ciliegio selvatico - SHERWOOD

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ciliegio selvatico - SHERWOOD
Valorizzazione delle
risorse genetiche
Aspetti ecologici e genetici in Italia del
CILIEGIO SELVATICO
di Diana Ferrazzini, Paolo Camerano, Fulvio Ducci, Anna De Rogatis, Silvia Carnevale, Piero Belletti
Lo scopo del lavoro è stato quello di analizzare, sia dal punto di vista ecologicovegetazionale che da quello genetico, l’areale italiano di diffusione del ciliegio selvatico,
quale punto di partenza per la delimitazione di ambiti ecologicamente e geneticamente
omogenei all’interno dei quali individuare popolazioni fenotipicamente superiori, da
impiegare in arboricoltura da legno.
Il ciliegio selvatico o dolce (Prunus avium
L., sinonimo Cerasus avium Moench) è la
rosacea arborea indigena di maggiori dimensioni ed interesse produttivo presente
nei boschi montani, collinari e planiziali. Da
un punto di vista tassonomico la specie appartiene al genere Prunus, sottogenere
Cerasus, distinto dal sottogenere Padus.
Oltre al Prunus avium il sottogenere Cerasus comprende, in Europa, altre due
specie da frutto, ma di mole minore: il ciliegio acido o marasco (Prunus cerasus
L.) ed il ciliegio di Santa Lucia (Prunus
mahaleb L.).
Il ciliegio è un albero con tronco ben
definito, raramente cespuglioso che, in
ambiente forestale, raggiunge altezze
di 20-25 m. Il fusto è generalmente diritto, con ramificazione monopodiale ad
accrescimento ritmico, su cui si inseriscono le branche ed i rami su palchi più
o meno evidenti. Le branche, con accrescimento simile al tronco principale,
hanno una disposizione verticillata, la cui
inclinazione e grandezza rispetto al tronco sono variabili in funzione delle condizioni di accrescimento. La disposizione
verticillata permette di determinare, in modo
più o meno approssimativo, l’età nei giovani
individui contando il numero di verticilli o gli
internodi. Può vivere fino a circa 100 anni ed
è molto esigente in termini di luce. La specie presenta fiori ermafroditi, impollinati da
insetti (api e bombi in primo luogo). L’impollinazione è generalmente allogama, essendo
l’autofertilizzazione prevenuta da un sistema
genetico di auto-incompatibilità (Vaughan et
al. 2008). I semi sono dispersi per gravità,
ma gli uccelli rivestono un ruolo importante nella disseminazione. La specie può
anche propagarsi tramite polloni radicali,
che in determinate condizioni possono
coinvolgere fino al 65% degli individui
di una popolazione (Ducci e Santi 1997,
Vaughan et al. 2007).
Contrariamente a quanto si pensava in
passato, è ormai chiaro che il ciliegio selvatico è comunque una specie indigena,
sicuramente presente nel Centro Europa
già nel postglaciale, anche se per vicende colturali è impossibile definire il suo
areale originario, che pare avesse il suo
centro nell’area Pontica (tra il Caucaso e
i Balcani). Verso Est si spinge nel bassopiano Sarmatico e fino agli Urali, a Nord
tocca la parte meridionale della penisola Scandinava (Paesi Baltici, Sud della
Svezia e Norvegia) e le isole Britanniche,
fino alla Scozia e all’Irlanda. Verso Ovest
l’areale segue le coste occidentali della
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Francia e della Spagna (Galizia e Paesi Baschi), costeggiando i Pirenei; è assente negli
altopiani interni della penisola Iberica, mentre ricompare lungo la costa mediterranea
e presenta stazioni anche in Nord Africa a
quote elevate.
In Italia, il ciliegio è soprattutto diffuso nella
Pianura Padana, sul fondo delle vallate alpine e lungo gli Appennini, fino ai 1.700 m
s.l.m; spostandosi verso Sud, la specie diviene sempre più sporadica fino ad essere
presente con individui isolati in Puglia e Sicilia. (Figura 1). Fra le diverse latifoglie autoctone il ciliegio rappresenta una delle specie
forestali più utilizzate, sia per la produzione
di legno in bosco che in arboricoltura da legno, ma anche in recuperi ambientali, essendo un componente essenziale di foreste
decidue miste originarie. Per tali ragioni le
attività di miglioramento genetico e di selezione fenotipica, sono molto intense e la
produzione vivaistica a livello nazionale ed
europeo è molto importante. In Italia, al contrario, si è sempre prestata una scarsa attenzione alle problematiche vivaistiche della
specie: ad esempio, fino a pochi decenni
orsono era consuetudine utilizzare, come
seme, il materiale di scarto delle industrie
conserviere. Solo recentemente la raccolta del seme ha previsto la considerazione
dell’area di raccolta, quale elemento fondamentale per una corretta utilizzazione del
materiale riproduttivo.
Risorse genetiche
Ugualmente ad altre latifoglie, oggi in Italia
il quadro delle Regioni che hanno iscritto
materiali di base di ciliegio nei loro registri è
molto lacunoso; le Regioni che hanno identificato ed ufficializzato materiali di base di
ciliegio sono le seguenti:
• Piemonte (15, di cui 3 “Selezionati”
iscritti nel Registro con DGR n. 368195 dell’11/02/2008, DD n. 1984
dell’11/09/2008 e DD n. 2237 del
05/09/2011);
• Lombardia (26 iscritti come “Identificati
alla fonte” nel Registro con DGR 8-6272
del 21/12/2007 e DD 2894/2008);
• Veneto (sono stati classificati 53 fra popolamenti e singoli individui; di questi 7
iscritti come “Identificati alla fonte” nel
Registro con DGR 3263 del 15/10/2004
e 12 di riserva);
• Friuli-Venezia-Giulia (4 popolamenti
come “Identificati alla fonte” iscritti nel
Registro con DD 1917/2010);
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Figura 1 - La distribuzione europea del ciliegio selvatico (Prunus avium) da EUFORGEN 2009 (www.
euforgen.org).
• Emilia-Romagna (25 popolamenti iscritti nel Registro con LR 10 del 6/7/2007 e
DD 5205/2008);
• Marche (2 arboreti clonali iscritti nel Registro con LR 6 del 23/2/2005);
• Toscana (1 Aboreto da seme iscritto nel
Registro con DD 156 del 3/03/211);
• Molise (sono state identificate 3 piante
ma non iscritte).
La Regione Piemonte ha recentemente intrapreso (primavera 2011) la costituzione di
un arboreto da seme, nel quale produrre il
materiale di categoria “Qualificata”. L’arboreto, realizzato presso il vivaio forestale regionale di Albano Vercellese (VC), è stato
costituito a partire da circa 50 piante madri
caratterizzate da fenotipo superiore, prelevate da 14 stazioni, rappresentative di 8
aree differenziate su base ecologica (Tani
et al. 2011). A livello europeo la lista comunitaria dei materiali di base contiene 1.834
fra Fonti di Seme, Soprassuoli e Arboreti di
Prunus avium.
Regioni di provenienza
La metodologia utilizzata per definire le
Regioni di Provenienza per il ciliegio si è
basata sull’analisi contemporanea delle caratteristiche ecologico-vegetazionali delle
aree di studio e sugli aspetti genetici delle
popolazioni forestali (Belletti et al. 2010). In
questo articolo si presenta l’adattamento
del metodo alla situazione peculiare di questa specie. Ricordiamo infatti che il ciliegio
presenta una diffusione sporadica per cui
appare improprio parlare di popolazioni nel
senso classico. Inoltre, il ciliegio è una delle
specie forestali la cui diffusione risulta maggiormente influenzata dall’attività antropica.
Per raggiungere l’obiettivo di definire ambiti
omogenei da un punto di vista ecologico e
genetico la metodologia ha previsto analisi
su un campione di 276 piante di ciliegio da
legno. Queste sono state successivamente
ripartite in 11 aree di raccolta principali, definite secondo criteri ecologici e vegetazionali: Colline interne del Piemonte (HPD, 27
individui), Alpi piemontesi occidentali (PDA,
22), Bosco Fontana (FON, 23), Prealpi lombarde (LOM, 30), Veneto orientale (VNE, 22),
Veneto occidentale (VNW, 37), Friuli Venezia
Giulia (FVG, 14), Emilia-Romagna (EMR, 16),
Toscana orientale (TSE, 31), Toscana occidentale (TSW, 39), Marche (MAR, 15). In
aggiunta a queste, altre 24 piante sono state campionate nel Centro-Sud Italia (SOU),
dove il ciliegio si trova meno diffuso: 3 piante
in Abruzzo, 4 in Lazio, 1 in Campania, 5 in
Basilicata ed 11 in Calabria.
Aspetti ecologico vegetazionali
A differenza di altre specie arboree, per
quanto riguarda il ciliegio, risulta più aleatorio definire con precisione le reali esigenze
ecologiche a causa dell’importante influenza
antropica nella sua diffusione; il ciliegio infatti, si riscontra in una grande varietà di stazioni (Figura 2). Specie termofila, con necessità
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xerofilo
meso-xerofilo
mesofilo
meso-igroclino
igroclino
meso-igrofilo
calcareo
neutro
debolmente acido
abbastanza acido
acido
molto acido
igrofilo
Figura 2 - Diagramma edafico per il ciliegio selvatico (R ameau et al. 1993, modificato).
Figura 3 - Analisi delle Componenti principali relative alle 11 aree di raccolta analizzate e basate sulla
variazione presentata a 10 loci microsatellite.
di estati lunghe e calde, resiste bene alle
temperature minime invernali (fino a -25 °C);
l’optimum termico si colloca fra 9 e 14 °C.
Da un punto di vista pluviometrico la specie
non ha particolari esigenze, vegetando in
stazioni con piovosità che oscilla fra 600 e
1.500 mm/anno.
Per quanto riguarda le quote, il ciliegio può
arrivare ad altezze di 1.500 -1.700 m: in
queste situazioni si sviluppa però solo in
esposizioni calde e riparate per soddisfare le sue esigenze di calore estivo. Al limite
inferiore può soffrire per aridità durante le
estati troppo calde, specialmente in stazioni collinari soleggiate. Al contrario, l’eccessiva piovosità o umidità ambientale (ad
esempio nelle formazioni di forra) favorisce
lo sviluppo di sindromi parassitarie (quali
l’antracnosi) che causano la caduta precoce delle foglie. Il suo optimum altitudinale è
situato tra 300 e 800 (1.200) m. Il temperamento è eliofilo, anche se tollera un certo
ombreggiamento da giovane. La longevità
media è valutata in 100 anni, ma già a 6070 anni le piante possono essere soggette
a carie del legno.
L’ampiezza ecologica del ciliegio si conferma anche nei confronti dei suoli: sono evitati soltanto quelli frequentemente inondati o
idromorfi, eccessivamente acidi e argillosi.
Il suolo deve restare fresco nella zona
esplorata dalle radici per l’intero periodo vegetativo; di conseguenza, le situazioni più
favorevoli si hanno sui bassi e medi versanti
e presso gli impluvi, con suoli profondi, drenanti e con una falda profonda. Infatti, i suoli
saturati in modo permanente o temporaneo
sono inadatti al ciliegio a causa del maggio-
re rischio di patologie radicali e carie del legno. Nei suoli in cui è presente un orizzonte
impermeabile, che permette la formazione
di una falda superficiale durante l’autunno e
l’inverno destinata a seccarsi progressivamente in primavera e in estate, il ciliegio può
comunque accrescersi, a condizione che la
saturazione risparmi gli orizzonti superficiali
per una profondità di 40-50 cm, aspetto verificabile sui terrazzi alluvionali antichi della
Pianura Padana settentrionale. Validi esemplari di ciliegio possono trovarsi sia in suoli
molto acidi, che in suoli fortemente calcarei.
è tuttavia molto più raro che questo avvenga quando il pH scende sotto 4,5; di conseguenza, un suolo troppo povero, con una
debole capacità di scambio, non permetterà al ciliegio di avere un buon accrescimento, anche qualora le condizioni idriche siano
soddisfacenti.
Aspetti genetici
Sono stati valutati il grado e la distribuzione
della variabilità genetica nel ciliegio da legno all’interno dell’area di distribuzione della
specie in Italia, con una particolare attenzione per le piante che crescono al margine meridionale dell’areale di diffusione, allo
scopo di raccogliere informazioni utili alla
conservazione della biodiversità propria
della specie e alla valorizzazione del potenziale adattativo delle sue risorse produttive.
Il DNA è stato estratto con appositi kit da
foglie giovani e poi sottoposto ad amplificazione col metodo PCR, utilizzando 10
marcatori molecolari altamente informativi
(microsatelliti nucleari - nSSRs), scelti tra
quelli disponibili in letteratura per il ciliegio,
sia domestico che selvatico. Per le caratteristiche dei marcatori, le specifiche di amplificazione e le metodiche di analisi dei dati si
rimanda alla bibliografia relativa ed a quanto
pubblicato in altra sede (De Rogatis et al. in
corso di stampa).
Tutti i primer utilizzati hanno prodotto un
elevato numero di bande analizzabili. Le
aree geografiche con il maggior numero
di varianti alleliche peculiari (alleli privati),
cioè presenti solo in quei siti, sono risultate
quelle relative alla Toscana (sia orientale che
occidentale). Tendenzialmente, i valori di
variabilità genetica riscontrati sono spesso
superiori a quelli evidenziati in altre ricerche
sul ciliegio da frutto: questo riflette probabilmente il fatto che il ciliegio selvatico conserva una base di diversità genetica maggiore
rispetto alla forma coltivata. Il numero totale
di alleli riscontrato negli individui analizzati
è elevato anche quando confrontato con
altri lavori riguardanti il ciliegio da legno: i
nostri risultati sono comunque coerenti col
fatto che l’Italia costituirebbe uno dei centri
di diffusione del ciliegio in Europa e conserverebbe perciò un numero superiore di varianti rispetto a quelle che si sono diffuse nel
resto del continente.
La distribuzione della variabilità è risultata tuttavia sbilanciata verso un eccesso di
omozigoti: questo dato potrebbe essere
spiegato con la presenza e diffusione in ambiente boschivo di individui domestici rinselvatichiti, i quali, in effetti, sono caratterizzati
da una maggior frequenza di omozigosi,
presumibilmente dovuta all’intensa selezione di cui sono stati oggetto.
Dal momento che un ridotto livello di etero-
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zigosi può essere associato ad una ridotta
fitness individuale ed alla compromissione
della capacità dell’intera popolazione di
adattarsi a cambiamenti ambientali, può
essere importante capire più nel dettaglio il
modo in cui le nostre popolazioni condividono la loro variabilità genetica.
La differenziazione tra zone di raccolta è risultata relativamente elevata, per cui di tutta
la variabilità genetica riscontrata, l’11% può
essere attribuito a differenze tra ambiti di
raccolta. In altre parole, sebbene la maggior parte delle variabilità genetica totale
osservata (89%) sia presente all’interno di
ciascuna area di raccolta, queste ultime si
differenziano tra di loro per una quota ancora significativa di variabilità. Il calcolo delle
distanze genetiche tra gruppi ha permesso
di evidenziare la maggiore similitudine tra le
due parti in cui è stata suddivisa la Toscana, mentre la distanza maggiore si è presentata tra le Alpi piemontesi e l’Emilia Romagna. I popolamenti emiliani e del Veneto
occidentale, vicini geograficamente, sono
risultati simili anche geneticamente, così
come i rilievi collinari del Piemonte con la
Lombardia. Invece, i popolamenti situati agli
estremi dell’area di studio (Alpi piemontesi
a Nord-Ovest e Marche a Sud) sono risultati essere quelli con un livello di differenziazione più alto. In Italia, la differenziazione
genetica misurata tra le 11 zone di raccolta
è relativamente elevata e comparabile con
quella misurata attraverso marcatori biochimici (Ducci 2005), soprattutto considerando
i valori trovati in altri lavori tra popolazioni
più distanziate in Francia e Georgia (Frascaria et al. 1993; Mariette et al. 1997; Santi
et al. 1988). Tale valore è compatibile con
il sistema riproduttivo del ciliegio, che viene
impollinato da insetti, soprattutto api e bombi, e disseminato dagli uccelli (Proietti et al.
2006). La sua distribuzione discontinua,
con formazione di piccoli gruppi di piante,
o piante isolate, letteralmente immersi nella
vegetazione boschiva, rende ancora più difficile lo scambio di polline tra individui.
È stato possibile identificare una sorta di
macrogruppo, comprendente le zone del
Veneto, dell’Emilia Romagna e della Toscana: è importante notare come queste siano zone in cui il ciliegio è tradizionalmente
coltivato sia per il legno che per il frutto, e
qui è possibile individuare le popolazioni più
grandi ed estese. Le zone di Bosco Fontana e delle Marche differiscono da tutte
le altre, trattandosi nel primo caso di una
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Figura 4 - Probabilità di assegnazione delle piante di ciliegio analizzate in Italia ad uno dei tre gruppi
individuati con l’analisi STRUCTURE. Ogni barra verticale corrisponde ad un individuo, e colori differenti
corrispondono alla probabilità di provenienza del genotipo da uno dei gruppi.
Figura 5 - Areale di distribuzione del ciliegio in Italia e Regioni di provenienza ecologiche.
foresta planiziale relitta, conservata inizialmente come riserva di caccia e poi divenuta
riserva biogenetica dagli anni ‘70 del secolo
scorso, mentre nel secondo caso ci si trova
di fronte ad un tipico caso di popolazione
delle valli appenniniche, con pochi individui
molto distanti tra loro. Le piante del gruppo
del Sud non si differenziano particolarmente
da quelle del resto dell’Italia, pur presentando un ristretto numero di alleli caratteristici.
Inoltre, sono risultate più affini geneticamen-
te alle piante di zone geograficamente più
vicine, come la Toscana, il Veneto occidentale e l’Emilia Romagna (Figura 3). Andando però a considerare tutti i singoli individui
campionati ed analizzando i dati col metodo
STRUCTURE, sembra possibile evidenziare
tre gruppi principali di piante, che tuttavia
hanno un alto grado di mescolamento a livello di aree di raccolta, per cui non è stato
possibile evidenziare un vero e proprio trend
di differenziazione generale. Tali gruppi
Valorizzazione delle
sono indicati, in Figura 4, con colori diversi:
di ogni individuo è riportata la probabilità di
appartenenza a ciascuno dei 3 gruppi identificati.
Conclusioni
Pur considerando la possibilità di un diffuso scambio genico dovuto alla dispersione
dei semi da parte degli animali frugivori, la
motivazione più plausibile per giustificare
la distribuzione attuale del ciliegio in Italia
sembra essere l’attività antropica, sia diretta
(coltivazione del ciliegio per legno e frutto),
sia indiretta (modifica degli habitat attraverso taglio e coltivazione delle aree dove si
presenta spontaneo).
È inoltre utile ricordare che, in passato, il
seme utilizzato per ottenere piantine da rimboschimento spesso derivava dall’industria
conserviera, con il conseguente rinselvatichimento e formazione di ibridi fra varietà
da frutto e ciliegio selvatici. Solo in questi
ultimi anni si presta maggiore attenzione
all’origine del materiale sementiero (Ducci et
al. 1988).
I risultati di questo studio contribuiscono a
migliorare la comprensione della distribuzione della variabilità genetica del ciliegio in
Italia, per una più efficace programmazione
della gestione della biodiversità.
In più, alla luce della Direttiva Comunitaria
105/1999, il materiale riproduttivo forestale
che ricade nelle categorie “identificato alla
fonte” e “selezionato” dovrebbe essere utilizzato solamente nell’ambito della propria
Regione di Provenienza d’origine, mentre gli
arboreti da seme possono essere considerati produttori di materiali “qualificati”.
Nel caso del ciliegio selvatico, in Italia non
è possibile identificare vere e proprie popolazioni, quanto piuttosto delle aree di raccolta, dove la specie cresce in maniera discontinua. Dal momento che i nostri risultati
sulla distribuzione della variabilità genetica
non consentono di raggruppare gli individui
in regioni omogenee, non è possibile trarre alcuna conclusione definitiva. Di conseguenza, si suggerisce di basare la definizione di Regioni di Provenienza utilizzando
prevalentemente dati di natura ecologica
e vegetazionale, ad esempio adottando la
ripartizione riportata in Figura 5. È tuttavia
importante notare come a risultati simili si
sia pervenuti anche in Francia, dove in effetti è stata proposta l’istituzione di un’unica
Regione di Provenienza (Anonymous 2003).
Si suggerisce inoltre di realizzare arboreti da
seme, in cui collezionare cloni di siti differenti, ma simili per quanto riguarda le condizioni pedoclimatiche, allo scopo di preservare quanta più variabilità genetica possibile
e semplificare le operazioni di reperimento
di materiale riproduttivo per gli addetti al
settore forestale.
Tali impianti permetterebbero anche di valutare variabilità individuale relativa a caratteri
adattativi e di qualità fenotipica, sfruttando
queste caratteristiche per il miglioramento
genetico e la selezione di famiglie e cloni
(Ducci 2005).
risorse genetiche
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i nf o . a r t i c o l o
Autori: Diana Ferrazzini, Università di Torino - DISAFA
Genetica Agraria. E-mail [email protected]
Paolo Camerano, IPLA SpA - Unità Operativa
Biodiversità, Foreste e Paesaggio.
E-mail [email protected]
Fulvio Ducci, CRA-SEL - Consiglio per la ricerca e la
sperimentazione in agricoltura, Forestry Research Center
(CRA-SEL), Arezzo. E-mail [email protected]
Anna de Rogatis, CRA-SEL - Consiglio per la ricerca e la
sperimentazione in agricoltura, Forestry Research Center
(CRA-SEL), Arezzo. E-mail [email protected]
Silvia Carnevale, ICRA-SEL - Centro di Ricerca per la
Selvicoltura, Arezzo. E-mail [email protected]
Piero Belletti, Università di Torino - DISAFA Genetica
Agraria. E-mail [email protected]
Parole chiave: Ciliegio selvatico, Regione di
Provenienza, risorsa genetica, arboricoltura da legno.
Abstract: Genetic and ecological aspects of wild
cherry in Italy. The aim of the work was to characterize
Italian wild cherry (Prunus avium L.) plants, from both an
ecological and a genetic point of view. Special emphasis
was set on the southern part of the country, which is
the border of the areal species. Plants growing in the
latter area did not show any significant difference from
the other populations. Generally it was not possible to
observe a structuring linked to the geographical location
of the breeding zones. The results of the study contributed
to better understand our knowledge of the wild cherry
genetic variation in Italy, but more efficient programs are
needed, for the biodiversity preservation and for a more
rational planning of the reproductive material’s management. Since our results do not show a clear structuring
of genetic variability within the Italian diffusion area of
wild cherry, it is not possible to draw any indications on
Regions of Provenance delimitation based only on genetic
data, and the identification of the latter should be based
mainly on ecological and vegetational features.
Key words:
Wild cherry, Regions of Provenance,
genetic resources.
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