VOCI SUONI E RITMI DELLA TRADIZIONE
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VOCI SUONI E RITMI DELLA TRADIZIONE
VOCI SUONI E RITMI DELLA TRADIZIONE Collana di musica salentina diretta da Luigi Chiriatti SORELLE GABALLO Canti polivocali del Salento Nardò/Arneo a cura di Dario Muci Edizioni Kurumuny Sede legale Via Palermo 13 – 73021 Calimera (Le); Sede operativa Via San Pantaleo 12 – 73020 Martignano (Le) Tel. e Fax 0832 801577 www.kurumuny.it • [email protected] ISBN 978-88-95161-24-2 Progetto grafico e impaginazione: Giovanni Chiriatti In copertina: Concetta Pulli. Si ringraziano: La famiglia Gaballo tutta e in particolare Ada, Franca, Rosaria, Mimina Gaballo. Gianpiero Quaranta, Daniela Stifanelli, Giuseppe Spedicato, Mario Mennonna, Valerio Daniele, Enza Pagliara, Giacomo Fracella, Luigi e Giovanni Chiriatti, Natalie, Giorgia, Multimediatrend. Ricerca, registrazioni e testi: Dario Muci Analisi musicale e trascrizioni: Giuseppe Spedicato English Translation: Daniela Stifanelli, Francesco D’Autilia, Gianpiero Quaranta, Giuseppe Spedicato. Mixed and mastering: Valerio Daniele – Chora studi musicali Foto: Giacomo Fracella, Dario Muci. www.dariomuci.it www.myspace.com/dariomucimayis • [email protected] © Edizioni Kurumuny – 2008 Indice Cantare nell’Arneo p. 7 di Luigi Chiriatti Un profumo canoro p. 10 di Mario Mennonna Una magia p. 12 di Dario Muci Trascrivere la musica delle sorelle Gaballo p. 13 di Giuseppe Spedicato I canti p. 17 English translations p. 37 Trascrizioni musicali p. 65 di Giuseppe Spedicato Biografie e foto p. 79 Cantare nell’Arneo Luigi Chiriatti Il lavoro di Dario Muci di documentazione e ricerca con le sorelle Gaballo apre prepotentemente una finestra su un territorio e una parte del Salento (Arneo-Nardò) poco conosciuti e poco indagati dall’etnomusicologia locale e nazionale. Un territorio, l’Arneo, su cui si erano focalizzate le aspirazioni dei contadini salentini che negli anni ’50-’51 tentarono con quaranta giorni e quaranta notti di occupazione di questo immenso latifondo, di soddisfare le loro richieste e dare risposte concrete alla grande e spaventosa povertà della loro vita. Il tutto culminò con la grande emigrazione che arrivò a toccare punte del 35-38%, determinando un processo di ripudio della propria cultura e una voluta dimenticanza della cultura del territorio. Nardò e le zone limitrofe sono state il “territorio” di Luigi Stifani, barbiere musicista, “dottore” delle tarantate. Luigi Stifani ha scandito fino alla sua morte (28 giugno 2000) i ritmi e la musica di questa parte del territorio salentino. La sua personalità e la sua grande conoscenza del fenomeno più indagato e documentato del Salento, il tarantismo, ha limitato se non annullato del tutto (anche se inconsapevolmente) la ricerca successiva che non si è mai spinta molto oltre Stifani. Ora le voci, i racconti, i canti delle sorelle Gaballo e il paziente lavoro di Dario Muci interrompono questo silenzio della memoria “spezzata” e riannodano e tessono nuove storie e nuove speranze. 7 Le sorelle Gaballo narrano la loro storia e quella di una terra intera, con canti e poesie raccolti in questo libro-cd. Lo fanno prediligendo il canto alla stisa. Cantare a para-uce, alla stisa, è l’espressione più significativa del canto salentino. Diverse voci che si intrecciano, si sovrappongono, si inseguono, duettano sino a creare una perfetta armonia con melismi, ghirigori, glissati. Per una buona cantata c’è assoluto bisogno che ogni voce rispetti un suo ruolo: una voce portante (minate ca nui te secutamu…), una controvoce, una voce di terza o di quinta e tanti bassi. Senza i “bassi”, vero e proprio tappeto musicale sul quale si poggiano e giocano le altre voci, non ci può essere canto polivocale. È un po’ come la pizzica-pizzica dove il tamburo stende un tappeto musicale su cui giocano gli altri strumenti solisti e di accompagnamento. I canti alla stisa venivano usati durante i lavori dei campi (raccolta del tabacco, delle olive, della sarchiatura del grano…), e servivano a rallentare o accelerare il ritmo lavorativo senza incorrere nelle ire del padrone o dei suoi sottoposti o al più per lanciarsi richiami da un campo all’altro. Non era raro poi, durante le sere d’estate, ascoltare cori di voci maschili e femminili eseguire canti polivocali. Canti che ti prendevano il cuore e ti “fatavano” nell’attimo dell’ascolto. Era il momento in cui le comunità agricole pastorali usavano il canto come categoria espressiva del bello per esorcizzare la morte. La consapevolezza di sapere di morire lentamente giorno dopo giorno dava come risultato dei canti polivocali estremamente belli e compositi. Il canto polivocale era una delle poche categorie espressive attraverso la quale la classe subalterna e le donne, soprattutto, potevano esprimere liberamente i propri desideri, le aspirazioni, gli amori, i dolori. Più il canto era esteticamente riuscito e accattivante, tanto più diventava 8 espressione della miseria umana e della dura quotidianità. Cantando insieme e dispiegando il canto in questa maniera e forma allontanavano, almeno per quel momento, la consapevolezza della loro condizione. Nelle loro biografie realizzate con calligrafia minuta intensa e emotiva, le sorelle Gaballo raccontano i desideri, i dolori, le aspirazioni, la gioia di essere un mondo al femminile, quasi autosufficiente. Dieci figli (sette donne) che hanno trascorso la loro vita lavorando in diverse masserie dell’Arneo, al punto di costringere la maestra a fare scuola da loro. Loro, donne, si occupavano di tutti i mestieri che normalmente erano destinati ai maschi: arare, seminare, falciare, trebbiare, accudire le bestie, portare le donne con i traini nei campi. Essere donne per loro non è sinonimo di doppia subalternità, anzi le rende più consapevoli e le affina nelle arti femminili. I loro canti ci introducono a una conoscenza profonda della cultura del territorio con i suoi misteri, miti, riti, suoni, voci, rumori. Il cd si configura quasi come un canto “al femminile” dove si denuncia la condizione di sottomissione della donna che per volere e volontà del “maschile” deve sottostare a decisioni poco piacevoli, come per esempio diventare monacella. Cantano il desiderio di un amore ideale, che come per incanto sostituisce la loro condizione di donne immerse in un mondo fatto di duro lavoro e di dure privazioni, in dame e cavalieri che vengono da paesi lontani con meravigliosi abitati da re e regine. Consapevoli di possedere la sintassi del canto salentino, quando cantano in coro, alla stisa, o gli stornelli, lo fanno con vera gioia. Con ironia quando recitano i sonetti di Natale, con grande determinazione quando affrontano i temi dell’amore a dispetto. 9 Un profumo canoro Mario Mennonna Un profumo canoro si sprigiona dalle voci delle sorelle Gaballo, mentre nota su nota va colorandosi di memoria e di presente, in una coralità crescente e coinvolgente. La modulazione armoniosa delle voci, che sembra quasi giocare nell’avvolgere e nel dipanare i primordiali sentimenti semplici, autentici, sgorganti dalle radici del mondo contadino del Salento, ha la capacità di far oltrepassare gli orizzonti del comune sentire e immergere in un’atmosfera leggiadra dell’amore trionfante e struggente, dell’amore sconfitto. Ma giammai prevale esaltazione o disperazione. L’amara, ma mai arresa, conquista della vita, intrisa di fatiche, di stenti e di rinunzie, all’ombra dei protettivi ulivi o sotto gli allettanti ciliegi, tra i complici pampini o nelle onde del mare, tra le crudeli conseguenze della gelosia o nell’obliante rifugio della guerra, sulle verdeggianti foglie di tabacco o tra gli scanni della chiesa del Carmine, media e modula la riservata saggezza, l’attaccamento alle radici e la profonda religiosità. Questo spaccato, che rappresenta una scheggia nel variegato e complesso patrimonio popolare e contadino, è racchiuso nello scrigno etno-canoro della presente raccolta, curata con rito sacrale da Dario Muci, che, con grande riservatezza e con altrettanta passione, va cercando l’etnia lessicale-canoro-musicale del suo Salento. 10 … Ora prevalga il silenzio… Dalla canora campagna giungono più nitidi e suggestivi i canti, purificati di tecnica e di professionalità, di inquinamenti di commercio e di spettacolo, ma musicati in accorata polifonia dai rintocchi delle naturali voci… ogni altra parola sarebbe una nota stonata! Silenzio! Ma un ultimo mio sibilo: grazie… anch’io ho scoperto che “mio padre era il sole – mia mamma era la luna – le sorelle son le stelle - che scintillan dal ciel”. 11 Una magia Dario Muci Hanno lavorato nei campi, hanno raccolto il tabacco, il grano… hanno zappato la terra, hanno portato trattori, cavalli, traini. Da piccole costruivano i loro giochi con quello che la natura gli offriva… da grandi hanno conosciuto il travaglio, l’emigrazione... la vita. Il canto contadino, come vuole la tradizione orale, gli è stato tramandato dalla madre, suonatrice di organetto e dal padre contadino e cantore. Quattro voci arcaiche, quattro timbri diversi, quattro modi di interpretare un brano… ma un unico suono in un unico corpo. Armonizzano, giocano con le voci, ti trasmettono dolore, amore, nostalgia… stati d’animo del canto popolare. Dopo la morte del maestro Luigi Stifani, Luigi Cecere, Cesare Monte, Cesare Zuccaro, Mimino Spano e altri, credevo che non fosse rimasto più nessuno a tramandare la cultura popolare a Nardò. Ho conosciuto in giro tanti cantori, gruppi polivocali, anziani e giovani portatori di musica tradizionale… ma conoscere queste donne, con le loro storie e i loro canti, non è stata una scoperta… ma una magia… e come un incantesimo, lascia incantare. Grazie per tutto quello che avete fatto per me e per la tradizione orale salentina. 12 Trascrivere la musica delle sorelle Gaballo Giuseppe Spedicato La descrizione della musica di tradizione orale attraverso il linguaggio della musica colta è una delle problematiche più dibattute in etnomusicologia. L’inadeguatezza del segno scritto nel tradurre la musica popolare si rivela sotto più aspetti: nell’ornato melodico che spesso sfugge alla misurazione metronomica; nell’intonazione delle note che frequentemente diverge dal temperamento equabile; nell’ampio utilizzo di “micro-variazioni”, fattore che impedisce l’identificazione di un’esecuzione “standard”; nel parametro timbrico, del tutto privo di rappresentazione sullo spartito. La trascrizione musicale non risulta inoltre il mezzo più idoneo a estrinsecare fenomeni prevalentemente acustici, come la trama timbrica creata nei canti polivocali, per la cui comprensione l’ascolto del supporto registrato rimane il mezzo più opportuno. Bisogna inoltre sottolineare come anche parametri musicali facilmente trascrivibili per altri repertori, attraverso l’uso di segni diacritici integrativi, risultino in questo caso questioni complesse da affrontare. I canti cosiddetti alla stisa o a par-uce sfuggono, infatti, a qualsiasi imbavagliamento ritmico per seguire più da vicino la cadenza del testo e le suggestioni prodotte dal suono delle singole sillabe. 13 Essi rappresentano un’esperienza musicale originale, che da una parte rinuncia alla forza esercitata dalla musica nei confronti dell’ascoltatore in quanto fenomeno ritmico, espressione di vitalità ed impulso al movimento e al ballo, d’altra parte libera l’esecutore dagli spazi angusti della battuta musicale, stimolando un nuovo interesse, legato alle suggestioni dei suoni prolungati ad libitum. Si può pertanto affermare che ciò che distingue buona parte della musica salentina dal resto delle musiche popolari del mondo è proprio – e paradossalmente rispetto all’immagine che essa continua a mostrare all’esterno – la mancanza di riferimenti coreutici o ritmici. Le registrazioni effettuate da Dario Muci vanno ad arricchire proprio questo ambito del repertorio salentino, seguendo una nuova corrente di ricerche sul campo che finalmente ristabiliscono i giusti rapporti di forza tra i vari generi musicali popolari presenti sul territorio. Le evidenze delle ultime registrazioni portano inevitabilmente a ridimensionare il ruolo assunto dalla pizzica, trainato in parte dall’appeal delle ricerche demartiniane, ma anche dal fenomeno del folk revival. Esiste dunque un ampio settore del repertorio musicale salentino – quello individuato dai cantori locali con le espressioni canti alla stisa o canti a para-uce – che rinuncia in maniera quasi assoluta all’impulso ritmico. Nonostante l’assenza di un ritmo stabile, questo repertorio mostra comunque uno straordinario grado di coerenza tra le voci. Le trascrizioni riportate in questo lavoro di ricerca, per l’analisi finora condotta, rappresentano solo un “canovaccio” ritmico-melodico. Non si intende pertanto fornire delle partiture da riprodurre in base a una lettura standard ma solo fornire una chiave d’aiuto all’ascolto. 14 Nel repertorio delle sorelle Gaballo il margine di libertà lasciato all’esecuzione è inoltre molto elevato, e pertanto le registrazioni effettuate da Dario Muci (che il CD, per ovvie questioni di opportunità, non riporta integralmente), mostrano diverse lezioni dello stesso brano, con variazioni anche significative. Le cantrici di Nardò, così come spesso accade nelle musiche di tradizione orale, divengono interpreti/innovatrici, nonostante mantengano un forte legame con la tradizione locale, rintracciabile negli aspetti ritmico-melodici e timbrici che accomunano queste registrazioni a quelle effettuate sul territorio negli anni precedenti. Esse non rinunciano a innesti esterni alla tradizione propriamente locale, come nel caso di Sotto l’ombra dei ciliegi (conosciuta nel Settentrione d’Italia anche come: La bionda di Voghera, La bionda di Borima o La bela de Oflaga), o di La montanara (tipico canto trentino eseguito da diversi cori alpini, soprattutto nell’elaborazione di Antonio Pedrotti, col più celebre nome di La vien giù da le montagne) e ancora con La strada del bosco e Moretto moretto (canti alpini). D’altronde – finalmente! – per gli etnomusicologi la musica popolare non è più una sorta di ideale espressione di autenticità, risalente a mitiche età primitive, e caratterizzata da una superiore “semplicità” e da un maggior grado di “purezza”. La musica popolare – lo dimostra bene questo disco – è musica in movimento nella storia, musica caratterizzata dall’oralità, priva di tracce scritte rilevanti, libera dai vincoli del passato, sopravvissuta grazie al passaggio dei canti di voce in voce, di generazione in generazione, e quindi inevitabilmente esposta a fenomeni di micro e macro-variazione. I cantori popolari spesso si sono atteggiati a “strenui protettori della tradizione”, mentre l’aspetto interessante di 15 queste registrazioni consiste proprio nel rilevare l’equilibrio esistente tra il rispetto della tradizione e la spinta di ogni esecutrice alla personalizzazione del repertorio, senza timori nell’accostamento di elementi nuovi e finanche incoerenti, ma comunque vicini al proprio gusto personale. Il mondo globalizzato mostra più o meno marcatamente i suoi effetti sulle musiche popolari, ma è un fattore che non può essere nascosto. Esso risulta meno evidente in società o in gruppi sociali rimasti al margine dello sviluppo globale, o in individui che, per la propria particolare esperienza di vita, hanno potuto meglio “difendersi” dagli stimoli esterni alla cultura d’origine. L’allontanamento delle sorelle Gaballo per lungo tempo dalla loro musica e dalla loro terra ha reso inizialmente faticoso il processo di “riattivazione” dei ricordi musicali, ma ha permesso di rintracciare espressioni cristallizzate nella loro forma di trenta-quaranta anni fa. Di recente è accaduto qualcosa di simile in Abruzzo, dove la tradizione musicale locale era del tutto scomparsa. Solo grazie alle scoperte di alcuni studiosi locali è stato possibile rintracciare espressioni musicali abruzzesi nelle comunità di emigrati del Sud America, nello specifico tra quelle persone che, rifiutando di identificare la musica popolare come segno di vergogna, ne hanno fatto un ponte di ricordi verso un intero mondo abbandonato. Le sorelle Gaballo, così fiere nel loro isolamento (sono salite sul palco per la prima volta l’estate scorsa in un concerto dei Mayis) dimostrano, attraverso il repertorio “salvato” da questo ottimo lavoro “sul campo”, come il territorio musicale salentino vada ancora scoperto a fondo, al di là delle facili ri-proposizioni e celebrazioni dei suoi aspetti più superficiali. 16 I canti 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. La Madonna ti lu Carminu Moretto Cuntu ti Natale E na e na La carrozza Canto alla spica La montanara Stornelli a dispetto Monacella L’anima ti Pippinu Ninna nanna E na e na La Carminà La strada del bosco Sotto l’ombra dei ciliegi 17