www.albertorabagliati.com Archivio dei documenti Periodici

Transcript

www.albertorabagliati.com Archivio dei documenti Periodici
 www.albertorabagliati.com Archivio dei documenti Periodici *** Sono vietati l’uso e la riproduzione di testi e immagini presenti in questo documento senza la nostra esplicita autorizzazione. Contattateci all’indirizzo e‐mail: [email protected] 1 L’ultimo baccalà del Raba, di Giorgio Calabrese, in “Musica Leggera”, n. 9, marzo
2010, p. 7
______
Copertina:
Articolo:
2 Articolo digitalizzato: Roma, inverno ʹ73/74. Lʹuna del pomeriggio. Via Montello, Roma, a fianco alla sede storica della Radio che ha l’ingresso al 10 di via Asiago. Una pacca sulle spalle mi scuote, seguita da una voce amica: «Dai Giurgìn che è venerdì! Andiamo a mangiare il baccalà dal Vanni, che lo fanno buono...». Grande sorriso e grande entusiasmo, come sempre: Alberto Rabagliati. Veleggia verso i settanta, ma non li dimostra certo. Rabagliati è un monumento nazionale. ʺA legend in his time!ʺ direbbero gli americani, ai quali piace esprimersi per titoli da prima pagina. Lo so che ormai il pubblico se lo ricorda sì e no, ma lui è stato il primo cantante a lanciare una canzone autoreferenziale: Quando canta Rabagliati. E a farne un successo, agitando lʹindice della mano destra levata, ʺcon brioʺ avrebbero potuto scrivere in partitura. Era il 1941. Tempi tristi. La radio aveva anche il compito di tener su il morale di civili e militari con i programmi di musica leggera. E allora, vai Raba! La gente ʺvuol sentire rabagliarʺ, diceva la canzone. ʺRabagliareʺ è un neologismo coniato da Michele Galdieri, grandissimo autore di teatro e di canzoni come Munasterio ʹe Santa Chiara, Ma lʹamore no e Non dimenticar. Lʹitaliano si sposa male con la musica ritmica, ma Galdieri se la cavava lo stesso. Sono contento ogni volta che incontro Rabagliati, perché salta sempre fuori lʹaneddoto, il ricordo, lʹautoironia. E mi racconta di quella volta al Casinò di Montecarlo, con i Lecuona Cuban Boys, mentre cantava Maria la‐O, successo mondiale dello stesso Lecuona: qualcuno dal pubblico, riconosciutolo malgrado il trucco scuro che gli copriva il volto, gli gridò: «Dai Bertìn, fa minga el cubano che te set de Porta Vittoria! (Dai Albertino, non fare il cubano, che sei di Porta Vittoria...)». Racconta e ride. Rabagliati fa parte della storia dʹItalia, dellʹEIAR, della vita di tutti i giorni. Volere o no, è anche parte della mia storia. ʺBa‐baciami piccina sulla bo‐bocca piccolinaʺ, curiosamente tollerata dalla censura di allora, che non ammetteva ʺamericanismiʺ, musica negroide, swing e quant’altro, uscì nel 1940. A quellʹepoca io sono in prima media e tutto quello che suona ʺnuovoʺ mi sembra bellissimo. La canzone tornerà a galla dodici anni dopo col titolo di Botch‐A‐Me, cantata da una bravissima Rosemary Clooney con Stan Freeman al clavicembalo. Ma cʹè mancato poco che in anni successivi, scoperta la parentela con il nipote George, qualcuno la presentasse come Rosemary Clooney, la zia di George Clooney. Per fare notizia, come si dice. È successo ad altri. Rabagliati è il monumento indiscusso ai ʺRadio daysʺ: «Trasmettiamo un programma di musica riprodotta» diceva lʹannunciatrice. E nel programma di dischi, ma ʺmusica riprodottaʺ suonava meglio, Rabagliati cʹera comunque: Cʹè una chiesetta piccina, Quando la radio, La canzone del boscaiolo, Bambina in‐
namorata, Silenzioso slow, Ma lʹamore no... In quei giorni la radio era anche socializzazione, se vogliamo. Chi aveva un apparecchio radio, che era al tempo stesso una conquista e uno status symbol, si faceva preciso dovere di far partecipe della 3 musica tutto il vicinato: dunque, finestre spalancate, radio a tutto volume e vai... Il cortile faceva da cassa armonica. Un mondo piccolo, e anche becero, che è durato fino al giugno del ʹ40, quando lo scoppio della guerra e lʹausterity del momento imposero nor‐
me più restrittive: in casa si suonava sempre, ma a volume moderato. E qualche passo di danza veniva accennato solo se i vicini erano persone di cui ci si poteva fidare. Il pe‐
ricolo che qualcuno ʺfacesse la spiaʺ, magari per eccesso di zelo patriottico cʹera, eccome! Con tutto questo, dal 1941, ogni lunedì, Rabagliati aveva il suo programma intitolato Canta Rabagliati. «È vero Alberto?». Mi piacerebbe ora che mi raccontasse qualche curiosità, magari di quando intratteneva i militari in caserma, ma lui glissa. Pudore, forse. O forse perché non tutti i ricordi di allora sono piacevoli... «Quello della staffa» dico io, alzando la bottiglia per chiudere lʹincontro. Ma lui mi ferma con la mano... «No, Giùrgìn, che dopo devo andare a giocare a tennis!». Rispettato il precetto del venerdì, affiorano la moderazione e la disciplina. Mens sana in corpore sano. Farà ancora a tempo a partecipare a un Milleluci in coppia con Mina, cantando Ba‐baciami piccina con un minimo di terrore negli occhi ‐ il terrore del debuttante che ha paura di dimenticarsi un attacco o le parole della canzone. Lʹavrete visto anche voi su YouTube, forse... E poi se nʹè andato. In silenzio e alla svelta. Come per non disturbare. Non so più chi ha scritto che i vecchi soldati non muoiono. Svaniscono e basta. Qualcun altro ha scritto, invece, che la vecchiaia non è altro che un susseguirsi di ultime volte. E il mio ultimo incontro con Alberto Rabagliati è stato quel venerdì, davanti a un piatto di baccalà in umido, perché il venerdì è giorno di magro. 4