Commento alla Parola - IV Domenica di Quaresima

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Commento alla Parola - IV Domenica di Quaresima
COMMENTO ALLA PAROLA
IV Domenica di Quaresima - Anno B
LETTURE: 2Cr 36,14-16.19-23 • Sal 136 • Ef 2,4-10 • Gv 3,14-21
A somiglianza di altre domeniche, la liturgia di oggi proclama drammaticamente l’annuncio
essenziale: l’amore di Dio che salva in ogni caso, anche quando l’uomo si ostina. La prima lettura,
dal libro delle Cronache, mostra che non ostante le disobbedienze e la durezza del popolo, dopo una
distruzione devastante e un congruo tempo di “penitenza”, Dio perdona, suscitando un re pagano,
che decreterà la possibilità del ritorno a Gerusalemme. Come dire che c’è sempre una via di ritorno.
“Ritorno” appunto è la parola chiave del tempo di Quaresima.
La seconda lettura, presa dalla lettera di S. Paolo ai cristiani di Efeso, ci porta al centro
dell’annuncio cristiano: eravamo morti a causa delle nostre colpe; ma Dio gratuitamente ci ha fatto
tornare in vita, per la Risurrezione di Cristo Gesù. E insiste: “e ciò non viene da voi, né dalle vostre
opere, perché nessuno possa vantarsene” (Ef.2,9). La palude in cui tutti ci eravamo cacciati ci
avrebbe ingoiati nelle sabbie mobili, se non fosse arrivata inaspettatamente una mano forte a
trasportarci su terreno solido.
La lettura evangelica è un brano di grande intensità, come capita spesso nel il Vangelo secondo
Giovanni. Per entravi non possiamo evitare di situarlo nel suo contesto. Si tratta di un
colloquio/discussione provocato da Nicodemo, un fariseo praticante, che faceva parte della “casta”.
Egli volle conoscere Gesù, quest’uomo strano, che non ha fatto studi accademici, ma che tuttavia
parla con autorità impressionante e fa cose diverse da tutti gli altri. Lo va a trovare di notte. Andarci
di giorno, data la posizione sociale, avrebbe dato nell’occhio. Comincia con un complimento:
“Rabbì, tu sei mandato certamente da Dio; nessuno infatti potrebbe fare i segni tu fai…(Gv.3,2).
Gesù lo spiazza subito, portando il discorso su tutt’altro piano: “Nessuno può entrare nel Regno di
Dio, se non nasce di nuovo”(3,3). Più buio che mai. Ribatte: “Come può un uomo adulto rientrare
nel ventre di sua madre…come può accadere questo?” Gesù continua a spiazzarlo: lui non può
capire, perché è prigioniero dei propri schemi mentali, ma chi è nato da acqua e da Spirito, è libero
come il vento e può entrare in questa nuova dimensione. Infine per arrivare al dunque, Gesù fa
appello a un segno ben conosciuto dai Giudei, il serpente di bronzo. Simo al brano di oggi. Narra il
libro dei Numeri (Nm.21,4-9) che a causa delle continue ribellioni, Dio lasciò che durante la lunga
marcia nel deserto, incappassero in un’invasione di animali velenosi, che mordevano e uccidevano.
Si pentirono e ricorsero all’intercessione di Mosè; alle cui preghiere Dio concesse il rimedio: faccia
fondere nel bronzo l’immagine di un serpente e lo fissi in cima ad un palo; quelli che lo
guarderanno con fede, saranno salvi dal veleno mortale. Gesù afferma che similmente “Il figlio
dell’uomo deve essere innalzato, perché chiunque crede in Lui abbia la vita” (Gv.3,14-15).
In questa ultima frase c’è la chiave per comprendere il senso della liturgia di questa quarta
domenica di Quaresima: credere nel Figlio dell’Uomo innalzato. A partire dal simbolo del serpente
di bronzo, Gesù spiega che cosa significa credere. Credere è ritenere Dio assolutamente affidabile;
Lui che ama ciascuno di noi personalmente, senza condizioni, al punto di dare suo Figlio in mano a
gli aguzzini, perché noi abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza (Gv.10,10). Credere è l’opposto
di diffidare. Fin dall’inizio della Bibbia, la figura del serpente è collegata con questa faccenda della
diffidenza, del sospetto. Tutti ricordiamo la narrazione simbolica di Genesi 3, quando Satana, nelle
sembianze del serpente, introduce il sospetto nello spirito della donna e dell’uomo: “Dio non è ciò
che voi credete! Anzi è un tiranno, geloso che vi impedisce di essere felici. Non date retta!”
Purtroppo abboccarono, come abboccò il popolo che viaggiava nel deserto, come abbocchiamo tutti
noi: dubitare della bontà di Dio, sospettare che veramente potrebbe trattarsi di un dio crudele,
punitore, che impedisce all’uomo di svilupparsi, di realizzarsi. Gesù oggi ci dice, come quel giorno
disse a Nicodemo: “Dio ama il mondo talmente tanto, da dare il suo Figlio unico”. Gesù issato sulla
croce è la prova definitiva di questo amore appassionato di Dio.
La nostra fede si gioca su questa scelta: ritieni affidabile il Dio di Gesù Cristo, o preferisci il
suggerimento del Maligno?
Tra i temi sviluppati nel vangelo di oggi, c’è quello della Luce, già introdotto nel prologo: “Egli era
la Vita e la Vita era la luce degli uomini; la Luce brilla nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta”
(Gv.1,5). Oggi la Luce è presentata come discriminante: rifiutarsi di venire alla Luce è la vera
autocondanna. Il giudizio di cui parla Gesù non è la scelta arbitraria di Dio, ma piuttosto la scelta
dell’uomo, che decide di rimanere nelle tenebre.