Pubblicazione UROtime
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ANNO XXI - N. 4 DICEMBRE 2009 Trimestrale - ISSN 1120-0456 N AL I In caso di mancato recapito rinviare al C.P.O. di Terni per la restituzione al mittente previo pagamento resi. UROTime TRIMESTRALE DI AGGIORNAMENTO IN UROLOGIA, ANDROLOGIA E NEFROLOGIA DIRETTO DA FRANCO DI SILVERIO UROTime CONTINUAZIONE DI “LETTERA DI UROLOGIA” Direttore scientifico Franco Di Silverio (Roma) Area Pubblicità Patrizia Arcangioli, responsabile [email protected] Area Marketing e Sviluppo Antonietta Garzonio, [email protected] Fabio Regini, [email protected] vità dal punto di vista amministrativo-organizzativo e anche da quello scientifico. Di certo interesse (anche per orgoglio nazionale) è stata la presenza di un robot ideato, progettato e realizzato in Italia che sembra non avere nulla da invidiare al “Da Vinci”. Ci aspettiamo conferma dal congresso di Chicago, svoltosi recentemente sotto l’egida della Clinic Surgery Robotic Association. Questo mio breve editoriale naturalmente serve anche per dare il bentornato dalle ferie che forse tutti già ci siamo scordati ed un augurio di un buon anno accademico e buona lettura. ED Grafica e impaginazione Grazia Mannoni N II N arissimo Collega, vede la luce questo numero di Urotime con un excursus di argomenti molto ampio che va dalle infezioni alle infiammazioni, dalle patologie surrenaliche a quelle vescicali, all’utilizzo dell’HIFU fino ad arrivare ad alcune curiosità diagnostiche sui cosiddetti “incidentalomi” del surrene. Questa diversità di argomenti la dice lunga sul progresso che in questo momento la disciplina urologica sta realizzando, forse non in maniera coordinata, ma sicuramente in modo progressivo e naturalmente utile per il pazienze. Di tutto questo si è parlato a Rimini nell’ambito del Congresso della Società Italiana di Urologia che, come ricordiamo, si è svolto dal 3 al 7 ottobre con no- IZ IO Segreteria di redazione Sandra Sisti Area Nord Italia Via Matteotti, 52/a 21012 Cassano Magnago - Varese Tel. 0331282359 - Fax 0331287489 TE R C Direttore editoriale e responsabile Andrea Salvati CIC EDIZIONI INTERNAZIONALI s.r.l. Direzione, Redazione, Amministrazione: Corso Trieste, 42 - 00198 Roma Tel. 06.8412673 - Fax 06.8412688 e-mail: [email protected] www.gruppocic.com I progressi dell’Urologia italiana B. Hamm, P. Asbach, D. Beyersdorff, P. Hein, U. Lemke IC Aut. Trib. di Roma n. 167/89 dell’1/4/1989 R.O.C.: 6905/88931 C Finito di stampare nel mese di novembre 2009 da Litograf srl - Todi (PG) © Prezzo a copia € 0,70. L’IVA, condensata nel prezzo di vendita, è assolta dall’Editore ai sensi dell’art. 74, primo comma, lett. c), D.P.R. 633/72 e D.M. 29/12/1989. ll periodico viene inviato ad un indirizzario di specialisti predisposto dall’Editore. Ai sensi del Decreto Legislativo 30/06/03 n. 196 (Art. 13) informiamo che l’Editore è il Titolare del trattamento e che i dati in nostro possesso sono oggetto di trattamenti informatici e manuali; sono altresì adottate, ai sensi dell’Art. 31, le misure di sicurezza previste dalla legge per garantirne la riservatezza. I dati sono gestiti internamente e non vengono mai ceduti a terzi, possono esclusivamente essere comunicati ai propri fornitori, ove impiegati per l’adempimento di obblighi contrattuali (ad es. le Poste Italiane). Informiamo, inoltre, del diritto in qualsiasi momento, ai sensi dell’Art. 7, di richiedere la conferma dell’esistenza dei dati trattati e richiederne la cancellazione, la trasformazione, l’aggiornamento ed opporsi al trattamento per finalità commerciali o di ricerca di mercato con comunicazione scritta. Il contenuto degli articoli rispecchia esclusivamente l’esperienza degli Autori. La pubblicazione dei testi e delle immagini pubblicitarie è subordinata all’approvazione della direzione del giornale ed in ogni caso non coinvolge la responsabilità dell’editore. Ogni possibile sforzo è stato compiuto nel soddisfare i diritti di riproduzione. L’Editore è tuttavia disponibile per considerare eventuali richieste di aventi diritto. La massima cura possibile è stata prestata per la corretta indicazione dei dosaggi dei farmaci eventualmente citati nel testo, ma i lettori sono ugualmente pregati di consultare gli schemi posologici contenuti nelle schede tecniche approvate dal Ministero della Salute. © Copyright 2009 Editoriale N Comitato scientifico Urologia Maurizio Buscarini (Roma) Darwin Melloni (Roma) Alessandro Sciarra (Roma) Raffaele Tenaglia (Chieti) Andrologia Vincenzo Gentile (Roma) Carlo Bettocchi (Bari) Carlo Ceruti (Torino) Bruno Giammusso (Catania) Nefrologia Annarita D’Angelo (Roma) Andrea Colaci (Roma) Nicola Pirozzi (Roma) AZ IO ORGANO UFFICIALE DELLA SOCIETÀ DI UROLOGIA ITALIANA CENTRO-MERIDIONALE E ISOLE (SUICMI) E DELL’ASSOCIAZIONE PER LA RICERCA DI BASE IN UROLOGIA (ARBU) IMAGING DELL’APPARATO GENITO-URINARIO Volume brossurato di 264 pagine F.to cm 12x19 € 40,00 Franco Di Silverio 2 UROTime La fotodinamica nei tumori non muscolo-invasivi della vescica C. LEONARDO, P.M. MICHETTI, A. FRAIOLI, A. MAURIZI, C. DE DOMINICIS* Dipartimento di Scienze Urologiche “U. Bracci” - “Sapienza” Università di Roma * Direttore Cattedra di Urologia N II N N A B ED IC Figura 1 - Mapping vescicale mirato con fotodinamica: A immagine luce bianca; B immagine luce blu. C Tabella 1 - Tumore della vescica. Numero di casi, di decessi, tassi standardizzati (pop. Europea) di incidenza e mortalità × 100.000, stima del cambiamento annuo percentuale dei tassi (EAPC) con i limiti di confidenza al 95% (C.I.), per sesso e anno. Incidence © Number of cases Mortality Standardised rate ti patologici non sempre francamente evidenti all’ esame endoscopico standard. Già in passato si è cercato di utilizzare diverse sostanze fotosensibilizzanti con lo scopo di creare un contrasto cromatico tra il tessuto sano e quello patologico. Inizialmente la somministrazione di tali sostanze avveniva per via sistemica con sgraditi effetti collaterali e non ottenendo una sensibilità diagnostica superiore a quella già disponibile. Nel 1994, a Monaco di Baviera, Kriegmaier e collaboratori hanno utilizzato l’acido 5 aminolevulinico (5 ALA), precursore della protoporfirina IX (PP-IX), somministrandolo non più per via sistemica ma instillandolo direttamente in vescica, riuscendo ad ottenere una fluorescenza netta del tessuto neoplastico tramite l’illuminazione della mucosa vescicale con luce blu. Il 5 ALA è una sostanza naturale, presente in tutte le cellule del nostro organismo, che deriva dal SuccinilCoA e dalla glicina costituendo la prima tappa nella sintesi dell’Eme. Due molecole di ALA portano alla formazione di protoporfirina (PPIX) che è convertita in EME dall’enzima ferrochelatasi inserendo una molecola di ferro. Poiché nella cellula l’enzima ferrochelatasi ha una attività ridotta, si produce un maggiore accumulo di PPIX che rende la cellula neoplastica caratteristicamente fluorescente se stimolata da una luce di lunghezza d’onda di 375-400 nm, di colore blu. Attualmente, l’unica molecola disponibile in commercio è l’ esaminolevulinato (HEXVIX®), estere del 5 ALA, che produce maggiore fluorescenza e necessita di un tempo di permanenza ridotto di circa un’ora. L’impiego ormai da oltre dieci anni della fotodinamica ha dimostrato non solo la validità della metodica nell’evidenziare la presenza di tessuto patologico, soprattutto in caso di displasie e/o CIS, ma ha anche evidenziato come il suo utilizzo in corso di TURB permetta una maggiore radicalità nella asportazione delle formazioni (soprattutto per quanto riguarda le formazioni particolarmente minute AZ IO presente la tonaca muscolare nel prelievo della base di impianto, o si tratti di tumori voluminosi con larga base d’impianto e/o ad alto rischio (EAU Guidelines 2009). Numerosi studi hanno ampiamente dimostrato i limiti della resezione endoscopica quali la persistenza e/o evoluzione della malattia per incompleta resezione (10-20% dei casi); la presenza di nuova lesione neoplastica per asincronia della crescita tumorale (60%); la possibilità di impianto di cellule neoplastiche esfoliate (1015%); la presenza di CIS (lesione piana, spesso mal evidenziabile) (10%). Per ovviare a tali limitazioni, si è sempre sentita la necessità di aumentare la capacità di evidenziare i tessu- TE R correnza e progressione delle neoplasie dopo resezione vescicale transuretrale (TURB). In relazione ai diversi parametri considerati, il rischio di recidiva e progressione può variare rispettivamente ad un anno dal 15% al 61%, e dallo 0.2% al 17% e a cinque anni dal 31% al 78% e dallo 0.8% al 45%. L’asportazione endoscopica della neoplasia costituisce il momento fondamentale per l’inquadramento diagnostico e terapeutico della malattia, di qui l’importanza dell’accuratezza nell’esecuzione della metodica e l’eventuale ripetizione della TURB entro quattro-sei settimane dalla precedente, in tutti quei casi in cui si sia incerti sulla completezza dell’atto endoscopico e/o non sia IZ IO I n Europa e nel resto del mondo il carcinoma della vescica rappresenta uno dei tumori di più frequente riscontro in ambito urologico, occupando il quarto posto tra le neoplasie più frequenti nell’uomo ed il quinto posto in quelle della donna. L’incidenza è in aumento con l’allungamento della vita media della popolazione, nonché per l’inquinamento ambientale, mentre il tasso di mortalità risulta essere in riduzione grazie al diffuso miglioramento della diagnosi ed al trattamento precoce. In Italia la stima della sua incidenza è di 14.000 nuovi casi all’anno negli uomini e 3.000 nelle donne con un rapporto uomodonna di 3:1. Il carcinoma vescicale non muscoloinvasivo presenta un comportamento ed un’aggressività biologica variabili essendo caratterizzato da multifocalità, alto tasso di recidiva e rischio di progressione. Per tali motivi l’Organizzazione Europea per la Ricerca ed il Trattamento del Cancro (the European Organization for Research and Treatment of Cancer – EORTC) nel gennaio 2006 ha pubblicato un lavoro il cui obiettivo è stato quello di fornire un nomogramma che consentisse all’urologo di calcolare il rischio a breve e a lungo termine di ri- N AL I Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009 Number of deaths Standardised rate Year Males Females Males Females Males Females Males Females 1996 1987 1988 1999 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 Period EAPC 95% CI 1,620 1.592 1.869 1.920 2.032 2.150 2.104 2.544 2.661 2.678 2.694 2.831 366 381 476 459 496 490 531 664 645 672 712 696 57,5 56,5 62,2 61,6 60,4 61,8 59,8 65,9 67,8 66,6 66,1 68,7 1986-1997 +1,6 +1,0; +2,2 8,9 9,3 11,0 10,2 10,4 9,8 10,6 11,9 11,3 11,4 12,4 12,0 1986-1997 +2,5 +1,5; +3,6 539 518 537 544 642 664 623 694 731 636 589 610 149 161 151 166 160 167 162 199 189 172 166 179 19,5 18,2 17,8 17,0 18,6 18,6 17,0 17,2 17,9 15,0 13,6 13,7 1986-1997 -2,7 -4; -1,3 3,3 3,4 3,0 3,0 2,8 2,8 2,6 2,8 2,6 2,4 2,2 2,3 1986-1997 -3,5 -4,2; -2,8 segue a pag. 3 3 UROTime Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009 La fotodinamica nei tumori non muscolo invasivi della vescica segue da pag. 2 Tabella 3 - Sopravvivenza libera da recidiva (Filbeck et al. Journ of Urol, 2007). Kriegmaier et al., 1996 De Dominicis et al., 2001 Zaak et al., 2002 Jichlinski et al., 2003 Schmidbauer et al., 2004 N. pts Molecule Sensibility(%) Specificity (%) 104 ALA 95,8 63,8 114 ALA 93 62 1.414 ALA 97 65 52 HAL 96 43 211 HAL 97 – Follow-up (years) 2 4 6 8 N. pts PDD % WLE % Riedle et al., 2001 Filbeck et al., 2002 Kriegmaier et al., 2002 ALA ALA ALA 102 192 129 16 4,5 32,7 39 15,2 53,1 73 64 54 45 11. De Dominicis C et al. Urology 2001; 57: 1059-1062. 12. Ferlay J, Bray F, Pisani P, Parkin DM, GLOBOCAM 2002: cancer incidence, mortality and prevalence worldwide. IARC cancer base no. 5, version 2.0 Lyon, France 13. Zaak D, Karl A, Knuchel R, Stepp H, Hartmann A et al. Diagnosis of urothelial carcinoma of the bladder using fluorescenze endoscopy. BJU Int 2005; 96: 217. 14. Grossman HB, Gomella L, Fradet Y, Morales A, Presti J, Ritenour C, Nseyo U, Droller MJ; PC B302-01 Study Group. A Phase III, multicenter comparison of hexaminolevulinate fluorescen- II N N 16. 17. 18. BIBLIOGRAFIA TE R CIS, la cui identificazione non è mai così agevole, data la sua associazione a forme esofitiche con cellularità di alto grado (molti Autori consigliano l’esecuzione di un mapping vescicale su tessuto sano in corso di TURB). La fotodinamica, inoltre, non sembra giustificare più il concetto di “mapping vescicale random” con rischio di falsi negativi, legati ai limiti della metodica stessa quali il prelievo random e l’eseguità del materiale bioptico rispetto alla superficie totale della vescica. Infatti, tale metodica consente di eseguire biopsie “mirate” su tessuto fotodinamicamente sospetto, con pos- IZ IO e i margini chirurgici), con conseguente riduzione del tasso di recidiva a medio e lungo termine. Tale metodica si presenta come un importante passo avanti nell’ambito dei tumori superficiali della vescica, trovando il suo principale impiego in caso di resezione vescicale endoscopica; infatti, è in questa fase che si dimostra particolarmente utile nell’identificare le neoformazioni, soprattutto quelle di piccole dimensioni e nel consentire una completa resezione delle stesse, con particolare attenzione ai margini chirurgici. Altro aspetto peculiare è quello di consentire una migliore diagnosi di 88 84 79 71 15. AZ IO Mol WLE (%) sibilità nettamente superiori di fare diagnosi. Ancor più in caso di cistoscopia negativa e citologia positiva, è possibile effettuare una diagnosi differenziale dell’origine della neoplasia tra vescica e alte vie urinarie. Tabella 4 - Tasso di tumore residuo (Zaak et al., BJU Int 2005). Authors PDD (%) N Authors ze cystoscopy and white light cystoscopy for the detection of superficial papillary lesions in patients with bladder cancer. J Urol 2007; 178: 62-7. Schmidbauer J, Witjes F, Schmeller N, Donat R, Susani M. Improved detection of urothelial carcinoma in situ with hexaminolevulinate fluorescenze cystoscopy. J Urol 2004; 171: 135-138. Witjes JA, Mungan NA, Debruyne FMJ. Management of superficial bladder cancer with intravescical chemotherapy. Urology 2000; 56: 19-21. Stenzl A, Jocham D, Jichlinski P, Junker K, König F, van den Bergh H, Volkmer B, Zaak D, Gschwend JE; Working Group for Oncology of the German Society for Urology. Urologe A. Photodynamic diagnostics in the urinary tract. 2008 Aug; 47 (8): 982-7. German. Sievert KD, Amend B, Nagele U, Schilling D, Bedke J, Horstmann M, Hennenlotter J, Kruck S, Stenzl A. Economic aspects of bladder cancer: what are the benefits and costs? World J Urol 2009 Jun; 27 (3): 295-300. Epub 2009 Mar 7. Ray ER, Chatterton K, Thomas K, Khan MS, Chandra A, O’Brien TS. J Hexylaminolevulinate photodynamic diagnosis for multifocal recurrent nonmuscle invasive bladder cancer. 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Siegel © Approccio pratico ai problemi clinici Volume brossurato di 216 pagine con 398 figure, la maggior parte a colori f.to cm 21x29 € 50,00 (online € 40,00) Volume cartonato di 300 pagine f.to cm 21x29 € 50,00 (online € 40,00) • 4 UROTime Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009 Ruolo dell’HIFU nella terapia del carcinoma della prostata U.O. di Urologia, Scuola di Specializzazione in Urologia, Università di Palermo N II N N ED sopravvivenza libera da recidiva biochimica a 5 anni è riportata nella diverse casistiche dal 75 al 78%. Se questi ultimi risultati vengono confrontati con quelli ottenuti dopo prostatectomia radicale o dopo radioterapia esterna, non emergono sostanziali differenze. Il tasso di biopsie negative oscilla nelle diverse casistiche dal 77% al 93%. Questi dati, sebbene necessitino di un follow-up maggiore, mostrano l’efficacia del trattamento, comparabile con quella di terapie ormai consolidate. Tra i principali effetti collaterali osservati dopo trattamento HIFU vi sono il deficit erettile, l’incontinenza urinaria, l’ostruzione cervico-uretrale e la rara fistola retto-uretrale. Da una analisi dei lavori pubblicati in letteratura a partire dal 2000 è possibile rilevare una percentuale di deficit erettile dopo HIFU compresa tra il 13 e il 53%. Tali percentuali sono mediamente inferiori a quelle riportate dopo prostatectomia radicale (14-91%) dopo radioterapia esterna (41-63%) e dopo crioterapia (53-93%). L’incontinenza urinaria dopo HIFU è riportata dal 2.3 al 7% nelle diverse casistiche. Tali percentuali sono mediamente inferiori a quelle osservate dopo prostatectomia radicale e sostanzialmente in linea con quelle della radioterapia esterna, della brachiterapia e della crioterapia. L’evoluzione tecnologica degli ultimi anni e il sistema di rilevazione e raffreddamento della parete rettale hanno reso la fistola retto-uretrale una rara complicanza del trattamento (< 0.5% dopo il 2003). Di recente è stata posta attenzione alla definizione di “recidiva biochimica” dopo trattamento HIFU. In effetti le definizioni in atto utilizzate sono state rivisitate in modo critico ed è stata proposta l’introduzione di una nuova definizione di recidiva biochimica dopo trattamento: la Stuttgart definition. Tale definizione prevede che si consideri recidiva biochimica di malattia un valore di PSA > di 1.2 ng/ml rispetto al “nadir” raggiunto dopo HIFU. La Stuttgart definition da una analisi comparativa ha dimostrato una maggiore sensibilità, specificità, valore predittivo positivo e valore pre- AZ IO precedentemente effettuato un pretrattamento locale, essendo basso in caso di nessun pretrattamento, elevato in caso di 2 pretrattamenti locali (ad esempio, prostatectomia e radioterapia o > 2 trattamenti HIFU). In un recente lavoro è stato riportato che la sopravvivenza globale nei pazienti con carcinoma prostatico a rischio basso o intermedio (sec. D’amico) è del 90% a 5 anni e dell’83% a 8 anni (Fig. 1). La TE R to che per comorbidità o scelta rifiutino la prostatectomia radicale; 2) pazienti con recidiva locale dopo radioterapia; 3) pazienti con recidiva locale dopo prostatectomia radicale; 4) trattamento palliativo della malattia localmente avanzata o metastatica. Il rischio di effetti collaterali dipende dal fatto che il paziente abbia o meno IZ IO D a più di vent’anni il PSA viene utilizzato nella diagnosi del carcinoma prostatico. Ciò ha determinato un aumentato numero di nuove diagnosi ed una migrazione verso stadi più precoci della malattia (downstage migration) senza tuttavia un sicuro beneficio di sopravvivenza, come emerso da alcuni studi di recente pubblicazione. La prostatectomia radicale dovrebbe idealmente assicurare al paziente la reale guarigione del cancro, per la quale vale la pena di patire un peggioramento di alcuni aspetti della qualità di vita (deficit erettile, incontinenza urinaria, ecc.). Tuttavia solo in alcuni pazienti l’intervento risulterà realmente radicale e salverà la vita del paziente, mentre in altri, più frequentemente, si assisterà prima al fallimento biochimico e poi alla ricomparsa clinica della malattia. Le terapie mininvasive nascono da questi presupposti: cercare di ridurre al minimo il rischio di effetti collaterali garantendo una radicalità oncologica sovrapponibile a quella delle terapie tradizionali (prostatectomia radicale, radioterapia esterna). Il trattamento con ultrasuoni focalizzati ad alta intensità (HIFU) rappresenta una recente modalità di cura del carcinoma prostatico. Storicamente il primo paziente è stato trattato circa 16 anni fa da Gelet, da allora si è assistito ad una progressiva evoluzione tecnologica con una crescita esponenziale del numero dei trattamenti effettuati in tutto il mondo. La procedura prevede l’introduzione di una sonda per via transrettale con il paziente in anestesia spinale o generale. Il trasduttore emette ultrasuoni focalizzati ad alta intensità a livello del volume bersaglio determinando per effetto termico e cavitazionale una necrosi coagulativa tissutale. La programmazione del trattamento è computerizzata sulla scorta di immagini ecografiche in sezione longitudinale e trasversale. Sono previsti 3 programmi di trattamento differenziati a seconda che il paziente abbia o meno effettuato un pretrattamento locale (radioterapia, precedente HIFU). I pazienti candidabili ad HIFU sono: 1) pazienti con K prostatico localizza- N AL I N. DISPENSA, F. CAMARDA, D. MELLONI Blana et al., Eur Urol 2007 © C IC Figura 1 - Studio di lungo termine. Sopravvivenza globale. Murat FJ et al., Eur Urol 2008 Figura 2 - Trattamento HIFU dopo fallimento radioterapico. Sopravvivenza cancro-specifica. segue a pag. 5 5 UROTime Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009 Ruolo dell’HIFU nella terapia del carcinoma della prostata segue da pag. 4 IC C © CALENDARIO CONGRESSI NOVEMBRE N 13-14, Heidelberg/Mannheim 21. KONGRESS 2009 69. SEMINAR DES ARBEITKREISES UROLOGISCHE FUNKTIONSDIAGNOSTIK UND UROLOGIE DER FRAU B.BRAUM MELSUNGEN AG OPM Carl- Braum-Strasse 1 34212 Melsungen Detschland Tel. (05661) 713399 Fax (05661) 713550 E-mail: www.bbraun.de www.inkontinenz.bbraun.de II N N IZ IO BIBLIOGRAFIA 1. Andriole GL, Crawford ED, Grubb RL 3rd, Buys SS, Chia D, Church TR, Fouad MN, Gelmann EP, Kvale PA, Reding DJ, Weissfeld JL, Yokochi LA, O’Brien B, Clapp JD, Rathmell JM, Riley TL, Hayes RB, Kramer BS, Izmirlian G, Miller AB, Pinsky PF, Prorok PC, Gohagan JK, Berg CD, PLCO Project Team. Mortality results from a randomized prostate-cancer screening trial. Engl J Med. 2009 Mar 26; 360 (13): 1310-9. 2. Blana A, Murat FJ, Walter B, Thuroff S, Wieland WF, Chaussy C, Gelet A. First analysis of the long-term results with transrectal HIFU in patients with localised prostate cancer. Eur Urol. 2008 Jun; 53(6): 1194-201. 3. Blana A, Rogenhofer S, Ganzer R, Lunz JC, Schostak M, Wieland WF, Walter B. Eight years’ experience with high-intensity focused ultrasonography for treatment of localized prostate cancer. Urology 2008 Dec; 72(6):1329-33. 4. Blana A, Brown SC, Chaussy C, Conti GN, Eastham JA, Ganzer R, Murat FJ, Pasticier G, Rebillard X, Rewcastle JC, Robertson CN, Thuroff S, Ward JF. High-intensity focused ultrasound for prostate cancer: comparative definitions of biochemical failure. BJU Int. 2009 Apr 17 [Epub ahead of print]. 5. Murat FJ, Poissonier L, Rabilloud M, Belot A, Bouvier R, Rouviere O, Chapelon JY, Gelet A. Mid-term Results Demonstrate Salvage High-Intensity Focused Ultrasound (HIFU) as an Effective and Acceptably Morbid Salvage Treatment Option for Locally Radiorecurrent Prostate Cancer. Eur Urol. 2009 Mar; 55(3):640-7. Epub 2008 May 9. • 12, Picciano CARCINOMA NEUROENDOCRINO DELLA PROSTATA DALLA A ALLA Z: CONOSCERE PER SAPERE DI PIÙ E.V.C.M. Emilia Viaggi Congressi & Meeting Via Porrettana, 76 40033 Casalecchio di Reno Bologna Tel. 051/6194911 Fax 051/6194900 E-mail: [email protected] AZ IO 1-5, Shanghai 30th CONGRESS OF THE SOCIÉTÉ INTERNATIONALE D’UROLOGIE E.V.C.M. Emilia Viaggi Congressi & Meeting Via Porrettana, 76 40033 Casalecchio di Reno Bologna Tel. 051/6194911 Fax 051/6194900 E-mail: [email protected] DICEMBRE N AL I 2009 TE R biopsie negative più alto, del tasso di sopravvivenza libera da recidiva biochimica simile e dal profilo di morbidità accettabile. Altra interessante indicazione è il trattamento della recidiva dopo radioterapia in ragione del buon controllo locale (biopsie negative in circa il 70% dei pazienti trattati) e della ridotta percentuale di complicanze come l’incontinenza urinaria e le stenosi. Nel periodo compreso tra novembre 2007 e giugno 2009 abbiamo trattato con HIFU 112 pazienti. Di questi 68 (60.7%) in stadio T1-T2, 34 (30.3%) in stadio T3. Dieci pazienti (9%) erano stati precedentemente radiotrattati e presentavano una ripresa biochimica di malattia con positività al controllo bioptico. I pazienti totalmente continenti (grado 0) sono stati 106 (94.6%). La potenza sessuale, valutata mediante questionario pre- e posttrattamento, è stata preservata in 45 pazienti (40.1%). In 51 dei 68 pazienti (75%) con malattia localizzata il PSA nadir è stato < 0.5 ng/ml. Questi dati, nonostante il follow-up breve, sono sostanzialmente in linea con quelli riportati in letteratura. ED dittivo negativo rispetto alla definizione di recidiva biochimica “ASTRO” (tre aumenti consecutivi rispetto al nadir) e alla Phoenix definition (PSA > PSA nadir + 2 ng/ml). Altra importante indicazione al trattamento HIFU è la recidiva locale dopo fallimento radioterapico. È stato stimato che circa il 39% dei pazienti sottoposti a radioterapia esterna vanno incontro a ripresa biochimica di malattia dopo una mediana di 2.9 anni. Se consideriamo che, per esempio negli Stati Uniti, circa 1/3 dei pazienti affetti da carcinoma prostatico localizzato viene sottoposto a radioterapia esterna, esiste una popolazione numericamente non irrilevante di pazienti con ripresa biochimica di malattia. Le casistiche relative alle possibili alternative terapeutiche con intento curativo dopo fallimento radioterapico non sono numerose, e la prostatectomia di salvataggio è gravata da una elevata percentuale di complicanze. Recentemente sono stati pubblicati i risultati a medio termine di uno studio retrospettivo relativo al trattamento HIFU dopo fallimento radioterapico. Lo studio comprendeva 167 pazienti con recidiva locale dopo radioterapia trattati con HIFU dal 1995 al 2006. La progressione è stata definita dalla positività bioptica, dal valore del PSA superiore al nadir + 2 ng/ml (Phoenix definition) o dall’introduzione di una terapia adiuvante. La sopravvivenza cancro-specifica e la sopravvivenza libera da recidiva biochimica sono state rispettivamente dell’84% (Fig. 2) e del 47% a 5 anni. Il valore del PSA pretrattamento ha inciso in modo significativo sulle percentuali di sopravvivenza libera da recidiva biochimica a 5 anni. Infatti, i pazienti con PSA > 10 avevano una maggiore probabilità di recidiva biochimica rispetto a quelli con PSA < 10 ng/ml (sopravvivenza libera da recidiva biochimica rispettivamente del 22 e del 55% a 5 anni). Le complicanze osservate sono state meno rilevanti rispetto alla prostatectomia di salvataggio, soprattutto dopo l’introduzione di uno specifico protocollo di trattamento post-radioterapia che ha ridotto le percentuali di incontinenza urinaria e ha quasi azzerato il rischio di fistola retto-uretrale. Concludendo, il trattamento con ultrasuoni focalizzati ad alta intensità rappresenta una valida opzione terapeutica nei pazienti affetti da k prostatico localizzato che, per comorbidità o per scelta, rifiutino la prostatectomia radicale. Rappresenta inoltre una alternativa alla radioterapia in ragione del tasso di 15-18, Lyon 12th Congress of the European Society for Sexual Medicine CPO Hanser Service Zum Ehrenhain 34 22885 Barsbüttel, Germany Tel. +49 40 67 08 820 Fax +49 40 67 03 28 3 E-mail: [email protected] 2010 FEBBRAIO 2-5, Parigi ICACT 21ST INTERNATIONAL CONGRESS ON ANTI – CANCER TREATMENT Booking only by E-mail: [email protected] or Fax +331 47 43 22 26 25-28, Atene CURY THE 3rd WORLD CONGRESS ON CONTROVERSIES IN UROLOGY Comtec Spain: Bailen, 95 - 97, pral,1.A 08009 Barcelona, Spain Tel. +34-932081145 Fax +34-934579291 E-mail: [email protected] MAGGIO Fiuggi 57° CONGRESSO SUICMI O. Aynaud, J.-M. Casanova PATOLOGIA DEL PENE Edizione italiana a cura di M. Rizzo Volume cartonato di 312 pagine con 126 foto in b/n e 397 illustrazioni a colori f.to cm 21x27 € 77,47 (online € 62,00) • 6 UROTime V. MIRONE Direttore Scuola di Specializzazione in Urologia Università Federico II - Napoli vantaggio nella pratica clinica quotidiana. AZ IO N II N N ED IC C © zato disponibile, abbia dimostrato un significativo vantaggio in termini di sopravvivenza per una ADT immediata in caso di malattia metastatica ai linfonodi (8), non si può non sottolineare che la gran parte dei pazienti inclusi in questa analisi presentava un voluminoso interessamento linfonodale e che il 70% presentava anche margini chirurgici positivi o invasione delle vescicole seminali. Resta ancora poco chiaro se l’impiego di una terapia adiuvante immediata in pazienti con minimo interessamento linfonodale conduca allo stesso risultato. Infatti un recente aggiornamento dello studio Early Prostate Cancer Trial (EPCT) ha dimostrato che non c’è alcun beneficio sulla sopravvivenza libera da malattia aggiungendo all’osservazione standard una terapia con la bicalutamide 150 mg/die, mentre un vantaggio si riscontra solo nei pazienti che presentano malattia localmente avanzata. Non è invece disponibile alcun dato conclusivo che possa aiutare nella gestione dei pazienti con interessamento linfonodale microscopico. Sulla base delle linee guida dell’EAU (European Association of Urology), laddove trovi indicazione la terapia ormonale di deprivazione androgenica, il farmaco di scelta deve essere un agonista dell’LHRH, dal momento che si eliminano lo stress psicologico e fisico provocati dall’orchiectomia e la cardiotossicità riconducibile agli estrogeni (9, 10). Nella tabella 1 sono riportate le principali indicazioni cliniche all’impiego della terapia ormonale. TE R vativa in uno studio prospettico randomizzato (1). L’intervento chirurgico con intento nerve-sparing rappresenta l’approccio di scelta in tutti i pazienti che presentano una normale funzione erettile prima dell’intervento ed una malattia organo-confinata, dal momento che consente di mantenere un’adeguata qualità di vita senza compromettere i risultati oncologici (2). Ancora oggi non è chiaro se effettuare e quanto sia necessario estendere la linfadenectomia. Ad esempio, il rischio di coinvolgimento linfonodale è particolarmente basso in pazienti con malattia a basso rischio (cT1c, PSA < 10 ng/ml, Gleason 6 e una percentuale < 50% di frustoli bioptici positivi). In maschi con rischio intermedio (cT2a, PSA 10–20 ng/ml, Gleason = 7) o rischio elevato (> cT2b, PSA > 20 ng/ml, Gleason > 8) invece, una linfadenectomia estesa andrebbe sempre effettuata, a causa dell’elevato rischio di coinvolgimento linfonodale (3). La gestione clinica delle forme localmente avanzate deve essere necessariamente basata su un approccio multimodale, dal momento che esiste una forte probabilità che ci siano linfonodi e margini chirurgici positivi. Sebbene non sia dimostrato in maniera conclusiva, è evidente che l’intervento chirurgico trova comunque indicazione in queste forme, dal momento che offre eccellenti percentuali di sopravvivenza cancro-specifica a 5, 10, e 15 anni (95%, 90% e 79% rispettivamente) (4, 5). Intanto, sulla base di una recente metanalisi della Cochrane, è dimostrato che la terapia ormonale neoadiuvante di deprivazione androgenica non trova alcuna indicazione, dal momento che non garantisce alcun vantaggio clinico in termini di sopravvivenza globale e tempo libero da progressione della malattia (6). L’utilità dell’impiego di una terapia di deprivazione androgenica (ADT) adiuvante, dopo una prostatectomia radicale, resta ancora oggi una questione controversa (7). Sebbene l’unico studio prospettico randomiz- IZ IO L’ introduzione nella pratica clinica del dosaggio plasmatico del PSA come marcatore precoce del tumore prostatico, avvenuta nel 1986, ha praticamente rivoluzionato l’approccio clinico a tale patologia. Un lavoro pubblicato sul Journal of Urology nel 2007, ha evidenziato come a distanza di circa 20 anni dall’introduzione nella pratica clinica di tale presidio, e soprattutto grazie alla crescente “cultura” inerente il tumore prostatico, si arrivi oggigiorno molto più precocemente alla diagnosi. In particolare, tale studio ha dimostrato che sono aumentati notevolmente i casi riscontrati prima dei 65 anni di età, e che, se nel periodo compreso fra il 1985 ed il 1989 solo il 73% dei pazienti presentava una malattia localizzata, questa percentuale è salita fino al 91% nel periodo fra il 1995 ed il 2001. Questo lavoro offre lo spunto per comprendere che, attualmente, è sempre maggiore la percentuale di pazienti a cui viene diagnosticato un tumore della prostata in fase iniziale e che sono pertanto suscettibili di un trattamento radicale. Nel frattempo, di recente, sono stati pubblicati i risultati di due importanti studi epidemiologici (PLCO e ERSPC) che hanno valutato, su ampia scala, gli effetti benefici di un eventuale programma di screening sulla popolazione generale. I risultati di questi due studi sono in contrasto fra loro e non hanno aiutato a comprendere in maniera definitiva la reale utilità di un programma di prevenzione mediante l’impiego del dosaggio del PSA. A seconda dello stadio di malattia riscontrato, esiste una serie di indicazioni terapeutiche specifiche, sebbene non sia possibile considerare un approccio chiaramente migliore di un altro, dal momento che mancano risultati conclusivi di studi clinici controllati. Attualmente la prostatectomia radicale rappresenta l’unico trattamento che ha dimostrato un beneficio, in termini di sopravvivenza cancro-specifica, rispetto alla gestione conser- N AL I L’approccio multimodale nella gestione del paziente con cancro della prostata Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009 BLOCCO ANDROGENICO TOTALE Le più recenti metanalisi e revisioni sistematiche della letteratura riguardanti l’impiego del blocco androgenico totale, hanno dimostrato che esiste solo un minimo vantaggio clinico in termini di sopravvivenza (< 5%) rispetto alla monoterapia, e indubbiamente resta controverso se considerare significativo un simile BLOCCO ANDROGENICO INTERMITTENTE Il razionale per un impiego intermittente della ADT è basato sulla possibilità di ridurre gli effetti collaterali ed i costi della terapia, pur conservando l’efficacia della manipolazione ormonale. Diversi studi clinici di fase 2 hanno dimostrato la validità di un regime intermittente in soggetti che presentavano una malattia metastatica o una ripresa biochimica di malattia. Fra questi, il principale studio randomizzato di confronto fra lo schema intermittente e quello continuo di trattamento è rappresentato dallo studio SWOG 9346, ed ha concluso che uno schema intermittente è una valida soluzione da proporre ad alcuni pazienti selezionati, sebbene siano necessari almeno 7 mesi di trattamento continuo di induzione ed una riduzione dei valori di PSA <4 ng/ml, per garantire una adeguata efficacia (11). TERAPIA ORMONALE IMMEDIATA VERSUS DIFFERITA Non è ancora ben chiaro quale sia l’intervallo ideale per iniziare una ADT, dal momento che ancora oggi, mancano dati conclusivi di studi randomizzati controllati. È disponibile solo uno studio retrospettivo su 1.352 pazienti con un incremento del PSA a seguito di prostatectomia radicale, di cui 355 hanno immediatamente iniziato l’ADT, ed i restanti 997 hanno iniziato la manipolazione ormonale solo alla comparsa di una metastasi. L’applicazione di una terapia ormonale immediata si è dimostrata efficace nell’allungare l’intervallo libero da metastasi ossee in pazienti che presentavano un Gleason > 7 o un PSA doubling time < 12 mesi; non sono stati, invece, dimostrati vantaggi né sulla sopravvivenza globale né su quella libera da malattia (12). segue a pag. 7 7 UROTime Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009 L’approccio multimodale nella gestione del paziente con cancro della prostata segue da pag. 6 IC GLI AGONISTI DELL’LHRH C Dopo la loro introduzione in commercio, gli agonisti dell’LHRH sono diventati la terapia di scelta nell’induzione della soppressione androgenica in pazienti affetti da cancro della prostata, dal momento che i pazienti preferiscono ampiamente la terapia medica alla castrazione chirurgica, per ovvi motivi psicologici e per la reversibilità del trattamento. Inizialmente gli agonisti dell’LHRH venivano somministrati principalmente mediante iniezioni sottocutanee giornaliere, ma negli ultimi 10 anni, i progressi della ricerca farmaceutica hanno consentito di disporre di formulazioni a rilascio prolungato che danno copertura terapeutica per periodi fra 1 e 6 mesi, incrementando ulteriormente la compliance e la soddisfazione dei pazienti (15, 16). Il meccanismo d’azione di questi far- © M1 sintomatica Per ridurre la sintomatologia e ridurre il rischio di gravi conseguenze cliniche (compressione spinale, fratture patologiche, ostruzione ureterale, metastasi extrascheletriche). M1 asintomatica La castrazione immediata ritarda la progressione a malattia sintomatica e previene complicanze gravi. N+ La castrazione immediata in caso di metastasi macroscopiche prolunga la sopravvivenza libera da progressione e quella globale. In caso di interessamento microscopico non esistono raccomandazioni definitive. Malattia localmente avanzata M0 La castrazione immediata migliora la sopravvivenza globale. Antiandrogeni Riduce il rischio del fenomeno di flare-up in pazienti con malattia metastatica in trattamento con un LHRH-agonista. Antiandrogeni non steroidei Monoterapia primaria come alternativa alla castrazione in pazienti con malattia localmente avanzata. stosterone al di sotto del valore soglia di 50 ng/dL (18). Questi metodi di analisi sono stati successivamente abbandonati e sostituiti da innovative tecniche di determinazione radioimmunologica, che consentono determinazioni molto più accurate dei livelli di testosterone plasmatici, unitamente ad una riduzione dei tempi richiesti per l’analisi (19). Le metodiche attualmente impiegate nella pratica clinica, basate su metodi di chemiluminescenza, consentono di misurare livelli sierici di testosterone anche inferiori a 0.1 ng/dL. L’introduzione di queste più recenti metodiche di analisi consente di determinare in maniera accurata anche livelli di testosterone ben al di sotto di 50 ng/dL, ed ha determinato una revisione dei criteri di efficacia dei farmaci antiandrogeni. II N TE R maci prevede una stimolazione iniziale dei recettori dell’LHRH, con un’iniziale induzione della produzione di testosterone (flare phenomenon). L’esposizione cronica a queste molecole induce però rapidamente una down-regulation di tutti i recettori per l’LHRH, sopprimendo la produzione sia dell’FSH che dell’LH, e bloccando di fatto il rilascio di testosterone. La comparsa del flare phenomenon potrebbe indurre effetti negativi, ma si calcola che solo il 4-10% dei pazienti, che hanno già sviluppato metastasi d’organo (stadio M+), sono a rischio di sviluppare un peggioramento dei sintomi con dolore osseo, compressione midollare, ostruzione cervico-uretrale. Quando si deve scegliere la castrazione come opzione terapeutica, il primo problema è quello di ottenere il livello più basso possibile di testosterone. Secondo un’analisi condotta da Oefelein et al. quanto più basso è il livello di testosterone raggiunto, migliore sarà il beneficio clinico della castrazione stessa (17). In realtà secondo una definizione universalmente accettata, il livello di testosterone in circolo si considera soppresso se si riscontrano valori inferiori a 50 ng/dL su due campioni separati e consecutivi. In tal senso, l’inizio di una soppressione efficace viene considerata a partire dal primo giorno in cui si raggiungono livelli adeguatamente bassi di testosterone (17). Questi valori, postulati per la prima volta da Sharifi et al., e basati su vecchi metodi di analisi, sono stati applicati in numerosi trials clinici, per cui i farmaci agonisti dell’LHRH sono stati a lungo considerati efficaci se in grado di abbassare i livelli di te- N Somministrazione a breve termine N N AL I Commenti mg rispettivamente ad un mese, a 3 mesi e a 6 mesi. Il sistema di rilascio Atrigel® consiste di un polimero biodegradabile a base di DL-lattide-coglicotide immerso in una matrice di N-metil-2-pirolidone (20-22). L’iniezione di Eligard® viene commercializzata come un sistema a due siringhe, di cui una contiene il principio attivato e la seconda il polimero di Atrigel. Il contenuto deve essere mescolato più volte fino ad ottenere una sospensione omogenea. Una volta iniettata nel tessuto sottocutaneo, la soluzione polimerica va incontro ad un processo di separazione di fase, fino a costituire un impianto solido e resistente che contiene al suo interno una matrice di Leuprolide acetato attiva. La capsula di polimero va incontro ad un processo di degradazione lento, liberando in maniera costante piccole dosi di principio attivo. Rispetto a tutte le altre formulazioni a base di leuprolide che contengono microsfere, Eligard® è in grado di rilasciare in modo costante quantità maggiori di principio attivo (20). Il principale obiettivo di questa nuova formulazione è quello di migliorare in maniera significativa il profilo farmacocinetico, in modo da ottenere una soppressione stabile dei livelli di testosterone in tutti i pazienti, migliorando il profilo di sicurezza della terapia e riducendo l’incidenza di fenomeni di escaping ormonale. È infatti ben noto che in corso di terapia con LHRH agonisti, si dovrebbero raggiungere livelli ottimali di castrazione con una testosteronemia < 20-50 ng/dl, e che questi valori dovrebbero essere mantenuti in maniera stabile senza oscillazioni di rilievo. Sulla base dei dati estrapolati da due precedenti studi multicentrici, che hanno valutato l’impiego della formulazione ad 1 e 3 mesi di Eligard®, si riesce a raggiungere un livello di castrazione ottimale (testosterone < 20 ng/dl) nel 94-98% dei pazienti in trattamento, con livelli stabili mantenuti nel tempo e un rischio di risposta breakthrough solo nell’1% dei casi (21, 22). AZ IO Indicazioni ED Dopo aver effettuato una prostatectomia radicale, un valore di PSA > 0,2 ng/ml è indicativo di una ripresa di malattia (13). A seguito di una radioterapia, si considera suggestivo di ripresa di malattia, un valore di PSA > 2 ng/ml oltre il valore di nadir raggiunto dopo la terapia radiante (14). Il principale aspetto clinico in queste situazioni resta la distinzione fra una malattia ricorrente locale o a distanza. In questa difficile distinzione possono venire in soccorso alcuni parametri, quali lo stadio patologico iniziale, il tempo di risalita del PSA rispetto al trattamento iniziale e la velocità di crescita del PSA. Ad esempio, tumori scarsamente differenziati, con una risalita molto precoce dei valori del PSA e con tempi di incremento molto rapidi, sono tutti fattori fortemente suggestivi di una ripresa di malattia a distanza, laddove pazienti che presentino tumori moderatamente differenziati, una ripresa tardiva del PSA e un tempo di raddoppiamento superiore ai 10-12 mesi, presentano quasi sicuramente una ripresa solo locale della malattia. La scelta sul tipo di trattamento da proporre per la gestione della ripresa di malattia dipende da vari fattori, fra i quali, la gravità della ripresa, le condizioni generali del paziente e la preferenza dell’urologo. Tabella 1 - Indicazioni alla terapia ormonale. IZ IO TRATTAMENTO DELLA RIPRESA DI MALATTIA DOPO TRATTAMENTO RADICALE INIZIALE NOVITÀ NELLA TERAPIA DI DEPRIVAZIONE ANDROGENICA Attualmente sono disponibili sul mercato cinque differenti formulazioni di agonisti dell’LHRH nel trattamento del cancro della prostata in stadio avanzato. Di queste, tre sono rappresentate da differenti sistemi di rilascio dell’agonista leuprolide acetato, mentre le restanti due formulazioni sono a base di goserelin acetato e triptorelina pamoato. Una nuova formulazione a base di leuprolide acetato, a rilascio estesoprolungato è rappresentata dall’Eligard®. Quest’ultima formulazione contiene un sistema a rilascio prolungato a singole sfere denominato Atrigel®, che consente il rilascio di una dose di leuprolide da 7.5, 22.5 e 45 ELIGARD® 7.5 MG (LENTO RILASCIO AD 1 MESE) In questo studio sono stati arruolati 120 soggetti affetti da cancro prostatico e di questi il 97.5% (117 pz) ha completato tutti i 6 mesi di studio, che prevedeva una somministrazione sottocutanea ogni 28 giorni di leuprolide. segue a pag. 8 8 UROTime Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009 L’approccio multimodale nella gestione del paziente con cancro della prostata segue da pag. 7 19. TE R 10. II N 11. 12. 13. IC C © BIBLIOGRAFIA 11. Bill-Axelson A, Holmberg L, Ruutu M, et al. Scandinavian Prostate Cancer Group study no. 4: radical prostatectomy versus watchful waiting in early prostate cancer. N Eng J Med 2005; 352: 1977-84. 12. Walsh PC. The discovery of the cavernous nerves and development of nerve sparing radical retropubic prostatectomy. J Urol 2007; 177: 1632-5. 13. 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In conseguenza di questo effetto, i valori di LH sono incrementati durante la prima settimana per poi discendere nel periodo fra la seconda e la quarta settimana di trattamento. Dopo il 28° giorno, i livelli in circolo sono praticamente indosabili. In risposta a questo andamento dell’LH, il testosterone plasmatico fa osservare un picco al 2° giorno per poi decrescere verso livelli di castrazione. Dopo il 28° giorno il 98% dei pazienti raggiunge un livello di castrazione di 50 ng/dl o meno, mentre l’84% scende a valori al di sotto di 20 ng/dl. Dopo 35 giorni di trattamento tutti i pazienti raggiungono un livello di castrazione, e a distanza di 6 mesi il 94% dei pazienti in trattamento raggiunge livelli di castrazione ideale < 20 ng/dl. In un solo caso si è osservata una risposta breakthrough al 49° giorno di trattamento (21). L’introduzione nella pratica clinica del PSA quale marcatore plasmatico del tumore della prostata, ha profondamente modificato l’approccio clinico a tale patologia. Sebbene i primi, recenti risultati dei due principali studi sulla prevenzione del cancro prostatico (PLCO e ERSPC), non siano univoci e conclusivi nel suggerire uno screening di massa sulla popolazione maschile dopo i 50 anni, si attendono ulteriori importanti sviluppi su tale aspetto. Nel frattempo, numerose acquisizioni cliniche e scientifiche suggeriscono la possibilità di una gestione multimodale del paziente con cancro prostatico, a seconda dello stadio di malattia riscontrato e delle situazioni cliniche che vengono a determinarsi, sulla base di indicazioni molto precise raccolte nelle linee guida dell’EAU. La terapia ormonale di deprivazione androgenica, rappresenta una valida soluzione terapeutica da poter impiegare in diverse condizioni cliniche, ed in questo ambito, gli analoghi dell’LHRH sono il farmaco di scelta. Recenti dimostrazioni scientifiche suggeriscono che l’Eligard®, nelle sue formulazioni a rilascio mensile e trimestrale, rappresenta il farmaco in grado di garantire il miglior profilo di castrazione, in termini di valore di testosterone raggiunto e di efficacia stabile nel tempo. N ELIGARD® 22.5 MG (LENTO RILASCIO A 3 MESI) CONCLUSIONI IZ IO Il farmaco è stato riscontrato in circolo per un periodo medio di 37 giorni (range 28-49) e in uno studio di confronto fra Eligard® 7.5 e leuprolide acetato in microsfere da 7.5 mg, si è osservato che con questa seconda formulazione si raggiungeva un livello immediato di leuprolide più elevato; al contrario, nel confronto a lungo termine, il livello di leuprolide ottenuto con Eligard® risultava fino a 1.9 volte superiore rispetto alla formulazione in microsfere (49 vs 35 giorni). Dopo 28 giorni, il 94.1% dei pazienti in trattamento raggiunge livelli di castrazione, e questa percentuale raggiunge il 100% in corrispondenza del 42° giorno di trattamento. Nel 97.5% dei pazienti il livello circolante di testosterone risulta < 20 ng/dl. Tali livelli di castrazione si mantengono stabili nel tempo; in questo studio non sono stati riportati in nessun caso fenomeni di “escaping” ormonale (risposta breakthrough e/o acuta su cronica) (22). 17. 18. 19. 20. 21. 22. A.A.V.V. - Editors: Clark M., Kumar P. MEDICINA CLINICA I Edizione italiana dalla VI Edizione Inglese Volume cartonato di 1530 pagine f.to cm 19,5x26,5 € 130,00 • 9 UROTime Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009 La calcolosi infetta: cause, profilassi e trattamento P. CASALE © C IC AZ IO N TE R II N ED La formazione di calcoli infetti dipende dall’idrolizzazione dell’urea in presenza di batteri ureasi produttori (Fig. 1). L’ammoniaca viene trasformata in ammonio e bicarbonato che successivamente si legano con i cationi liberi urinari producendo triplo fosfato di ammonio magnesio (struvite) e carbonato apatite (2). Tuttavia alcuni studi hanno rilevato la presenza di organismi ureasi produttori solo nel 48% dei casi di calcolosi di struvite mentre il 32% di litiasi di ossalato di calcio risultava essere infetta. Ciò può indurre a pensare che un’infezione da batteri ureasi produttori non sempre è presente nella calcolosi da struvite, inoltre colture positive possono riscontrarsi non solo nella calcolosi da triplo fosfato magnesio ma anche nella calcolosi di ossalato di calcio (3, 4). Recenti orientamenti inducono sempre più a focalizzare l’attenzione sui meccanismi patogenetici della calcolosi infetta legati alla questione dei nano batteri, delle endotossine e della costituzione del “biofilm”. I nano batteri sono dei microorganismi di dimensioni dalle 10 alle 100 volte inferiori ai batteri classicamenti conosciuti. Essi hanno la capacità di formare un “nido” di aggregazione attorno al quale si formerebbe il calcolo. Il rischio di sepsi sembra avere origine dal rilascio di questi microorganismi e di endotossine dal nucleo del calcolo durante un trattamento di frammentazione (5). N PATOGENESI Elevati valori di endotossine sono stati riscontrati sia all’interno di litiasi da struvite che in calcoli non infetti. Le endotossine, costituite di lipopolisaccaridi, vengono rilasciate nel circolo sistemico durante il trattamento del calcolo inducendo una risposta infiammatorio-settica, amplificata nel caso di contestuale presenza di uropatia ostruttiva (6). La produzione del biofilm sta acquistando sempre maggiore importanza nella patogenesi della litiasi infetta. Il biofilm è una struttura complessa, organizzata, consistente in micro colonie di cellule batteriche che aderiscono in modo irreversibile all’epitelio e si circondano di una matrice esopolisaccaridica (slime) nella quale sono scavati minuscoli canalicoli tra loro comunicanti a formare un mini-sistema circolatorio. Il biofilm può organizzarsi sulle mucose così come sulla superficie di cateteri, stent e/o nefrostomie. Alcune molecole-segnale definite Quorum Sensing permettono l’interazione tra i microorganismi stessi, condizionando la formazione e lo sviluppo del biofilm. La formazione del biofilm prevede, sostanzialmente tre fasi: 1) la fase di adesione, 2) la fase di organizzazione, 3) la fase del rilascio (Fig. 2). Nella fase di adesione i microorganismi utilizzano dei meccanismi di adesione all’epitelio; una volta avvenuto l’ancoraggio i batteri iniziano ad aggregarsi tra loro. Nella fase di organizzazione viene prodotto lo slime o glicocalice ossia una matrice in cui i batteri vengono inglobati generando il biofilm. A causa della presenza di questo involucro polisaccaridico, che agisce come un sistema di protezione che si oppone alla penetrazione dei farmaci, i microrganismi presenti nel biofilm mostrano un’aumentata resistenza alle difese immunitarie ed alle terapie antibiotiche. Nella terza fase, definita fase del rilascio, i batteri possono distaccarsi dal biofilm e trasformarsi nuovamente in forme planctoniche. In seguito a quest’ultimo step possono verificarsi riacutizzazioni infettive ed il formarsi di nuovi biofilm a distanza (7, 8). IZ IO L a calcolosi infetta si forma come risultato di una persistente infezione causata solitamente da batteri ureasi produttori e si associa frequentemente ad ostruzione del tratto urinario. Questo tipo di calcolosi è caratterizzata dalla eccezionale rapidità di crescita tanto da essere sufficienti 4-6 settimane per la formazione della litiasi infetta. Nei Paesi industrializzati, approssimativamente, circa il 10-20 % della calcolosi urinaria è costituita da litiasi infetta (1). N AL I U.O. Urologia S.S.N. Azienda Ospedaliera Universitaria, Pisa The Center for Disease Control and Prevention ha stimato che nel 6580% di tutte le infezioni croniche e/o recidivanti sia implicata la formazione del biofilm (9, 10). In relazione alle conoscenze sulla formazione e sviluppo del biofilm si possono ipotizzare delle nuove strategie terapeutiche volte a prevenire e disgregare il biofilm e/o ad eradicare i microorganismi in esso contenuti. In via sperimentale è stata rilevata l’efficacia dell’acetilcisteina nell’inibire l’adesione batterica e nella capacità di dissolvere la matrice del biofilm, disgregando e riducendo il numero di forme vitali all’interno del biofilm stesso. Interessante si è rivelata l’associazione di acetilcisteina con i singoli antibiotici la cui azione è risultata sperimentalmente sinergica sia su infezioni delle vie respiratorie che delle vie urinarie determinate da microorganismi formanti biofilm (7). PROFILASSI L’infezione del tratto urinario è una complicanza che può essere già pre- sente prima del trattamento o manifestarsi in seguito ad esso. Si ritiene che la fonte di infezione sia il calcolo stesso, sia esso composto da struvite sia da ossalato di calcio o acido urico (11). Nonostatnte si attui un’accurata preparazione del paziente in fase preoperatoria con profilassi antibiotica, eseguita anche ad urinocoltura negativa, non sempre si può avere la sicurezza che non si manifesteranno complicanze infettive catastrofiche (12). In caso di calcolosi a stampo è stata rilevata una positività dell’urinocoltura nel 20% dei casi mentre la coltura del calcolo risultava positiva nel 50% dei casi (13). In caso di litiasi ureterale ostruente il 25% dei pazienti mostrava una coltura del calcolo positiva, nel 66% dei casi risultava positiva la coltura delle urine provenienti dall’alta via escretrice, mentre la coltura delle urine del mitto intermedio era negativa in tutti i pazienti studiati. Inoltre è stata rilevata una correlazione tra le dimensioni della litiasi e la positività della coltura del calcolo ossia per calcoli segue a pag. 10 10 UROTime Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009 La calcolosi infetta: cause, profilassi e trattamento segue da pag. 9 IC C © TRATTAMENTO In accordo con le Linee Guida statunitensi (AUA guidelines 2005) il “goal” del trattamento, qualsiasi esso sia, deve essere la completa clearance del calcolo. Una calcolosi residua può favorire la persistenza dell’infezione ed una rapida ricrescita volumetrica del calcolo in una percentuale di casi che può variare tra il 61 ed il 78%. Gli antibiotici eliminano la batteriuria, ma la persistenza di frammenti residui compromette la possibilità di eradicare l’infezione (16, 17). La persistenza dell’infezione può au- N AL I Al contrario suggeriscono di proporre una profilassi antibiotica in tutti quei pazienti da sottoporre ad ureterolitotrissia per calcolosi dell’uretere prossimale o ostruente o da sottoporre a PCNL. AZ IO buona efficacia della prulifloxacina in fase di profilassi riportando un maggiore controllo delle infezioni nel gruppo che aveva assunto l’antibiotico per ulteriori 5 giorni indipendentemente dalla procedura operatoria eseguita (15). Le linee guida europee (Tabella 2) non raccomandano alcuna profilassi in caso di trattamento con litotrissia extracorporea né in caso di ureterolitotrissia eseguita per litiasi dell’uretere distale. segue a pag. 11 Tabella 1 - Evidenze cliniche nella profilassi antibiotica/trattamento prima e dopo differenti procedure di rimozione dei calcoli. Procedure Prophylaxis/therapy Charton, 1986 PCNL No prophylaxis Cadeddu, 1998 PCNL Prophylaxis + Therapy (Gentamicin + Ampicillin or Cephalosporins) Margel, 2006 PCNL Mariappan, 2006 PCNL TE R PCNL Dogan, 2002 Results 35% UTI 16% fever (>38°C) Prophylaxis (Cephalosporins II gen 1 g one shot) 22% SIRS No prophylaxis 25.8% fever (>38°C) Prophylaxis (Ciprofloxacin 500 mg x 2/day orally for 1 week) 3% SIRS II N Aghdas, 2006 N Author PCNL Prophylaxis (Oflaxacin 200 mg IV one shot) 20% fever PCNL Therapy (Ofloxacin 400 mg/day orally) 21% fever ULL Prophylaxis (Levofloxacin 250 mg one shot) 1.8% bacteriuria ULL No prophylaxis 12.5% bacteriuria Tenke, 2006 ULL Continuous therapy (Levofloxacin 500 mg x 2/day for 18-21 days) 12% UTI Tenke, 2006 ULL Intermittent therapy (Levofloxacin 500 mg x 2/day for 7+3 days) 12% UTI Costantino, 2005 ULL Prophylaxis + Therapy (Levofloxacin 500 mg 4 h pre-operatively + Levofloxacin 500 mg for 5 days)) 14% UTI Dincel, 1998 SWL Prophylaxis 2-17% UTI Petterson, 1989 SWL No prophylaxis (urine culture negative prior to treatment) 8-15% UTI Bierkens, 1997 SWL No prophylaxis (urine culture negative prior to treatment) 4-12% UTI Zanetti, 1992 SWL No prophylaxis (urine culture negative prior to treatment) 7.3% UTI Knopf, 2003 IZ IO Knopf, 2003 N Dogan, 2002 ED inferiori ai 20 mm è stata rilevata una coltura positiva pari a 21.3% dei casi; tale percentuale raddoppiava (43.6%) in caso di litiasi superiore ai 20 mm. La coltura delle urine del mitto intermedio sembra avere uno scarso valore predittivo per le infezioni dell’alta via escretrice (4). La coltura del calcolo potrebbe pertanto essere utilizzata come guida per approntare una antibioticoterapia appropriata. La coltura delle urine dell’alta via escretrice e la coltura dei frammenti litiasici può risultare più indicativa della coltura delle urine del mitto intermedio; di fatto però questi ultimi due parametri sono utilizzabili solo dopo il trattamento e quindi sono eventualmente sfruttabili nel caso di infezioni resistenti allo scopo di correggere la terapia antibiotica ad ampio spettro somministrata in modo empirico come profilassi (2). Per quanto concerne la profilassi è necessario tenere presente alcune premesse: 1) la profilassi antibiotica andrebbe limitata al periodo perioperatorio e la somministrazione deve avvenire immediatamente prima dell’inizio dell’intervento; 2) non esistono prove a supporto di un prolungamento della profilassi oltre le prime 24 ore dal periodo post-operatorio. La Tabella 1 riporta alcuni studi condotti nell’ambito della profilassi e della antibioticoterapia adottata prima e dopo differenti tipi di procedure endourologiche e/o di litotrissia extracorporea. Si può notare la scarsa univocità di comportamento tra i diversi autori per quanto concerne la tipologia di antibiotico e sul timing di profilassi e terapia antibiotica. Gli antibiotici maggiormente utilizzati sono le cefalosporine ed i chinolonici, di questi in particolare la ciprofloxacina e la levofloxacina, che sembrano comunque risultare usualmente efficaci anche per la loro capacità di distribuirsi e rimanere a lungo sulla superficie di cateteri vescicali, stent e nefrostomie (14). Di Silverio et al. riportano l’utilizzo della prulifloxacina come profilassi e come terapia post-operatoria in due gruppi distinti, randomizzati, in cui per entrambi l’antibiotico veniva somministrato due ore prima del trattamento e successivamente prolungato, nel primo gruppo per 3 giorni e nel secondo gruppo per 5 giorni. I risultati preliminari su 60 pazienti totali (55 sottoposti ad ULL, 2 a PCNL e 3 ad ESWL) hanno rilevato una Tabella 2 Procedure Pathogens Prophylaxis Antibiotics Remarks ESWL Enterobacteriaceae Enterococci No - Cephalosporins 2nd-3rd generation - TMP+/-SMX - Aminopenicillin/BLI Only in risk patients ULL (uncomplicated distal stones) Enterobacteriaceae Enterococci Staphylococci No - Cephalosporins 2nd-3rd generation - TMP+/-SMX - Aminopenicillin/BLI - Fluoroquinolones Only in risk patients ULL (proximal stones or impacted stones) PCNL Enterobacteriaceae Enterococci Staphylococci All patients - Cephalosporins 2nd-3rd generation - TMP+/-SMX - Aminopenicillin/BLI - Fluoroquinolones Short course ESWL Enterobacteriaceae Enterococci Staphylococci Recommended - Cephalosporins 2nd-3rd generation - TMP+/-SMX - Aminopenicillin/BLI Single pre-operative dose 11 UROTime Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009 La calcolosi infetta: cause, profilassi e trattamento segue da pag. 10 Obiettivo principale del trattamento (PCNL; ULL; ESWL) della litiasi infetta deve essere la completa eradicazione del calcolo. Figura 1 - Meccanismo di formazione dei calcoli infetti. 14. N AL I CONCLUSIONI 13. 15. 16. 17. IZ IO N II N TE R N 18. Organizzazione ED Adesione Figura 2 - La formazione del biofilm. © C IC mentare il rischio di una recidiva nel 33.3% dopo ESWL e nel 22% post PCNL+ESWL (18). La terapia antibiotica a lungo termine spesso riduce significativamente la carica batterica contrastando i rischi settici e prevenendo la recidiva o la ricrescita del calcolo dopo trattamento (19). Nel caso si attuasse un trattamento di PCNL, se si riscontrassero urine infette, o potenzialmente tali, alla puntura renale è raccomandabile lasciare in sede la nefrostomia, a scopo drenante, somministrare un’adeguata terapia antibiotica e rimandare la procedura di nefrolitotrissia percutanea evitando così rischi settici estremi che potrebbero presentarsi con la manipolazione endoscopica (4). L’incidenza di urosepsi non sembra correlata né ai multipli accessi alle cavità calicopieliche né con la durata della procedura percutanea (4, 20, 21). Per quanto concerne l’ureterolitotrissia, le Linee Guida Europee (2007) raccomandano la profilassi antibioti- ca (cefalosporine di 2°-3° generazione, bactrim, chinolonici) in tutti quei pazienti che presentano una litiasi ureterale impattata e/o dell’uretere prossimale, riservandola nei casi di litiasi dell’uretere distale, solo ai pazienti con stent o nefrostomia in situ. A tale proposito la levofloxacina, paragonata alla ofloxacina ed alla ciprofloxacina, sembra avere la capacità di essere assorbita e rimanere più a lungo sulla superficie di stent e nefrostomie (14). Il trattamento di litotrissia extracorporea (ESWL) può potenzialmente, attraverso il trauma renale e vascolare, provocare il passaggio in circolo dei batteri presenti nelle urine. Viene riportata una batteriuria nel 14% dei pazienti sottoposti ad ESWL con evoluzione in urosepsi in meno dell’1% dei casi. Tale percentuale può salire al 2.7% nei casi di calcolosi infetta. Il rischio di sepsi aumenta in caso di urinocoltura pre-ESWL positiva ed in caso di ostruzione urinaria. Il ruolo di una terapia e profi- therapy. Arch It Urol Andol March 2008; 80 (1): 5-12. Hugusson J, Grenabo L, Hedelin H, et al. Bacteriology of upper urinary tract s stones. J Urol 1990; 143: 965-968. Mariappan P, Smith G, Bariol SV, et al. Stone and pelvic urinary culture and sensivity are better than bladder urine as predictors of urosepsis following PCNL. J Urol 2005; 173: 1610-1614. Kajender EO, Cifticioglu N. Nanobacteria an alternative mechanism for pathogenic intra and extracellular calcification and stone formation. Proc Natl Acad Sci USA 1998; 95: 8274-8279. Mc Aleer I, Kaplan GW, Bradley JS et al. Endotoxin content in the renal calculi. J Urol 2003; 169: 1813-1814. 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ESWL 25 years later: complications and their preventions. Eur Urol 2006; 50: 981-990. AZ IO lassi antibiotica nel trattamento con ESWL è controverso. Sembra esserci un buon accordo tra i vari Autori nel prevedere una profilassi antibiotica in caso ESWL se presente calcolosi infetta o urinocoltura positiva o storia ricorrente di IVU o in pazienti sottoposti a posizionamento di stent e nefrostomia (22). 19. 10. 11. 12. 13. 14. Rilascio Esistono ancora pareri discordi riguardo le modalità della profilassi antibiotica pre-PCNL o di ureterolitotrissia ed alla sua utilità per quanto concerne l’ESWL. I fluorchinolonici sembrano ottenere ottimi risultati in termini di controllo delle infezioni postoperatorie dopo PCNL o ULL. Auspicabile potrebbe essere l’impegno dell’industria farmaceutica e dei clinici nell’indirizzare le loro ricerche verso nuove strategie terapeutiche in grado di prevenire, disgregare ed eradicare la produzione del “biofilm”. 15. 16. 17. 18. 19. 20. BIBLIOGRAFIA 11. Bichler K-H, Eipper E, Naber K, Braun V, Zimmermann R, Lahme S. Urinary infection stones. Int J Antimicrob Agents 2002; 19: 488-498. 12. Zanetti G, Paparella S, Trinchieri A, Prezioso D, Rocco F, Naber KG. Infections and Urolithiasis: Current clinical evidence in prophilaxis and antibiotic 21. 22. • 12 UROTime Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009 N AL I Fenotipo della risposta infiammatoria-riparativa nel cancro della prostata Appare strettamente correlato con l’espressione dell’isoforma alfa del recettore estrogenico E. PETRANGELI N II N TE R N co. Inoltre, l’attivazione di questo fat- di neoplasie maligne. Al contrario, stitore di trascrizione ad opera della che- moli che si liberano nel microambienmio- o radio-terapia può attenuare la te tumorale, come radicali liberi, citocapacità di questi trattamenti di indur- chine, prodotti necrotici ed altre molecole aberrantemente espresse possono re morte cellulare (2) (Fig. 2). NF-kB può agire come regolatore del- incrementarne l’attivazione. la progressione del ciclo cellulare, sti- Le molecole pro-infiammatorie facilimolando l’espressione di geni come tano l’instabilità genomica, promuola ciclina D1, c-myc e fattori di cre- vono l’angiogenesi nella fase precoce scita; è in grado di inibire l’apoptosi dello sviluppo tumorale e, successivaindotta da p53 e da TNF; regolando mente, favoriscono l’invasione e la difl’espressione di VEGF, delle moleco- fusione metastatica. L’azione tumorile di adesione e del sistema delle me- genica è svolta attraverso meccanismi talloproteinasi ed attivando quella di molecolari complessi, che comprendoenzimi pro-infiammatori inducibili, no l’induzione e l’interazione con fatcome COX-2 (cicloossigenasi di tipo tori di crescita e può essere influenza2) e iNOS (ossido nitrico sintasi indu- ta da fattori endocrini, formando spescibile) può contribuire ad aumentare so dei loop sinergistici di attivazione. È l’angiogenesi, l’invasività e la capaci- stato suggerito un ruolo di NF-kB neltà metastatica. In particolare, nostri la progressione verso un fenotipo di lavori precedenti e di altri Autori han- ormono-indipendenza tumorale (6). no dimostrato che l’espressione degli Numerosi studi indicano che gli estroenzimi inducibili COX2 e iNOS è aumentata in alcuni tumori umani benigni e maligni (3, 4). L’uso di aspirina ed anti-infiammatori non steroidei riduce l’incidenza di alcune forme di tumori nell’uomo, tra cui quelli del colon, dell’esofago, dell’ovaio e della prostata (5). Anche altri composti naturali, che, come la curcumina, estratti di tè verde di ginseng, resveratrolo, genisteina, ecc. mostrano proprietà antiinfiammatoria ed anti-proliferativa, sono in grado di inibire l’attivazione di NF-kB e sembrano avere un ruolo preventivo nello sviluppo di malattie Figura 1 - Schematica illustrazione degli steps di attivazione di NFproliferative beni- kB. Numerose molecole possono interferire a diversi livelli (da: Yagne e di alcuni tipi mamoto Y and Gaynor RB. J Clinical Investigation, 2001). © C IC ED IZ IO L’ impatto della risposta infiammatoria nella cancerogenesi e nella progressione neoplastica può derivare da due ipotesi generali: 1) La presenza di cellule infiammatorie nella neoplasia porterebbe ad un’aumentata produzione nel microambiente tumorale di citochine, fattori di crescita ed altre molecole che supportano la replicazione, la crescita e l’invasività delle cellule cancerose; 2) Le stesse cellule tumorali, attraverso l’attivazione di un fenotipo tipico della risposta immune innata, potrebbero essere responsabili della produzione di queste molecole che agirebbero sia nelle fasi iniziali che nella progressione della neoplasia. Questa risposta potrebbe essere stimolata dalla liberazione di radicali liberi, frammenti necrotici, molecole tossiche da parte delle cellule tumorali stesse portando all’attivazione del fattore di trascrizione NF-kB (Nuclear Factor k-B). NF-kB è un fattore ubiquitario coinvolto nella regolazione di numerosi ed importanti processi cellulari quali le risposte immunitarie ed infiammatorie, l’apoptosi e la proliferazione cellulare, attraverso la regolazione dell’espressione di specifici geni responsivi. Nelle cellule non stimolate, NF-kB è sequestrato in forma inattiva nel citoplasma da una molecola inibitrice IkB. La fosforilazione di IkB e la conseguente ubiquitinazione porta alla sua degradazione ed alla liberazione e traslocazione nucleare di NF-kB che è così attivato. Inibitori di NF-kB possono prevenire la sua attivazione, agendo a diversi livelli (1) (Fig. 1). Recentemente, l’attivazione di NF-kB è stata connessa con diversi aspetti dell’oncogenesi. È stato descritto come NF-kB sia disregolato in diverse forme di cancro. Sono stati individuati in alcuni tumori umani e linee cellulari tumorali alcuni meccanismi che causano una abnorme o continua attivazione di NF-kB, provocando resistenza all’apoptosi, aumento della proliferazione cellulare e del potenziale metastati- AZ IO Dipartimento di Medicina Sperimentale, “Sapienza” Università di Roma Istituto di Biologia e Patologia Molecolari, CNR, Roma geni, oltre agli androgeni, svolgono un’importante azione sia nella normale crescita che nello sviluppo dell’iperplasia e del cancro della prostata. L’azione estrogenica è mediata da due isoforme recettoriali (RE), alfa e beta, che regolano l’espressione di geni bersaglio in maniera diversa, talora opposta. L’isoforma alfa sembra essere coinvolta nel processo di tumorogenesi, mentre è stata proposta una funzione oncosoppressiva per l’isoforma beta (7). Sono stati identificati numerosi ligandi, naturali (fitoestrogeni) e sintetici, denominati modulatori selettivi dei recettori estrogenici (SERMs), che agiscono da agonisti e da antagonisti a seconda dell’isoforma del RE legata, del gene target coinvolto e della specificità cellulare e tissutale (8). I fitoestrogeni si comportano biologicamente come estrogeni deboli, ma presentano una più alta affinità per il RE-beta. Numerosi studi prospettano un loro possibile ruolo nella prevenzione di tumori ormono-dipendenti. Mostrano un’attività antiproliferativa ed anti-infiammatoria ed inibiscono la tirosin-chinasi ed altre chinasi coinvolte nella tumorogenesi. La comprensione delle interazioni molecolari tra estrogeni e pathway pro-infiammatorio appare focale nella messa a punto di strategie preventive, identificazione di biomarcatori e nuovi percorsi terapeutici. Un recente lavoro ha analizzato l’espressione delle isoforme del RE e di molecole strettamente connesse alla risposta infiammatoria/riparativa regolata da NF-kB in campioni di tessuto prostatico tumorale e “sano” del lobo controlaterale, prelevati chirurgicamente da 20 pazienti con cancro della prostata (9). L’espressione di questi fattori è stata analizzata oltre che nel campione tessutale “in toto”, anche in campioni omogenei tessutali tumorali o di tessuto ospite selezionati con la tecnica “laser capture microdissection” (LCMD). Sono stati valutati i livelli di espressione (RNAm e proteina) delle isoforme alfa e beta del RE, segue a pag. 13 13 UROTime Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009 Fenotipo della risposta infiammatoria-riparativa nel cancro della prostata segue da pag. 12 IZ IO N II N TE R p65 di NF-kB accumulata nel citoplasma), mentre nei corrispettivi campioni di cellule tumorali selezionate era presente in forma attivata (traslocata nel nucleo) (Fig. 4). Per analizzare le relazioni tra RE e molecole pro-infiammatorie, è stata condotta un’attenta analisi statistica, che ha dimostrato che i livelli di espressione di RE-alfa (ma non di REbeta) erano correlati positivamente con quelli del Figura 4 - Espressione della subunità p65 di NF-kB nelle frazioni ciREGF e delle tosoliche e nucleari di campioni omogenei di tessuto tumorale e di molecole pro-in- tessuto ospite, selezionati con “Laser capture microdissection” (da fiammatorie esa- Ravenna L. et al, Prostate, 2009). minate. Analogamente, i livelli di espressione del re in un blocco terapeutico delle 2 vie). REGF erano positivamente correlati Per quanto riguarda l’interrelazione tra con quelli delle molecole pro-infiam- estrogeni e REGF, questa era già stata matorie esaminate. Questa stretta re- dimostrata in vari modelli e lavori prelazione indica una co-regolazione dei cedenti, indicando un coinvolgimento pathway relativi a recettori estrogeni- verso la progressione neoplastica e ci, molecole pro-infiammatorie e l’ormono-resistenza. Da questo lavoro emerge però che in questo meccaniRGEF. La correlazione positiva tra molecole smo è coinvolta solo l’isoforma alfa, pro-infiammatorie ed REGF, unita- ma non la beta, confermando un ruolo mente all’attivazione di NF-kB potreb- “protettivo” per quest’ultima isoforma be suggerire un ruolo stimolatorio o ed in via indiretta per potenziali comco-stimolatorio delle due vie con si- posti antagonisti di RE-alfa, agonisti di gnificato di tipo riparativo nella rispo- RE-beta. sta fisiologica, che acquisterebbe un Il ruolo pro-tumorale di RE-alfa, riruolo di loop di amplificazione nella spetto ad RE-beta, emerge anche dalla progressione neoplastica (la possibile correlazione positiva dei livelli di ricaduta applicativa potrebbe consiste- espressione della sola isoforma alfa © C IC ED del recettore dell’EGF (REGF) e di alcune molecole pro-infiammatorie controllate da NF-kB: il recettore extracellulare di ATP (P2X7R), il recettore di prodotti di glicazione avanzata e di HMGB1 (RAGE), gli enzimi pro-infiammatori inducibili cicloossigenasi (COX-2) e ossido nitrico sintasi (iNOS) ed il marcatore di fase acuta pentraxina3 (PTX3). L’espressione delle molecole pro-infiammatorie legate al pathway di NFkB appariva più elevata nei tessuti tumorali rispetto al non-tumorale controlaterale: in particolare i livelli di espressione di P2X7R, RAGE, PTX3 e REGF erano significativamente più alti (circa il doppio), mentre quelli di COX-2 ed iNOS mostravano una tendenza complessiva ad aumentare. Nei tessuti prostatici tumorali e peritumorali l’isoforma RE-alfa appariva significativamente più espressa rispetto all’isoforma RE-beta. I livelli d’espressione di RE-alfa erano aumentati di circa 150% nei campioni tumorali rispetto ai non tumorali, mentre quelli di RE-beta non differivano sostanzialmente. Dai risultati ottenuti su campioni omogenei di tessuti selezionati con la LCMD questi risultati apparivano molto più stressati ed accentuati: in tutti i campioni esaminati in parallelo, i livelli di espressione delle molecole pro-infiammatorie, di REGF e di REalfa apparivano considerevolmente più elevati nel tessuto tumorale rispetto al tessuto ospite corrispettivo (Fig. 3). Tali campioni erano composti pressoché esclusivamente da cellule epiteliali mentre erano assenti cellule infiammatorie, dimostrando che queste molecole venivano espresse dalle cellule tumorali stesse. Inoltre, nei campioni di tessuto ospite, NF-kB appariva per lo più nella sua forma inattiva (subunità Figura 3 - Aumento dell’espressione di RNAm delle molecole esaminate espresse come rapporto di livelli d’espressione nel tessuto canceroso rispetto al tessuto ospite, selezionati con la “Laser capture microdissection system” (da Ravenna L. et al., Prostate, 2009). N Figura 2 - Rappresentazione di funzioni regolate da NF-kB coinvolte in diversi aspetti dell’oncogenesi (da Basseres DS et al., Oncogene 2006). AZ IO N AL I con quelli delle molecole pro-infiammatorie, indicando anche in questo caso una co-regolazione con il pathway di NF-kB. I risultati descritti da Ravenna et al., riguardanti i diversi significati delle isoforme di RE nella loro relazione con l’attivazione della risposta riparativa/infiammatoria, sembrano supportare dati epidemiologici del ruolo protettivo di composti naturali quali fitoestrogeni nella dieta, agonisti del RE-beta, nell’insorgenza del cancro della prostata. Sulla base dei dati presentati in questo lavoro, prende forza l’ipotesi che la risposta infiammatorio/riparativa propria delle cellule cancerose prostatiche sia uno dei meccanismi che contribuisce alla progressione neoplastica e che è strettamente connessa e co-regolata con altri importanti stimoli esercitati da fattori di crescita (EGF) ed estrogeni, suggerendo ulteriori studi che potrebbero portare ad associazioni terapeutiche mirate. BIBLIOGRAFIA 1. Yamamoto Y, Gaynor RB. J Therapeutic potential inhibition of the NF-kB pathway in the treatment of inflammation and cancer. Clinical Investigation 2001; 07: 135142. 2. Basseres DS, Baldwin AS. Nuclear factorkappaB and inhibitor of kappaB kinase pathways in oncogenic initiation and progression. Oncogene 2006; 25: 6817-30. 3. Gradini R, Realacci M, Ginepri A, Naso G, Santangelo C, Cela O, Sale P, Berardi A, Petrangeli E, Gallucci M, Di Silverio F, Russo MA. Nitric oxide synthases in normal and benign hyperplastic human prostate: immunohistochemistry and molecular biology. J Pathology 1999; 189: 224-229. 4. Edwards J, Mukheriee R, Munro AF, Wells AC, Almushatat A, Barlett JM. HER2 and COX2 expression in human prostate cancer. Eur J Cancer 204; 40: 50-55. 5. Cuzick J, Otto F, Baron JA, Brown PH, Burn J, Greenwald P, Jankowski J, La Vecchia C, Meyskens F, Dem HJ, Thun M. Aspirin and non-steroidal anti-inflammatory drugs for cancer prevention: an international consensus statement. Lancet 2009; 10: 501-5079. 6. Jin RI, Lho Y, Connolly L, Wang Y, Yu X, Saint Jean L, Case TC, Ellwood-Yen K, Sawyers CL, Bhowmich NA, Blackwell TS, Yull FF, Matusik RJ. The nuclear factorkappaB pathway controls the progression of prostate cancer to androgen-independent growth. Cancer Res 2008; 68: 6762-9. 7. Bardin A, Boulle N, Lazennec G, Vignon F, Pujil P. Loss of ER expression as a common step in estrogen-dependent tumor progression. Endocrine-Related Cancer 2004; 11: 537-551. 8. Ohmichi M, Tasaka K, Kurachi H, Murata Y. Molecular mechanism of action of selective estrogen receptor modulators in target tissues. Endocrine Journal 2005; 52: 161167. 9. Ravenna L, Sale P, Di Vito M, Russo A, Salvatori L, Tafani M, Mari E, Sentinelli S, Petrangeli E, Gallucci M, Di Silverio F, Russo MA. Up-regulation of the inflammatory-reparative phenotype in human prostate carcinoma. The Prostate 2009; 69: 1245-1255. • 14 UROTime Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009 XI Congresso SUN - Corso ESRU Palermo, 6 luglio 2009 A. D’ADDESSI II N N ED IC C © N questo avvenga ed eventualmente provvedere. Ciò necessita di pochi secondi che velocizzano la procedura. Ma alla fine siamo soddisfatti. Tutto è stato controllato, è in ordine e secondo i nostri desideri. Non rimane che iniziare la procedura con l’introduzione del resettore. Ed ecco subito un possibile problema: il resettore non supera il meato uretrale esterno. O meglio, infine lo supera, ma dopo pressioni ripetute e notevoli. Una situazione del genere è spesso seguita da una stenosi tardiva del meato; evenienza quanto meno fastidiosa per il paziente, che richiede dilatazioni periodiche e che, in ogni caso, è espressione di una manovra non corretta. Evenienza, peraltro, facilmente evitabile semplicemente utilizzando, di routine o al primo accenno di difficoltà, un dilatatore uretrale progressivo, opportunamente lubrificato e calibrato, che produce appunto una dilatazione continua ed atraumatica fino al calibro necessario, evitando lesioni meatali destinate ad evolvere verso la stenosi. Il meato è infine superato agevolmente e senza traumi. Ma la progressione nell’uretra è difficoltosa oppure si incontra decisamente un ostacolo. Non è certo il caso di aumentare la pressione. È invece il caso di utilizzare, all’interno della camicia del resettore, la cannula di Schmiedt (Fig. 3). Questo utile accessorio, utilizzato con ottica da 0°, ci consente di procedere sotto il controllo della visione ed inoltre di evidenziare eventuali patologie uretrali. Ma se nonostante tutte le precauzioni, oppure più spesso per incongrue manovre precedenti, si è prodotta quella che viene definita una “falsa strada”? Determinante in questo caso è l’osservazione diretta della lesione, con cannula di Schmiedt o eventualmente con cistoscopio di piccolo calibro. Se lesioni superficiali della mucosa non compromettono infatti la prosecuzione dell’intervento, perfo- TE R polare lavora con soluzione fisiologica, un bisturi monopolare ha bisogno di soluzione glicerolo/mannitolo; • che il cavo elettrico sia inserito nello slot corretto del bisturi elettrico che, se di tipo moderno, ne ha più di uno? • che il collegamento distale bisturipaziente, la cosiddetta “piastra”, sia correttamente applicata al paziente, in un’area opportunamente glabra o depilata? • ed infine, i settaggi del taglio e della coagulazione sono adeguati e corrispondenti alle sue abitudini? Un’altra delle domande che l’Operatore pone, o si pone silenziosamente e talvolta con una certa ansia, ad intervento iniziato e sopratutto in caso di trattamento di una neoplasia voluminosa è “dove mi trovo?”. L’orientamento spaziale all’interno di quella sfera che è la vescica riveste evidentemente un’importanza primaria, talvolta decisiva nel caso della gestione di procedure riguardanti neoplasie voluminose, dove l’emorragia e la dispersione dei frammenti resecati possono rendere incerto il cammino e dove una visibilità ottimale è indispensabile. In questi casi sapere che si sta resecando esattamente dove si sta guardando è essenziale; ed allora, se si sta utilizzando la comune telecamera ad “L”, controllate che il nottolino laterale sia nella posiziona di sblocco. In altre parole, soltanto se la telecamera mantiene la sua posizione costante, con il lato lungo della “L” sempre verso il basso, le ore 4 o 7 che si osservano sul monitor corrispondono alle 4 o 7 all’interno della vescica. Un’altra evenienza che può contribuire a prolungare la procedura od anche a far spazientire l’Operatore, anticamera questo della complicanza, è “il frammento che non si stacca dall’ansa”. La causa più frequente, e anche la più banale, è che a fine corsa l’ansa, rientrando nella camicia, non tocca il becco di ceramica (Fig. 2). È compito dell’Operatore accertarsi, prima dell’inizio dell’intervento, che IZ IO L a resezione endoscopica di una neoplasia vescicale (Fig. 1) costituisce una delle procedure endoscopiche che più frequentemente vengono eseguite nei nostri Reparti. Si tratta di procedure spesso relativamente semplici e, proprio per questo, sono spesso incaricati di condurle in porto i colleghi più giovani e meno esperti. Ma, come sempre in Chirurgia, la procedura “semplice” tout court non esiste. Queste brevi note hanno l’intento di focalizzare alcuni aspetti e momenti della procedura che, se non tenuti nel giusto conto, potrebbero riservare sorprese o aprire la strada a complicanze intra o postoperatorie. Iniziamo con alcuni consigli di metodologia, la cui messa in atto precede l’inizio della procedura stessa. Ed allora, iniziate controllando voi stessi: – che il paziente sia quello programmato; – che sia presente e debitamente compilato il modulo del consenso informato; – che il paziente non presenti fattori di rischio o impedimenti particolari: – • ha sospeso l’eventuale terapia antiaggregante/anticoagulante in tempo utile? – • riferisce allergia ad antibiotici o a sostanze iodate? – • ha una artrosi d’anca o di ginocchio o protesi che gli impediscano di assumere la corretta posizione litotomica (è bene ricordare che, una volta anestetizzato anche solo perifericamente, il paziente non può più aiutare riferendo che ha dolore o mobilità limitata). Controllate, poi, che tutto lo strumentario e gli accessori corrispondano alle esigenze ed anche alle vostre abitudini. Quante volte si sente, proprio all’inizio della procedura, l’Operatore riferire seccato “il bisturi non taglia!”. Ma lui, per primo, ha controllato: • che il liquido di irrigazione sia quello corretto? Se infatti un bisturi bi- AZ IO Dipartimento di Scienze Chirurgiche-Urologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Policlinico “A. Gemelli” N AL I Possibili complicanze della TUR-B: come prevenirle, come gestirle razioni del lume uretrale richiedono la sospensione della procedura: il movimento continuo del resettore all’interno dell’uretra può infatti provocare un allargamento della lesione, in superficie ed in profondità. In questo caso è indicato il posizionamento di un catetere transuretrale in vescica, eventualmente su guida oppure, in caso di difficoltà, di una cistostomia sovrapubica. Quando l’intervento è iniziato, si è in vescica con il resettore e si esplorano le pareti dell’organo per la cistoscopia di controllo. A livello della cupola si osserva la piccola bolla d’aria che indica il punto più elevato. È un reperto importante ai fini dell’orientamento, ma se la quantità di aria all’interno della vescica è eccessiva, questo può tradursi in un pericolo, in quanto: • la visione può risultarne falsata, poiché l’aria altera la profondità di campo della telecamera; • l’attivazione della corrente elettrica determina un aumento improvviso della temperatura dell’aria e quindi della sua pressione, con possibile esplosione della bolla d’aria. È un evento per fortuna raro ma pericoloso e che richiede la conversione della procedura a cielo aperto. Il fenomeno segue leggi fisiche sulle quali non possiamo intervenire. Allora è opportuno che: • – ogni introduzione dello strumento avvenga con l’irrigazione attivata, limitando in questo modo l’immissione dell’aria contenuta all’interno del resettore; • – ad ogni sostituzione delle sacche del liquido irrigante si elimini l’aria eventualmente presente nel tubo di raccordo; • – durante l’esecuzione dei lavaggi interlocutori per l’evacuazione dei frammenti utilizzare sempre la siringa colma di liquido. Nel corso della resezione i due meati ureterali vanno sempre ricercati e visualizzati. Se è necessario è possibile resecarli, anche in profondità, ma sempre asportando frammenti sottili segue a pag. 15 15 UROTime Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009 Possibili complicanze della TUR-B segue da pag. 14 IC C © N AL I schio, a vescica non eccessivamente distesa ed anche nell’utilizzare corrente di intensità minore rispetto al consueto. L’emorragia È certamente la complicanza più temuta nel corso delle procedure chirurgiche, ma che fortunatamente si verifica raramente nel corso delle resezioni di neoplasie vescicali. Di fatto, al di là di sanguinamenti causati da lesioni di vasi peri-vescicali a seguito di perforazioni profonde, è in relazione quasi sempre alle dimensioni della neoplasia. Se il fine della procedura è l’asportazione della lesione nella sua totalità, non è possibile evitare di trovarsi in un certo momento ad operare in un ambiente reso torbido, con scarsa e poco definita visibilità. Da un punto di vista operativo è possibile attenersi a due tattiche differenti: • resecare la voluminosa neoplasia a “spazzola”, sull’intera superficie, approfondendosi progressivamente fino alla base d’impianto laddove è possibile coagulare i vasi maggiori, • oppure resecare “per settori”, cercando di giungere subito alla base del singolo settore e coagulare. È evidente che, come spesso succede, le due tattiche sono interscambiabili e che ad un iniziale debulking faccia seguito un approfondimento per settori fino alla base d’impianto. Suggerimenti utili possono essere quelli di: • non coagulare mai alla cieca, ma cercare sempre la fonte; • evitare la coagulazione del tessuto aggettante, che non raggiunge quasi mai l’obiettivo di assicurare una emostasi soddisfacente a migliorare la visibilità; • non confidare sull’emostasi fornita dall’elettrodo a sfera, in quanto può agire su superfici estese, ma non in profondità e può inoltre provocare ampie escare che, al momento del distacco, possono riproporre sanguinamenti importanti. Finalmente la resezione è conclusa, i frammenti evacuati, l’emostasi soddisfacente. Rimane da posizionare il catetere vescicale. Anche in questo caso, si propongono scelte differenti, risultato di esperienze personali e di scuola: • un catetere tipo Foley, a due vie, di calibro adeguato (20-22Ch), eventualmente siliconato e con punta a becco di clarino, è ben tollerato dal paziente e, non prevedendo l’eventualità di una irrigazione continua, evita il rischio di sovradistensione AZ IO N TE R IZ IO Figura 2 N II N Figura 1 ED in successione. Nel dubbio circa la localizzazione dei meati o della porzione intramurale dell’uretere, l’iniezione endovenosa di una fiala di colorante può rivelarsi determinante. Le problematiche legate alla resezione dei meati sono quelle: del possibile edema postoperatorio, transitorio ma responsabile di una sintomatologia del tipo della colica reno-ureterale, che è possibile ridurre utilizzando il minimo possibile di corrente per coagulazione e, ben più grave, la deconnessione ureterale, che va affrontata con procedure invasive, dalla nefrostomia temporanea alla conversione della procedura a cielo aperto. Di fatto la complicanza che riceve più attenzione è la perforazione vescicale. Sebbene in letteratura la sua incidenza sia riportata nell’1-5% dei casi, esistono riscontri secondo i quali sarebbe ben più frequente. Un recente studio (J Endourol, 23, 7, July 2009) riporta che nel 50% dei casi di resezione eseguita da specializzandi anziani, soltanto una cistografia postoperatoria ha dimostrato lo spandimento extravescicale di mezzo di contrasto, rilevando infine come unico fattore predisponente la posizione della neoplasia sulla cupola vescicale. Di gran lunga più frequente, e fortunatamente meno grave, è la perforazione extraperitoneale (Fig. 4). Il più delle volte misconosciuta, può essere sospettata laddove il paziente conscio riferisca una dolenzia più o meno intensa a livello periombelicale, inguinale o sovrapubico. L’Operatore stesso può rendersi conto in taluni casi di una diminuzione del ritorno del liquido di irrigazione. Se diagnosticata e di piccole dimensioni, può in genere consentire una rapida conclusione della procedura, mentre perforazioni più ampie richiedono la sospensione dell’intervento, dopo una emostasi di sicurezza, ed il posizionamento di un catetere vescicale di ampio calibro, senza irrigazione continua. Perforazioni misconosciute possono determinare una notevole dispersione/riassorbimento di liquido di irrigazione e possono innescare una possibile TUR-Syndrome, la cui fisiopatologia riconosce l’effetto farmacologico dei soluti presenti nel liquido di irrigazione (glicina, sorbitolo/mannitolo, NaCl, acqua sterile), l’effetto sulla volemia da parte dell’acqua assorbita, l’iponatriemia da diluizione, l’edema cerebrale e le alterazioni morfologiche a carico del Figura 3 cuore con conseguente circolazione ipocinetica. Il trattamento delle forme lievi si basa sulla somministrazione di soluzione salina ipertonica e diuretici. In caso di sospetto, durante e dopo l’intervento è comunque opportuno anche il dosaggio degli elettroliti plasmatici. In altri casi la perforazione è del tipo intraperitoneale. Si tratta, come detto, di lesioni meno frequenti, ma che richiedono spesso una conversione dell’intervento a cielo aperto. In assoluto, particolare attenzione deve essere prestata in corso di resezioni eseguite: • sulla cupola vescicale; • su pazienti di sesso femminile, nelle quali di regola la parete vescicale si presenta di spessore minore; • su lesioni a livello delle pareti laterali. Qui entra in gioco un altro fattore causale, la stimolazione, da parte della corrente elettrica di taglio, dell’innervazione perivescica- Figura 4 le, che determina una contrazione muscolare improvvisa e talvolta violenta. Le possibilità di minimizzare il rischio risiedono nel condurre la procedura, nei punti e/o nelle pazienti a ri- segue a pag. 16 16 UROTime Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009 Possibili complicanze della TUR-B segue da pag. 14 Spigolando S anche nei 14 pazienti che hanno poi sviluppato un altro tumore maligno. CONCLUSIONI: In 973 pazienti senza alcuna storia clinica di tumore, con incidentalioma surrenalico non è stato identificato alcun tumore maligno. Le lesioni più comuni sono state: adenoma (75%) e miolipoma (6%). Incidentalioma surrenalico alla TC: prevalenza di malattia surrenalica in 1.049 casi consecutivi di pazienti con massa surrenalica e senza evidenza di sintomi di malignità COMMENTI IC C © TE R N Attualmente la diagnosi delle patologie surrenaliche è molto accurata grazie all’impiego di metodi analitici precisi per la determinazione dell’anormale secrezione di ormoni surrenalici e di sofisticate tecniche radiologiche per la localizzazione di queste lesioni (1, 2). Gli Autori hanno riportato un ampio studio retrospettivo relativamente alla prevalenza di incidentaliomi surrenalici riscontrati alla TC, eseguita in pazienti con assenza di tumore. Attualmente questo studio comprende un gran numero di pazienti se paragonato agli studi precedenti, pubblicati dagli stessi autori, nei quali tutti gli incidentaliomi surrenalici identificati alla TC con un’attenuazione uguale o minore di 10 HU, erano benigni (3). Gli incidentaliomi surrenalici erano classificati esclusivamente secondo i classici e ben conosciuti criteri d’imaging (attenuazione e rinforzo del mezzo di contrasto alla TC e studio del chimicashift alla RMN). Attualmente vi è accordo sul fatto che tutti i pazienti con masse solide surrenaliche dovrebbero essere sottoposti a valutazione biochimica. Nonostante gli autori riportino che solo l’1% delle masse surrenaliche è stato valutato istopatologicamente, è stato provato che i loro criteri sono efficaci grazie al gran numero di altre masse in cui è stata ottenuta la conferma istopatologia (4, 5). Grazie all’esperienza radiologica accumulata, continua a crescere la tendenza ad accettare solo precise e specifiche caratteristiche d’imaging per un’adeguata caratterizzazione degli adenomi surrenalici. Alla TC gli adenomi surrenalici sono generalmente superiori ai 2 cm, sono solitari e sono associati ad atrofia della ghiandola controlaterale. Sono spesso indistinguibili dai carcinomi surrenalici eccetto che per la dimensione di questi ultimi, generalmente superiore a 6 cm (6). Lo studio con RMN risulta utile nella gestione delle masse solide inferiori a 5 cm. La mag- II N Susanna Cattarino IZ IO N OBIETTIVO: Lo scopo dello studio è stato quello di determinare la natura e la prevalenza di lesioni surrenaliche, identificate alla TC, in pazienti senza sintomi di malignità. MATERIALI E METODI: È stata eseguita una ricerca al computer tra i referti di TC addominale, utilizzando il termine “surrene” in 65.231 pazienti consecutivi esaminati dal gennaio 2000 al dicembre 2003. Una massa surrenalica è stata identificata in 3.307 pazienti (5%). Sono stati inoltre suddivisi pazienti senza alcun sintomo di malignità o sospetto di massa surrenalica funzionante. Novecentosettantatre pazienti con 1.049 masse surrenaliche rientravano nei seguenti criteri di inclusione: la natura della lesione determinata con l’esame istologico; la massa caratterizzata mediante TC, MRI o tecnica del wash-out; minimo di un anno di stabilità dell’immagine della massa o due anni di stabilità clinica durante il follow-up. RISULTATI: 1.049 masse surrenaliche sono state studiate con i seguenti metodi: studio istopatologico (12); Imaging (909); Imaging durante il follow-up (87) e follow-up clinico (41). Sono stati diagnosticati 788 adenomi, che costituivano il 75% di tutte le lesioni. Sono stati inoltre diagnosticati 68 miolipomi (6%); 47 ematomi (4%) e 13 cisti (1%). Sono stati trovati incidentalmente 3 feocromocitomi (0.3%) e un adenoma cortisolo-secernente. Centoventotto masse (12%) sono state considerate benigne grazie alla stabilità d’Imaging o clinica. Nessuna massa surrenalica maligna è stata trovata, ne- gior parte degli adenomi ha un aspetto lievemente ipointenso o isointenso rispetto al fegato o alla milza nelle immagini T1 pesate e leggermente iperintenso o isointenso rispetto al parenchima epatico o splenico nelle immagini T2. Per contro, il carcinoma surrenalico è generalmente ipointenso rispetto al fegato e milza nelle immagini T1 pesate ed iperintenso in T2 (6). Un’altra metodica diagnostica rilevatasi accurata è la biopsia surrenalica ad ago sottile sotto guida ecografica o TC. In uno studio finlandese l’accuratezza diagnostica nel differenziare le patologie maligne da quelle benigne risulta essere dell’85,7% (7). Grazie al gran numero di conferme istopatologiche e al gran numero di pazienti senza conferma istopatologica ma seguiti da un follow-up clinico e radiologico prolungato, si continua a sottolineare il ruolo dell’imaging nella valutazione degli adenomi surrenalici. In molti centri la caratterizzazione radiologica degli adenomi surrenalici viene accettata così come la caratterizzazione di altri incidentaliomi surrenalici, come cisti, pseudo cisti, ematomi e miolipomi. Si dovrebbe considerare quindi un adenoma surrenalico, una massa piccola, < 3 cm di diametro, omogenea e ben definita alla TC con un’attenuazione uguale o inferiore a 10 HU o che mostra più del 20% di perdita di intensità di segnale del chemical-shift alla RMN. AZ IO ulla rivista Urological Survey gli Autori Song JH, Chaudhry FS, Mayo-Smith WW del Dipartimento di Radiologia dell’Università di Providence (USA) hanno presentato un articolo che tratta delle lesioni surrenaliche di “riscontro occasionale” o Incidentalioma. N AL I Letteratura internazionale ED vescicale o di diffusione extravescicale del liquido in caso di piccole perforazioni misconosciute. D’altro canto rende più difficile l’evacuazione del materiale ematico e di eventuali coaguli, anche nel caso in cui vengano programmati lavaggi manuali periodici; • oppure un catetere tipo Dufour, a tre vie con irrigazione continua, che consente l’evacuazione in tempo reale del contenuto vescicale, ma che il paziente può tollerare meno bene e che, in caso di ostruzione della via di deflusso, può favorire la sovradistensione vescicale e la diffusione extravescicale di liquido. Qualunque sia la scelta, può verificarsi l’evenienza di un impossibile posizionamento del catetere a fine intervento, per ostacolo prostatico o cervicale o per una lesione uretrale di minima che non si vuole rischiare di estendere. In questo caso ripetuti tentativi possono essere non solo inutili, ma dannosi ed allora: • una possibile soluzione prevede la reintroduzione del resettore, sotto controllo visivo e con cannula di Schmiedt, ed il posizionamento al suo interno, fino in vescica, di un cateterino ureterale mandrinato 4 o 5F. A questo punto, sul cateterino, è possibile far scorrere un catetere con punta a becco di clarino; • oppure si reintroduce in vescica un uretrotomo munito di slitta sottostante oppure lo stesso resettore, sempre sotto controllo visivo, ed al suo interno si posiziona un catetere tipo Foley, a punta tronca e smussa e con estremità prossimale deconnettibile. Un’ultima considerazione rimane da fare, a proposito del rischio tromboembolico. La posizione litotomica, la durata della procedura, l’età e l’anamnesi del paziente, sono tutti fattori da prendere in considerazione per la quantificazione del rischio. In assenza di patologie particolari, è opportuno comunque ricorrere a semplici accorgimenti quali: • una profilassi, ad esempio con enoxaparina sodica 4.000 UI/die, iniziando la sera prima dell’intervento e proseguendo per 7-10 giorni, quindi anche dopo la dimissione; • far indossare al paziente, fino alla completa mobilizzazione, particolari calze a compressione differenziata. In conclusione, non esistono in chirurgia procedure “semplici”. Esistono invece procedure che vengono rese semplici e sicure dall’esperienza dell’operatore. ● BIBLIOGRAFIA 1. Vaughan ED Jr, Blumenfeld JD. The Adrenals. In: Campbell’s Urology, 7th ed. Philadelphia, WB Saunders, 1997, chap 96, p 2915. 2. Wilson JD, Foster DW (eds). Williams Textbook of Endocrinology, 8th ed. Philadelphia WB Saunders Co, 1992. 3. Song JH et al. The incidental indeterminate adrenal mass on CT (> 10 H) in patients without cancer: is further imaging necessary? Follow-up of 321 consecutive indeterminate adrenal masses. 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