Vinicio Capossela Musica e poesia-parte 9 di Catia

Transcript

Vinicio Capossela Musica e poesia-parte 9 di Catia
Vinicio Capossela
Musica e poesia-parte 9
di Catia Manna
A Lubecca, nello scenario desolato di una fabbrica di polvere da sparo abbandonata dopo
la seconda guerra mondiale, due vecchi pianoforti tedeschi si parlano. È la favola
caposseliana del Signor Duysen e della Signora Bluthner, I pianoforti di Lubecca,
presente nell’album Canzoni a manovella (sui giri di antichi piani, appunto). Tra queste,
anche in Corre il soldato e in Suona Rosamunda il cantautore vive l’orrore rinnovato
della guerra.
I pianoforti di Lubecca
http://youtu.be/ulO7obrQtZ8
“Una notte sul canale di Lubecca
in una vecchia fabbrica di polvere
da sparo
lì giacciono nella polvere accasciati
i vecchi pianoforti
dalla guerra abbandonati,
cani senza più padroni
sull'attenti come vecchi
maggiordomi,
e in quelle casse sorde e impolverate
giace lì il silenzio
di milioni di canzoni”
Tacciono, sotto la distruzione, danni incalcolabili di parole, bersaglio, insieme ai bambini,
dell’anima di un popolo, anche futuro. Viene in mente l’incendio della Biblioteca Nazionale
di Sarajevo da parte dell’esercito serbo. Era il 1992, ancora la fase iniziale della più lunga
guerra in Occidente dopo la Seconda Guerra Mondiale. Qualcuno morì per salvare la
memoria custodita in quell’edificio (la Vijećnica) e magari i libri fossero ora solo impolverati!
Per la maggior parte si bruciarono, arsero le fiamme dei pensieri che ne sarebbero nati.
Allora i poeti fecero il turno di notte per impedire l’arresto del cuore del mondo, come disse
uno di loro, Sarajlić, che rimase nella sua città assediata. Gli incontri di poesia, a cui
partecipavano i cittadini, si svolgevano di notte1. Le parole erano la cartina tornasole
dell’essere ancora vivi, il pane del conforto. Nello stesso anno, il violoncellista bosniaco
Vedran Smailović evocò quelle disperse quando suonò tra le macerie della biblioteca.
1
Dalla prefazione di Erri De Luca a Chi ha fatto il turno di notte, Izet Sarajlić, Einaudi 2012
“Ma una sera come in un incanto
un vecchio Duysen disse al piano suo di fianco
i piedi ad altri piedi
più torniti avvicinò
e a mezza voce dolcemente sussurrò
Signora Blutner
non stia a pensare
quello che è stato
non tornerà
se ci hanno dati
tutti all'incanto
ora all'incanto
ceda il suo cuor..
se le caviglie sono allentate
e quei notturni non suona più
sfiori i miei tasti
prenda i miei baci
ed all'incanto
ceda il suo cuor
Se le cordiere si sono allentate
e il tempo non mantiene
più una nota insieme
scordiamoci anche noi di quel che è stato
scordiamoci d'un tratto del passato
ci suoni mister Kaps una berceousa
sul fortepiano a rulli
del principe Steinway
gli inglesi a baionetta!
cinguetti la spinetta!
la balalaika russa dell'ussaro Petrov!
Se le caviglie sono allentate
e quei notturni non suona più
sfiori i miei tasti
prenda quei baci
che mi fan sognar”
Se ci hanno dati tutti all’incanto, venduti all’asta, se di fatto, dunque, non abbiamo più
valore, come in una guerra, non ci resta che giocare con le parole (se ci hanno dati tutti
all’incanto, ora all’incanto ceda il suo cuor) e la loro musica (Kaps ed Steinway sono
antichi pianoforti). Se il tempo si è dimenticato, facciamo lo stesso col passato. Ogni
giorno in più sarà dedicato all’amore. Questo è anche il tema ricorrente nelle poesie di
Sarajlić ambientate in una Sarajevo che vorrebbe essere la sua prima donna e invece
indossa gli abiti virili della guerra.
“In una notte come questa, malgrado tutto, pensi
a quante notti d’amore ti sono rimaste”
“E allora! Forse per questo ti amerò di meno
e ti tormenterò meno nelle sventure?
Per questo sarà forse minore la mia fame
di te e minore il mio amaro diritto
di non dormire quando incombono sul mondo la peste
o la guerra…?”
(Sarajevo)
“Quando sono lontano da te
a ogni momento qualcuno può gettare
una bomba fra noi”
(Quando sono lontano da te)
“8 marzo del novantaquattro
La Sarajevo amorosa non si arrende
…
Piangi, piangi pure, non siamo in Via Veneto
e questo forse è anche il nostro ultimo ballo.”
(Ultimo tango a Sarajevo)
Corre il soldato
http://youtu.be/hSYWCrDz02E
Corre il soldato e lo sguardo lo insegue. Ansimano ricordi in tasselli. La sposa strappa il
velo o se stessa? La terra arsa attorno serve solo a dire che non ci saranno altri giorni con
cui dissetarsi. Le macchie nere su sfondo azzurro sono treni di cartone e non si
comprende come gli uomini possano starci dentro. Le ombre sono troppe e non danno
riparo. Il cielo si apre nella luce fulminante di ciò che non tornerà.
L’Ombra, il Cielo, il treno sono le immagini di un’altra poesia di Sarajlić, La linea Maginot.
“Chiamami ora
che la tua pelle non mi consola,
né la tua pelle
né il tuo viso diviso
e un'ombra scura è scesa
lunga su di noi.
Un treno è passato,
un treno nero e pieno,
corre il soldato,
corre la strada
sulla terra bruciata,
corre la notte e dice che
non tornerà per me.
Brancola la sposa,
brancola il suo velo di rosa,
si strappa a pezzi,
dorme e non riposa
e un treno ancora
non la porta più per me.
Casa su casa,
dov'è la casa ora che il cielo è caduto
e cade a pezzi giù dal cielo perduto?
e l'alba ancora
non ritorna anche per me.
Sognami qui com'ero.
sognami com'eri tu,
non ritorna il tempo per noi,
ora sai com'era vero,
ora sai com'eri tu.
Sognami qui com'ero,
sogna di com'eri tu,
non ritorna il tempo per noi,
ora sai com'era vero,
ora sai com'eri tu.”
(Corre il soldato, Capossela)
“Fra te e me ci sarà sempre la Linea Maginot,
fra te e me ci sarà sempre l’Ombra delle Disgrazie Passate,
il Cielo dei Caduti ci sarà,
e le mie poesie più amorose scritte per te ti faranno ricordare la polvere da sparo,
la polvere da sparo, le trincee, il fronte affumicato.
Fra te e me ci sarà sempre la Linea Maginot,
fra te e me,
fra ogni nostro aprile e noi,
fra ogni nostro novembre e noi,
l’Ombra delle Disgrazie Passate, il Cielo dei Caduti, la Linea Maginot,
e mai, davvero mai riusciremo tu e io a occuparci soltanto delle tende nuove
necessarie a far cinguettare il nostro appartamentino,
necessarie per sottrarci alla vista di tutti quando beviamo i dolci vini del nostro amore,
per non farci vedere da nessuno quando torniamo dalle nostre
inutili fughe stanchi,
per non far scoprire a nessuno le tacite ragioni per cui viviamo.
Fra te e me ci sarà sempre la Linea Maginot,
fra te e me, fra noi, fra tutti noi,
per dirci quanto siano insignificanti le tende nuove nel nostro appartamento
quanto sarebbe comicamente irrilevante anche chi potesse vederci quando ci amiamo,
qualcuno che potesse lamentarsi di noi quando ci amiamo
Fra te e me ci sarà sempre la linea Maginot,
L’Ombra delle Disgrazie Passate, il Cielo dei Caduti, la linea Maginot.
I treni ci porteranno nelle nostalgiche primavere dei nostri aprili novembrini
perché il nostro tetro carico urbano di pensieri
si arricchisca di verde così necessario per vivere, così necessario per amare,
così necessario per andarsene umanamente,
ma sappi:
noi non riusciremo mai a raccogliere le margherite solo come margherite,
perché fra i fiori e noi, fra te e me,
ci sarà sempre la linea Maginot.
Fra te e me ci sarà sempre la linea Maginot.
Fra te e me,
fra ogni nostro desiderio e noi,
fra ogni nostra partenza e noi,
fra ogni nostro ricordo e noi
ci saranno sempre
L’Ombra delle Disgrazie Passate, il Cielo dei Caduti, la linea Maginot.”
(La linea Maginot, Sarajlić)
Suona Rosamunda
http://youtu.be/hjzF5OqFu6E
Le immagini cristallizzate del campo di Aushwitz nella testimonianza di Primo Levi (Se
questo è un uomo, 1947) e quelle evocate nella canzone popolare Rosamunda si
fondono nel sentimento del cantautore.
C’è un momento di sospensione al campo di sterminio. “Sembra che si aspetti qualcuno”
(Primo Levi), ma tutti sanno che è solo la morte. “Cade la neve senza rumore sulle parole
cadute già, fino nel fondo della notte che qui ci inghiotte e non tornerà”. Come se venisse
da lontano, come la salvezza o anche solo la speranza, sopraggiunge una musica. Ha
fragranza d’amore. “Suona per me e per te, eppure è dolce nella sera”. È la canzone
Rosamunda:
“Rosamunda, Rosamunda che magnifica serata
sembra quasi preparata da una fata delicata...
Mille luci, mille voci, mille cuori strafelici...
sono tutti in allegria oh, che felicità.
Rosamunda, Rosamunda, questa polka indiavolata
ogni coppia innamorata fa danzare, fa cantare...
Se una scossa ti sconquassa, bella mia non farti rossa...
Da me lasciati baciare e non mi dir di no.
Rosamunda se mi baci tu, Rosamunda non resisto più..”
Dopo il sollievo, il terrore. La fanfara che ha suonato Rosamunda costringe un altro
drappello senza nome a marciare al ritmo di musica. “Considerate se questo è un
uomo…che non conosce pace” (Primo Levi). E allora “si bruci il circo si bruci il ballo
e le divise ubriache d’amor. Che non ritorni più a luce il sole, che non ritorni più luce per
noi”. Anche Rosamunda diventa cenere che può tornare in vita nella memoria: “Brucia
Rosamunda, brucia che mi piaci, brucino i tuoi baci nella cenere ancor”.
“[...] ci mettono ancora una volta in fila, ci conducono in un vasto piazzale che occupa il
centro del campo, e ci dispongono meticolosamente inquadrati. Poi non accade più nulla
per un'altra ora: sembra che si aspetti qualcuno.
Una fanfara incomincia a suonare, accanto alla porta del campo: suona Rosamunda, la
ben nota canzonetta sentimentale, e questo ci appare talmente strano che ci guardiamo
l'un l'altro sogghignando; nasce in noi un'ombra di sollievo, forse tutte queste cerimonie
non costituiscono che una colossale buffonata di gusto teutonico. Ma la fanfara, finita
Rosamunda, continua a suonare altre marce, una dopo l'altra, ed ecco apparire i drappelli
dei nostri compagni, che ritornano dal lavoro. Camminano in colonna per cinque:
camminano con un'andatura strana, innaturale, dura, come fantocci rigidi fatti solo di ossa:
ma camminano seguendo scrupolosamente il tempo della fanfara.” (Primo Levi, Se
questo è un uomo)
“Suona la banda prigioniera
suona per me e per te
eppure è dolce nella sera
il suono aguzzo sul nostro cuor
cade la neve senza rumore
sulle parole cadute già
Fino nel fondo della notte
che qui ci inghiotte e non tornerà
il passo d'oca che mai riposa
spinge la giostra, spinge la ruota
chiude i portoni coi maniconi
marciano i suoni vengon per noi
Suona Rosamunda
suona che mi piaci
suonano i tuoi baci
nella cenere ancor
Suona Rosamunda
suona che mi piaci
brucino i tuoi baci
nella cenere allor
Si bruci il circo e si bruci il ballo
e le divise ubriache d'amor
che non ritorni più a luce il sole
che non ritorni più luce per noi
le marionette marciano strette
dentro la notte tornan per noi
Suona Rosamunda
suona che mi piaci
suonano i tuoi baci
come fuoco d’amor
Suona Rosamunda
suona che mi piaci
brucino i tuoi baci
nella cenere ancor”
(Suona Rosamunda, Capossela)