Presentazione Unico 150 - Hi

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Presentazione Unico 150 - Hi
Presentazione Unico 150
Unico 150 è un amplificatore sviluppato secondo criteri al contempo audiofili
e scientifici, che hanno portato alla realizzazione di un prodotto diverso sia
dalla precedente produzione Unison Research a stato solido sia da qualsiasi
altro amplificatore presente sul mercato.
Se state leggendo questo documento siete necessariamente appassionati
della riproduzione musicale effettuata al più alto livello qualitativo, e quindi è
probabile che abbiate almeno sentito parlare di concetti quali quelli di
“Controreazione”, “Linearità”, “Struttura armonica”, “Timbro valvolare”,
“Semplicità strutturale” e via discorrendo, perché sono da molti anni dei veri
e propri consolidati luoghi comuni delle discussioni tra appassionati del Bel
Suono.
Solo pochi sanno però interpretarli tutti in modo corretto, e solo un
sottoinsieme di questi sa attribuire un “peso” razionale alla loro influenza su
quello che è l’obiettivo primario finale: la qualità sonora del nostro impianto
Hi-Fi.
Pensiamo ad esempio alla controreazione. Il solo citarla produce oggi
ostracismi ed una sorta di automatico rigetto, ma ci si dimentica che senza
controreazione probabilmente i primi amplificatori dotati di prestazioni di
base adeguate all’idea di “Alta Fedeltà” avrebbero ritardato di qualche
decennio, e che anche oggi molti amplificatori eccellenti sono fortemente
controreazionati, almeno in qualche area dei loro circuiti, se non in tutte.
Perché allora tanta repulsione nei confronti della controreazione?
Perché se si riesce a ridurla, o addirittura a non usarla, il risultato è
migliore. Controreazionare significa far pilotare il nostro amplificatore non
direttamente dal segnale di ingresso (il che dovrebbe essere il nostro
intento) bensì dalla differenza tra quello ed il segnale di uscita, e tanto più
piccola (in termini percentuali sul segnale d’ingresso) è questa differenza
tanto maggiore è l’influenza del segnale di uscita rispetto al segnale che
controlla l’amplificatore. Una piccola differenza percentuale significa un
guadagno intrinseco dell’amplificatore (il cosiddetto “ guadagno ad anello
aperto”) molto elevato, e questo processo potrebbe essere comunque
accettabile se insieme ad un guadagno elevato l’amplificatore fosse
caratterizzato anche da una bassa distorsione e da una grande estensione di
risposta, in modo da restituire tutte le frequenze udibili in modo non
alterato. Purtroppo è vero il contrario: dato un qualunque circuito, con
determinate caratteristiche di base (distorsione e banda passante, in primo
luogo), se lo si modifica nel senso di aumentarne il guadagno se ne peggiorano
le caratteristiche, e se invece il guadagno viene ridotto (nel modo opportuno:
questo ragionamento vale solo per variazioni effettuate cum grano salis) tali
caratteristiche migliorano. Se il progettista opta per un alto guadagno ad
anello aperto, le prestazioni elettriche finali migliorano, si ottiene cioè un
amplificatore con minore distorsione armonica, banda passante più estesa,
minor rumore e minore impedenza di uscita. Però il segnale d’ingresso sarà
sempre meno rilevante nel pilotaggio dell’amplificatore, e ciò ha conseguenze
negative, perlomeno se il nostro intento è la massima possibile fedeltà.
Supponiamo ad esempio che l’amplificatore distorca leggermente di seconda
armonica: se è controreazionato il suo ingresso non è pilotato solo dal segnale
che arriva dalla sorgente (che idealmente dovrebbe essere il solo legittimato
a ciò !), ma anche dal segnale di uscita. Dato che nel segnale di uscita è
presente seconda armonica, anche questa concorrerà a pilotare l’ingresso, e
per la medesima nonlinearità di cui abbiamo appena parlato diventerà quarta
armonica, e poi ottava, sedicesima etc. Inoltre, tanto più alta è la
controreazione, tanto maggiore sarà lo “spostamento” verso le frequenze
elevate (ovvero verso gli “ordini” elevati) del residuo distorto. In altre
parole, la distorsione si riduce, ma cambia del tutto la sua composizione.
Questo fenomeno va scongiurato perché la distorsione diventa sempre più
udibile e fastidiosa quanto più alto è il suo ordine: la seconda armonica si
“sente” meno della quarta, la quarta meno dell’ottava e via discorrendo. E dal
punto di vista di come l’orecchio umano percepisce i suoni non c’è un legame di
tipo lineare tra ordine e percepibilità, ma soprattutto non c’è un legame
lineare tra ordine ed “eufonicità”, ovvero sull’effetto apparente che un certo
ordine di distorsione produce sulla qualità del suono percepita. Una quantità
molto piccola di distorsione di ordine elevato può essere percepita molto più
facilmente, e danneggiare la qualità sonora, molto più di quantità elevate di
distorsione di basso ordine, soprattutto se si parla di seconda armonica (ed
in parte il discorso vale anche per la quarta). Addirittura la seconda armonica
può contribuire a rendere il suono più gradevole, soprattutto nel senso di più
“incisivo” in termini di volume apparente, in particolare alle basse frequenze.
In generale, le armoniche il cui ordine è una potenza intera di 2 (seconda,
quarta, ottava, sedicesima etc.) vengono riconosciute dal nostro sistema
uditivo come lo stesso suono ma traslato ad ottave superiori (una nota a 440
Hz è un “LA4”, ma è un LA anche quello a 880 Hz, a 1760 Hz, a 3520 Hz
etc.), mentre le armoniche dispari generano sempre segnali dissonanti, che
quindi alterano maggiormente il modo in cui percepiamo una determinata
componente del programma sonoro da riprodurre. Va anche fatta una
annotazione importante: la distorsione armonica non è la sola forma di
distorsione che può danneggiare il suono, ve ne sono anche di più complesse,
ed in primo luogo quella cosiddetta di “intermodulazione”: la distorsione
armonica è però di norma preponderante, sia negli amplificatori che negli
altoparlanti.
Ma quale è la distorsione “naturale” dei circuiti? Se fosse di alto ordine,
applicare molta controreazione potrebbe non essere controproducente,
perché ciò significherebbe non solo ridurre la distorsione in valore assoluto,
ma anche “spostarla” a frequenze molto alte, magari fuori del range udibile.
Invece no, i dispositivi di amplificazione di cui disponiamo oggi (le valvole
termoioniche e gli amplificatori a “stato solido”, ovvero transistor bipolari e
mosfet) distorcono tutti –se ben usati- con ordini bassi, ed in particolare di
seconda e terza armonica, pur se con differenze di non poco conto tra valvole
e stato solido.
Ne consegue che la controreazione può essere sia un bene che un rimedio
peggiore del male: è un bene se applicata a circuiti poco prestanti, perché ne
può migliorare le performance fino a valori accettabili, mentre è un male se
usata in un circuito di alte prestazioni, perché ridurrebbe la quantità
assoluta della distorsione ma ne aumenterebbe la “dannosità”. E questo non è
il solo effetto negativo della controreazione, ne citeremo rapidamente altri
due, sebbene l’elenco sarebbe più lungo. Il primo riguarda la stabilità
dell’amplificatore: dato che il segnale di uscita è modificato (più o meno a
seconda di come è disegnato il circuito) dal carico, se l’amplificatore è
controreazionato la natura del carico modifica il segnale di pilotaggio,
inducendo alterazioni che possono portare alla perdità parziale o totale della
stabilità in frequenza (il circuito tende cioè ad oscillare, in maniera più o
meno controllata). Il secondo è la perdita della “coerenza”: se un circuito ha
una banda di risposta più stretta di quella udibile ed è controreazionato, la
quantità di controreazione (il cosiddetto “fattore di controreazione”) sarà
costante su tutte le armoniche significative del segnale trattato solo alle
frequenze più basse, mentre al salire della frequenza scenderà
drasticamente. Il risultato sarà che la distorsione residua scenderà di molto
alle frequenze più basse, ma scenderà molto meno (ed al limite non scenderà
affatto) alle frequenze alte. Parallelamente, l’impedenza di uscita
dell’amplificatore tenderà a diventare induttiva, ovvero ad aumentare alle
alte frequenze, laddove un circuito non reazionato presenta di norma una
impedenza di uscita resistiva, costante a tutte le frequenze
A questo punto, indirettamente, abbiamo già citato un secondo “traguardo
agognato” degli appassionati del Bel Suono: la semplicità strutturale. I
dispositivi di amplificazione di cui disponiamo oggi non sono perfetti, però di
base distorcono (sempre se ben usati, è necessario sottolinearlo) nel modo
meno dannoso per l’ascolto, generando soprattutto distorsione di ordine
molto basso (e di seconda armonica in particolare). C’è però un problema: se
ne mettiamo tanti uno dopo l’altro la struttura della distorsione diventa più
complicata, un po’ per le interazioni reciproche, ed anche perché le
distorsioni dei singoli stadi possono tra loro interagire, sovrapponendosi in
maniera costruttiva (incremento di taluni ordini) o distruttiva (riduzione). In
molti casi ciò che si ottiene (a volte in modo mirato, cercando la simmetria
circuitale, altre involontariamente) è una riduzione delle prime due
componenti pari, che sono proprio quelle che invece potrebbero rimanere
senza fare grossi danni (se non addirittura contribuendo ad aumentare il
piacere dell’ascolto). Quanto appena descritto spiega in modo razionale il
motivo per il quale in Alta Fedeltà la semplicità strutturale è una meta assai
ambita, ma che in pochi hanno avuto il coraggio od anche semplicemente
l’abilità di implementare, con forse una sola eccezione: i costruttori di
amplificatori “Single Ended”, tecnologia di cui Unison Research è vessillifera
a livello mondiale da oltre quarant’anni.
Il motivo è presto detto: se si riducono gli stadi in cui transita il segnale, si
riduce il guadagno totale ad anello aperto e si è costretti ad aumentare il
guadagno dei singoli stadi, altrimenti non si ottiene un guadagno sufficiente
ad amplificare le usuali sorgenti di linea. Ambo questi vincoli vanno nella
direzione di un peggioramento delle prestazioni: un piccolo guadagno ad anello
aperto comporta l’impossibilità di applicare molta controreazione (e quindi di
ottenere distorsioni bassissime), ed aumentare il guadagno dei singoli stadi
significa peggiorarne le prestazioni (aumenta la distorsione e si restringe la
banda passante). Ecco perché la pratica totalità degli amplificatori in
commercio utilizza molti stadi in cascata, in molti casi decine di stadi di
cascata.
Qual è il minimo numero di stadi che è possibile utilizzare? In teoria anche
uno solo: usando una configurazione single ended in classe A ed una valvola
dotata di un buon guadagno, oppure un mosfet di specifiche adeguate, si può
realizzare un amplificatore che connesso ad un normale player sarebbe in
grado di erogare alcuni watt sugli altoparlanti. Ad un prezzo molto alto, però,
e non in termini economici, sebbene ovviamente il costo in denaro di ogni watt
sarebbe molto alto anche quello. Un amplificatore siffatto avrebbe sì una
distorsione preponderante di seconda armonica, ma questa distorsione
sarebbe molto alta (molte unità percentuali) e sarebbe associata ad una
elevata impedenza di uscita; inoltre –trascurando altri limiti secondari- la
capacità di pilotaggio sarebbe modesta, perché la massima corrente sarebbe
limitata da quella di polarizzazione. Insomma, il problema non va inquadrato
mettendo come vincolo di progetto il numero di stadi, bensì cercando di
capire quale è il numero minimo di stadi che permette di ottenere le
prestazioni necessarie per ottenere il più alto piacere di ascolto.
Che non sia un problema semplice lo dimostra la constatazione che di
tentativi significativi in questa direzione ne sono stati fatti pochi e talvolta
controversi, salvo appunto le amplificazioni Single Ended, che però sono
ovviamente molto costose e non adatte a pilotare altoparlanti esigenti in
termini di massima corrente.
La nostra ricerca è stata svolta proprio in questa direzione, ed ha condotto
a due topologie circuitali di prestazioni adeguate agli standard per noi non
rinunciabili, una a 3 stadi ed una a 2 stadi, entrambe a controreazione zero.
La prima, utilizzata in Unico 150, è più adatta ad amplificazioni integrate di
potenza medio elevata, la seconda trova la migliore applicazione nell’ambito
delle potenze medie, ma entrambe consentono di raggiungere standard di
linearità pressochè impossibili da ottenere con tecnologie Single Ended ed
una capacità di pilotaggio notevole, tipica delle migliori amplificazioni a stato
solido.
Il cuore circuitale di Unico 150 è la sua struttura ibrida, con tutto il
guadagno (ed il “carattere”) determinato dai primi due stadi valvolari,
realizzati con triodi configurati in modo da presentare un limitato guadagno e
la minor possibile impedenza di uscita. La scelta dei triodi è stata
determinata da più elementi, che nello sviluppo del progetto, presi in
considerazione in termini di esclusioni progressive, hanno rapidamente reso
evidente la sostanziale unicità delle opzioni disponibili. Tra questi citiamo
solo la linearità di accoppiata, ovvero la compensazione reciproca ed
automatica delle nonlinearità di ciascuno, l’alta escursione lineare di segnale e
la rilevante capacità di corrente del triodo di uscita, necessaria per il
pilotaggio del carico costituito dagli stadi finali, ovvero (in modo
preponderante) dalle capacità d’ingresso delle coppie complementari di
hexfet prescelti. Lo stadio di guadagno a triodi è dotato di un proprio anello
di reazione parziale, caratterizzato da un fattore di controreazione molto
basso (16 dB, vale a dire, per grandi linee, tra un decimo ed un decimillesimo
del valore tipico adottato in topologie simili) e serve soprattutto ad
agevolare l’ottenimento di una impedenza di uscita molto bassa (circa 60 ohm,
un valore molto piccolo per un circuito valvolare), senza minimamente
intaccare il parametro “coerenza”. Abbiamo detto sopra che sia le valvole che
i transistor (bipolari o ad effetto di campo che siano) distorcono soprattutto
con ordini bassi, ma in termini di generazione dei residui secondari di alto
ordine le valvole sono insuperabili, e sono in pratica le sole che consentono –
sempre se ben usate- di avere una “forma” dei residui invariante o quasi su
tutto l’arco delle frequenze udibili dall’orecchio umano. Molti audiofili parlano
del suono “morbido” delle valvole: quasi nessuno ne ha consapevolezza, ma
questa caratteristica è immediatamente identificabile su quello strumento di
misura denominato “oscilloscopio”. Se si usa un oscilloscopio per visualizzare
la forma d’onda dei residui di distorsione di un circuito a valvole ben
impostato non si notano mai variazioni di segnale “rapide”, men che mai tratti
verticali od appuntiti, che invece sono la norma per la quasi totalità dei
circuiti a transistor, anche di quelli molto curati sotto il profilo della linearità
intrinseca. Parallelamente, se si misura la distorsione in funzione della
frequenza del segnale d’ingresso si trovano andamenti quasi piatti.
In Unico 150 la coerenza era uno degli obiettivi primari e viene mantenuta
praticamente a quasi tutti i livelli di erogazione, con la parziale eccezione
dell’ottava più alta alla massima potenza (una condizione che nessun segnale
audio reale potrebbe richiedere), grazie proprio alla linearità dei primi due
stadi a valvole ed all’accoppiamento diretto tra queste ed i mosfet di uscita.
Questa soluzione innovativa ha consentito di eliminare anche un altro stadio
presente praticamente in ogni altro amplificatore, ovvero quello di
compensazione termica, che in determinati casi può essere fonte diretta od
indiretta di distorsione (ad esempio intervenendo in eccesso). In Unico 150
non serve, l’apparecchio raggiunge la linearità nominale in poche decine di
secondi e la linearità ottimale in poco più di 10 minuti.
La sezione di preamplificazione incorpora soluzioni non meno innovative di
quella finale. E’ totalmente passiva (altrimenti, ovviamente, avrebbe
aumentato il numero degli stadi) ed adotta un potenziometro di volume ALPS
blindato a 4 sezioni, in parallelo a coppie, in modo sia da ridurre il già
minimale rumore di scorrimento sia da migliorare ulteriormente la precisione
del bilanciamento dei canali, soprattutto nella regione delle attenuazioni
elevate. Le sorgenti selezionate vengono connesse una alla volta, sollevando
da massa quelle non connesse, in modo da interrompere gli anelli di massa
associati alle connessioni non utilizzate; queste potrebbero altrimenti
fungere da antenna e rivelare i segnali elettromagnetici presenti
nell’ambiente, oltre a generare diafonia tra i canali. La commutazione avviene
per via meramente meccanica, attraverso minirelè blindati collocati a ridosso
delle prese, ed i terminali caldi delle sorgenti non usate vengono deviati verso
la loro a massa (mediante resistenze di valore adeguato a preservarne
l’integrità) in modo da eliminare il rischio di accoppiamenti capacitivi
attraverso i contatti mobili. Gli ingressi bilanciati sono ottenuti non per via
elettrica –che sarebbe stata una soluzione di ripiego, data l’impossibilità di
ottenere la simmetria sui terminali di opposta polarità- bensì mediante
trasformatori, il che da un lato permette una trasmissione realmente
bilanciata dei segnali (l’impedenza differenziale è minima, quella verso il
riferimento di massa è teoricamente infinita) e dall’altro l’isolamento
galvanico, ulteriore e potente aiuto nei confronti della capacità di abbattere
interferenze da qualsiasi parte provenienti. Seppur ottimizzati per la loro
funzione, l’uso dei trasformatori peggiora leggermente le prestazioni
elettriche alle frequenze più basse, in particolare con sorgenti dotate di
impedenza di uscita non bassa. Tutti i test di ascolto condotti nel corso dello
sviluppo hanno però confermato la bontà di questa scelta, che è stata quindi
mantenuta nonostante il non irrilevante aumento dei costi che comporta.
Infine, qualche dettaglio sulla costruzione. Unico 150 è un amplificatore dual
mono, con trasformatori di alimentazione capaci di erogare 400+400 VA
continuativi. I mosfet finali di ogni canale possono gestire potenze
stazionarie fino a 1200 watt e correnti fino a +-50 ampere, e sono protetti
da circuiti calibrati sul 70% delle loro massime specifiche, in modo da
mantenere un adeguato margine di sicurezza senza intaccare in modo
significativo la capacità di pilotaggio. La totale trasparenza di questi circuiti
rispetto al suono è facilmente verificabile, perché oltre a proteggere i finali
in tempo reale sono connessi al circuito di distacco del carico, e questo
verrebbe attivato anche dall’intervento su di una singola semionda di segnale.
Unico 150 può di conseguenza pilotare altoparlanti anche molto impegnativi,
ma è consigliabile non sceglierlo per altoparlanti estremi, con minimi
d’impedenza inferiori a 2 ohm. Il suo impianto progettuale si basa su un
equilibrio di caratteristiche, ed alterarlo avrebbe comportato rinunce in
talune direzioni. Aumentare il numero di mosfet avrebbe ad esempio
permesso di scendere agevolmente sotto il limite dei 2 ohm senza quasi
alterare il costo di produzione, ma ciò avrebbe comportato un peggioramento
della coerenza, in termini di linearità in gamma alta. Anche estendere
(inutilmente) la risposta fino a qualche decimo di Hz sarebbe stato molto
facile, ma avrebbe peggiorato il comportamento in presenza di forte
sovrapilotaggio degli ingressi, condizione che i circuiti a tubi mal digeriscono
per via degli effetti dei potenziali positivi di griglia.
Tutti i condensatori “toccati” dal segnale sono delle tipologie a bassissime
perdite ed eccellente comportamento ad alta frequenza. Il polipropilene, in
particolare, è stato ampiamente utilizzato anche per supportare i finali in
termini velocistici. Quattro capacità Mundorf a bassissima impedenza
parassita sono usate in ogni canale per offrire ai finali una riserva di energia
piccola ma pressochè istantanea, e parallelamente per abbattere l’effetto
dell’induttanza parassita delle piste di collegamento verso il grande serbatoio
elettrolitico principale. Anche gli elettrolitici, costruiti dalla italianissima
Itelcond come da tradizione Unison, sono a bassa impedenza parassita, e
sono doppi su ogni ramo per abbassarla ulteriormente.
Difficile comunque rendere conto di ogni dettaglio, dei percorsi di massa
superstellari, delle migliaia di simulazioni svolte, delle decine di prototipi
costruiti per sperimentare le tante varianti tentate e poi abbandonati a
margine delle sale di ascolto Unison. Un aspetto speriamo comunque di averlo
descritto con chiarezza: Unico 150 è un amplificatore i cui numeri elettrici
sono funzione del risultato sonoro desiderato, e non l’opposto.
CARATTERISTICHE TECNICHE
Potenza di uscita:
150+150 W RMS su 8Ω
220+220 W RMS su 4Ω
Risposta in frequenza:
-1dB @ 12Hz e 45kHz, -3 dB @ 6Hz e 80 kHz
Impedenza di ingresso:
24kΩ // 100pF
Sensibilità:
860mV RMS
Stadio di ingresso e guadagno: Pura Classe A, con tubi ECC83/6H30
Stadio di uscita:
Classe AB termostabile, a Hexfet complementari (4 coppie per canale)
Ingressi:
6 linea (3 sbilanciati, 2 bilanciati, 1 bypass sbilanciato)
Uscite linea:
1 tape, 1 sub (con controllo di volume)
Connessioni di uscita:
4 + 4 bi-wiring
Fattore di retroazione globale: 0 dB
Fattore di retroazione locale:
16 dB
THD:
< 0.15% @ 1kHz, 1 W
< 0.25% @ 1kHz, 10 W
< 0.35% @ 1kHz, 100 W
< 0.9% da 20 a 20000 Hz, 150 W
Impedenza di uscita:
<0.4 ohm, resistiva a tutte le frequenze audio
Assorbimento:
550 W (massima potenza su 8 ohm)
Dimensioni:
43.5cm x 18 cm x 44 cm
Peso:
25 Kg