All`origine del vantaggio competitivo:un`analisi di storie
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All`origine del vantaggio competitivo:un`analisi di storie
Davide Scarpazza 1410604 Cleam All’Origine del vantaggio competitivo: un’analisi di storie imprenditoriali di successo Professoressa Paola Cillo 1 2 Ai miei genitori e ai miei nonni, che tanto hanno fatto per farmi arrivare sin qui, e alla tata, che mi è sempre stata vicina. 3 4 Indice Abstract: (pag.6) Introduzione e metodologia impiegata nella raccolta dati (pag. 7) Capitolo 1: Alberto Bertone ed il caso S.Anna (pag.10) Capitolo 2: Le interviste negli Usa (pag. 14) Capitolo 3: Il caso Geox (pag. 23) Capitolo 4: I Casi Rainbow, Asap, Leonardo 3 (pag. 26) Capitolo 5: Conclusione (pag. 28) Appendice e Bibliografia (pag.30) 5 Abstract Questo lavoro finale si propone di ricercare e delineare gli elementi comuni caratteristici di realtà imprenditoriali di successo, tramite l’analisi di alcuni casi aziendali, europei ed americani. Questo desiderio nel ricercare il confine, spesso sfocato ed in apparenza ingiustificato, tra imprenditori di successo e non, ha origine nell’ esperienza di Exchange negli USA, presso la Marshall Business School; in particolare si è voluta estendere in chiave analitico-comparativa un’analisi che prendesse in considerazione imprese americane ed italiane, al fine di trovare punti di contatto e divergenze. Dallo studio emerge solo una diversa attitudine tra gli imprenditori italiani ed americani nei confronti dello stato. Mentre i primi vedono nello stato un pesante ostacolo all’imprenditoria (a causa della lentezza di procedure burocratiche e carico fiscale), per i secondi lo stato è un alleato, per le opposte ragioni. Lungo il percorso di studio tre questioni in particolare hanno attratto la mia attenzione: Chi sono questi imprenditori? Come hanno avviato e sviluppato le proprie aziende? Che cosa gli ha spinti a diventare imprenditori? Dal contemporaneo studio teorico e raccolta empirica di dati tramite interviste e conferenze sono emersi gli elementi in comune, che consentono agli imprenditori di raggiungere il successo : Network Analisi approfondita dell’Industry Criteri di selezione dei collaboratori Determinazione e passione 6 Introduzione Sembra opportuno, prima di procedere con l’analisi dei casi, ricordare quali siano gli stimoli che la letteratura ha fino ad ora elaborato in tema di imprenditorialità, ed in particolare circa il ruolo dell’imprenditore nel successo aziendale. Il primo a concettualizzare in modo esauriente l’imprenditorialità fu Schumpeter (v. bibliografia 1912, 1926, 1927, 1942)1. Egli sostenne che la funzione imprenditoriale rappresentasse la variabile chiave per lo sviluppo economico. Questa funzione imprenditoriale è definibile come attività di innovazione, ossia capacità di combinare in modo nuovo i fattori produttivi (capitale e lavoro). Da ciò scaturiscono nuovi prodotti, che rompono l’equilibrio statico che altrimenti immobilizzerebbe l’economia. Già Schumpeter colse due aspetti che prepotentemente si riaffermano nell’analisi effettuata: l’imprenditore non è il capitalista, almeno non necessariamente. Ciò denota che l’imprenditore non è colui che si assume il rischio, almeno non sempre e quasi mai in toto, grazie alla presenza di intermediatori creditizi. Infine per essere classificati come imprenditori non occorre necessariamente appartenere formalmente all’organizzazione aziendale, poiché può essere innovatore anche il collaboratore esterno all’azienda. Al contrario il manager, secondo Schumpeter, è dedito solo all’ordinaria amministrazione. L’economista austriaco osserva inoltre come, oltre all’innovatività, un’altra componente, innata in questo caso, è propria di ogni imprenditore: la leadership. Quest’ultimo deve infatti essere leader per vincere le barriere (un concetto analogo è stato espresso anche dal dott. Brown) psicologiche e sociali all’innovazione. Un altro apporto significativo è fornito dall’approccio psicosociologico di McClelland (v. bibliografia)2. Di particolare interesse è stato analizzare il contributo dell’accademico statunitense secondo la prospettiva del professor G. Corbetta (v.bibliografia)3 in cui si delineano le qualità comuni degli imprenditori dell’Italian style- che si ritrovano puntualmente anche negli imprenditori d’oltreoceano studiati. Tra queste qualità, determinante secondo lo studio del prof. Corbetta è proprio la motivazione, definita come il desiderio, più accentuato in determinate persone, a vedersi riconosciuto un qualche successo. A tale brama si aggiungono, come ricorda Schumpeter, due elementi: il desiderio di prestigio sociale e la soddisfazione della pulsione creatrice. La seconda qualità ricordata dal prof. Corbetta è la curiosità intellettuale, che fa cogliere le opportunità imprenditoriali. Un terzo tratto comune è la capacità di inserire tale innovatività in “un 7 disegno imprenditoriale, in cui entrano in gioco i vari elementi di cui consta una formula imprenditoriale” (Coda, v Bibliografia)4 . Ciò presuppone una visione completa della realtà aziendale e della formula imprenditoriale. Per cercare di rispondere alle tre domande alla radice di questa analisi: 1) chi sono gli imprenditori?; 2) come hanno avviato le proprie aziende?; 3) che cosa gli ha spinti a diventare imprenditori? era necessario conoscere gli imprenditori in prima persona o quanto meno sentirli parlare in una conferenza della propria esperienza imprenditoriale, dagli albori al successo. È certamente stato un lavoro interessante, che ha permesso di fare luce sulle apparenti contraddizioni che di primo acchito possono presentarsi laddove si analizzino in chiave comparativo-analitica le incongruenze tra gli elementi in teoria necessari per creare imprese di successo e gli elementi in concreto determinanti per ottenere buoni risultati. Vorrei chiarire con un esempio: molti imprenditori in apparenza conseguono un vantaggio competitivo in un determinato settore, pur provenendo da un campo di specializzazione completamente diverso, senza apparenti punti di contatto. Spesso si sente dire che sia più semplice essere imprenditori di successo se non si ha pregressa conoscenza dell’industry in cui ci si vuole collocare. Dopo la raccolta delle testimonianze emerge quanto sia superficiale e poco serio un ragionamento del genere: l’industry analysis è imprescindibile per qualsiasi imprenditore, seppur senza pregressa esperienza lavorativa nel nuovo settore. Ciò che invece è possibile affermare dopo il lavoro di ricerca è che il fatto di provenire da un segmento differente può essere vantaggioso nel non delimitare e soffocare lo spirito creativo ed innovativo in blocchi predefiniti e fissi, dalle cui pratiche consolidate- che spesso sono viste come definitive- è difficilissimo scostarsi. Ma non è in alcun modo sensato né economicamente conveniente- laddove le informazioni hanno un valore economico spesso quantificabile- avviare un’impresa senza conoscere le cinque forze di Porter, ossia senza un po’ di sana ricerca. Questo lavoro, data la difficoltà nella raccolta dei dati, che prevede un’interazione diretta o indiretta con gli imprenditori, nonché la difficoltà intrinseca nel dare una dimostrazione scientifica di quanto affermato, si propone come un’analisi realizzata solo ed esclusivamente con dati primari di un numero direi più che discreto di realtà imprenditoriali, sia ben sviluppate, sia in fase embrionale, sia cedute: Fonti di Vinadio s.r.l, 686, Ideo, Kinko’s Inc., My Space, Wahoo’s Fish Tacos, B2C Environmental Corp., Bolt Barbers, Geox, (Leonardo3srl), Asap, Rainbow. Si è ritenuto opportuno ed interessante svolgere questa analisi prendendo in considerazione tutti i tipi di imprese, da quelle che operano esclusivamente nel settore terziario, a quelle 8 classificabili come meramente manifatturiere. Ciò ha consentito di cogliere eventuali tratti specifici fondamentali e fondanti il vantaggio competitivo, che sono comun denominatore a tutti i tipi di impresa, a prescindere dal settore di intervento. Una prima interessante osservazione è che le aziende sopra citate abbiano conseguito tutte un vantaggio competitivo di differenziazione. Infatti, e questo è un primo punto rilevante, con la competizione globale tipica del XXI secolo, è estremamente complesso cercare di conseguire un vantaggio competitivo di costo, che porta spesso ad un trade off tra competitività ed eticità (basti pensare al Virtual Manufacturing ed ai metodi di produzione plug and play) oltre ad una complessità gestionale (basti pensare ai tassi di cambio) che necessita di oculate operazioni di assicurazione finanziaria, tramite swap, futures ed opzioni, se si decide di operare su scala internazionale. Quindi, quantomeno nelle fasi iniziali, ad eccezione di scoperte tecnologiche particolarmente innovative e brevettate, che consentano un sostanziale abbattimento dei costi (laddove naturalmente le barriere all’entrata non siano insormontabili- e qui si pensi alle aziende biotecnologiche, incapaci di oltrepassare le barriere innalzate dalle aziende farmaceutiche) è estremamente complesso conseguire un vantaggio competitivo di costo. Tuttavia esistono eccezioni, come vedremo con il caso Sant’Anna. Una volta ottenuto il vantaggio competitivo, il passo successivo è quello di mantenerlo e, se possibile, accrescerlo. In questa fase l’imprenditore attraversa generalmente le maggiori difficoltà, poiché deve passare da un paio di occhiali imprenditoriali ad uno manageriale- imprenditoriale. Per gli imprenditori più insofferenti a schemi predefiniti, questo è un buon momento per cedere l’attività e rimettersi in gioco (è il caso di De Wolfe e David Belasco), per altri la prova più ardua ( trasformarsi da piccoli a grandi). Infine, per altri ancora- e questo è un problema che affligge in particolar modo l’Italia- è il momento della grande occasione mancata, in cui cioè l’imprenditore si accontenta di quanto fatto e resta stucked in the middle, troncando le ali alla propria azienda. 9 Capitolo 1 Il Caso Sant’Anna Questo caso si basa sui dati raccolti in occasione della conferenza tenuta da Alberto Bertone presso l’Università Bocconi nel mese di Dicembre 2011. Alberto Bertone incarna esattamente lo stereotipo di imprenditore: colui che riesce a vedere e cogliere opportunità laddove gli altri non ne vedono o, pur vedendole, non hanno il coraggio di osare. Egli ha colto l’importanza dell’avanguardia tecnologica in un settore- quello delle acque mineralidove apparentemente la tecnologia non svolge un ruolo di primissimo piano. Ma l’occhio dell’imprenditore va oltre l’apparenza. Infatti, quando il dottor Bertone decise di entrare nel settore delle acque minerali, quest’ultimo era certamente poco attrattivo: attraversava la fase della maturità, era piuttosto concentrato, con big players quali Nestlè e San Pellegrino, il Roi medio era basso e volatile e vi erano discrete barriere all’entrata. Bertone, figlio di imprenditori edili, che sentiva la necessità di emergere ed essere riconosciuto per le sue innate qualità e per la sua serietà e dedizione e non già per essere “il figlio di...”, quando intravide un’opportunità imprenditoriale tra le montagne di Vinadio, il posto più occidentale d’Italia, non se la fece scappare. Abbiamo già i primi ingredienti tipici di molte realtà imprenditoriali di successo: 1) Una forte determinazione e volontà nel dimostrare il proprio valore, al di là delle condizioni di nascita; 2) Il provenire da un settore completamente diverso (Bertone era originariamente impegnato nell’azienda paterna come imprenditore edile). Bertone stesso ha posto l’accento su quest’ultimo punto, affermando che l’ignoranza del settore sia una cosa molto positiva, poiché obbliga a studiare, ad informarsi, ad aggiornarsi. L’ignoranza delle pratiche consolidate dei competitors, in particolare, ha permesso di trovare, dopo studio e ricerca, soluzioni innovative. Quindi, si noti bene, non è tanto l’ignoranza in sé e per sé il vero vantaggio. Anzi, è piuttosto uno svantaggio. Essa è però uno sprone allo studio, uno stimolo alla ricerca, all’originalità. L’ignorare pratiche consolidate consente, ossia, di intraprendere nuove strade, che talvolta si rivelano migliori di quelle già battute. Bertone ha subito analizzato quali fossero le principali difficoltà, dal punto di vista tecnico e logistico. Questo è un altro aspetto rilevante: il rendersi conto di quali possano essere i problemi e il pensare a soluzioni per risolverli. Inoltre, quando Bertone ha pensato a come 10 strutturare la propria azienda, ha deciso di creare una struttura piccola pensando in grande, cioè creando le premesse affinché, in caso di successo, potesse espandersi. Un altro importante concetto espresso da Bertone, e da molti altri imprenditori, è stato quello riguardante i capitali iniziali con cui finanziare l’azienda: se si dispone di risorse limitate, si cerca di massimizzare gli sforzi diretti all’ottimizzazione delle risorse disponibili, senza il rischio di sperperi inutili ed inopportuni. L’ignoranza, unitamente con le ristrette disponibilità di risorse, hanno spinto Bertone alla ricerca di idee nei campi più impensabili, dalle costruzioni, al farmaceutico, alla meccanica, nei paesi più disparati. La prima grande barriera che Bertone si è trovato ad affrontare era l’accesso alla grande distribuzione organizzata del proprio brand. Per ottenere ciò, si è accordato per vendere con il brand del distributore sottocosto (in perdita) a condizione di avere l’acqua Sant’Anna finalmente sugli scaffali della Grande Distribuzione Organizzata (GDO). Da ciò si desume un’ulteriore importante abilità che accomuna molti imprenditori di successo: il sapere quando è il momento di guadagnare e, anche e soprattutto, quando è il momento di perdere per assicurarsi guadagni futuri. Inoltre Bertone ha saputo creare un solido network di relazioni, basate principalmente su reciproci rapporti di fiducia, che gli hanno consentito di avere un ampio bacino di interlocutori cui rivolgersi in caso di bisogno. È riuscito ad ottenere crediti sulla fiducia dalle compagnie televisive, ha stipulato accordi con università e centri di ricerca, predisponendo all’interno della propria azienda, a Vinadio, degli uffici appositamente predisposti per i ricercatori. Dopo sette anni dall’apertura (1996) è riuscito a diventare leader in Italia nel settore delle acque minerali, conseguendo nel 2009 un Roi del 54.5% con 750 milioni di bottiglie vendute nel 2009 e 185 milioni di euro di fatturato contro un Roi medio dell’industry del 6.75%. Bertone ha tuttavia più volte sottolineato, sia nella conferenza, sia nell’intervista, che la crescita esponenziale è stata possibile soprattutto grazie alle persone, ai collaboratori, che avevano preso a cuore la sfida che il proprio timoniere aveva deciso di intraprendere: divenire l’acqua sulla tavola degli italiani. La crescita, seppur resa più difficoltosa dai consueti problemi di cash flow che attanagliano le imprese in fase ascendente, è essenzialmente stata possibile grazie a due fattori: 1) Le persone, i collaboratori fidati; 2) Le innovazioni tecnologiche prese dai settori più disparati, da cui Bertone ha preso ispirazione. Poi, come spesso capita se le cose volgono nel verso 11 sperato, arrivano le offerte di acquisto da parte delle grandi corporations, e l’imprenditore si trova dinanzi ad un bivio: proseguire imboccando il percorso della crescita, con tutte le conseguenze che ciò comporta, oppure vendere, valorizzando quanto fatto. È una fase particolarmente difficile per l’imprenditore, che si vede costretto, per la prima volta, a ragionare come un manager, cambiando in parte pelle. Il dottor Bertone sceglie di far crescere la propria azienda, ed è allora che sorgono i primi problemi legati al personale: Vinadio è una cittadina di montagna con pochi abitanti, la cui forza lavoro non era sufficiente a soddisfare le esigenze della emergente azienda piemontese. Sopperisce alla carenza di camionisti con il treno, che consente tra l’altro grandi risparmi sul volatile prezzo del carburante. La scelta del trasporto ferroviario è stata coraggiosa ed in controtendenza rispetto ai competitors, ed ha consentito all’azienda di avere dei magazzini mobili, contribuendo notevolmente alla creazione del vantaggio competitivo. Ma, soprattutto, l’innovazione più significativa che caratterizzerà l’azienda di Bertone nasce da una partnership strategica con l’Elettric 80. Quest’ultima, svilupperà dei macchinari preposti allo stoccaggio delle casse d’acqua, i quali sono completamente automatizzati (sono persino in grado di sostituirsi autonomamente le batterie). Ciò consentirà un incremento in termini di produttività ed efficienza notevolissimo, nonché un forte risparmio sul personale. Inoltre i robot industriali, dotati di un coefficiente di precisione del 99.5%, assicurano una netta diminuzione degli incidenti sul lavoro. Fonti di Vinadio s.r.l. è stata innovativa anche dal punto di vista del marketing, ponendo in risalto le informazioni nutrizionali e sottolineando l’idoneità dell’acqua anche per i bambini (sono stati i primi a mostrare la foto del neonato sull’etichetta). Bertone si è anche premurato di essere pioniere anche sotto il profilo della social responsibility, realizzando magazzini eco-friendly, attraverso l’impiego massiccio di terra e pietra e, realizzando, per primi, le Bio bottles, bottiglie realizzate senza impiego di plastica. Il caso Sant’Anna mostra in modo chiaro ed incontrovertibile come profitto e sostenibilità possano andare d’accordo; nello specifico, appare evidente che sia proprio il binomio innovazione-sostenibilità la principale fonte di profitto dell’azienda. Un altro aspetto interessante da rilevare è che, attraverso la specializzazione tecnologica (molto probabilmente solo attraverso di essa) è possibile conseguire un vantaggio di costo e differenziazione, laddove i robot industriali 12 consentono, da un lato, di incrementare produttività ed efficienza, dall’altro la qualità del prodotto e del suo confezionamento. Un aspetto su cui è bene porre l’accento riguarda l’accordo stipulato con l’Elettric80. Bertone, finanziando la ricerca ed il progetto relativo ai robot industriali, ha svolto la funzione di “Angel”, in cui le prospettive di guadagno non erano legate ad un successo dell’azienda finanziata, bensì ad un suo singolo progetto, fondamentale nei progetti di crescita e specializzazione tecnologica di “Fonti di Vinadio s.r.l.”. Ciò pone in luce come oggi l’imprenditore non possa concentrarsi solo ed esclusivamente sul proprio benessere e solo ed esclusivamente sulla propria azienda, ma debba prestare attenzione al benessere di tutta la propria catena produttiva. Le buone relazioni sono premianti in rapporti di lungo periodo. Ecco dunque emergere tutti gli elementi caratterizzanti un imprenditore di successo: 1)Analisi approfondita dell’industry (più approfondita e raffinata in caso di provenienza da un settore differente, che può essere definita “ignoranza costruttiva”); 2)Determinazione e passione: la voglia di dimostrare al mondo di essere un uomo di valore a prescindere dall’essere “figlio di..” ha certamente svolto un ruolo non secondario nell’ incentivare la smania imprenditoriale di Bertone; 3) Nessun imprenditore può arrivare al successo da solo: è importante avere un network di persone cui l’imprenditore possa rivolgersi in caso di bisogno (come il proprietario dell’Elettric80); 4) Le aziende crescono con le persone e grazie alle persone: in ambito imprenditoriale, e non solo, si dice che la grandezza di un uomo è data dalla qualità delle persone di cui si circonda. Bertone è stato in grado di circondarsi di collaboratori fidati. Le persone, alle quali è oggi richiesto un bagaglio di competenze specializzate e molto tecniche, rappresentano elementi fondamentali e fondanti il vantaggio competitivo. È bene sottolineare che, laddove si parla di persone, non ci si riferisce ai singoli, la cui mobilità li rende risorse non sostenibili nel tempo, ma ai team di persone, che devono essere strutturati in ottica complementare, in modo da poter creare una sorta di super-cervello senza punti deboli. Il dott. Bertone in ciò è stato maestro. 13 Capitolo 2 L’esperienza negli Usa Le interviste e conferenze seguite negli Usa hanno consentito di realizzare un’analisi decisamente più estesa, che consentisse di vagliare le diversità e somiglianze tra imprenditori italiani e statunitensi. Le qualità che si sono illustrate in precedenza sono comuni agli imprenditori di entrambi i paesi, sebbene lo spirito denoti spesso delle differenze. Nella fattispecie, mentre l’imprenditore americano ha un ottimismo decisamente più spiccato, quello italiano si sente come circondato da nemici. La causa di questa diversa predisposizione risiede nella differente struttura legislativa e fiscale dei due paesi ed è tanto più marcata quanto più giovani sono gli imprenditori. Ideo Il caso è stato realizzato avvalendosi di un’intervista di tipo qualitativo, guidata e strutturata (v. Appendice)1 concessa dal dott. Tim Brown, presidente e Ceo di Ideo, nonché autore di uno splendido saggio (v.bibliografia)5 ed attraverso la partecipazione ad una conferenza (v. Appendice)2 tenuta dal dottor Brown per TedGlobal. Un primo aspetto sorprendente nel discorso di Tim Brown consiste nel comprendere come si possa essere imprenditori di successo: semplificare la vita delle persone. Tuttavia, e questa è la vera innovazione concettuale, è bene specificare quali metodi si vogliano intraprendere per realizzare tale fine. Un errore commesso da molti imprenditori riguarda il come si possa semplificare in modo efficace la vita delle persone: la realizzazione di un prodotto finito che è ritenuto idoneo a risolvere i problemi delle persone, qualora queste ultime ne apprendano l’utilizzo. Così molte aziende concentrano i propri sforzi nel creare oggetti che modifichino -in meglio- la vita delle persone. Tuttavia, sarebbe molto più efficace ed opportuno, invece che realizzare oggetti studiati per modificare il comportamento delle persone, progettare direttamente nuovi comportamenti. Solo una volta progettato il comportamento, è possibile conoscere in quale direzione indirizzarsi per la realizzazione di oggetti destinati all’implementazione del nuovo comportamento. Il comportamento è influenzato da 3 fattori: 1) le leggi del governo; 2) le norme sociali; 3) i prodotti realizzati dalle imprese. L’imprenditore deve sottostare alle leggi del governo ma, attraverso la realizzazione di particolari prodotti, può influenzare le norme sociali. Talvolta, per avere successo, non è 14 necessario modificare le norme sociali; sarà tuttavia sempre necessario conoscere le norme sociali di ciascun paese per essere consapevoli dei codici etici e della cultura delle persone. In altri termini, la progettazione deve essere “human centered”. Per essere in grado di fare ciò è necessario acquisire un’ingente quantità di informazioni riguardanti il cliente e le sue necessità, anche qualora si renda necessario investire molto a tal fine. Per tale ragione è fondamentale l’aiuto di psicologi ed antropologi, che monitorino costantemente i social network e i blogs per meglio comprendere il pensiero delle persone. Tuttavia, come già a suo tempo teorizzato da sir Isaac Newton, non è conveniente né efficace predire il futuro basandosi sul presente. È, al contrario, scelta più opportuna utilizzare un approccio Darwiniano, una modalità di azione emergente. Quest’ultimo è un processo che consta di 3 fasi: 1) progettazione; 2) implementazione; 3) diffusione. Naturalmente, per realizzare questo processo, è necessario conoscere il business e la corrispettiva value chain. Il dott. Brown, riprendendo le teorie del prof. Paul Saffo, ha illustrato come si sia evoluta l’economia nel corso degli ultimi 3 secoli: 1)19thCentury: Industrial Economy; 2)20th Century: Consumer Economy; 3)21st Century: Creator Economy, laddove Creator Economy significa che il consumatore oggi vuole essere coinvolto nel processo di sviluppo dei nuovi prodotti, desidera essere attivo e proattivo ed interagire con i prodotti delle imprese. Questa è una grandissima opportunità per le aziende che sono in grado di coglierla. Un buon esempio può essere Google: per far funzionare il motore di ricerca è necessario digitare ciò che si vuole cercare. Si innesta così un’interazione tra utente e prodotto; quest’ultimo è del tutto inutile senza l’utente. Il Dott.Brown ha aggiunto come oggigiorno non sia più possibile progettare alla vecchia maniera del “blue print”, dove si conosceva esattamente come sarebbero state le cose, giacché le strutture erano tutte predefinite e standardizzate. Oggi è necessario essere dei “code maker”, non dei “blue printer”. Essere un “code maker” significa creare codici simili a quelli del DNA, che sono tutti simili per quanto concerne la struttura, ma differenti da persona a persona. È necessaria una progettazione emergente, in cui si crea il percorso passo dopo passo, senza vedere mai oltre i propri piedi. Per questa ragione è importante essere flessibili, sapersi evolvere e creare un prodotto che possa essere modificato strada facendo. È una strategia perdente quella di consegnare ai clienti delle strutture predefinite in cui i contributi del costumer sono predefiniti e marginali. Il cliente vuole avere la possibilità di modellare il prodotto in base alle proprie esigenze, sentendosi maggiormente a proprio agio e 15 artefice, seppur in parte, del prodotto. È necessario essere sempre sulla cresta dell’innovazione e per esserne in grado sono necessari: 1) capacità di pensare in modo interdisciplinare; 2)”ambidexterity”; 3) passione. Questi tre ingredienti sono la base per lo sviluppo di un business di successo. Si acquisisce la capacità di pensare in modo interdisciplinare se si crea un team di persone con talenti complementari e dai backgrounds differenti. Si sviluppa l’ambidexterity se si è in grado di guardare a businesses differenti per trarre idee nuove ed innovative e, in certi casi, se si è in grado di dividere in team l’azienda in modo da avere i vantaggi della grande azienda (da un punto di vista finanziario ad esempio) mantenendo il dinamismo tipico delle piccole aziende. Un altro punto essenziale riguarda l’importanza del “knowledge management”: è necessario concentrarsi sulle “core competences” e dare in outsourcing le altre attività al fine di preservare la flessibilità necessaria per essere dinamici. Infatti, ricordava il Dott.Brown, quando il numero delle decisioni da prendere cresce, anche la complessità del business cresce e conseguentemente si perde flessibilità. Il modo probabilmente più efficace per affrontare tale complessità è attraverso la creazione di solide partnership con fidati fornitori e lo sviluppo con questi ultimi delle soluzioni necessarie ai clienti, con l’aiuto dei clienti stessi. È di assoluta importanza continuare ad aggiornarsi circa i problemi, sempre mutevoli, dei consumatori, nonché chiedere in modo diretto e aperto a questi ultimi che cosa vogliano. Una volta compreso ciò, è necessario chiedersi come migliorare le performances. Essere un imprenditore significa, anzitutto, capire, anche chiedendolo in modo diretto, quali sono i problemi delle persone e capire come risolverli. Ma, soprattutto, significa chiedere aiuto alle persone, poiché nessuno può avere successo da solo. Ecco perché Ideo ha creato OpenIdeo, una piattaforma online in cui l’azienda californiana presenta dei problemi che non è in grado di risolvere, chiedendo ad altre persone di risolvere tali difficoltà, dietro ricompensa. Tutta la value chain di Ideo è interconnessa per performare meglio. Una maggiore interazione ed integrazione con fornitori e clienti comporta una più veloce innovazione. Infine, prima di realizzare un prodotto, è necessaria rigorosa sperimentazione e misurazione. Il Dott. Brown ha espresso questa idea citando Kevin Kelly: “ Quando qualcosa non può essere misurato, non può essere migliorato”. Qualsiasi fase del processo aziendale, infatti, anche il brainstorming, che è il processo più creativo in un’azienda, deve essere rigoroso e deve seguire un preciso schema. Un altro passaggio chiave nel discorso del Dott. Brown attiene il processo innovativo ed il mantenimento del vantaggio competitivo. Egli ritiene 16 che il principale ostacolo all’innovazione risieda nel bisogno di sapere la risposta prima di iniziare, ossia di avere prova che l’idea avuta sia valida prima ancora di aver dato avvio al progetto. Il desiderio di sapere se si ha avuto l’idea vincente ancor prima di dare avvio alla fase esplorativa, uccide buona parte delle innovazioni. Al fine di puntualizzare tale concetto, il Dott. Brown ha espresso una teoria, presente anche nel suo libro, relativa ai fenomeni della convergenza e della divergenza: “Il processo di innovazione è una serie di attività divergenti prima e convergenti poi. Con divergenza intendo una volontà di esplorare cose che sembrano molto lontane da dove si crede essere il proprio business oggi. L’avversità che molti managers hanno con l’innovazione riguarda la divergenza. Essi credono che sarà per sempre divergente e che non abbia senso dal punto di vista economico. Credo che questo sia il problema che molti managers hanno incontrato con le unità interne preposte all’innovazione: ritenerle talvolta perennemente divergenti. Tuttavia, se si comprende che la convergenza segue la divergenza, e che è molto complesso convergere senza prima divergere, ciò è più confortante”. Un’altra importante barriera all’innovazione consiste nella difficoltà nel pensare in modo differente. Il dott. Brown ha spiegato cosa significhi per Ideo essere innovativi: non si intende tanto l’essere innovativi in ambito di prodotti lanciati sul mercato, quanto piuttosto nell’ambito dei prodotti che vengono sviluppati mentre i nuovi sono lanciati sul mercato. Per quanto le aziende vogliano che ogni dipendente pensi costantemente all’innovazione, quest’ultima non è un’attività continuativa, quanto piuttosto un’attività a progetto. Se non si ha un metodo per scegliere i progetti, iniziarli, svolgerli e concluderli, non si riuscirà mai ad essere dei buoni innovatori. I progetti necessitano di una forma, di essere condotti in un determinato modo e di essere finanziati in base a specifici criteri; sembra semplice a dirsi, ma la definizione dei parametri sopra esposti è molto complessa e spesso impedisce l’esecuzione e la conclusione dei progetti stessi. Il Dott. Brown ha confidato come Ideo, nello specifico, qualora ponga dei parametri troppo rigidi, in termini di tempo e denaro, non riesca ad essere efficace come desiderato nei progetti intrapresi. Pertanto in Ideo si parla molto di come affrontare la tensione che, inevitabilmente, viene a porsi tra l’economicità richiesta dal business e la creatività necessaria per avere valide idee. Naturalmente sono necessari entrambi. In particolare nelle fasi di avvio dell’attività imprenditoriale, una delle 17 principali difficoltà che l’imprenditore si troverà ad affrontare consiste nell’insicurezza della propria efficacia. Questo aspetto si rivela frustrante, poiché quando non si hanno certezze, tutto si obnubila. Ogni decisione sembra un ostacolo insormontabile finché non si realizza che è necessario entrare in confidenza con il cambiamento, poiché i benefici di quest’ultimo sono molto maggiori degli svantaggi. È necessario moltissimo tempo prima di apprendere come essere efficaci, e, ancora, non si è mai completamente certi. Eppure è necessario prendere una decisione, che potrebbe anche rivelarsi errata. Il Dott. Brown ha illustrato l’esempio di IBM: l’azienda era prossima al fallimento e, infine, ha deciso di cambiare, in modo drastico, passando da un business (produzione di computer) ad un altro (consulenza informatica). Ideo ha ben assimilato questi meccanismi grazie alla multiculturalità ed alla ricerca della “diversity” che le è propria. Si tratta di un’azienda unica, il cui solo scopo è quello di creare idee nuove da lanciare sul mercato. Non si occupa di nient’altro. Quest’ultimo è un fattore cruciale nel suo successo: dal momento che non si deve occupare di molte cose contemporaneamente, può focalizzarsi completamente sulla sperimentazione, vagliando idee per il solo gusto di farlo, riunendo in team le persone più eterogenee. Quest’ultimo è un altro fattore critico di successo di Ideo: la creazione di team interdisciplinari composti da persone con background differenti per dar vita alla “cross fertilization”. Un aspetto interessante riguarda i criteri per l’assunzione dei collaboratori da parte di Ideo: intuizione, passione ed hobbies dei candidati. Kinko’s Inc. Il caso è stato realizzato grazie all’intervista (v. Appendice)1 concessa ed alla conferenza tenuta da Paul Orfalea presso la Usc nel mese di Aprile 2012. Il dott. Orfalea era un pessimo studente. Soffrendo di ADD (Attention Deficit Disorder), si diplomò all’ high school come ottavo peggior studente. Riuscì a laurearsi presso la USC grazie ad un’idea astuta: selezionare i corsi frequentati dagli studenti di football, noti per abbassare la gaussiana dei voti a causa dei loro impegni sportivi. Tutti i familiari e parenti del Dott.Orfalea gestivano business in proprio e per il giovane Paul era inconcepibile un lavoro subordinato. Una sera, prima di un esame, necessitando alcune dispense di studio, si recò 18 presso la biblioteca, dove erano tutte esaurite. In quel periodo Paul stava frequentando un corso di marketing, che lo introdusse al concetto di product lifecycle. Fu così che scattò il collegamento tra il ciclo di vita delle macchine fotocopiatrici (allora nella fase di crescita) e le esigenze degli studenti di un maggior numero di dispense o parti di esse. Così, iniziò ad aprire copisterie nei pressi del campus della Usc, in seguito alla prima apertura a Santa Barbara. Uno dei metodi che Paul ritiene essere più efficaci per avere successo nel mondo dell’imprenditoria è continuare a porsi domande, ovunque ci si trovi, sul come risolvere i problemi che le persone hanno. Un lampante esempio attiene alla sua esperienza personale: l’idea di offrire da Kinko’s lo stesso materiale di studio che i professori lasciavano normalmente solo su prenotazione in biblioteca nacque durante una delle sue riflessioni mentre vagava presso la sala prenotazione libri. Notando il gran numero di studenti che richiedevano il materiale del professore, in trepida attesa la notte prima degli esami, Orfalea comprese che, se fosse riuscito a convincere i professori a lasciare il materiale anche da Kinko’s, le code si sarebbero dimezzate, fornendo un grande aiuto agli studenti. Sebbene in apparenza Orfalea non abbia alcuna passione per la copisteria “ Non c’è nulla di speciale per me nel servizio offerto da Kinko’s. Non mi piace leggere. Non mi piace la tecnologia. Non amo le pagine stampate”, tuttavia, è facile comprendere come in realtà Paul abbia a cuore il risultato dell’operato di Kinko’s: aiutare gli studenti. Questa è forse la vera passione del dott. Orfalea, che quantomeno si è potuta desumere dalle sue parole. In effetti quest’ultimo ha una grande passione per le persone, ed egli stesso si ritiene essere molto più nel business delle persone che nel business delle fotocopiatrici. Egli ritiene infatti che se le persone, sia collaboratori, sia clienti, non sono soddisfatte, allora l’azienda non ha ragione di esistere. Sebbene Kinko’s avesse sin dall’inizio molti competitors, Orfalea decise di puntare forte sulle persone, decidendo di fornire dei corsi di formazione migliori e venendo maggiormente incontro alle esigenze dei collaboratori. Il dott. Orfalea infatti non chiama mai i propri collaboratori “subordinati” o “sottoposti”, poiché lo ritiene degradante. Egli lavora con le persone, nessuno lavora per lui. In un settore in cui l’importanza del front office è fondamentale, quale è il mondo delle copisterie, le persone sono fondamentali. In tale ambito, estremamente competitivo, l’unico vantaggio di Kinko’s risiedeva nei suoi collaboratori. Il motto di Paul è “ Chiunque altro può farlo meglio”. Per il Dott. Orfalea i collaboratori sono la priorità, poiché ritiene che se essi non sono soddisfatti, non possono prendersi cura dei clienti come opportuno. Egli ha deciso di non dare in franchising i suoi negozi, bensì di creare partnership con coloro 19 che volessero aprire dei Kinko’s stores: la sua filosofia infatti prevede che sia meglio far soldi con le persone che sulle persone. Un altro aspetto che il Dott. Orfalea ha sottolineato più volte attiene alla necessità di essere persone assolutamente oneste se si desidera essere imprenditori: altrimenti, o prima o dopo, le azioni irregolari si ritorcono contro; e, anche qualora non si ritorcano contro, ogni mattina ci sarà lo specchio della coscienza a farsi sentire. Kinko’s è arrivata ad avere oltre 900 negozi nel mondo, prima di essere ceduta a FedEx. 686 Il caso è stato sviluppato a partire dalla conferenza tenuta da Mike West, fondatore e proprietario della 686 nel mese di aprile 2012. Mr. West ha fondato la 686, un’azienda che produce materiale tecnico per sciatori e snowboarders. Egli ha tratto spunto, per la realizzazione dei suoi indumenti tecnici, dall’esperienza sua e dei suoi amici sulle piste sciistiche. Durante la sua conferenza emerge in particolare l’importanza che rivestono accordi e partnership con aziende di altri ambiti al fine di promuovere l’immagine del brand. La 686 per esempio si è accordata con una nota casa automobilistica per realizzare un’auto immagine dell’azienda di abbigliamento. Un altro concetto estremamente interessante espresso da Mr. West è quello di ritenere la consistenza (intesa nella triplice veste di integrità, perseveranza ed affidabilità) chiave per il successo imprenditoriale ed il cambiamento un valido amico. Inoltre, dato il tempo e l’energia richiesti da parte di un’azienda al proprietario, Mr. West ritiene che sia necessario fare in modo di avere una vita privata che ben si concili con l’attività imprenditoriale. La vita di un imprenditore, raccontava Mike West, è come quella di uno sportivo, costellata di impegni e di sacrifici. Pertanto è bene essere molto determinati ed organizzati se si desidera avere successo. . B2C Environmental Corp Il caso trae origine dalla conferenza tenutasi nel mese di maggio 2012 dal Dott.Belasco presso la Usc e dall’intervista concessa (v. Appendice 1 ). Quest’ultimo ha fondato B2C Environmental Corp, azienda che si occupa di scavi e trivellazioni, senza avere alcuna precedente esperienza né di lavoro, né di studio, in tal senso. I principali clienti di B2C 20 Environmental Corp. sono compagnie petrolifere ed aziende ingegneristiche. Pur senza esperienze pregresse, il dottor Belasco ha visto un’opportunità in questo ambito e, realizzando una partnership con un esperto del settore, ha sviluppato questa azienda di grande successo. Mr. Belasco non aveva alcuna passione in questo Business, e si occupava prettamente della parte manageriale, mentre il suo socio era un amante del settore e si occupava della parte tecnica ed ingegneristica. Tre sono stati i concetti chiave espressi da Mr. Belasco, uno in conferenza, due nell’intervista: 1) non è pensabile creare un’azienda senza che nessuno dei fondatori abbia una passione in qualche modo correlata con il Business (inclusa la creazione di valore); 2) prima di avventurarsi nel mondo dell’imprenditoria è necessario vagliare le proprie convinzioni. Queste ultime possono essere punti di forza (se aiutano ad essere attivi e proattivi) o punti di debolezza (se limitano il nostro potenziale). Una volta effettuata questa analisi, è necessario superare le convinzioni che limitano il nostro potenziale; 3) bisogna, in ogni caso, avere una Exit Strategy; è infatti opportuno iniziare a pensare sin dal primo giorno che tipo di decisione prendere qualora l’impresa cresca con successo: vendere o crescere. Mr. Belasco ha ceduto la propria quota di B2C Environmental Corp nel 2007. Wahoo’s Fish Tacos Questo caso è stato realizzato sulla base dei dati raccolti grazie alla conferenza del dott. Wing Lam e all’intervista (v. Appendice)1 da quest’ultimo concessa. Egli ha iniziato il proprio percorso imprenditoriale ai tempi del college, iniziando a costruirsi un solido network. Laureatosi in Finanza presso l’Università di San Diego, ha poi deciso di intraprendere una carriera nel mondo della ristorazione. Accanito surfista, Mr. Lam ha creato Wahoo’s, un ristorante che nasce proprio con l’intenzione di sfamare i surfisti dopo una giornata di sport. In breve tempo il ristorante raggiunge un grande successo, anche grazie alle grandissime abilità di public relations del dott. Lam. Quest’ultimo infatti ha sottolineato più volte l’importanza della creazione di un solido network. Tuttavia, nella concezione di Wing, ha un solido network non tanto chi conosce molte persone, quanto piuttosto chi è conosciuto da molte persone. Questa abilità ha consentito a Mr. Lam di realizzare con la Ford un commercial in cui viene sponsorizzato un furgoncino che viene usato dai ristoranti Wahoo’s (tuttora visibile su Youtube). Un secondo aspetto che il 21 proprietario di Wahoo’s ha tenuto a marcare è l’importanza dell’essere generosi, in particolare se si riesce a diventare imprenditori di successo. Poiché, e questo è concetto unanimemente condiviso tra gli imprenditori sentiti, un’azienda non deve creare valore solo per il proprietario, ma per tutti gli stakeholders e pure per la collettività. Bolt Barbers Questo caso è stato sviluppato sulla base di una conferenza tenuta nel mese di maggio 2012 dal proprietario di Bolt Barbers, dott. Mohawk Matt. Il caso del Dott.Matt è illuminante nel far comprendere quanto sia potente la spinta propulsiva della passione nel mondo dell’imprenditoria. Dopo essere diventato Senior marketing manager presso Procter and Gamble, il Dott. Matt ha deciso di seguire la passione che aveva sin da bambino: tagliare i capelli. Diede così vita a Bolt Barbers, facendo tesoro delle proprie straordinarie competenze nel mondo del marketing per accrescere il proprio brand. Il Dott. Matt ha cercato di trasformare un momento essenzialmente noioso e per molta gente seccante, in una sorta di evento. Mentre si attende il taglio, si sorseggia gratuitamente birra, dopo una cert’ora, nel suo locale, che diviene una sorta di ritrovo tra amici. Tutto è maniacalmente curato: basti pensare che il biglietto da visita è a forma di pettine. Il dott. Matt ha realizzato una serie di eventi nel proprio locale in modo da attrarre l’attenzione dei quotidiani e delle TV, ha promosso il proprio locale facendo ricorso a social networks e volantini. Ha, in sostanza, rivoluzionato il concetto di barbiere, che si trasforma in luogo di ritrovo cool dove è possibile divertirsi in compagnia. Il rapido successo del barbershop di Los Angeles, che ha attirato politici e divi, ha consentito l’apertura di un nuovo “locale” a Las Vegas. Il dott. Matt è attentissimo anche al benessere della collettività, e proprio a tal fine è stata da lui effettuata la scelta della location per i suoi locali. Egli ha infatti deciso di aprire Bolt Barbers a Downtown, Los Angeles, invece di zone ben più sviluppate e meglio frequentate. Pur sapendo che tale scelta aveva commercialmente poco senso, egli ha optato per tale soluzione al fine di rilanciare una zona della città in profonda crisi economica e sociale e rilanciarne l’attività. A Las Vegas ha deciso di ripristinare un antico trenino ed adibirlo a barber shop, cercando di attrarre i turisti anche nella vera Las Vegas, lontano dagli sfarzosi hotel e casinò. Una scelta coraggiosa per cercare di vivacizzare due aree depresse ridando impulso all’economia. 22 My Space Questo caso è stato elaborato a partire da una conferenza tenuta da uno dei cofondatori di My Space, Chris De Wolfe, presso la Usc nel mese di Febbraio 2012. Il cofondatore di MySpace ha espresso due concetti fondamentali: 1) non è necessario essere esperti di un determinato settore (nella fattispecie tecnologico) per avervi successo; purtuttavia, laddove si parli di ambiti molto complessi, qualora non si sia esperti in prima persona, è necessario che almeno uno dei soci lo sia; 2) imprenditori non si nasce, bensì si diventa: ciò è certamente vero, anche se alcune persone, è inutile negarlo, sono maggiormente predisposte al mondo dell’imprenditoria, sia perché sono più a proprio agio con il rischio, sia perché si sentono spinte da un impulso creativo. Quest’ultimo è proprio il caso di De Wolfe, che, una volta ceduta la quota di MySpace, invece di ritirarsi ad una comoda vita, ha deciso di dedicarsi alla creazione di nuove aziende. Capitolo 3 Il Caso Geox Il caso Geox è stato realizzato grazie ad una conferenza tenuta dal dott. Mario Moretti Polegato presso l’università Bocconi nel mese di Giugno 2012. Quest’ultimo è figlio di imprenditori vinicoli, ed è sempre stato immerso in una cultura imprenditoriale. La sua situazione familiare ricorda per certi aspetti quella di Bertone: un brillante giovane desideroso di emergere a prescindere dall’essere “figlio di..”. Anche la storia imprenditoriale di Polegato, così come quella di Bertone, nasce per caso. Egli si trovava a Las Vegas ad una fiera tra imprenditori vinicoli ed imperversava un caldo arido ed insopportabile, tipico della nota cittadina del Nevada. Polegato si trovò a soffrire oltremodo il calore nei piedi, ben chiusi all’interno di scarpe dalla suola in gomma. Sicché, decise di bucare la suola di tali scarpe creando dei forellini che consentissero la traspirazione del piede. Tuttavia Polegato si accorse subito che questo espediente aveva un enorme difetto: qualora il terreno fosse stato bagnato, l’acqua sarebbe passata attraverso i fori. Così, il Dott. Polegato, con caparbia determinazione, iniziò a ricercare un materiale i cui fori permettessero all’aria di passare e bloccassero invece l’accesso all’acqua. Dopo accurata 23 ricerca, finalmente riuscì a trovare la soluzione: inserire una membrana di teflon impermeabile all’acqua ma traspirante (il vapore dell’acqua è infatti 700 volte più piccolo della goccia dell’acqua). Se si considera che il 90% dell’umanità utilizza suole in gomma, si comprende l’importanza del ritrovato di Polegato, che consente di risolvere il problema dell’assenza di traspirazione della suola in gomma, mantenendo asciutto il piede in caso di terreno bagnato. Si tratta di una rivoluzione, che, come ogni successo imprenditoriale, migliora la vita delle persone. Il primo passo che il Dott. Polegato fece fu quello di brevettare la scarpa così ottenuta, conscio, data la sua pregressa formazione universitaria (Giurisprudenza) dell’importanza dei brevetti in ambito tecnologico. Il Dott. Polegato decise, dopo che la sua idea venne respinta dagli studi tecnici dei brand più noti (Nike, Adidas, Puma) di mettersi in proprio: nacque così la Geox. Due sono state secondo Polegato le chiavi del successo del proprio prodotto: 1) la più importante è stata l’innovazione di prodotto che ha rivoluzionato il mercato; 2) l’altra, non trascurabile, l’importanza del brand Italia, poiché è possibile far leva, specialmente all’estero, sul fascino della scarpa italiana. Così la combinazione moda più tecnologia ha consentito la creazione di un prodotto nuovo sul mercato. Quando si crea un prodotto nuovo, è più facile essere ascoltati sul mercato. Al tempo stesso, faceva osservare Polegato, l’innovazione deve essere stimolata costantemente se si vuole rimanere competitivi, ed è per questo che Geox investe il 2% del proprio fatturato in ricerca e collabora in stretto contatto con molte università. Inoltre Geox ha creato uno dei laboratori più importanti al mondo dedito allo studio del movimento del calore nel corpo umano. La filosofia di Geox è completamente improntata all’innovazione e, pertanto, si verifica che l’azienda si trovi invecchiata prima ancora che il mercato se ne accorga. Sfruttando le competenze e conoscenze scientifiche acquisite, Geox ha iniziato a produrre anche indumenti traspiranti (che migliorano del 40% la dispersione del calore rispetto a tutti gli altri materiali), nonché scarpe totalmente impermeabili per tutti i paesi con inverni molto rigidi, estendendo il teflon alla parte interna della tomaia, creando una scarpa elegante, valida in ogni situazione metereologica. Tuttavia, e questo è il cuore del discorso di Polegato, il vero valore di Geox non è tanto dato dai prodotti sul mercato, quanto piuttosto dai 40 brevetti da essa depositati, i cui prodotti finali non sono ancora commercializzati. Questa tensione prospettica racchiude il significato ultimo di innovazione e di impresa: un continuo sguardo al futuro, senza il quale non sarebbe possibile il perpetrarsi in un’ottica di lungo periodo di un’attività imprenditoriale. Ma cosa significa innovare al giorno d’oggi, in cui il 24 mondo è globalizzato e vige un’estrema competitività? Cosa si deve fare per avere una visione del futuro? Significa accorgersi che il mondo cambia, che il consumatore cambia e che il sistema di lavorare cambia. Polegato ritiene infatti che esistano tre tipologie di imprenditori:1) coloro che “non vedono” e si ostinano a ripetere quanto è stato loro insegnato ; 2) quelli che vedono, ma arrivano in ritardo; 3) quelli che prevedono e si assumono il rischio. Per appartenere a quest’ultima categoria bisogna avere fiducia in se stessi, avere una cultura di base. Non si può più concepire i dipendenti - o meglio, i collaboratori- come dei semplici automi alla stregua del modello fordiano; oggi gli stessi collaboratori devono essere menti pensanti, imprenditori di se stessi, perché un’azienda è più dinamica se ascolta le idee di quante più persone possibile. Si è passati da un capitalismo industriale e standardizzato ad un capitalismo culturale. Ecco che, alla luce di questa profonda trasformazione, si comprende come mai siano sorte piattaforme online come “OpenIdeo” o “Connect and Develop” e le pagine dei social network delle aziende: si vuole ricercare un ampliamento di stimoli dall’esterno, per incrementare le idee, per comprendere meglio i problemi, per allargare, in sostanza, i confini dell’azienda attraverso l’incremento del numero di collaboratori. Questa è la seconda grande ragione per cui è oggi anacronistico parlare di dipendenti per aziende innovative. È, al contrario, decisamente meglio parlare di collaboratori, che possono anche essere esterni all’azienda e non remunerati. Collaborano in quanto fornitori di idee. Il grande vantaggio competitivo è, in sostanza, dato dalle idee frutto delle persone. Perché, e qui si cita il motto di Polegato, “un’idea vale più di una fabbrica”. Quindi, innovare significa creare e/o modificare qualcosa, migliorando la vita delle persone. Ma non è sufficiente, poiché è necessario che la miglioria sia accompagnata dalla proprietà intellettuale, il brevetto. Purtroppo, come ricordava Polegato, pochi conoscono il meccanismo di funzionamento del brevetto e perciò molte brillanti idee vanno disperse. Specialmente in Italia, manca la cultura del brevetto. Noi italiani, inventori della pizza, vediamo aprire centinaia di “Pizza Hut” nel mondo, noi, inventori del caffè espresso, vediamo aprire centinaia di Starbucks nel mondo. Ciò fa ancora più riflettere se si considera come il brevetto sia stato inventato proprio da italiani nel 1462 a Venezia, per difendere i maestri del vetro. Tuttavia, non si è ancora esaurito il significato di innovare; si sono sinora elencate due fasi: 1) creare o modificare qualcosa; 2) brevettare. C’è anche una terza fase: la sperimentazione. Spesso il piccolo e medio imprenditore non dispone della forza economica per costituire un laboratorio adatto a sperimentare se la tecnologia scoperta funzioni o meno. Pertanto è 25 bene sapere che in Italia ed Europa esistono dei laboratori a disposizione, presso università e laboratori. Seguendo tali passaggi, non si incorre nel rischio di avere la propria idea copiata, poiché si brevetta prima di chiedere la collaborazione di terzi. Infine, il dott. Polegato ricordava come Geox, pur contando 30.000 collaboratori, abbia il suo cuore pulsante nei 600 ragazzi che si occupano della gestione e strategia dell’azienda veneta, mentre le altre fasi, prettamente manifatturiere, sono tutte date in outsourcing; ciò, ancora una volta, è d’obbligo per la crescente specializzazione che costringe le aziende a specializzarsi in una data fase, delegando le restanti fasi a chi è più specializzato. Capitolo 4 I Casi Rainbow, Asap, Leonardo 3 Asap Il caso prende spunto da un’intervista (v. Appendice)1 realizzata con la fondatrice e proprietaria di Asap s.r.l, dott.ssa Gertraud Bacher. È stata una testimonianza molto interessante, poiché si discosta in parte da quelle sino ad ora analizzate, per due ordini di ragioni: 1) È una rappresentate del gentil sesso nel mondo dell’imprenditoria; 2) È l’unica, tra gli imprenditori finora analizzati, ad essersi sempre occupata del settore in cui opera la sua azienda. Il primo punto merita una riflessione: sebbene siano presenti numerosi casi di successo di donne imprenditrici, tale numero non è consistente come dovrebbe. Data una distribuzione normale dei cervelli, come è possibile che le proporzioni uomini-donne siano nettamente a favore dei primi? Non si vuole in questa sede discutere dell’annosa questione relativa alle pari opportunità. Pare tuttavia doveroso osservare come, se fossero rispettate le proporzioni demografiche tra i sessi, probabilmente il numero di aziende presenti sarebbe di gran lunga superiore a quello odierno, con una creazione di valore molto superiore ai parametri attuali. Per quanto concerne il secondo punto, risulta naturale riprendere il discorso espresso dal Dott. Polegato relativamente ai collaboratori. Se davvero ciascun individuo operasse essendo imprenditore di se stesso, osservando ed analizzando ciò che accade intorno, allora alcuni di questi collaboratori, scorgendo mancanze, che equivalgono ad opportunità nell’ottica imprenditoriale, potrebbe colmare tali gaps, sfruttando le proprie ed altrui competenze ed esperienze. Tuttavia l’opportunità 26 non può essere colta se non si dispone di un valido Network, inteso alla Wing Lam (ciò che più conta non è tanto dato da chi conosci, ma soprattutto da chi sei conosciuto). Questo concetto è tanto più vero in un business come quello di Asap, di gestione a 360 gradi delle risorse umane, basato in gran parte sulla fiducia dei clienti e sul passaparola. Strategica a tal fine è la partecipazione di tale azienda nel club degli imprenditori presso la Camera di Commercio ed altre associazioni dove, attraverso i roundtables, è possibile farsi conoscere e rimanere aggiornati attraverso le discussioni peer2peer. I due criteri determinanti nel successo imprenditoriale sono passione e straordinarietà (intesa come capacità di uscire fuori dall’ordinario). È bene riprendere un passaggio della dott.ssa Bacher, tratto da un inserto del Sole24Ore: “Come definire Asap? Passione, competenza, professionalità, dinamismo ed innovazione. Siamo la risposta alle esigenze delle imprese che puntano sul capitale umano per aumentare il proprio vantaggio competitivo sul mercato”. È opportuno soffermarsi sulla seconda parte del discorso, poiché della prima abbiamo ampiamente discusso. L’innovatività di Asap risiede nel suo aver compreso come il futuro apparterrà alle aziende che puntano sul capitale umano, poiché si è aperta l’era del capitalismo culturale. Asap vuole sviluppare l’asset delle aziende innovative, le persone. Tutto parte, come sottolineato dal Dott. Brown e dal Dott. Polegato, dalla cultura. Leonardo 3 Il caso è stato realizzato sulla base di due interviste (v. Appendice) 1 effettuate rispettivamente con il direttore scientifico della Leonardo 3, dott. M. Taddei e con l’a.d della stessa azienda, M.Lisa. Leonardo3 s.r.l è un innovativo centro di ricerca e media company (centro studi e laboratorio di ricerca; produzione di mostre e musei; produzioni editoriali, televisive e multimediali, casa editrice) che si occupa essenzialmente di Leonardo da Vinci. Dalle interviste dell’ad. M.Lisa e del direttore scientifico M.Taddei sono emersi due concetti particolarmente interessanti: 1) la globalizzazione, accrescendo la competitività, funge da pungolo e continuo stimolo ad un’innovazione specializzata che è possibile diffondere su più mercati; è questo il caso della Leonardo 3 in cui oltre tre quarti del business si svolge all’estero; 2) l’importanza del Network, inteso alla Wing Lam, consente, in un business basato essenzialmente sulla fiducia e sul passaparola, quale 27 quello delle organizzazioni di mostre ed opere culturali, di essere molto noti ed apprezzati, senza alcuna spesa pubblicitaria. Rainbow Il caso è stato realizzato a partire da un’intervista scritta (v. Appendice) 1 concessa dal dott. Straffi, proprietario di Rainbow. Il dott. Straffi, oltre a riprendere molti dei concetti già esposti, ne ha evidenziato uno nuovo, molto interessante: per rimanere dinamici ed innovativi è bene restare molto umili, consci di poter sempre migliorare, in accordo con la massima del grande Socrate: “Una cosa so, di non sapere”. Capitolo 5 Conclusione Dopo le innumerevoli interviste effettuate e conferenze seguite (alcune delle quali non sono nemmeno state menzionate per ragioni di spazio), è giusto spendere del tempo per fare alcune considerazioni. In primo luogo si è ora pronti a rispondere al primo quesito esposto nell’abstract: “chi sono questi imprenditori”?. Sono persone determinate, che ricadono generalmente in tre categorie: a) gente fortemente appassionata nel settore di riferimento; b) persone desiderose di dimostrare, in primo luogo a se stessi, di potercela fare; c) persone desiderose di creare valore, che danno sfogo al proprio estro in modo sempre ragionato e controllato (si deve sempre raggiungere un compromesso tra economicità e creatività). La seconda riflessione cerca di rispondere alla seconda domanda: “ Come hanno avviato le proprie imprese?”. Dipende. Tuttavia si possono trovare degli elementi in comune, che, laddove individuati, rendono queste storie ripetibili da ognuno di noi. Tutti gli imprenditori presi in esame hanno speso tempo ed energia, prima di entrare nel business, a costruire un fitto network, inteso alla maniera di Wing Lam. Avere un network significa trovare sempre la persona giusta al momento opportuno, nonché essere trovati dagli altri e, in seconda istanza, dal mercato. Come si può iniziare a costruire un buon network? La risposta è, ancora una volta, da ricercarsi nel discorso di Wing Lam: è opportuno porre due semplici domande ad ogni nostro conoscente, ossia, 1) Mi dia per favore due nomi di persone che possono essermi utili; 2) C’è qualcosa che 28 posso fare per lei? Si Parlava quindi di come l’ignoranza del settore sia uno stimolo per analizzare in modo approfondito l’industry senza restare paralizzati dalle inveterate procedure ed abitudini tipiche di un dato settore, con mente scevra da preconcetti e vigile di quanto accade in altri paesi ed in altri settori, anche completamente diversi da quello di competenza. Tuttavia, è opportuno sottolineare di nuovo come il vantaggio non sia di per sé l’ignoranza, quanto piuttosto il suo portato, ossia l’analisi e studio approfondito dell’industry. Infine, certamente non per importanza, la scelta dei collaboratori di cui ci si circonda: è cruciale comprendere come il vero grande asset delle aziende siano le persone, non già prese singolarmente, quanto nella loro collettività. È bene avere una squadra di collaboratori che ben si integrino vicendevolmente, con competenze complementari e con accentuata internazionalizzazione, al fine di creare un “supercervello”, vero vantaggio competitivo delle aziende oggigiorno. Ma la maglia di competenze di un’azienda deve essere il più ampia possibile, ed estendersi ben oltre le mura aziendali. Per tale ragione negli ultimi anni si sono create le piattaforme online come OpenIdeo e Connect & Develop, che hanno consentito alle rispettive aziende di postare in rete dei problemi che non erano in grado risolvere, sperando nella capacità risolutiva di terze parti dietro ricompensa. Per lo stesso motivo, anche se non è l’ unico, si creano le communities e le pagine sui social network. Si vogliono accrescere le informazioni a disposizione delle aziende, i pareri delle persone e soprattutto le idee. Queste ultime sono tuttavia solo l’incipit del processo di creazione di valore; è poi necessario sapere come svilupparle, difenderle, sperimentarle. Ciò è possibile solo attraverso un processo innovativo che non deve essere un qualcosa di forzoso e solo formale, ma deve bensì entrare a far parte della cultura dell’azienda e delle persone che costituiscono l’azienda. Per fare ciò sono necessari continui investimenti in ricerca e formazione del personale, nonché partnership ed alleanze. Da ultimo è necessario per l’imprenditore conservare sempre grande integrità e rettitudine, poiché la creazione di valore non va intesa come trasferimento di ricchezza da una persona all’altra, ma come creazione di qualcosa che prima non c’era, e che rende più confortevole la vita delle persone. È fondamentale, se si desidera creare valore, costruire rapporti di fiducia e godere di ottima reputazione. Appendice 1) Le interviste eseguite sono state tutte realizzate secondo la stessa procedura; si tratta di interviste qualitative guidate e strutturate, che proponevano all’interlocutore 4 quesiti: 1) Ci sono state esperienze particolari (esperienze di Erasmus, stage, 29 viaggi, cultura familiare..) determinanti nello sviluppo del Suo spirito imprenditoriale o, invece, si tratta di una qualità innata?; 2) Quali sono state le barriere principali (legali, economiche, assenza di network..) che ha incontrato nelle fasi di costituzione e lancio della Sua società?; 3) Quali sono stati i criteri di selezione del team di collaboratori? A posteriori cambierebbe qualcosa?; 4) Qual è la Sua ricetta per mantenere il vantaggio competitivo nel corso del tempo (dal punto di vista organizzativo, delle core competences, public relations, marketing, diversity, internazionalizzazione)?. 2) Conferenza tenutasi l’8 Febbraio 2012 presso il Ronald Tutor Campus Center, all’interno dell’University Park Campus della Usc . Bibliografia 1) Schumpeter, J.A., (1971) La teoria dello sviluppo economico, 1a Edizione italiana (Edizione originale: Theorie der wirstschafftlichen Entwicklung, München-Leipzig 1912). Firenze: Sansoni. Schumpeter, J.A., Unternehmer, in Handwörterbuch der Staatswissenschafeften (a cura di L. Elster, A. Weber e F. Wieser), vol. VIII, Jena 1926, pp.476-487 Schumpeter, J.A., (1972) Sociologia dell’imperialismo, 1a Edizione italiana (Edizione originale: Die sozialen Klassen im ethnisch homogenen Milieu, in “Archiv für Sozialwissenchaft und Sozialpolitik”, 1927, LVII). Bari: Laterza. Schumpeter, J.A., (1964) Capitalismo, socialismo e democrazia, 1a Edizione italiana (Edizione originale: Capitalism, socialism and democracy, New York1942). 2) McClelland,D., (1961) The achieving society, Princeton, N.J. 3) Corbetta,G., (2006) Imprenditorialità e aziende dell’Italian style, Sinergie Journal, n.71/06 Corbetta, G., (2005) Capaci di Crescere- L’impresa italiana e la sfida della dimensione, 1a Edizione, Milano:Egea. 4) Coda, V., (1988) L’orientamento strategico di fondo delle imprese eccellenti, in Aa.Vv., Caratteri distintivi dell’eccellenza imprenditoriale, 2a Edizione, Padova: Cedam. 5) Brown, T., (2009) Change by design, First Edition, New York: HarperCollins 30