Pubblicazione UROtime

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Pubblicazione UROtime
ANNO XXI - N. 4
DICEMBRE 2009
Trimestrale - ISSN 1120-0456
N
AL
I
In caso di mancato recapito rinviare al C.P.O. di Terni per la restituzione
al mittente previo pagamento resi.
UROTime
TRIMESTRALE DI AGGIORNAMENTO IN UROLOGIA, ANDROLOGIA E NEFROLOGIA DIRETTO DA FRANCO DI SILVERIO
UROTime
CONTINUAZIONE DI
“LETTERA DI UROLOGIA”
Direttore scientifico
Franco Di Silverio (Roma)
Area Pubblicità
Patrizia Arcangioli, responsabile
[email protected]
Area Marketing e Sviluppo
Antonietta Garzonio, [email protected]
Fabio Regini, [email protected]
vità dal punto di vista amministrativo-organizzativo e
anche da quello scientifico. Di certo interesse (anche
per orgoglio nazionale) è stata la presenza di un robot ideato, progettato e realizzato in Italia che sembra non avere nulla da invidiare al “Da Vinci”. Ci
aspettiamo conferma dal congresso di Chicago, svoltosi recentemente sotto l’egida della Clinic Surgery
Robotic Association. Questo mio breve editoriale naturalmente serve anche per dare il bentornato dalle
ferie che forse tutti già ci siamo scordati ed un augurio di un buon anno accademico e buona lettura.
ED
Grafica e impaginazione
Grazia Mannoni
N
II
N
arissimo Collega,
vede la luce questo numero di Urotime con
un excursus di argomenti molto ampio che
va dalle infezioni alle infiammazioni, dalle patologie
surrenaliche a quelle vescicali, all’utilizzo dell’HIFU
fino ad arrivare ad alcune curiosità diagnostiche sui
cosiddetti “incidentalomi” del surrene. Questa diversità di argomenti la dice lunga sul progresso che in
questo momento la disciplina urologica sta realizzando, forse non in maniera coordinata, ma sicuramente
in modo progressivo e naturalmente utile per il pazienze.
Di tutto questo si è parlato a Rimini nell’ambito del
Congresso della Società Italiana di Urologia che, come ricordiamo, si è svolto dal 3 al 7 ottobre con no-
IZ
IO
Segreteria di redazione
Sandra Sisti
Area Nord Italia
Via Matteotti, 52/a
21012 Cassano Magnago - Varese
Tel. 0331282359 - Fax 0331287489
TE
R
C
Direttore editoriale e responsabile
Andrea Salvati
CIC EDIZIONI INTERNAZIONALI s.r.l.
Direzione, Redazione, Amministrazione:
Corso Trieste, 42 - 00198 Roma
Tel. 06.8412673 - Fax 06.8412688
e-mail: [email protected]
www.gruppocic.com
I progressi
dell’Urologia italiana
B. Hamm, P. Asbach, D. Beyersdorff, P. Hein, U. Lemke
IC
Aut. Trib. di Roma n. 167/89 dell’1/4/1989
R.O.C.: 6905/88931
C
Finito di stampare nel mese di novembre 2009
da Litograf srl - Todi (PG)
©
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La massima cura possibile è stata prestata per la corretta indicazione dei dosaggi dei farmaci eventualmente citati nel testo, ma i lettori sono ugualmente pregati di consultare gli
schemi posologici contenuti nelle schede tecniche approvate
dal Ministero della Salute.
© Copyright 2009
Editoriale
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Comitato scientifico
Urologia
Maurizio Buscarini (Roma)
Darwin Melloni (Roma)
Alessandro Sciarra (Roma)
Raffaele Tenaglia (Chieti)
Andrologia
Vincenzo Gentile (Roma)
Carlo Bettocchi (Bari)
Carlo Ceruti (Torino)
Bruno Giammusso (Catania)
Nefrologia
Annarita D’Angelo (Roma)
Andrea Colaci (Roma)
Nicola Pirozzi (Roma)
AZ
IO
ORGANO UFFICIALE DELLA SOCIETÀ DI UROLOGIA ITALIANA CENTRO-MERIDIONALE E ISOLE (SUICMI) E DELL’ASSOCIAZIONE PER LA RICERCA DI BASE IN UROLOGIA (ARBU)
IMAGING
DELL’APPARATO
GENITO-URINARIO
Volume brossurato di 264 pagine
F.to cm 12x19
€ 40,00
Franco Di Silverio
2
UROTime
La fotodinamica nei tumori
non muscolo-invasivi della vescica
C. LEONARDO, P.M. MICHETTI, A. FRAIOLI, A. MAURIZI, C. DE DOMINICIS*
Dipartimento di Scienze Urologiche “U. Bracci” - “Sapienza” Università di Roma
* Direttore Cattedra di Urologia
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A
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Figura 1 - Mapping vescicale mirato con fotodinamica: A immagine luce bianca; B immagine luce blu.
C
Tabella 1 - Tumore della vescica. Numero di casi, di decessi, tassi standardizzati (pop. Europea) di incidenza e mortalità × 100.000, stima del cambiamento annuo percentuale dei tassi (EAPC) con i limiti di confidenza al 95% (C.I.), per sesso e anno.
Incidence
©
Number of cases
Mortality
Standardised rate
ti patologici non sempre francamente
evidenti all’ esame endoscopico standard.
Già in passato si è cercato di utilizzare diverse sostanze fotosensibilizzanti con lo scopo di creare un contrasto cromatico tra il tessuto sano e
quello patologico. Inizialmente la
somministrazione di tali sostanze avveniva per via sistemica con sgraditi
effetti collaterali e non ottenendo una
sensibilità diagnostica superiore a
quella già disponibile. Nel 1994, a
Monaco di Baviera, Kriegmaier e
collaboratori hanno utilizzato l’acido
5 aminolevulinico (5 ALA), precursore della protoporfirina IX (PP-IX),
somministrandolo non più per via sistemica ma instillandolo direttamente in vescica, riuscendo ad ottenere
una fluorescenza netta del tessuto
neoplastico tramite l’illuminazione
della mucosa vescicale con luce blu.
Il 5 ALA è una sostanza naturale,
presente in tutte le cellule del nostro
organismo, che deriva dal SuccinilCoA e dalla glicina costituendo la
prima tappa nella sintesi dell’Eme.
Due molecole di ALA portano alla
formazione di protoporfirina (PPIX)
che è convertita in EME dall’enzima
ferrochelatasi inserendo una molecola di ferro.
Poiché nella cellula l’enzima ferrochelatasi ha una attività ridotta, si
produce un maggiore accumulo di
PPIX che rende la cellula neoplastica
caratteristicamente fluorescente se
stimolata da una luce di lunghezza
d’onda di 375-400 nm, di colore blu.
Attualmente, l’unica molecola disponibile in commercio è l’ esaminolevulinato (HEXVIX®), estere del 5
ALA, che produce maggiore fluorescenza e necessita di un tempo di
permanenza ridotto di circa un’ora.
L’impiego ormai da oltre dieci anni
della fotodinamica ha dimostrato non
solo la validità della metodica nell’evidenziare la presenza di tessuto
patologico, soprattutto in caso di displasie e/o CIS, ma ha anche evidenziato come il suo utilizzo in corso di
TURB permetta una maggiore radicalità nella asportazione delle formazioni (soprattutto per quanto riguarda
le formazioni particolarmente minute
AZ
IO
presente la tonaca muscolare nel
prelievo della base di impianto, o si
tratti di tumori voluminosi con larga
base d’impianto e/o ad alto rischio
(EAU Guidelines 2009). Numerosi
studi hanno ampiamente dimostrato
i limiti della resezione endoscopica
quali la persistenza e/o evoluzione
della malattia per incompleta resezione (10-20% dei casi); la presenza
di nuova lesione neoplastica per
asincronia della crescita tumorale
(60%); la possibilità di impianto di
cellule neoplastiche esfoliate (1015%); la presenza di CIS (lesione
piana, spesso mal evidenziabile)
(10%).
Per ovviare a tali limitazioni, si è
sempre sentita la necessità di aumentare la capacità di evidenziare i tessu-
TE
R
correnza e progressione delle neoplasie dopo resezione vescicale transuretrale (TURB). In relazione ai diversi parametri considerati, il rischio
di recidiva e progressione può variare rispettivamente ad un anno dal
15% al 61%, e dallo 0.2% al 17% e a
cinque anni dal 31% al 78% e dallo
0.8% al 45%.
L’asportazione endoscopica della
neoplasia costituisce il momento
fondamentale per l’inquadramento
diagnostico e terapeutico della malattia, di qui l’importanza dell’accuratezza nell’esecuzione della metodica e l’eventuale ripetizione della
TURB entro quattro-sei settimane
dalla precedente, in tutti quei casi in
cui si sia incerti sulla completezza
dell’atto endoscopico e/o non sia
IZ
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n Europa e nel resto del mondo
il carcinoma della vescica rappresenta uno dei tumori di più
frequente riscontro in ambito urologico, occupando il quarto posto tra
le neoplasie più frequenti nell’uomo
ed il quinto posto in quelle della
donna. L’incidenza è in aumento
con l’allungamento della vita media
della popolazione, nonché per l’inquinamento ambientale, mentre il
tasso di mortalità risulta essere in riduzione grazie al diffuso miglioramento della diagnosi ed al trattamento precoce. In Italia la stima
della sua incidenza è di 14.000 nuovi casi all’anno negli uomini e 3.000
nelle donne con un rapporto uomodonna di 3:1.
Il carcinoma vescicale non muscoloinvasivo presenta un comportamento
ed un’aggressività biologica variabili
essendo caratterizzato da multifocalità, alto tasso di recidiva e rischio di
progressione. Per tali motivi l’Organizzazione Europea per la Ricerca ed
il Trattamento del Cancro (the European Organization for Research and
Treatment of Cancer – EORTC) nel
gennaio 2006 ha pubblicato un lavoro il cui obiettivo è stato quello di
fornire un nomogramma che consentisse all’urologo di calcolare il rischio a breve e a lungo termine di ri-
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Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009
Number of deaths
Standardised rate
Year
Males
Females
Males
Females
Males
Females
Males
Females
1996
1987
1988
1999
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
Period
EAPC
95% CI
1,620
1.592
1.869
1.920
2.032
2.150
2.104
2.544
2.661
2.678
2.694
2.831
366
381
476
459
496
490
531
664
645
672
712
696
57,5
56,5
62,2
61,6
60,4
61,8
59,8
65,9
67,8
66,6
66,1
68,7
1986-1997
+1,6
+1,0; +2,2
8,9
9,3
11,0
10,2
10,4
9,8
10,6
11,9
11,3
11,4
12,4
12,0
1986-1997
+2,5
+1,5; +3,6
539
518
537
544
642
664
623
694
731
636
589
610
149
161
151
166
160
167
162
199
189
172
166
179
19,5
18,2
17,8
17,0
18,6
18,6
17,0
17,2
17,9
15,0
13,6
13,7
1986-1997
-2,7
-4; -1,3
3,3
3,4
3,0
3,0
2,8
2,8
2,6
2,8
2,6
2,4
2,2
2,3
1986-1997
-3,5
-4,2; -2,8
segue a pag. 3
3
UROTime
Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009
La fotodinamica nei tumori non muscolo invasivi della vescica
segue da pag. 2
Tabella 3 - Sopravvivenza libera da recidiva
(Filbeck et al. Journ of Urol, 2007).
Kriegmaier et al., 1996
De Dominicis et al., 2001
Zaak et al., 2002
Jichlinski et al., 2003
Schmidbauer et al., 2004
N. pts
Molecule
Sensibility(%)
Specificity (%)
104
ALA
95,8
63,8
114
ALA
93
62
1.414
ALA
97
65
52
HAL
96
43
211
HAL
97
–
Follow-up
(years)
2
4
6
8
N. pts
PDD %
WLE %
Riedle et al., 2001
Filbeck et al., 2002
Kriegmaier et al., 2002
ALA
ALA
ALA
102
192
129
16
4,5
32,7
39
15,2
53,1
73
64
54
45
11. De Dominicis C et al. Urology 2001; 57:
1059-1062.
12. Ferlay J, Bray F, Pisani P, Parkin DM,
GLOBOCAM 2002: cancer incidence,
mortality and prevalence worldwide.
IARC cancer base no. 5, version 2.0
Lyon, France
13. Zaak D, Karl A, Knuchel R, Stepp H,
Hartmann A et al. Diagnosis of urothelial carcinoma of the bladder using fluorescenze endoscopy. BJU Int 2005; 96:
217.
14. Grossman HB, Gomella L, Fradet Y,
Morales A, Presti J, Ritenour C, Nseyo
U, Droller MJ; PC B302-01 Study
Group. A Phase III, multicenter comparison of hexaminolevulinate fluorescen-
II
N
N
16.
17.
18.
BIBLIOGRAFIA
TE
R
CIS, la cui identificazione non è mai
così agevole, data la sua associazione
a forme esofitiche con cellularità di
alto grado (molti Autori consigliano
l’esecuzione di un mapping vescicale
su tessuto sano in corso di TURB).
La fotodinamica, inoltre, non sembra
giustificare più il concetto di “mapping vescicale random” con rischio
di falsi negativi, legati ai limiti della
metodica stessa quali il prelievo random e l’eseguità del materiale bioptico rispetto alla superficie totale della
vescica.
Infatti, tale metodica consente di eseguire biopsie “mirate” su tessuto fotodinamicamente sospetto, con pos-
IZ
IO
e i margini chirurgici), con conseguente riduzione del tasso di recidiva
a medio e lungo termine.
Tale metodica si presenta come un
importante passo avanti nell’ambito
dei tumori superficiali della vescica,
trovando il suo principale impiego in
caso di resezione vescicale endoscopica; infatti, è in questa fase che si
dimostra particolarmente utile nell’identificare le neoformazioni, soprattutto quelle di piccole dimensioni e nel consentire una completa resezione delle stesse, con particolare
attenzione ai margini chirurgici.
Altro aspetto peculiare è quello di
consentire una migliore diagnosi di
88
84
79
71
15.
AZ
IO
Mol
WLE
(%)
sibilità nettamente superiori di fare
diagnosi.
Ancor più in caso di cistoscopia negativa e citologia positiva, è possibile effettuare una diagnosi differenziale dell’origine della neoplasia tra
vescica e alte vie urinarie.
Tabella 4 - Tasso di tumore residuo (Zaak et al., BJU Int 2005).
Authors
PDD
(%)
N
Authors
ze cystoscopy and white light cystoscopy
for the detection of superficial papillary
lesions in patients with bladder cancer. J
Urol 2007; 178: 62-7.
Schmidbauer J, Witjes F, Schmeller N,
Donat R, Susani M. Improved detection
of urothelial carcinoma in situ with hexaminolevulinate fluorescenze cystoscopy. J Urol 2004; 171: 135-138.
Witjes JA, Mungan NA, Debruyne FMJ.
Management of superficial bladder cancer with intravescical chemotherapy.
Urology 2000; 56: 19-21.
Stenzl A, Jocham D, Jichlinski P, Junker
K, König F, van den Bergh H, Volkmer
B, Zaak D, Gschwend JE; Working
Group for Oncology of the German Society for Urology. Urologe A. Photodynamic diagnostics in the urinary tract.
2008 Aug; 47 (8): 982-7. German.
Sievert KD, Amend B, Nagele U, Schilling D, Bedke J, Horstmann M, Hennenlotter J, Kruck S, Stenzl A. Economic
aspects of bladder cancer: what are the
benefits and costs? World J Urol 2009
Jun; 27 (3): 295-300. Epub 2009 Mar 7.
Ray ER, Chatterton K, Thomas K, Khan
MS, Chandra A, O’Brien TS. J Hexylaminolevulinate photodynamic diagnosis
for multifocal recurrent nonmuscle invasive bladder cancer. Endourol 2009 Jun;
23 (6): 983-8.
Jocham D, Stepp H, Waidelich R. Photodynamic diagnosis in urology: stateof-the-art. Eur Urol 2008 Jun; 53 (6):
1138-48. Epub 2007 Dec 10. Review.
Ray ER, Chatterton K, Khan MS, Thomas K, Chandra A, O’Brien TS. Hexylaminolaevulinate ‘blue light’ fluorescence cystoscopy in the investigation of clinically unconfirmed positive urine cytology. BJU Int. 2009 May; 103 (10):
1363-7. Epub 2008 Dec 8.
N
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I
Tabella 2 - Sensibilità e Specificità (Zaak et al., BJU Int 2005).
19.
10.
11.
A.A.V.V.
M. Gion, P. Rigatti, V. Scattoni
ECOGRAFIA
UROLOGICA
PSA
ANTIGENE
PROSTATICO
SPECIFICO
C
IC
ED
A.A.V.V.
P.H. Arger, C.B. Benson, E.I. Bluth, P.W. Ralls, M.J. Siegel
©
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Volume brossurato di 216 pagine
con 398 figure, la maggior parte a colori
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Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009
Ruolo dell’HIFU nella terapia del carcinoma della prostata
U.O. di Urologia, Scuola di Specializzazione in Urologia,
Università di Palermo
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sopravvivenza libera da recidiva biochimica a 5 anni è riportata nella diverse casistiche dal 75 al 78%.
Se questi ultimi risultati vengono confrontati con quelli ottenuti dopo prostatectomia radicale o dopo radioterapia esterna, non emergono sostanziali
differenze. Il tasso di biopsie negative
oscilla nelle diverse casistiche dal
77% al 93%. Questi dati, sebbene necessitino di un follow-up maggiore,
mostrano l’efficacia del trattamento,
comparabile con quella di terapie ormai consolidate.
Tra i principali effetti collaterali osservati dopo trattamento HIFU vi sono il deficit erettile, l’incontinenza
urinaria, l’ostruzione cervico-uretrale
e la rara fistola retto-uretrale. Da una
analisi dei lavori pubblicati in letteratura a partire dal 2000 è possibile rilevare una percentuale di deficit erettile
dopo HIFU compresa tra il 13 e il
53%. Tali percentuali sono mediamente inferiori a quelle riportate dopo
prostatectomia radicale (14-91%) dopo radioterapia esterna (41-63%) e
dopo crioterapia (53-93%). L’incontinenza urinaria dopo HIFU è riportata
dal 2.3 al 7% nelle diverse casistiche.
Tali percentuali sono mediamente inferiori a quelle osservate dopo prostatectomia radicale e sostanzialmente in
linea con quelle della radioterapia
esterna, della brachiterapia e della
crioterapia.
L’evoluzione tecnologica degli ultimi
anni e il sistema di rilevazione e raffreddamento della parete rettale hanno
reso la fistola retto-uretrale una rara
complicanza del trattamento (< 0.5%
dopo il 2003).
Di recente è stata posta attenzione alla definizione di “recidiva biochimica” dopo trattamento HIFU. In effetti
le definizioni in atto utilizzate sono
state rivisitate in modo critico ed è
stata proposta l’introduzione di una
nuova definizione di recidiva biochimica dopo trattamento: la Stuttgart
definition. Tale definizione prevede
che si consideri recidiva biochimica di
malattia un valore di PSA > di 1.2
ng/ml rispetto al “nadir” raggiunto
dopo HIFU. La Stuttgart definition da
una analisi comparativa ha dimostrato
una maggiore sensibilità, specificità,
valore predittivo positivo e valore pre-
AZ
IO
precedentemente effettuato un pretrattamento locale, essendo basso in caso
di nessun pretrattamento, elevato in
caso di 2 pretrattamenti locali (ad
esempio, prostatectomia e radioterapia o > 2 trattamenti HIFU). In un recente lavoro è stato riportato che la sopravvivenza globale nei pazienti con
carcinoma prostatico a rischio basso o
intermedio (sec. D’amico) è del 90% a
5 anni e dell’83% a 8 anni (Fig. 1). La
TE
R
to che per comorbidità o scelta rifiutino la prostatectomia radicale;
2) pazienti con recidiva locale dopo
radioterapia;
3) pazienti con recidiva locale dopo
prostatectomia radicale;
4) trattamento palliativo della malattia localmente avanzata o metastatica.
Il rischio di effetti collaterali dipende
dal fatto che il paziente abbia o meno
IZ
IO
D
a più di vent’anni il PSA viene utilizzato nella diagnosi
del carcinoma prostatico. Ciò
ha determinato un aumentato numero
di nuove diagnosi ed una migrazione
verso stadi più precoci della malattia
(downstage migration) senza tuttavia
un sicuro beneficio di sopravvivenza,
come emerso da alcuni studi di recente pubblicazione. La prostatectomia
radicale dovrebbe idealmente assicurare al paziente la reale guarigione del
cancro, per la quale vale la pena di patire un peggioramento di alcuni aspetti della qualità di vita (deficit erettile,
incontinenza urinaria, ecc.). Tuttavia
solo in alcuni pazienti l’intervento risulterà realmente radicale e salverà la
vita del paziente, mentre in altri, più
frequentemente, si assisterà prima al
fallimento biochimico e poi alla ricomparsa clinica della malattia. Le terapie mininvasive nascono da questi
presupposti: cercare di ridurre al minimo il rischio di effetti collaterali garantendo una radicalità oncologica sovrapponibile a quella delle terapie tradizionali (prostatectomia radicale, radioterapia esterna).
Il trattamento con ultrasuoni focalizzati ad alta intensità (HIFU) rappresenta una recente modalità di cura
del carcinoma prostatico. Storicamente il primo paziente è stato trattato circa 16 anni fa da Gelet, da allora
si è assistito ad una progressiva evoluzione tecnologica con una crescita
esponenziale del numero dei trattamenti effettuati in tutto il mondo. La
procedura prevede l’introduzione di
una sonda per via transrettale con il
paziente in anestesia spinale o generale. Il trasduttore emette ultrasuoni
focalizzati ad alta intensità a livello
del volume bersaglio determinando
per effetto termico e cavitazionale
una necrosi coagulativa tissutale. La
programmazione del trattamento è
computerizzata sulla scorta di immagini ecografiche in sezione longitudinale e trasversale. Sono previsti 3
programmi di trattamento differenziati a seconda che il paziente abbia
o meno effettuato un pretrattamento
locale (radioterapia, precedente HIFU).
I pazienti candidabili ad HIFU sono:
1) pazienti con K prostatico localizza-
N
AL
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N. DISPENSA, F. CAMARDA, D. MELLONI
Blana et al., Eur Urol 2007
©
C
IC
Figura 1 - Studio di lungo termine. Sopravvivenza globale.
Murat FJ et al., Eur Urol 2008
Figura 2 - Trattamento HIFU dopo fallimento radioterapico. Sopravvivenza cancro-specifica.
segue a pag. 5
5
UROTime
Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009
Ruolo dell’HIFU nella terapia del carcinoma della prostata
segue da pag. 4
IC
C
©
CALENDARIO CONGRESSI
NOVEMBRE
N
13-14, Heidelberg/Mannheim
21. KONGRESS 2009
69. SEMINAR DES ARBEITKREISES
UROLOGISCHE
FUNKTIONSDIAGNOSTIK UND
UROLOGIE DER FRAU
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www.inkontinenz.bbraun.de
II
N
N
IZ
IO
BIBLIOGRAFIA
1. Andriole GL, Crawford ED, Grubb RL 3rd,
Buys SS, Chia D, Church TR, Fouad MN,
Gelmann EP, Kvale PA, Reding DJ, Weissfeld JL, Yokochi LA, O’Brien B, Clapp
JD, Rathmell JM, Riley TL, Hayes RB,
Kramer BS, Izmirlian G, Miller AB, Pinsky
PF, Prorok PC, Gohagan JK, Berg CD,
PLCO Project Team. Mortality results from
a randomized prostate-cancer screening
trial. Engl J Med. 2009 Mar 26; 360 (13):
1310-9.
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Epub 2008 May 9.
•
12, Picciano
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DICEMBRE
N
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2009
TE
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biopsie negative più alto, del tasso di
sopravvivenza libera da recidiva biochimica simile e dal profilo di morbidità accettabile. Altra interessante indicazione è il trattamento della recidiva dopo radioterapia in ragione del
buon controllo locale (biopsie negative in circa il 70% dei pazienti trattati)
e della ridotta percentuale di complicanze come l’incontinenza urinaria e
le stenosi.
Nel periodo compreso tra novembre
2007 e giugno 2009 abbiamo trattato
con HIFU 112 pazienti. Di questi 68
(60.7%) in stadio T1-T2, 34 (30.3%)
in stadio T3. Dieci pazienti (9%) erano stati precedentemente radiotrattati
e presentavano una ripresa biochimica
di malattia con positività al controllo
bioptico. I pazienti totalmente continenti (grado 0) sono stati 106
(94.6%). La potenza sessuale, valutata mediante questionario pre- e posttrattamento, è stata preservata in 45
pazienti (40.1%).
In 51 dei 68 pazienti (75%) con malattia localizzata il PSA nadir è stato <
0.5 ng/ml. Questi dati, nonostante il
follow-up breve, sono sostanzialmente in linea con quelli riportati in letteratura.
ED
dittivo negativo rispetto alla definizione di recidiva biochimica “ASTRO”
(tre aumenti consecutivi rispetto al
nadir) e alla Phoenix definition (PSA
> PSA nadir + 2 ng/ml).
Altra importante indicazione al trattamento HIFU è la recidiva locale dopo
fallimento radioterapico. È stato stimato che circa il 39% dei pazienti sottoposti a radioterapia esterna vanno
incontro a ripresa biochimica di malattia dopo una mediana di 2.9 anni.
Se consideriamo che, per esempio negli Stati Uniti, circa 1/3 dei pazienti
affetti da carcinoma prostatico localizzato viene sottoposto a radioterapia
esterna, esiste una popolazione numericamente non irrilevante di pazienti
con ripresa biochimica di malattia.
Le casistiche relative alle possibili alternative terapeutiche con intento curativo dopo fallimento radioterapico
non sono numerose, e la prostatectomia di salvataggio è gravata da una
elevata percentuale di complicanze.
Recentemente sono stati pubblicati i
risultati a medio termine di uno studio
retrospettivo relativo al trattamento
HIFU dopo fallimento radioterapico.
Lo studio comprendeva 167 pazienti
con recidiva locale dopo radioterapia
trattati con HIFU dal 1995 al 2006. La
progressione è stata definita dalla positività bioptica, dal valore del PSA
superiore al nadir + 2 ng/ml (Phoenix
definition) o dall’introduzione di una
terapia adiuvante. La sopravvivenza
cancro-specifica e la sopravvivenza libera da recidiva biochimica sono state
rispettivamente dell’84% (Fig. 2) e del
47% a 5 anni. Il valore del PSA pretrattamento ha inciso in modo significativo sulle percentuali di sopravvivenza libera da recidiva biochimica a
5 anni. Infatti, i pazienti con PSA > 10
avevano una maggiore probabilità di
recidiva biochimica rispetto a quelli
con PSA < 10 ng/ml (sopravvivenza
libera da recidiva biochimica rispettivamente del 22 e del 55% a 5 anni).
Le complicanze osservate sono state
meno rilevanti rispetto alla prostatectomia di salvataggio, soprattutto dopo
l’introduzione di uno specifico protocollo di trattamento post-radioterapia
che ha ridotto le percentuali di incontinenza urinaria e ha quasi azzerato il
rischio di fistola retto-uretrale.
Concludendo, il trattamento con ultrasuoni focalizzati ad alta intensità rappresenta una valida opzione terapeutica nei pazienti affetti da k prostatico
localizzato che, per comorbidità o per
scelta, rifiutino la prostatectomia radicale.
Rappresenta inoltre una alternativa alla radioterapia in ragione del tasso di
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6
UROTime
V. MIRONE
Direttore Scuola di Specializzazione in Urologia
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vantaggio nella pratica clinica quotidiana.
AZ
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N
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©
zato disponibile, abbia dimostrato
un significativo vantaggio in termini
di sopravvivenza per una ADT immediata in caso di malattia metastatica ai linfonodi (8), non si può non
sottolineare che la gran parte dei pazienti inclusi in questa analisi presentava un voluminoso interessamento linfonodale e che il 70% presentava anche margini chirurgici positivi o invasione delle vescicole seminali. Resta ancora poco chiaro se
l’impiego di una terapia adiuvante
immediata in pazienti con minimo
interessamento linfonodale conduca
allo stesso risultato. Infatti un recente aggiornamento dello studio Early
Prostate Cancer Trial (EPCT) ha dimostrato che non c’è alcun beneficio sulla sopravvivenza libera da
malattia aggiungendo all’osservazione standard una terapia con la bicalutamide 150 mg/die, mentre un
vantaggio si riscontra solo nei pazienti che presentano malattia localmente avanzata. Non è invece disponibile alcun dato conclusivo che
possa aiutare nella gestione dei pazienti con interessamento linfonodale microscopico.
Sulla base delle linee guida dell’EAU (European Association of
Urology), laddove trovi indicazione
la terapia ormonale di deprivazione
androgenica, il farmaco di scelta deve essere un agonista dell’LHRH, dal
momento che si eliminano lo stress
psicologico e fisico provocati dall’orchiectomia e la cardiotossicità riconducibile agli estrogeni (9, 10).
Nella tabella 1 sono riportate le principali indicazioni cliniche all’impiego della terapia ormonale.
TE
R
vativa in uno studio prospettico randomizzato (1).
L’intervento chirurgico con intento
nerve-sparing rappresenta l’approccio
di scelta in tutti i pazienti che presentano una normale funzione erettile prima dell’intervento ed una malattia organo-confinata, dal momento che consente di mantenere un’adeguata qualità di vita senza compromettere i risultati oncologici (2).
Ancora oggi non è chiaro se effettuare e quanto sia necessario estendere
la linfadenectomia. Ad esempio, il rischio di coinvolgimento linfonodale
è particolarmente basso in pazienti
con malattia a basso rischio (cT1c,
PSA < 10 ng/ml, Gleason 6 e una
percentuale < 50% di frustoli bioptici positivi). In maschi con rischio
intermedio (cT2a, PSA 10–20 ng/ml,
Gleason = 7) o rischio elevato (> cT2b,
PSA > 20 ng/ml, Gleason > 8) invece, una linfadenectomia estesa andrebbe sempre effettuata, a causa
dell’elevato rischio di coinvolgimento linfonodale (3).
La gestione clinica delle forme localmente avanzate deve essere necessariamente basata su un approccio multimodale, dal momento che esiste
una forte probabilità che ci siano linfonodi e margini chirurgici positivi.
Sebbene non sia dimostrato in maniera conclusiva, è evidente che l’intervento chirurgico trova comunque
indicazione in queste forme, dal momento che offre eccellenti percentuali di sopravvivenza cancro-specifica
a 5, 10, e 15 anni (95%, 90% e 79%
rispettivamente) (4, 5).
Intanto, sulla base di una recente metanalisi della Cochrane, è dimostrato
che la terapia ormonale neoadiuvante di deprivazione androgenica non
trova alcuna indicazione, dal momento che non garantisce alcun vantaggio clinico in termini di sopravvivenza globale e tempo libero da progressione della malattia (6).
L’utilità dell’impiego di una terapia
di deprivazione androgenica (ADT)
adiuvante, dopo una prostatectomia
radicale, resta ancora oggi una questione controversa (7). Sebbene
l’unico studio prospettico randomiz-
IZ
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L’
introduzione nella pratica
clinica del dosaggio plasmatico del PSA come
marcatore precoce del tumore prostatico, avvenuta nel 1986, ha praticamente rivoluzionato l’approccio clinico a tale patologia. Un lavoro pubblicato sul Journal of Urology nel
2007, ha evidenziato come a distanza
di circa 20 anni dall’introduzione
nella pratica clinica di tale presidio, e
soprattutto grazie alla crescente “cultura” inerente il tumore prostatico, si
arrivi oggigiorno molto più precocemente alla diagnosi.
In particolare, tale studio ha dimostrato che sono aumentati notevolmente i casi riscontrati prima dei 65
anni di età, e che, se nel periodo compreso fra il 1985 ed il 1989 solo il
73% dei pazienti presentava una malattia localizzata, questa percentuale è
salita fino al 91% nel periodo fra il
1995 ed il 2001. Questo lavoro offre
lo spunto per comprendere che, attualmente, è sempre maggiore la percentuale di pazienti a cui viene diagnosticato un tumore della prostata in
fase iniziale e che sono pertanto suscettibili di un trattamento radicale.
Nel frattempo, di recente, sono stati
pubblicati i risultati di due importanti studi epidemiologici (PLCO e
ERSPC) che hanno valutato, su ampia scala, gli effetti benefici di un
eventuale programma di screening
sulla popolazione generale. I risultati
di questi due studi sono in contrasto
fra loro e non hanno aiutato a comprendere in maniera definitiva la reale utilità di un programma di prevenzione mediante l’impiego del dosaggio del PSA.
A seconda dello stadio di malattia riscontrato, esiste una serie di indicazioni terapeutiche specifiche, sebbene non sia possibile considerare un
approccio chiaramente migliore di
un altro, dal momento che mancano
risultati conclusivi di studi clinici
controllati.
Attualmente la prostatectomia radicale rappresenta l’unico trattamento
che ha dimostrato un beneficio, in
termini di sopravvivenza cancro-specifica, rispetto alla gestione conser-
N
AL
I
L’approccio multimodale nella gestione
del paziente con cancro della prostata
Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009
BLOCCO ANDROGENICO TOTALE
Le più recenti metanalisi e revisioni
sistematiche della letteratura riguardanti l’impiego del blocco androgenico totale, hanno dimostrato che
esiste solo un minimo vantaggio clinico in termini di sopravvivenza
(< 5%) rispetto alla monoterapia, e
indubbiamente resta controverso se
considerare significativo un simile
BLOCCO ANDROGENICO
INTERMITTENTE
Il razionale per un impiego intermittente della ADT è basato sulla possibilità di ridurre gli effetti collaterali ed
i costi della terapia, pur conservando
l’efficacia della manipolazione ormonale. Diversi studi clinici di fase 2
hanno dimostrato la validità di un regime intermittente in soggetti che presentavano una malattia metastatica o
una ripresa biochimica di malattia.
Fra questi, il principale studio randomizzato di confronto fra lo schema intermittente e quello continuo di trattamento è rappresentato dallo studio
SWOG 9346, ed ha concluso che uno
schema intermittente è una valida soluzione da proporre ad alcuni pazienti
selezionati, sebbene siano necessari
almeno 7 mesi di trattamento continuo di induzione ed una riduzione dei
valori di PSA <4 ng/ml, per garantire
una adeguata efficacia (11).
TERAPIA ORMONALE IMMEDIATA
VERSUS DIFFERITA
Non è ancora ben chiaro quale sia
l’intervallo ideale per iniziare una
ADT, dal momento che ancora oggi,
mancano dati conclusivi di studi randomizzati controllati.
È disponibile solo uno studio retrospettivo su 1.352 pazienti con un incremento del PSA a seguito di prostatectomia radicale, di cui 355 hanno immediatamente iniziato l’ADT,
ed i restanti 997 hanno iniziato la
manipolazione ormonale solo alla
comparsa di una metastasi. L’applicazione di una terapia ormonale immediata si è dimostrata efficace nell’allungare l’intervallo libero da metastasi ossee in pazienti che presentavano un Gleason > 7 o un PSA doubling time < 12 mesi; non sono stati,
invece, dimostrati vantaggi né sulla
sopravvivenza globale né su quella
libera da malattia (12).
segue a pag. 7
7
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Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009
L’approccio multimodale nella gestione del paziente con cancro della prostata
segue da pag. 6
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GLI AGONISTI DELL’LHRH
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Dopo la loro introduzione in commercio, gli agonisti dell’LHRH sono
diventati la terapia di scelta nell’induzione della soppressione androgenica in pazienti affetti da cancro della prostata, dal momento che i pazienti preferiscono ampiamente la terapia medica alla castrazione chirurgica, per ovvi motivi psicologici e
per la reversibilità del trattamento.
Inizialmente gli agonisti dell’LHRH
venivano somministrati principalmente mediante iniezioni sottocutanee giornaliere, ma negli ultimi 10
anni, i progressi della ricerca farmaceutica hanno consentito di disporre
di formulazioni a rilascio prolungato
che danno copertura terapeutica per
periodi fra 1 e 6 mesi, incrementando
ulteriormente la compliance e la soddisfazione dei pazienti (15, 16).
Il meccanismo d’azione di questi far-
©
M1 sintomatica
Per ridurre la sintomatologia e ridurre il rischio di gravi conseguenze cliniche (compressione spinale, fratture patologiche, ostruzione ureterale, metastasi extrascheletriche).
M1 asintomatica
La castrazione immediata ritarda la progressione a malattia
sintomatica e previene complicanze gravi.
N+
La castrazione immediata in caso di metastasi macroscopiche prolunga la sopravvivenza libera da progressione e quella globale. In caso di interessamento microscopico non esistono raccomandazioni definitive.
Malattia localmente avanzata M0
La castrazione immediata migliora la sopravvivenza globale.
Antiandrogeni
Riduce il rischio del fenomeno di flare-up in pazienti con
malattia metastatica in trattamento con un LHRH-agonista.
Antiandrogeni non steroidei
Monoterapia primaria come alternativa alla castrazione in
pazienti con malattia localmente avanzata.
stosterone al di sotto del valore soglia di 50 ng/dL (18).
Questi metodi di analisi sono stati
successivamente abbandonati e sostituiti da innovative tecniche di determinazione radioimmunologica, che
consentono determinazioni molto
più accurate dei livelli di testosterone
plasmatici, unitamente ad una riduzione dei tempi richiesti per l’analisi
(19).
Le metodiche attualmente impiegate
nella pratica clinica, basate su metodi di chemiluminescenza, consentono di misurare livelli sierici di testosterone anche inferiori a 0.1 ng/dL.
L’introduzione di queste più recenti
metodiche di analisi consente di determinare in maniera accurata anche
livelli di testosterone ben al di sotto
di 50 ng/dL, ed ha determinato una
revisione dei criteri di efficacia dei
farmaci antiandrogeni.
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maci prevede una stimolazione iniziale dei recettori dell’LHRH, con
un’iniziale induzione della produzione di testosterone (flare phenomenon). L’esposizione cronica a queste
molecole induce però rapidamente
una down-regulation di tutti i recettori per l’LHRH, sopprimendo la
produzione sia dell’FSH che dell’LH, e bloccando di fatto il rilascio
di testosterone. La comparsa del flare phenomenon potrebbe indurre effetti negativi, ma si calcola che solo
il 4-10% dei pazienti, che hanno già
sviluppato metastasi d’organo (stadio M+), sono a rischio di sviluppare
un peggioramento dei sintomi con
dolore osseo, compressione midollare, ostruzione cervico-uretrale.
Quando si deve scegliere la castrazione come opzione terapeutica, il
primo problema è quello di ottenere
il livello più basso possibile di testosterone. Secondo un’analisi condotta
da Oefelein et al. quanto più basso è
il livello di testosterone raggiunto,
migliore sarà il beneficio clinico della castrazione stessa (17).
In realtà secondo una definizione
universalmente accettata, il livello di
testosterone in circolo si considera
soppresso se si riscontrano valori inferiori a 50 ng/dL su due campioni
separati e consecutivi. In tal senso,
l’inizio di una soppressione efficace
viene considerata a partire dal primo
giorno in cui si raggiungono livelli
adeguatamente bassi di testosterone
(17).
Questi valori, postulati per la prima
volta da Sharifi et al., e basati su vecchi metodi di analisi, sono stati applicati in numerosi trials clinici, per
cui i farmaci agonisti dell’LHRH sono stati a lungo considerati efficaci
se in grado di abbassare i livelli di te-
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Somministrazione a breve termine
N
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Commenti
mg rispettivamente ad un mese, a 3
mesi e a 6 mesi. Il sistema di rilascio
Atrigel® consiste di un polimero biodegradabile a base di DL-lattide-coglicotide immerso in una matrice di
N-metil-2-pirolidone (20-22).
L’iniezione di Eligard® viene commercializzata come un sistema a due
siringhe, di cui una contiene il principio attivato e la seconda il polimero
di Atrigel. Il contenuto deve essere
mescolato più volte fino ad ottenere
una sospensione omogenea. Una volta iniettata nel tessuto sottocutaneo,
la soluzione polimerica va incontro
ad un processo di separazione di fase,
fino a costituire un impianto solido e
resistente che contiene al suo interno
una matrice di Leuprolide acetato attiva. La capsula di polimero va incontro ad un processo di degradazione
lento, liberando in maniera costante
piccole dosi di principio attivo. Rispetto a tutte le altre formulazioni a
base di leuprolide che contengono
microsfere, Eligard® è in grado di rilasciare in modo costante quantità
maggiori di principio attivo (20).
Il principale obiettivo di questa nuova formulazione è quello di migliorare in maniera significativa il profilo
farmacocinetico, in modo da ottenere
una soppressione stabile dei livelli di
testosterone in tutti i pazienti, migliorando il profilo di sicurezza della
terapia e riducendo l’incidenza di fenomeni di escaping ormonale.
È infatti ben noto che in corso di terapia con LHRH agonisti, si dovrebbero raggiungere livelli ottimali di
castrazione con una testosteronemia
< 20-50 ng/dl, e che questi valori dovrebbero essere mantenuti in maniera stabile senza oscillazioni di rilievo. Sulla base dei dati estrapolati da
due precedenti studi multicentrici,
che hanno valutato l’impiego della
formulazione ad 1 e 3 mesi di Eligard®, si riesce a raggiungere un livello di castrazione ottimale (testosterone < 20 ng/dl) nel 94-98% dei
pazienti in trattamento, con livelli
stabili mantenuti nel tempo e un rischio di risposta breakthrough solo
nell’1% dei casi (21, 22).
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Indicazioni
ED
Dopo aver effettuato una prostatectomia radicale, un valore di PSA > 0,2
ng/ml è indicativo di una ripresa di
malattia (13).
A seguito di una radioterapia, si considera suggestivo di ripresa di malattia, un valore di PSA > 2 ng/ml oltre
il valore di nadir raggiunto dopo la
terapia radiante (14).
Il principale aspetto clinico in queste
situazioni resta la distinzione fra una
malattia ricorrente locale o a distanza. In questa difficile distinzione
possono venire in soccorso alcuni
parametri, quali lo stadio patologico
iniziale, il tempo di risalita del PSA
rispetto al trattamento iniziale e la
velocità di crescita del PSA. Ad
esempio, tumori scarsamente differenziati, con una risalita molto precoce dei valori del PSA e con tempi
di incremento molto rapidi, sono tutti fattori fortemente suggestivi di una
ripresa di malattia a distanza, laddove pazienti che presentino tumori
moderatamente differenziati, una ripresa tardiva del PSA e un tempo di
raddoppiamento superiore ai 10-12
mesi, presentano quasi sicuramente
una ripresa solo locale della malattia.
La scelta sul tipo di trattamento da
proporre per la gestione della ripresa
di malattia dipende da vari fattori, fra
i quali, la gravità della ripresa, le
condizioni generali del paziente e la
preferenza dell’urologo.
Tabella 1 - Indicazioni alla terapia ormonale.
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TRATTAMENTO DELLA RIPRESA
DI MALATTIA DOPO TRATTAMENTO
RADICALE INIZIALE
NOVITÀ NELLA TERAPIA
DI DEPRIVAZIONE ANDROGENICA
Attualmente sono disponibili sul
mercato cinque differenti formulazioni di agonisti dell’LHRH nel trattamento del cancro della prostata in
stadio avanzato. Di queste, tre sono
rappresentate da differenti sistemi di
rilascio dell’agonista leuprolide acetato, mentre le restanti due formulazioni sono a base di goserelin acetato e triptorelina pamoato.
Una nuova formulazione a base di
leuprolide acetato, a rilascio estesoprolungato è rappresentata dall’Eligard®. Quest’ultima formulazione
contiene un sistema a rilascio prolungato a singole sfere denominato Atrigel®, che consente il rilascio di una
dose di leuprolide da 7.5, 22.5 e 45
ELIGARD® 7.5 MG (LENTO RILASCIO
AD 1 MESE)
In questo studio sono stati arruolati
120 soggetti affetti da cancro prostatico e di questi il 97.5% (117 pz) ha
completato tutti i 6 mesi di studio,
che prevedeva una somministrazione
sottocutanea ogni 28 giorni di leuprolide.
segue a pag. 8
8
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Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009
L’approccio multimodale nella gestione del paziente con cancro della prostata
segue da pag. 7
19.
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10.
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Roach III M, Hanks G, Thames Jr H, et
N
17.
ED
Questa analisi è stata condotta su un
campione di 111 soggetti che hanno
completato lo studio a 6 mesi e che
prevedeva la somministrazione di
Eligard® 22.5 mg ogni 84 giorni. Il
rilascio di leuprolide è stato osservato a distanza di 4-8 ore dalla iniezione, con un successivo rapido declino
dei valori plasmatici che poi si mantengono stabili per i successivi 3 mesi. In conseguenza di questo effetto, i
valori di LH sono incrementati durante la prima settimana per poi discendere nel periodo fra la seconda e
la quarta settimana di trattamento.
Dopo il 28° giorno, i livelli in circolo sono praticamente indosabili. In
risposta a questo andamento dell’LH, il testosterone plasmatico fa
osservare un picco al 2° giorno per
poi decrescere verso livelli di castrazione. Dopo il 28° giorno il 98% dei
pazienti raggiunge un livello di castrazione di 50 ng/dl o meno, mentre
l’84% scende a valori al di sotto di
20 ng/dl. Dopo 35 giorni di trattamento tutti i pazienti raggiungono un
livello di castrazione, e a distanza di
6 mesi il 94% dei pazienti in trattamento raggiunge livelli di castrazione ideale < 20 ng/dl. In un solo caso
si è osservata una risposta breakthrough al 49° giorno di trattamento
(21).
L’introduzione nella pratica clinica
del PSA quale marcatore plasmatico
del tumore della prostata, ha profondamente modificato l’approccio clinico a tale patologia. Sebbene i primi, recenti risultati dei due principali studi sulla prevenzione del cancro
prostatico (PLCO e ERSPC), non
siano univoci e conclusivi nel suggerire uno screening di massa sulla popolazione maschile dopo i 50 anni, si
attendono ulteriori importanti sviluppi su tale aspetto.
Nel frattempo, numerose acquisizioni cliniche e scientifiche suggeriscono la possibilità di una gestione multimodale del paziente con cancro
prostatico, a seconda dello stadio di
malattia riscontrato e delle situazioni
cliniche che vengono a determinarsi,
sulla base di indicazioni molto precise raccolte nelle linee guida dell’EAU.
La terapia ormonale di deprivazione
androgenica, rappresenta una valida
soluzione terapeutica da poter impiegare in diverse condizioni cliniche,
ed in questo ambito, gli analoghi dell’LHRH sono il farmaco di scelta.
Recenti dimostrazioni scientifiche
suggeriscono che l’Eligard®, nelle
sue formulazioni a rilascio mensile e
trimestrale, rappresenta il farmaco in
grado di garantire il miglior profilo
di castrazione, in termini di valore di
testosterone raggiunto e di efficacia
stabile nel tempo.
N
ELIGARD® 22.5 MG (LENTO RILASCIO
A 3 MESI)
CONCLUSIONI
IZ
IO
Il farmaco è stato riscontrato in circolo per un periodo medio di 37 giorni (range 28-49) e in uno studio di
confronto fra Eligard® 7.5 e leuprolide acetato in microsfere da 7.5 mg, si
è osservato che con questa seconda
formulazione si raggiungeva un livello immediato di leuprolide più
elevato; al contrario, nel confronto a
lungo termine, il livello di leuprolide
ottenuto con Eligard® risultava fino a
1.9 volte superiore rispetto alla formulazione in microsfere (49 vs 35
giorni). Dopo 28 giorni, il 94.1% dei
pazienti in trattamento raggiunge livelli di castrazione, e questa percentuale raggiunge il 100% in corrispondenza del 42° giorno di trattamento.
Nel 97.5% dei pazienti il livello circolante di testosterone risulta < 20
ng/dl. Tali livelli di castrazione si
mantengono stabili nel tempo; in
questo studio non sono stati riportati
in nessun caso fenomeni di “escaping” ormonale (risposta breakthrough e/o acuta su cronica) (22).
17.
18.
19.
20.
21.
22.
A.A.V.V. - Editors: Clark M., Kumar P.
MEDICINA CLINICA
I Edizione italiana
dalla VI Edizione Inglese
Volume cartonato di 1530 pagine
f.to cm 19,5x26,5
€ 130,00
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9
UROTime
Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009
La calcolosi infetta: cause, profilassi e trattamento
P. CASALE
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ED
La formazione di calcoli infetti dipende dall’idrolizzazione dell’urea
in presenza di batteri ureasi produttori (Fig. 1). L’ammoniaca viene trasformata in ammonio e bicarbonato
che successivamente si legano con i
cationi liberi urinari producendo triplo fosfato di ammonio magnesio
(struvite) e carbonato apatite (2).
Tuttavia alcuni studi hanno rilevato
la presenza di organismi ureasi produttori solo nel 48% dei casi di calcolosi di struvite mentre il 32% di litiasi di ossalato di calcio risultava essere infetta. Ciò può indurre a pensare che un’infezione da batteri ureasi
produttori non sempre è presente nella calcolosi da struvite, inoltre colture positive possono riscontrarsi non
solo nella calcolosi da triplo fosfato
magnesio ma anche nella calcolosi di
ossalato di calcio (3, 4).
Recenti orientamenti inducono sempre più a focalizzare l’attenzione sui
meccanismi patogenetici della calcolosi infetta legati alla questione dei
nano batteri, delle endotossine e della costituzione del “biofilm”.
I nano batteri sono dei microorganismi di dimensioni dalle 10 alle 100
volte inferiori ai batteri classicamenti conosciuti. Essi hanno la capacità
di formare un “nido” di aggregazione
attorno al quale si formerebbe il calcolo. Il rischio di sepsi sembra avere
origine dal rilascio di questi microorganismi e di endotossine dal nucleo
del calcolo durante un trattamento di
frammentazione (5).
N
PATOGENESI
Elevati valori di endotossine sono
stati riscontrati sia all’interno di litiasi da struvite che in calcoli non infetti. Le endotossine, costituite di lipopolisaccaridi, vengono rilasciate nel
circolo sistemico durante il trattamento del calcolo inducendo una risposta infiammatorio-settica, amplificata nel caso di contestuale presenza di uropatia ostruttiva (6).
La produzione del biofilm sta acquistando sempre maggiore importanza
nella patogenesi della litiasi infetta. Il
biofilm è una struttura complessa, organizzata, consistente in micro colonie di cellule batteriche che aderiscono in modo irreversibile all’epitelio e
si circondano di una matrice esopolisaccaridica (slime) nella quale sono
scavati minuscoli canalicoli tra loro
comunicanti a formare un mini-sistema circolatorio. Il biofilm può organizzarsi sulle mucose così come sulla
superficie di cateteri, stent e/o nefrostomie. Alcune molecole-segnale definite Quorum Sensing permettono
l’interazione tra i microorganismi
stessi, condizionando la formazione e
lo sviluppo del biofilm. La formazione del biofilm prevede, sostanzialmente tre fasi: 1) la fase di adesione,
2) la fase di organizzazione, 3) la fase
del rilascio (Fig. 2).
Nella fase di adesione i microorganismi utilizzano dei meccanismi di
adesione all’epitelio; una volta avvenuto l’ancoraggio i batteri iniziano
ad aggregarsi tra loro.
Nella fase di organizzazione viene
prodotto lo slime o glicocalice ossia
una matrice in cui i batteri vengono
inglobati generando il biofilm. A
causa della presenza di questo involucro polisaccaridico, che agisce come un sistema di protezione che si
oppone alla penetrazione dei farmaci, i microrganismi presenti nel biofilm mostrano un’aumentata resistenza alle difese immunitarie ed alle
terapie antibiotiche.
Nella terza fase, definita fase del rilascio, i batteri possono distaccarsi dal
biofilm e trasformarsi nuovamente in
forme planctoniche. In seguito a quest’ultimo step possono verificarsi riacutizzazioni infettive ed il formarsi
di nuovi biofilm a distanza (7, 8).
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L
a calcolosi infetta si forma
come risultato di una persistente infezione causata solitamente da batteri ureasi produttori e
si associa frequentemente ad ostruzione del tratto urinario. Questo tipo
di calcolosi è caratterizzata dalla eccezionale rapidità di crescita tanto da
essere sufficienti 4-6 settimane per la
formazione della litiasi infetta. Nei
Paesi industrializzati, approssimativamente, circa il 10-20 % della calcolosi urinaria è costituita da litiasi
infetta (1).
N
AL
I
U.O. Urologia S.S.N.
Azienda Ospedaliera Universitaria, Pisa
The Center for Disease Control and
Prevention ha stimato che nel 6580% di tutte le infezioni croniche e/o
recidivanti sia implicata la formazione del biofilm (9, 10).
In relazione alle conoscenze sulla formazione e sviluppo del biofilm si possono ipotizzare delle nuove strategie
terapeutiche volte a prevenire e disgregare il biofilm e/o ad eradicare i
microorganismi in esso contenuti. In
via sperimentale è stata rilevata l’efficacia dell’acetilcisteina nell’inibire
l’adesione batterica e nella capacità di
dissolvere la matrice del biofilm, disgregando e riducendo il numero di
forme vitali all’interno del biofilm
stesso. Interessante si è rivelata l’associazione di acetilcisteina con i singoli antibiotici la cui azione è risultata sperimentalmente sinergica sia su
infezioni delle vie respiratorie che
delle vie urinarie determinate da microorganismi formanti biofilm (7).
PROFILASSI
L’infezione del tratto urinario è una
complicanza che può essere già pre-
sente prima del trattamento o manifestarsi in seguito ad esso. Si ritiene
che la fonte di infezione sia il calcolo stesso, sia esso composto da struvite sia da ossalato di calcio o acido
urico (11).
Nonostatnte si attui un’accurata preparazione del paziente in fase preoperatoria con profilassi antibiotica,
eseguita anche ad urinocoltura negativa, non sempre si può avere la sicurezza che non si manifesteranno
complicanze infettive catastrofiche
(12).
In caso di calcolosi a stampo è stata
rilevata una positività dell’urinocoltura nel 20% dei casi mentre la coltura del calcolo risultava positiva nel
50% dei casi (13).
In caso di litiasi ureterale ostruente il
25% dei pazienti mostrava una coltura del calcolo positiva, nel 66% dei
casi risultava positiva la coltura delle
urine provenienti dall’alta via escretrice, mentre la coltura delle urine del
mitto intermedio era negativa in tutti
i pazienti studiati. Inoltre è stata rilevata una correlazione tra le dimensioni della litiasi e la positività della
coltura del calcolo ossia per calcoli
segue a pag. 10
10
UROTime
Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009
La calcolosi infetta: cause, profilassi e trattamento
segue da pag. 9
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©
TRATTAMENTO
In accordo con le Linee Guida statunitensi (AUA guidelines 2005) il
“goal” del trattamento, qualsiasi esso
sia, deve essere la completa clearance del calcolo.
Una calcolosi residua può favorire la
persistenza dell’infezione ed una rapida ricrescita volumetrica del calcolo in una percentuale di casi che può
variare tra il 61 ed il 78%. Gli antibiotici eliminano la batteriuria, ma la
persistenza di frammenti residui
compromette la possibilità di eradicare l’infezione (16, 17).
La persistenza dell’infezione può au-
N
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I
Al contrario suggeriscono di proporre una profilassi antibiotica in tutti
quei pazienti da sottoporre ad ureterolitotrissia per calcolosi dell’uretere
prossimale o ostruente o da sottoporre a PCNL.
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buona efficacia della prulifloxacina
in fase di profilassi riportando un
maggiore controllo delle infezioni
nel gruppo che aveva assunto l’antibiotico per ulteriori 5 giorni indipendentemente dalla procedura operatoria eseguita (15).
Le linee guida europee (Tabella 2)
non raccomandano alcuna profilassi
in caso di trattamento con litotrissia
extracorporea né in caso di ureterolitotrissia eseguita per litiasi dell’uretere distale.
segue a pag. 11
Tabella 1 - Evidenze cliniche nella profilassi antibiotica/trattamento prima e dopo differenti procedure di rimozione dei calcoli.
Procedure
Prophylaxis/therapy
Charton, 1986
PCNL
No prophylaxis
Cadeddu, 1998
PCNL
Prophylaxis + Therapy
(Gentamicin + Ampicillin or Cephalosporins)
Margel, 2006
PCNL
Mariappan, 2006
PCNL
TE
R
PCNL
Dogan, 2002
Results
35% UTI
16% fever (>38°C)
Prophylaxis
(Cephalosporins II gen 1 g one shot)
22% SIRS
No prophylaxis
25.8% fever (>38°C)
Prophylaxis
(Ciprofloxacin 500 mg x 2/day orally for 1 week)
3% SIRS
II
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Aghdas, 2006
N
Author
PCNL
Prophylaxis
(Oflaxacin 200 mg IV one shot)
20% fever
PCNL
Therapy
(Ofloxacin 400 mg/day orally)
21% fever
ULL
Prophylaxis
(Levofloxacin 250 mg one shot)
1.8% bacteriuria
ULL
No prophylaxis
12.5% bacteriuria
Tenke, 2006
ULL
Continuous therapy
(Levofloxacin 500 mg x 2/day for 18-21 days)
12% UTI
Tenke, 2006
ULL
Intermittent therapy
(Levofloxacin 500 mg x 2/day for 7+3 days)
12% UTI
Costantino, 2005
ULL
Prophylaxis + Therapy
(Levofloxacin 500 mg 4 h pre-operatively +
Levofloxacin 500 mg for 5 days))
14% UTI
Dincel, 1998
SWL
Prophylaxis
2-17% UTI
Petterson, 1989
SWL
No prophylaxis (urine culture negative prior to treatment)
8-15% UTI
Bierkens, 1997
SWL
No prophylaxis (urine culture negative prior to treatment)
4-12% UTI
Zanetti, 1992
SWL
No prophylaxis (urine culture negative prior to treatment)
7.3% UTI
Knopf, 2003
IZ
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Knopf, 2003
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Dogan, 2002
ED
inferiori ai 20 mm è stata rilevata una
coltura positiva pari a 21.3% dei casi; tale percentuale raddoppiava
(43.6%) in caso di litiasi superiore ai
20 mm.
La coltura delle urine del mitto intermedio sembra avere uno scarso valore predittivo per le infezioni dell’alta
via escretrice (4).
La coltura del calcolo potrebbe pertanto essere utilizzata come guida
per approntare una antibioticoterapia
appropriata. La coltura delle urine
dell’alta via escretrice e la coltura dei
frammenti litiasici può risultare più
indicativa della coltura delle urine
del mitto intermedio; di fatto però
questi ultimi due parametri sono utilizzabili solo dopo il trattamento e
quindi sono eventualmente sfruttabili nel caso di infezioni resistenti allo
scopo di correggere la terapia antibiotica ad ampio spettro somministrata in modo empirico come profilassi (2).
Per quanto concerne la profilassi è
necessario tenere presente alcune
premesse: 1) la profilassi antibiotica
andrebbe limitata al periodo perioperatorio e la somministrazione deve
avvenire immediatamente prima dell’inizio dell’intervento; 2) non esistono prove a supporto di un prolungamento della profilassi oltre le prime 24 ore dal periodo post-operatorio.
La Tabella 1 riporta alcuni studi condotti nell’ambito della profilassi e
della antibioticoterapia adottata prima e dopo differenti tipi di procedure endourologiche e/o di litotrissia
extracorporea. Si può notare la scarsa univocità di comportamento tra i
diversi autori per quanto concerne la
tipologia di antibiotico e sul timing
di profilassi e terapia antibiotica. Gli
antibiotici maggiormente utilizzati
sono le cefalosporine ed i chinolonici, di questi in particolare la ciprofloxacina e la levofloxacina, che sembrano comunque risultare usualmente efficaci anche per la loro capacità
di distribuirsi e rimanere a lungo sulla superficie di cateteri vescicali,
stent e nefrostomie (14).
Di Silverio et al. riportano l’utilizzo
della prulifloxacina come profilassi e
come terapia post-operatoria in due
gruppi distinti, randomizzati, in cui
per entrambi l’antibiotico veniva
somministrato due ore prima del trattamento e successivamente prolungato, nel primo gruppo per 3 giorni e
nel secondo gruppo per 5 giorni. I risultati preliminari su 60 pazienti totali (55 sottoposti ad ULL, 2 a PCNL
e 3 ad ESWL) hanno rilevato una
Tabella 2
Procedure
Pathogens
Prophylaxis
Antibiotics
Remarks
ESWL
Enterobacteriaceae
Enterococci
No
- Cephalosporins 2nd-3rd generation
- TMP+/-SMX
- Aminopenicillin/BLI
Only in risk patients
ULL
(uncomplicated
distal stones)
Enterobacteriaceae
Enterococci
Staphylococci
No
- Cephalosporins 2nd-3rd generation
- TMP+/-SMX
- Aminopenicillin/BLI
- Fluoroquinolones
Only in risk patients
ULL
(proximal stones
or impacted stones)
PCNL
Enterobacteriaceae
Enterococci
Staphylococci
All patients
- Cephalosporins 2nd-3rd generation
- TMP+/-SMX
- Aminopenicillin/BLI
- Fluoroquinolones
Short course
ESWL
Enterobacteriaceae
Enterococci
Staphylococci
Recommended
- Cephalosporins 2nd-3rd generation
- TMP+/-SMX
- Aminopenicillin/BLI
Single pre-operative dose
11
UROTime
Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009
La calcolosi infetta: cause, profilassi e trattamento
segue da pag. 10
Obiettivo principale del trattamento
(PCNL; ULL; ESWL) della litiasi infetta deve essere la completa eradicazione del calcolo.
Figura 1 - Meccanismo di formazione dei calcoli infetti.
14.
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I
CONCLUSIONI
13.
15.
16.
17.
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18.
Organizzazione
ED
Adesione
Figura 2 - La formazione del biofilm.
©
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mentare il rischio di una recidiva nel
33.3% dopo ESWL e nel 22% post
PCNL+ESWL (18).
La terapia antibiotica a lungo termine spesso riduce significativamente
la carica batterica contrastando i rischi settici e prevenendo la recidiva o
la ricrescita del calcolo dopo trattamento (19).
Nel caso si attuasse un trattamento di
PCNL, se si riscontrassero urine infette, o potenzialmente tali, alla puntura
renale è raccomandabile lasciare in
sede la nefrostomia, a scopo drenante,
somministrare un’adeguata terapia
antibiotica e rimandare la procedura
di nefrolitotrissia percutanea evitando
così rischi settici estremi che potrebbero presentarsi con la manipolazione
endoscopica (4). L’incidenza di urosepsi non sembra correlata né ai multipli accessi alle cavità calicopieliche
né con la durata della procedura percutanea (4, 20, 21).
Per quanto concerne l’ureterolitotrissia, le Linee Guida Europee (2007)
raccomandano la profilassi antibioti-
ca (cefalosporine di 2°-3° generazione, bactrim, chinolonici) in tutti quei
pazienti che presentano una litiasi
ureterale impattata e/o dell’uretere
prossimale, riservandola nei casi di
litiasi dell’uretere distale, solo ai pazienti con stent o nefrostomia in situ.
A tale proposito la levofloxacina, paragonata alla ofloxacina ed alla ciprofloxacina, sembra avere la capacità di essere assorbita e rimanere più a
lungo sulla superficie di stent e nefrostomie (14).
Il trattamento di litotrissia extracorporea (ESWL) può potenzialmente,
attraverso il trauma renale e vascolare, provocare il passaggio in circolo
dei batteri presenti nelle urine. Viene
riportata una batteriuria nel 14% dei
pazienti sottoposti ad ESWL con
evoluzione in urosepsi in meno
dell’1% dei casi. Tale percentuale
può salire al 2.7% nei casi di calcolosi infetta. Il rischio di sepsi aumenta in caso di urinocoltura pre-ESWL
positiva ed in caso di ostruzione urinaria. Il ruolo di una terapia e profi-
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AZ
IO
lassi antibiotica nel trattamento con
ESWL è controverso. Sembra esserci
un buon accordo tra i vari Autori nel
prevedere una profilassi antibiotica
in caso ESWL se presente calcolosi
infetta o urinocoltura positiva o storia ricorrente di IVU o in pazienti
sottoposti a posizionamento di stent
e nefrostomia (22).
19.
10.
11.
12.
13.
14.
Rilascio
Esistono ancora pareri discordi riguardo le modalità della profilassi
antibiotica pre-PCNL o di ureterolitotrissia ed alla sua utilità per quanto
concerne l’ESWL.
I fluorchinolonici sembrano ottenere
ottimi risultati in termini di controllo
delle infezioni postoperatorie dopo
PCNL o ULL.
Auspicabile potrebbe essere l’impegno dell’industria farmaceutica e dei
clinici nell’indirizzare le loro ricerche verso nuove strategie terapeutiche in grado di prevenire, disgregare
ed eradicare la produzione del “biofilm”.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
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12
UROTime
Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009
N
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I
Fenotipo della risposta infiammatoria-riparativa
nel cancro della prostata
Appare strettamente correlato con l’espressione dell’isoforma alfa del recettore estrogenico
E. PETRANGELI
N
II
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TE
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N
co. Inoltre, l’attivazione di questo fat- di neoplasie maligne. Al contrario, stitore di trascrizione ad opera della che- moli che si liberano nel microambienmio- o radio-terapia può attenuare la te tumorale, come radicali liberi, citocapacità di questi trattamenti di indur- chine, prodotti necrotici ed altre molecole aberrantemente espresse possono
re morte cellulare (2) (Fig. 2).
NF-kB può agire come regolatore del- incrementarne l’attivazione.
la progressione del ciclo cellulare, sti- Le molecole pro-infiammatorie facilimolando l’espressione di geni come tano l’instabilità genomica, promuola ciclina D1, c-myc e fattori di cre- vono l’angiogenesi nella fase precoce
scita; è in grado di inibire l’apoptosi dello sviluppo tumorale e, successivaindotta da p53 e da TNF; regolando mente, favoriscono l’invasione e la difl’espressione di VEGF, delle moleco- fusione metastatica. L’azione tumorile di adesione e del sistema delle me- genica è svolta attraverso meccanismi
talloproteinasi ed attivando quella di molecolari complessi, che comprendoenzimi pro-infiammatori inducibili, no l’induzione e l’interazione con fatcome COX-2 (cicloossigenasi di tipo tori di crescita e può essere influenza2) e iNOS (ossido nitrico sintasi indu- ta da fattori endocrini, formando spescibile) può contribuire ad aumentare so dei loop sinergistici di attivazione. È
l’angiogenesi, l’invasività e la capaci- stato suggerito un ruolo di NF-kB neltà metastatica. In particolare, nostri la progressione verso un fenotipo di
lavori precedenti e di altri Autori han- ormono-indipendenza tumorale (6).
no dimostrato che l’espressione degli Numerosi studi indicano che gli estroenzimi inducibili
COX2 e iNOS è aumentata in alcuni
tumori umani benigni e maligni (3, 4).
L’uso di aspirina ed
anti-infiammatori
non steroidei riduce
l’incidenza di alcune forme di tumori
nell’uomo, tra cui
quelli del colon,
dell’esofago, dell’ovaio e della prostata (5). Anche altri composti naturali, che, come la curcumina, estratti di
tè verde di ginseng,
resveratrolo, genisteina, ecc. mostrano proprietà antiinfiammatoria ed
anti-proliferativa,
sono in grado di
inibire l’attivazione
di NF-kB e sembrano avere un ruolo
preventivo nello
sviluppo di malattie Figura 1 - Schematica illustrazione degli steps di attivazione di NFproliferative beni- kB. Numerose molecole possono interferire a diversi livelli (da: Yagne e di alcuni tipi mamoto Y and Gaynor RB. J Clinical Investigation, 2001).
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L’
impatto della risposta infiammatoria nella cancerogenesi e nella progressione
neoplastica può derivare da due ipotesi generali:
1) La presenza di cellule infiammatorie nella neoplasia porterebbe ad
un’aumentata produzione nel microambiente tumorale di citochine, fattori
di crescita ed altre molecole che supportano la replicazione, la crescita e
l’invasività delle cellule cancerose;
2) Le stesse cellule tumorali, attraverso l’attivazione di un fenotipo tipico
della risposta immune innata, potrebbero essere responsabili della produzione di queste molecole che agirebbero sia nelle fasi iniziali che nella progressione della neoplasia.
Questa risposta potrebbe essere stimolata dalla liberazione di radicali liberi,
frammenti necrotici, molecole tossiche da parte delle cellule tumorali
stesse portando all’attivazione del fattore di trascrizione NF-kB (Nuclear
Factor k-B).
NF-kB è un fattore ubiquitario coinvolto nella regolazione di numerosi ed
importanti processi cellulari quali le risposte immunitarie ed infiammatorie,
l’apoptosi e la proliferazione cellulare,
attraverso la regolazione dell’espressione di specifici geni responsivi.
Nelle cellule non stimolate, NF-kB è
sequestrato in forma inattiva nel citoplasma da una molecola inibitrice IkB.
La fosforilazione di IkB e la conseguente ubiquitinazione porta alla sua
degradazione ed alla liberazione e traslocazione nucleare di NF-kB che è
così attivato. Inibitori di NF-kB possono prevenire la sua attivazione, agendo
a diversi livelli (1) (Fig. 1).
Recentemente, l’attivazione di NF-kB
è stata connessa con diversi aspetti dell’oncogenesi. È stato descritto come
NF-kB sia disregolato in diverse forme
di cancro. Sono stati individuati in alcuni tumori umani e linee cellulari tumorali alcuni meccanismi che causano
una abnorme o continua attivazione di
NF-kB, provocando resistenza all’apoptosi, aumento della proliferazione cellulare e del potenziale metastati-
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Dipartimento di Medicina Sperimentale, “Sapienza” Università di Roma
Istituto di Biologia e Patologia Molecolari, CNR, Roma
geni, oltre agli androgeni, svolgono
un’importante azione sia nella normale crescita che nello sviluppo dell’iperplasia e del cancro della prostata.
L’azione estrogenica è mediata da due
isoforme recettoriali (RE), alfa e beta,
che regolano l’espressione di geni bersaglio in maniera diversa, talora opposta. L’isoforma alfa sembra essere
coinvolta nel processo di tumorogenesi, mentre è stata proposta una funzione oncosoppressiva per l’isoforma beta (7).
Sono stati identificati numerosi ligandi, naturali (fitoestrogeni) e sintetici,
denominati modulatori selettivi dei recettori estrogenici (SERMs), che agiscono da agonisti e da antagonisti a seconda dell’isoforma del RE legata, del
gene target coinvolto e della specificità cellulare e tissutale (8). I fitoestrogeni si comportano biologicamente
come estrogeni deboli, ma presentano
una più alta affinità per il RE-beta. Numerosi studi prospettano un loro possibile ruolo nella prevenzione di tumori
ormono-dipendenti. Mostrano un’attività antiproliferativa ed anti-infiammatoria ed inibiscono la tirosin-chinasi ed
altre chinasi coinvolte nella tumorogenesi.
La comprensione delle interazioni molecolari tra estrogeni e pathway pro-infiammatorio appare focale nella messa
a punto di strategie preventive, identificazione di biomarcatori e nuovi percorsi terapeutici.
Un recente lavoro ha analizzato
l’espressione delle isoforme del RE e
di molecole strettamente connesse alla
risposta infiammatoria/riparativa regolata da NF-kB in campioni di tessuto
prostatico tumorale e “sano” del lobo
controlaterale, prelevati chirurgicamente da 20 pazienti con cancro della
prostata (9). L’espressione di questi
fattori è stata analizzata oltre che nel
campione tessutale “in toto”, anche in
campioni omogenei tessutali tumorali
o di tessuto ospite selezionati con la
tecnica “laser capture microdissection” (LCMD). Sono stati valutati i livelli di espressione (RNAm e proteina) delle isoforme alfa e beta del RE,
segue a pag. 13
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Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009
Fenotipo della risposta infiammatoria-riparativa nel cancro della prostata
segue da pag. 12
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p65 di NF-kB accumulata nel citoplasma), mentre
nei corrispettivi
campioni di cellule tumorali selezionate era presente in forma attivata (traslocata
nel nucleo) (Fig.
4).
Per analizzare le
relazioni tra RE e
molecole pro-infiammatorie, è
stata
condotta
un’attenta analisi
statistica, che ha
dimostrato che i
livelli di espressione di RE-alfa
(ma non di REbeta) erano correlati positivamente
con quelli del Figura 4 - Espressione della subunità p65 di NF-kB nelle frazioni ciREGF e delle tosoliche e nucleari di campioni omogenei di tessuto tumorale e di
molecole pro-in- tessuto ospite, selezionati con “Laser capture microdissection” (da
fiammatorie esa- Ravenna L. et al, Prostate, 2009).
minate. Analogamente, i livelli di espressione del re in un blocco terapeutico delle 2 vie).
REGF erano positivamente correlati Per quanto riguarda l’interrelazione tra
con quelli delle molecole pro-infiam- estrogeni e REGF, questa era già stata
matorie esaminate. Questa stretta re- dimostrata in vari modelli e lavori prelazione indica una co-regolazione dei cedenti, indicando un coinvolgimento
pathway relativi a recettori estrogeni- verso la progressione neoplastica e
ci, molecole pro-infiammatorie e l’ormono-resistenza. Da questo lavoro
emerge però che in questo meccaniRGEF.
La correlazione positiva tra molecole smo è coinvolta solo l’isoforma alfa,
pro-infiammatorie ed REGF, unita- ma non la beta, confermando un ruolo
mente all’attivazione di NF-kB potreb- “protettivo” per quest’ultima isoforma
be suggerire un ruolo stimolatorio o ed in via indiretta per potenziali comco-stimolatorio delle due vie con si- posti antagonisti di RE-alfa, agonisti di
gnificato di tipo riparativo nella rispo- RE-beta.
sta fisiologica, che acquisterebbe un Il ruolo pro-tumorale di RE-alfa, riruolo di loop di amplificazione nella spetto ad RE-beta, emerge anche dalla
progressione neoplastica (la possibile correlazione positiva dei livelli di
ricaduta applicativa potrebbe consiste- espressione della sola isoforma alfa
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del recettore dell’EGF (REGF) e di alcune molecole pro-infiammatorie controllate da NF-kB: il recettore extracellulare di ATP (P2X7R), il recettore di
prodotti di glicazione avanzata e di
HMGB1 (RAGE), gli enzimi pro-infiammatori inducibili cicloossigenasi
(COX-2) e ossido nitrico sintasi
(iNOS) ed il marcatore di fase acuta
pentraxina3 (PTX3).
L’espressione delle molecole pro-infiammatorie legate al pathway di NFkB appariva più elevata nei tessuti tumorali rispetto al non-tumorale controlaterale: in particolare i livelli di
espressione di P2X7R, RAGE, PTX3
e REGF erano significativamente più
alti (circa il doppio), mentre quelli di
COX-2 ed iNOS mostravano una tendenza complessiva ad aumentare.
Nei tessuti prostatici tumorali e peritumorali l’isoforma RE-alfa appariva
significativamente più espressa rispetto all’isoforma RE-beta. I livelli
d’espressione di RE-alfa erano aumentati di circa 150% nei campioni
tumorali rispetto ai non tumorali,
mentre quelli di RE-beta non differivano sostanzialmente.
Dai risultati ottenuti su campioni omogenei di tessuti selezionati con la
LCMD questi risultati apparivano
molto più stressati ed accentuati: in
tutti i campioni esaminati in parallelo,
i livelli di espressione delle molecole
pro-infiammatorie, di REGF e di REalfa apparivano considerevolmente più
elevati nel tessuto tumorale rispetto al
tessuto ospite corrispettivo (Fig. 3).
Tali campioni erano composti pressoché esclusivamente da cellule epiteliali mentre erano assenti cellule infiammatorie, dimostrando che queste molecole venivano espresse dalle cellule tumorali stesse. Inoltre, nei campioni di
tessuto ospite, NF-kB appariva per lo
più nella sua forma inattiva (subunità
Figura 3 - Aumento dell’espressione di RNAm delle molecole esaminate espresse come rapporto di livelli d’espressione nel tessuto canceroso rispetto al tessuto ospite, selezionati con la “Laser capture microdissection system” (da Ravenna L. et al., Prostate, 2009).
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Figura 2 - Rappresentazione di funzioni regolate da NF-kB coinvolte
in diversi aspetti dell’oncogenesi (da Basseres DS et al., Oncogene
2006).
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con quelli delle molecole pro-infiammatorie, indicando anche in questo caso una co-regolazione con il pathway
di NF-kB.
I risultati descritti da Ravenna et al.,
riguardanti i diversi significati delle
isoforme di RE nella loro relazione
con l’attivazione della risposta riparativa/infiammatoria, sembrano supportare dati epidemiologici del ruolo protettivo di composti naturali quali fitoestrogeni nella dieta, agonisti del
RE-beta, nell’insorgenza del cancro
della prostata.
Sulla base dei dati presentati in questo
lavoro, prende forza l’ipotesi che la risposta infiammatorio/riparativa propria delle cellule cancerose prostatiche
sia uno dei meccanismi che contribuisce alla progressione neoplastica e che
è strettamente connessa e co-regolata
con altri importanti stimoli esercitati
da fattori di crescita (EGF) ed estrogeni, suggerendo ulteriori studi che potrebbero portare ad associazioni terapeutiche mirate.
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Anno XXI - N. 4 - Dicembre 2009
XI Congresso SUN - Corso ESRU
Palermo, 6 luglio 2009
A. D’ADDESSI
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questo avvenga ed eventualmente
provvedere. Ciò necessita di pochi
secondi che velocizzano la procedura.
Ma alla fine siamo soddisfatti. Tutto è
stato controllato, è in ordine e secondo i nostri desideri.
Non rimane che iniziare la procedura
con l’introduzione del resettore.
Ed ecco subito un possibile problema: il resettore non supera il meato
uretrale esterno.
O meglio, infine lo supera, ma dopo
pressioni ripetute e notevoli. Una situazione del genere è spesso seguita
da una stenosi tardiva del meato; evenienza quanto meno fastidiosa per il
paziente, che richiede dilatazioni periodiche e che, in ogni caso, è espressione di una manovra non corretta.
Evenienza, peraltro, facilmente evitabile semplicemente utilizzando, di
routine o al primo accenno di difficoltà, un dilatatore uretrale progressivo, opportunamente lubrificato e calibrato, che produce appunto una dilatazione continua ed atraumatica fino
al calibro necessario, evitando lesioni
meatali destinate ad evolvere verso la
stenosi.
Il meato è infine superato agevolmente e senza traumi. Ma la progressione nell’uretra è difficoltosa oppure
si incontra decisamente un ostacolo. Non è certo il caso di aumentare la
pressione. È invece il caso di utilizzare, all’interno della camicia del resettore, la cannula di Schmiedt (Fig. 3).
Questo utile accessorio, utilizzato
con ottica da 0°, ci consente di procedere sotto il controllo della visione ed
inoltre di evidenziare eventuali patologie uretrali.
Ma se nonostante tutte le precauzioni,
oppure più spesso per incongrue manovre precedenti, si è prodotta quella
che viene definita una “falsa strada”? Determinante in questo caso è
l’osservazione diretta della lesione,
con cannula di Schmiedt o eventualmente con cistoscopio di piccolo calibro. Se lesioni superficiali della mucosa non compromettono infatti la
prosecuzione dell’intervento, perfo-
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polare lavora con soluzione fisiologica, un bisturi monopolare ha bisogno di soluzione glicerolo/mannitolo;
• che il cavo elettrico sia inserito nello slot corretto del bisturi elettrico
che, se di tipo moderno, ne ha più di
uno?
• che il collegamento distale bisturipaziente, la cosiddetta “piastra”, sia
correttamente applicata al paziente,
in un’area opportunamente glabra o
depilata?
• ed infine, i settaggi del taglio e della coagulazione sono adeguati e corrispondenti alle sue abitudini?
Un’altra delle domande che l’Operatore pone, o si pone silenziosamente e
talvolta con una certa ansia, ad intervento iniziato e sopratutto in caso di
trattamento di una neoplasia voluminosa è “dove mi trovo?”.
L’orientamento spaziale all’interno di
quella sfera che è la vescica riveste
evidentemente un’importanza primaria, talvolta decisiva nel caso della gestione di procedure riguardanti neoplasie voluminose, dove l’emorragia e
la dispersione dei frammenti resecati
possono rendere incerto il cammino e
dove una visibilità ottimale è indispensabile. In questi casi sapere che si
sta resecando esattamente dove si sta
guardando è essenziale; ed allora, se
si sta utilizzando la comune telecamera ad “L”, controllate che il nottolino
laterale sia nella posiziona di sblocco.
In altre parole, soltanto se la telecamera mantiene la sua posizione costante, con il lato lungo della “L”
sempre verso il basso, le ore 4 o 7 che
si osservano sul monitor corrispondono alle 4 o 7 all’interno della vescica.
Un’altra evenienza che può contribuire a prolungare la procedura od anche
a far spazientire l’Operatore, anticamera questo della complicanza, è “il
frammento che non si stacca dall’ansa”. La causa più frequente, e anche la più banale, è che a fine corsa
l’ansa, rientrando nella camicia, non
tocca il becco di ceramica (Fig. 2). È
compito dell’Operatore accertarsi,
prima dell’inizio dell’intervento, che
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L
a resezione endoscopica di
una neoplasia vescicale (Fig.
1) costituisce una delle procedure endoscopiche che più frequentemente vengono eseguite nei nostri
Reparti. Si tratta di procedure spesso
relativamente semplici e, proprio per
questo, sono spesso incaricati di condurle in porto i colleghi più giovani e
meno esperti.
Ma, come sempre in Chirurgia, la
procedura “semplice” tout court non
esiste. Queste brevi note hanno l’intento di focalizzare alcuni aspetti e
momenti della procedura che, se non
tenuti nel giusto conto, potrebbero riservare sorprese o aprire la strada a
complicanze intra o postoperatorie.
Iniziamo con alcuni consigli di metodologia, la cui messa in atto precede
l’inizio della procedura stessa.
Ed allora, iniziate controllando voi
stessi:
– che il paziente sia quello programmato;
– che sia presente e debitamente
compilato il modulo del consenso
informato;
– che il paziente non presenti fattori
di rischio o impedimenti particolari:
– • ha sospeso l’eventuale terapia antiaggregante/anticoagulante in
tempo utile?
– • riferisce allergia ad antibiotici o a
sostanze iodate?
– • ha una artrosi d’anca o di ginocchio o protesi che gli impediscano
di assumere la corretta posizione
litotomica (è bene ricordare che,
una volta anestetizzato anche solo
perifericamente, il paziente non
può più aiutare riferendo che ha
dolore o mobilità limitata).
Controllate, poi, che tutto lo strumentario e gli accessori corrispondano alle esigenze ed anche alle vostre abitudini.
Quante volte si sente, proprio all’inizio della procedura, l’Operatore riferire seccato “il bisturi non taglia!”.
Ma lui, per primo, ha controllato:
• che il liquido di irrigazione sia quello corretto? Se infatti un bisturi bi-
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Dipartimento di Scienze Chirurgiche-Urologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Policlinico “A. Gemelli”
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Possibili complicanze della TUR-B:
come prevenirle, come gestirle
razioni del lume uretrale richiedono
la sospensione della procedura: il
movimento continuo del resettore all’interno dell’uretra può infatti provocare un allargamento della lesione, in
superficie ed in profondità. In questo
caso è indicato il posizionamento di
un catetere transuretrale in vescica,
eventualmente su guida oppure, in
caso di difficoltà, di una cistostomia
sovrapubica.
Quando l’intervento è iniziato, si è in
vescica con il resettore e si esplorano
le pareti dell’organo per la cistoscopia di controllo. A livello della cupola si osserva la piccola bolla d’aria
che indica il punto più elevato. È un
reperto importante ai fini dell’orientamento, ma se la quantità di aria
all’interno della vescica è eccessiva,
questo può tradursi in un pericolo, in
quanto:
• la visione può risultarne falsata,
poiché l’aria altera la profondità di
campo della telecamera;
• l’attivazione della corrente elettrica
determina un aumento improvviso
della temperatura dell’aria e quindi
della sua pressione, con possibile
esplosione della bolla d’aria. È un
evento per fortuna raro ma pericoloso e che richiede la conversione della procedura a cielo aperto. Il fenomeno segue leggi fisiche sulle quali
non possiamo intervenire. Allora è
opportuno che:
• – ogni introduzione dello strumento
avvenga con l’irrigazione attivata,
limitando in questo modo l’immissione dell’aria contenuta all’interno del resettore;
• – ad ogni sostituzione delle sacche
del liquido irrigante si elimini
l’aria eventualmente presente nel
tubo di raccordo;
• – durante l’esecuzione dei lavaggi
interlocutori per l’evacuazione dei
frammenti utilizzare sempre la siringa colma di liquido.
Nel corso della resezione i due meati
ureterali vanno sempre ricercati e visualizzati. Se è necessario è possibile
resecarli, anche in profondità, ma
sempre asportando frammenti sottili
segue a pag. 15
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Possibili complicanze della TUR-B
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schio, a vescica non eccessivamente
distesa ed anche nell’utilizzare corrente di intensità minore rispetto al
consueto.
L’emorragia
È certamente la complicanza più temuta nel corso delle procedure chirurgiche, ma che fortunatamente si
verifica raramente nel corso delle resezioni di neoplasie vescicali.
Di fatto, al di là di sanguinamenti
causati da lesioni di vasi peri-vescicali a seguito di perforazioni profonde,
è in relazione quasi sempre alle dimensioni della neoplasia.
Se il fine della procedura è l’asportazione della lesione nella sua totalità,
non è possibile evitare di trovarsi in
un certo momento ad operare in un
ambiente reso torbido, con scarsa e
poco definita visibilità.
Da un punto di vista operativo è possibile attenersi a due tattiche differenti:
• resecare la voluminosa neoplasia a
“spazzola”, sull’intera superficie,
approfondendosi progressivamente
fino alla base d’impianto laddove è
possibile coagulare i vasi maggiori,
• oppure resecare “per settori”, cercando di giungere subito alla base
del singolo settore e coagulare.
È evidente che, come spesso succede,
le due tattiche sono interscambiabili e
che ad un iniziale debulking faccia
seguito un approfondimento per settori fino alla base d’impianto.
Suggerimenti utili possono essere
quelli di:
• non coagulare mai alla cieca, ma
cercare sempre la fonte;
• evitare la coagulazione del tessuto
aggettante, che non raggiunge quasi
mai l’obiettivo di assicurare una
emostasi soddisfacente a migliorare
la visibilità;
• non confidare sull’emostasi fornita
dall’elettrodo a sfera, in quanto può
agire su superfici estese, ma non in
profondità e può inoltre provocare
ampie escare che, al momento del
distacco, possono riproporre sanguinamenti importanti.
Finalmente la resezione è conclusa, i
frammenti evacuati, l’emostasi soddisfacente.
Rimane da posizionare il catetere vescicale. Anche in questo caso, si propongono scelte differenti, risultato di
esperienze personali e di scuola:
• un catetere tipo Foley, a due vie, di
calibro adeguato (20-22Ch), eventualmente siliconato e con punta a
becco di clarino, è ben tollerato dal
paziente e, non prevedendo l’eventualità di una irrigazione continua,
evita il rischio di sovradistensione
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Figura 2
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Figura 1
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in successione. Nel dubbio circa la
localizzazione dei meati o della porzione intramurale dell’uretere, l’iniezione endovenosa di una fiala di colorante può rivelarsi determinante. Le
problematiche legate alla resezione
dei meati sono quelle: del possibile
edema postoperatorio, transitorio ma
responsabile di una sintomatologia
del tipo della colica reno-ureterale,
che è possibile ridurre utilizzando il
minimo possibile di corrente per coagulazione e, ben più grave, la deconnessione ureterale, che va affrontata
con procedure invasive, dalla nefrostomia temporanea alla conversione
della procedura a cielo aperto.
Di fatto la complicanza che riceve più
attenzione è la perforazione vescicale.
Sebbene in letteratura la sua incidenza sia riportata nell’1-5% dei casi,
esistono riscontri secondo i quali sarebbe ben più frequente. Un recente
studio (J Endourol, 23, 7, July 2009)
riporta che nel 50% dei casi di resezione eseguita da specializzandi anziani, soltanto una cistografia postoperatoria ha dimostrato lo spandimento extravescicale di mezzo di
contrasto, rilevando infine come unico fattore predisponente la posizione
della neoplasia sulla cupola vescicale.
Di gran lunga più frequente, e fortunatamente meno grave, è la perforazione extraperitoneale (Fig. 4). Il
più delle volte misconosciuta, può essere sospettata laddove il paziente
conscio riferisca una dolenzia più o
meno intensa a livello periombelicale, inguinale o sovrapubico. L’Operatore stesso può rendersi conto in taluni casi di una diminuzione del ritorno
del liquido di irrigazione. Se diagnosticata e di piccole dimensioni, può in
genere consentire una rapida conclusione della procedura, mentre perforazioni più ampie richiedono la sospensione dell’intervento, dopo una
emostasi di sicurezza, ed il posizionamento di un catetere vescicale di ampio calibro, senza irrigazione continua.
Perforazioni misconosciute possono
determinare una notevole dispersione/riassorbimento di liquido di irrigazione e possono innescare una
possibile TUR-Syndrome, la cui fisiopatologia riconosce l’effetto farmacologico dei soluti presenti nel liquido di irrigazione (glicina, sorbitolo/mannitolo, NaCl, acqua sterile),
l’effetto sulla volemia da parte dell’acqua assorbita, l’iponatriemia da
diluizione, l’edema cerebrale e le alterazioni morfologiche a carico del
Figura 3
cuore con conseguente circolazione
ipocinetica. Il trattamento delle forme lievi si basa sulla somministrazione di soluzione salina ipertonica e
diuretici. In caso di sospetto, durante
e dopo l’intervento è comunque opportuno anche il dosaggio degli elettroliti plasmatici.
In altri casi la perforazione è del tipo
intraperitoneale. Si tratta, come detto, di lesioni meno frequenti, ma che
richiedono spesso una conversione
dell’intervento a cielo aperto.
In assoluto, particolare attenzione deve essere prestata in corso di resezioni eseguite:
• sulla cupola vescicale;
• su pazienti di sesso femminile, nelle quali di regola la parete vescicale
si presenta di spessore minore;
• su lesioni a livello delle pareti laterali. Qui entra in gioco un altro fattore causale, la stimolazione, da
parte della corrente elettrica di taglio, dell’innervazione perivescica-
Figura 4
le, che determina una contrazione
muscolare improvvisa e talvolta
violenta.
Le possibilità di minimizzare il rischio risiedono nel condurre la procedura, nei punti e/o nelle pazienti a ri-
segue a pag. 16
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Possibili complicanze della TUR-B
segue da pag. 14
Spigolando
S
anche nei 14 pazienti che hanno poi
sviluppato un altro tumore maligno.
CONCLUSIONI: In 973 pazienti senza alcuna storia clinica di tumore, con
incidentalioma surrenalico non è stato
identificato alcun tumore maligno. Le
lesioni più comuni sono state: adenoma (75%) e miolipoma (6%).
Incidentalioma surrenalico
alla TC: prevalenza
di malattia surrenalica in
1.049 casi consecutivi
di pazienti con massa
surrenalica e senza evidenza
di sintomi di malignità
COMMENTI
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Attualmente la diagnosi delle patologie surrenaliche è molto accurata grazie all’impiego di metodi analitici precisi per la determinazione dell’anormale secrezione di ormoni surrenalici
e di sofisticate tecniche radiologiche
per la localizzazione di queste lesioni
(1, 2).
Gli Autori hanno riportato un ampio
studio retrospettivo relativamente alla
prevalenza di incidentaliomi surrenalici riscontrati alla TC, eseguita in pazienti con assenza di tumore. Attualmente questo studio comprende un
gran numero di pazienti se paragonato
agli studi precedenti, pubblicati dagli
stessi autori, nei quali tutti gli incidentaliomi surrenalici identificati alla TC
con un’attenuazione uguale o minore
di 10 HU, erano benigni (3). Gli incidentaliomi surrenalici erano classificati esclusivamente secondo i classici
e ben conosciuti criteri d’imaging (attenuazione e rinforzo del mezzo di
contrasto alla TC e studio del chimicashift alla RMN). Attualmente vi è accordo sul fatto che tutti i pazienti con
masse solide surrenaliche dovrebbero
essere sottoposti a valutazione biochimica. Nonostante gli autori riportino
che solo l’1% delle masse surrenaliche
è stato valutato istopatologicamente, è
stato provato che i loro criteri sono efficaci grazie al gran numero di altre
masse in cui è stata ottenuta la conferma istopatologia (4, 5). Grazie all’esperienza radiologica accumulata,
continua a crescere la tendenza ad accettare solo precise e specifiche caratteristiche d’imaging per un’adeguata
caratterizzazione degli adenomi surrenalici. Alla TC gli adenomi surrenalici
sono generalmente superiori ai 2 cm,
sono solitari e sono associati ad atrofia
della ghiandola controlaterale. Sono
spesso indistinguibili dai carcinomi
surrenalici eccetto che per la dimensione di questi ultimi, generalmente
superiore a 6 cm (6). Lo studio con
RMN risulta utile nella gestione delle
masse solide inferiori a 5 cm. La mag-
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Susanna Cattarino
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OBIETTIVO: Lo scopo dello studio è
stato quello di determinare la natura e
la prevalenza di lesioni surrenaliche,
identificate alla TC, in pazienti senza
sintomi di malignità.
MATERIALI E METODI: È stata eseguita una ricerca al computer tra i referti di TC addominale, utilizzando il
termine “surrene” in 65.231 pazienti
consecutivi esaminati dal gennaio
2000 al dicembre 2003. Una massa
surrenalica è stata identificata in 3.307
pazienti (5%). Sono stati inoltre suddivisi pazienti senza alcun sintomo di
malignità o sospetto di massa surrenalica funzionante.
Novecentosettantatre pazienti con
1.049 masse surrenaliche rientravano
nei seguenti criteri di inclusione: la natura della lesione determinata con
l’esame istologico; la massa caratterizzata mediante TC, MRI o tecnica
del wash-out; minimo di un anno di
stabilità dell’immagine della massa o
due anni di stabilità clinica durante il
follow-up.
RISULTATI: 1.049 masse surrenaliche sono state studiate con i seguenti
metodi: studio istopatologico (12);
Imaging (909); Imaging durante il follow-up (87) e follow-up clinico (41).
Sono stati diagnosticati 788 adenomi,
che costituivano il 75% di tutte le lesioni. Sono stati inoltre diagnosticati
68 miolipomi (6%); 47 ematomi (4%)
e 13 cisti (1%). Sono stati trovati incidentalmente 3 feocromocitomi (0.3%)
e un adenoma cortisolo-secernente.
Centoventotto masse (12%) sono state
considerate benigne grazie alla stabilità d’Imaging o clinica. Nessuna massa
surrenalica maligna è stata trovata, ne-
gior parte degli adenomi ha un aspetto
lievemente ipointenso o isointenso rispetto al fegato o alla milza nelle immagini T1 pesate e leggermente iperintenso o isointenso rispetto al parenchima epatico o splenico nelle immagini T2. Per contro, il carcinoma surrenalico è generalmente ipointenso rispetto al fegato e milza nelle immagini T1 pesate ed iperintenso in T2 (6).
Un’altra metodica diagnostica rilevatasi accurata è la biopsia surrenalica ad
ago sottile sotto guida ecografica o
TC. In uno studio finlandese l’accuratezza diagnostica nel differenziare le
patologie maligne da quelle benigne
risulta essere dell’85,7% (7). Grazie al
gran numero di conferme istopatologiche e al gran numero di pazienti senza
conferma istopatologica ma seguiti da
un follow-up clinico e radiologico prolungato, si continua a sottolineare il
ruolo dell’imaging nella valutazione
degli adenomi surrenalici. In molti
centri la caratterizzazione radiologica
degli adenomi surrenalici viene accettata così come la caratterizzazione di
altri incidentaliomi surrenalici, come
cisti, pseudo cisti, ematomi e miolipomi. Si dovrebbe considerare quindi un
adenoma surrenalico, una massa piccola, < 3 cm di diametro, omogenea e
ben definita alla TC con un’attenuazione uguale o inferiore a 10 HU o che
mostra più del 20% di perdita di intensità di segnale del chemical-shift alla
RMN.
AZ
IO
ulla rivista Urological Survey
gli Autori Song JH, Chaudhry
FS, Mayo-Smith WW del Dipartimento di Radiologia dell’Università di Providence (USA) hanno
presentato un articolo che tratta delle lesioni surrenaliche di “riscontro
occasionale” o Incidentalioma.
N
AL
I
Letteratura internazionale
ED
vescicale o di diffusione extravescicale del liquido in caso di piccole
perforazioni misconosciute. D’altro
canto rende più difficile l’evacuazione del materiale ematico e di
eventuali coaguli, anche nel caso in
cui vengano programmati lavaggi
manuali periodici;
• oppure un catetere tipo Dufour, a tre
vie con irrigazione continua, che
consente l’evacuazione in tempo
reale del contenuto vescicale, ma
che il paziente può tollerare meno
bene e che, in caso di ostruzione
della via di deflusso, può favorire la
sovradistensione vescicale e la diffusione extravescicale di liquido.
Qualunque sia la scelta, può verificarsi l’evenienza di un impossibile posizionamento del catetere a fine intervento, per ostacolo prostatico o cervicale o per una lesione uretrale di minima che non si vuole rischiare di
estendere. In questo caso ripetuti tentativi possono essere non solo inutili,
ma dannosi ed allora:
• una possibile soluzione prevede la
reintroduzione del resettore, sotto
controllo visivo e con cannula di
Schmiedt, ed il posizionamento al
suo interno, fino in vescica, di un
cateterino ureterale mandrinato 4 o
5F. A questo punto, sul cateterino, è
possibile far scorrere un catetere
con punta a becco di clarino;
• oppure si reintroduce in vescica un
uretrotomo munito di slitta sottostante oppure lo stesso resettore,
sempre sotto controllo visivo, ed al
suo interno si posiziona un catetere
tipo Foley, a punta tronca e smussa
e con estremità prossimale deconnettibile.
Un’ultima considerazione rimane da
fare, a proposito del rischio tromboembolico.
La posizione litotomica, la durata
della procedura, l’età e l’anamnesi
del paziente, sono tutti fattori da
prendere in considerazione per la
quantificazione del rischio. In assenza di patologie particolari, è opportuno comunque ricorrere a semplici accorgimenti quali:
• una profilassi, ad esempio con enoxaparina sodica 4.000 UI/die, iniziando la sera prima dell’intervento
e proseguendo per 7-10 giorni,
quindi anche dopo la dimissione;
• far indossare al paziente, fino alla
completa mobilizzazione, particolari
calze a compressione differenziata.
In conclusione, non esistono in chirurgia procedure “semplici”. Esistono
invece procedure che vengono rese
semplici e sicure dall’esperienza dell’operatore.
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BIBLIOGRAFIA
1. Vaughan ED Jr, Blumenfeld JD. The Adrenals. In: Campbell’s Urology, 7th ed. Philadelphia, WB Saunders, 1997, chap 96, p
2915.
2. Wilson JD, Foster DW (eds). Williams Textbook of Endocrinology, 8th ed. Philadelphia
WB Saunders Co, 1992.
3. Song JH et al. The incidental indeterminate
adrenal mass on CT (> 10 H) in patients without cancer: is further imaging necessary?
Follow-up of 321 consecutive indeterminate
adrenal masses. AJR Am J Roentgenol
2007; 189: 1119-23.
4. Kloos RT, et al. Incidentaly discovered adrenal masses. Endocr Rev. 1995; 16: 460-84.
5. Boland GW, et al. Characterization of adrenal masses using unenhanced CT: an analysis of the CT literature. AJR Am J Roentgenol 1998; 171: 201-4.
6. Cerfolio RJ, Vaughan ED Jr, Brennan TG, et
al. Accuracy of computed tomography in predicting adrenal tumor size. Surg Gyn &
Obstet 1993; 176: 307.
7. Tikkakoski T, Taavitsainen M, Paivansalo
M, et al. Accuracy of adrenal biopsy guided
by ultrasound and CT. Acta Radiologica
1991; 32: 371-374.
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