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NOTA A CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE CIVILI
SENTENZA 5 ottobre 2015 n. 19785
A cura di SIMONA SGROI
La tutela dell’utilizzatore nel contratto di leasing finanziario
Sommario: 1. Premessa – 2. La vicenda fattuale – 3. Il contratto di leasing finanziario:
configurazione strutturale – 4. L’orientamento giurisprudenziale risalente – 5. L’evoluzione
giurisprudenziale e il modello di cui all’art. 1705, co. 2 c.c. – 6. La soluzione delle Sezioni
Unite – 7. Discipline a confronto: Convezione Unidroit in materia di leasing internazionale e
T.U.B. in materia di credito ai consumatori.
1. Premessa
La Corte di Cassazione, con la sentenza in epigrafe, risolve il contrasto giurisprudenziale rilevato
dalla Terza Sezione e avente ad oggetto la tutela dell’utilizzatore nel contratto di leasing
finanziario.
In particolare, essa viene chiamata a rispondere al seguente quesito di diritto: se, in caso di leasing
finanziario, l’utilizzatore sia legittimato – oltre che a far valere la pretesa all’adempimento del
contratto di fornitura e al risarcimento del danno conseguentemente sofferto – anche a proporre
domanda di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing, come effetto
naturale del contratto di locazione finanziaria, oppure se tale legittimazione sussista solamente in
presenza di specifica clausola contrattuale con la quale venga trasferita la posizione sostanziale
del concedente all’utilizzatore.
Prima di passare all’analisi della soluzione prospettata dalle Sezioni Unite, giova introdurre
brevemente la vicenda fattuale che ha fatto sorgere la problematica in questione, nonché inquadrare
la configurazione strutturale del contratto di leasing finanziario nelle dibattute categorie di negozio
unitario trilaterale o di collegamento negoziale, per poi passare ad enunciare, al riguardo,
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l’evoluzione giurisprudenziale che, a seconda della categoria di inquadramento adottata, è
approdata a diverse soluzioni di tutela dell’utilizzatore (risoluzione nel contratto plurilaterale ex art.
1459 c.c.; sostituzione al mandatario nei diritti derivanti dal mandato ex art. 1705, co. 2 c.c.).
Si concluderà, infine, con un confronto tra la disciplina di tutela dell’utilizzatore a cui sono
approdati gli Ermellini con quella prevista, in primo luogo, dalla Convenzione internazionale
Unidroit sul leasing internazionale e, in secondo luogo, dal T.U.B. in materia di credito ai
consumatori.
2. La vicenda fattuale
A fronte di un contratto di leasing stipulato con la società -OMISSIS (concedente), la società OMISSIS (utilizzatrice) citava in giudizio la -OMISSIS, società fornitrice in base al collegato
contratto di fornitura, per aver fornito un autocarro privo delle qualità essenziali e del tutto inidoneo
ad ottenere l’omologazione da parte del Ministero dei Trasporti.
In particolare, chiedeva al Tribunale adito, in primo luogo, che dichiarasse la risoluzione del
contratto di fornitura per inadempimento della fornitrice convenuta e, in secondo luogo, che
condannasse quest’ultima al risarcimento dei danni o, quantomeno, alla riduzione del prezzo.
In primo grado, il giudice di prime cure accoglieva le domande formulate dalla società attrice senza,
tuttavia, condannare la fornitrice al risarcimento del danno; mentre, in appello, la Corte riformava
integralmente la sentenza appellata per carenza di legittimazione attiva in capo all’utilizzatrice.
Avverso tale decisione, quest’ultima proponeva ricorso per Cassazione deducendo, come unico
motivo ex. art. 360, co. 1 n. 3), la violazione e falsa applicazione dell’art. 1705 c.c. e delle
disposizioni che presiedono all’interpretazione dei negozi giuridici ex artt. 1362 e ss. c.c.
In particolare, la ricorrente sosteneva che la Corte d’appello aveva erroneamente affermato la
carenza della sua legittimazione attiva alla risoluzione della fornitura sull’erroneo presupposto che
l’esercizio diretto dell’azione contrattuale da parte dell’utilizzatore del bene in leasing nei confronti
del fornitore, non derivando da una previsione generale di legge, fosse ammissibile solo in presenza
di specifica clausola contrattuale, nella specie inesistente.
Con ordinanza interlocutoria del 4 agosto 2014, n. 17597, la Terza Sezione Civile della Corte di
Cassazione chiedeva, da una parte, l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite in ordine alla
questione individuata in premessa concernente le azioni direttamente proponibili dall’utilizzatore
nei confronti del venditore-fornitore e, segnatamente, l’azione di risoluzione per inadempimento,
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dall’altra, metteva subito in chiaro come la soluzione della questione non poteva e non può
prescindere dalla considerazione della natura e della struttura del contratto di leasing finanziario.
3. Il contratto di leasing finanziario: configurazione strutturale
Così come ben evidenziato dall’ordinanza di rimessione, la chiave di volta della questione risiede
nella configurazione strutturale del contratto di leasing finanziario.
In via generale, occorre previamente chiarire che il leasing è un contratto atipico, non rientrante
cioè in alcun modello legale predisposto dal Codice, che è stato importato in Italia dalla prassi
contrattuale statunitense e che, peraltro, si è, in primo luogo, “sdoppiato” nelle due forme del
leasing operativo e del leasing finanziario, in secondo luogo, “standardizzato” essendo
normalmente predisposto unilateralmente dall’impresa di leasing e, in terzo luogo, “nazionalizzato”
attraverso gli adattamenti apportati dalla prassi contrattuale e dalla giurisprudenza.
Il leasing finanziario è così divenuto quel contratto con il quale una società finanziaria
(concedente), che ha acquistato per conto di un’impresa industriale o commerciale (utilizzatrice) un
bene ad essa necessario, lo cede all’impresa stessa in godimento, per un determinato periodo di
tempo (normalmente corrispondente a quello in cui il bene è idoneo ad apportare utilità economica),
dietro pagamento di un canone e assunzione dei rischi inerenti la cosa (perimento, sottrazione,
deterioramento, vizi, difetti funzionali, inidoneità all’uso previsto, mancata o incompleta consegna),
e con facoltà di optare, alla scadenza, fra la restituzione od il conseguimento in proprietà previo
versamento di un ulteriore importo.
Si evince dunque, in primo luogo, come il contratto assolva una funzione di finanziamento essendo
essenzialmente rivolto a consentire alla parte utilizzatrice la disponibilità della cosa mediante un
prestito di capitale effettuato dalla concedente, in secondo luogo, come il contratto di leasing
stipulato fra concedente e utilizzatore non è in grado di realizzare da solo l’interesse delle parti:
occorre, infatti, che venga concluso un altro contratto, di fornitura, con il quale il concedente, su
indicazione del futuro utilizzatore, acquista o fa costruire da un terzo fornitore (scelto normalmente
dallo stesso utilizzatore) il bene mobile o immobile, al fine di concederlo in utilizzazione contro il
pagamento del canone periodico.
Solo in questo modo il contratto di leasing si inserisce in un’operazione economico-negoziale in
grado di soddisfare l’interesse delle parti.
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Da un punto di vista più prettamente strutturale, se è indiscusso che le parti, nelle loro intenzioni,
vogliano realizzare uno scopo pratico unitario, non è invece automatico che da un’unica operazione
economica nasca anche un negozio unitario.
A tal proposito, due sono state le teorie maggioritarie elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza
che si sono contese il campo in materia e dalle quali sono derivati differenti assetti di tutela in capo
all’utilizzatore nelle ipotesi di inadempimento del fornitore, soprattutto con riferimento
all’ammissibilità di un’azione diretta di risoluzione per inadempimento o di riduzione del prezzo.
Ben diverso è, invece, il problema della qualificazione tipologica del contratto di leasing, ossia
della problematica concernente la sussunzione del leasing in una piuttosto che in un’altra fattispecie
codicistica tipica al fine di individuarne la disciplina applicabile; tematica sulla quale, anche, si
sono contese il campo più di due teorie ma che, non essendo oggetto di analisi da parte delle
Sezioni Unite in quanto attinente aspetti non rilevanti ai fini della soluzione della questione
prospettatagli, non sarà oggetto di trattazione in questa sede.
La prima teoria costruisce l’operazione di leasing finanziario come un negozio unitario plurilaterale
e, nello specifico, come un rapporto trilaterale in cui tutte e tre le parti sono espressione di un centro
d’interessi e, poiché hanno intessuto rapporti diretti tra di loro, avranno ugualmente azioni dirette
per la tutela dei rispettivi interessi.
La seconda teoria, oggi prevalente, ravvisa nel leasing un’ipotesi di collegamento negoziale per
volontà delle parti attraverso la quale queste ultime perseguono un risultato unitario e complesso,
per mezzo di una pluralità coordinata di contratti (nel caso di specie locazione e vendita-fornitura),
dotato ciascuno di una sua causa autonoma, ma che contribuisce alla formazione di un unico
regolamento dei reciproci interessi.
Per effetto del collegamento, le vicende di un contratto possono ripercuotersi sull’altro,
condizionandone la validità e incidendo sull’interpretazione della complessa operazione negoziale.
Peraltro, le parti, per determinare tale collegamento, adottano clausole di interconnessione con le
quali convengono espressamente che il bene venga acquistato dal concedente per cederlo in
godimento all’utilizzatore, che il bene debba essere consegnato direttamente a quest’ultimo, o,
ancora, che il rischio è a carico dell’utilizzatore.
Su queste clausole, espressione di autonomia contrattuale, si concentra, come si vedrà tra breve,
l’attenzione di tutta la giurisprudenza, la quale si è interrogata, in primo luogo, sulla loro validità
(posto che, spesso, vengono impiegate per attribuire all’utilizzatore tutti i rischi che derivano
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dall’inadempimento del contratto di fornitura) ed, in secondo luogo, su cosa accade quando (come
nel caso sottoposto all’attenzione delle Sezioni Unite) manchi una clausola che espressamente
estenda all’utilizzatore le garanzie cui è tenuto il fornitore nei confronti del concedente: quella
clausola cioè che serve per consentire all’utilizzatore di agire direttamente nei confronti del
fornitore in caso di suo inadempimento.
4. L’orientamento giurisprudenziale risalente
La giurisprudenza risalente,1 in ordine alla configurazione strutturale del leasing finanziario,
tendeva ad accogliere la prima teoria sopra illustrata, in quanto configurava tale contratto come un
rapporto trilaterale in cui l’acquisto ad opera del concedente viene effettuato per conto
dell’utilizzatore con la previsione dell’esonero del primo da ogni responsabilità in ordine alle
condizioni del bene acquistato per l’utilizzatore, essendo quest’ultimo a prendere contatti con il
fornitore, a scegliere il bene oggetto del contratto e a stabilire le condizioni di acquisto del
concedente. Quest’ultimo, infatti, non assume direttamente l’obbligo della consegna, né garantisce
che il bene sia immune da vizi e che presenti le qualità promesse, né rimane tenuto alla garanzia per
evizione.
Secondo tale ricostruzione, l’utilizzatore, essendo parte del negozio ed avendo intrattenuto rapporti
diretti con il fornitore del bene oggetto del contratto, sarebbe abilitato ad esperire direttamente nei
suoi confronti le azioni derivanti dal contratto.
In particolare, ai sensi dell’art. 1459 c.c., essendo la prestazione del fornitore, essenziale
nell’economia dell’affare, egli potrebbe esperire direttamente nei confronti del fornitore anche
l’azione di risoluzione per inadempimento, a condizione tuttavia che egli coinvolga anche il
concedente.
Infatti, dal contratto di leasing finanziario – afferma Cass. 854/2000 – “nascono vincoli obbligatori
incrociati tra loro nei quali la prestazione del fornitore è essenziale nell’economia del contratto,
perché è quella che soddisfa l’interesse di entrambe le altre, oltre che quello dello stesso fornitore
a ricevere il prezzo: se essa viene meno, il contratto si scioglie rispetto a tutte le altre parti. La
risoluzione del rapporto di compravendita chiesta ed ottenuta autonomamente dall’utilizzatore, il
quale consegua la restituzione del prezzo e il risarcimento del danno, pregiudicherebbe la
condizione del concedente: questi oltre ad essere privato della garanzia rappresentata dalla
proprietà del bene rischierebbe anche di non ricevere i canoni essendo venuta meno con la
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Cass. n. 4367/97; n. 6076/95, n. 5571/91
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cessazione del godimento del bene la causa della contrapposta obbligazione dell’utilizzatore di
pagare i canoni”.
Si evidenzia come, secondo tale ricostruzione, la giurisprudenza abbia impiegato l’escamotage del
litisconsorzio necessario nei confronti del concedente per tentare di rimediare alla stridente
anomalia dell’azione risolutiva concessa a chi, in realtà, non è stato parte del contratto da risolvere,
azione che, laddove dovesse essere accolta, comporterà necessariamente la perdita in danno del
concedente non solo della proprietà ma anche dei canoni derivanti dalla locazione.
5. L’evoluzione giurisprudenziale e il modello di cui all’art. 1705, co. 2 c.c.
La giurisprudenza più recente ha, invece, adottato la seconda teoria in ordine alla struttura del
leasing ed ha così ricostruito l’intera operazione come un’ipotesi di collegamento funzionale tra il
contratto di vendita-fornitura stipulato tra il fornitore ed il concedente e quello di leasing stipulato
tra quest’ultimo e l’utilizzatore, che si realizza mediante clausole di interconnessione, inserite nel
primo contratto, con cui si conviene che il bene viene acquistato per cederlo in godimento
all’utilizzatore e deve essere consegnato direttamente a quest’ultimo. In tale contesto, non
assumendo il fornitore alcun impegno diretto nei confronti o a favore dell’utilizzatore, l’acquisto del
bene rappresenta, “non solo un atto giuridico strumentale alla concessione in godimento, ma anche
un evento che deve logicamente precedere l’attribuzione all’utilizzatore della detenzione autonoma
qualificata della cosa, che deve necessariamente provenire dal concedente-proprietario perché si
perfezioni il contratto di leasing”.
La consegna del bene all’utilizzatore costituisce, invece, per un verso, adempimento
dell’obbligazione di consegna del fornitore e, per altro verso, esecuzione da parte di quest’ultimo di
un incarico conferitogli dal concedente nell’interesse dell’utilizzatore, creditore del concedente in
base al contratto di leasing e quindi da considerarsi adiectus solutionis causa rispetto al contratto
di vendita2.
In ordine, poi, alla tutela dell’utilizzatore la giurisprudenza ha fatto ricorso alla disposizione di cui
all’art. 1705, co. 2 c.c. ossia a quella disposizione che dà diritto al mandante, nel mandato senza
rappresentanza, di far propri di fronte ai terzi in via diretta e non in via surrogatoria i diritti di
credito sorti in capo al mandatario, assumendo egli stesso l’esecuzione dell’affare a condizione,
però, che non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario in base al contratto concluso, potendo il
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Vedi, in tal senso, Cass. n. 16158/2007 ma anche Cass. n. 17145/2006 e n. 9417/2014.
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mandante, peraltro, esercitare nei confronti del terzo le azioni derivanti dal contratto stipulato dal
mandatario volte ad ottenerne l’adempimento od il risarcimento del danno in caso di
inadempimento.
In particolare, la giurisprudenza trasponeva tale modello per regolare i rapporti trilaterali nel leasing
e affermava che con la conclusione del contratto di fornitura viene a realizzarsi nei confronti del
terzo contraente quella stessa scissione di posizioni che si ha per i contratti conclusi dal mandatario
senza rappresentanza, di conseguenza l’utilizzatore-mandante è legittimato a far valere nei confronti
del fornitore-terzo la pretesa all’adempimento, oltre che al risarcimento del danno sofferto.
Tuttavia, come messo in evidenza dalla stessa ordinanza di rimessione, la disposizione di cui al
comma 2, art. 1705 c.c. deve essere interpretata come eccezione al principio generale di cui al
comma 1 del medesimo articolo, secondo cui il mandatario che agisce in nome proprio acquista i
diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto
conoscenza del mandato.
La disposizione del comma 2, pertanto, in ragione del carattere eccezionale e in forza del chiaro
tenore dell’espressione “diritti di credito derivanti dall’esercizio del mandato”, deve essere
rigorosamente limitata alla facoltà di esercizio, da parte del mandante, dei soli diritti sostanziali di
credito derivanti al mandatario dalla esecuzione dell’incarico gestorio, con esclusione della
possibilità di esperire, contro il terzo, le relative azioni contrattuali3.
Al riguardo, così come ben evidenziato dalla Terza Sezione nell’ordinanza di rimessione, può
dubitarsi che il decisum sopra illustrato possa essere trasposto sic et simpliciter in materia di
leasing, ben potendo questa ipotesi rientrare fra quelle in cui la legge riconosce eccezionalmente
all’utilizzatore-mandante la legittimazione sostanziale e processuale4. Resta, pur sempre, il fatto
che, anche applicando al leasing il modello di cui all’art. 1705, co. 2 c.c., la giurisprudenza più
recente ha escluso esplicitamente, o talvolta anche implicitamente, che l’utilizzatore possa esperire
direttamente nei confronti del fornitore anche l’azione di risoluzione per inadempimento.
Alla luce di tale più evoluto orientamento giurisprudenziale, si evidenzia come, al riguardo, ci si
trovi dinanzi a una vera e propria lacuna che, secondo Cass. n. 17145/2006 e n. 534/2011, deve
essere risolta caso per caso, dipendendo la possibilità di esperire tale azione dalla sussistenza nel
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Vedi anche Cass. Sez. Un. n. 24772/2008.
A ben vedere, infatti, la ratio ispiratrice delle Sez. Un. n. 24772/2008 era quella di soddisfare le esigenze di tutela del
terzo, esigenze che, invece, nel leasing finanziario, non hanno ragione di esistere dal momento che, in esso, il rapporto
(ancorché non unitario) viene purtuttavia ad instaurarsi e a svolgersi nella piena consapevolezza e volontà di tutti e tre
i contraenti, certamente incluso il fornitore-terzo.
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contratto di leasing di uno specifico patto al riguardo: si tratta delle cd. clausole di
interconnessione della cui importanza se ne sono occupate le Sezioni Unite proprio con la sentenza
in epigrafe.
6. La soluzione delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite, dal canto loro, premettono che, oramai, l’istituto del leasing finanziario si
presenta nella pratica mercantile talmente differentemente formato e strutturato per realizzare i più
disparati interessi degli operatori economici che i suoi formulari contrattuali hanno soltanto alcuni
punti in comune in quanto, abitualmente, sono diversamente forgiati secondo le concrete esigenze.
Secondo la Cassazione, ciò che è indubbiamente in comune in tutti i contratti di locazione
finanziaria è il fatto che si tratti di vicende trilaterali realizzate mediante due negozi sostanzialmente
autonomi ma funzionalmente collegati5, in cui l’utilizzatore è terzo rispetto al contratto di fornitura
ed, a sua volta, il fornitore è terzo rispetto al contratto di locazione ed in cui l’unico ad essere parte
di entrambi i negozi è il concedente.
Nella prassi, il collegamento viene a realizzarsi attraverso apposite clausole (cd. di
interconnessione) previste in ciascuno dei due contratti come quelle, inserite nel contratto di
leasing, che obbligano il concedente alla futura cessione di eventuali diritti nascenti da
responsabilità del fornitore, o come quelle, inserite nel contratto di fornitura, che configurano
l’utilizzatore quale beneficiario delle prestazioni inerenti alla produzione e alla messa a disposizione
del bene.
Talvolta, il collegamento viene ulteriormente enfatizzato attraverso la partecipazione
dell’utilizzatore al contratto di fornitura: in queste ipotesi (generalmente trattasi di leasing
immobiliare) il notaio usa costituire la “parte venditrice” (il fornitore), la “parte acquirente” (il
concedente), nonché altro soggetto che dichiara di intervenire nell’atto di compravendita in qualità
di “utilizzatore”. Peraltro, in tali contratti, si usa aggiungere anche che l’utilizzatore potrà rivolgersi
direttamente ed autonomamente alla parte venditrice in ogni sede per qualsivoglia reclamo o
pretesa.
Le Sezioni Unite, però, a questo punto, evidenziano come è proprio per la presenza di siffatte
clausole che si può configurare il contratto di fornitura alla stregua di un contratto produttivo di
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Con tale affermazione, le Sezioni Unite confermano il loro consolidato orientamento in ordine alla configurazione
strutturale del leasing come ipotesi di collegamento negoziale.
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alcuni effetti obbligatori a favore del terzo utilizzatore senza, peraltro, la necessità di ipotizzare la
presenza di un mandato implicito al contratto di leasing volto ad assicurare all’utilizzatore i diritti
di azione riconosciuti dalla legge al mandante nel mandato senza rappresentanza (art. 1705, co. 2
c.c.).
Nelle ipotesi in cui, invece, manchino tali clausole non può assolutamente eludersi la “regola della
cd. relatività degli effetti del contratto” ossia la regola consacrata dall’art. 1372 c.c. in base alla
quale “il contratto ha forza di legge tra le parti e non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi
previsti dalla legge”.
Ciò significa – affermano le Sezioni Unite – che, in via di principio, è da escludersi che, in
mancanza di diverso patto o di specifica disposizione normativa, colui che non è stato parte del
contratto di fornitura (l’utilizzatore) possa agire perché il contratto stesso sia risolto, incidendo egli
in una res inter alios acta e sortendo, così, l’effetto di privare il concedente della proprietà del
bene locato e, dunque, della garanzia che costui si era riservato a fronte del pagamento dei canoni
di locazione.
L’unica possibile deroga a questa regola è ammessa nelle ipotesi di collegamento negoziale in senso
tecnico, ossia in quelle ipotesi in cui la patologia di un contratto comporti la patologia anche
dell’altro in forma di reciproca interdipendenza e in cui si verifichino i tipici effetti di cui al
brocardo latino simul stabunt simul cadent.
Secondo gli Ermellini, nel caso di specie e in via generale nei contratti di leasing finanziario, non
ricorre un’ipotesi di collegamento in senso tecnico in quanto manca sia il requisito oggettivo del
nesso teleologico tra i negozi, sia il requisito soggettivo del comune intento pratico delle parti di
volere non solo l’effetto dei singoli negozi ma anche il coordinamento tra di essi per la
realizzazione di un fine ulteriore che assume una propria autonomia anche dal punto di vista
causale6.
Infatti, in ordine al requisito oggettivo, sebbene da un punto di vista economico i rapporti tra
fornitore, concedente e utilizzatore costituiscano un tutto unitario, da un punto di vista giuridico,
invece, ci si trova dinanzi a due distinti contratti che, seppur legati tra loro da un nesso, esso non
determina che le vicende che concernono la validità/invalidità di un contratto si ripercuotano
automaticamente sull’altro.
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A tal proposito, vedi Cass. n. 11974/2010.
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Ma anche e soprattutto in ordine al requisito soggettivo, non può dirsi che, in un contratto di leasing
finanziario, il fornitore si determini alla vendita in funzione della circostanza che il bene verrà
concesso in locazione dal compratore/concedente all’utilizzatore/locatario. Al contrario, il fornitore
ha il mero interesse alla vendita del suo prodotto e la causa che regge il contratto da lui stipulato
con il finanziatore/concedente è quella tipica del contratto di compravendita, ossia il trasferimento
del bene in cambio del prezzo.
Allo stesso modo, non può dirsi che il concedente, una volta determinatosi al finanziamento, sia
davvero interessato rispetto alla scelta del bene e del fornitore effettuata dall’utilizzatore, posto che,
qualunque essa sia, egli è garantito dalla proprietà del bene rispetto all’obbligo del pagamento del
canone a carico dell’utilizzatore stesso.
Alla luce del superiore ragionamento, le Sezioni Unite, respingendo il ricorso, negano che vi sia
collegamento negoziale in senso tecnico e, conseguentemente, negano che nel leasing sia legittimo
derogare al principio della relatività degli effetti del contratto: di talché, salvo che non si sia in
presenza di una specifica clausola, non è consentito all’utilizzatore esperire direttamente nei
confronti del fornitore azione di risoluzione per inadempimento (o di riduzione del prezzo).
Infine, posto che la preoccupazione principale in queste ipotesi è che l’utilizzatore rimanga privo di
tutela, le Sezioni Unite vanno oltre interrogandosi su quali siano allora, in concreto, i rimedi
esperibili dall’utilizzatore nelle ipotesi di inerzia del concedente nel far valere i vizi della cosa
oggetto dei due contratti (leasing e fornitura), soprattutto in una vicenda contrattuale in cui,
tipicamente, è previsto l’esonero del concedente da responsabilità per vizi.
Gli Ermellini, al riguardo, ribadiscono che l’utilizzatore ha certamente il diritto di agire verso il
fornitore per il risarcimento del danno, nel quale sono tra l’altro compresi i canoni pagati al
concedente in costanza di godimento del bene ex art. 1526 c.c., inoltre, andando più a fondo nella
questione approdano a due distinte soluzioni a seconda che i vizi siano immediatamente
riconoscibili dall’utilizzatore o che essi si manifestino successivamente alla consegna in quanto
occulti o in mala fede taciuti dal fornitore.
Nel primo caso, assimilabile a quello di mancata consegna, il concedente, informato che
l’utilizzatore ha rifiutato la consegna per i vizi della cosa, ha l’obbligo, in forza del principio di
buona fede ex art. 1375 c.c., di sospendere il pagamento del prezzo nei confronti del fornitore, per
poi procedere, se ne ricorrono i presupposti, con l’azione di risoluzione per inadempimento alla
quale consegue necessariamente la risoluzione del contratto di leasing.
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Nel secondo caso, invece – continuano le Sezioni Unite – è consentito sicuramente all’utilizzatore
di agire direttamente contro il fornitore per l’eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa, ma
anche il concedente, informato dei vizi, avrà (ex art. 1375 c.c.) il dovere giuridico di agire verso il
fornitore per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo, con tutte le
conseguenze giuridiche ed economiche riverberantesi sul collegato contratto di locazione.
7. Discipline a confronto: Convezione Unidroit in materia di leasing internazionale e T.U.B. in
materia di credito ai consumatori.
In conclusione, giova evidenziare come le argomentazioni e, infine, la soluzione adottata dalle
Sezioni Unite nella sentenza in epigrafe sono in armonia anche con legge n. 259/1993 di ratifica ed
esecuzione della Convenzione Unidroit sul leasing internazionale firmata ad Ottawa il 28 maggio
1988 e con il Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, discipline entrambe speciali
sulla cui inapplicabilità non si discute ma con cui è sempre utile confrontarsi.
In particolare, la l. di ratifica della Convenzione di Ottawa, all’art. 10, prevede che gli obblighi del
fornitore in base al contratto di fornitura potranno essere fatti valere anche dall’utilizzatore come se
egli facesse parte di tale contratto e come se il bene gli dovesse essere fornito direttamente. Tale
azione diretta dell’utilizzatore viene peraltro limitata, in assenza di diversa pattuizione contrattuale,
alla sola azione di esatto adempimento o di riparazione del danno, con esclusione di quella di
risoluzione o annullamento del contratto di fornitura.
Anche il quadro normativo delineato dal T.U.B. (art. 125 quinquies d.lgs. 141/2010) conferma la
soluzione delle Sezioni Unite in quanto, nei contratti di credito collegati ed in ipotesi di
inadempimento del fornitore, esso non consente all’utilizzatore/consumatore (soggetto sicuramente
meritevole di maggiore protezione rispetto all’imprenditore) di agire direttamente contro il fornitore
per la risoluzione del contratto di fornitura, bensì gli consente solo di chiedere al
concedente/finanziatore (dopo avere inutilmente costituito in mora il fornitore) di agire per la
risoluzione del contratto, richiesta che determina poi la sospensione del pagamento dei canoni.
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