesi europei. Da ultimo una
ipotesi del genere, cui la Banca d’Italia era
favorevole, fu accantonata dal governo Monti proprio per motivi fiscali (sugli interessi –
nominali – relativi a sofferenze le banche pagano le relative tasse). Ora, che il percorso
è reso più difficoltoso dall’introduzione del
esempio la vicenda del tracciato dei gasdotti South Stream e North Stream.
6
La garanzia dello Stato non è immediatamente attivabile: serve solo a dare più stabilità ai veicoli in cui
confluiscono i crediti deteriorati
Rotary Club Cagliari
15
divieto di aiuti di Stato al settore, è stato raggiunto un accordo fra il Ministero dell’Economia e la Commissione europea, che prevede garanzie leggere dello Stato italiano6.
Contestualmente si è però evidenziato sui
mercati il problema del raffronto fra la valutazione (al 18% del valore originario) dei
crediti deteriorati delle 4 banche commissariate e quella (al 30-40%) del resto del sistema: questa differenza è stata percepita
come una sopravvalutazione foriera di ulteriori perdite occultate. È sostanzialmente diversa la valutazione di partite giacenti in banche commissariate ed affette da gravi irregolarità e la valutazione complessiva del sistema, che comprende primarie banche in
piena attività, che magari hanno classificato fra i deteriorati gli incagli (ovvero clientela semplicemente caratterizzata da temporanee difficoltà nei pagamenti, per cui non
è ancora previsto il recupero coattivo). L’accordo raggiunto, comunque, ha generato una
valutazione sfavorevole del mercato che ha
coinvolto i titoli bancari italiani in ribassi, poi
presto inclusi e sommersi nelle generalizzate recenti oscillazioni delle borse mondiali. Lo
strumento, che potrebbe rivelarsi anche un
affare per le società che rilevano i crediti svalutati, funzionerà su base volontaria ed aiuterà le banche a liberarsi delle proprie sofferenze attraverso un processo molto selettivo (lo schema resterà aperto per 18 mesi con
possibilità di rinnovo).
È stato poi perseguito il recupero di efficienza di alcune categorie di banche attraverso
la riforma degli assetti: la trasformazione delle maggiori banche popolari in SpA, per perseguire un rafforzamento patrimoniale e di
Governance interna, mediante l’aumento
della contendibilità che favorirà anche eventuali aggregazioni. Inoltre, è stata promossa
l’autoriforma delle Banche di Credito Cooperativo, circa 360 piccoli istituti che hanno
le difficoltà tipiche dello strumento di partecipazione cooperativa ad accrescere il patrimonio: mediante l’aggregazione in una unica Holding, con 1 miliardo di capitale, si collegheranno in sistema e godranno di maggiore
ampia autonomia a seconda delle condizio-
16
Rotary Club Cagliari — giugno 2016
ni specifiche di migliore patrimonializzazione o più efficace governance interna.
È il caso poi di rimarcare che al sistema
bancario nazionale serve inoltre certamente una riduzione dei tempi per il recupero giudiziale dei crediti, lo snellimento delle procedure concorsuali e delle esecuzioni forzate: il confronto delle procedure italiane con
quelle degli altri membri dell’Unione europea è impietoso!
Ora affrontiamo una domanda che sorge
da più parti: il sistema bancario italiano è in
crisi? Vorrei rispondere citando un fondo del
Direttore del “Sole 24 Ore” di inizio gennaio: «Accreditare come problema sistemico un
problema che riguarda l’1% dei clienti di
quattro banche locali che detengono l’1% del
totale dei depositi bancari è irresponsabile»:
certamente, è stato sottovalutato il problema
poi emerso dell’ampiezza degli obbligazionisti
subordinati colpiti, e parimenti si è tralasciato
di rammentare che l’intervento ha comunque
tutelato l’economia in aree strategiche del
Paese. Infatti senza il decreto, il tessuto economico locale di aree importanti di Toscana,
Emilia, Marche ed Abruzzo sarebbe stato distrutto, soprattutto quelle del commercio, degli artigiani e delle piccole imprese! Però il
“Sole 24 Ore” continua affermando: «si faccia in modo di passare all’azione … i meriti del sistema creditizio italiano in termini di
solidità complessiva … non sono in discussione, convivono con ruberie, crediti agli amici degli amici e qualche pasticcio di troppo
soprattutto a livello locale, ma l’esigenza di
essere più trasparente lo investe direttamente,
esprime un sentimento diffuso...».
Emerge quindi una esigenza di trasparenza maggiore da parte del sistema bancario: le Autorità di controllo nel campo sono
la Banca d’Italia, che è responsabile della stabilità del sistema creditizio e la Consob, che
tutela il risparmio ed autorizza le emissioni
azionarie e obbligazionarie. Insieme, hanno
emanato la normativa di compliance, che prevede a tutela dell’utenza l’utilizzo di processi
strutturati negli intermediari e la divulgazione
dei fogli informativi specifici sui prodotti. Ci
si lamenta usualmente che questi fogli sono
illeggibili, complessi, troppo lunghi; non è
sempre stato vero: quelli relativi alle obbligazioni subordinate sono stati a suo tempo
semplificati eliminando la valutazione degli
«scenari probabilistici» che, al verificarsi di
particolari condizioni, indicavano le percentuali di probabilità di perdita7. È opportuno precisare che – comunque – si richiede agli utenti uno sforzo di comprensione: è
necessario fare domande su ciò che non si capisce e chiarire ogni aspetto dell’investimento:
troppo spesso si affidano cifre ingenti sulla
base del semplice rapporto di fiducia col funzionario bancario col quale si hanno i contatti, mentre a fronte di un semplice acquisto del valore di qualche centinaio di euro (ad
esempio, per un cellulare) chiunque fa una
ricerca di mercato fra modelli e prodotti in
vendita.
La Banca d’Italia, dal canto suo verifica
i comportamenti delle banche sia in sede amministrativa (esame delle procedure e della
documentazione sottoposta) sia in sede
ispettiva (con verifiche sugli inserti della clientela presso l’intermediario, sanzionando le
inadempienze; riceve ed esamina altresì gli
esposti inviati dall’utenza che lamenta irregolarità delle controparti. In proposito è opportuno precisare che – come la Banca
d’Italia scrive sempre in risposta agli esponenti – l’Istituto non esprime un parere sulla questione specifica, ma invita l’azienda di
credito a rispondere esaurientemente all’esponente, inviando altresì copia della comunicazione al vaglio della Banca d’Italia.
Se l’utente invece desidera avere una pronuncia sulla questione, deve ricorrere all’Arbitro Bancario e Finanziario8, commissione arbitrale costituita presso la Banca d’Italia, che definisce la problematica in modo vincolante per la banca coinvolta. La decisione
arbitrale non è invece vincolante per il
7 In proposito, rammento, poi, che la Banca d’Italia a
suo tempo aveva chiesto di non vendere al pubblico i
bond subordinati, ma solo ad investitori istituzionali.
8
Il ricorso è vincolato al versamento, a titolo di parziale rimborso spese, della somma di 20 euro, per garantire serietà al ricorso stesso ed un concreto interesse
alla risoluzione della questione.
giugno 2016 —
cliente, che può comunque ricorrere all’Autorità Giudiziaria ordinaria; statisticamente,
il 67% delle pronunce dell’Arbitro è stato favorevole al ricorrente ed ha visto soccombente
la controparte bancaria.
A titolo personale, vorrei fare alcune
considerazioni in proposito: al di là della valutazione di prodotti veramente complessi (e,
ribadisco, è necessario astenersi dal sottoscrivere quel che non si comprende!) chiunque deve porsi sempre alcune questioni di
fondo, che pure appaiono ovvie, come ad
esempio:
L’interesse remunera il rischio! In campo
finanziario non si fa beneficenza: lo spread
fra i tassi dei bond Argentini e quelli Italiani, prima del default di quel Paese, esprimeva
un rischio reale.
È necessario diversificare gli investimenti! Non si può investire tutti i propri risparmi in un solo titolo: ad esempio, va consapevolmente frazionato il capitale fra una quota a maggior rischio ed un rendimento più alto
ed un’altra immessa in forme più sicure, anche se meno remunerative.
Stabilire per gli investimenti una durata
relativa ai propri bisogni di utilizzo degli stessi! Bisogna tenere a mente che il disinvestimento anticipato è più facile se il mercato è
più ampio (ad es. sui titoli di Stato) e che per
bond bancari, spesso il mercato è fatto
esclusivamente dall’emittente e quindi sfavorevole per i rimborsi anticipati.
Rotary Club Cagliari
17
cazione finanziaria: questo traspare con evidenza dai media. Si rammenta che da anni
ormai, Ministero dell’Istruzione U.R. e Banca d’Italia concordano programmi annuali di
educazione finanziaria nelle scuole, ed i relativi programmi vengono svolti a titolo volontario da insegnanti che frequentano appositi incontri presso il nostro Istituto e poi
operano con materiale didattico da noi distribuito. Nella tabella riportata, si evidenzia la media conseguita dai Pesi OCSE che
hanno terminato tutte le prove previste nel
programma e le hanno inviate: emerge che
l’Italia si posiziona al 7% al di sotto della media P.I.S.A., dopo Paesi con grande cultura
di mercato (USA, Francia), ma anche dopo
Nazioni che hanno solo recentemente lasciato
l’economia socialista (Polonia, Repubblica
Ceca); per gli studenti è inoltre emerso che
il background familiare non influenza certo
un migliore risultato delle prove.
È necessaria in Italia a tutti i livelli (di
istruzione) ed a tutte le età una maggiore edu■
Sito internet del club:
E-mail del club:
www.rotarycagliari.org
[email protected]
18
Rotary Club Cagliari — giugno 2016
Trasformazioni della società e osservazioni sul Sinodo
Secolarizzazione e crisi
della famiglia
Rafaele Corona
– A proposito di famiglia, negli anni
scorsi si è parlato molto del Sinodo
dei Vescovi della Chiesa cattolica. Dei
risultati del Sinodo oggi si parla meno. Non
spetta a me esprimere un giudizio. Intendo
piuttosto trarre spunto dal Sinodo per ragionare intorno alla crisi della famiglia, che
è una crisi epocale: un cambiamento drammatico dei costumi, delle consuetudini, delle
credenze della gente
del nostro tempo. Al
culto del “focolare domestico” si è sostituita
l’idea che la famiglia
raffiguri un covo di oppressione e di patologia,
cui non resta altro che
fare un funerale decente. Per chi aderisce
alla concezione tradizionale del mondo, della vita e della società, la
crisi della famiglia finisce per stravolgere
l’assetto della convivenza civile e rischia di
cagionare, per il prossimo futuro, esiti imprevedibili e non certo
favorevoli.
La famiglia tradizionale è in decadenza.
La famiglia ritenuta, con una certa enfasi,
fondata su elevati valori morali: la procreazione della prole; l’interesse per l’educazione dei figli; la circospezione circa la sessualità; la riprovazione per le esperienze pre ed
extra matrimoniali; l’appartenenza ad una
fede religiosa; la trasmissione di atteggiamenti
1.
orientati alle cose elevate, quali la cultura, il
comportamento corretto, l’arte.
La novità consiste nella relatività della famiglia tradizionale, come era accettata. A diffondere la persuasione che i valori familiari
tradizionali siano arretrati e obsoleti, sono stati i piccoli gruppi politicizzati, combattivi e
molto ben introdotti nei media: i piccoli gruppi politicizzati i quali,
nonostante l’esiguità,
hanno dato l’impressione d’essere molto
numerosi ed hanno
conseguito il risultato
importante di convincere l’opinione pubblica che i loro comportamenti, dapprima considerati come eccentriche devianze, siano
comportamenti assolutamente normali e che
gli oppositori, invece,
siano persone arretrate,
codine, reazionarie:
fuori dal tempo. Il pensiero “progressista” ha
divulgato il senso della
mancanza di valore assoluto della concezione storica della famiglia; ha dato rispettabilità all’idea di uno stile di vita alternativo, che
fa apparire le regole concernenti la famiglia
e il sesso solo come uno dei tanti modi di organizzare la vita. Un esempio. Nel recente Sinodo, un vescovo ha commosso l’uditorio raccontando di quel bambino, che ha spezzato
l’ostia della prima comunione, per darne la
metà al padre divorziato e non ammesso ai
giugno 2016 —
sacramenti. Naturalmente, né il vescovo né
i media hanno fatto parola circa la responsabilità della rottura del matrimonio e la responsabilità del divorzio.
– In attesa del Sinodo si è scritto molto.
Il noto giornalista televisivo Aldo Maria
Valli, che segue gli avvenimenti del Vaticano e le vicende ecclesiastiche, sotto il titolo
accattivante di Chiesa ascoltaci in un libro
racconta numerosi episodi suggestivi.
Margherita ha perso un figlio di cinque
anni per malattia e subito dopo ha perso il
marito militare a Nassyria. Molto religiosa,
ha trovato conforto nella fede fino a quando si è avvicinato un uomo, separato dalla
moglie, che le è stato di grande aiuto. Assieme
hanno pensato di mettere su famiglia: lei è
libera, ma non vuole intraprendere una
convivenza senza prospettive, a causa delle
condizioni di lui.
Il lettore è indotto a domandarsi se sia giusto costringere Margherita a questa situazione.
Tizio e Caia sono entrambi divorziati; da
tempo si sono rifatti una vita insieme e, da
credenti, soffrono per non essere ammessi ai
sacramenti. È giusto che una promessa sbagliata, fatta ad una persona sbagliata, debba vincolare per sempre, senza rimedio? La
risposta del lettore sembra essere scontata.
I contratti ammettono la risoluzione; taluni
sacramenti permettono la dispensa: per
esempio, l’ordine. Posto che il matrimonio raffigura un contratto ed un sacramento, perché in caso di volontà bilaterale non può consentirsi lo scioglimento del contratto e la dispensa dal sacramento?
Andrea e Dario, dopo aver convissuto per
diversi anni, nel 2009 sono andati a Toronto e si sono sposati. Nel 2012 è arrivata la prima figlia Artemisia; dopo un anno e mezzo
i gemelli Iacopo e Cloe. Andrea e Dario si professano credenti e praticanti e fanno parte di
una associazione di persone omosessuali e
transessuali cristiane. Come siano arrivati i
figli non si dice. L’ipotesi più benevola è che
siano stati adottati all’estero. Poiché sono impossibili e la procreazione naturale e l’ado-
2.
Rotary Club Cagliari
19
zione, evidentemente li hanno commissionati
con l’utero in affitto o addirittura li hanno
comprati dai genitori, che se ne sono voluti
disfare...
I racconti, apparentemente neutri, suggeriscono la scelta di campo. Raffigurano
esemplari vizi nell’informazione.
– La famiglia è diventato un problema.
Anni or sono, della famiglia parlavano
soprattutto i sociologi, gli psicologi, i psicoanalisti, i psicoterapeuti: cioè le persone,
che si guadagnavano da vivere risolvendo i
problemi della famiglia e che avevano l’interesse a diffondere l’idea che questi problemi
fossero molto gravi e insolubili senza la loro
competente assistenza. Oggi della famiglia si
occupano un po’ tutti. Dal punto di vista conoscitivo, si approfondisce perché la famiglia
è in crisi; dal punto di vista operativo, ci si
domanda che cosa si può e si vuole fare per
la famiglia.
3.
– Il Sinodo della Chiesa cattolica ha preso in esame tanti temi, (ben 94 argomenti, stesi in altrettante cartelle, che occupano otto interi fogli di un giornale quotidiano). Numerose le questioni che sono state approfondite o soltanto sfiorate. Degna di
nota la formazione degli sposi. Prima di conoscersi, gli sposi sono due solisti, che con il
matrimonio diventano un duetto. Se si suona un brano per pianoforte e violino, si suona in modo diverso di quando si esegue un
assolo. Avendo gli strumenti musicali caratteristiche diverse, ognuno dei musicisti deve
prestare attenzione all’altro e adattare il proprio suono a quello del partner. Gli sposi non
sono educati al duetto: non sono neppure sufficientemente informati circa l’essenza del matrimonio canonico, che è un contratto non dissolubile ed un sacramento non dispensabile, mentre di regola il contratto è risolubile
ed il sacramento è dispensabile.
Nella cerimonia religiosa questo tema non
si approfondisce; nella cerimonia religiosa si
curano i fiori e lo sfarzo, ma non si sfrutta
l’occasione per chiarire le ragioni degli obblighi degli sposi e per fare apostolato, avu-
4.
20
Rotary Club Cagliari — giugno 2016
to riguardo alla numerosa partecipazione di
persone non credenti.
– Parlare di crisi del matrimonio e della famiglia è riduttivo, perché la crisi riguarda l’intera società contemporanea: la crisi investe quella che i tedeschi chiamano la
kultur, la concezione del mondo, la mentalità, i valori, la consapevolezza dei fini dell’uomo
e delle sue limitazioni. Il matrimonio e la famiglia sono un aspetto importante, ma sono
soltanto un aspetto della crisi della società.
Mentre l’uomo delle generazioni passate
aveva una immagine fissa e precisa del
mondo e delle idee, che davano ordine alla
sua vita, oggi non abbiamo più una concezione coerente di noi stessi, della nostra relazione con il mondo: della nostra origine e
dei nostri fini. Se la crisi del matrimonio e della famiglia dipendono dalla crisi della società,
la crisi del matrimonio e della famiglia non
si risolvono senza affrontare il clima “culturale”, i convincimenti, le immagini, le rappresentazioni, che costituiscono l’assetto
ideologico della società. Un tema così vasto
e complesso, tuttavia, non si può affrontare
in questa sede. Conviene limitarsi a svolgere alcune considerazioni sugli assiomi, i
miti, i dogmi della cultura contemporanea,
che sembrano predominare in modo irreversibile e che raffigurano il contesto, in cui
matura la crisi del matrimonio e della famiglia: a cominciare dalla presunzione dell’uomo di sapere tutto, di voler fare tutto, di
poter fare tutto: persino di produrre l’essere umano, da solo e artificialmente. Il denominatore comune degli assiomi, dei miti,
dei dogmi del nostro tempo, la loro ragion ultima è la preminenza assoluta dell’interesse
individuale, rispetto al bene comune, rispetto
agli interessi generali. Orientamento comprensibile un tempo, almeno come reazione
alla precedente convinzione diffusa circa la
soggezione del singolo agli interessi collettivi. Ma in poche stagioni il baricentro si è capovolto e si è consolidata l’idea che la libertà individuale deve sempre e comunque
prevalere: che tutto deve convergere intorno
al singolo, intorno ai beni, agli interessi, ai
5.
diritti personali del singolo. L’equilibrio non
è facile. Poiché ogni persona fa parte di una
comunità, locale e nazionale, egli deve accettare di sottomettere all’interesse della
comunità taluni dei suoi interessi. Specie
quando la prevalenza dell’interesse egoistico di oggi minaccia di pregiudicare l’interesse
generale di domani.
Il metodo del discorso – conviene sottolinearlo – è laico: il discorso è condotto con argomenti razionali schiettamente laici. Per chi
non è credente, l’affermazione che la società entra in crisi quando viene meno il sacro
suscita il sorriso e il dialogo finisce lì. Ma se,
con argomenti razionali schiettamente laici,
si revoca in dubbio la fondatezza e la consistenza degli assiomi, dei miti, dei dogmi della società contemporanea, si incomincia a pensare che, forse, il sacro non ha tutti i torti. Non
sembra bizzarra la domanda se la crisi della società (del matrimonio e della famiglia)
dipenda proprio dall’assenza del sacro.
– I segni della crisi del matrimonio e della famiglia sono davanti agli occhi di tut-
6.
ti.
Il Sinodo è fermissimo circa la indissolubilità del matrimonio. Nella storia, l’unione
istituzionalizzata tra l’uomo e la donna, ha
sempre avuto un collegamento con la sfera
del sacro. Il mistero, che circonda l’origine
della vita, rimanda ad un più profondo mistero soprannaturale, ad una sorta di disegno “divino”, che coinvolge l’uomo e la donna, i quali mettono reciprocamente in comune
la loro esistenza.
È risaputo che Gesù disattende le leggi e
le tradizioni del popolo ebraico, che ammettevano il ripudio della donna. L’insegnamento
di Gesù circa l’indissolubilità del matrimonio
è chiarissimo. «In principio non fu così.
L’uomo non divida quello che Dio ha unito».
Suscita qualche perplessità la frase, che
compare nello stesso Vangelo di Marco:
«Chiunque ripudia la propria moglie, se
non in caso di porneia, e sposa un’altra donna commette adulterio». La parola porneia,
che intuitivamente significa qualcosa di riprovevole, di turpe, di contrario alla legge mo-
giugno 2016 —
rale, dal greco è stata tradotta in latino da S.
Girolamo, dottore della Chiesa, come fornicatio e oggi comunemente viene intesa come
adulterio, concubinato, prostituzione o altra
condotta gravemente immorale. Le ragioni ed
i limiti del ripudio non sono approfonditi dai
canonisti e neppure dal Sinodo. Eppure si tratta di un nodo essenziale ai fini dell’indissolubilità. Forse s’è persa una occasione.
– La crisi della famiglia e del matrimonio è comprovata dai divorzi in crescita, nonostante la diminuzione dei matrimoni; le famiglie irregolari in aumento: il padre divorziato, che convive con la compagna,
e la madre separata, che abita con il fidanzato; i figli, insicuri e storditi, che frequentano l’una e l’altra casa; le famiglie con un
solo genitore; le madri lavoratrici con i figli
a carico; i maltrattamenti tra i coniugi; gli anziani che vivono da soli; i figli minorenni che
scappano di casa; le figlie minorenni che rimangono incinta; i figli minorenni che assumono stabilmente droga e alcolici, così da
maturare una dipendenza irreversibile; i
suicidi, le violenze e la criminalità minorile.
Tutti dati in percentuale di gran lunga maggiore tra i figli dei divorziati che tra i figli dei
coniugi uniti nel matrimonio stabile.
I dati statistici, dunque, attestano che i divorzi sono in crescita, nonostante la diminuzione dei matrimoni; che i cosiddetti “figli di
focolare infranto” ricorrono con frequenza nei
taccuini degli psichiatri e negli schedari della polizia; che la delinquenza minorile purtroppo è alimentata – in misura proporzionale
– soprattutto dai figli dei divorziati.
Il divorzio genera divorzio. La spiegazione
di tanti fallimenti matrimoniali dai sociologi viene ricollegato al clima di superficialità e di leggerezza generato proprio dalla solubilità del vincolo, che favorisce il matrimonio tra gli immaturi e gli irresponsabili,
i quali spesso ripetono gli errori. D’altra parte è evidente la contraddizione: nonostante
la facilità dello scioglimento del vincolo
matrimoniale, sono in aumento le unioni di
fatto e il numero dei figli nati al di fuori della convivenza.
7.
Rotary Club Cagliari
21
– L’aborto. Si discute stancamente se la
vita dei più piccoli debba essere sacrificata agli interessi degli adulti: specificamente, al volere della donna di gestire a piacimento il proprio corpo; se debba essere riconosciuto il diritto dell’embrione di non essere soppresso o se questo diritto debba cedere al diritto di libertà della donna.
Il tema dell’aborto divide gli avversi
orientamenti in modo inconciliabile. Per gli
uni è in gioco il diritto fondamentale della
donna di controllare il proprio corpo. Per gli
altri è in gioco il compito fondamentale della società di proteggere la vita dei più deboli. Peraltro, anche i più ardenti fautori dell’aborto non raccomandano lo infanticidio.
Ma anche i più ferventi antiabortisti non mettono in discussione il diritto della donna sul
proprio corpo. Il punto è se, nell’esercizio del
diritto di scelta, la donna scelga solo per se
stessa e non anche per un altro essere umano. Diventa necessario accertare con sicurezza
quando ha inizio l’essere umano: quando ha
inizio la persona.
È inutile ripetere che l’aborto è sempre stato praticato, dai tempi antichissimi. Anche
altre pratiche crudeli sono state sempre
praticate: gli stupri, gli infanticidi, le castrazioni, i sacrifici umani. Ma non sono mai
state legalizzate, organizzate e pagate dallo
Stato. La vista degli scheletri nei campi di
concentramento di Auschwitz giustamente ci
fa orrore; ma ignoriamo che, vicino a noi, migliaia di creature innocenti vengono soppresse
con metodi chirurgici o chimici, cioè squartate, sezionate, avvelenate, asfissiate, affogate:
senza analgesia, anche se il feto dopo quattro mesi di gestazione sembra sentire dolore e l’espulsione avviene dopo la morte. Ciò
spiega l’aumento vertiginoso dei medici
obiettori di coscienza, che rifiutano di praticare l’aborto e che i soloni della libertà (i
Pannella e i Rodotà) vogliono espellere dalle strutture pubbliche.
Continuare le discussioni ideologiche è inutile. Dai tempi del referendum la scienza ha
compiuto indubbi progressi. Alla scienza bisogna domandare quando il feto cessa di essere soltanto una parte del corpo materno, un
8.
22
Rotary Club Cagliari — giugno 2016
grumo di cellule, ma diventa un essere
umano, autonomo, dotato di caratteri propri inconfondibili, che acquista la sensibilità al dolore e, perciò, subisce con sofferenza la soppressione.
La scienza deve essere in grado – se non
lo è ancora, lo deve diventare – di dire con
precisione in quale momento l’embrione diventa essere umano e quindi persona.
– Il suicidio demografico. Divorzio ed
aborto, insieme, hanno cagionato in Occidente una diminuzione delle nascite, che in
Italia raffigura un vero e proprio suicidio demografico: con conseguenze devastanti per
gli equilibri economici e sociali.
In Italia i giovani diminuiscono, ma crescono gli anziani. Le persone in età lavorativa si riducono e aumentano i pensionati.
Oggi il rapporto tra lavoratori e pensionati
e di 100 a 70; nel 2020 diventerà di 100 a 100.
Ogni lavoratore avrà a carico un pensionato, con spese sanitarie crescenti perché le
persone di 65 anni ed oltre costano tre volte
più del resto della popolazione. I lavoratori dovranno versare i contributi destinati a pagare un numero sempre maggiore di pensionati. Diminuendo i produttori di reddito che pagano le tasse, nelle casse dello Stato affluiscono
meno soldi per sostenere i servizi sociali.
Le giovani generazioni, inoltre, si impadroniscono agevolmente delle tecnologie
avanzate, non così gli anziani. La mancanza di nuove generazioni impedirà l’impiego
adeguato degli strumenti tecnologici indispensabili per la produzione e per i servizi.
D’altra parte, l’afflusso degli extra-comunitari non riuscirà a colmare la voragine
determinata dalla diminuzione delle nascite; anche perché gli extra-comunitari non si
impadroniscono facilmente della tecnologia.
Occorrono diverse generazioni.
9.
– Le manipolazioni del genoma.
Sono noti i primi casi di modifica del
genoma, dell’intero corredo dei cromosomi
e dei relativi geni.
Quando la diagnosi prenatale – il test genetico – rivela la presenza di tare ereditarie,
10.
l’alternativa estrema è giudicare il soggetto
indegno di vivere e sopprimerlo, oppure curarlo, tramite la modifica del suo patrimonio genetico. Dilemma non da poco. La scelta non è semplice, essendo molto labile il confine tra prevenire la nascita di un essere tarato o cambiare al meglio il suo patrimonio
ereditario. A questo punto perché non procedere sempre ad un miglioramento in senso assoluto? Perché rifiutare l’eugenetica e
non produrre in laboratorio esseri perfetti?
Di recente, il Tribunale di Salerno, in apparenza, ha assicurato a due coniugi la fecondazione; in realtà ha permesso la selezione,
perché alla valutazione negativa e alla soppressione dell’embrione tarato, ha fatto seguire l’impianto di un embrione sano. Con
gli strumenti apprestati dalla genetica, il risultato è stato il figlio conforme ai desideri
dei genitori.
Laddove si desidera l’essere umano perfetto, la tentazione è la pura, ideale razza ariana. Oggi si pratica la maternità per procura, la anonima donazione del seme, la donazione di ovulo congelato, che consente la
gravidanza dopo la menopausa: a poco a poco
si arriva al test di pre-impianto, quindi alla
modificazione del genoma, privilegiando la
libertà rispetto alla tutela dell’embrione.
Prende piede la convinzione che la diagnosi di pre-impianto sia in se stessa moralmente e giuridicamente lecita in caso di
tare ereditarie, che non sarebbero accettabili
dagli stessi embrioni potenzialmente colpiti. Il secondo passo è il superamento della differenza tra gli interventi terapeutici e gli interventi migliorativi. Se si incomincia a distinguere tra ciò che è degno di vivere e ciò
che non lo è ci si inoltra su un terreno estremamente scivoloso.
Per quanto riguarda specificamente il preimpianto, la domanda è se sia compatibile con
la dignità della vita umana il fatto di essere
generato, con la riserva di essere giudicato degno di vita e di sviluppo in base all’esito del
test genetico. Quindi, se si possa liberamente disporre della vita umana ai fini della selezione. Ancora, se nella società si affermi il
rispetto delle preferenze personali al prezzo
giugno 2016 —
della insensibilità verso i fondamenti naturali della vita.
D’altra parte, bisogna valutare un altro diritto, il diritto inedito di ciascun essere
umano ad un proprio patrimonio genetico
non alterato, non modificato da interventi artificiali esterni. I termini del conflitto sono,
da una parte, la libertà dei genitori (e delle
lobbies dell’ingegneria genetica) di effettuare
modifiche del genoma e, dall’altra, il diritto soggettivo, del tutto nuovo, della creatura a condizioni genetiche non manipolate. In
sintesi, l’interrogativo è se ciascun essere umano debba essere programmato da altri, o possa decidere da sé, della sua vita, del suo destino.
Più in generale, il problema è se la genetica debba essere regolata dalle leggi della domanda e dell’offerta; se la genetica debba subire i soli limiti delle finalità terapeutiche o
se le possibilità tecniche, che la scienza medica mette a disposizione dell’uomo, possano essere disciplinate e, se del caso, interdette,
mediante il controllo etico, politico e giuridico. La vicenda della bomba atomica è emblematica. Nessuno si scandalizza per i divieti degli esperimenti bellici nucleari. Perché non dovrebbero essere vietate le manipolazioni del genoma...
Peraltro, le manipolazioni genetiche sono
pericolosissime: la pecora Dolly, clonata nel
1996, è nata vecchia ed è deceduta – per cause genetiche, appunto perché era nata vecchia – quando non aveva ancora sette anni,
mentre gli ovini vivono normalmente fino ai
diciotto, diciannove anni.
– L’eutanasia. Scientificamente non
sono certi i confini tra la cura (con
la speranza di guarigione) e l’accanimento terapeutico, con il mero fine di prolungare
quanto più a lungo l’esistenza. Per la verità, la medicina non conosce un criterio certo, per cui si possa affermare, con sicurezza,
che la vita è davvero terminata e che si protrae artificiosamente la sopravvivenza, senza nessuna speranza di guarigione.
In Olanda, dove si pratica l’eutanasia, fin
dai primi anni dopo l’entrata in vigore del-
11.
Rotary Club Cagliari
23
la legge su “l’aiuto alla morte” si sono verificati i casi peggiori. Non si tratta di questioni
di principio, ma di esperienze concrete: un
numero sempre maggiore di persone anziane muore per mano del medico non per sua
volontà, ma per la volontà dei suoi parenti
e degli eredi. I criteri di aiuto alla morte vengono interpretati con estrema larghezza. I
concetti imprecisati di sofferenza insopportabile e di vita priva di via d’uscita giustificano perfino l’uccisione dei pazienti di Alzheimer allo stato iniziale della malattia.
In Olanda non si è più sicuri della propria
vita.
– L’omosessualità. A proposito della omosessualità, prima si parlava di
vizio e di depravazione; poi di malattia; oggi
è diffusa l’idea della normalità. Poiché l’omosessualità va contro la perpetuazione della specie, non nuocerebbe un maggiore approfondimento scientifico sul tema; non nuocerebbe un incitamento a studiare tutti gli aspetti – medici, sociali, psicologici – e a non accontentarsi delle superficiali affermazioni di
normalità, divulgate dalle lobbies gay.
Sul tema le conclusioni del Sinodo sono
ineccepibili. Ribadito che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, vada rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni
ingiusta discriminazione, circa i progetti di
equiparazione al matrimonio delle unioni tra
persone omosessuali, non esiste fondamento
alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia.
Le conclusioni sono corrette, ma non sono
sufficienti: occorre saperne di più.
12.
– Il metodo di affrontare gli assiomi,
i miti, i dogmi del nostro tempo con
argomentazioni razionali non è nuovo: lo stesso metodo si riscontra nei cinque grandi discorsi tenuti nei prestigiosi centri culturali
d’Europa da Joseph Ratzinger, da Benedetto XVI, il Papa teologo: all’Università di Regensburg, in tema di consonanza tra fede e
13.
24
Rotary Club Cagliari — giugno 2016
ragione, essendo Dio anzitutto Logos; all’Assemblea generale dell’ONU a New York,
circa la correlazione tra i diritti ed i doveri dell’uomo ed il rispetto da parte della scienza degli imperativi etici; al Collège des Bernardins
a Parigi, sulle radici della cultura europea: sul
lavoro dei monaci e sulla loro capacità di rispondere a chiunque domandasse le ragioni
della speranza; a Westminster Hall a Londra,
sulla collocazione del credo religioso nel discorso politico; al Reichstag di Berlino, sui fondamenti non solo laici, ma religiosi dello stato liberale di diritto. Metodo impiegato nel tentativo – avversato dai laicisti e non sempre apprezzato dagli stessi credenti – di riconquistare alla cristianità la secolarizzata Europa.
– La crisi del matrimonio e della famiglia, s’è detto, scaturisce dalla
secolarizzazione. La crisi del matrimonio e della famiglia si inserisce nella mentalità dominante, la quale considera come inevitabili conquiste della modernità il divorzio, l’aborto, le
manipolazioni genetiche, l’eutanasia, la normalizzazione dell’omosessualità. Per la verità, la modernità riguarda altri fenomeni
piuttosto che il divorzio, l’aborto, l’eutanasia,
le manipolazioni genetiche, la normalizzazione
della omosessualità, le quali raffigurano altrettante esasperazioni della libertà individuale. Le conquiste della modernità sono la
diminuzione della mortalità infantile, il progresso della sanità, l’allungamento della durata della vita; l’incremento del lavoro e la diminuzione della fatica fisica; l’aumento della velocità delle comunicazioni e dei trasporti;
il miglioramento dell’alimentazione e la fine
delle carestie; la crescita dell’istruzione e la
scomparsa dell’analfabetismo; il miglioramento dell’igiene e delle abitazioni. Cose del
tutto diverse rispetto al divorzio, all’aborto,
all’eutanasia, alle manipolazioni genetiche, alla
normalizzazione della omosessualità. Allo stesso tempo, la modernità sottende altri princìpi e altri valori, che non si identificano con
l’assoluta libertà personale. Per esempio, la
solidarietà; la prevalenza dell’interesse comune; l’eguaglianza nelle posizioni di partenza; il riconoscimento del merito.
14.
Se si convenisse che il divorzio, l’aborto,
le manipolazioni genetiche, l’eutanasia, la normalizzazione dell’omosessualità, non sono
conquiste, ma risultati non necessari alla modernità e comunque non accettabili; poiché
non si può pretendere di invertire il processo di secolarizzazione nel suo complesso, conviene tentare di battere in breccia taluni degli assiomi, dei miti e dei dogmi del nostro
tempo. Se si dimostrasse che il divorzio produce esiti sociali e demografici scellerati; che
l’aborto, così come viene realizzato, è una autentica infamia; che la modifica del genoma
è una pratica turpe; che l’eutanasia è senz’altro spregevole; che la normalizzazione dell’omosessualità è una idea folle, forse diventerebbe più facile ragionare sulla crisi del
matrimonio e della famiglia.
Il dilemma è se convenga tenere irremovibili i princìpi tradizionali, cioè l’unione dell’uomo e della donna, l’unità e l’indissolubilità
del matrimonio, la soggezione dell’essere
umano alla natura: in sintesi, la prevalenza
degli interessi generali rispetto a quelli dei singoli; ovvero se, fermi restando in astratto i
princìpi, in concreto le situazioni personali
debbano considerarsi caso per caso, con comprensione. Il dilemma si inserisce nel contesto di una contrapposizione più ampia: per
chi si preoccupa delle sorti del cattolicesimo,
la domanda è se la difesa rigorosa dei princìpi aggravi la fuga dei fedeli e quindi l’isolamento della Chiesa; oppure se venire a patti col mondo e cedere sui princìpi accentui la
secolarizzazione. Senza trascurare le situazioni personali, la inderogabilità dei princìpi deve prevalere. Anche perché non sembra
che la difesa rigorosa dei princìpi aggravi la
fuga dei fedeli; al contrario, sembra il cedimento sui princìpi, comunque mascherato,
accentui la secolarizzazione.
Nel breve periodo, invertire il percorso della secolarizzazione è arduo. Ancorché la storia presenti avvenimenti improvvisi e del tutto imprevedibili. Chi mai avrebbe immaginato, fino alla fine del Novecento, la scomparsa del marxismo: la fine di una concezione
della storia e del mondo, che dominava in maniera soffocante gran parte delle nazioni e
giugno 2016 —
soggiogava occhiuta la cultura occidentale.
Eppure in brevissimo tempo, il marxismo è
finito, dissolto, quasi dimenticato anche da
chi lo professava in modo intransigente...
Allo stesso tempo, nella seconda metà del
Novecento, si è verificata, del tutto inattesa,
una generale rinascita religiosa. Il fenomeno riguarda allo stesso modo tutte le religioni.
È un dato statistico. Le religioni fanno proseliti presso tutti i popoli e tutti gli strati sociali, perché rispondono ai bisogni dell’uomo: bisogni apparentemente nuovi, ma in realtà bisogni antichi e perenni. La causa è proprio la stessa, che sembrava aver determinato
il declino della religione: vale a dire, la modernizzazione sociale, economica e culturale. In particolare, l’emigrazione, l’urbanizzazione, il lavoro della donna, il venir meno
dei legami della comunità, del sostegno della famiglia allargata e della parentela.
Le masse di uomini e di donne, che si spostano dalla campagna alla città, da un paese all’altro, da un continente all’altro, recidono le radici e affrontano il nuovo: vedono
crollare il modo di vivere, che aveva loro garantito sicurezza; intessono nuovi rapporti sociali; interagiscono con estranei. Queste
masse di uomini e di donne necessitano di
nuove fonti di identificazione, di nuove stabili forme di comunanza, di nuove regole, che
diano un senso ed uno scopo alla loro vita.
Si diffonde la ricerca di una spiegazione più
profonda circa il fine dell’umanità: dell’esistenza stessa dell’umanità. Di qui la rinascita
religiosa.
La religione non è più “l’oppio dei popoli”,
ma “la vitamina dei deboli”.
Il rifiorire della religioni in tutto il mondo, presso tutti i popoli e in tutti i continenti, viene designato con il titolo di un libro di
Gilles Kepel: La revanche de Dieu.
Mai disperare, dunque; mai dire mai.
– Non ho svolto una esposizione neutrale ed asettica: ho formulato un ap-
15.
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25
pello alla responsabilità. Un invito a gettarsi nella mischia. «Salvare non salveremo – dicono i credenti – perché è il Signore che salva, non gli uomini». Ma anche i non credenti
non possono stare alla finestra a guardare.
Anche i non credenti debbono essere testimoni
in mezzo al fuoco. Dobbiamo mobilitarci tutti. Per chiunque si preoccupi delle sorti della famiglia e della società, è doveroso reagire al soffocante clima culturale odierno e contrastare gli assiomi, i miti, i dogmi del nostro
tempo: è doveroso per tutti. Dobbiamo sapere
quali sono i valori, per poi viverli e difenderli.
Il nuovo umanesimo (cristiano), recentemente
auspicato sotto la cupola di Santa Maria del
Fiore a Firenze, può nascere dal guardare in
alto: nella società ottenebrata dagli assiomi,
dai miti, dai dogmi erroneamente considerati
come i valori della modernità, il nuovo
umanesimo (cristiano) può nascere dal mirare ad un rinnovato orientamento della vita
morale, fondato sulla cultura dei valori perenni della comunità nazionale e sulla cultura dei valori permanenti dell’uomo, in
quanto creatura aperta alla trascendenza. È
tempo di domandarsi, senza pudori, se la crisi della società dipenda anche dall’eclissi del
sacro. La tolleranza è doverosa, sempreché
non diventi arrendevolezza. Il dialogo è
giusto, se condotto con fermezza. La fede, la
speranza e la carità non sono, come ho sentito dire, la merce invenduta del Nuovo Testamento: sono le virtù, che aiutano a comportarsi nell’orbita della famiglia, la quale resta pur sempre la migliore di tutte le. possibili forme di vita, perché trasmette amore, fedeltà, sicurezza, felicità. Il Golgota è il simbolo cristiano del sacrificio, della giustizia,
della dignità degli esseri umani: il Golgota non
è, come ho sentito dire, la marca di un dentifricio...
La conversazione non esprime la pretesa
di arrestare la secolarizzazione. Semplicemente il tentativo di non restare inghiottito
dalla palude del conformismo.
■
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Rotary Club Cagliari — giugno 2016
PREMIO LA MARMORA
l premio, giunto alla XXVIII edizione, è
stato assegnato dalla Commissione dei
rappresentanti dei cinque Club Rotary di
Cagliari, con scelta unanime, ad Alessandro RIVA, professore emerito di Anatomia
umana della Facoltà di Medicina della nostra
Università, per il percorso umano e professionale d’impegno accademico e scientifico
riconosciuto a livello internazionale. La
Commissione nel valutare le doti di studioso ha tenuto conto anche della straordinaria
attività da lui intensamente svolta per la cura
e conservazione delle cere anatomiche di Clemente Susini. Nel 1991 decise di esporre la
preziosa collezione in un Museo da lui promosso e diretto così da essere ammirata dal
pubblico – studiosi e profani – in una sala della Cittadella dei Musei. Il professor Riva ne
ha diffuso la conoscenza in tutto il mondo con
scritti – fra cui un pregevole libro edito da Ilisso – con un sito internet multilingue e con
temporanei trasferimenti all’estero di alcune di esse (Tokio, Parigi, Londra, Biblioteca Marciana di Venezia) riscuotendo vivissime
lodi e la giusta fama di essere tra le migliori collezioni di anatomia ceroplastica esistenti.
La storia di esse nasce ad Olzai, piccolo
paese barbaricino, ove nel 1767 nacque
Francesco Antonio Boi che divenne medico
a Cagliari e che, nel 1801, fu mandato da Carlo Felice, allora reggente, a perfezionare gli
studi, tra l’altro, a Firenze ove conobbe Clemente Susini valente ceroplasta. Per incarico di Carlo Felice, Boi ordinò all’illustre maestro 23 cere che riproducessero tutto il corpo umano (uomo e donna) valendosi delle
dissezioni da lui compiute. Le opere, eseguite
tra il 1803 ed il 1805, furono comprate dal
Reggente e sistemate nel suo personale Museo, passarono poi alla Università che le tenne presso l’istituto di anatomia e poi, per opera del professor Riva, splendidamente espo-
I
ste. Olzai, nel 1994, volle conferirgli la cittadinanza onoraria, grata per l’opera da lui
svolta che, superando il ristrettissimo numero
degli studiosi che potevano vederle, con la
pubblica esposizione, ne consentiva una generale visibilità.
Nell’ottobre del 2011, Alessandro Riva,
emerito dal giugno precedente, era stato festeggiato in una pubblica cerimonia. Il professor Giovanni Melis, allora Rettore, ne esaltò le doti di studioso e docente e lo propose
come esempio ai giovani. Riva, nell’occasione
intervenne con una brillante ricostruzione della storia delle cere del Susini, dicendo testualmente: «Quel Museo è come una parte
di me».
Il 17 maggio, nell’Aula Magna dell’Università si è svolta la cerimonia della consegna del premio.
Il Rettore, impegnato in altre attività assunte in precedenza, ha delegato il Pro Rettore prof. Micaela Morelli a porgergli il saluto dell’Università che aveva onorato per
quasi 50 anni, come validissimo docente di
Anatomia ed eccellente studioso. Ha svolto poi
il suo intervento la dottoressa Rosanna Mele,
quale presidente del Club Anfiteatro (quest’anno di turno per organizzare il Premio),
ed il professor Paolo Usai, Presidente di Cagliari Est che ne ha letto le motivazioni.
Il saluto del Governatore del distretto, ing.
Giuseppe Perrone, per i rotariani, ma anche
per il premiato e per tutti i presenti, ha contribuito a dare maggior valore all’evento ed
ha sottolineato l’importanza che assume
nelle attività rotariane.
Riva ha tenuto una Lectio Magistralis ringraziando per il Premio ed esponendo con vivacità e con garbo piacevoli soprattutto le sue
conoscenze ed esperienze con le ceroplastiche del Susini che si traducono in una vera
passione per esse.
giugno 2016 —
Rotary Club Cagliari
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Conversazione del direttore di “Limes”, Luca Caracciolo
Periferie nel mondo
senza centro
Francesco Birocchi
l mondo è diviso in
due parti: le terre dell’ordine e le terre del
caos. È la tesi di Luca
Caracciolo, fondatore e
direttore di “Limes”, la
prestigiosa rivista di geopolitica nata nel 1993. Il
12 maggio ha tenuto una
interessante conversazione al Rotary Club Cagliari sulle “periferie”,
il tema del numero monografico di “Limes”
uscito proprio in quei
giorni, con un sottotitolo significativo: viaggio
nei labirinti delle metropoli dove si giocano le
partite decisive per il futuro dell’Italia e del
mondo. Un capitolo è dedicato al quartiere
cagliaritano di Sant’Elia, intitolato “Isola nell’Isola”.
Circostanza, quest’ultima, sottolineata
con particolare soddisfazione dal presidente
del Club, Stefano Oddini Carboni, perché
accende i riflettori mediatici su un rione cagliaritano dove si concentrano povertà e
malessere sociale ed al quale il Rotary Cagliari ha dedicato un importante progetto di
intervento, con la collaborazione del Rotaract. Il presidente Oddini Carboni ha voluto
sottolineare anche che l’incontro sulle periferie del mondo si inserisce nella Quarta
azione rotariana che è la “comprensione internazionale”.
Dunque bipartizione fra “terre dell’ordine e terre del caos”. E l’Italia è al confine.
I
«Una situazione certo
scomoda – spiegherà Caracciolo, alla fine del
suo intervento – ma anche un’opportunità».
Il suo ragionamento
parte da una frase di
Papa Francesco: «se vuoi
capire il mondo guardalo dalla periferia».
Ma quale parte del
mondo fa parte di questa immaginata “Caoslandia”? In genere il sud
del pianeta. Dall’America centrale a buona parte dell’Africa, del Medio
Oriente e del continente
asiatico. È in questa parte del mondo che si concentrano le guerre.
Solo in Africa negli ultimi anni sono morte
5 milioni di persone vittime dei conflitti. È
una zona particolarmente instabile.
E poi c’è il problema demografico. Gli abitanti del mondo sono oggi circa sette miliardi
e 300 milioni. Gli europei, compresi russi e
ucraini, sono circa 700 milioni. Si calcola che
gli abitanti dell’Africa (oggi un miliardo e 700
milioni circa) saranno, a metà di questo secolo, almeno due miliardi e 400 milioni. Un
continente che si sta riproducendo a velocità supersonica rispetto al nostro. Nello stesso periodo in Europa arriveremo a 730 milioni. E alla fine del secolo il nostro pianeta
dovrebbe essere popolato da più di 11 miliardi
e mezzo di persone.
Ma il boom appartiene a “Caoslandia”,
mentre la popolazione delle “terre dell’ordi-
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Rotary Club Cagliari — giugno 2016
ne” decresce. E invecchia. Da noi l’età mediana è di 46 anni ma, se attraversiamo il Mediterraneo, sull’altra sponda si ferma a 20.
Non solo la popolazione cresce in maniera esponenziale ma tende a concentrarsi sempre più nelle città, con il risultato che gran
parte dell’ambiente urbano è “periferia”. Nel
2007 è avvenuto il sorpasso: la popolazione
delle aree urbane ha superato quella che vive
nelle aree rurali. Ed è molto più difficile governare queste alte concentrazioni di popolazione.
E infine – ha detto Caracciolo – c’è la disgregazione degli stati. Oggi esistono ufficialmente più di 200 entità statali, ma una
buona metà di questi stati esiste solo sulla carta, sostanzialmente sono delle finzioni. Non
ci sono più le istituzioni e gli stessi territori
sono contestati, sono contesi spesso da organizzazioni criminali, alcune delle quali poi
arrivano ad avere anche un ruolo politico.
Nelle terre del caos gli stati si stanno disgregando, non esistono più. La Libia, per
esempio, dopo l’uccisione di Gheddafi non esiste più. È un territorio in cui le varie milizie
si contendono la risorsa petrolifera e, nonostante la buona volontà della comunità internazionale, la situazione è fuori controllo.
Restando in Africa, se noi andiamo verso sud, verso il Sudafrica, la prima vera frontiera che incontriamo è il fiume Limpopo che
segna il confine tra il Botswana e il Sudafrica.
E si scopre che lì c’è un panorama molto simile a quello che sta segnando purtroppo la
nostra Europa nei confronti dei flussi migratori. E cioè quello delle barriere, dei fili
spinati, dei muri, perché molti africani vogliono arrivare dal centro Africa al Sudafrica che è una meta relativamente appetibile.
E il Sudafrica si protegge con queste barriere.
Questi fattori hanno poi una componente climatica. Sappiamo che è in atto un cambiamento climatico e gli scienziati discutono fino a che punto noi siamo responsabili.
La fascia di Caoslandia è una fascia sostanzialmente tropicale. Dal punto di vista climatico i tropici sono un’area a temperatura
relativamente stabile. Il che vuol dire che basta un piccolo cambiamento climatico per
cambiare l’ambiente. In quest’area, siccome
il clima sta mutando, stanno cambiando le
condizioni ambientali nelle quali gli uomini
hanno vissuto finora. Nel senso che le foreste fluviali stanno scomparendo e i deserti
stanno avanzando. Vuol dire che molte persone che appartengono a ceppi che da secoli vivevano in certi territori si muovono: perché non possono più vivere dove vivevano i
loro padri e i loro nonni. E si muovono, per
quanto possono, verso un mondo più attraente e più benestante.
Caracciolo ha quindi introdotto il tema di
un fenomeno che ci riguarda molto da vicino: l’immigrazione. Le migrazioni vengono
appunto da Caoslandia – ha detto – vengono da Sud e vengono da Est.
Queste migrazioni hanno varie origini.
Fondamentalmente tre: chi fugge dalle guerre e dalle persecuzioni politiche. In tutto il
mondo sono circa 6o milioni. Una seconda
spinta è quella economica. Gente che cerca
un qualche futuro per sé e per i propri figli
in un ambiente economico più promettente
quantomeno (anche se poi spesso le promesse
non le mantiene). E infine la fuga da un ambiente che è diventato insostenibile: gli emigrati climatici.
Anche se il diritto internazionale cerca di
distinguere fra questi tipi di migrazioni e garantisce ai rifugiati il diritto di accesso e alla
protezione degli stati a cui si rivolgono – ha
spiegato – è molto difficile trovare dove finisce il migrante economico e dove comincia il rifugiato.
Molto spesso queste figure sono ambigue,
e questo rende evidentemente anche l’atteggiamento dei paesi che devono riceverli o
devono respingerli non molto facile dal
punto di vista delle scelte politiche.
Ma il dato fondamentale che ci riguarda
è che non è emergenza ma è un dato strutturale. Non è che per un paio d’anni noi avremo qualche centinaio di migliaia di persone
che vuole entrare in Europa. Questo è un dato
che ci accompagnerà per la durata delle nostre vite e sicuramente anche molto più avanti. Sicuramente, perché la democrazia parla chiaro, perché la biologia parla chiaro. Per-
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ché un giovane difficilmente
è un conservatore ma vuole
muoversi, vuole cercare un
luogo dove stare meglio. A
differenza di noi che invece
cerchiamo di conservare quello che abbiamo. E poi c’è evidentemente la disgregazione
degli stati a causa dei fattori bellici, dei fattori politici,
del vuoto di potere che si crea
nei territori che non sono
più governati.
È stato fatto recentemente un accordo fra la Germania, via Unione Europea, ma
fondamentalmente fra la Germania e la Turchia, che sta
bloccando il flusso di migranti che dal Medio oriente,
via Turchia, vengono verso
l’Europa e poi, siccome nessuno che vuole scappare si
ferma davanti a un muro
ma eventualmente cerca di
aggirarlo, molti migranti si
stanno spostando lungo la
frontiera africana verso la Libia e verso l’Egitto e puntano poi verso il nostro Paese.
E questo purtroppo significa
che avremo un estate più
amara, un’estate di nuove
tragedie in mare nel Mediterraneo. E soprattutto ci
sarà il problema di gestire
questi flussi che sono già abbastanza corposi.
E qui si vede come siamo
ridotti noi europei, purtroppo. E cioè siamo in una condizione che ci vede gli uni
schierati contro gli altri. Chi
sta più a nord cerca di scaricare il problema su chi sta più
a sud.
A Calais, nel Nord della
Francia, sulla Manica, accanto alla città formale c’è
Rotary Club Cagliari
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Il presidente Stefano Oddini Carboni con il direttore di “Limes” Luca Caracciolo e il segretario del Club Francesco Danero.
una periferia che è una giungla che è stata formata in questi ultimi tempi dal convergere verso La Manica di decine
di migliaia di aspiranti rifugiati in Gran Bretagna. Gli inglesi non ne vogliono sapere. Il 23 giugno, lo vedremo, ci sono
molti inglesi che vorrebbero La Manica un confine con l’Europa. Anche se dal punto di vista migratorio lo è già.
Queste migliaia di disperati si sono aggrumati in queste
periferie di latta, ha detto Caracciolo. La polizia francese più
o meno li controlla. Ma c’è chi cerca di passare attraverso
il tunnel ferroviario sotto La Manica: qualcuno ci rimette la
pelle e molti altri sperano in un destino più fortunato. Quindi, sostanzialmente, la Gran Bretagna scarica sulla Francia.
Al confine franco-italiano troviamo Ventimiglia. L’estate
scorsa il dramma di quelle migliaia di profughi che sono
stati trattenuti dalla polizia francese, che ha di fatto bloccato la frontiera. Scendiamo poi più giù e arriviamo alla
frontiera marittima fra l’Italia e il Nord Africa, l’ex Libia.
Lì una volta funzionava così: Gheddafi aveva bisogno di
due o tre milioni di lavoratori africani neri che facessero i
lavori che i libici non hanno mai voluto fare e ogni tanto
minacciava gli italiani dicendo che se non gli avessero dato
quello che voleva, avrebbe fatto arrivare quegli immigrati
sol nostro territorio. I nostri governanti (destra e sinistra
senza differenze) andavano nella tenda di Gheddafi e, dopo
varie negoziazioni, scambiavano qualche finanziamento o
qualche progetto infrastrutturale con la promessa da parte
di Gheddafi che lui li avrebbe tenuti in Libia, magari anche
con metodi non esattamente umani. E si potrebbe continuare a fare lo stesso ragionamento sul fronte orientale, sul
fronte dei Balcani.
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Rotary Club Cagliari — giugno 2016
Caracciolo quindi è passato alla situazione europea. Alcuni Paesi, di fatto, hanno annullato gli accordi di Schengen e, addirittura, alcuni paesi nostri vicini, come l’Austria,
minacciano di bloccare una frontiera simbolica come quella del Brennero. Io credo che
non ci sarà un muro del Brennero, come il
muro di Berlino. Perché non basta mettere una
barriera di cemento per bloccare dei flussi. Ma
già solo il fatto di fare dei controlli di polizia
rigorosi o addirittura, come già sta accadendo, di mandare dei poliziotti austriaci e tedeschi alla stazione di Bologna per filtrare chi
vuole andare verso nord, già credo sia un segnale indicativo di come è ridotta oggi
l’Unione europea, dove sostanzialmente regna
la sfiducia reciproca e i nostri vicini nordici,
non senza qualche ragione, ci accusano di un
eccesso di liberalismo nell’accoglienza dei rifugiati, nel senso che quando arrivano noi non
facciamo delle identificazioni serie come
loro vorrebbero che ci fossero.
Questo grande movimento globale che noi
adesso stiamo temendo in Europa perché ci
tocca da vicino, non è una novità: se voi andate alla frontiera fra Messico e Stati Uniti succede la stessa cosa. Questo grande dinamismo
delle popolazioni mondiali sta cambiando il
nostro modo di vivere e sta cambiando anche
le nostre città.
Che cos’è una periferia? Si è chiesto a questo punto il direttore di “Limes”. Definire la
periferia è molto difficile per non dire impossibile. Dove finisce il centro? Dove comincia la periferia? Una volta, qualche decennio fa, il profilo urbano in Italia, e anche
in Europa, era abbastanza disegnato. Adesso non c’è più molto di progettato, di pianificato. Il limite tra centro e periferia è definibile solo in termini culturali e sociali.
L’architetto Stefano Boeri dice: «è inutile parlare di centro e periferia, parliamo di
città e di anti-città. La città è un luogo dove
c’è il senso di identità di appartenere a una
comunità cittadina, vi sono dei servizi più o
meno funzionanti, vi è un certo grado di ordine e di benessere e di spirito civico. La periferia è semplicemente il costruito. Quello che
spontaneamente, per iniziativa privata o per
altri fattori, è stato costruito in maniera sempre più caotica negli ultimi decenni e dove i
servizi sono scadenti (quando ci sono) i collegamenti sono molto difficili. La periferia è
anti-città nel senso che ti separa fisicamente e anche culturalmente dalla città».
I nuovi flussi migratori cambiano il nostro spazio urbano, il nostro spazio periferico. E soprattutto cambia anche la sensazione della nostra sicurezza. Tutti conosciamo
purtroppo le tragedie che hanno colpito le città di Parigi e di Bruxelles. E abbiamo letto
articoli sulla sicurezza delle banlieue francesi.
O anche di quel quartiere del centro di Bruxelles che si chiama Molenbeek. da cui sono
partiti i terroristi che hanno fatto la strage
qualche mese fa a Bruxelles. Ci si chiede spesso se queste periferie non siano degli incubatori di terrorismo.
Le periferie hanno tanti problemi, ma non
c’è un rapporto diretto tra il disagio sociale e
il terrorismo. In Francia, secondo il censimento
della polizia francese, su cento simpatizzanti jihadisti, 67 vengono dai ceti medi, 17 dai
ceti alti (figli di professionisti, professori
universitari, medici) e solamente il 16% dai
ceti popolari. Quindi spiegare, come qualcuno fa, il terrorismo in maniera lineare, come
prodotto del disagio sociale o come prodotto
anche dei flussi migratori che non trovano integrazione, è una spiegazione quantomeno parziale, molto parziale. E tuttavia è un tema che
fa opinione e che spesso diventa argomento
di dibattito pubblico su cui alcuni partiti politici, per esempio, ottengono consenso. Facendo questa sostanziale equazione: migrante uguale terrorismo. Non è così.
Ma c’è un secondo aspetto che riguarda le
periferie ed è il loro grado di mescolanza. Cioè
fino a che punto le popolazioni locali, quelle che sono nate sul territorio si mescolano con
le popolazioni che vengono da fuori. Da questo punto di vista noi stiamo molto meglio dei
francesi e dei belgi. Le nostre periferie, in generale, i nostri spazi urbani, le nostre città,
sono degli spazi dove non ci sono i ghetti, intesi come spazi chiusi in cui le comunità che
vengono da fuori e le comunità allogene vivono una vita separata, parallela.
giugno 2016 —
Le periferie francesi, a partire dal 2001
(quando in ottobre si svolse il primo incontro di calcio Francia-Algeria che si concluso con violenti scontri con la polizia) sono stati sedi di fenomeni di rivolta. Il governo francese fa grandi piani di riqualificazione del territorio che però, per il momento, restano abbastanza vani.
Caracciolo si è soffermato ancora sulla situazione italiana. Abbiamo tanti problemi –
ha detto – abbiamo soprattutto il problema
della mancanza della progettazione degli spazi urbani e di un uso e di un consumo del suolo che è spaventoso rispetto alle necessità abitative. I problemi non mancano dal punto di
vista della qualificazione delle periferie,
però non abbiamo questi fenomeni: Perché?
Per un paio di ragioni. La prima è che, rispetto alla Francia e alla Gran Bretagna, noi
non abbiamo avuto grandi imperi. Le colonie le abbiamo avute tardi e soprattutto una
cosa è essere stati in Algeria e o in Congo, per
parlare di Francia e di Belgio, paesi molto ricchi dal punto di vista della popolazione e
un’altra cosa è essere stati in Libia dove c’erano 3-4 milioni di abitanti, che sono sostanzialmente rimasti lì.
In secondo luogo, rispetto ancora alla Francia e alla Gran Bretagna, noi non abbiamo un
carattere nazionale così enfatico come lo hanno loro.. Noi non pretendiamo, come invece
pretendono i francesi, qualche cosa di simile all’assimilazione. Cioè chi vive lì deve per
esempio professare fedeltà a quella che è la
religione civile della Francia che è la laicitè
(che potremmo tradurre malamente laicità)
ma è qualcosa di più: è l’idea che in Francia
ci debba essere una separazione netta tra la
sfera religiosa e la sfera pubblica. Regolata per
legge in maniera piuttosto drastica. Evidentemente sono regole che possono andare
bene per una parte dei francesi, ma per un’altra parte, quella nuova, no.
Le nostre periferie non sono dei ghetti e non
so se non lo sono ancora o se siamo di fronte
ad un dato permanente. E qui si gioca la grande partita geopolitica dell’Italia in questa fase.
Il nostro Paese rischia l’imbottigliamento. Sotto, a sud, c’è Caoslandia. Sopra, al nord, ci
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chiudono le frontiere. Il rischio è di diventare non una periferia, ma di trasformare l’Italia in una serie di territori ghettizzati in cui gli
immigrati che non possono andare al nord si
insediano alla bell’e meglio e, evidentemente, in una situazione non governata, dove il rischio è effettivamente forte sotto il profilo della sicurezza, della salute pubblica, dell’ordine, e così via. Sotto il profilo anche del rischio
di veri e propri conflitti, sia fra italiani e nuovi arrivati, sia tra i diversi gruppi etnici, che
non sempre si amano fra loro.
Allo stesso tempo l’Italia ha una opportunità proprio perché è al centro di queste migrazioni. Noi siamo, non per merito nostro,
al centro del Mediterraneo, per conseguenza siamo al centro di queste rotte e, per conseguenza, ancora determiniamo largamente
il futuro dei nostri vicini dell’Europa settentrionale. Noi non dobbiamo mai dimenticarci di quello che la nostra marina, le nostre capitanerie fanno quotidianamente. E anche alcune organizzazioni private, che nel Mediterraneo salvano migliaia e miglia di esseri
umani. Questo ci dovrebbe rendere particolarmente orgogliosi.
Se sapremo coniugare questa nostra vocazione e anche questa nostra attitudine all’accoglienza, con la capacità poi di integrare
quelli che vogliono e possono restare e permettere invece a quelli che lo vogliono di guadagnare il nord Europa; se noi riusciamo a
coniugare queste due cose, rendiamo un servizio a noi stessi e rendiamo un servizio all’Europa ed evitiamo la disintegrazione dello spazio europeo.
Quindi io penso, in parole povere – ha concluso Caracciolo – che il nostro Governo abbia l’obbligo, oltre che la possibilità, di
scambiare una politica sul fronte migratorio
con dei vantaggi sul piano economico. Per dirla brutalmente, guadagnando degli spazi di
flessibilità negli investimenti. Se noi vogliamo affrontare queste emergenze che vengono da sud e da est dobbiamo poter spendere, è inevitabile, in infrastrutture per qualificare i nostri territori, per renderli adatti ad
affrontare questi flussi.
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Rotary Club Cagliari — giugno 2016
Le iniziative del Rotary Cagliari per il quartiere
Progetto
Sant’Elia
F. B.
è stata una breve cerimonia giovedì 10 dicembre per la consegna di
due “ecografi”, dono del Rotary Cagliari all’ambulatorio dell’Ordine di Malta che
opera nel quartiere di Sant’Elia, a Cagliari.
Ma è stato un momento importante di un
grande progetto rotariano, fortemente voluto dal presidente Stefano Oddini Carboni, che
ha lo scopo di concentrare l’attenzione del Rotary e della città su un quartiere dove il disagio sociale è alto e l’isolamento ne è una delle cause principali.
Il “progetto Sant’Elia” si muove nell’ambito dell’Azione di pubblico interesse (una
delle cinque via d’azione del Rotary) che incoraggia ogni rotariano a trovare modi per
migliorare la qualità della vita delle persone in seno alla comunità in cui vive e ad agire a beneficio del pubblico interesse.
I due ecografi sono stati donati da due rotariani, Salvatore Facci e Domenico Porcu,
titolari di importanti aziende che operano nel
campo delle attrezzature sanitarie. Si tratta
di strumenti modernissimi che saranno in grado di incrementare in modo decisivo la funzionalità dell’ambulatorio. Per iniziativa
del Rotaract inoltre uno dei due ecografi è stato arricchito di una sonda che ne completa
la funzionalità.
L’ambulatorio dell’Ordine di Malta opera da anni presso la parrocchia di Sant’Elia
e svolge una funzione preziosa a favore della popolazione, offrendo prestazioni del tutto gratuite per un lungo elenco di specializzazioni: oculistica, cardiologia, chirurgia, endocrinologia, ginecologia, urologia, ecogra-
C’
fia, psichiatria, odontoiatria, gerontologia e
pediatria. Vi operano 18 medici e 14 assistenti.
Ognuno di loro garantisce la propria presenza
almeno un’ora al mese.
È in atto, inoltre una campagna di prevenzione contro il Papilloma virus, infezione frequente nelle donne, che deve essere individuata tempestivamente prima che produca danni all’organismo. La campagna si
lega strettamente a quella a favore delle vaccinazioni sostenuta dal Distretto 2080.
Ma il progetto Sant’Elia del Rotary Cagliari non si limita all’aspetto sanitario. Per
iniziativa del Rotaract saranno a breve installati nel quartiere almeno tre arbre a jouer, strutture che sostengono tabelloni e relativi canestri per la pratica del basket.
Inoltre sono allo studio, in collaborazione con la parrocchia, alcuni corsi di avviamento all’attività lavorativa rivolti ai ragazzi
del quartiere. Si pensa a corsi per bagnini,
per addetti alle relazioni con il pubblico, per
la pratica della rianimazione cardio-polmonare. Percorsi formativi pensati soprattutto
per ragazzi al limite della scolarità per offrire
loro nuove opportunità per inserirsi nel
mondo del lavoro. Lo scorso anno è stato organizzato già un corso per assistenti dei malati di Alzheimer, e ha avuto un notevole successo.
«Tutto ciò può apparire una goccia d’acqua su un terreno arido», ha detto il presidente del Rotary Cagliari, Stefano Oddini
Carboni ma, «se saremo capaci di perseverare, i risultati non mancheranno».
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Personaggi famosi e odonomastica
Passeggiando per le vie
e le piazze di Cagliari
Michele Pintus
a Carneade di manzoniana memoria
a Avicenna, Jenner, Guzzone degli Ancarani, Tristani, e molti ancora, altrettanti interrogativi donabbondiani tormentano ancora oggi coloro che si trovano a
percorrere strade intitolate a personaggi
sconosciuti o poco noti, che pure vantano un
illustre passato. È ciò che succede in generale nell’odonomastica della città, laddove
l’intitolazione delle vie o delle piazze si ripropone di tenere viva la memoria di un avvenimento importante, di un personaggio che
con le sue opere, il suo talento ha contribuito
al progresso, al benessere della comunità locale e non solo.
Il lavoro Passeggiando per le vie e le piazze di Cagliari. Personaggi e vicende storiche
nella toponomastica della città, da cui questo saggio è tratto, svolto con il mio contributo (Istituto Italiano dei Castelli-Sezione di
Cagliari) su proposta ed in collaborazione di
Marinella Ferrai Cocco Ortu (Comitato di Cagliari dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano), vuole agevolare la doppia lettura della città urbanistica e storica, attraverso lo sviluppo urbano in relazione alla crescita demografica ed economica e le vicissitudini, i fatti e/o i personaggi che hanno favorito questo sviluppo. È stata allestita una
mostra, che ha avuto il contributo del Comune di Cagliari, costituita da 20 pannelli
corrispondenti ad altrettanti itinerari nei quali è stata ripartita la nostra passeggiata per
le vie della città di Cagliari, completa di catalogo, guida e DVD esplicativo.
Come tutti sanno Cagliari era una città fortificata. I Pisani costruirono il loro borgo, il
Castello, nel “Mont’e Castru”, nella zona più
D
alta e simile a una fortezza naturale. Nel periodo aragonese, tutti i quartieri attorno al Castello, Stampace, Villanova e La Pola (Marina) erano cinti di mura; il porto era protetto
da una poderosa palizzata con un accesso presidiato. Gli interventi di potenziamento delle fortificazioni di metà Cinquecento interessarono solamente i quartieri Castello e Marina, trascurando decisamente le mura di
Stampace e Villanova, che cominciarono a degradare. Castello era il quartiere direzionale-amministrativo con gli edifici pubblici e le
sole residenze di coloro che amministravano
la città; il quartiere Marina era sede delle attività commerciali e di scambi prevalentemente legati al porto; erano questi i veri centri pulsanti della città, che rimarranno chiusi nelle loro mura e bastioni per oltre cinque
secoli. Le fortificazioni infatti conservarono
la loro funzionalità fino a metà ’800 con adeguamenti intorno alla metà del ’500 per contrastare le nuove e più potenti armi da fuoco. Fra questi ricordiamo gli interventi degli
ingegneri militari Rocco Cappellino e i fratelli Paleari, Iacopo e Giorgio.
Un decreto del 1866 cancellò Cagliari dalle città piazzaforte; questo atto decretò anche
la definitiva demolizione di tutte le mura del
quartiere Marina che, in realtà, era cominciata
nel 1844 con la eliminazione del Bastione di
San Francesco, in corrispondenza della porta Stampace, ormai ridotto a rudere.
La vita amministrativa di Castello come
anche quella commerciale di Marina sentiva
forte la “costrizione” della cinta muraria, come
limitazione dei rapporti con il territorio e il
porto. La cessazione di città piazzaforte fu il
via libera per uscire finalmente fuori dalle
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mura. Fu proprio l’edificio amministrativo più
importante, il Palazzo di Città, ad uscire dal
recinto fortificato di Castello per essere realizzato in prossimità del porto, laddove poco
tempo prima c’era il molo di Sant’Agostino.
Il piano regolatore di Gaetano Cima che prevedeva la conservazione di gran parte della
cinta muraria e dei bastioni, venne adeguatamente modificato con la eliminazione di ciò
che era rimasto delle mura di Marina, l’apertura di nuove strade, l’allineamento degli edifici della via Roma, nel preciso intento di dare
un nuovo volto alla città. Prese il via un veloce e inarrestabile sviluppo urbano che in breve tempo, tra fine ’800 e primi ’900 portò ad
estendere in tutte le direzioni gli antichi quartieri, edificando subito dove prima vi erano
le fortificazioni e urbanizzando le campagne
limitrofe per essere pronte ad accogliere
tante altre edificazioni.
La nuova ed estesa rete stradale sconvolse
anche l’antica odonomastica, fino a quel momento strettamente legata a riferimenti locali quali, in modo prevalente, l’uso e le attività lavorative che vi venivano svolte.
L’odonomastica venne aggiornata nel tempo in relazione agli eventi che riguardarono
la storia della città, la storia del Regno di Sardegna, che diventò poi Regno d’Italia, e più
recentemente della Repubblica italiana, dell’Europa e del mondo.
Per rivivere questo processo di sviluppo
urbanistico e politico della città nei secoli, abbiamo percorso il centro storico ampliato dalla nuova espansione di fine ’800 primi ’900
con una lunga passeggiata suddivisa in itinerari, che corrispondono ai diversi pannelli espositivi, nei quali vie e piazze raccontano, attraverso l’odonomastica e la toponomastica, il processo di trasformazione e di
adeguamento agli eventi storici che si sono
susseguiti nel tempo fino ad oggi.
Iniziamo la nostra passeggiata entrando
da una porta principale nel più importante
quartiere storico, Castello, Porta Cristina.
Siamo diffronte alla porta, realizzata nel 1825
dal Conte Boyl di Putifigari, nella attuale
piazza Aquilino Cannas.
1
Gli edifici storici che delimitano la piazza per tre lati consecutivi definiscono la quinta di questo spazio che si apre sul mare verso il porto sottostante. Entriamo attraversando la porta nella Piazza Arsenale, qui
prevale l’effetto scenografico, accentuato
dalla porta di accesso all’antico Arsenale, realizzata su progetto del conte Boyl e che ripete
la più famosa porta di piazza del Popolo a
Roma.
Oggi l’arsenale non c’è più. Dopo le distruzioni dei bombardamenti del 1943, tra il
1965 e il 1979 al suo posto venne realizzata
la Cittadella dei musei su progetto di Piero
Gazzola, fondatore nel 1964 dell’Istituto Italiano dei Castelli. La parete attigua, contrapposta alla porta Cristina, è costituita dal
Baluardo Dusay, attraversato dalla Porta Altamira – dal nome del suo committente Don
Luis de Moscoso Ossorio de Altamira, Viceré del regno di Sardegna (1657-1705) – che immette nella via Ubaldo Badas.
Usciamo dalla piazza Arsenale attraversando il palazzo delle Seziate, che oggi ospita gran parte della soprintendenza archeologica e ci inoltriamo nella piazza Indipendenza. Una piazza nata in epoca pisana su
una vasta area, situata nel punto più alto della città, oggi incorniciata da importanti palazzi storici : il Palazzo dei Nobili diventato
poi Conservatorio delle Figlie della Provvidenza, la Torre di S. Pancrazio con il Palazzo delle Seziate, il Museo Archeologico costruito agli inizi del ’900 in stile rinascimentale, il Palazzo Amat e il Palazzo Sanjust (oggi
sede della Massoneria) già caserma; più
avanti lo spiazzo, piazza principessa Mafalda, ottenuto dalla rimozione delle macerie del Palazzo Onnis-Chapelle, gravemente
danneggiato dai bombardamenti del 1943.
Ci inoltriamo nella via Pietro Martini
avendo lasciato la via Nicolò Canelles
e la piazzetta Mafalda sulla destra, arriviamo alla piazza Mercede Mundula, poetessa
cagliaritana dei primi decenni del Novecento. La piazza è ricavata nell’area libera dalle macerie del palazzo dei Baroni di Sorso e
di parte del Palazzo Regio.
2
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Da qui, sul fronte, si estende in lungo la
piazza antistante il palazzo regio, piazza Palazzo, ottenuta nelle forme attuali a seguito
della demolizione dell’antico palazzo dei Marchesi della Planargia. Questo nuovo ampio
piazzale ha finalmente messo in giusta evidenza tutta la lunga facciata del Palazzo Regio, fino al confinante Palazzo Arcivescovile, nel quale ai primi dell’Ottocento dimorò
Carlo Felice; segue la Cattedrale, con il cui
sagrato si unisce senza soluzione di continuità
per finire nella piazzetta dell’antico Palazzo
di Città.
Le origini del Palazzo di Città risalgono
al 1331, quando Alfonso IV concesse l’area,
dove sorgeva una lotgiam regalem, risalente forse alla dominazione pisana, ai consiglieri
della città affinché vi edificassero un palazzo per tenervi le loro riunioni. L’aspetto attuale dovuto alla ristrutturazione settecentesca, che lo trasformò secondo il gusto del
barocchetto piemontese, presenta un prospetto principale riquadrato da coppie di lesene aggettanti con al centro il portale principale ad arco, sovrastato dallo stemma
della città e da una lapide che ricorda il soggiorno dell’imperatore Carlo V nel 1535.
Di fronte a questa piazza, attraversando
la via Canelles, vediamo a quota inferiore, collegata da una rampa di scale, la piazza Carlo Alberto delimitata dalla via Alberto Lamarmora, che prende il via dalla piazza Indipendenza e scende in tutta la sua lunghezza
fino alla Torre dell’Aquila o del Leone.
Superato il Duomo, la chiesetta della Speranza e l’antico Palazzo di Città, lungo la
via Duomo entriamo nella via del Fossario,
da dove vediamo i vuoti degli antichi palazzi
distrutti e godiamo di un ampio panorama
della città, lungo tutta la via che si sviluppa sopra le mura fino alla attuale piazza
Goffredo Angioni, nell’antico Bastione di
Santa Caterina.
Godiamo dell’immensa terrazza belvedere
del Bastione di Saint Remy, di recente dedicata a David Herbert Lawrence, noto
scrittore e viaggiatore inglese, e scendiamo
dopo aver attraversato la piazzetta La-
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marmora lungo la via Giovanni De Candia (in arte Mario) ricavata nell’antico barbacane della porta dell’Aquila o del Leone,
fino a via Università costeggiando l’antico
Teatro Civico, oggi restaurato e parzialmente
restituito alla sue antiche funzioni.
La piazzetta Lamarmora è in realtà un
piccolo slargo, antistante la porta dell’Aquila,
determinato dalla confluenza delle principali
strade di Castello, via dei Genovesi e via Lamarmora. Su questa piazza prospetta il palazzo Brondo Zapata mediante il bel portale tardo-manierista, datato 1622.
La via Università, antica contrada del Balice, oltre al Teatro civico è caratterizzata dal
complesso architettonico ideato dall’ingegnere
militare piemontese, Saverio Belgrano, su
commissione di Carlo Emanuele III. Il primo
ad essere realizzato, tra il 1765-69, fu l’Ateneo che oggi ospita la Biblioteca Universitaria.
Si aggiunse poi nel 1778 il Seminario Tridentino, oggi utilizzato da uffici e rettorato
dell’Università degli Studi di Cagliari e che
si estende con corpi di realizzazione più recente, fino ad occupare gran parte del Bastione del Balice.
Lasciata sulla sinistra via Cammino
Nuovo, attraversiamo la Torre dell’Elefante ed entriamo nella piazzetta San Giuseppe, con la chiesa omonima. La chiesa di
San Giuseppe Calasanzio è affiancata dal vasto complesso dell’ex Collegio degli Scolopi,
attuale sede del Liceo Artistico. I lavori di costruzione iniziarono nel 1663 e terminarono
nel 1735.
Dalla piazzetta si dipartono: la via San Giuseppe, la via Corte d’Appello e la via Santa
Croce che ripercorre il tracciato delle antiche
mura e dei bastioni cinquecenteschi toccando la chiesa di Santa Croce con la piazza omonima e la chiesa di Santa Maria del Monte.
La prima piattaforma del bastione di Santa Croce fu fatta realizzare nel 1530-32 dal Viceré Dusay fino quasi al livello della Chiesa
di Santa Croce. Seguirono a metà Cinquecento gli interventi di Rocco Cappellino e dei
fratelli Paleari, Iacopo e Giorgio, che lo rinforzarono con una muratura a scarpa.
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Cagliari vista dal mare.
Nel 1738 venne fatta costruire la Caserma
dei Dragoni intitolata a Carlo Emanuele III.
La chiesa di Santa Maria del Monte o anche Santo Monte di Pietà sorge in un’area attigua al complesso mauriziano, al termine della via Corte d’Appello, che in corrispondenza della sua facciata si amplia come una piazza, da qui con una successione di rampe ci
si ricollega alla via Santa Croce. La chiesa apparteneva alla confraternita del Santo Monte di Pietà, preposta all’assistenza dei condannati. È a navata unica con presbiterio a
foggia di cappella, a pianta quadrata e con
volta stellare con ogive e gemme pendule.
Dopo aver percorso via Santa Croce ci immettiamo nella via dei Genovesi.
Lasciamo il quartiere Castello percorrendo
il tratto finale della via dei Genovesi, superiamo via Fiume che risale a Buoncammino, e scendiamo lungo via Juan Thomas
Porcell, che costeggia dall’alto il Fosso di San
Guglielmo e sulla quale ritroviamo gli istituti
di Anatomia e la Clinica Pediatrica. I lavori per realizzare questa strada, finalizzata al
collegamento della via Genovesi con la via
Ospedale, vennero appaltati nel 1906.
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In corrispondenza della Clinica Pediatrica, prima di proseguire per via Ospedale, ci
soffermiamo nella piazza Bernardo Loddo che si apre sulla destra. Caratterizza la
piazza il Palazzo delle Scienze, edificato negli anni Trenta del XX secolo, che insieme agli
Istituti biologici ed alla Clinica pediatrica costituiscono una sorta di “cittadella” scientifica nella zona di via Porcell. È sede degli Istituti di matematica, fisica e chimica e, con il
suo aspetto monumentale, si impone su
un’area in pendio che risolve il forte dislivello
con il sovrastante viale Buoncammino. L’edificio ha pianta ad ottagono irregolare e su uno
dei lati più corti, in prossimità della via Ospedale, è ricavato l’atrio di ingresso al quale si
accede attraverso una scalinata e tre ampie
aperture. Il bugnato, le coppie di semicolonne,
le aperture tripartite in guisa di serliana, i timpani curvilinei, il cornicione aggettante,
sono tutti elementi del linguaggio classico, ripresi anche nel vicino edificio degli Istituti biologici, progettato nello stesso anno, 1926, ma
eseguito più tardi con alcune varianti. La clinica pediatrica, nata dall’accorpamento dell’ex tubercolosario con un nuovo edifico, presenta linee semplici e razionali.
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Dalla piazza Loddo si può raggiungere il
viale Buoncammino dalla strada gradonata,
prolungamento di via Ospedale, o dalla via
Anfiteatro, l’antica strada che costeggia il Bastione di San Filippo nonché area dove sorge l’anfiteatro romano; un’antica struttura definita da Vittorio Angius nel 1836 una «preziosa anticaglia» che fu inserita nel 1839 nella relazione del Consiglio civico tendente alla
sua conservazione. È del 18 maggio 1839 un
documento della Regia Segreteria di Stato e
di Guerra che ordinava al Giudice di Mandamento di Castello di adoperarsi per impedire che il sequestratore del predio di Palabanda continuasse a tagliare i gradini
dell’anfiteatro e far sì che restituisse i pezzi
già prelevati.
Proseguiamo la nostra passeggiata lungo
via Ospedale, caratterizzata dal complesso
ospedaliero San Giovanni di Dio dell’architetto Gaetano Cima. La prima pietra di questa struttura fu posata il 4 novembre 1844, nel
1858 vennero ultimati il corpo centrale e i due
bracci della raggiera a destra. Si cominciarono a ricoverare gli ammalati dall’ospedale di Sant’Antonio di via Manno, che venne
chiuso. I bracci di sinistra furono costruiti nel
1889 e nel 1927 venne realizzato il braccio centrale al piano terra completato poi dieci anni
dopo con la sopraelevazione. Il Cima dedicò praticamente l’intera vita professionale alla
fabbrica di questo ospedale, con risultati architettonici notevoli, tanto che è senza dubbio l’edifico neoclassico più compiuto di Cagliari.
Di fronte al monumentale ospedale si apre
oggi un ampio spiazzo, utilizzato a parcheggio, che è quanto rimane dell’antica via
San Giorgio, dopo sostanziali demolizioni e
trasformazioni.
Da qui si va verso la via Santa Margherita e al piazzale sotto le mura di Castello, lungo Cammino Nuovo, attualmente utilizzato
come parcheggio, dove si trova la piazza
Giuseppe Nazareno Sterzi.
Concludiamo questo itinerario nella piazzetta antistante il complesso gesuitico di San
Michele con la chiesa, il portico di San Michele e l’antica porta della cinta muraria di
Stampace, detta dello Sperone o degli Alberti,
attraverso la quale si va verso il corso Vittorio
Emanuele con la via Portoscalas o le omonime scalette, e la via Sant’Ignazio da Laconi.
La bellissima facciata barocca del portico e chiesa di San Michele fa da sfondo
alla via Domenico Alberto Azuni che percorrendo il tracciato delle antiche mura riporta alla piazza Yenne.
Lungo la via Azuni, trasversalmente, ritroviamo via Giovanni Siotto Pintor, via
Carlo Buragna, via Sant’Efisio, via Santa Restituta, lo slargo di S. Anna, antistante
l’omonima chiesa con la sua monumentale
scalinata, via Giovanni Francesco Fara e
via Santa Margherita che caratterizzano ancora l’attuale quartiere di Stampace, detto
Stampace alto – il borgo più antico – per distinguerlo dalla più recente espansione verso il mare. Non ritroviamo più l’antica via San
Giorgio, già via della Chiesa omonima,
mentre è rimasta la via Santa Margherita che
riporta all’attuale piazzale e via San Giorgio
sull’ingresso principale dell’ospedale civile del
Cima.
Via Azuni ha origini molto antiche, si era
infatti andata formando alla fine del XIII secolo lungo le mura fortificate pisane di cui
oggi non rimane più traccia, ad eccezione della torre dello Sperone o di Porta Scalas, all’altezza dell’Ospedale Militare dove ancora
compare lo stemma del capitano del Castello di Cagliari che la fece costruire.
In prossimità della Porta dello Sperone si
stabilirono nel 1585 i Gesuiti nelle due cappelle di Sant’Egidio o San Michele. La costruzione delle nuova chiesa venne iniziata
dopo il 1674 e portata a termine nel 1738, anno
della consacrazione. La chiesa di San Michele
è la massima testimonianza del barocco a Cagliari, e rinnova nella planimetria gli schemi tradizionali delle chiese gesuitiche.
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Siamo arrivati in piazza Yenne, l’ottocentesca piazza San Carlo, nella quale si
trova la pietra miliare che dà l’avvio alla strada Carlo Felice, che collega Cagliari con Sassari, voluta dal re Carlo Felice.
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Nella piazza ritroviamo la salita e le scalette di via Santa Chiara, progettate nel 1858
da Gaetano Cima ponendo in comunicazione i quartieri di Stampace con quello di Castello. Ci troviamo di fronte alla scalinata dell’omonima chiesa delle Clarisse, oggi sconsacrata e restituita alla cittadinanza per ospitare eventi culturali; del convento rimane ben
poco e l’area ospita il mercato rionale.
Riprendiamo il nostro percorso lungo
piazza Yenne ed entriamo nel quartiere Marina dalla piazza Mario Aramu, una sorta
di crocevia che consente una sosta grazie alla
rampa gradonata che riporta a via Manno e
all’uso pedonale dell’imbocco della via Dettori.
Il traffico veicolare è consentito lungo la
via Ludovico Baylle che noi percorriamo per
raggiungere lo slargo Baylle, su cui si affacciava l’antico Palazzo delle poste e la piazzetta Savoia dalla quale si diparte la via Sicilia.
Lo slargo Baylle, costituito praticamente dall’incrocio ad “Y” con la via Savoia aveva il nome di piazza Sant’Agostino nel “Piano Topografico della città di Cagliari e suoi
Sobborghi” del 1830.
Raggiungiamo la via Dettori che lambisce la piazza Santo Sepolcro con le scalette
di San Sepolcro e quelle del successivo Portico di Sant’Antonio, che riportano entrambe alla via Manno. Lungo via Dettori ritroviamo sulla destra via Napoli che ricollega alla via Roma, come anche la via Barcellona che si apre proprio nella piazza Dettori.
Dalla piazza Dettori vediamo la via
Sant’Eulalia, con la chiesa omonima che
scende verso il porto fino alla via Roma e attraverso le scalette di Santa Teresa risale
fino alla via Manno.
La via Manno è oggi tra gli assi viari più
noti della città di Cagliari; la presenza di numerosi esercizi commerciali ne fa un’attrattiva per l’intera provincia. Così la via conserva ancora oggi la sua antica vocazione
commerciale, della quale si trovano numerosissime attestazioni nella documentazione
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d’archivio. Denominata in passato Sa Costa
(o ruga de is ferreris per la presenza di officine dei fabbri ferrai), proprio perché si erge
a costeggiare le fortificazioni dell’antico Castello, la via è stata uno dei primi margini
d’espansione urbana all’esterno della cinta
muraria di Castello. Nel XIV secolo vi viene fondato l’ospedale di Sant’Antonio, mentre in età moderna la chiesa di Santa Caterina dei Genovesi.
Dal Settecento vi si affaccia il monastero delle Cappuccine e il Palazzo del duca di
San Pietro (oggi sede del Convitto Nazionale).
Proseguiamo la passeggiata percorrendo
la via Gaetano Cima, la via Giovanni Spano, la via Giuseppe Mazzini per ritrovarci nella piazza Martiri.
Via Spano, ubicata nella parte alta del
quartiere della Marina, si è formata dopo la
costruzione, ai primi del secolo XVIII, del Monastero delle monache Cappuccine.
Procedendo dalla piazza Martiri, poco più
avanti sulla destra, troviamo la via Torino
che attraversa la via San Salvatore da Horta e si conclude nel piazzale del convento di
Santa Rosalia dove oggi è ubicato il Comando
Militare dell’Esercito per la Sardegna.
Le prime denominazioni della via Torino
risalgono al disegno urbano della città nei secoli XVI-XVII: inizialmente si chiamò Discesa
della Vergine di Monserrato giacché dalla Porta della Costa portava alla Chiesa e al bastione
omonimo.
Il Bastione di Monserrato, in realtà intitolato a San Giacomo, era stato edificato nel 1562 su progetto dell’ingegnere Rocco
Cappellino allo scopo di proteggere il versante
orientale della Marina. Assunse il nome di
Monserrato dopo che, nel 1604, i Benedettini del Monserrato costruirono nei suoi pressi il loro convento. Una parte del bastione è
tutt’ora visibile, inglobata nell’ex hotel Scala di Ferro.
Durante la breve dominazione austriaca,
le vicende storiche legate al tentativo del cardinale Alberoni di riconquistare l’Isola per
consegnarla nuovamente alla Spagna, evi-
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denziarono le carenze delle strutture difensive del quartiere Marina. Durante l’assedio,
gli spagnoli riuscirono ad aprire un varco sul
bastione del Monserrato, la chiesa e il convento di Jesus furono distrutti, i frati costretti
a trasferirsi nel convento di San Mauro in attesa di ricostruire la casa conventuale. In seguito al trattato di Londra del 1718 con il quale venne decisa l’assegnazione della Sardegna ai Savoia, il re Vittorio Amedeo II si preoccupò immediatamente di ripristinare e fortificare le strutture difensive, in particolare
nel quartiere Marina con la realizzazione del
Rivellino per la difesa della Porta Jesus e della cortina omonima, ciò che lasciava poco
spazio al convento: i frati stessi furono costretti a lasciare quell’antica sede e autorizzati a trasferirsi presso la Chiesetta di Santa Rosalia nonostante le resistenze della colonia di siciliani residenti nella Marina.
Costeggiando la chiesa di Santa Rosalia
sulla via Torino, attraversiamo l’ex convento e siamo nella via Principe Amedeo, proseguiamo su via del Collegio per raggiungere la zona retrostante della chiesa di Sant’Eulalia: è l’incrocio con la via Concezione e la via dei Pisani. Da qui ritroviamo via
Lepanto, via Sigismondo Arquer, via
Camillo Benso Conte di Cavour, via Vittorio Porcile e via Sardegna, che si chiudono intorno al nuovo complesso del Consiglio Regionale.
Usciamo dal quartiere Marina attraverso la cortina muraria che non c’è
più e ci ritroviamo in viale Regina Margherita che costeggia il tracciato delle mura del
quartiere Marina e sale fino alla confluenza
di Villanova e Castello, dove si trovava la porta Villanova. Attraversiamo la Manifattura
Tabacchi sulla destra e sulla sinistra l’hotel
Regina Margherita attiguo all’antica Scala di
Ferro.
Alla regina Margherita sono intitolati oltre al viale, la piazza (o meglio lo slargo) tra
il viale e via Eleonora d’Arborea, e il contiguo vico, tra la piazza e via Lanusei. Il primo tratto di strada che costeggiava le mura
orientali, allora in aperta campagna, fu a lun-
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go chiamato Stradone di Porta Villanova e
cominciò ad avere una certa importanza
quando entrò in funzione nel 1828 la Manifattura Tabacchi, vi vennero altresì realizzati,
in tempi diversi tra metà e fine Ottocento, i
Bagni Cerruti, il Teatro Diurno (trasformato nel Politeama Regina Margherita, distrutto
da un incendio nel 1942), l’Hotel Scala di Ferro e poi Palazzi di pregio.
In corrispondenza di questo tratto abbiamo l’incrocio con la via Eleonora d’Arborea e via Lanusei, con uno slargo individuato come piazza Regina Margherita. Proseguendo arriviamo alla grande piazza,
piazza Costituzione, oggi caratterizzata da
due ampi slarghi, uno esclusivamente pedonale di sosta (una vera piazza), l’altro di
movimento carrabile con una grande rotatoria
al centro. Tutta quest’area era il mercato della carne, antistante la porta Villanova che
consentiva l’accesso al quartiere Marina
dalla via Manno e quindi al Castello, attraverso la porta dei Leoni. La parte pedonale
è stata di recente intitolata ad Emanuele Ravot, piazza Ravot. Sulla parte a traffico veicolare fa bella mostra di sé la monumentale scalinata e facciata del Bastione di Saint
Remy.
Proseguendo, costeggiamo la passeggiata coperta del Bastione sul viale Regina Elena, sul quale si affaccia il palazzo Valdes. Arriviamo alla piazza Giovanni Marghinotti e proseguiamo con il viale Enrico Endrich.
Lasciamo il viale Regina Elena e lungo una scalinata scendiamo nella via
S. Saturnino e poi nel vico VII San Giovanni fino alla chiesa di S. Cesello, nella quale
via S. Giovanni, via Antonio Giovanni Piccioni, via San Giacomo e via San Domenico si riuniscono nella porta Cavanna delle antiche mura del quartiere. Proseguiamo
per un tratto via San Giacomo, poi via San
Domenico dove troviamo la chiesa di San Domenico, l’imbocco della via Tempio e la via
XXIV Maggio che riporta a piazza Garibaldi.
Facciamo una breve sosta nel piazzale antistante la chiesa di San Giacomo e poi per-
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corriamo la via Vincenzo Sulis fino alla
piazza Costituzione con la palazzina che ha
ospitato per oltre un secolo lo storico Caffè
Genovese che segna il limite della via Garibaldi e del quartiere Villanova sulla piazza
antistante la porta.
La data di formazione del quartiere Villanova, che abbiamo appena attraversato, non
è certa, la prima intestazione documentaria
data alla fine del sec. XIII, si sa che era caratterizzato da alcuni complessi religiosi, oltre a San Giacomo, San Giovanni e San Domenico, che ne hanno determinato la toponomastica, mantenutasi sino ai giorni nostri;
anche il tessuto viario ha conservato l’antico ordito che si è sviluppato lungo filari di
casette basse, in parallelo al Castrum fortificato e circondato a sua volta da mura in cui
si aprivano diverse porte.
La via San Giacomo, si snoda dai pressi
di porta Cabanas, secondo la direzione
nord-sud per confluire nella piazza (platea
Sancti Jacobi) che si affaccia sulla chiesa
omonima, alla quale nel corso del Seicento
si sono aggiunti due oratori quello della Confraternita delle Anime e dell’Arciconfraternita del Crocefisso.
La nostra passeggiata prosegue con la
discesa di via San Lucifero che ci
porta fino alla piazza Antonio Gramsci, di
forma triangolare allungata. Una piazza
che funge da cerniera tra l’antico quartiere
Villanova e la più recente espansione della città, risolvendo l’innesto tra la via Iglesias e la
via Sonnino.
Intorno alla piazza Gramsci sono disposti diversi edifici residenziali e palazzoni in
stile risalenti agli anni ’30 e ’50 del secolo scorso. L’edificio che maggiormente si impone sulla piazza è il palazzo della Legione dei Carabinieri, realizzato a partire dal 1930 nell’angolo tra via Sonnino e via Deledda, occupando una vasta superficie di forma pentagonale. Il grandioso complesso presenta due
fronti raccordati da una parte curvilinea con
semi colonne di ordine gigante che abbracciano quattro piani. Una cornice a forte aggetto, con enormi dentelli conclude la co-
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struzione. Nell’attico sono collocati obelischi
ornamentali, statue e stemmi bronzei e
scritte celebrative, mentre nei due lati paraste
a tutta altezza, che sorgono su un alto zoccolo di granito, inquadrano grandi finestre
con finte bugne.
Adiacente al Palazzo è sistemato il parco delle Rimembranze, all’angolo tra via Sonnino e via San Lucifero. Il parco, dedicato ai
caduti della Grande Guerra, è un pregevole
esempio di architettura razionalista di ispirazione fascista, tipica degli anni ’30. Particolarmente interessante è il monumento ai caduti, realizzato nel 1935 dall’architetto Ubaldo Badas.
Dalla piazza Gramsci ha inizio anche la
via Oristano, mentre la via Sidney Costantino Sonnino, già via Campo di Marte, la delimita sul lato lungo. Una delibera del
Consiglio civico del 26 maggio 1868, mentre
accoglieva la richiesta presentata dall’ingegnere Leon Gouin, di concessione di un terreno per costruirvi dei depositi per i minerali provenienti da Iglesias, riconosceva prima di tutto l’urgenza di aprire la strada già
progettata che avrebbe messo in comunicazione i fabbricati di questo nuovo rione con
lo stradone di Bonaria. Iniziò così l’esecuzione
di questa importante strada che si completò molti anni più avanti: una delibera del 31
maggio 1925 del Commissario prefettizio autorizza il completamento della sistemazione
tra la via Alghero e piazza Garibaldi.
Dalla via Oristano, superata la via Luigi Einaudi sulla destra, raggiungiamo via
Garibaldi per seguire il nostro itinerario e, lasciate via Abba e via Orlando, ritrovarci nella grande piazza Giuseppe Garibaldi, caratterizzata dal monumentale casamento
scolastico “Alberto Riva”, intitolato al giovane ufficiale caduto nella prima guerra mondiale, che ne delimita uno dei lati più lunghi.
Costruita in un primo lotto tra il 1912 e il 1915,
venne completata nel 1930. Nell’occasione
venne sistemata anche la piazza. È del 16 novembre 1929 la delibera del Podestà che ne
autorizzò i lavori, con i quali si doveva procedere allo sbancamento sul quale sorgevano le case demolite, che stavano su un pia-
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no sopraelevato rispetto a quello stradale. La
formazione della piazza fu complessa e articolata: i suoi lati vennero completati in tempi diversi, in funzione del grande casamento scolastico. Gli interventi degli edifici che
la delimitano sono compresi tra gli anni ’20
e ’60 del XX secolo, nonostante ciò la piazza conserva una sua unitarietà nella risoluzione delle testate delle vie che vi convergono, tra questi spicca il palazzo Zedda Zedda, che fa angolo con la via Macomer a nordovest, pregevole esempio di architettura razionalista e l’ex Palazzo OMNI, attualmente riedificato come edificio multipiano destinato in parte a negozi, Istituto bancario e
residenze.
Nella piazza Garibaldi si aprono via
Salvatore Farina, via Pasquale Paoli, via
Ottone Bacaredda, via Macomer e via
Bosa.
Percorriamo via Bosa e, superata sulla destra via Tempio, ci ritroviamo in via Ozieri.
Da via Ozieri, una delle tante strade
dedicate ai comuni più significativi
della Sardegna, raggiungiamo la via e piazza San Rocco, piazza Cocco Ortu antistante il mercato di San Benedetto, un enorme blocco prismatico a base rettangolare.
Questo edificio, inaugurato il 1° giugno del
1957 con 8000 mq di esposizione su due livelli, è il mercato civico più grande d’Europa, e vanta inoltre uno dei migliori mercati
ittici d’Italia. Si affaccia sulla via Tiziano Vecellio e sulla via Francesco Cocco Ortu,
noto parlamentare del Regno a cavallo tra
’800 e ’900 che fu anche Sindaco di Cagliari.
Alla conclusione della via San Rocco ritroviamo la via San Mauro, dove si trova il
complesso francescano e la chiesa di San
Mauro. Fondati nel 1646 dal canonico Francesco Gaviano di Seui in seguito al rinvenimento delle reliquie del martire cagliaritano
Mauro nella necropoli della basilica di San
Saturnino. Il convento include un bellissimo
chiostro porticato. La fondazione del complesso francescano ai margini di Villanova
ebbe una funzione trainante dal punto di vi-
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sta sia economico che urbanistico, contribuendo all’espansione del quartiere.
A ridosso della chiesa e convento di San
Mauro, isolata sul fondo di un lotto rettangolare allungato, si trova la chiesa di San Rocco, oggi oppressa da recenti costruzioni che
ne occultano l’intero prospetto. Si tratta di
un piccolo edificio con facciata semplice, a
capanna, segnata solo dal portale e da un oculo superiore in asse; sulla sinistra vi è il campanile a vela.
A causa delle costruzioni antistanti, la
chiesa è raggiungibile dalla via San Mauro
attraverso un cortile posteriore e una scala
che si sviluppa in una porzione di fabbricato attiguo. La regolarizzazione dell’area circostante, approvata dal Consiglio comunale nella seduta del 23 novembre 1886, prevedeva uno spiazzo rettangolare antistante la
chiesa fino alla strada di circonvallazione, attuale via Bacaredda, fatto che non è servito
a difenderla dalla successiva espansione e attuale assetto del quartiere.
Proseguendo la nostra passeggiata, siamo
giunti alla parte terminale della via San Giovanni, la via più lunga del quartiere Villanova, che parte dal palazzo Valdes nella piazza Marghinotti e continua la sua corsa fino
ad immettersi nella via Bacaredda in corrispondenza dell’ex palazzo Barrago, costruito nel 1915 per la famiglia Casaccia, attuale
sede della Sovrintendenza Archivistica per la
Sardegna.
A metà circa di via San Giovanni troviamo, su un piccolo slargo, la chiesa di San Giovanni, caratterizzata da un semplice prospetto
inquadrato fra due lesene che si riuniscono
per formare una serie di archetti pensili, sovrastati da un coronamento a capanna.
Sorta nel 1415, la chiesa fu rimaneggiata, come
testimoniano i riferimenti stilistici, fra la fine
del secolo XVII e i primi del successivo, in
concomitanza con l’insediamento dell’Arciconfraternita sotto l’invocazione della Vergine Santissima della Solitudine nel 1697.
Dalla via San Giovanni ripiegando su
uno dei tanti vicoli San Giovanni (il
vico XIII), dopo aver percorso un breve trat-
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to della via Giardini raggiungiamo la piazza Monserrato Tristani, celebre personaggio del XVII secolo, arrendatore (appaltatore) del Marchesato di Quirra, sepolto nella cappella di Nostra Signora delle Grazie della Cattedrale di Cagliari.
Percorrendo la via Monserrato Tristani risaliamo, dopo aver lasciato a sinistra, nella parte bassa, la via San Saturnino, fino
allo slargo dei giardini pubblici piazza
Giuseppe Dessì, caratterizzata oltre che dal
monumentale ingresso ai giardini storici, dalla rotatoria che risolve il traffico veicolare proveniente da diverse strade: viale Regina
Elena, lungo il Terrapieno, viale San Vincenzo e via Ubaldo Badas.
Attraversiamo i Giardini per tutta la loro
lunghezza per giungere alla palazzina (antica polveriera) che ospita attualmente la Galleria d’Arte moderna e che fa da quinta al
lungo viale del giardino. Da qui parte la via
Giardini Pubblici, ricavata nella massa rocciosa di Buon Cammino che sale, saliamo anche noi con un po’ di fatica, fino alla via Santi Lorenzo e Pancrazio, con la bellissima
chiesa a due navate.
Ci ritroviamo nell’ampio piazzale di viale Buoncammino alla confluenza di via Anfiteatro, via Belvedere e viale Giussani. La
parte pedonale dello slargo si trova proprio
sul bastione di San Filippo, come può facilmente desumersi dalla sua forma che ricalca quella dell’antico baluardo. L’attuale
strada ripercorre l’antico passaggio attraverso
la Porta Reale, sita in prossimità dell’attuale caserma dei Carabinieri, dove si congiungevano i bastioni di San Filippo e del
Beato Emanuele, entrambi ancora chiaramente visibili rispettivamente dalla via Anfiteatro e dalla via Belvedere.
Della Porta Reale non vi è più traccia!
diamo al passato… siamo appena usciti
dalla Porta Reale… Erano altri tempi! Oggi
abbiamo tante nuove strade: via Monsignor
Luigi Giovanni Giussani, via Aurelio Nicolodi, via Fra’ Nicola da Gesturi, viale
Sant’Ignazio da Laconi, che con via Don
Giovanni Bosco riporta al viale Merello, e
viale Buoncammino, anticamente detto
strada del Buon Cammino in riferimento alla
chiesa di N.S. di Buon Cammino sulla sommità del colle.
Da metà Ottocento sarà il nuovo carcere
a caratterizzare il bel viale: “su castigu” come
un tempo lo chiamavano i delinquenti, carcere “di Buoncammino” per tutti gli altri.
Costeggiando il monumentale complesso
delle carceri, dopo aver lasciato a sinistra un
rondò belvedere, scendiamo rapidamente nella piazza d’Armi. In questo piazzale agli inizi del Novecento si facevano le esercitazioni di tiro. La trasformazione di tutta l’area
avvenne intorno al 1950 quando, caduto il
vincolo di inedificabilità della zona, furono
realizzati i padiglioni della facoltà di ingegneria e alcune residenze: iniziò in quel momento la grande espansione urbanistica che
in breve tempo unì Cagliari a Pirri senza soluzione di continuità.
Nuove strade hanno fatto sì che questa
grande piazza sia in realtà un incrocio stradale importante e molto trafficato: via Marengo oltre che alla Facoltà di Ingegneria porta al quartiere residenziale di recente edificazione con altre vie interne legate a Battaglie del XIX secolo, viale San Vincenzo riporta
al centro della città mentre via Is Mirrionis
scende fino al popolatissimo quartiere omonimo, dopo avere, nelle immediate vicinanze della piazza, consentito l’ingresso alla sottostante zona de “Sa Duchessa”, sede di diverse facoltà universitarie.
Fermiamoci un momento sul grande
piazzale di Buoncammino, sul quale
si apriva a suo tempo la Porta Reale tra i bastioni di S. Filippo e il bastione del Beato
Emanuele, per uno sguardo ampio sul mare
verso il porto e verso lo stagno di S. Gilla e…,
se vogliamo, socchiudiamo gli occhi…, rian-
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Lasciata la piazza d’Armi, dopo aver
costeggiato nel primo tratto la Facoltà di Ingegneria, superata la via Is Maglias
che porta al recente quartiere sulla collina di
Tuvu Mannu e lasciata, poco più avanti verso la collina, la via Dei Punici, imbocchiamo il lungo viale alberato: viale Luigi Me-
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rello. Noto fino agli anni Venti del Novecento
come discesa o strada dell’Annunziata – dalla omonima chiesa annessa al convento dei
Padri Francescani –, era una strada di campagna polverosa, abbandonata, pascolo per
le greggi tra Tuvu Mannu e Tuvixeddu.
Con il “Progetto di sistemazione a quartiere di villini in località Tuvu Mannu”, nel
1925 ebbe inizio l’urbanizzazione dell’area tra
il viale Trento ed il viale Merello, un sobborgo
residenziale denominato “città giardino”. Ai
lati della strada vennero piantati due filari
di ficus della Malesia e diversi villini, eretti
nel frattempo, testimoniano ancora oggi il gusto architettonico dell’epoca: le ville Devoto,
Atzeni e Coppola. Il Comune edificò una residenza bifamiliare e due palazzine per i propri dipendenti, mentre una cooperativa di ferrovieri realizzò nel 1930 tre complessi in stile fascista.
Nella nostra discesa fino alla piazza
dell’Annunziata incrociamo via Vittorio
Veneto, via San Giovanni Bosco, via Oslavia e via Edmondo De Magistris. Piazza
Annunziata è così chiamata per via della chiesa antistante che occupa l’angolo tra viale Merello e corso Vittorio Emanuele.
Dall’incrocio con viale Merello il corso Vittorio Emanuele diventa via Trento e, come
sappiamo, prosegue fino a Sassari: la Carlo
Felice (SS 131) con partenza da piazza Yenne. Dopo un breve tratto del corso Vittorio
Emanuele incrociamo via Pola sulla destra
e un po’ più avanti via Tigellio sulla sinistra.
Proseguendo nel Corso Vittorio Emanuele lasciamo a destra la via Carloforte e arriviamo al portico di via Palabanda, che ricorda la congiura del 1812. Di
fronte si apre via Caprera, l’antico viottolo, noto tra i cagliaritani come via is Osterieddas, via delle bettole del vino. Il Comune vi intervenne nel 1897 allargandola notevolmente, in modo da farne un percorso alternativo per i carri che dal corso Vittorio
Emanuele andavano al viale San Pietro,
odierna viale Trieste.
Andiamo avanti sul Corso Vittorio Emanuele, scendiamo lungo la via Maddalena
17
(in riferimento all’Isola), incrociamo e superiamo la via Goffredo Mameli poi, svoltando in via Malta, sul retro del Palazzo delle Poste, raggiungiamo la via Sassari che costeggia e chiude la piazza del Carmine in
uno dei lati più corti. Nel lato opposto si apre
il viale Trieste sul quale si affaccia la chiesa del Carmine. Viale Trieste, antico stradone
di San Pietro, fu oggetto di sostanziosi interventi da parte dell’amministrazione civica in quanto il centro urbano si stava estendendo verso quella direzione: vi cominciarono
a sorgere palazzi, sino ad assurgere dopo essere stato alberato alla fine dell’Ottocento, al
rango di “viale”.
La piazza del Carmine, l’unica forse a potersi considerare tale per dimensioni e ubicazione, assume il ruolo di aggregazione di
un nuovo progettato quartiere. A dargli un
aspetto regolare, verso la metà ’800, contribuì la circostanza che il suo spiazzo era stato scelto come campione per diffondere
l’uso del sistema metrico decimale introdotto dai Savoia nel 1846, era stato quindi parametrato a rettangolo di cento metri per cinquanta e delimitato da quattro pilastri in pietra per visualizzare il mezzo ettaro secondo
il nuovo calcolo di misura.
Lungo via Sassari ritroviamo anche il palazzo Vivanet che occupa l’intero isolato tra
via Sassari, via Francesco Crispi, via Angioi e via Roma. Arriviamo così alla Stazione ferroviaria e ci fermiamo nel piazzale antistante, piazza Matteotti, mentre via Sassari
prosegue verso via San Paolo.
La piazza Giacomo Matteotti si è
formata nella seconda metà dell’Ottocento nello spazio creatosi con l’abbattimento del Bastione di Sant’Agostino: era conosciuta come piazza della Stazione. Nel 1879
infatti vi venne aperta la stazione ferroviaria, dopo la lunga storia delle rete ferroviaria nell’Isola, la cui costruzione iniziò nel 1864
e si concluse proprio con l’inaugurazione della stazione ferroviaria. Nello spazio antistante
nel 1891 l’agronomo comunale Visca vi realizzò un giardino secondo il modello dello
square. La piazza è costeggiata dalla via
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Roma, sulla quale, al lato sinistro del Palazzo
Comunale, si immette la via Giovanni Maria Angioy e più avanti il Largo Carlo Felice si apre con l’angolo del palazzo comunale, in corrispondenza dell’antico molo di
Sant’Agostino.
Le vicende del Palazzo comunale cominciarono dopo il 1866, quando maturò l’idea
di spostare la sede dell’antico Palazzo di Città in Castello. La prima pietra fu posta nel
1899 e i lavori vennero ultimati nel 1907.
L’opera si può considerare un esempio di
eclettismo di fine secolo che fonde diversi stili, dovuta al progetto vincitore del concorso
firmato dall’ingegnere Crescentino Caselli di
Torino, ma praticamente redatto dall’architetto Annibale Rigotti.
Il Largo Carlo Felice nasce, così come il
Palazzo comunale, a seguito della cancellazione di Cagliari dall’elenco delle piazzeforti militari del Regno nel 1866 e quindi della
demolizione di bastioni e cinta muraria che
chiudevano il quartiere Marina. Prima di allora lo slargo era il mercato dei Cereali, caratterizzato da più file di baracche che si
estendevano dal bastione di San Francesco,
dove c’era il mercato dei commestibili, fino
al Molo di Sant’Agostino.
La via Roma, come il Largo Carlo Felice, nasce nella seconda metà dell’Ottocento con la demolizione dei moli e delle mura del quartiere Marina. La via è caratterizzata dalla palazzata con portici programmata dal piano regolatore della città del
1890. Furono realizzati subito due palazzi,
Magnini e Zamberletti, oggi palazzo INA, seguì poi il palazzo Garzia-Vivanet. Soltanto
intorno al 1930 l’amministrazione comunale cedeva gratuitamente il terreno demaniale compreso tra le case preesistenti ed il nuovo allineamento previsto dal piano regolatore,
a condizione che l’area venisse coperta da portici; grazie a questo programma la palazzata si concluse rapidamente.
Lungo la via Roma ritroviamo la via dei
Mille, insieme a tutte le altre traverse del
quartiere che abbiamo analizzato negli itinerari già percorsi. Via dei Mille fiancheggia
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la chiesa di San Francesco, perciò era chiamata via San Francesco, poi vico Roma e infine via dei Mille in ricordo della nota spedizione garibaldina.
Parallelamente alla via Roma, sul lato porto si sviluppa l’antico parterre e il lungo mare,
oggi chiamato lungomare New York 11 settembre 2001, a ricordo del tragico attentato terroristico dell’11 settembre 2001.
Sempre sul lungo mare, in prossimità del
Consiglio Regionale, uno slargo attualmente occupato da parcheggi, è stato intitolato
al primo presidente del Consiglio regionale
della Sardegna, piazza Anselmo Contu.
Più avanti, al termine della via Roma, ci
ritroviamo in piazza Darsena e piazza Giovanni Amendola.
La piazza Darsena è oggi intitolata a Francesco Paolo Ingrao, collezionista di opere d’arte, donate alla città nel 1999, in esposizione
nella Galleria Comunale d’Arte dei Giardini Pubblici.
Nell’ampio incrocio di piazza Amendola, alla confluenza della via Roma,
del lungomare e del viale Regina Margherita abbiamo la piazza Attilio Deffenu, la via
XX Settembre, il viale Bonaria e il viale
Armando Diaz.
Il viale Bonaria che parte dalla piazza
Amendola, attraversa la zona direzionale degli Istituti di Credito, costeggia il monumentale cimitero e sale sino alla piazza antistante la chiesa, di recente abbellita dalla
scenografica scalinata che riporta al sottostante piazzale Paolo VI, più noto come piazza dei Centomila. Il vasto fronte del complesso
religioso che si erge sulla collina di Bonaria
accolse il primo insediamento delle truppe
aragonesi nell’Isola, prima della conquista del
Castello di Cagliari del 1326. La parte più antica è il Santuario, che può essere considerato il primo esempio di architettura goticacatalana in Sardegna. La costruzione della
Basilica venne invece decisa nel 1704 dai frati mercedari che reggevano il complesso religioso dal secolo XIV. I lavori vennero effettivamente iniziati nel 1778 su progetto di
Felice De Vincenti prima (1722) e le succes-
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sive varianti di Giuseppe Viana. I lavori subirono lunghi periodi di sospensione per essere ripresi effettivamente nel 1910 ed essere ultimati nel 1926, anno in cui la Chiesa fu
consacrata.
Il primo tratto dal piazzale Amendola, determinato dalle convergenze dei due viali, Bonaria e Diaz, a seguito di recenti demolizioni, è stato sistemato a piazzale con giardini
intitolato ad Emilio Lussu, piazza Emilio
Lussu. Questa piazza triangolare è delimitata sul lato di base dalla via Sonnino che attraversa i due viali e prosegue fino al viale
Colombo incrociando la via Campidano, che
riporta alla piazza Deffenu e quindi al lungomare, alla via Roma e al porticciolo della
Darsena con la via Giovanni Barbini.
Percorrendo la via Sonnino verso la città arriviamo alla piazza Silvio Lippi caratterizzata da una rotonda che smista il traffico veicolare dell’incrocio tra la via Gallura, la stessa via Sonnino, la via XX Settembre e la via Lanusei. La piazza è caratterizzata dalla presenza di due edifici storici,
uno, ad angolo con via Gallura è l’Archivio
di Stato, l’altro ad angolo con via Lanusei è
la palazzina della Società degli Operai, una
antica società di mutuo soccorso.
L’Archivio di Stato si impone per il suo volume ed il suo aspetto con un prospetto costituito da tre lati disuguali. Sul più piccolo, affacciato direttamente sulla piazza è ricavato l’ingresso, costituito da un portale affiancato da due forti paraste sulle quali sovrasta un timpano spezzato. In asse, negli ultimi due piani, sono presenti due ampie finestre a tre luci. Tutto l’edificio, che si eleva per quattro piani separati a coppie da una
cornice marcapiano, si conclude con un
cornicione a forte aggetto.
Dopo l’approvazione del progetto, nel 1921,
la sede dell’Archivio di Stato sino a quel momento sistemato negli angusti locali della ex
chiesa gesuitica di Santa Teresa, venne
inaugurata nel 1927.
Il progetto iniziale prevedeva due piani,
ai quali il Ministero dei Lavori pubblici ne
aggiunse altri due destinati temporaneamente
al Genio Civile. Tale fatto è evidenziato dalle cornici marcapiano che segnano il prospetto.
Con la piazza Lippi si conclude la nostra
lunga, ma mi auguro appassionante e interessante, passeggiata iniziata dalla piazza Acquilino Cannas… dalla Porta Cristina…
dal quartiere Castello.
Ho contraddistinto con il numero tra parentesi in grassetto a capoverso l’inizio di ogni
itinerario, utile per identificare gli odonimi,
evidenziati in grassetto, per i quali Marinella Ferrai Cocco Ortu ha preparato una accurata e sufficiente descrizione (che verrà
pubblicata nel prossimo numero), seppure
sintetica per il rispetto degli spazi espositivi concessi dalla dimensione dei pannelli della mostra, e che completa il presente saggio
nel catalogo della mostra stessa.
Oggi la moderna e sofistica tecnologia
consente a tutti di dare risposte ai propri interrogativi in tempo reale, utilizzando motori di ricerca adeguati e ormai molto comuni e diffusi, che sembrano ridurre il
valore del nostro lavoro, tutt’altro che semplice e frutto di una attenta ricerca documentale e storica. La sola conoscenza dell’avvenimento o del personaggio cui la
strada è intitolata infatti è sufficiente a chiarire le motivazioni che hanno portato all’intitolazione, al contesto storico che l’ha
determinata ed alle vicissitudini socio-economiche e urbanistiche che tale intitolazione ha inteso esprimere e tramandare nella
memoria. È proprio l’evoluzione urbanistica
del nucleo originario, che collegata agli avvenimenti e ai personaggi responsabili e in
qualche modo coinvolti nella trasformazione
urbana, che giustifica e da significato al nostro lavoro, condotto sulla città di Cagliari,
la parte più antica della città: il centro storico e le zone di prima espansione, dopo
l’abbattimento della cinta muraria e dei bastioni che ancora a metà Ottocento chiudevano tutto il quartiere Marina.
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La storia: 1944
L’armata cosacca
del III Reich in Carnia
Angelo Deplano – Giovanni Barrocu
a storia dei Cosacchi in Carnia è
poco nota al di fuori della regione, dove
invece il loro ricordo è ben vivo. Alcuni
anni dopo la fine della II guerra Mondiale,
Indro Montanelli – autore fra l’altro di una
Storia d’Italia – a una sua lettrice del Corriere della Sera, che in una lettera al giornale
diceva di aver visto da bambina, durante una
vacanza in Friuli, le evoluzioni della cavalleria cosacca, rispose che certamente si trattava del ricordo di qualche fiaba raccontata dalla nonna.
L
LA CARNIA
la regione alpina compresa fra l’Austria
a nord, la Valle del torrente Fella ad est,
il Cadore ad ovest e le Prealpi Carniche a sud.
Le valli del Tagliamento, del Natisone e dell’Isonzo sono state da sempre le facili vie di
accesso delle invasioni barbariche alla pianura veneta. La Carnia appartiene alla regione storico-geografica del Friuli. Il nome
deriva dal latino Carniacum, riferito alla popolazione germanica dei Carni, che intorno
al 400 a.C. migrarono verso sud valicando le
Alpi e si stabilirono nell’odierna Carnia e nella zona pedemontana del Friuli. Dal 183 a.C.
al 410 d.C. la regione prosperò sotto i Romani.
In quel periodo la Carnia fu invasa dai Visigoti, ai quali seguirono gli Unni di Attila e
gli Ostrogoti, tutti provenienti dalla pianure danubiane. Seguirono nell’ordine i Longobardi, i Franchi e gli Ungari. Dal 1077 la
Carnia fece parte per 343 anni dello Stato Patriarchino di Aquileia, feudo dell’impero
germanico, finché nel 1420 fu soggiogata dalla Repubblica Veneta. All’inizio del XIX secolo Napoleone Bonaparte cedette la Carnia
È
Figura 2 – Le zone della Carnia presidiate dai diversi gruppi di partigiani.
e il Friuli all’Impero Austriaco. Nel 1866 la
Carnia e il Friuli furono annessi all’Italia. Durante la Prima Guerra Mondiale, successivamente alla rotta di Caporetto, la Carnia fu
occupata dagli austro tedeschi.
Durante la Seconda Guerra Mondiale,
dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, le
truppe del Reich invasero l’Italia. Il Reich annesse la Carnia come parte della Zona di Operazione del Litorale Adriatico, sotto il Gauleiter Friedrich Rainer (Fig. 1). Questo territorio non rientrava nella Repubblica Italiana
di Salò. Si costituirono contro i Tedeschi le
prime formazioni partigiane, soprattutto
nella zona delle Prealpi Giulie e a ridosso del
confine con la Jugoslavia. Le formazioni maggiormente organizzate erano la Brigata Garibaldi Friuli, d’ispirazione comunista, e la
Brigata Osoppo, formata da elementi della
DC e del Partito d’Azione. La massima
espansione del movimento partigiano in
Friuli si ebbe nell’estate del 1944. Col passare
del tempo il movimento partigiano assunse
sempre maggiore consistenza, fino a mette-
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Figura 3 – Fucilazioni di partigiani.
I COSACCHI
Cosacchi sono un’antica comunità militare di popolazioni slave e mongole, che vivono nella steppa dell’Europa
dell’Est tra l’Ucraina e la Russia, lungo il basso corso dei fiumi Don, Dnepr, Kuban, Terek, basso Volga, e nei bacini degli Urali e del fiume Amur (Fig. 4-5).
Erano organizzati per antica tradizione in comunità militari e di mestiere, rette da un ataman. Tutte le cariche erano di norma elettive e le questioni più rilevanti erano affrontate
dai Krug, le assemblee della comunità. Il loro abbigliamento era costituito da un caftano (una sorta di casacca) o dalla cerkessa (tunica lunga con le cartuccere). Quelli che furono inquadrati nell’esercito indossavano pantaloni blu con
una fascia rossa o gialla, a seconda della provenienza dalla
regione del Don o del Terek. Il loro armamento tradizionale comprendeva il kindjal (pugnale ricurvo), la šaška (sciabola) e la nagaika (frusta). Maneggiavano una lancia molto lunga e la loro preparazione militare prevedeva anche una
danza chiamata gopak che eseguivano accovacciati, a braccia conserte. Il loro grido di battaglia era Gu-Rai!, da cui si
pensa derivi il grido di urrah, diffusosi trai combattenti della I Guerra Mondiale. I Cosacchi insediati lungo il Don furono gradualmente ingaggiati dal Regno Russo nella sua opera di conquista. Guidati da un ideale di vita avventurosa, caratterizzati da una propria cultura e gelosi della propria autonomia, i cosacchi finirono per svolgere il ruolo di difensori della religione ortodossa e dei confini più remoti dell’impero zarista, in specie contro tartari e turchi. Le mire espansionistiche dell’Impero richiedevano la fedeltà dei Cosacchi
che però, a causa del loro tradizionale stile di vita libero ed
insofferente, si rivoltarono contro i rappresentanti locali del
potere centrale. Nel 1600 e nel 1700 lo Stato reagì duramente alle loro rivolte, come quelle famose guidate da Stenka Rasin, Ivan Mazeppa ed Imelian Pugachef. Nella I Guerra Mondiale i cosacchi erano rimasti fedeli allo Zar, ma durante la
rivoluzione, avvenuta subito dopo, parteggiarono talvolta con
i rossi bolscevichi e talaltra con i bianchi zaristi.
I
Figura 1 – Friedrich Rainer, Gauleiter dell’Operationszone Adriatisches Kustenland.
re gli occupanti in serie difficoltà; nell’agosto del 1944
riuscì a creare le Zone Libere del Friuli orientale e di parte della provincia di Belluno.
Le rappresaglie dei tedeschi
erano dure, con fucilazioni e
incendi (Fig. 3).
La Zona libera della Carnia fu amministrata da una
Giunta di Governo eletta a
suffragio universale in cui,
per la prima volta in Italia,
votarono anche le donne, ma
che purtroppo durò solo 73
giorni (Fig. 2). Poiché le
truppe della Wermacht e le
SS non erano sufficienti a
controllare le valli nelle quali si addentravano per operazioni contro i partigiani, i
tedeschi furono costretti a
trasferire in Carnia reparti di
Cosacchi, che, fatti prigionieri
mentre facevano parte dell’Armata Rossa, erano stati
incorporati nelle truppe del
Reich.
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Figura 4 – Cosacchi dell’Amur.
Con la sconfitta delle forze filozariste molti lasciarono i territori sovietici,
perché oggetto delle durissime misure di
decosacchizzazione stabilite nel 1919
dal partito comunista.
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Durante la II guerra mondiale le forze armate dell’Asse occuparono facilmente la vasta pianura del Kuban e del Terek, a nord della penisola di Crimea, fra il Caucaso e il Don, dove risiedevano i Cosacchi, molti dei quali, lusingati dalla prospettiva di riguadagnare la perduta autonomia, si arresero facilmente alle truppe dell’Asse
e a decine di migliaia chiesero di combattere contro il regime sovietico. I tedeschi li accolsero subito nelle loro file. Nel 1941 i cosacchi inquadrati nella Wehrmacht erano già 20 mila e nel 1942
alcune unità furono autorizzate ad avere insegne
proprie. Il primo reggimento cosacco fu agli ordini dell’ex maggiore dell’Armata Rossa Ivan Nikitovic Kononov, che nell’agosto del 1941 passò ai
tedeschi col 436° Reggimento di Fanteria. Successivamente il comando germanico permise a Kononov di comandare un reparto cosacco e di reclutare truppe tra i prigionieri di guerra nel nome
della rivolta contro i bolscevichi. Il comando germanico affidò al generale tedesco von Pannwitz
il compito di organizzare i cosacchi che accorrevano sotto le bandiere del Reich (Fig. 6).
Figura 5 – I Cosacchi dello Zaporož’e scrivono una lettera al Sultano di Turchia (I.E. Repin).
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Figura 7 – Le Waffen-SS cosacche.
Figura 6 – I generali Krasnov e von
Pannwitz.
Per ordine di von Pannwitz i Cosacchi mantennero
nelle loro uniformi caratteristiche e distintivi tradizionali. I suoi uomini lo amavano e prima della fine della
guerra lo elessero Feldataman, il più alto dei gradi
militari della gerarchia cosacca. Dopo la sconfitta di
Stalingrado la Wehrmacht
iniziò la lenta ritirata verso
ovest, seguita dai soldati cosacchi e da tutti i loro familiari, che cercavano di evitare di sfuggire alle rappresaglie
dei bolscevichi. E così quasi
cinque milioni di russi si
mossero verso occidente.
Nell’autunno del 1943 la divisione cosacca fu inviata in
Jugoslavia per combattere i
Figura 8 – Caucasici schierati di fronte a von Pannitz.
partigiani titini. I cosacchi collaborarono con Ustascia e Cetnici per tenere sgombro il territorio dalle infiltrazioni partigiane,
distinguendosi per la loro durezza. Il generale von Pannwitz
promulgò la pena di morte per i suoi dipendenti che avessero infierito contro la popolazione civile, e infatti furono eseguite
dodici condanne per fucilazione. Durante la cerimonia con la
quale il 15 gennaio 1943 Hitler lo insignì della croce di cavaliere con foglie di quercia, von Pannwitz ebbe il coraggio di contraddire il Führer quando affermò che gli Slavi, e quindi anche i Cosacchi, erano degli Untermenschen (subumani). Egli
non permise mai la distruzione di chiese o sinagoghe e rispettò
la devozione dei suoi cosacchi per la chiesa ortodossa.
Ai volontari cosacchi si erano uniti alcuni celebri anziani ufficiali zaristi già rifugiati nei paesi occidentali, come Sergiei Vassilievic Pavlov, Atamano dei cosacchi del Don, e i generali cosacchi Shkuro e Naumenko, Atamano dei cosacchi
del Kuban. Pyotr Nicolaevic Krasnov, già Atamano della I
Divisione cosacca durante la I Guerra mondiale e autore del
famoso libro Dall’aquila imperiale alla bandiera rossa, fu
l’acquisizione più rilevante in quanto nell’ottobre del 1944
gli fu affidato, sotto il Generale von Pannwitz, il comando
in Carnia delle Forze Cosacche Alleate del Reich (Fig. 6).
Nel frattempo, nel giugno del 1944 la divisione, unita ad
una divisione caucasica, fu elevata al rango di Corpo d’Armata, il XV SS-Kosaken Kavallerie Korps, per ordine di Himmler, inquadrato nelle Waffen SS (Fig. 7-8).
Il reparto giunse così a contare 50.000 uomini. Allontanandosi la possibilità di ritornare in tempi brevi nella terra madre, si fece largo l’esigenza di trovare per i Cosacchi
e per le loro famiglie una nuova patria.
I tedeschi, bloccati gli alleati sulla Linea Gotica, avevano deciso di concentrare le loro forze residue nella Venezia
Giulia, temendo uno sbarco alleato che avrebbe tagliato la
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Figura 9 – Simbolo del Corpo d’Armata XV SS-Kosaken Kavallerie
Korps.
Figura 10 – Bandiera del Kosakenland in Carnia.
Figura 11 – I cammelli dei Cosacchi
in Carnia.
ritirata della Wermacht verso la Germania. Fu così che
il corpo d’armata cosacco
impegnato in Jugoslavia fu
trasferito in Carnia, destinato dal III Reich a divenire una
nuova Kosakenland (Fig. 10).
I Cosacchi cominciarono
ad arrivarvi dal 20 luglio
1944. Disponevano di automezzi, 6.000 cavalli, qualche
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Figura 12 – Cavalleria cosacca in Carnia – 1945.
mucca e qualche capra, e 50 cammelli provenienti dall’Astrakan (Fig. 11). Arrivavano a cavallo suonando il corno, lanciando urla di guerra, brandendo le spade e sparando all’impazzata per impressionare gli abitanti. Avevano pugnali e pistoloni variamente istoriati, ma erano armati di fucili mitragliatori tedeschi.
Dalla stazione Carnia le truppe si mossero inizialmente
in due direzioni: a nord verso Amaro e a sud verso Osoppo.
Migliaia di persone provate dal lungo, estenuante viaggio,
cercarono una sistemazione provvisoria in diverse località,
tentando di provvedere autonomamente alla soluzione delle necessità più impellenti, giacché praticamente nulla era
stato predisposto per garantire mezzi di sostentamento e di
assistenza adeguati. Fu così che reparti a cavallo cominciarono
a battere le campagne e i centri abitati, razziando tutto quello che poteva servire a garantire un minimo di sopravvivenza
per sé e per i loro animali. I Cosacchi erano affiancati dalla Divisione Caucasica, della quale facevano parte georgiani,
armeni, turchestani e kirghizi. I Cosacchi e i Caucasici erano di religione cristiano-ortodossa o mussulmana (Fig. 11).
Durante i funerali le bare erano scoperte e al momento
della sepoltura ogni persona gettava una manciata di terra
sopra al defunto. I soldati bevevano molto, anche alcol denaturato, e mangiavano molto aglio e cipolla, con l’intenzione di poter così difendersi dalle malattie. Sul capo portavano il colbacco e gli uomini celibi lasciavano fuori un ciuffo di capelli. I soldati non si lavavano molto, ma curavano
scrupolosamente l’igiene dei loro cavalli, ai quali erano molto legati. Da abili cavalieri li montavano anche a pelo, senza selle, briglie e speroni (Fig. 12). Fra i cosacchi erano arruolate anche soldatesse (Fig. 13).
A questa vera e propria saga di altri tempi, scandita da
troike, sciabole, sangue e violenze (ai danni della popolazione
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Figura 13 – Fra i cosacchi erano arruolate anche soldatesse.
civile costretta in alcuni casi ad abbandonare
le proprie case per fare posto ai nuovi venuti)
e lacrime, lo scrittore friulano Carlo Sgorlon
ha dedicato un importante romanzo, L’armata dei fiumi perduti, vincitore del premio
Strega nel 1985:
«Arrivarono – racconta Sgorlon – con i
loro cavalli, le carrette, le mogli, i figli, i vecchi, i pope con gli arredi sacri, le icone, alla
ricerca di una patria provvisoria […]; e avevano i loro usi e costumi, i canti, le danze; ma
anche la diffidenza e la tracotanza».
Profonda curiosità destarono naturalmente gli aspetti legati alla diversa religiosità, a partire dalle funzioni in chiesa. Per lo
svolgimento delle loro funzioni religiose, i cosacchi, in qualche caso, giunsero ad occupare le chiese cattoliche; più frequentemente requisirono un capace edificio pubblico per
adattarlo a luogo d’assemblea religiosa. Il
Reich aveva destinato ai cosacchi tutta la Carnia e parte dell’Alto Friuli. Le forze della resistenza reagirono con alcune azioni di sabotaggio solo dopo che le truppe cosacche e
asiatiche si erano insediate nel territorio.
L’azione più importante avvenne nella notte tra il 26 e il 27 agosto del 1944 quando i partigiani garibaldini dei Btg. Matteotti e Stalin
sferrarono un attacco contro i cosacchi attestati nelle scuole di Gemona. La rappresaglia
durissima, ordinata dal Gauleiter Reiner, non
tardò a venire. Infatti alla fine del settembre
1944 la 305° Divisione tedesca, appoggiata da
tre reggimenti cosacchi e da alcuni battaglioni
fascisti, attaccò la Zona Libera del Friuli orientale. Dopo combattimenti protrattisi per alcune giornate, i partigiani si ritirarono verso il Collio goriziano; tedeschi e cosacchi, infierirono contro i civili, ritenendoli responsabili
dell’appoggio dato al movimento partigiano,
incendiando diversi paesi: il bilancio complessivo sarà di 690 abitazioni e 436 rustici
distrutti, 35 civili assassinati, 220 – tra partigiani e civili – catturati e deportati nei campi di sterminio. La seconda fase dell’offensiva si svolse tra la fine di settembre ed i primi di ottobre con l’obiettivo di circondare ed
eliminare la Zona Libera del Friuli.
Nella mattinata del 2 ottobre, il colonnello
De Lorenzi della Milizia Fascista guidò l’attacco di fascisti e nazisti contro le forze partigiane. Gli attaccanti attraversarono il Tagliamento, vanamente contrastati dalle forze partigiane, che cercarono di accerchiare,
e occuparono i paesi di Braulins, Trasaghis,
Avasinis, e Alesso, dei quali De Lorenzi ordinò l’evacuazione, invano supplicato dai parroci e dalle donne.
Tolmezzo ebbe il compito di provvedere
ai gravi bisogni delle popolazioni espropriate
delle case e dei loro averi. I fuggiaschi venivano alimentati con l’aiuto della popolazione, della Cucina Economica e dei Padri Salesiani, nonché dalla Cooperativa Carnica, che
fu larga di aiuti materiali e morali.
Dall’8 ottobre ebbe inizio l’Operazione
Waldlaüfer che, in poche settimane, diede agli
hitleriani il pieno possesso della Carnia. Furono venticinque i civili uccisi nella sola avanzata verso il territorio occupato dai partigiani:
tra questi, il curato di Imponzo, don Giuseppe
Treppo, assassinato mentre tentava di difendere alcune donne dalle insidie dei cosacchi
occupanti. All’inizio di dicembre erano stati sostanzialmente raggiunti i traguardi che
i responsabili nazisti del Litorale Adriatico
si erano posti, vale a dire il controllo sostanziale della regione garantito dalla presenza delle unità collaborazioniste cosaccocaucasiche.
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Sopravveniva la stagione invernale e sarebbe stato impossibile per i partigiani continuare a tenere libera la zona. Il maggiore
inglese John Nicholson, rappresentante del
Generale Alexander, accompagnato dai capi
delle due divisioni partigiane, si presentò il
19 ottobre davanti alla giunta per convincerla
a smobilitare durante l’inverno sotto l’impeto
della pressione tedesca, aumentata dopo
che l’offensiva alleata sulla linea gotica si era
arrestata. L’ufficiale britannico sostò a lungo, irrigidito sull’attenti, davanti alla giunta, testimoniando così ai presenti, commossi, il rispetto che gli alleati sentivano verso
un popolo che alle libertà aveva tutto sacrificato.
Il territorio dell’Alto Friuli e della Carnia
fu diviso a metà: la parte settentrionale ai
Caucasici, e quella meridionale, alla Divisione
Cosacca. I reparti militari cosacchi erano organizzati su quattro Reggimenti, di sede rispettivamente a Clauzetto, Tarcento, Enemonzo e Ampezzo; un quinto Reggimento, di
riserva, era stanziato a Osoppo.
Furono costituite anche la Riserva di
Cavalleria, composta da 3000 uomini inizialmente stanziata a Povoletto, una Scuola di Guerra a Tolmezzo, e una Scuola di Cadetti a Villa Santina. Nelle zone occupate dai
caucasici, Paluzza diventò sede del Comando Caucasico e del tribunale popolare; a Treppo s’istituì un ospedale con 35 posti-letto; Sutrio diventò sede di una scuola caucasica, così
come Paluzza. Ligosullo ospitò un teatro,
mentre a Sutrio fu istituita un’orchestra e una
scuola di ballo. A Paluzza, inoltre, fu allestita
una tipografia, dove si stampava un giornale
in caratteri cirillici, che fungeva da organo
di stampa dei nord caucasici stanziati nell’Alta
Carnia. Per i cosacchi, stanziati nei comuni
più a sud, usciva un bisettimanale. Gli occupanti giunsero perfino a mutare il nome originario dei paesi: Alesso divenne Novocerkassk, Cavazzo Carnico Yekaterinodar, Trasaghis Novorossisk. In Carnia furono costituiti complessivamente 44 presidi cosacchi a
costituzione mista civile e militare. Il Quartier Generale dell’Atamano Pyotr Nikolaevic
Krasnov, giunto in Carnia nel mese di feb-
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braio 1945 per comandare le truppe cosacche
stanziate nella regione, assieme alla moglie
Lidia Fedeorovna, fu posto nel paese di Verzegnis, al di là del Tagliamento, di fronte a
Tolmezzo. Il piccolo paese carnico diventò,
in quei mesi, un punto di riferimento per la
nobiltà cosacca, come ricostruito dal Carnier:
«Principesse e dame, provenendo da Tolmezzo, Osoppo e da varie zone di insediamento, raggiungevano il quartier generale per
porgere un saluto all’atamano e alla consorte.
Krasnov sapeva assumere un contegno cavalleresco, compiacendosi di quelle visite,
ch’egli accoglieva con rigorosa etichetta
poiché riteneva che fosse suo compito ridare auge al mondo aristocratico russo vissuto per troppo tempo in esilio».
Dappertutto furono instaurate regole
molto severe per la circolazione delle persone: furono stabilite ore di coprifuoco e fu obbligatorio un lasciapassare per gli spostamenti
fra i paesi e, soprattutto, dai paesi alle località
di pascolo. I lasciapassare, rilasciati dai comandi, erano redatti in italiano, tedesco e russo, recavano il nome del titolare e dei suoi familiari e l’indicazione della località che era
consentito raggiungere dalla residenza abituale.
Così descrisse l’insediamento Michele
Gortani: «I nuovi venuti penetravano da padroni in tutte le case, secondo il loro capriccio,
e di solito preferendo quelle abitate a quelle disposte esclusivamente per loro. Trattavano gli abitanti come soggetti al loro servizio. Usavano spesso di sedersi a tavola all’ora del pasto e appropriarsi il poco che le
famiglie avevano preparato per sé. Rovistavano a piacere per ogni dove, rubando
qualunque cosa li talentasse, dagli oggetti di
valore alle vesti, dalle lenzuola e coperte ai
viveri di ogni specie, dagli animali da cortile alle masserizie».
I rapporti fra le bande di partigiani di ispirazione cattolica e liberale e di parte comunista furono aspri: fra il 7 e il 18 febbraio 1945
portarono alla strage delle Malghe di Porzus,
presso Faedis, dove i partigiani titini della Divisione “Natisone” trucidarono proditoriamente 17 partigiani della Brigata Osoppo, tra
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Rotary Club Cagliari — giugno 2016
cui il commissario Gastone Valente “Enea”,
fratello di Pier Paolo Pasolini.
Le sorti della guerra per le truppe del
Reich volgevano al peggio. Considerate le ultime vicende belliche, il comando cosacco decise di ritirare le sue truppe in Austria dove,
si sarebbe tentata una resistenza.
Il 27 aprile 1945 i Cosacchi e i Caucasici
decisero di schierarsi con gli alleati contro i
Tedeschi. Due battaglioni muniti di alcuni
pezzi di artiglieria occuparono a sorpresa il
Passo di Monte Croce Carnico e si posero a
sua difesa su entrambi i versanti. Krasnov
aveva ai suoi ordini circa 40000 soldati e poteva avvalersi anche dell’appoggio di 2500
partigiani locali. I Cosacchi non disponevano di molti mezzi di trasporto e di molte armi
automatiche, ma almeno quest’ultimo problema fu parzialmente risolto da alcuni opportuni lanci effettuati dagli Inglesi. Altri Cosacchi, dispersi lungo tutte le vallate carniche, iniziarono la ritirata verso la Carinzia e
a loro supporto intervenne anche l’aviazione alleata.
Intanto più a est i Titini erano già entrati in Carinzia e si erano congiunti con le unità dell’Armata Rossa in movimento verso
ovest. Tito sembrava deciso ad impadronirsi di una fetta consistente dell’Austria meridionale, che gli alleati avevano invece assegnato come zona d’occupazione alle truppe
britanniche. Gli Inglesi, non avevano però alcuna intenzione di farsi scavalcare dagli Jugoslavi. Il 29 i Tedeschi riuscirono a conquistare l’abitato di Tolmezzo ma furono costretti
a fermarsi poco più a nord, imbottigliati nelle valli dagli ostinati Cosacchi. Nel Passo di
Monte Croce Carnico gli uomini di Krasnov
mantennero il controllo della posizione contro i Tedeschi e dopo alcuni giorni cominciarono a scendere verso l’Austria fino alla cittadina di Peggetz, nei pressi di Lienz.
Il 4 maggio le avanguardie dell’esercito popolare di liberazione jugoslavo, dopo avere
eliminato le ultime resistenze tedesche, attaccarono il Passo di Monte Croce Carnico tenuto dai Cosacchi, ora ufficiosamente cobelligeranti degli Inglesi. Tito non nascondeva
più di avere mire, oltre che su Trieste e Go-
rizia, anche su un’ampia porzione dell’Italia nordorientale. I Neozelandesi, giunti da
poche ore al Passo, si trovarono coinvolti nel
conflitto e a loro volta aprirono il fuoco contro gli Jugoslavi. Il 5 maggio i Britannici, insieme alle unità cosacche, passarono risolutamente all’offensiva.
Il 7 maggio a Londra la crisi scoppiata tra
Inglesi e Jugoslavi, con scambi di artiglieria
e di fucilate, rischiò di trascinare tutti verso
una Terza Guerra Mondiale mentre la Seconda
non era ancora conclusa. Infine tra i Capi delle Potenze alleate si giunse a un compromesso
per cui i Britannici accettarono di arretrare
fino al Passo, mentre in Austria meridionale sarebbero entrate in loro sostituzione truppe francesi. Tra i Cosacchi e gli Inglesi si era
stabilito un certo cameratismo: un nucleo di
40000 esperti soldati anticomunisti schierati ai confini orientali dell’Italia, ben disposti
ad allearsi erano per gli Inglesi una forza da
non trascurare. Il Primo Ministro Churchill
arrivò alla conclusione che «Gli Italiani sono
deboli e poco affidabili, per cui questi Cosacchi
potrebbero ancora fare comodo».
A questo punto avvenne quello che fu definito «il tradimento dei cosacchi» (Fig. 14).
I loro accampamenti presso la città di Lienz
furono circondati e recintati dalle truppe britanniche, e, con grande loro sorpresa, i militari e i civili assediati furono disarmati e fatti prigionieri. In effetti, il trattato di Yalta aveva previsto che i prigionieri rientrassero nelle loro patrie. La sorte dei prigionieri cosacchi e slavi meridionali venne segnata il 13 maggio 1945, allorché Maurice Harold Macmillan,
Plenipotenziario del governo britannico per
il Mediterraneo, volò a Klagenfurt per concordare con i sovietici e i vertici del 5° Corpo d’Armata britannico la consegna di circa
40.000 prigionieri Cosacchi e Caucasici, fra
i quali vi erano anche circa 11.000 donne e
bambini. Tra i Cosacchi molti non erano neppure cittadini sovietici ma fuorusciti alla caduta del governo zarista.
Quando seppero quale sarebbe stato il loro
destino, moltissimi preferirono gettarsi nella Drava, in quel periodo in piena tumultuosa
per lo scioglimento delle nevi. Pochi scam-
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Figura 14 – Il tradimento dei cosacchi a Lienz, 28 maggio 1945: i Cosacchi sono circondati ed aggrediti dalle
truppe inglesi (S.G. Korolkov).
parono alla morte. Anche durante il rimpatrio si ebbero diversi episodi di suicidio collettivo. I prigionieri cosacchi, portati nell’URSS, finirono per lo più fucilati, impiccati
o internati nei gulag con condanne a lunghi
anni di detenzione.
Questi gravissimi crimini di guerra furono accuratamente ricostruiti dallo storico anglo-russo conte Nikolai Dimitrevic’ Tolstoy
nelle opere Victims of Yalta, del 1977.
La Carnia durante la sua fiera resistenza ebbe a subire:
– l’uccisione di oltre 150 uomini, donne e
bambini;
– l’estremo oltraggio di oltre un centinaio delle sue donne e giovinette;
– sevizie, bombardamenti e percosse a
molte centinaia di vecchi, donne, ragazzi;
– l’internamento di quasi un migliaio di
persone non combattenti, fra cui oltre un centinaio di donne, trascinate ai lavori forzati in
Germania o più spesso nei campi di concentramento tedeschi, donde ritornarono,
quelle che ritornarono, estenuate e inferme;
– l’incendio o la distruzione di oltre 500
case e 400 casolari, tra cui l’intero complesso dei tre centri abitati di Forni di Sotto;
– il saccheggio di migliaia di case, condotto
in modo da lasciare 6000 persone prive di vesti, calzature, coperte e lenzuola;
– devastazioni vandaliche e incendi distruttori di molti boschi, in prevalenza di proprietà comunale.
Per la gente carnica l’occupazione cosacca
rappresentò un martirio, ancor oggi ben vivo
nei ricordi degli anziani. È comunque opportuno riconoscere che in numerosi giunse
a stabilire una sorta di convivenza forzata che,
in qualche caso, diede luogo anche a episodi di fraternizzazione tra occupanti ed occupati. Durante l’inverno le forze lavorative locali, bloccate le tradizionali attività, dovettero necessariamente aderire alle offerte
di lavoro degli occupanti nazisti.
Non mancarono inoltre casi di pacifica
convivenza e va anche detto che in seguito
a quel periodo si registrarono anche alcuni
matrimoni fra donne carniche e soldati cosacchi, molti dei quali disertarono e passarono ai partigiani.
I principali responsabili del movimento cosacco, tra i quali l’Atamano Krasnov e il Generale Domanov, vennero processati e giustiziati a Mosca nel 1947.
Quando i Cosacchi dopo la resa furono
rimpatriati nell’Unione Sovietica, il Generale
von Pannwitz scelse di accompagnarli e fu anch’egli giustiziato a Mosca nel 1947.
Il Gauleiter Friedrich Rainer, catturato in
Austria nel 1945 dagli inglesi, fu consegnato
agli Jugoslavi che lo processarono per crimini di guerra e lo impiccarono il 19 luglio 1947.
Il 12 giugno 1992 la Duna russa approvò
una risoluzione che riabilitava i cosacchi quali vittime dello stalinismo.
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IntervistaaRebeccaArgentero,vincitricedellaborsadistudio2015-16
Concorso nazionale
“legalità e cultura dell’etica”
Maria Luigia Muroni
da più di un decennio che mi occupo
con vivo interesse di concorsi e di corsi di formazione dedicati alle giovani
generazioni. I temi scelti sono sempre stati di
grande attualità, e ai molti soci del Club che
hanno collaborato con me va il merito di aver
contribuito, con professionalità ed impegno,
a decretare il successo di tutte le iniziative,
ideate e realizzate sul territorio.
Per il concorso Legalità e Cultura dell’Etica, la platea non è più solo locale: coin-
È
volge, infatti, tutti i Distretti Rotary d’Italia
e sono i Governatori a scegliere il tema specifico da proporre di anno in anno. L’eccellente risultato dei concorsi svoltisi in questi
anni di frenetica attività, lo dobbiamo a Patrizia Cardone, infaticabile e appassionata
presidente della Commissione, e al sostegno
costante del nostro socio Salvatore Fozzi, responsabile per il Sud Sardegna.
Portare la Legalità e l’Etica all’attenzione dei giovani studenti non è affatto semplice:
Il presidente Stefano Oddini Carboni con Maria Luigia Muroni e il generale della Guardia di finanza Umberto
Di Nuzzo premiano la studentessa Rebecca Argentero.
giugno 2016 —
è un tipo di intervento educativo che comporta una rigorosa ricerca finalizzata all’apprendimento delle norme proprie di un
civile comportamento, con l’intento dichiarato di arginare abusi e soprusi, di molti dei
quali spesso non si viene a conoscenza.
È quindi necessario aiutare i ragazzi ad
essere più corretti ed onesti e ad esercitare la
propria libertà nel rispetto della libertà altrui. Il risultato sperato è di migliorare la qualità della loro vita, studiando un efficace percorso di ricerca di quella verità che li convinca
a riappropriarsi dell’etica e a contrastare l’ormai imperante relativismo morale.
La mancanza dell’etica ha sempre avuto effetti devastanti sulle persone, e l’anonimato consentito dal web provoca il protrarsi delle vessazioni nel tempo. Stiamo assistendo ad un aumento dell’isolamento, che crea non poche difficoltà di relazionarsi con gli altri e, da parte
dei giovani studenti, ad un aumento della difficoltà di concentrazione nell’apprendimento.
Non va dimenticata, infine, l’inquietante constatazione che comportamenti violenti e criminosi possono essere la conseguenza di atteggiamenti da bullo in età scolastica. Se non si attua una seria prevenzione, la
nostra società si ritroverà a gestire un numero
sempre maggiore di adulti con grave propensione a delinquere!
A Rebecca Argentero, vincitrice della
borsa di studio del concorso 2015-1016, va il
merito di aver colto l’essenza del problema.
Rebecca, i soci del Club vogliono conoscerti meglio. Vuoi raccontarci qualcosa di te
e dei tuoi interessi personali?
Sono una studentessa di 18 anni e frequento la 5a H del Liceo Pacinotti di Cagliari.
Amo gli sport, i viaggi, la letteratura e la fotografia e sono in procinto di iscrivermi all’Università in Relazioni Diplomatiche Internazionali.
Perché hai deciso di partecipare al Concorso Legalità?
Me lo ha proposto la mia insegnante di
Storia dell’Arte, visto il mio interesse per i progetti di comunicazione dell’immagine.
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Come ti è nata l’idea del manifesto, quali valori hai voluto comunicare e quale messaggio hai voluto trasmettere con i versetti di
Kipling?
L’idea è partita a seguito di una mostra
che ho visto qualche mese fa; in essa l’artista ha presentato il tema della guerra, utilizzando fotografie storiche inserite in un
contesto insolito: oggetti di vita quotidiana
(cassette del latte, vassoi per i bisturi, teglie
da forno); ognuno di questi oggetti, ha assunto una forte valenza simbolica e la
guerra non era più lontana, bensì vicina,
quasi tangibile. Questo è quello a cui mi
sono ispirata… ma non bastava. Serviva
qualcosa che facesse capire come il bullismo, questa realtà così vicina a noi giovani,
fosse anche estremamente sconosciuta a chi
ci guarda da fuori. Primi fra tutti i nostri
genitori. Così è venuta l’idea della poesia.
Sono alcuni versi presi da “SE” di Kipling.
Quello che mi ha trasmesso, leggendola, è
stato un senso di fiducia e speranza. Ogni
genitore spera che il proprio figlio ottenga il
meglio dalla vita; che abbia sani valori e
grandi ideali. Chissà la sorpresa poi, nello
scoprire come tali speranze si infrangono
alla vista delle lacrime di tuo figlio che ti
viene a dire «Papà, a scuola mi prendono in
giro» o «Papà, mi picchiano». Anzi, spesso
non lo vengono nemmeno a dire. La verità,
spesso, si scopre attraverso fonti indirette,
o peggio, da un poliziotto che ti viene a bussare in casa. Volevo rappresentare questo:
l’incomunicabilità tra genitori e figli.
Ti è capitato di assistere a fenomeni di bullismo nelle scuole che hai frequentato e di capire in che modo vengono individuate le vittime?
Nella mia scuola, fortunatamente, non mi
è mai capitato. Siamo fortunati, perché
ognuno, nei limiti, è libero di esprimersi come
vuole. Di questo sono molto orgogliosa.
Però, so di episodi accaduti nella mia città,
conclusisi in modo tragico. In questo caso, essendo un’estranea ai fatti, non saprei come
esprimermi al riguardo.
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Secondo il tuo parere personale, che cosa
spinge i bulli ad agire contro ragazzi “ deboli
e indifesi”?
È un concetto estremamente difficile. Essere una vittima è destabilizzante: non sai di
chi fidarti e spesso subisci in silenzio, pur di
non destare le ire dei bulli. Il terrore di una
loro contromossa è paralizzante. Oppure la
gente non ti crede: dice che esageri, e sminuisce. Questo spesso accade con i genitori.
L’unica colpa della vittima di un bullo è quella di non essere un diverso. Non è omologato alla massa e, per alcune caratteristiche, si
distingue dagli altri. Non c’è un prototipo di
vittima: può essere chiunque, dal ragazzo in
sovrappeso e timido, al ragazzo estroverso e
solare. Il bullo agisce per “ridimensionare”
quella persona, per necessità di impressionare
se stesso e gli altri. Il bullo è insicuro. Tale debolezza viene colmata con il fare del male: perché crede che sia l’unico modo per dimostrare
la propria forza. Ogni volta che agisce, la sua
insicurezza si placa per un po’, per riacuirsi di lì a poco. E via di nuovo, una nuova scarica di botte, una nuova ondata d’insulti. La
violenza è per lui un bisogno: più ne causa,
più ne diviene dipendente.
schermo. Non sei visto, non sei giudicato. Puoi
dire e scrivere quello che vuoi. Tanto nessuno ti vede. Anche il bullo si sente sotto il giudizio degli altri. Non c’è da stupirsi che il nuovo tipo di bullismo si sviluppi più online che
faccia a faccia.
Ritieni sufficienti i contatti tra il mondo
della scuola e la realtà sociale?
I contatti non sono per niente adatti: i ragazzi non si sentono a proprio agio nel parlarne. Credo che si sentano giudicati, soprattutto i più piccoli. L’adolescenza è un periodo difficile, che ti porta a vedere il mondo come qualcosa di ostile. I genitori sono i
primi ad essere visti in questo modo. C’è bisogno di più dialogo e meno pregiudizi. Gli
adulti non hanno vissuto questo fenomeno,
quindi non sanno ciò che i giovani provano.
Hai detto che, subito dopo la maturità, affronterai una nuova esperienza all’estero. Credi che lo scambio di culture e tradizioni possa creare una base di partenza per future intese sul tema della Legalità e dell’Etica?
Assolutamente sì: oltre al dialogo tra vecchie e nuove generazioni, oggigiorno c’è bisogno di dialogo tra le varie culture. Siamo
nell’era della globalizzazione, e ancora si sente parlare di discriminazione razziale. Molti fenomeni di bullismo si sviluppano per questo motivo. C’è bisogno di capire che ciò che
è diverso ci arricchisce. Ma, prima di tutto,
bisogna che noi capiamo quali siano le nostre radici culturali, considerando sia pregi
che difetti. Solo in tal modo si potrà porre rimedio ad esse: l’integrazione serve a migliorare noi stessi e la nostra società, laddove
ci sono delle mancanze. Questo è l’unico modo
in cui si potrà prosperare. Chiudersi nella diffidenza e nell’odio non può portare ad altro
se non alla stagnazione. La novità è importante per la salvaguardia di una realtà sociale. L’impero romano ha resistito per questo motivo: sapeva che l’integrazione avrebbe portato giovamento. Così, dall’integrazione
della cultura greca nacque la cultura latina, da cui derivò quella italiana. Siamo il risultato di millenarie evoluzioni ed integrazioni. È un processo naturale e bisogna riconoscerlo come tale. Chiudersi alla novità
equivale a negare la nostra essenza come individui e come società.
Cosa pensi dei network in relazione al cyberbullismo?
Il network è un mondo pericoloso. Chiunque si sente più coraggioso dentro uno
Grazie, Rebecca! A nome del Club e a titolo personale ti auguro un futuro brillante
e ricco di soddisfazioni.
■
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Commissione “Rotary per le scuole”
Borsa di studio LUISS
Rotary International
Distretto 2080/Borsa di Studio Orientation Summer School LUISS Guido Carli.
Vincitore Marco Malandrone — IV B – Liceo scientifico “Michelangelo” – Cagliari
a Commissione, costituita da Maria
Luigia Muroni e da Francesco Danero, ha accolto la proposta di Giulia Pesciallo, referente rotariana, di partecipare al Concorso indetto dalla LUISS per l’assegnazione di una Borsa di Studio per l’area
Sardegna, tramite il Distretto Rotary 2080.
Il Bando, rivolto agli studenti di IV Liceo,
prevedeva, per il vincitore, l’esenzione totale dalla quota di partecipazione alla Orientation Summer School 2016, della durata di
una settimana.
La Commissione ha prescelto il Liceo
Scientifico “Michelangelo” di Cagliari, presso il quale si è tenuto, a seguito di accordi tra
Maria Luigia e la preside Ada Pinna, un incontro di informazione rivolto agli studenti
delle classi quarte, nel corso del quale è stato presentato il Progetto e la Convenzione Rotary-LUISS e si è resa nota l’attività che il no-
L
stro Club svolge per le Giovani Generazioni.
Oltre al Liceo Michelangelo, hanno partecipato al Concorso, per l’area Sardegna, i
Club di Nuoro, Macomer, Tortolì e Tempio
Pausania.
La prova, che si è svolta il 16 marzo 2016.
nei locali del Liceo, consisteva in un questionario composto da 35 domande (con tre,
quattro o cinque alternative di risposta,
una sola delle quali era corretta), inviato dalla LUISS a Maria Luigia in formato elettronico e mantenuto assolutamente riservato fino
alla data stabilita per la somministrazione.
Il tempo concesso per la prova era di 45 minuti e le procedure assai rigorose.
L’esito del test, appena pervenuto, ha decretato vincitore lo studente Marco Malandrone della IV B del Liceo Michelangelo di
Cagliari. A Marco gli auguri più belli da parte di tutto il nostro Club.
■
Rivivono nella memoria versi del Pascoli
appresi in lontani studi:
C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole…
e sento che sono intorno nate le viole...
perché le immagini della poesia sono diventate felice e gioiosa realtà
per Alessandro e Valentina Fasciolo ed il loro piccolo Andrea
per la nascita, il 4 maggio, di una bambina,
che hanno chiamato Viola.
A tutti e quattro ed ai loro cari,
auguri affettuosi di tutti i soci.
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Rotary Club Cagliari — giugno 2016
Benvenuto ai nuovi soci
Daniela FANARI
Nata a Cagliari, è docente di italiano nella Scuola Selargius 2.
Ha conseguito il diploma magistrale nel 1991 e nel 2000 la Laurea in Lettere Moderne nella Università di Cagliari. Dal
1996 al 1998 è stata presidente dell’associazione culturale Paneos per la pubblicazione di un periodico di informazione libera con contenuti legati alla politica, al sociale ed alla cultura. Ha collaborato come responsabile della logistica
commerciale e delle vendite nell’azienda Freelandia di Cagliari e, dal 2001 al 2006, ha svolto attività di promotore
delle vendite presso la società Pubbliodeon, sempre in Cagliari. Si è particolarmente impegnata, frequentando Corsi e
conseguendo Master, nello studio della Metodologia didattica maturando in diversi anni di docenza grazie agli studi svolti
e alle specifiche competenze ed esperienze nei diversi ruoli una vasta e valida capacità di operare per l’inclusione scolastica e l’integrazione di culture straniere. È sposata con il Dottor Gianluca Mulleri, amministratore unico della Mulleri
Vini srl. Hanno due splendide figlie di 8 e 11 anni. Attualmente si occupa dell’organizzazione di eventi legati al posizionamento dell’azienda di famiglia in un contesto mirato alla internazionalizzazione del prodotto sardo rivisto in chiave culturale attraverso la letteratura, l’arte e la musica del
territorio. Lingue: spagnolo e inglese scolastico. Appassionata di viaggi che intraprende in tutto il mondo; amante di letteratura (con predilezione per
Grazia Deledda) di storia, musica e cinema. Pratica equitazione a livello amatoriale.
Stefano FILUCCHI
Nato a Roma il 18 ottobre 1959. Laureato in Giurisprudenza presso “La Sapienza” di Roma e poi cultore di diritto
penale in detta Università. Vincitore di concorso per Vice Commissario di polizia ha svolto funzioni sempre più importanti: aggregato al Servizio Centrale Operativo (SCO) come responsabile del Pool investigativo presso la Procura
della Repubblica di Roma per le indagini sull’omicidio di Roberto Calvi e sulle connessioni mafiose; è stato impegnato
in attività investigativa su banche e su società costituite per riciclare fondi illeciti e sulla partecipazione delle stesse
a gare ed appalti pubblici; assegnato alla Direzione Investigativa Antimafia (DIA) quale capo sezione dei Centri Operativi di Roma, Palermo e Firenze; dirigente la Squadra Mobile di Lucca; dirigente sezione Criminalità Organizzata
Toscana; reggente squadra mobile di Firenze; Direttore di Sicurezza di detto Comune. Dal 2002 al 2014 esperto
per la sicurezza dell’organismo ONU Unicri in materia di giustizia e criminalità. Portavoce del Capo della Polizia Italiana prof. Gianni de Gennaro. Nominato Commendatore nel 2008. Nel 2015, su proposta del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, gli viene
conferita l’onorificenza di Grande Ufficiale. Vice Direttore Generale di F.C. Internazionale S.p.A. e dal 2014 Vice Presidente Cagliari Calcio S.p.A.
È stato, in diverse occasioni, docente presso la Università Cattolica di Milano, facoltà di “Scienze della Comunicazione” e presso l’Università di
Urbino per l’insegnamento di diritto processuale amministrativo. Vice presidente Confindustria Sardegna Meridionale; componente giunta Confindustria Sardegna Regionale. Direttore Sicurezza e relazioni esterne della Saras; poi Consigliere di amministrazione della Sarlux. Risolto il precedente rapporto di dirigente, diventa Consulente Saras con delega sulle Relazioni Esterne Istituzionali. Amministratore unico Fg Consulting operante
nel settore delle relazioni esterne con particolare riferimento all’impatto ambientale. Presidente del Consiglio di amministrazione di società del gruppo
Macarthurglenn operativa nel settore degli outlet commerciali.
Francesco PISENTI
Avvocato, socio dello Studio Legale Di Cecco e Associati con sede a Roma, Cagliari, Milano.
Ha trascorso la giovinezza a Pordenone e, poi, a Bologna ove ha svolto gli studi universitari laureandosi in giurisprudenza nel 1989. Negli anni universitari è stato socio del Rotaract Pordenone partecipando a numerose iniziative locali. Iscritto nell’Albo degli Avvocati di Roma dal gennaio 1997.
Ha esercitato la professione, con particolare impegno in diritto commerciale, collaborando e poi associandosi a studi
legali attivi in tale materia e perfezionando le sue conoscenze con specifici Corsi e Master (in particolare quello in
Diritto Commerciale Internazionale del 2004/05 della “Sapienza”).
Attualmente svolge attività di consulenza ed assistenza legale, anche giudiziale, prevalentemente in materia di diritto dei contratti d’impresa, anche internazionali, di diritto societario e diritto della crisi di impresa, ed anche, per i
profili strettamente connessi a tali materie, di diritto comunitario e amministrativo. Assiste il cliente per la tutela dei suoi diritti ed interessi anche
nei confronti di procedure concorsuali, nella realizzazione di operazioni societarie straordinarie, nella redazione di contratti sia di diritto interno
che internazionale. Ottima conoscenza della lingua inglese. Intenso l’impegno sportivo: sci (a livello agonistico); corsa (a livello amatoriale) partecipando a molte maratone, fra cui quelle di Londra e New York; alpinismo; vela e windsurf. Ama viaggiare e leggere. È sposato con Emilia Niccolini. Hanno due figlie: Maria Alessandra e Lucrezia di 14 e 11 anni. Abita a Roma.
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Rotary Club Cagliari — giugno 2016
LE RIUNIONI DEL CLUB
3 DICEMBRE 2015
Presiede: STEFANO ODDINI CARBONI
ASSEMBLEA DEI SOCI
Sono presenti
I soci: Michele Bajorek, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Luigi Bettoni, Francesco Birocchi, Maurizio Boaretto, Antonio Cabras, Giovanni Maria Campus, Giuseppe
Cascìu, Guido Chessa Miglior, Alberto Cocco Ortu, Rafaele Corona, Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Antonio Facci, Marinella
Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus, Salvatore Fozzi, Patrizia Giranu, Richard Knowlton, Riccardo
Lasic, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Massimiliano Masia, Pasquale Mistretta,
Margherita Mugoni Contini, Maria Luigia Muroni, Roberto
Nati, Stefano Oddini Carboni, Cecilia Onnis, Lucia Pagella, Alessandro Palmieri, Enzo Pinna, Giampaolo Piras,
Domenico Porcu, Luigi Puddu, Mauro Rosella, Michele
Rossetti.
10 DICEMBRE 2015
MADE IN ITALY
Presiede: STEFANO ODDINI CARBONI
Relatore: NINO CERRUTI
Sono presenti
I Soci: Angelo Aru, Francesco Autuori, Ginevra Balletto,
Giovanni Barrocu, Luigi Bettoni, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Giovanni Maria Campus, Rafaele Corona,
Francesco Danero, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Antonello Facci, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro,
Paola Giuntelli, Richard Knowlton, Alberto Lai, Riccardo
Lasic, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Massimiliano Masia,
Stefano Oddini Carboni, Alessandro Palmieri, Antonio
Piras, Domenico Porcu, Luigi Puddu, Michele Rossetti,
Pier Francesco Staffa;
Le signore: Luisa Bettoni, Elia Cabras, Maria Rosaria
Corona, Paola Dessì, Evelina Knowlton, Lia Lixi, Carola
Oddini Carboni, Patrizia Palmieri;
Gli ospiti: del Club i giovani del Rotaract ing. Ugo Lorenzo Loi, Davide Rossetti, arch. Michele Schintu, Mercede Schintu, e l’avv. Paolo Poddi, di Francesco Danero
il dott. Giovanni Baltolu, la dott.ssa Giulia Baltolu, Anna
Puxeddu, di Stefano Oddini Carboni Mario Tola, Giuseppe
Spiga, Teresetta Dessì, Gianfranco Lussu, Giuseppe
Cocco, Daniela Viale, Eriberto Piu, Luisa Aglieta, Piero
Ardu, Gabriella Mura, Fabrizio Montaldo, Maria Teresa
Petrini, Benedetto Amat, Nino Sulas, Rosanna Piras, Giovanni Congiu, Alberto Melis, Emanuele Garzia, Erica Marrazzi, Marco Rodriguez e gentile consorte Diana, di
Domenico Porcu la dr.ssa Daniela Fanari, di Michele Rossetti Luigi Cosentino.
17 DICEMBRE 2015
CENA DEGLI AUGURI DI NATALE
Presiede: STEFANO ODDINI CARBONI
Sono presenti
I Soci: Angelo Aru, Francesco Autuori, Efisio Baire, Michele Bajorek, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Luigi
Bettoni, Francesco Birocchi, Maurizio Boaretto, Antonio
Cabras, Giovanni Maria Campus, Carlo Carcassi, Giuseppe
Cascìu, Guido Chessa Miglior, Vincenzo Cincotta, Rafaele
Corona, Piergiorgio Corrias, Francesca Cozzoli, Francesco
Danero, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Alessandro Fasciolo, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Giuseppe Fois, Salvatore Fozzi, Alessio Grazietti, Richard
Knowlton, Riccardo Lasic, Andrea Lixi, Mauro Manunza,
Marcello Marchi, Massimiliano Masia, Giuseppe Masnata,
Margherita Mugoni Contini, Maria Luigia Muroni, Roberto
Nati, Stefano Oddini Carboni, Cecilia Onnis, Lucia Pagella,
Antonio Piras, Giampaolo Piras, Domenico Porcu, Luigi
Puddu, Gianpaolo Ritossa, Mauro Rosella, Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada, Pinuccio Sciola;
Le signore: Anna Maria Autuori, Giulia Baire, Luisa Bettoni, Marina Birocchi, Elia Cabras, Maria Vittoria Carcassi,
Luisella Chessa Miglior, Franca Cincotta, Maria Rosaria
Corona, Maria Corrias, Paola Dessì, Valentina Fasciolo,
Pietrina Ferro, Lina Fois, Franca Fozzi, Evelina Knowlton,
Paola Lasic, Lia Lixi, Tiziana Masnata, Carola Oddini Carboni, Loredana Piras, Vanda Porcu, Maria Grazia Rosella,
Maura Rossetti, Elisabetta Sanjust di Teulada;
Gli ospiti: del Club i giovani del Rotaract Club Cagliari
con il presidente ing. Ugo Lorenzo Loi, Desirèe Vagnozzi,
Michele Schintu, Mercede Schintu, Davide Rossetti, Simone Parente, Silvia Pasquini, Alessandro Usai, Francesca Manca, i giovani dell’Interact Club Cagliari con il
presidente Michele Oddini Carboni, Alberto Farris, Rafaele Corona, Clarissa Bartolone, Ludovica Donato, Stefano Serreli, Margherita Atzeni, Elena Pusceddu,
Valentina Castellano, Sergio Montaldo, Alberto Mannoni,
Guia Paoletti, Fabrizio Schirru, Carlo Colomo, Enrico
Fadda, Carolina Pellerano, Veronica Corvo, i giovani dello
Scambio Giovani Jurgen Anderson, Antonella Catarina
Palermo Martins, Layla Alhajjaj, Sarah Downs, Franz
Worle, Anna Tatarbieva, Jessica Kuhn, suor Anna dell’Oasi S. Vincenzo, il chitarrista Giancarlo Ruggiu accompagnato dai genitori, dalla sorella e dal maestro
Simone Onnis con la dr.ssa Monica Sotgiu, di Francesco
Danero la madre dr.ssa Maria Cristina Biggio, il dr. Giuseppe Tondini, di Richard Knowlton Bruno Cannas (Past
President RC Carbonia) e gentile consorte Anna, di Riccardo Lasic la madre Paola, di Giuseppe Masnata Cecilia
Marchi Masnata, di Margherita Mugoni Contini la sorella
Giovanna Mugoni, di Stefano Oddini Carboni la figlia Lucrezia, l’avv. Francesco Pisenti, il segretario della Fondazione Banco di Sardegna dr. Carlo Mannoni e
Francesca Bova, il dr. Roberto Corona e gentile consorte
Rosalba, di Domenico Porcu il figlio Alberto, la madre Teresa Cortese Porcu e la dr.ssa Daniela Fanari, di Michele
Rossetti Roberta Cosentino.
14 GENNAIO 2016
ASSEMBLEA DI CLUB
Presiede: STEFANO ODDINI CARBONI
Sono presenti
I soci: Angelo Aru, Francesco Autuori, Ginevra Balletto,
Giovanni Barrocu, Luigi Bettoni, Francesco Birocchi, Maurizio Boaretto, Christian Cadeddu, Giovanni Maria Campus, Carlo Carcassi, Alberto Cocco Ortu, Rafaele Corona,
Francesco Danero, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Alessandro Fasciolo, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore
Ferro, Patrizia Buttoni Giranu, Riccardo Lasic, Caterina
Lilliu, Marcello Marchi, Massimiliano Masia, Giuseppe
Masnata, Pasquale Mistretta, Stefano Oddini Carboni,
Cecilia Onnis, Alessandro Palmieri, Enzo Pinna, Antonio
Piras, Giampaolo Piras, Domenico Porcu, Gianpaolo Ritossa, Michele Rossetti, l’assistente del Governatore avv.
Rita Dedola (RC Cagliari Anfiteatro).
21 GENNAIO 2016
ARCHEOLOGIA SPERIMENTALE IN
SARDEGNA
Presiede: STEFANO ODDINI CARBONI
Relatore: CARMINE PIRAS
Sono presenti
I Soci: Angelo Aru, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu,
Luigi Bettoni, Maurizio Boaretto, Giovanni Maria Campus, Rafaele Corona, Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Antonio Facci, Marinella Ferrai Cocco Ortu,
Salvatore Ferro, Alessio Grazietti, Giorgio La Nasa, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Mauro Manunza,
Marcello Marchi, Massimiliano Masia, Maria Luigia Muroni, Roberto Nati, Stefano Oddini Carboni, Cecilia Onnis,
Lucia Larry Pagella, Anna Piras, Antonio Piras, Giampaolo
Piras, Luigi Puddu, Mauro Rosella, Michele Rossetti;
Le signore: Maria Grazia Rosella;
Gli ospiti: del Club i figli del relatore Salvatore e Maria
Paola Piras, i giovani del Rotaract Ugo Lorenzo Loi, Roberta Coa, Mercede Schintu, Desiree Vagnozzi, di Gianni
Campus la prof.ssa Maria Antonietta Mongiu, già Assessore Regionale alla Cultura e presidente F.A.I. Sardegna,
di Francesco Danero la dr.ssa Maria Cristina Biggio, l’ing.
Luca Baltolu e Cecilia Tuveri.
28 GENNAIO 2016
CRISI DELLA FAMIGLIA, TRASFORMAZIONE
DELLA SOCIETÀ, OSSERVAZIONI SUL
SINODO
Presiede: STEFANO ODDINI CARBONI
Relatore: RAFAELE CORONA
Sono presenti
I Soci: Angelo Aru, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu,
Luigi Bettoni, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Giovanni Maria Campus, Giuseppe Cascìu, Rafaele Corona,
Francesco Danero, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Alessandro Fasciolo, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Mario
Figus, Salvatore Fozzi, Giuliano Frau, Alessio Grazietti,
Giorgio La Nasa, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Andrea
Lixi, Salvatore Lostia di S. Sofia, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Pasquale Mistretta, Maria Luigia Muroni,
Stefano Oddini Carboni, Simonetta Oddo Casano, Lucia
Larry Pagella, Alessandro Palmieri, Enzo Pinna, Antonio
Piras, Giampaolo Piras, Gian Paolo Ritossa, Michele Rossetti, Pier Francesco Staffa;
Le signore: Bettoni Luisa;
I rotariani in visita: Orsola Altea (RC Sanluri Medio
Campidano), Angelo Stellato (RC Sant’Agata dei Goti);
Gli ospiti: del Club la preside del Liceo Michelangelo di
Cagliari Ada Pinna, di Rafaele Corona il fratello prof. Giovanni Corona (PP RC Cagliari Est) e gentile consorte Fernanda, di Marcello Marchi Cecilia Marchi Masnata.
4 FEBBRAIO 2016
RAPPORTI TRA FISCO E CONTRIBUENTI
Presiede: STEFANO ODDINI CARBONI
Relatore: GEN. B. UMBERTO DI NUZZO
Sono presenti
I Soci: Angelo Aru, Giovanni Barrocu, Luigi Bettoni, Francesco Birocchi, Maurizio Boaretto, Antonio Cabras, Giovanni Maria Campus, Giuseppe Cascìu, Guido Chessa
Miglior, Vincenzo Cincotta, Rafaele Corona, Francesca
Cozzoli, Francesco Danero, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Salvatore Fozzi, Caterina
Lilliu, Mauro Manunza, Maria Luigia Muroni, Stefano Od-
giugno 2016 —
dini Carboni, Simonetta Oddo Casano, Cecilia Onnis,
Enzo Pinna, Anna Piras, Antonio Piras, Domenico Porcu,
Luigi Puddu, Mauro Rosella, Michele Rossetti, Pier Francesco Staffa;
Le signore: Franca Cincotta, Carola Oddini Carboni;
Gli ospiti: del Club il gen. B. Giampiero Ianni (Comandante Provinciale GdF), il ten. col. Antonello Urgeghe, di Angelo Aru il sig. Gino Sulis, di Stefano Oddini
Carboni il dr. Alberto Melis, di Domenico Porcu il dr. Stefano Filucchi e la dr.ssa Daniela Fanari.
11 FEBBRAIO 2016
VISITA DEL GOVERNATORE GIUSEPPE
PERRONE
Presiede: STEFANO ODDINI CARBONI
Sono presenti
I Soci: Angelo Aru, Francesco Autuori, Ginevra Balletto,
Giovanni Barrocu, Luigi Bettoni, Francesco Birocchi, Maurizio Boaretto, Antonio Cabras, Giovanni Maria Campus,
Giuseppe Cascìu, Guido Chessa Miglior, Alberto Cocco
Ortu, Rafaele Corona, Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Antonio Facci, Alessandro Fasciolo, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore
Ferro, Mario Figus, Salvatore Fozzi, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Maria Luigia Muroni, Stefano Oddini Carboni,
Simonetta Oddo Casano, Cecilia Onnis, Enzo Pinna, Antonio Piras, Domenico Porcu, Michele Rossetti;
Le signore: Luisella Chessa Miglior, Paola Dessì, Valentina Fasciolo, Piera Ferro, Carola Oddini Carboni,
Vanda Porcu;
Gli ospiti: del Club il Governatore del Distretto Rotary
2080 Giuseppe Perrone e gentile consorte Mirella, il Segretario Distrettuale per la Sardegna Giacomo Oppia e
gentile consorte Anna, il Presidente del Rotaract Club Cagliari Ugo Lorenzo Loi e i soci Davide Rossetti, Paola Carcassi, Antonello Fiori, Michele Schintu, Simone Parente,
Alessandro Usai, Silvia Pasquini, Piergiuseppe Floris, Nicola Cossu, il Presidente dell’Interact Club Cagliari Michele Oddini Carboni e i soci Ludovica Donato, Stefano
Serreli, Rafaele Corona, Veronica Corvo, Clarissa Bartolone, Margherita Atzeni, Fabrizio Schirru, Alberto Farris,
Enrico Fadda, Carolina Pellerano, Gabriele Ibba, di Ginevra Balletto la dr.ssa Daniela Fanari, di Stefano Oddini
Carboni Lucrezia Oddini Carboni.
18 FEBBRAIO 2016
CAGLIARI CITTÀ DEL VENTO: DA LUNA
ROSSA A CAPITALE DELLA VELA PER I
GIOCHI OLIMPICI 2024
Presiede: STEFANO ODDINI CARBONI
Relatori: MAX SIRENA (in collegamento da
Aukland, NZ), MIRCO BABINI, PIETRO SIBELLO,
ANDREA CASIMIRRI
Sono presenti
I Soci: Francesco Autuori, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu, Francesco Birocchi, Maurizio Boaretto, Antonio Cabras, Carlo Carcassi, Giuseppe Cascìu, Guido Chessa
Miglior, Vincenzo Cincotta, Rafaele Corona, Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Angelo Deplano, Alfonso Dessì,
Antonio Facci, Daniela Fanari, Alessandro Fasciolo, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Richard Knowlton,
Riccardo Lasic, Stefano Liguori, Caterina Lilliu, Andrea Lixi,
Salvatore Lostia di S. Sofia, Mauro Manunza, Marcello
Marchi, Maria Luigia Muroni, Roberto Nati, Stefano Od-
Rotary Club Cagliari
dini Carboni, Cecilia Onnis, Lucia Larry Pagella, Alessandro Palmieri, Franco Passamonti, Anna Piras, Antonio Piras,
Luigi Puddu, Gian Paolo Ritossa, Michele Rossetti;
Le signore e i consorti: Luisella Chessa Miglior,
Franca Cincotta, Davide Tocco, Paola Dessì, Evelina Knowlton;
Gli ospiti: del Club il presidente dell’Interact Club Cagliari Michele Oddini Carboni, il presidente del Rotaract
Club Cagliari Ugo Lorenzo Loi, Mercede Schintu, di Alfonso Dessì la figlia Stefania, di Daniela Fanari la dr.ssa
Silvia Marras, di Stefano Oddini Carboni Alberto Melis,
Antonio Salaris, Alessio Vigna, Luca Moricca, Antonio Barabino (Presidente Rc Olbia), Giuseppe Pilota, Valentina
Marrocu, di Cecilia Onnis Luca Dessì e gentile consorte
Monica. È altresì presente il sig. Paolo Favilla.
25 FEBBRAIO 2016
LE BANCHE ITALIANE NEL PERCORSO DI
INTEGRAZIONE EUROPEA
Presiede: STEFANO ODDINI CARBONI
Relatore: LUIGI BETTONI
Sono presenti
I soci: Angelo Aru, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu,
Luigi Bettoni, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Giovanni Maria Campus, Carlo Carcassi, Guido Chessa Miglior, Francesco Danero, Daniela Fanari, Marinella Ferrai
Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Giuseppe Fois, Salvatore
Fozzi, Richard Knowlton, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu,
Andrea Lixi, Maria Luigia Muroni, Stefano Oddini Carboni, Simonetta Oddo Casano, Cecilia Onnis, Lucia Larry
Pagella, Giampaolo Piras, Domenico Porcu, Michele Rossetti;
Le signore: Luisa Bettoni, Lina Fois, Evelina Knowlton;
Gli ospiti: del Club i giovani del Rotaract Club Cagliari
Roberto Arru, Alberto Domenico Porcu, Desiree Vagnozzi,
Enrico Olla, Andrea Crienti, Laura Carta, Francesca
Manca, di Guido Chessa Miglior il figlio Corrado.
3 MARZO 2016
RAPPRESENTANZE CONSOLARI NEL
TERRITORIO: TUTELA E SVILUPPO
Presiede: STEFANO ODDINI CARBONI
Relatori: MARTINO CONTU, SALVATORE PLAISANT
Sono presenti
I soci: Angelo Aru, Francesco Autuori, Ginevra Balletto,
Giovanni Barrocu, Luigi Bettoni, Antonio Cabras, Giuseppe Cascìu, Guido Chessa Miglior, Rafaele Corona,
Francesca Cozzoli, Francesco Danero, Alfonso Dessì, Antonio Facci, Daniela Fanari, Marinella Ferrai Cocco Ortu,
Salvatore Fozzi, Richard Knowlton, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Massimiliano Masia, Margherita Mugoni, Maria Luigia Muroni, Stefano Oddini
Carboni, Lucia Larry Pagella, Enzo Pinna, Antonio Piras,
Domenico Porcu, Luigi Puddu, Michele Rossetti, Pier
Francesco Staffa;
Le signore: Evelina Knowlton, Lia Lixi;
Gli ospiti: di Stefano Oddini Carboni il console onorario di Svizzera Alberto Vespa, di Franco Staffa il console
onorario del Regno Unito Andrew Graham.
9 MARZO 2016
LONGEVITÀ E DIETA SARDOMEDITERRANEA: QUALE RAPPORTO?
Riunione in Interclub con tutti i Club di
Cagliari e Quartu S. Elena
63
Presiede: EFISIO SANJUST DI TEULADA (RC
Cagliari Sud)
Relatore: dott. ROBERTO PILI
Sono presenti
I soci: Luigi Bettoni, Antonio Cabras, Giovanni Maria
Campus, Carlo Carcassi, Giuseppe Cascìu, Alfonso Dessì,
Marinella Ferrai Cocco Ortu, Caterina Lilliu, Mauro Manunza, Massimiliano Masia, Maria Luigia Muroni, Stefano Oddini Carboni, Cecilia Onnis, Lucia Larry Pagella,
Michele Rossetti;
Le signore: Elia Cabras, Evelina Knowlton, Paola Dessì.
17 MARZO 2016
CLASSI DIRIGENTI DELL’ISOLA DAL REGNO
DI SARDEGNA AL REGNO D’ITALIA
Presiede: STEFANO ODDINI CARBONI
Relatore: Prof. STEFANO PIRA
Sono presenti
I soci: Angelo Aru, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu,
Luigi Bettoni, Francesco Birocchi, Giovanni Maria Campus, Giuseppe Cascìu, Guido Chessa Miglior, Rafaele Corona, Francesco Danero, Alfonso Dessì, Antonio Facci,
Daniela Fanari, Alessandro Fasciolo, Marinella Ferrai
Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus, Riccardo Lasic,
Mauro Manunza, Massimiliano Masia, Margherita Mugoni, Maria Luigia Muroni, Stefano Oddini Carboni, Simonetta Oddo Casano, Cecilia Onnis, Lucia Larry Pagella,
Enzo Pinna, Anna Piras, Antonio Piras, Giampaolo Piras,
Domenico Porcu, Gian Paolo Ritossa, Michele Rossetti;
Le signore: Marina Birocchi, Luisella Chessa Miglior,
Maria Rosaria Corona.
31 MARZO 2016
PASSEGGIATA PER CAGLIARI: ASPETTI
URBANISTICI E ODONOMASTICI
Presiede: STEFANO ODDINI CARBONI
Relatore: ing. MICHELE PINTUS
Sono presenti
I soci: Angelo Aru, Ginevra Balletto, Giovanni Barrocu,
Luigi Bettoni, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Giovanni Maria Campus, Rafaele Corona, Francesco Danero,
Alfonso Dessì, Antonio Facci, Marinella Ferrai Cocco Ortu,
Salvatore Ferro, Mario Figus, Salvatore Fozzi, Riccardo
Lasic, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Massimiliano Masia, Giuseppe Masnata,
Pasquale Mistretta, Maria Luigia Muroni, Roberto Nati,
Stefano Oddini Carboni, Cecilia Onnis, Lucia Larry Pagella, Giampaolo Piras, Luigi Puddu, Gian Paolo Ritossa,
Mauro Rosella, Michele Rossetti, Pier Francesco Staffa;
Le signore: Maria Rosaria Corona, Antonella Figus;
Gli ospiti: del Club il relatore ing. Michele Pintus e gentile consorte, Mario Schoenenberger (Vicepresidente Rotary Club Boracay, D3850 – Filippine) accompagnato
dalla sig.ra Luisa Zedda (Terra di Mezzo 2000 International), Giuseppe Licari (PP RC Iglesias), di Pasquale Mistretta l’arch. Giulia Desogus, di Marcello Marchi Cecilia
Marchi Masnata.
6 APRILE 2016
HPV. TUMORE DELLA CERVICE UTERINA.
VALIDITÀ DELLA TERAPIA VACCINALE
Presiede: EFISIO SANJUST DI TEULADA (Riunione
in Interclub con tutti i Rotary Club di Cagliari e
Quartu)
Sono presenti
64
Rotary Club Cagliari — giugno 2016
I soci: Caterina Lilliu, Massimiliano Masia, Maria Luigia
Muroni, Stefano Oddini Carboni, Domenico Porcu, Luigi
Puddu, Michele Rossetti;
Gli Ospiti: del club il Presidente del Rotaract Club Cagliari ing. Ugo Lorenzo Loi e i soci Roberto Arru, Roberta
Cabula, Sergio Puddu, Veronica Puddu.
29 APRILE 2016
INTERCLUB PER IL GIUBILEO DEI
ROTARIANI A ROMA
Sono presenti
I soci: Stefano Oddini Carboni, Francesco Danero, Richard Knowlton, Domenico Porcu.
14 APRILE 2016
INGEGNERIA NATURALISTICA
Presiede: STEFANO ODDINI CARBONI
Relatori: SANDRO RIVOLDINI, SALVATORE PRETTI,
GIULIO BARBIERI
Sono presenti:
I soci: Angelo Aru, Giovanni Barrocu, Luigi Bettoni, Francesco Birocchi, Maurizio Boaretto, Antonio Cabras, Giovanni Maria Campus, Giuseppe Cascìu, Rafaele Corona,
Francesco Danero, Alfonso Dessì, Marinella Ferrai Cocco
Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus, Salvatore Fozzi, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Marcello Marchi,
Massimiliano Masia, Pasquale Mistretta, Margherita Mugoni, Maria Luigia Muroni, Roberto Nati, Stefano Oddini
Carboni, Simonetta Oddo Casano, Cecilia Onnis, Lucia
Larry Pagella, Antonio Piras, Luigi Puddu, Mauro Rosella,
Michele Rossetti, Giovanni Sanjust di Teulada;
Le signore: Paola Dessì, Maria Grazia Rosella, Elisabetta Sanjust di Teulada;
Gli ospiti: del Club il socio onorario Eugenio Lazzari,
Giuseppe Melis (Presidente Rc Sanluri Medio Campidano), Jean Jacques Pineda (Prefetto Rc Sanluri Medio
Campidano), Manuel Villa Santa e gentile consorte, Nino
Villa Santa e gentile consorte.
5 MAGGIO 2016
L’IMPORTANZA DELLA CYBER SECURITY
Presiede: STEFANO ODDINI CARBONI
Relatore: RICHARD KNOWLTON
Sono presenti
I soci: Angelo Aru, Francesco Autuori, Giovanni Barrocu,
Antonio Cabras, Giovanni Maria Campus, Giuseppe Cascìu, Guido Chessa Miglior, Francesca Cozzoli, Francesco
Danero, Angelo Deplano, Alfonso Dessì, Antonio Facci,
Daniela Fanari, Mario Figus, Patrizia Giranu, Alessio Grazietti, Richard Knowlton, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu,
Andrea Lixi, Mauro Manunza, Massimiliano Masia, Margherita Mugoni, Maria Luigia Muroni, Roberto Nati, Stefano Oddini Carboni, Simonetta Oddo Casano, Cecilia
Onnis, Lucia Larry Pagella, Alessandro Palmieri, Enzo
Pinna, Giampaolo Piras, Domenico Porcu, Luigi Puddu,
Mauro Rosella, Michele Rossetti, Pier Francesco Staffa;
Le signore: Elia Cabras, Evelina Knowlton;
Gli ospiti: del Club i giovani del Rotaract Alessandro
Rossetti e Alessandro Fiori, di Riccardo Lasic la madre
Paola Lasic, il dr. Robert Bainbridge (RC Welligborough,
D1070) e la gentile consorte Barbel, di Domenico Porcu
il dott. Giuseppe Durzu, di Richard Knowlton Bruno Cannas (RC Carbonia) e gentile consorte Anna, Claudia Cannas e Corrado Confalone.
21 APRILE 2016
ROTARY: TRA COMUNICAZIONE E SENSO
Presiede: STEFANO ODDINI CARBONI
Relatore: prof. STEFANO EPIFANI (RC Monterotondo
Mentana)
Sono presenti
I soci: Angelo Aru, Francesco Autuori, Giovanni Barrocu,
Luigi Bettoni, Antonio Cabras, Christian Cadeddu, Giovanni Maria Campus, Carlo Carcassi, Giuseppe Cascìu,
Rafaele Corona, Francesco Danero, Alfonso Dessì, Daniela Fanari, Alessandro Fasciolo, Marinella Ferrai Cocco
Ortu, Salvatore Ferro, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu, Andrea Lixi, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Massimiliano Masia, Giuseppe Masnata, Margherita Mugoni,
Maria Luigia Muroni, Roberto Nati, Stefano Oddini Carboni, Simonetta Oddo Casano, Cecilia Onnis, Lucia Larry
Pagella, Antonio Piras, Giampaolo Piras, Domenico
Porcu, Luigi Puddu, Mauro Rosella, Michele Rossetti;
Le signore: Maria Rosaria Corona;
Gli ospiti: del Club i giovani del Rotaract, i giovani dell’Interact, Vincenza Ibba (Rc Cagliari Est), Antonio Fancello (Rc Cagliari Nord), gen. B. Giampiero Ianni
(Comandante Provinciale Cagliari Guardia di Finanza),
gen. B. Umberto Di Nuzzo (Comandante Regionale Sardegna Guardia di Finanza), prof.ssa Valentina Savona
(Preside Liceo Pacinotti – Cagliari), Rebecca Argentero
accompagnata dai familiari, di Carlo Carcassi il prof. Giuseppe Mercuro.
12 MAGGIO 2016
LE PERIFERIE NEL MONDO SENZA CENTRO
Presiede: STEFANO ODDINI CARBONI
Relatore: LUCIO CARACCIOLO, Direttore di
“Limes”, Rivista italiana di geopolitica
Sono presenti
I soci: Angelo Aru, Francesco Autuori, Giovanni Barrocu,
Luigi Bettoni, Francesco Birocchi, Antonio Cabras, Giuseppe Cascìu, Guido Chessa Miglior, Francesco Danero,
Angelo Deplano, Antonio Facci, Daniela Fanari, Alessandro Fasciolo, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore
Ferro, Mario Figus, Salvatore Fozzi, Giuliano Frau, Patrizia Giranu, Vittorio Giua Marassi, Paola Giuntelli Pietrangeli, Richard Knowlton, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu,
Andrea Lixi, Mauro Manunza, Marcello Marchi, Massimiliano Masia, Pasquale Mistretta, Margherita Mugoni,
Maria Luigia Muroni, Stefano Oddini Carboni, Lucia Larry
Pagella, Enzo Pinna, Anna Piras, Antonio Piras, Domenico Porcu, Luigi Puddu, Mauro Rosella, Michele Rossetti,
Pier Francesco Staffa, Eugenio Lazzari;
Le signore: Luisa Bettoni, Paola Deplano, Lia Lixi, Caròla Oddini Carboni, Vanda Porcu, Maria Grazia Rosella;
Gli ospiti: del Club i giovani del Rotaract Club Cagliari
ing. Ugo Lorenzo Loi e Antonello Fiori, Francesca Manca,
Laura Carta, Roberta Coa, Desiree Vagnozzi, Luca Lai, il
dott. Alessandro Aresu (Limes), la dr.ssa Barbara Cadeddu (Assessore Pianificazione Strategica Comune di
Cagliari) e gentile consorte dr. Massimiliano Molinas, di
Francesco Birocchi il prof. Massimiliano Lasio e il dr.
Mario Frongia, di Francesco Danero la madre dr.ssa
Maria Cristina Biggio, l’ing. Luca Baltolu e Cecilia Tuveri,
di Daniela Fanari il dr. Colin Benz, di Pasquale Mistretta
la dr.ssa Desogus, di Stefano Oddini Carboni Michele Carboni, il dr. Mario Melis e gentile consorte dr.ssa Gabriella
Suella, di Domenico Porcu il dr. Stefano Filucchi e gentile consorte Nadia Luppi, la dr.ssa Carolina Ghezzo, di
Mauro Rosella la figlia Liliana Rosella e gentile consorte
Corrado Fontanarosa con la piccola Lavinia, di Eugenio
Lazzari il figlio ing. Andrea Lazzari e gentile consorte
dr.ssa Daniela Fadda, una rappresentanza dei Rotary
Club di Cagliari Est e Quartu S. Elena.
17 MAGGIO 2016
INTERCLUB PREMIO LA MARMORA
Presiede: ROSANNA MELE (RC Cagliari Anfiteatro)
Relatore: prof. ALESSANDRO RIVA
Sono presenti
I soci: Angelo Aru, Giovanni Barrocu, Luigi Bettoni, Giovanni Maria Campus, Alberto Cocco Ortu, Angelo Deplano, Salvatore Ferro, Salvatore Fozzi, Caterina Lilliu,
Mauro Manunza, Massimiliano Masia, Maria Luigia Muroni, Stefano Oddini Carboni, Simonetta Oddo Casano,
Lucia Larry Pagella, Domenico Porcu, Luigi Puddu, Mauro
Rosella, Michele Rossetti, Giulia Vacca Cau;
Le signore: Caròla Oddini Carboni, Maria Grazia Rosella.
26 MAGGIO 2016
INTERCLUB “IL PATRIMONIO
ARCHEOLOGICO SARDO E L’IMPEGNO DI
SERVIZIO ROTARIANO: COME
CONIUGARLI”
Presiede: CARLO NOTO LA DIEGA (RC Roma Tevere)
Relatori:
Sono presenti
I soci: Luigi Bettoni, Giovanni Maria Campus, Giuseppe
Cascìu, Alberto Cocco Ortu, Francesco Danero, Alfonso
Dessì, Daniela Fanari, Marinella Ferrai Cocco Ortu, Salvatore Ferro, Mario Figus, Riccardo Lasic, Caterina Lilliu,
Andrea Lixi, Massimiliano Masia, Margherita Mugoni,
Maria Luigia Muroni, Roberto Nati, Stefano Oddini Carboni, Cecilia Onnis, Antonio Piras, Domenico Porcu, Luigi
Puddu, Michele Rossetti, Pier Francesco Staffa;
Le signore: Franca Cincotta;
Gli ospiti: del Club il PDG Carlo Noto La Diega (Presidente Fondazione Ranelletti), l’ing. Luca Baltolu, il prof.
Gaetano Ranieri, il prof. Giacomo Del Chiappa, di Vincenzo Cincotta la dr.ssa Ornella Gabbrielli, di Francesco
Danero la madre dr.ssa Maria Cristina Biggio, l’arch. Tomaso Baltolu e gentile consorte Ivana, di Stefano Oddini Carboni Michele Carboni. Sono inoltre presenti le
rappresentanze dei Club: Cagliari Est, Cagliari Nord, Cagliari Sud, Cagliari Anfiteatro, Iglesias, Oristano.
ROTARY INTERNATIONAL – DISTRETTO 2080 ITALIA
ROTARY CLUB CAGLIARI
ORGANIGRAMMA DEL CLUB
Anno Rotariano 2016 / 2017
Presidente
Caterina LILLIU
E-mail: [email protected]
Presidente
uscente
Stefano
ODDINI CARBONI
E-mail: [email protected]
Presidente
eletto
Giovanni Maria
CAMPUS
E-mail: [email protected]
Vice Presidenti
E-mail: [email protected]
Andrea LIXI
Maria Luigia MURONI E-mail: [email protected]
Segretario
Francesco DANERO
E-mail: [email protected]
Tesoriere
Salvatore FERRO
E-mail: [email protected]
Prefetto
Marinella FERRAI
COCCO ORTU
E-mail: [email protected]
Consiglieri
Francesco BIROCCHI
E-mail: [email protected]
Maurizio BOARETTO
E-mail: [email protected]
Mario FIGUS
E-mail: [email protected]