Siviglia Casa damasco

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Siviglia Casa damasco
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Neanche un’ora dopo, erano circa le cinque, Irina suonava alla porta. Apparve con un
sacchetto di carta e una bottiglia di vodka: «Ho voluto portare un tocco di casa mia.
Vodka. È la Smirnoff. Non è la Rùsskaya Vodka che piaceva a mio nonno. E pure a mio
zio Vassili a cui tu assomigli molto. Anche lui aveva una bella barba precocemente
sbiancata. Più lunga della tua. Vassili, un simpatico sfortunato birbone che mi ha
insegnato a leggere i libri e di cui ti racconterò, se capiterà. La Rùsskaya qui non sono
riuscita a trovarla, anche se so che c’è. L’ho vista in camera di qualche mia collega.
Chissà che un giorno non riesca a fartela assaggiare». Sorrideva mentre si dirigeva ad
appoggiare sacchetto e bottiglia sul banco bar che era anche il bancone della cucina.
Dal sacchetto estrasse un sacchettino di nailon con dentro qualcosa di verde. Si
guardò in giro e si diresse decisa verso un armadietto a vetri, ne prese una ciotola e vi
versò il contenuto del sacchetto. Cetriolini sotto aceto. «Con questi l’accompagnava
nonno Oleg. Due cetriolini e un sorso di vodka. Sai cosa significa la parola vodka? Da
voda, acqua, è come dire acquolina. Limpida e trasparente come l’acqua, ma con un
grado alcolico che può superare i 50 gradi». Parlava a raffica, entusiasta, le frasi
condite di continui risolini. Lui trovava molto gradevole quella voce quasi bambina.
«Però, prima di berla, lasciamola un po’ nel freezer. Va gustata molto fredda e liscia.
Anche se si usa spesso per cocktail. Conoscerai il Bloody Mary, con succo di pomodoro
e tutta una serie di spezie piccanti, aromi e altri accidenti. Nei night vi ho visto
aggiungere perfino del dado da brodo. Ma vuoi mettere la vodka ‘nature’, fredda e
liscia, appunto?». Distese la bottiglia nel freezer, notando una bottiglia di Absolut
Vodka. «Ah, vedo che il tuo amico Nabìl ha della vodka. Ma ti assicuro che la Smirnoff
è migliore della Absolut. Quella vien prodotta in Svezia. Vuoi mettere?».
Smirnoff o Absolut, per lui faceva lo stesso. Non spasimava per la vodka. Preferiva di
gran lunga il liquore locale, l’àraq, a quello russo o russeggiante per cui non aveva
sensibilità e che gli sembrava insapore alcol assoluto diluito con acqua. Ma non
l’avrebbe mai manifestato con lei.
«E allora? La Jacuzzi? Me la fai vedere?». Senza aspettar risposta si diresse verso la
stanza di Nabìl. Lui la seguì, due passi dietro. Irina entrò fermandosi subito accanto al
letto dell’amico, sfatto come al solito, colpita dai kamasutrici quadri che adornavano le
pareti. «Non si può dire che il tuo amico Nabìl sia indifferente al sesso – argomentò
tra il serio e il faceto – sembra quasi la via crucis che mi mostrava mia nonna nella
chiesetta quasi nascosta dove mi portava da bambina. Solo che le cosiddette stazioni
hanno ben altri personaggi e altre posizioni. Chissà se Nabìl le prova tutte in sequenza.
Lo chiederò a Nadia», disse ridacchiando della propria battuta. Sorrise anche lui.
La porta del bagno era aperta e lasciava intravedere la tonda larga vasca
dell’idromassaggio. Come la vide girando lo sguardo, Irina dimenticò subito i quadri ed
entrò fermandosi al bordo: «Che meraviglia! Al night ce n’è una in un bagno, ma ben più
piccola. E non sempre ci è permesso di usarla. Una così l’ho vista solo durante un breve
viaggio in nave sul mar Nero, quando lavoravo a Istanbul. Quanto mi piacerebbe
provarla». I suoi occhi scintillanti si fissarono su quelli di lui in un’espressione
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biricchina: «La proviamo?». Lui ebbe un attimo di disagio e d’incertezza. Sta
scherzando. Sperò che lei non si fosse accorta di quel suo sentimento d’imbarazzo. Ma
rispose come se la proposta fosse stata intesa seriamente: «No. Non lo farei senza
prima chiedere il permesso a Nabìl». Sembrò delusa. Ma ribatté subito ridendo:
«Gliene chiederemo il permesso». Si accorse dell’oscurante che chiudeva la finestra e
su cui erano rappresentate due giovani donne discinte in passionale atteggiamento:
«Ottimo stimolante per un bagnetto a due. Ma forse più consono a tre, visto quanto
possono suggerire le due donzelle e la capienza della vasca». L’aveva buttata quasi con
nonchalance, ma guardandolo di sottecchi con aria di presa in giro, mentre si dirigeva
verso la porta.
«Vediamo come sta la nostra vodka». Prese dal freezer la bottiglia, sbiancata dai 20°
sottozero, assieme a due lunghi bicchierini gelati messi lì apposta per il liquore.
«Credo che ci siamo». La capovolse per rimescolare il liquido, girò il tappo a vite dopo
averne tolta la stagnola di protezione e ne versò un dito. Portò il bicchierino al naso,
poi ne prese un piccolo sorso. «Non è ancora alla giusta temperatura, ma
accontentiamoci». In un colpo bevve il piccolo resto. Riempì i due bicchierini e ne
porse uno a lui. «Dobbiamo fare un brindisi benaugurale avendo appena aperta la
bottiglia. Brindo alla nostra bella amicizia. La più bella che abbia incontrato qui a
Damasco». Sorrisetto di sottecchi ribadendo: «Davvero, eh». Il suo bicchierino sfiorò
l’altro con lieve tintinnio di vetro: «Alla nostra amicizia», sempre sorridendo. «A
questa nostra stramba simpatica amicizia», ribatté lui. Guardandosi, bevvero insieme
un piccolo sorso. Poi lei gli porse la ciotola coi cetriolini. Ne prese due come da
indicazione gustandone il gusto asprigno. Lei lo imitò facendo seguire un sorso del
liquore strizzandogli l’occhio e facendogli un sì con la testa perché facesse
altrettanto. Trovò che la vodka si sposava bene col sapore dei cetriolini tanto che per
la prima volta la apprezzò. Sorrise tra sé al pensiero che fosse la presenza di Irina a
fargliela apprezzare. «Tuo nonno la sapeva lunga su vodka e cetriolini. Veramente
buono l’accostamento. Come pistacchi e àraq. Come un mezzo uovo sodo con una
acciuga sopra seguito da un bicchiere di buon vino rosso a Venezia. E anche in
Spagna». «Sei stato in Spagna? Per un momento sembrava dovessi andarci anch’io.
L’anno scorso ho conosciuto uno spagnolo a Beirùt. Pedro. Lo chiamavo Piotr – sorrise,
forse un po’ triste – ed era forse appena un po’ più giovane di te. Vedovo. Un bell’uomo,
anche lui con barbetta attorno a dei lunghi baffi. Veniva spesso al night e chiedeva
sempre di me. Quando cominciammo a vederci fuori non venne più nel locale. Non ne
sentiva più la necessità, mi diceva, incontrandomi di giorno. Me ne ero innamorata –
credo anche in un certo senso ricambiata, almeno un po’ – e avemmo una relazione.
Breve purtroppo. Un paio di mesi. Poi dovette partire per dei problemi sorti al figlio
che – mi diceva – era mio coetaneo. Promise che mi avrebbe invitato a Siviglia dove
abitava. Se me l’avesse chiesto l’avrei anche sposato. E io ci speravo». «Avresti deluso
tua nonna con un marito non russo. E pure anziano. Altro che sei figli». Al leggero
sorriso di lui rispose quello lieve di lei: «Già». S’erano seduti sul divano del soggiorno,
portandosi la vodka e i cetriolini, attingendovi a più riprese. «Per qualche mese ci
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tenemmo in contatto per sms. Mi aspettavo sempre un invito. Cui forse non avrei
potuto rispondere senza perdere il giro di lavoro. Ma, se me ne avesse dato adito,
avrei anche lasciato il lavoro, almeno per qualche tempo. Avrei chiesto un permesso.
Ma… d’un tratto i suoi messaggini cessarono. Provai a chiamarlo. Niente. Il numero non
era più attivo. E così terminò la mia avventura spagnola». Per qualche secondo guardò il
tappeto ai suoi piedi, prima d’alzar gli occhi su di lui tentando un sorriso che risultò
tirato. Era chiaro che sentiva ancora quella delusione e a lui sembrò di provare un vago
senso di gelosia. Ma Irina si riprese immediatamente: «Dai. Non bevi più? I sottaceti
sono tutti lì». Lui aveva bevuto un paio di bicchierini, lei quattro o cinque e ora
sembrava le facessero effetto. Lì riempì nuovamente tutt’e due. Due cetriolini e vuotò
il suo. Quasi a voler respingere il mesto ricordo rievocato, pensò lui sorbendo a piccoli
sorsi il forte liquore e guardandola in silenzio con un’ombra di sorriso, mentre lei
prendeva la bottiglia. Che le scivolò di mano cadendo sul tappeto. Senza rompersi, ma
perdendo un po’ del suo contenuto.
(continua alla prossima)
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