Canidapresa 4-2009
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Canidapresa 4-2009 6-07-2009 13:38 Pagina 54 La lupa romana, un simbolo per l'alleanza ( Pare proprio che la lupa simbolo della città di Roma in realtà fosse un cane. In questo studio un’ipotesi affascinante addirittura sulla razza. 54 canidapresa R ecentemente, sul semestrale di cultura Sardegna Mediterranea, una rivista di nicchia, è stato pubblicato un mio articolo dal titolo “La Lupa e l'alleanza tra le tribù”. Si tratta della riflessione sul simbolo della città di Roma, argomento che, anche questa volta, vorrei condividere con i lettori. Partiamo dal fatto che nei primi mesi del 2007 numerosi articoli apparsi su importanti quotidiani nazionali e regionali illustravano le verosimili origini sarde della Lupa (“Il Sole 24 ore”, “La Nuova Sardegna”, “L'Unione Sarda”), divulgando inoltre i risultati delle analisi eseguite dal dottor Claudio Giardino, archeologo e archeo-metallurgo del laboratorio di Oxford, sul rame utilizzato per la sua fusione (il bronzo è una lega di rame e stagno). Il rame utilizzato per comporre la lega della preziosa statua, simbolo della città eterna, proviene senza ombra di dubbio dalla miniera di Calabona, in Comune di Alghero. Giovanni Colonna, archeologo e docente di Etruscologia e Archeologia Italica presso l'Università La Sapienza, scienziato di fama mondiale, convinto come è che il simbolo di Roma sia sardo al cento per cento, ha riportato la notizia su “L'Unione Sarda” del 17 marzo 2007; secondo il prof. Colonna, analizzata la terra di fusione, la statua esposta nei musei capitolini è stata fusa nel V secolo a.c. da artigiani sardi in una bottega della bassa valle del Tevere o di Roma: la sua ipotesi è sostenuta con forza e agita gli accademici, insidiando certezze acquisite nel mondo culturale italiano sulle origini della Lupa, simbolo, da millenni, della potenza romana. In origine, la Lupa non allattava Romolo e Remo, i due mitici gemelli, aggiunti nel 1471 d.C. per volere di Sisto IV, il Papa che ne fece dono alla città di Roma (essi risultano essere opera dell'artista Antonio Pollaiolo). La Lupa - originariamente sistemata nel Lupercale, la grotta ai piedi del Colle Palatino dove la leggenda vuole che i gemelli siano stati salvati e accuditi da una lupa come fossero suoi cuccioli - uno dei pezzi più importanti dei Musei Capitolini, sino a poco tempo fa veniva attribuita a Vulca, lo scultore etrusco che l'avrebbe fusa nel VI secolo a.C. per il Tempio di Giove Capitolino. In passato, alla Lupa fu data origine medioevale e una sostenitrice di questa teoria è la storica dell'arte Anna Maria Carruba che si occupò del suo restauro circa una decina di anni fa. In merito a questa ipotesi, Colonna ritiene che voler, a tutti i costi, dare fattura medioevale alla Lupa derivi dalla difficoltà di inquadramento iconografico delle sue particolarità nella produzione antica, etrusca in particolare, perché pur essendo gli Etruschi fonditori e realizzatori Canidapresa 4-2009 6-07-2009 13:38 Pagina 55 La Lupa, originale di epoca repubblicana, esposta nei Musei Capitolini di Roma (i gemelli sono stati aggiunti nel XIV secolo d.C., per volere di papa Sisto IV). di manufatti in bronzo, i tratti dell'opera non coinciderebbero con quelli della loro arte, soprattutto se riferiti alla giubba, il mantello dell'animale: esso è, infatti, di tipo leonino. Fusa tra il 500 e il 475 a. C., la scultura presenta un mantello particolare, un tratto che si individua in opere prodotte in Sardegna, quali i due busti in terracotta del Colle di Tuvixeddu in Cagliari e i due leoni feniciopunici di Tharros, Oristano. Le barbe dei busti di Tuvixeddu e la giubba della Lupa sono molto simili nella fattura. Lo studioso di arte antica del ‘900 Otto Brendel ( L’archeologo Giovanni Colonna propende per l’origine sarda della lupa capitolina, trascurando l’ipotesi etrusca distingueva dei collegamenti tra la Lupa e l'arte greco-persiana del VI sec. a.C. (ai tempi di Serse e Dario), elementi che il prof. Colonna individua nelle opere sarde. Deve inoltre ragionarsi sul fatto che nell'isola, già da prima del V sec. a.C., da parte di artisti e artigiani locali, si fondeva il bronzo con una avanzata e raffinata tecnica, conosciuta come della cera persa che consisteva nel fare una scultura in cera e quindi, una volta che questa si era rappresa, realizzare lo stampo di argilla sul quale, una volta asciugato, veniva versato, grazie a un'apertura, il metallo fuso. La miniera di Calabona, già utilizzata dai Sardi nuragici, era conosciuta anche da Fenici e Cartaginesi e, successivamente, dai Romani e gli scultori Sardi, precedenti e più esperti degli Etruschi, avevano forgiato la statua del Sardus Pater - Sardo (Pausania), l'eroe eponimo della Sardegna, giunto nell'Isola a capo dei Libi, probabilmente nel Neolitico Antico (VI - V millennio a.C.), consacrato e venerato proprio dai Romani come pater, ovvero padre - offerta al santuario di Delfi dove fu probabilmente portata dalla marineria sarda. Giovanni Colonna propende per l'origine sarda canidapresa 55 Canidapresa 4-2009 6-07-2009 13:38 Pagina 56 Arciere saettante in piedi sul dorso del cavallo, bronzetto nuragico del Sulcis, unica rappresentazione preistorica del cavallo rinvenuta in Sardegna (rielaborazione, da G. Lilliu, “Sculture della Sardegna Nuragica”, la Zattera, Verona, 1966). della lupa capitolina e trascura l'ipotesi etrusca perché, a suo giudizio, una volta che i Romani si liberarono del re Tarquinio il Superbo e degli altri lucumoni etruschi, diedero una svolta politica e culturale in età repubblicana. Ma, come abbiamo già avuto modo di dialogare in passato dalle pagine di questa rivista, vorrei proporvi una possibilità preistorica, non proprio inverosimile, condivisa da archeologi, accademici e studiosi del mondo antico: la civiltà romana potrebbe essersi evoluta da basi dinastiche Sardo-Etrusche. Nel passaggio dal Bronzo al Ferro, intorno al X sec. a.C. (1.150 - 850 a.C., Ugas G.), l'insofferenza delle tribù nuragiche - Sulkitani, Iolei, Galillensi, Iliensi, Balài, Nurritani, Corsi di Gallura etc. - nei confronti dei Re Cantonali (Lilliu) della Sardegna (o della federazione dei clan riuniti sotto un'unica guida politica-militare-religiosa) diede presumibilmente origine a moti sovversivi - dai quali nacque il periodo aristocratico sardo (in questo contesto preistorico nacquero le grandi capanne circolari, dove si riuniva il consiglio degli anziani del villaggio, archetipo di quello che fu il senato romano) culminati con la cacciata dei governanti, la casta degli appartenenti alle dinastie Eraclidi-Tespiadi, secondo la tradizione discendenti dai cinquanta figli che Ercole ebbe dalle giovani figlie del Re di Tespio, quaranta dei quali furono inviati da Ercole in Sardegna assieme a suo cugino Iolao per colonizzarla (Pausania, Diodoro Siculo, fine III - inizi II millennio a.C.). Gli Eraclidi-Tespiadi (più brevemente, Tespiadi: gli Shardana o Sherden o Sardiani, costruttori di torri, i nuraghi, i probabili capicordata dell'alleanza alla quale appartenevano i Popoli del Mare?) restarono a capo della Sardegna per molte generazioni per rifugiarsi, in piena decadenza, in Italia. I Tespiadi avevano governato la Sardegna attraverso numerose generazioni di re che nel mare avevano speso le proprie esistenze (nel misterioso sito archeologico di Montessu, in Comune di Villaperuccio, a qualche chilometro di distanza da Santadi, Sulcis, si trovano le tombe dei Principi 56 canidapresa Marinai Sulkitani, appartenenti ad un periodo ancora più antico, inquadrabile tra il V ed il IV millennio a.C.). Gli ultimi loro discendenti, signori dei nurakes, le migliaia di castelli turriti presenti nell'Isola, durante gli eventi appena narrati, al fine di porre fine alle sanguinose battaglie che vedevano contrapposti clan familiari ed etnie un tempo alleate, probabilmente concordarono rese, salvacondotti ed esilio. Imbarcati sulle navi nuragiche, gli ultimi Tespiadi furono esiliati nei dintorni di Cuma nel momento in cui gli àristoi indigeni, componenti del collegio degli anziani delle comunità del I Ferro, imposero una diversa organizzazione politico-sociale (G. Ugas, L'alba dei nuraghi, 2005, Edizioni Fabula srl, Cagliari). A un primo esodo repentino dei principi sardi e delle loro corti, fedeli guerrieri compresi, e dei loro animali - inclusi i cani da pastore e custodia e il tremendo Tzacaru (Jagaru o Txakaru), il cane d'attacco, assieme ai piccoli e nevriti cavalli autoctoni ancora presenti in Sardegna, in seguito battezzati musmon proprio dai Romani - seguirono altri allontanamenti, anche volontari, dei loro discendenti e dei nuovi clan nei quali questi si erano riuniti o integrati; essi, probabilmente, raggiunsero Cuma e tutta la vasta area continentale che successivamente venne chiamata Etruria. I principi sardi, forti della millenaria esperienza di governo e presidio del territorio (le fortezze nuragiche, circa ventimila, controllano tuttora coste e vie di comunicazione), di un esercito di guerrieri bene addestrati, non stettero con le mani in mano: essi potevano fare affidamento sui frombolieri balài e disponevano di fanteria armata di giavellotto i cui guerrieri impugnavano micidiali e lunghe spade ed altre, corte, portate sugli scudi come riserva, e di archi potenti, quanto di una cavalleria composta da arcieri in grado di galoppare anche in piedi sul dorso del cavallo (Arciere saettante del Sulcis) e che, similmente ai successivi combattenti Parti e Traci, scagliavano micidiali frecce contro il nemico, ma anche su mute canine da guerra. Canidapresa 4-2009 6-07-2009 13:38 Pagina 57 I cani, abilmente addestrati all'attacco, giacciono nelle tombe accanto al loro capo-branco, il guerriero ucciso in battaglia. E, intorno all'VIII secolo a.C., sorse la civiltà etrusca, durata ufficialmente sino al I secolo a.C.; gli Etruschi occupavano in origine il territorio compreso tra il Mar Tirreno, l'Arno e il Tevere ed erano divisi in numerose città rette ciascuna da un lucumone, magistrato supremo detentore del potere politico, militare e religioso. Le dodici più importanti città etrusche erano riunite in una dodecapoli; essi si espansero, a partire dal VII secolo, sino al Lago Maggiore a nord e, al Golfo di Salerno, a sud. Fonti antiche (Festo) parlano di Re Sardi dei Tirreni a Veio, una delle città della lega etrusca. Non possiamo dimenticare Michel Gras. Egli scrisse sui traffici tirreni antichi (1978) e sui rapporti tra l'Etruria villanoviana e la Sardegna (1985); in particolare, và ricordato che in tombe etrusche del VII sec. a.C. furono rinvenuti reperti nuragici - navicelle, altri bronzetti e oggetti vari - del IX o inizio VIII secolo a.C.: veri e propri falsi contesti. Questi oggetti, per Gras, giunti dalla Sardegna molti secoli prima, avrebbero seguito donne e uomini etruschi nelle loro tombe, ben due-trecento anni dopo, in quanto si tratterebbe di gioie care e sacre di famiglia, un vero e proprio tesoretto conservato e riutilizzato nelle tombe e nei santuari etruschi con evidente valore religioso. Prima di ultimare vorrei aprire un breve accenno sulla fondazione di Roma. Essa precipita nella leggenda e la sua data, il 21 aprile del 754 prima di Cristo, non è reale ma fu proposta da Marrone, contemporaneo di Virgilio, che partendo dal 509, data certa di inizio della Repubblica, aggiunse sette generazioni, di 35 anni ciascuna, corrispondenti ai sette re della tradizione orale. E' opinione preminente che il nome di Roma derivi dalla dinastia etrusca dei Ruma che diede anche il nome di Rumon al fiume Tevere. Alba Longa era invece il più importante centro dei Colli Albani ed ebbe un ruolo importante quale prima capitale fondata (secondo la mitologia, da Iulo-Ascanio figlio di Enea, principe troiano in fuga dalla sua città in fiamme, e di Lavinia, la figlia di Latinio, re Su cani-lioni, bellissimo esemplare di Mastino di Fonni con la caratteristica criniera* canidapresa 57 Canidapresa 4-2009 6-07-2009 13:38 Pagina 58 del luogo) alla foce del Tevere, nel luogo dove Enea trovò consolazione una volta sbarcato. Regnarono quindi dodici sovrani l'ultimo dei quali, Amulio, prese il trono al fratello maggiore Numitone e costrinse sua figlia Rea Silva a farsi vestale per impedirle di sposarsi e di avere figli; ma, sempre secondo la mitologia, essa, amata dal Dio Marte, mise alla luce due gemelli, abbandonati alle acque impetuose del Tevere per ordine di Amulio. La cesta che conteneva i bambini si arenò sotto un albero di fico e i due piccoli, Romolo e Remo, furono curati da una lupa. Cresciuti forti, una volta conosciuto il proprio passato, essi uccisero Amulio e misero sul trono loro nonno Numitone, re legittimo; fondarono quindi la nuova città, Roma, ai piedi del Monte Palatino, nei pressi del luogo dove erano stato salvati dalla lupa. La tradizione ha tramandato il nome di sette re di Roma, lucumoni che regnarono durante il periodo compreso tra il 754 e il 509 a.C.. La data di fondazione di Roma, come peraltro La “lupa”, originale di epoca repubblicana, esposta nei Musei Capitolini (foto R. Balìa). 58 canidapresa auspicano alcuni studiosi, potrebbe essere spostata al VI - V secolo a.C. e, se ulteriori indagini confermassero la datazione della Lupa Capitolina, quest'opera potrebbe rappresentare il simbolo appositamente forgiato per suggellare l'alleanza tra le antiche etnie di pastori che comparteciparono alla fondazione della caput mundi; e tra quelle genti non dobbiamo trascurare i Tespiadi in quanto, molto verosimilmente, ebbero un ruolo fondamentale, grazie alla loro pregressa esperienza politico-militare-religiosa e di governo nella nascita della potente civiltà romana, così come i successivi aristocratici sardi e i repubblicani che, stretti da vincoli di parentela, li raggiunsero nel continente in periodi successivi alla loro cacciata. Un apporto non solo culturale, quindi, che ancora resiste con la continua migrazione di intere generazioni di famiglie di pastori dalla Sardegna alle fertili terre di Toscana e Lazio, Umbria e Abruzzo nelle quali realizzano grandi allevamenti ovini e caprini, vere e proprie aziende modello; non è difficile, vagando lungo le strade provinciali e le campagne di quelle regioni, incappare in nugoli di cani ringhianti e dallo sguardo particolare che spuntano all'improvviso dai cespugli. Animali troppo simili a quelli delle contrade sarde: Cani di Fonni, soprattutto, vigili sui monti… come recita una nota poesia di un intellettuale sardo, Sebastiano Satta, vissuto agli inizi del secolo scorso. La “lupa”, originale di epoca repubblicana, esposta nei Musei Capitolini, particolare del taglio dei padiglioni auricolari (foto R. Balìa). Canidapresa 4-2009 6-07-2009 13:38 Pagina 59 Mustafà, Trighinu di Gavoi, altezza cm.75 e kg 50 di peso (proprietario e foto: R. Balìa) Su Jagaru (o Tzakaru o Ghijacaru, il Giagaro della Carta de Logu del Regno di Arborea), cane d'attacco dei sardi nuragici; il molosso primitivo (Cani pertiatzu). Un cane tigrato simile, anch'esso antico, si trova nei Paesi Baschi (più leggero e piccolo, viene chiamato Tzakur o Txakur o Villano de Las Encartaciones) e nell'area caucasica (in Georgia, molosso anche pesante, il suo nome è Dzagli, cane). Nella vicina Corsica invece, il Cursinu è un cane tigrato di recente assurto a razza, con vari fenotipi, dal mantello tigrato e comunque di taglia media (di molosso ha ben poco); esso viene utilizzato nella caccia al cinghiale e somiglia ai “pertiatzus” imbastarditi che vagabondano per le campagne sarde. Tornando ora alla Lupa Capitolina mi chiedo da tempo (avevo nove anni quando la vidi per la prima volta e mi sorse il dubbio!) se effettivamente sia il ritratto di una lupa e non invece quello di una cagna alla quale, come da tradizione pastorale, furono parzialmente tagliati i padiglioni auricolari: lo studio della statua originale, che ho potuto analizzare nei minimi particolari, mi porta verso questa conclusione. Dal punto di vista strettamente tecnico, inoltre, dobbiamo ammettere che l'amputazione della parte esterna del lobo auricolare risulta evidente anche a un profano: contrariamente al lato interno delle orecchie, infatti, il metallo del lato esterno non ha i bordi integri, “lavorati” arrotondati o smussati, ma presenta invece un rustico “taglio netto e sfrangiato”, a testimonianza della volontà di rappresentarlo tale e quale. Non di lupa, quindi, si tratta… Moro, Mastino di Fonni “raspinu” di dieci anni, fenotipo lupo-mastinoide dotato di abbondante criniera (propr. e foto R. Balìa). Può trattarsi, infatti, di un cane guardiano, da custodia e attacco, indispensabile per quelle comunità arcaiche, piuttosto che di un lupo; e questo concetto si rafforza se penso agli altri particolari della statua: sguardo frontale, taglio tondo e non a mandorla e obliquo degli occhi e via di seguito, soprattutto se raffrontati alle raffigurazioni di lupoidi con evidenti orecchie ritte alquanto dissimili da quelle della “lupa” presenti nei musei capitolini. Il vello leonino è una caratteristica attuale di alcune tipologie di Mastino di Fonni e di Trighinu di Gavoi e Leone è il nome che si suole dare al proprio animale; alla stessa criniera viene inoltre associata notevole aggressività tanto che il Fonnese viene anche chiamato su cani-lioni, il cane-leone. Roberto Balìa Working Bulldog Research Center *(dal sito internet http://www.flickr.com/photos/aska360/2523988765/in/pool-684254@N20) canidapresa 59