Luglio – Agosto - GERIATRIA – Rivista
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GERIATRIA RIVISTA BIMESTRALE - ANNO XX n. 4 - Luglio/Agosto 2008 – Poste Italiane S.p.A. - Sped. in Abb. Postale D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 N. 46) Art. 1 Comma 1 - DCB Roma ORGANO UFFICIALE DELLA SOCIETà ITALIANA GERIATRI OSPEDALIERI (S.I.G.Os.) DIRETTORE LUIGI GIUSEPPE GREZZANA DIRETTORE ESECUTIVO PIERLUIGI DAL SANTO COMITATO DI REDAZIONE Claudia Bauco Andrea Corsonello Filippo Fimognari Gianfranco Fonte (Cassino) (Cosenza) (Roma) (Torino) Stefano Ronzoni Bernardo Salani Francesco Vetta Cristiana Vitale (Roma) (Firenze) (Roma) (Roma) COMITATO SCIENTIFICO Samuel Bravo Williams Luisa Bartorelli Pier Ugo Carbonin Tommy Cederholm Claudio Cervini Domenico Cucinotta Nuzzo Di Stefano Piergiorgio Ferretti Rodney Fisher Giovanni Gasbarrini Franco Goria Mario Impallomeni Vincenzo Marigliano Baldassarre Messina Jean-Pierre Michel (Mexico) (Roma) (Roma) (Stoccolma - Svezia) (Ancona) (Bologna) (Noto) (Guastalla) (Toronto - Canada) (Bologna) (Asti) (Londra) (Roma) (Roma) (Geneve - Suisse) Maria Anna Cardinale Luigi Di Cioccio Giuseppe Galetti Walter Gianni Walter Lutri (Roma) (Cassino) (Monza) (Roma) (Siracusa) Luciano Motta Vittorio Nicita-Mauro Filippo Nico Franco Rengo Jacques Richard Felice Romano Mario Rubegni L.Z. Rubenstein Pier Luigi Scapicchio Sergio Semeraro Italo Simeone Bertil Steen Marco Trabucchi Vincenzo Vassallo (Catania) (Messina) (Roma) (Napoli) (Geneve - Suisse) (Catania) (Siena) (Sepulveda - USA) (Roma) (Bologna) (Geneve - Suisse) (Göteborg - Svezia) (Roma) (Noto) SEGRETERIA SCIENTIFICA Massimo Marci Lorenzo Palleschi Vincenzo Pedone Giancarlo Stazi (Subiaco) (Roma) (Bologna) (Roma) Direttore Responsabile ANTONIO PRIMAVERA Segreteria Scientifica Via Cremona, 19 - 00161 Roma Tel. 06.44.290.783 Editore C.E.S.I. - Via Cremona, 19 00161 Roma - Tel. 06.44.290.783 www.cesiedizioni.com E.mail: [email protected] Ufficio amministrativo e Pubblicità Via Cremona, 19 - 00161 Roma Tel. 06.44.290.783 - Fax 06.44.241.598 Fotocomposizione C.E.S.I. Stampa Litografica IRIDE - Via della Bufalotta, 224 Roma • Finito di stampare per conto della C.E.S.I. nel mese di Giugno 2009. Progetto di copertina: Gaia Zuccaro Condizioni di abbonamento per il 2008: E 26,00 (Enti: E 52,00) da versare sul C/C N. 52202009 intestato a CESI - Estero 70 dollari • Un fascicolo singolo: E 11,00 - Estero 15 dollari. Arretrato: E 22,00 • L'abbonamento non disdetto prima del 31 dicembre si intende rinnovato • Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 201/89 del 18/04/1989. ISSN: 1122-5807 XII Convegno Nazionale Geriatrico “Dottore Angelico” Città di Aquino - Città di Cassino 6 La Geriatria Arte, Scienza e Cuore al ser vizio delle criticit dell Anziano 15-16-17 Ottobre 2009 15 Ottobre • Aquino - Chiesa Madonna della Libera 16-17 Ottobre • Cassino - Palagio Badiale Corte, Curia Vescovile Segreteria Organizzativa CONGRESS LINE Via Cremona, 19 – 00161 Roma Tel. 06.44.290.783 – 06.44.241.343 Fax 06.44.241.598 E-mail: [email protected] www.congressline.net Volume rilegato, Edizione 2008 E 100,00 1500 pagine circa Offerta speciale per Soci S.I.G.Os. in regola con la quota sociale E 50,00 Per ordini spedire a c.e.S.i. - Via cremona, 19 • 00161 roma anche via fax ✄ ■ Sì, desidero ricevere Guida al trattamento e alla GeStione delle malattie Geriatriche al prezzo di E 100,00 oFFerta SPeciale per Soci S.i.G.os. in regola con la quota sociale E 50,00 Cognome ....................................…….......... Nome ……………………… Tel. ……………………………………………… Via .........................................................……………… CAP …………… Città ……………………………………………… Firma .................................………………….... Contributo fisso spese imballo e spediz E 3,00 TOTALE E ..............……........... ■ Anticipato a mezzo Assegno Bancario (non trasfer.) allegato intestato a CESI ■ A mezzo vers. C/C N. 52202009 intestato a CESI ■ American Express (c/c N. ………………… Validità ……………… Firma ………………………………………………) Per ordini telefonici 06.44.290.783 - 06.44.241.343 Fax 06.44.241.598 Via Cremona, 19 - 00161 Roma Partita IVA ........................................................ (solo per chi desidera la fattura) Geriatria 2008 Vol. XX n. 4 Luglio/Agosto 115 SOMMARIO EDITORIALE: RILIEVI CRITICI SULLA CONTENZIONE IN GERIATRIA Palleschi M. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 STUDIO OLDPRESS: EFFICACIA, TOLLERABILITÀ E SICUREZZA DI UN NUOVO SARTANO NELLA CURA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA DEL GRANDE VECCHIO Di Salvo A. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121 IL “FATTORE DIMENTICATO” IN MEDICINA: LE INFLUENZE RELIGIOSE E SPIRITUALI Giaquinto S., Giachetti I. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 RUOLO DELLA RESISTINA NEI PAZIENTI ANZIANI CON MALATTIA CRONICA DEL FEGATO Mancinella A., Mancinella M. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131 IL RUOLO DELLA MEDICINA NUCLEARE NELLA DIAGNOSI DELLE DEMENZE Nuvoli S. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135 UTILIZZO DI SENSORI ELETTRO-MECCANICI WIRELESS NEL MONITORAGGIO DEL RISCHIO DI CADUTE, DEI TEMPI DI SOCIALIZZAZIONE E DEL WANDERING IN UNA POPOLAZIONE DI SOGGETTI ANZIANI RESIDENTI IN RESIDENZA SANITARIA ASSISTITA (RSA) Ardoino G., Ianes Aladar B., Ricci G. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 “NON DIMENTICARE… LA MEMORIA” 2008: L’ESPERIENZA RIMINESE Margiotta A., Pula B., Mariani E., Costantini S. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147 L’UTILIZZO DEI BIFOSFONATI NEL TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE DA CARCINOMA MAMMARIO Papa A., Vari S., Basso E., Polidoro G., Rossi L., Pasciuti G. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151 TRATTAMENTO DEL CARCINOMA SUPERFICIALE DELLA VESCICA Vari S., Papa A., Basso E., Polidoro G., Rossi L., Pasciuti G., Spinelli G.P. . . . . . . . . . . . . . . . 157 RUBRICHE Vita agli anni Sabatini D. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165 Geriatria nel mondo Zanatta A. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167 Calendario Congressi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168 Comunicato ai Soci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 169 S OCIETà I TALIANA G ERIATRI O SPEDALIERI XXIII SemInarIo nazIonale Update clinico-funzionale in Geriatria reggio emilia 8-9 ottobre 2009 HoTel merCUre aSTorIa Segreteria Organizzativa CONGRESS LINE Via Cremona, 19 – 00161 Roma Tel. 06.44.290.783 – 06.44.241.343 Fax 06.44.241.598 E-mail: [email protected] www.congressline.net editoriale Geriatria 2008 Vol. XX; n.4 Luglio/Agosto 117 RILIEVI CRITICI SULLA CONTENZIONE IN GERIATRIA Prof. Palleschi M. Unità operativa di Geriatria, Azienda ospedaliera S.Giovanni Addolorata, Roma Nonostante le alte tecnologie, le indagini e le terapie di avanguardia presenti in numerosi ospedali del nostro Paese, ancor oggi chi visita una corsia ospedaliera può rimanere sconvolto dall’alto numero di pazienti che giacciono in condizioni miserevoli ed in uno stato di sfacelo psico-fisico, che solo in parte è determinato dalle malattie presenti e in maniera preponderante è in relazione a un’assistenza molto disdicevole e comunque assolutamente inadeguata alle esigenze del malato anziano compromesso funzionalmente. La presenza di mezzi di contenzione si inserisce generalmente in contesti di assistenza all’anziano di cattiva qualità, al contrario la contenzione viene minimizzata quando si presta grande attenzione all’autonomia e alla qualità di vita del paziente anziano. I mezzi di contenzione possono essere analizzati, secondo diversi aspetti. Un primo modo di affrontare il problema è la valutazione degli eventi avversi che possono derivare dall’impiego di questa strategia assistenziale. I danni possono essere sintetizzati nel modo seguente (Tab. 1). I danni meccanici derivanti direttamente dall’azione degli ausili di contenzione non sono molto frequenti e generalmente sono dovuti ad un uso incongruo di questi mezzi. Più temibili sono le alterazioni provenienti dalle posture obbligate, in modo particolare quelle che favoriscono l’insorgenza delle piaghe da decubito. Queste rappresentano l’esempio più eclatante e il risultato finale di un’impostazione assistenziale fallimentare. Se si considera che nella popolazione ospedaliera la maggior parte degli studi riporta percentuali di ulcere da pressione vicine al 10% (2-4), si comprenderà facilmente quale grave responsabiTab. 1 – Rischi legati alla contenzione (1, modificata) 1) lesioni da intrappolamento. 2) lesioni conseguenti alla posizione imposta ed ai suoi effetti biologici (ulcere da decubito, ecc.). 3) eventi avversi legati alla presenza di strumenti di contenzione, ma non derivanti direttamente dalla loro applicazione alla persona (reazioni psicologiche sfavorevoli, ecc.). lità ricada su qualsiasi operatore sanitario, in particolare sul medico, che impieghi pratiche, comprendenti quella della contenzione, in grado di favorire l’insorgenza di un evento così catastrofico. Il terzo gruppo di effetti indesiderati provenienti da un uso eccessivo ed incongruo delle misure di contenzione è di carattere essenzialmente psicologico. Nel malato anziano è fondamentale la motivazione al suo recupero, la fiducia in una possibile migliore qualità della vita. Tutto questo viene ostacolato da una situazione di estrema precarietà, come quella di non essere libero di muoversi autonomamente ed anzi di essere costretto alla più completa immobilità. In questo senso acquisisce un sempre maggior rilievo, degno di sottolineatura, la diffusissima consuetudine di tenere i malati ospedalizzati a letto, “protetti” dalle spondine, soprattutto nel timore di cadute. In effetti le cadute tendono a recidivare, per cui è indispensabile predisporre ed attuare un piano operativo di prevenzione, ma è da irresponsabili identificare quest’ultimo nella semplice costrizione a letto del paziente. Le cause delle cadute sono molteplici (malattie neuro degenerative, patologie cardiovascolari, alterazioni del visus, fattori ambientali, ecc.), ma i meccanismi possono essere identificati, in una grande percentuale dei casi, in un’alterazione dell’equilibrio e della coordinazione neuromotoria, che peggiorano vistosamente con l’inattività e con la postura forzata in letto. Oltretutto la costrizione a letto provoca danni devastanti, spesso superiori a quelli indotti direttamente dalle cadute. È evidente pertanto che il ricorso alla contenzione debba essere preceduto da un’attenta valutazione degli eventuali vantaggi e rischi. In linea molto generale possono essere considerate condizioni accettabili nelle quali si possa ricorrere alla contenzione le seguenti (5): – Lo stato confusionale sia transitorio che cronico; – La possibilità di procurarsi o procurare danni o lesioni alla integrità psico-fisica e alla dignità della persona stessa o di altri; – La necessità di trattamenti terapeutici intensivi e continuativi. Sono, al contrario, esempi di applicazione impropria della contenzione: – Wandering e deambulazione senza rischio (evidente) di caduta; 118 Geriatria 2008 Vol. XX; n.4 Luglio/Agosto – Agitazione psicomotoria senza spunti violenti; – Problemi comportamentali dovuti a disturbi mnesici; – Necessità di posture particolari. Nonostante gli inconvenienti determinati dai mezzi di contenzione, questi sono ancora molto impiegati, anche se diversamente nei vari paesi del mondo (6). I paesi scandinavi registrano un uso quasi nullo dei mezzi di contenzione, essendo stati predisposti protocolli e prerogative in grado di erogare assistenza qualificata e soprattutto globale. In Scozia la contenzione riguarda il 3,8% degli anziani istituzionalizzati e limitatamente all’utilizzo di sedie con protezione. In Italia le percentuali della presenza dei mezzi di contenzione variano negli ospedali per acuti dal 7,4% al 22% (7). Altri studi riportano percentuali diverse nei vari setting assistenziali del nostro paese e comunque inferiori al 35-40% (8). La pratica della contenzione fisica si accompagna spesso a quella della contenzione farmacologica, strategia assistenziale assai diversa dalla prima, ma che ha in comune la caratteristica di essere più comoda per la gestione del paziente che realmente utile per la sua salute. In sintesi pesanti riserve ad una diffusa pratica della contenzione in letto, nelle corsie geriatriche, possono essere avanzate per: – il contributo che fornisce alla patologia da immobilizzazione; – i danni provenienti dall’abuso dell’impiego di benzodiazepine e di neurolettici nei pazienti con compromissione cognitiva e disturbi comportamentali; – la colpevole rinuncia ad altri mezzi di prevenzione delle cadute, molto più efficaci e privi di effetti collaterali, rappresentati dalle misure di riattivazione ed in particolare dagli esercizi di deambulazione (9). A queste e a numerose altre argomentazioni si potrebbe obiettare che le misure di contenzione rappresentano una necessità per fronteggiare emergenze non trattabili, ad esempio, con programmi di riattivazione a lungo termine. Questa obiezione potrebbe avere una sua validità, se non fosse smentita dalla osservazione di quanto si verifica in una rilevante quota delle corsie ospedaliere, dove i pazienti anziani costretti a letto e “protetti” dalle spondine sono, se non la regola, un comune riscontro. Appare pertanto logico che per ricorrere ai mezzi di contenzione non basti invocare un generico pericolo, ma sia indispensabile un’analisi approfondita di tutte le misure possibili per scongiurarne l’impiego in quello specifico caso. Un esempio può far meglio comprendere l’abuso della contenzione in diverse condizioni cliniche. Non è del tutto eccezionale osservare del perso- nale che somministra il cibo ad un malato attraverso le sbarre del letto. Almeno nel momento della presenza dell’operatrice, il pericolo della caduta dal letto è quasi inesistente, non risultando pertanto alcuna giustificazione al mantenimento delle spondine. Va ancora sottolineato che la giustificazione ad un impiego rilevante dei mezzi di contenzione con la scarsità di personale, non sembra in alcun modo valida, in quanto la pratica di questo mezzo assistenziale non sempre richiede un carico minore di sorveglianza e impegno, tranne nei casi nei quali venga applicata brutalmente, senza porsi tanti problemi. Un problema centrale, nei riguardi della contenzione, riguarda il coinvolgimento dei familiari del malato. Pur non potendosi “obbligare” alcun personale estraneo all’ospedale a fornire prestazioni assistenziali aggiuntive, l’aiuto di un familiare in numerose situazioni (tipiche le alterazioni comportamentali dei dementi) diventa un’opzione che acquisisce quasi i caratteri dell’indispensabilità. La presenza costante del familiare è in grado di ridurre fortemente l’impiego dei mezzi di contenzione, ma trova ostacoli di varia natura, comprendenti anche la resistenza del personale infermieristico che spesso non tollera una forte presenza di personale estraneo. Giova qui sottolineare che venti anni or sono anche nei reparti di Pediatria vi era una diffusa tendenza a non accettare la presenza costante in corsia delle mamme dei bambini ricoverati. Oggi un pediatra che mostrasse contrarietà a questa impostazione assistenziale verrebbe giudicato molto sfavorevolmente. Noi geriatri dobbiamo essere sempre più i promotori di una sensibilizzazione che faciliti il coinvolgimento dei familiari del malato anziano compromesso funzionalmente. L’obiettivo è quello di ottenere la partecipazione ad un programma antiinvalidante che includa anche l’abolizione o la riduzione dei mezzi di contenzione. La riduzione dell’impiego dei presidi di contenzione rappresenta un obiettivo così significativo della prassi geriatrica, da costituire uno dei sei aspetti peculiari dell’attività antiinvalidante della nostra disciplina (vedi documento sull’indispensabilità delle unità operative di Geriatria negli ospedali italiani) (10). L’impiego dei mezzi di contenzione implica problemi anche di ordine etico e legale. Si ha la netta impressione che l’utilizzo dei mezzi di contenzione sia dettato più dalle esigenze di chi assiste che non dalla reale utilità del paziente; anche per questo motivo vi sono fondate riserve sull’impiego eccessivo delle pratiche di contenzione. Palleschi M. - Rilievi critici sulla contenzione in geriatria La consapevolezza delle implicazioni etiche nell’utilizzo di questa strategia assistenziale è in grado di limitare al minimo questa pratica “comoda”, ma “crudele”, e passibile, se mal impiegata, di conseguenze penali (1). La Costituzione Italiana sancisce infatti all’art. 13 l’inviolabilità della libertà personale ed all’art. 32 la necessità del consenso all’atto terapeutico. Il nuovo codice deontologico del medico (deliberato il 16/12/06 ed approvato il 23/01/07) riprende queste istanze all’art.5: “Il medico nell’esercizio della professione deve attenersi alle conoscenze 119 scientifiche ed ispirarsi ai valori etici della popolazione, assumendo come principio il rispetto della vita, della salute fisica e psichica, della libertà e della dignità della persona”. L’uso incongruo dei mezzi di contenzione può ricadere nell’ambito dell’articolo 610 del C.P., configurando il reato di violenza. Va ricordato peraltro che qualora ricorrano gli estremi dello stato di necessità (art.54 C.P.) la misura restrittiva va adottata senza alcuna riserva, se proporzionale al danno potenziale, potendo altrimenti configurarsi il reato di abbandono di incapace (art.591 C.P.). BIBLIOGRAFIA 1. LIBUTTI N.C., BERARDINO A., IERARDI B.A.: L’impiego dei mezzi di contenzione nell’anziano. In: Palleschi M., Zuccaro SM.: Guida al trattamento e alla gestione delle malattie Geriatriche. CESI, Roma, 2008, in Press. 2. CADEDDU G., FIORAVANTI P., GAETTI R.: Anziani e piaghe da decubito: aspetti epidemiologici e clinici, fattori di rischio, valutazione multidimensionale. Geriatria 1998; 10: 325-336. 3. LYDER CH., PRESTON J., GRADY JN., SHINTO J., ALLMAN R., BERGSROM N., DODEHEAVER G.: Quality of care for hospitalized medicare patients at risk for pressure ulcers. Arch. Int. Med. 2001; 161: 1549-1554. 4. BAUMGARTEN M., MARCOLIS DJ., LOCALIO AR., KAGAN SH., LOWE RA., KINOSIAN B., HOLMES JH., ABBUHL SB., KAVESH W., RUFFIN A.: Pressure ulcers among elderly patients early in the hospital stay. J. Gerontol. A. Biol. Sci. Med. Sci. 2006; 61: 749-754. 5. CAPASSO S., SARDELLI R., DI CIOCCIO L.: Le sbarre: contenzione o protezione del paziente? Geriatria 2008; 21: 129-131. 6. KIRKEVOLD O.: Use of restraint in nursing homes. Tidsskr Nor Laegeforen 2005; 125: 1346-1348. 7. SILIQUINI C., PAPA D.: Il governo infermieristico per l’anziano a rischio di contenzione. Geriatria 2005; 17 (Suppl): 199-205. 8. CESTER A., GENOVESE A., PESCE T., ONGARO C.: Le contenzioni. G. Gerontol. 2007; LV: 342-344. 9. HAUER K., ROST B., RUTSCHLE K., OPITZ H., SPECHT N., BARTSCH P., OSTER P., SCHLIERF G.: Exercise training for rehabilitation and secondary prevention of falls in geriatric patients with a history of injurious falls. J. Am. Geriatr. Soc. 2001; 49: 10-20. 10. PALLESCHI M., ZUCCARO S.M.: Documento sull’indispensabilità delle unità operative di Geriatria negli ospedali italiani. C.E.S.I., Roma, III Ed., 2007. Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto 121 STUDIO OLDPRESS: EFFICACIA, TOLLERABILITà E SICUREZZA DI UN NUOVO SARTANO NELLA CURA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA DEL GRANDE VECCHIO Di Salvo A. U.O. Lungodegenza, Ospedale SS Salvatore di Mistretta – Azienda Unità sanitaria Locale n° 5 di Messina Riassunto: Il presente studio ha valutato la possibilità di utilizzare un sartano di nuova generazione in monoterapia od in associazione con il diuretico idroclorotiazide per la cura dell’ipertensione arteriosa essenziale nei grandi vecchi, popolazione gravata da alto rischio cardiovascolare e da comorbilità e politerapia. Venti pazienti di età media 84,5 anni affetti da ipertensione di nuova diagnosi o non ben controllata dalla terapia praticata sono stati arruolati. Hanno concluso lo studio 19 pazienti e tutti hanno presentato normali valori pressori (dato confermato dall’effettuazione di un monitoraggio pressorio delle 24 h). In conclusione, pur ammettendo la necessità di proseguire lo studio aumentando il numero di pazienti arruolati, dai dati emersi si rileva l’efficacia, tollerabilità e sicurezza del nuovo sartano nel curare l’ipertensione del grande vecchio come prima scelta al pari dei calcio antagonisti, dei quali potrebbe essere una valida alternativa. Parole chiave: Ipertensione arteriosa, grande vecchio, olmesartan medoxomil. Summary: The present study has appraised the possibility to use a sartan of new generation in monotherapy or in association with hydroclorotiazide for the management of arterial essential hypertension in the great old men, who usually bears the burden of high cardiovascular risk, comorbility, and politherapy. Twenty patients of average age 84,5 years were examined, suffering from hypertension of new diagnosis or not well checked from the practiced therapy. 19 patients have completed the study, all of them showed normal blood pressure values (datum confirmed by the execution of 24-h ambulatory blood pressure monitoring). In conclusion, although it would still be useful to continue the study increasing the amount of patients, the evidence as far collected prove the new sartan to be effective, tolerable and soft. It could be a valid alternative to calcium-antagonists in curing hypertension in great old men. Key words: Hypertension, great old men, olmesartan medoxomil. INTRODUZIONE Nelle ultime decadi si sta assistendo nel nostro paese ad un progressivo invecchiamento demografico (c’è una percentuale di ultrasettantacinquenni superiore al 19%) che comporta una maggiore esposizione temporale ai fattori di rischio classici, si stima che nei prossimi cinquanta anni il loro numero crescerà di 3 volte. L’ipertensione arteriosa, soprattutto la forma sistolica, è il principale fattore di rischio modificabile presente negli anziani (al di sopra dei 65 anni prevale nel 65-80% dei pazienti), che li espone ad un maggior rischio di eventi cardio- (infarto del miocardio, scompenso cardiaco, morte cardiaca improvvisa) e cerebrovascolari (ictus: prima causa di invalidità e terza di morte), ma anche di insufficienza renale, decadimento cognitivo (fenomeno parafisiologico legato all’invecchiamento delle Indirizzo per la corrispondenza: Dott. Angelo Di Salvo U.O. Lungodegenza – Ospedale SS Salvatore di Mistretta Via Anna Salamone, 101 – 98073 Mistretta Tel.: 0921389513 - 0921389515 Fax: 0921389224 Cell.: 3477280747 e-mail: [email protected] arterie) e conseguente disabilità. Tra l’altro i valori pressori (specialmente sistolici) progrediscono con l’aumentare dell’età, per cui il grande vecchio ha un rischio cardiovascolare elevato o molto elevato a causa della frequente coesistenza di fattori di rischio addizionali (diabete mellito di tipo 2, ipercolesterolemia) nonché di danno d’organo, sia subclinico che conclamato. Numerosi studi scientifici hanno dimostrato che trattando tutte le forme di ipertensione è possibile ridurre notevolmente l’incidenza di eventi cardio- e cerebrovascolari, addirittura leggendo fra le righe di tali studi si evince che se il vantaggio del trattamento viene espresso in termini di persone che è necessario trattare per prevenire un evento (number needed to treat), la terapia sarebbe più efficace, almeno a breve termine, proprio in soggetti più anziani (almeno fino all’età di 80 anni), in quanto gravati da un rischio globale più elevato (1). Purtroppo instaurare una terapia efficace nei grandi vecchi non risulta facile poiché a causa della comorbilità, disabilità e politerapia che li caratterizzano sono esclusi dai grandi trial, inoltre un nuovo farmaco potrebbe, vuoi per la possibilità di interazioni farmacologiche, vuoi per le ben note variazioni della farmacocinetica, com- 122 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto portare l’insorgenza di effetti collaterali con il rischio di minare il precario equilibrio che li contraddistingue e l’aderenza alla terapia. Allo scopo di realizzare delle evidenze sul trattamento dell’ipertensione arteriosa nel grande vecchio abbiamo condotto uno studio osservazionale per valutare l’efficacia, la tollerabilità e la sicurezza di un nuovo sartano quale Olmesartan medoxomil su questa popolazione, considerando il suo effetto anti-ipertensivo protratto per 24 ore. MATERIALI E METODI Sono stati arruolati 20 pazienti di cui 4 uomini e 16 donne non ospedalizzati, di età compresa fra 75 e 94 anni (media 84,5), afferenti all’Ambulatorio di Geriatria dell’U.O. Semplice di Lungodegenza dell’Ospedale di Mistretta. I criteri di inclusione erano: ipertensione arteriosa essenziale come di nuova diagnosi (senza trattamento precedente) o come non controllata adeguatamente nonostante l’uso di uno o più farmaci con valori di sistolica (PAS) compresi fra 140 e 190 mmHg e di diastolica fra (PAD) 90 e 105 mmHg. I criteri di esclusione comprendevano l’ipertensione secondaria o maligna, significative patologie epatiche o renali e valvulopatie severe. I pazienti che rispettavano i criteri di inclusione sono stati divisi in due gruppi in base all’età: 10 pazienti avevano un’età compresa fra 75 ed 85 anni (età media 80, anziani old-old): gruppo I; 10 pazienti avevano un’età superiore a 90 anni: (età media 92,2, anziani oldest-old) gruppo II; (Tabella 1). All’arruolamento i pazienti sono stati sottoposti a: raccolta anamnestica, visita generale, elettrocardiogramma, esami ematochimici. Ad ogni visita (eseguita fra le ore 10:00 e le 12:00) la pressione arteriosa (PA) veniva rilevata due volte (considerata come PA della visita la media di queste due rilevazioni) con sfigmomanometro a colonna di mercurio e bracciale di appropriate dimensioni in posizione seduta, dopo cinque minuti di riposo in ambiente tranquillo, sul braccio sinistro che veniva posto all’altezza del cuore. Solamente 5 pazienti erano in trattamento con antiipertensivi e nello specifico tutti con calcioantagonisti (3 Manidipina, 1 Lacidipina, 1 Felodipina) di cui 4 nel gruppo 2 ed 1 nel gruppo 1. Agli arruolati è stato somministrato olmesartan medoxomil 20 mg una volta al giorno, a colazione per dodici settimane. Alle visite di controllo che si sono svolte ogni due settimane il farmaco veniva cambiato nella combinazione fissa olmesartan medoxomil 20 mg/idroclorotiazide (HCTZ) 12,5 mg se i valori della PA non risultavano ben ridotti. Alla visita finale sono stati eseguiti elettrocardiogramma, esami ematochimici ed un monitoraggio pressorio ambulatoriale delle 24h-ABPM (è stata effettuata una rilevazione ogni 15 minuti durante il giorno e ogni 30 minuti durante la notte), è stata scelta questa metodica poiché elimina l’effetto “camice bianco” e la variabilità interindividuale di misurazione, inoltre permette di determinare accuratamente l’efficacia del farmaco per l’intero arco di tempo fra le somministrazioni. RISULTATI Alla 12° settimana le riduzioni medie della pressione diastolica e sistolica nei due gruppi erano di 11,25 e 19,5 rispettivamente, inoltre la percentuale di pazienti controllati era del 100% (PA <140/90 mmHg) sia alla misurazione ambulatoriale che al monitoraggio delle 24 h, di cui il 57,8% (4) in monoterapia e il 42,2% (8) in terapia di associazione (vedi Tabella 2 e Figura 1). Entrambi i gruppi hanno ben tollerato il trattamento, non si sono verificate modificazioni rilevanti di nessun parametro ematochimico o decessi e solamente una paziente nel gruppo con età maggiore di 90 anni ha presentato un evento avverso (diarrea) che ha comportato l’interruzione dello studio. Tab.1 - Caratteristiche alla valutazione basale dei pazienti all’inizio ed alla fine dello studio Gruppo 1 Gruppo 2 Inizio Fine Inizio Fine N 10 10 10 9 Età media 80 80 92,2 91,8 %donne 70 70 90 80 %CAD 20 20 10 10 %Ictus/TIA 10 10 20 20 %Diabete 0 0 0 0 %Antiaggreganti 30 30 50 50 %Terapia antipertensiva 10 10 40 40 N°terapie (media) 4,8 4,8 5,6 5,4 N°comorbidità (media) 4 4 4 4 PA Sist/Diast mmHg in ambulatorio 151,5/98 135/88 160/100 137,5/87,5 Creatinina (media) 0,9 0,9 1 1,1 Azotemia (media) 42 44 46,3 46 Di Salvo A. - Studio Oldpress. Efficacia, tollerabilità e sicurezza d un nuovo sartano... 123 Tab. 2 – Riduzione dei valori di pressione arteriosa sistolica e diastolica nei due gruppi Gruppo 1 Olmesartan Olm Tot. +HCTZ Olmesartan Gruppo 2 Olm Tot. +HCTZ Riduzione PAS vs basale 7 3 -16,5 4 5 -22,5 Riduzione PAD vs basale 7 3 -10 4 5 -12,5 Fig. 1 – Variazioni pressorie misurate con ABPM dopo 12 settimane di trattamento con olmesartan medoxomil da solo od in associazione ad HCTZ nei due gruppi di pazienti. DISCUSSIONE Tenuto conto dell’alta prevalenza di ipertensione, ma soprattutto dell’alto tasso di morbilità e mortalità associate, si comprende la necessità di ricercare nuovi farmaci sempre più attivi, meglio tollerati e più maneggevoli. Fra i farmaci antiipertensivi i sartani sono efficaci nel ridurre la pressione almeno quanto le altre classi di farmaci antiipertensivi, presentano profilo di tollerabilità confrontabile a quello del placebo (2) ed hanno un interessante profilo terapeutico a livello vascolare. Nell’ambito di tale classe un’attenzione particolare va destinata all’Olmesartan, che rappresenta la molecola di più recente commercializzazione. Essa esercita la sua azione di controllo sulla pressione arteriosa attraverso il blocco del recettore per l’angiotensina II (AT1), con cui instaura un legame selettivo (3) e potente, in questo modo viene antagonizzata l’attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone, responsabile dell’aumento delle resistenze vascolari, con conseguente riduzione dei valori pressori. È Fig. 2 – Variazioni pressione sistolica misurata ambulatorialmente durante le 12 settimane di trattamento. importante ricordare che dal punto di vista strutturale l’olmesartan è un profarmaco, che subisce una de-esterificazione a livello gastrointestinale, dando luogo alla produzione della forma attiva. Il suo profilo farmacocinetico è stato accuratamente valutato in una serie di studi (4,5). Esso esercita proprietà nefroprotettive (riduce in maniera statisticamente significativa la proteinuria in ratti diabetici, obesi ed ipertesi riducendo le resistenze renali, aumentando il flusso plasmatico renale, riducendo lo stress ossidativo (6), antiaterosclerotiche (sia da solo che in associazione con pravastatina è associato ad una significativa prevenzione della formazione della placca aterosclerotica (7) studio MORE), antinfiammatorie (è inoltre in grado di ridurre i livelli di alcuni marcatori dell’infiammazione vascolare quali proteina C reattiva, interleuchina 6, la MCP (proteina chemiotattica monocitaria) ed il TNFa e di aumentare il numero di cellule progenitrici (8) ed endotelioprotettive (aumenta il numero di cellule endoteliali progenitrici in grado di riparare il danno endoteliale (9). Lo studio OLD-PRESS ha valutato la possibilità di utilizzare un sartano di nuova generazione quale olmesartan in monoterapia o in associazione per la cura dell’ipertensione essenziale nei grandi vecchi ben sapendo che essa è caratterizzata da un controllo notoriamente molto difficile (derivante da un’aumentata rigidità delle grandi arterie). L’obiettivo è stato quello di controllare i valori pressori e migliorare la scarsa compliance di questi pazienti nei confronti di una terapia antiipertensiva legata al timore nei riguardi di un nuovo farmaco ed alla paura che si possa trarre più danno che beneficio dalla normalizzazione pressoria rispettando i seguenti aspetti: 1) precedente esperienza del paziente con una classe di farmaci, 2) potenziali effetti del farmaco sui fattori di rischio vascolare, 3) presenza di patologie concomitanti che possono limitare l’impiego di classi particolari di farmaci, 4) interazioni farmacologiche sfruttando il favorevole profilo di tollerabilità di questo farmaco (fornito dal basso po- 124 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto tenziale di interazioni farmacologiche, conseguente al fatto che tale farmaco ha una bassa affinità per il citocromo P450 e quindi interagisce in maniera irrilevante con le molecole metabolizzate da tale sistema) (3,4). CONCLUSIONI La terapia con Olmesartan da solo o combinato con un diuretico tiazidico ha consentito marcate riduzioni sia della PAS che della PAD con una rapidità di comparsa della riduzione pressoria clinicamente rilevante nei soggetti di ambedue i gruppi (obiettivo importante in pazienti ad alto rischio di eventi cardiovascolari e quindi disabi- lità) (10), (Figura 2). Inoltre risulta di estremo interesse l’evidenza di un farmaco in grado di coniugare efficacia nell’immediato ed a lungo termine e compliance terapeutica in pazienti gravati da una elevata comorbidità, per cui è determinante l’utilizzo di farmaci che non interagiscono negativamente con l’andamento di patologie eventualmente associate e che siano dotati di elevata tollerabilità sia in monoterapia che in associazione con il diuretico. Tra l’altro può essere una valida alternativa in questi pazienti rispetto al calcio-antagonista (che in questa tipologia di popolazione è altamente validato vedi SYST-EUR, SYST-CHINA, COHORT) come tra l’altro già dimostrato in altri studi (11-13). BIBLIOGRAFIA 1. CASOTTI G., UNGAR A., ZANIERI S., DI BARI M.: Invecchiamento e rischio cardiovascolare. Cardiovascular Risk On target Anno I; vol. I: 28-30. 2. BURNIER M., BRUNNER H.R.: Angiotensin II receptor antagonists. Lancet 2000; 355: 637-645. 3. CHILMAN-BLAIR K., RABASSEDA X.: Olmesartan, an AT-1 selective anthypertensive agent. Drugs of Today 2003; 39: 745-761. 4. BROUSIL J.A., BURKE J.M.: Olmesartn medoxomil. An angiotensinII receptor blocker. Clin. Ther. 2003; 25: 1041-1055. 5. MIRE D.E., SILVANI T., PUGSLEY M.K.: A rewiew of the structural and functional features of olmesartan medoxomil an angiotensin receptor blockade. J. Cardiovasc. Pharmacol. 2005; 46: 585-593. 6. FLISER D., WAGNER K.K., LOOS A., TSIKAN D., HALLER H.: Chronic angiotensin II receptor blockade reduces (intra)renal vascular resistance in patients with type 2 diabetes. J. Am. Soc. Nephrol. 2005; 16: 1135-1140. 7. KOIKE H.: New pharmacologic aspects of CS-866, the newest angiotensin II receptor antagonist. Am. J. Cardiol. 2001; 87: 33C-36C. 8. FLISER D., et al.: Antiinflammatory effects of Angiotensin II Subtype 1 Receptor Blockade in Hypertensive Patients with Microinflammation. Circulation 2004; 110: 1103-1107. 9. BAHLMANN F.H., DE GROOT K., MUELLER O., HERTEL B., HALLER H., FLISER D.: Stimulation of endothelial progenitor cells. A new putative therapeutic effect of angiotensin II receptor antagonists. Hypertension 2005; 45: 526-529. 10. ELIAS F.M., ELIAS P.K.: Blood pressure and disability: Novus Orsa. Hypertension 2007; 50: 1-2. 11. CHRYSANT S.G., MARBURY T.C., ROBINSON T.D.: Antihypertensive efficacy and safety of olmesartan medoxomil compared with amlodipine for mild-to moderate hypertension. J. Hum. Hypertens. 2003; 17: 425-432. 12. STUMPE K.O., LUDWIG M.: Antihypertensive efficacy of olmesartan compared with other antihypertensive drugs. J. Hum. Hyperten. 2002; 16 (suppl. 2): S24-28. 13. CHRYSANT S.G., MARBURY T.C., SILFANI T.N.: Use of 24-h ambulatory blood pressure monitoring to assess blood pressure control: a comparison of olmesartan medoxomil and amlodipine besylate. Blood Press Monit 2006; 11: 135-41. Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto 125 IL “FATTORE DIMENTICATO” IN MEDICINA: LE INFLUENZE RELIGIOSE E SPIRITUALI Giaquinto S., Giachetti I. IRCCS “San Raffaele Pisana”, Roma Riassunto: Il moderno concetto della Riabilitazione è quello dell’intervento olistico, ossia globale, che considera la persona nella sua totalità e non in organi separati. Il Credo religioso e la spiritualità fanno parte integrante della persona malata e sono possibili gli interventi di coping mediante i quali viene contrastata la negatività della malattia e favorito l’adattamento. Vi sono molti articoli recenti in Letteratura, che dimostrano influenze positive contro lo stess, la depressione e il rischio cardiovascolare, anche se non sono ancora del tutto conosciuti i meccanismi biologici. Parole chiave: Depressione, Mortalità, Rischio cardiovascolare, Religione, Spiritualitàm Stress. Summary: Nowadays, rehabilitation has a global, holistic approach, diffently from old concepts of more focalized interventions. The influence of spirituality and religious beliefs on health has been increasingly investigated over the past decade. In general, research has concluded that religion and spirituality are linked to positive physical and mental health outcomes. The data, however, are not entirely consistent, and the mediating factors are still poorly understood. Relying on religion is an active coping strategy. A collaborative relationship with God can help whenever the complex of stimuli, perception, and reactions to internal and external demands challenge the organism’s adaptation resources. Key words: Cardiovascular risk, Death, Depressione, Faith, Stress. Poteva capitare in sala settoria, studiando l’anatomia di un braccio appartenuto chissà a chi, di disserrare un pugno stretto e trovarci dentro un piccolo crocefisso, prova della ricerca di un conforto in un drammatico trapasso. Molto più frequente è la constatazione della grande quantità di immagini sacre sui comodini dei ricoverati in un ospedale. Questi messaggi fanno parte della semeiotica e ci dicono che non vanno trascurati, nella cura di un malato, gli aspetti spirituali, ovviamente quando questi esistono. La presente rassegna è uno studio scientifico e non apologetico sugli effetti positivi della spiritualità con le sue possibili implicazioni preventive. Ognuno di noi è consapevole dell’influenza della psiche sul sistema cardiovascolare. Le persone divengono pallide per la paura e scarlatte per la rabbia, ma sono ben più sottili i cambiamenti che sono stati individuati nelle ricerche recenti. I fattori psicologici e fisiologici sono interconnessi e complementari piuttosto che alternativi e la spiritualità può essere considerata come un benefico antidoto allo stress. STRESS E DEPRESSIONE Il disturbo acuto da stress ha una durata che va da un minimo di 2 giorni ad un massimo di 4 settimane e s’instaura entro 4 settimane dall’evenIndirizzo per la corrispondenza: Salvatore Giaquinto IRCCS “San Raffaele Pisana” Via della Pisana, 216 – 00163 Roma Tel. 06-661305 E.mail: [email protected] to, il quale può essere seriamente dannoso sia per i diretti interessati che per i loro cari. Lo stress cronico fa sì che gli individui reagiscano con costante difficoltà alle continue richieste di adattamento. Le risorse individuali sono necessarie e quando iniziano a scarseggiare vi è la necessità di un prestito biologico, il quale pesa sull’intero organismo, generando così il rischio di complicanze a livello cardiovascolare, cerebrale e psicosomatico. Lo stress psicosociale è in parte responsabile degli altissimi tassi di ipertensione e della conseguente morbilità e mortalità cardiovascolare. Lo stress cronico e il carico delle cure prestate ai malati di Alzheimer sono associati nei caregivers ad una ridotta funzionalità del sistema immunitario e ad un rischio per quello cardiovascolare, ad iper-reattività del simpatico e all’attivazione piastrinica. Si è ipotizzato che questa attivazione sia un meccanismo di difesa, che limita l’emorragia negli animali catturati dai predatori. Si è riscontrato che solamente tra i caregivers, l’incremento della sintomatologia depressiva e dell’ansia sia associato a recupero ritardato della norepinefrina, delle piastrine e della p-selectina con incremento della reattività e del ritardo dei meccanismi di recupero (1). Questi cambiamenti possono rappresentare un passaggio, per il caregiver, dallo stress al rischio cardiovascolare e l’aumento dello stress può sfociare in depressione (2). La depressione è in questo caso un meccanismo di difesa. Questi dati suggeriscono che l’esperienza soggettiva di circostanze stressanti sia una causa determinante dell’umore depresso. Si è arrivati alla conclusione che il peso delle cure prestate agi- 126 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto sca come un grilletto, che dà inizio alla progressione dallo stress alla depressione, causando sentimenti soggettivi di sovraccarico e intrappolamento nel ruolo di caregiver. L’influenza della depressione sul rischio di ictus non è stata studiata esaurientemente, comunque, alcuni studi epidemiologici mostrano la possibilità che esista un relazione. In uno studio su soggetti anziani si è rilevato che sintomi depressivi gravi accrescono il rischio di ictus (3). Molti soggetti anziani con depressione, sviluppata tardi nel corso della vita, presentano lievi patologie cerebrovascolari. Sono i problemi dell’umore ad identificare la compromissione vascolare in pazienti affetti da ischemia cerebrale silente. Le variazioni a livello vascolare possono essere legate ad aterosclerosi, ipertensione o infarto del miocardio. La depressione successiva ad ictus, influisce negativamente sui progressi del paziente durante l’ospedalizzazione e alla dimissione (4-12). D’altra parte, la depressione è associata in modo minore all’esito funzionale rispetto ai segni neurologici e all’indebolimento cognitivo (13). Molte altre variabili e le loro combinazioni possono influire sull’esito dell’ictus, come la pressione diastolica (14) e l’omocisteina (15). L’interleuchina-1 (16), l’interleuchina-6 (17), la proteina C-reattiva e altri markers dei processi infiammatori, possono portare a disfunzioni nell’attività piastrinica, anormalità nella coagulazione del sangue, disfunzioni a livello endoteliale, e anormalità del battito cardiaco. Si è scoperto quindi che l’umore depresso rappresenta un reale fattore di rischio per gli incidenti cerebrovascolari (18). Tuttavia, l’infiammazione non spiega del tutto la relazione tra depressione e malattia cardiovascolare. Infatti, la depressione è stata indicata come un significativo predittore di malattia cerebrovascolare, ma la depressione e i biomarkers dei processi infiammatori restano indipendenti quando si valuta il risultato finale (19). MORTE IMPROVVISA Gli eventi stressanti sembrano far scattare aritmie ventricolari maligne e infarto del miocardio in pazienti cardiopatici. E’ stata identificata la sindrome del Mastino dei Baskerville (20), ispirata al famoso romanzo di Conan Doyle, nel quale un ricco possidente è attirato di notte da un cugino invidioso con uno stratagemma in una landa, dove secondo una leggenda vive un ferocissimo mastino gigante. Quando il cugino invidioso gli lancia contro un grosso cane, addestrato per l’occasione, il ricco possidente muore di paura: un delitto perfetto, che Sherlock Holmes poi risolverà. Interessanti casi di questa sindrome, che vanno oltre la scienza, provengono dalla comunità cinese e nippo-americana, che considerano il quarto giorno del mese sfortunato; questo è spiegabile con il fatto che i termini ”morte” e “quattro”, hanno ideogrammi del tutto differenti ma stessa pronuncia (shi). Le statistiche indicano che queste comunità presentano un picco di mortalità particolarmente alto in quel giorno, a differenza dei bianchi americani (21). L’alto picco di mortalità nel quarto giorno del mese è dovuto a patologie cardiache croniche. La paura (ricorrente) di morire all’avvicinarsi del quattro del mese sembra peggiorare la qualità della vita, silenziosamente. Così, l’alta mortalità per patologie cardiache può crescere in occasione di eventi stressanti. Perfino le vacanze possono essere pericolose: infatti la mortalità per patologie cardiache e non, è maggiore durante le festività natalizie, indipendentemente dai fattori climatici e dietetici (22) ed è in aumento. Mentre la morte nel quarto giorno del mese non trova spiegazione nelle variabili confondenti, come cambiamenti nella dieta o nelle terapia farmacologica, nell’assunzione di alcol, nello svago, nel lavoro, una spiegazione alternativa della mortalità durante il periodo delle festività natalizie è quella che le vacanze portino a dimenticare l’assunzione della terapia farmacologica. Tuttavia le vacanze sono fonte di stress: corse per regali, acquisto di pacchetti di viaggio, bagagli, abbigliamenti adatti, nuova alimentazione e repentino cambio di abitudini. Per i cattolici Sant’Andrea d’Avellino è il patrono che protegge dalla morte improvvisa. Il santo fu colpito da ictus mentre celebrava la messa e l’episodio è rappresentato in un quadro del Lanfranco, esposto nel braccio destro del transetto della Chiesa di Sant’Andrea della Valle a Roma. FEDE, SPIRITUALITÀ E RELIGIONE S. Paolo definisce la Fede come la certezza nelle cose per cui si spera, e la convinzione in ciò che non si vede (Lettera agli Ebrei, ripresa da Dante: Paradiso, XXIV, 64-65). Spiritualità e religiosità sono concetti simili e non sinonimi. Per spiritualità s’intende il credere, l’attribuire valore o l’essere devoto ad un alto potere oltre il regno del corporeo e del visibile. La spiritualità è legata al trascendente, al porsi le domande ultime sul significato della vita, dando per certo che vi sia più di quanto possa essere visto o compreso (23,24). La religiosità è un sistema dottrinale condiviso da più persone. La partecipazione religiosa, più della spiritualità, può sommare i suoi effetti benefici sulla salute e la sopravvivenza. Dal momento che la religiosità è collegata ad una congregazione che condivide dottrina, modo di comunicare, regole e abitudini, sono proprio la partecipazione alla vita sociale, i ruoli, lo stile di vita, le restrizioni alimentari, e la moderazione, che possono spie- Giaquinto S., Giachetti I. – Il “fattore dimenticato” in Medicina: le influenze religiose e spirituali gare i benefici. Si sta destando un certo interesse per l’argomento nel campo riabilitativo (25-28) e ne risulta una domanda crescente di interventi riabilitativi olistici, globali, che siano centratati sull’individuo e non su una sua parte staccata, come nella patologia di organo. Questa riabilitazione sarà focalizzata sul sé spirituale, oltre che fisico, cognitivo e sociale. Questi argomenti sono importanti per gli individui con disabilità ad esordio veloce, come l’ictus e il danno spinale. In un modello di spiritualità, su un asse venivano indicate le relazioni intra-, inter- e transpersonali, mentre sull’altro venivano indicate la consapevolezza, la vicinanza, la fiducia, la vulnerabilità e la propositività (25). Per quanto riguarda la religiosità, essa si potrebbe definire come una strategia attiva di coping (29). Secondo gli autori una relazione collaborativa con Dio aiuta. Il complesso di stimoli, percezioni e reazioni alle richieste interne ed esterne muta le risorse adattive dell’individuo. Nel modello di Pargament (29) le persone considerano gli eventi stressanti utilizzando valutazioni primarie (“L’evento è potenzialmente dannoso?”) e secondarie (“Posso affrontarlo?”). Sono stati individuati tipi di coping religioso positivo, per esempio il ricavare un insegnamento dalla malattia, il contrastare la malattia avendo Dio come compagno, il cercare l’amore e le cure di Dio, il chiedere agli altri di pregare per la propria salute, il dare agli altri il conforto spirituale, il sentirsi rifugiati nelle mani di Dio, il confessarsi per annullare il senso di colpa, il considerare la vita come una parte di un cammino molto più lungo, il guardare a nuove ragioni che giustifichino la vita, il trovare totale risveglio spirituale, il focalizzarsi sulla religione per attutire i problemi. Ma come esiste il coping positivo, così esiste anche il coping negativo. Ad esempio, il sentire la malattia come punizione, l’avvertire la presenza del diavolo, il percepire la situazione fuori del controllo divino, il percepire la mancanza dell’aiuto e dell’amore di Dio. Comunque, nulla di nuovo sotto il sole: già nelle Sacre Scritture troviamo sia il coping positivo (Emmanuel = Dio è con me) che il coping negativo (Elì, Elì, lamma sabactane = Signore, Signore, perché mi hai abbandonato). Una reazione allo stress può dipendere non solo dalla propria formazione, ma anche da vari mediatori come il supporto sociale, la decisionalità, lo stile di risoluzione dei problemi. Le persone religiose, e non solo, tendono a sperimentare lo stesso quantitativo di stress, ma la religione può essere d’aiuto facilitando una migliore reattività agli eventi negativi della vita. La comunità religiosa è come uno rifugio, specialmente per le persone sole, dove la prevenzione, la promozione e la mutua collaborazione si occupano delle strategie di coping per gli eventi della vita negativi. La paura della morte è maggiore durante la 127 mezza età anche di più che in quella tarda. Studi di neuroimaging hanno portato ad una ipotesi di depressione vascolare. Si è trovato che la depressione è un forte fattore predittivo di ictus, mentre la religiosità sembra essere un antidoto protettivo. Una possibile interpretazione è l’eziologia vascolare della depressione nella tarda età. La religiosità potrebbe essere interpretata come contrasto alla depressione e alle lesioni vascolari (30). Uno studio longitudinale ha dimostrato che la religiosità e la partecipazione attiva ai servizi sacerdotali sono inversamente correlate ai sintomi depressivi, anche se la religiosità privata non ha gli stessi effetti di quella comunitaria (31). Tassi più bassi di mortalità per coloro che prendono parte ai servizi religiosi (32) sono solo parzialmente spiegati da possibili variabili confondenti (fattori demografici, stato di salute, funzionalità fisica e sociale, stato psicologico). È stata esaminata l’associazione tra partecipazione religiosa (autoriferita) e mortalità sopravvenuta dopo più di 5 anni per i residenti più anziani di un distretto cittadino. Si sono utilizzate le interazioni tra le variabili religione e il supporto sociale per verificare se altre forme di supporto possano sostituire la religione e diminuirne il suo effetto protettivo. Chi partecipa ai servizi religiosi ha una mortalità più bassa di chi non vi partecipa. Anche la partecipazione alle attività religiose private può essere vantaggiosa, a condizione che le attività giornaliere siano preservate. Uno studio (33) ha preso in considerazione la preghiera, la meditazione o lo studio della Bibbia e un ampio numero di variabili socio-demografiche di interesse sanitario. Un terzo dei soggetti è morto in media dopo 6,3 anni. Coloro che riferivano di avere un’attività religiosa privata o nulla, avevano un rischio di morte maggiore rispetto a chi partecipava ai servizi religiosi, ma il risultato non restava significativo per il campione nell’insieme, dopo la correzione delle variabili demografiche e di salute. La religione è importante per gli Ispanico-americani, particolarmente per i più anziani. Frequentare la chiesa settimanalmente può ridurre il rischio di mortalità tra i messicani più anziani (34) e infatti i risultati hanno dimostrato che chi frequentava la chiesa una volta la settimana mostrava una riduzione del 32% nel rischio di mortalità, rispetto a chi non partecipava mai a funzioni religiose. I benefici della frequenza settimanale persistevano nel tempo. Un buon invecchiamento è influenzato in maniera positiva dalla spiritualità, il cosiddetto fattore “dimenticato”, e gli specialisti in geriatria vengono criticati quando non considerano la sua crescente evidenza (35). Più del 40% dei pazienti anziani ospedalizzati ha riferito spontaneamente che la fede religiosa è stato il fattore più importante che li ha spinti a reagire alla malattia. Arti- 128 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto coli recenti hanno enfatizzato l’importanza in medicina della religione e della spiritualità per il raggiungimento di una salute migliore, incluse una maggior longevità, abilità di coping persino durante malattie terminali, oltre ad una diminuzione di ansia, depressione e tentativi di suicidio (36,37). Una relazione positiva e consistente è stata riscontrata tra soddisfazione di vita e religiosità (38). Per quanto riguarda i pazienti che hanno subito un ictus non ci sono state ricerche sistematiche. Eppure l’esperienza religiosa non è solo parte di un multiculturalismo, ma anche coerente con la direzione della cultura post-moderna. È sorprendente che solo pochi articoli sull’ictus si siano indirizzati alla questione dei meccanismi benefici inerenti la frequenza ai servizi religiosi (12). Ciononostante, già alcuni articoli hanno evidenziato il ruolo delle credenze religiose e spirituali nelle unità di riabilitazione. Secondo vari autori le credenze religiose e spirituali sono importanti per molti pazienti in riabilitazione, visto che la soddisfazione e la qualità della vita ne possono essere positivamente influenzate. Quando un paziente giunge in un centro di riabilitazione, si verifica un evento stressante, per esempio un evento o una serie di eventi o condizioni che richiedono adattamento. Il complesso degli stimoli, la percezione e la reazione alle richieste interne ed esterne, cimentano le risorse adattive dell’organismo. Nel modello di Pargament (29) le persone considerano gli eventi stressors utilizzando valutazioni primarie (“L’evento è potenzialmente pericoloso?”) e secondarie (“Posso affrontarlo?”). Una reazione allo stress può dipendere da vari mediatori come il supporto sociale, la risolutezza, lo stile di risoluzione dei problemi. Malgrado la religiosità sembri non essere correlata allo stress tra i caregivers di pazienti che soffrono di demenza, nondimeno uno stressor, chiamato sentimento di sovraccarico di ruolo, risulta correlato a maggiori livelli di religiosità autopercepita (2). CONTRIBUTO PERSONALE La depressione si manifesta in circa 1/3 dei pazienti che hanno subito un ictus recente. E’ stata effettuata una ricerca per verificare l’ipotesi che la fede possa attutire la depressione. Sono stati reclutati 132 pazienti italiani consecutivi, dopo il loro primo ictus, senza danni nella comprensione o nel giudizio (39). Vennero valutate dipendenza assistenziale e depressione. Sono state rilevate poi le credenze spirituali e religiose mediante la Royal Free Interview (RFI, 40). Lo strumento ha un’alta validità di criterio, validità predittiva, consistenza interna e attendibilità test-retest. E’ stata usata una traduzione in italiano validata (33). Alti punteggi indicano forte credenza religiosa e spirituale. L’Hospital Anxiety and Depression Scale (HADS, 41) è una scala di autovalutazione che misura ansia e depressione. Punteggi più alti indicano maggior sofferenza emotivo-affettiva. Le sottoscale sono anche misure valide della gravità del disturbo emozionale. 55 pazienti (41,6%) avevano un punteggio totale superiore al cut-off di 10 (range 11-36). 55 pazienti (41,6%) avevano conseguito un punteggio superiore a 5 nella sottoscala dell’ansia, e 57 pazienti (43,2%) un punteggio superiore a 5 nella sottoscala della depressione. Sono stati realizzati modelli logistici sui punteggi dicotomizzati della HADS (rispettivamente sotto e sopra 10). Per ogni incremento di una unità nei punteggi della RFI si è osservato un decremento del 5% nei punteggi della HADS. La relazione tra i punteggi delle scale HADS e RFI non è stata influenzata dall’aggiustamento dei fattori sociodemografici e del funzionamento cognitivo e dopo ulteriore correzione della dipendenza funzionale, della comorbilità, delle condizioni di vita e di quelle matrimoniali. In questo modello l’altra variabile significativa è stata la dipendenza funzionale. L’analisi delle sottoscale della HADS, ansia e depressione, ha fornito risultati simili, con il 4% e 5% di decremento, rispettivamente, per ogni incremento di una unità nei punteggi della RFI. Così, il punteggio della HADS è significativamente associato in modo negativo ai punteggi della RFI. I pazienti con minore sofferenza emotivo-affettiva producono un punteggio più alto nella RFI. Sia la depressione che l’ansia sono influenzate. PREGHIERA La preghiera è l’atto di tentare di comunicare con una entità superiore, mediante una sequenza di parole, pronunciate o pensate, di particolari posture e movimenti. I fedeli possono chiedere aiuto, assistenza, guida, perdono per sé o per altre persone. La preghiera è anche il modo di esprimere pensieri ed emozioni in un legame con la divinità. Per i sopravvissuti ad ictus, la preghiera è una parte fondamentale nel recupero (42). Alcuni dei pazienti recitavano ogni giorno della settimana preghiere specifiche, come il rosario o i salmi, per sé e per gli altri. Altri pazienti riprendevano le loro usuali modalità di preghiera, soprattutto durante le funzioni religiose. La preghiera sembra essere la più comune forma di coping religioso e spesso persino i non religiosi iniziano a pregare quando sono nel pieno della sofferenza. Parecchi temi si focalizzano sul come la preghiera sia utilizzata per reagire all’ictus. Essi sono: connessione con Dio, considerazione di sé, degli altri e della natura, modi di Giaquinto S., Giachetti I. – Il “fattore dimenticato” in Medicina: le influenze religiose e spirituali pregare, centrarsi sul presente, tornare alla prima vita familiare, collegare presente e passato, trovare la forza, essere sollevati e confortati. Il Rosario e il Mantra sono stati sottoposti ad indagini scientifiche (43). Il termine “Rosario” significa “corona di rose”: per ogni Ave Maria recitata una bellissima rosa va a completare la serie, che diventa simile a una corona per la Vergine. Il Rosario è composto da decine di Ave Maria, ognuna delle quali è recitata in onore di un mistero; in genere, vengono recitate 5 decine per volta, mentre si medita sui Misteri. Ogni Ave Maria è divisa in due parti, una delle quali è recitata da un conduttore o da una conduttrice e l’altra parte è recitata dall’assemblea. Per ogni decina le parti si invertono. Ogni decina è preceduta dal Pater Noster e termina con un Gloria. È consuetudine recitare facendo scivolare tra le dita i grani del rosario uno ad uno, per ogni Ave Maria della decina. Durante la recitazione del Rosario e del Mantra gli effetti sono simili, poiché la respirazione rallenta a 6 atti per minuto ed ha un effetto marcato sulla sincronizzazione e sulla accresciuta variabilità in tutti i ritmi cardiovascolari. Questo si è notato non solo nei segnali respiratori ma anche negli intervalli del ritmo respiratorio, nella pressione sanguigna sistolica e diastolica e nel segnale di flusso ematico transcranico. Il parlare liberamente riduceva il tasso respiratorio in modo più irregolare. I picchi dello spettro di potenza respiratorio e di tutti i segnali cardiovascolari erano sincronizzati durante le sequenze dell’Ave Maria e del Mantra e si verificavano alla stessa frequenza. Il picco dello spettro respiratorio era più stretto durante il Rosario, come conseguenza di una respiro più regolare, se paragonato a quando si parlava liberamente e si respirava normalmente. La intensificata oscillazione cardiovascolare sincronizzava l’attività simpatica e vagale in uscita, inducendo fluttuazioni ritmiche nel flusso ematico cerebrale. Il Rosario e il Mantra sembrano assomigliarsi dal punto di vista fisiologico, poiché sono storicamente collegati. Il Rosario fu introdotto in Europa dai Crociati, che lo conobbero dagli Arabi, i quali a loro volta lo appresero dai monaci tibetani e dai maestri di Yoga in India. 129 MEDITAZIONE TRASCENDENTALE La meditazione trascendentale (MT) richiede la ripetizione individuale di un Mantra. Si raggiunge uno stato alterato di coscienza, differente dalla veglia, dal sonno e dal sogno, come fosse uno stato di vigilanza riposante. L’individuo sperimenta la coscienza pura e diviene sempre più quieto, senza pensieri. La MT è stata presa in esame per la prima volta in 73 residenti in casa di riposo (44). Metà di loro aveva effettuato una meditazione giornaliera, a differenza dell’altra metà. Dopo 3 anni nessuno del gruppo che partecipava alla meditazione era morto, a differenza del 25% dell’altro gruppo. Da allora la MT è stata utilizzata nel controllo dell’ipertensione nei soggetti a rischio, come negli afro-americani che hanno tassi di mortalità per patologie cardiovascolari, molto più alti di quelli dei bianchi. Lo stress psicosociale influenza lo sviluppo e il progresso dell’aterosclerosi. La riduzione dello stress mediante il programma di MT, confrontato con la sola educazione alla salute nei soggetti ipertesi, era associata a ridotta aterosclerosi carotidea (45). La ricerca, clinica e randomizzata controllata, ha valutato gli effetti del programma MT sulla carotide negli afro-americani ipertesi, sia uomini che donne, con più di 20 anni, durante un intervallo da 6 a 9 mesi. Degli iniziali 138 pazienti volontari reclutati, il 43% ha portato a termine il pre-test e il post-test con i dati sullo spessore delle pareti della carotide. Gli interventi assegnati erano programma MT o gruppo di educazione sanitaria. Il gruppo MT ha presentato un decremento significativo di 0,098 mm nello spessore delle pareti della carotide, paragonato ad un aumento di 0.054 mm nel gruppo di controllo. La spiritualità è un campo nuovo per la medicina e permette al team di comprendere l’esperienza della patologia cardiaca al suo esordio, secondo la prospettiva del malato. I medici dovrebbero porre attenzione alla percezione del paziente circa le sue strategie di coping e la loro influenza sul recupero, perché il coping può essere sfruttato positivamente. 130 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto BIBLIOGRAFIA 1. 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Key Words: Adipokines, Obesity, Insulin resistance, Diabetes type-2, Hepatic stellate cells, NAFLD, SH, Liver cirrhosis. Iperinsulinemia, insulino-resistenza ed elevati livelli plasmatici di citochine proinfiammatorie (incluso il TNF-α) sono presenti nella quasi totalità dei pazienti con cirrosi epatica (1). L’obesità e soprattutto l’accumulo di grasso viscerale riduce la funzione degli adipociti e la secrezione delle adipocitochine e, di conseguenza, l’alterata liberazione di queste sostanze contribuisce all’instaurazione di ipertensione arteriosa, ridotta fibrinolisi ed insulino-resistenza (2). L’obesità e l’insulinoresistenza accelerano la progressione della fibrosi nelle malattie croniche del fegato (CLD, Chronic liver diseases) (3). Il tessuto adiposo viscerale è quindi un fattore causale per la steatosi epatica e la NASH (Non-alcoholic steatohepatitis). Il tessuto adiposo (grasso bianco) è un attivo organo endocrino che secerne svariate sostanze proteiche metabolicamente importanti come le adipocitochine e fattori infiammatori come il TNF- e interleuchina-6 ed è pertanto coinvolto attivamente in numerosi processi fisiologici e fisiopatologici. Negli obesi questo grasso bianco, ricco di vasi e fibroblasti, è caratterizzato da un’aumentata produzione e secrezione di molecole infiammatorie che posseggono effetti sulla fisiologia di questo tessuto ed azioni sistemiche su altri organi. È pure infiltrato da macrofagi che possono rappresentare una cospicua sorgente di citochine pro-infiammatorie localmente prodotte. Infatti, anche cellule diverse dagli adipociti producono nel tessuto adiposo cospicue quantità di interleuchine infiammatorie ed altre citochine. Gli adipociti, invece, secernono, oltre alla leptina (produttori pressoché esclusivi) ed all’adiponectina, anche numerosi altri fattori coinvolti nel processo infiammatorio come PAI-1 (Plasminogen-activator inhibitor-1), MCP-1 (Monocyte chemoattractant protein-1), IL8, IL-6, IL-10, IL-β, VEGT (Vascular endothelial growth factor), TGF-β1, TN-α, catepsina S, HGF Indirizzo per la corrispondenza: Dott. A. Mancinella Via Tito Omboni, 49 – 00147 Roma Tel. e Fax: 0605137284 (Hepatocyte growth factor) che rappresentano, però, meno del 12% dei fattori prodotti dalle cellule non-adipocitiche (4). Molti fattori di derivazione non solo adipocitica ma anche macrofagica, quindi, producono citochine proinfiammatorie. La perdita di peso, infatti, è associata con la riduzione dell’infiltrazione macrofagica del grasso bianco ma non della secrezione di citochine adipocitiche. Ne consegue che molti fattori di derivazione macrofagica contribuiscono probabilmente alla patogenesi dell’insulino-resistenza (5). L’obesità deve essere considerata una condizione infiammatoria subclinica che promuove la produzione di fattori pro-infiammatori (citochine, macrofagi) coinvolti nella patogenesi dell’insulino-resistenza; inoltre, è un fattore di rischio per lo sviluppo di NAFLD. In un recente studio su pazienti anziani affetti da NAFLD, si è visto che gli obesi (con BMI>30) erano 7 anni più giovani dei loro coetanei magri e che nei pazienti obesi il rapporto AST/ALT<1 era più predittivo di NAFLD rispetto ai loro coetanei non obesi. Infine, negli stessi pazienti anziani affetti da NAFLD i livelli della glicemia a digiuno erano significativamente più bassi negli obesi rispetto a quelli dei magri. Quest’ultimo dato fa pensare che l’insulino-resistenza giochi un ruolochiave nella fisiopatologia della NAFLD nei soggetti magri (6). L’obesità (e l’insulino-resistenza ) è associata con lo sviluppo di NASH (Nonalcoholic steatohepatitis) ed è stata individuata come fattore indipendente di progressione della fibrosi. Questa, che coinvolge differenti tipi di cellule, considerata come una risposta cicatriziale che accade in diverse condizioni di insulto cronico del fegato, è caratterizzata da flogosi, attivazione di cellule che producono differenti componenti della matrice extracellulare (come le cellule stellate epatiche), deposizione e rimodellamento della medesima e rigenerazione di cellule epiteliali o tentativo di guarigione. La resistina e l’adiponectina sono importanti modulatori dell’insulino-resistenza, fattore centrale (spesso associato all’obesità) per la patogenesi 132 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto della NAFLD (7). La resistina, un ormone polipeptidico principalmente derivato dal tessuto adiposo (adipochina) che ha un ruolo nell’inibizione dell’adipogenesi e nella flogosi, riduce la sensibilità all’insulina negli adipociti, nel muscolo scheletrico e negli epatociti ed i suoi elevati livelli circolanti sono stati associati all’obesità ed all’insulino-resistenza (8). Essa appare essere un importante anello di congiunzione tra obesità, insulino-resistenza (9), diabete tipo 2 e NAFLD (10). I livelli plasmatici della resistina sono associati con i disturbi del metabolismo glucidico e lipidico. Anche nel diabete di tipo 2 la resistina e la adiponectina (altamente espressa nel tessuto adiposo bianco) giocano un ruolo fondamentale sulla genesi dell’insulino-resistenza. I livelli plasmatici di adiponectina sono ridotti nei soggetti con obesità legata all’insulino-resistenza, nel diabete di tipo 2 e nella malattia coronarica. Nei diabetici di tipo 2 questi tassi sono ridotti significativamente rispetto ai non-diabetici mentre la concentrazione di adiponectina nei diabetici obesi è significativamente ridotta rispetto a quella dei diabetici non obesi. L’adiponectina plasmatica è correlata negativamente con il BMI, glicemia, trigliceridemia ed indice di insulino-resistenza e positivamente con l’indice di sensibilità all’insulina. Infine, inibisce la neoglucogenesi epatica, promuove l’ossidazione degli acidi grassi nel muscolo scheletrico, contrasta gli effetti proinfiammatori del TNF-α sulla parete vasale e probabilmente protegge dallo sviluppo del processo aterosclerotico. Nei pazienti obesi con insulinoresistenza l’adiponectina è ridotta non solo nel plasma ma anche nel tessuto adiposo e ciò li può predisporre all’instaurarsi di una progressiva forma di NAFLD o NASH. Pertanto, l’adiponectina possiede effetti antiflogistici, antidiabetici, antiobesità e, opponendosi allo sviluppo della fibrosi, deve essere considerata come sostanza epatoprotettrice (11). Elevati livelli di resistina antagonizzano l’azione dell’insulina epatica ed innalzano i valori plasmatici del glucosio. La resistina plasmatica è significativamente aumentata nei diabetici rispetto ai non-diabetici e, maggiormente, nei diabetici obesi rispetto ai non-obesi. Questi livelli plasmatici sono direttamente correlati con il BMI, la glicemia, la trigliceridemia e l’indice di insulinoresistenza e, negativamente con l’indice di sensibilità all’insulina. Tutto ciò suggerisce che nei pazienti diabetici di tipo 2 la relazione tra questi due ormoni e la sensibilità all’insulina gioca un ruolo decisivo nello sviluppo dell’insulino-resistenza (12). Questa adipochina possiede potenti proprietà pro-infiammatorie agendo su IL-6 e TNF-α che però vengono soppresse dall’intervento dell’NFK-B-inibitore che si qualifica come il più importante fattore di inibizione della flogosi resistino-indotta. I livelli plasmatici della resistina, significativamente elevati nei cirrotici, rispetto ai controlli, sono anche correlati con quelli plasmatici del TNF-α mentre non si è osservata alcuna correlazione tra essi e l’emodinamica epatica, la massa grassa corporea, il sistemico metabolismo energetico ed il grado di insulino-resistenza (13). Questi tassi plasmatici aumentano progressivamente con i vari stadi clinici della malattia definiti dalle scale di Child-Pugh o Meld (Model for end-stage liver disease) (14). In questi pazienti cirrotici l’iperinsulinemia e gli elevati tassi plasmatici di TNF-α aumentano la resistina del tessuto adiposo. I livelli plasmatici di resistina sono associati negativamente con la produzione epatica di glucosio e positivamente con gli acidi grassi liberi circolanti così come con la produzione epatica di corpi chetonici. Dopo il trapianto del fegato i livelli plasmatici di resistina rimangono invariati mentre l’insulino-resistenza è significamene aumentata. Anche nei pazienti con NAFLD si riscontra una positiva correlazione tra i livelli di resistina e l’entità istologica dell’infiammazione. Pertanto, gli elevati livelli plasmatici di resistina sono in relazione alla gravità istologica della malattia ma non con l’insulino-resistenza ed il BMI di questo tipo di pazienti (15). Infine, la NASH è caratterizzata da elevati livelli plasmatici di resistina se comparata alla semplice steatosi epatica. Tali elevati livelli di resistina sono fortemente predittivi dello stadio e del grado della NASH e possono essere clinicamente utilizzati per differenziare pazienti con NASH da quelli con una semplice steatosi. Infine, di recente si è visto che la NAFLD è associata ad elevati livelli plasmatici di PCR-ad alta sensibilità, fattore indipendente che può essere spiegato con la microinfiammazione presente nel fegato di questi pazienti (16). Come abbiamo detto, la resistina è direttamente correlata con la secrezione insulinica ed inversamente con la sensibilità all’insulina nei soggetti con malattie croniche del fegato e contribuisce, quindi, al determinarsi di insulino-resistenza. I livelli plasmatici di resistina, poi, sono inversamente correlati con i marcatori della capacità biosintetica del fegato e direttamente correlati, probabilmente agendo a livello delle cellule stellate epatiche, con i marcatori dell’infiammazione come il TNF-α e PCR e con le complicanze cliniche (ad es. ipertensione portale). Colture di cellule stellate epatiche che, una volta attivate, giocano un ruolo chiave nella patogenesi della flogosi epatica e della fibrosi attraverso la produzione di metalloproteinasi della matrice extracellulare, esposte alla resistina provocano, attraverso l’attivazione di NF-kappa B (Nuclear factor-kappa B), aumentata espressione di chemochine pro-infiammatorie come MCP-1 (Monocyte chemoat- Mancinella A., Mancinella M. - Ruolo della resistina nei pazienti anziani con malattia cronica del fegato... tractant protein-1) ed IL-8 (Interleuchina-8). Anche le catecolamine partecipano alla patogenesi dell’ipertensione portale e della fibrosi epatica intervenendo sulle cellule stellate epatiche attraverso gli α-1 adrenocettori, particolarmente aumentati negli stadi avanzati della fibrosi. Le cellule stellate epatiche attivate sono ricche di questi recettori e la norepinefrina provoca in esse multiple e rapide oscillazioni, fosforilazione delle catene leggere della miosina (MLC II) e contrazione cellulare. Non interviene, invece, sulla proliferazione cellulare o sull’espressione dell’α-collagene ma stimola la secrezione di chemochine e quella di NF-kappa B (17). TNF-α contribuisce alla perpetuazione della fibrosi epatica stimolando la produzione di metalloproteinasi-9 della matrice da parte delle cellule stellate epatiche e l’immunosoppressore FK506 inibisce nelle stesse cellule l’espressione della metalloproteinasi della matrice attraverso la via metabolica NF-kappa B (18). La resistina provoca un rapido aumento della concentrazione intracellulare del calcio attraverso il suo rilascio nei pools intracellulari inositolotrifosfato-sensitivi. Il chelante intracellulare del calcio BAPTA-AM blocca l’attivazione del NFkappa B resistina-indotto e l’espressione di MCP1. Quindi, la resistina avrebbe il ruolo di una citochina intraepatica che determina azioni proinfiammatorie nelle cellule stellate epatiche attraverso la via metabolica Ca2+/NF-kappa B-dipendente e suggerisce un suo coinvolgimento nella fisiopatologia della fibrosi. Gli adipociti che producono la resistina hanno una riduzione dell’espressione genica per vari fattori transizionali, PPAR-γ e la proteina adipocitica che lega i grassi (ALBP/a P2) che è l’unica dei gene-bersaglio per il PPAR-γ durante la differenziazione adipocitica. L’eccessiva espressione di resistina aumenta i livelli delle tre citochine pro-infiammatorie, TNF- 133 α, IL-6 e MCP-1 che giocano ruoli importanti sull’insulino-resistenza e nel metabolismo glucidico e lipidico durante l’adipogenesi. Inoltre, l’eccessiva espressione di resistina negli epatociti inibisce l’attività del trasportatore di glucosio 4 (GLUT 4) e le sue espressioni geniche, riducendo del 30% l’abilità dell’insulina a legarsi con il glucosio. Per completezza ricordiamo che di recente è stato investigato il ruolo della ridotta funzionalità renale sulla resistina, apparentemente capace di inibire l’azione dell’insulina epatica. Inoltre, sono stati studiati i possibili legami tra infiammazione e insulino-resistenza presente nei pazienti con malattie croniche del rene (19). La resistina è associata con l’obesità e l’insulino-resistenza e si ipotizza che nei pazienti con insufficienza renale i livelli plasmatici di resistina siano in relazione con la composizione corporea e con l’insulino-resistenza. Diviene, quindi, sempre più chiara l’importanza del ruolo del rene nell’eliminazione della resistina, specialmente nei pazienti con insufficienza renale allo stadio pre-dialitico. Nei pazienti non diabetici con insufficienza renale avanzata trattata con emodialisi si riscontrano significativi elevati livelli di resistina. Le procedure emodialitiche non riguardano la resistina. Tuttavia, gli aumentati livelli plasmatici di resistina nei pazienti emodializzati non sono in relazione alla ridotta sensibilità all’insulina riscontrabile nell’uremia. La significativa relazione esistente tra insulino-resistenza ed i livelli plasmatici di resistina veniva meno con il miglioramento del filtrato glomerulare e pertanto la resistina non deve essere considerata come un verosimile mediatore dell’insulino-resistenza nei pazienti con insufficienza renale. Nelle malattie croniche del rene, quindi, gli elevati livelli di resistina che si riscontrano sono associati al decremento del filtrato glomerulare ed ai biomarcatori della flogosi ma non all’insulino-resistenza (20). 134 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto BIBLIOGRAFIA 1. LIN SY., SHEU WH., CHEN WY., LEE FY. ,HANG CJ.: Stimulated resistin expression in white adipose of rats with bile duct ligation-induced liver cirrhosis: relationship to cirrhotic hyperinsulinemia and increased tumor necrosis factor-alpha. Mol Cell Endocrinol 2005; 232: 1-8. 2. SCHAFFLER A., SCHOLMERIC J., BUCHLER C.: Mechanisms of disease: adipocytokines and visceral adipose-tissue. 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Ricercatore confermato, Università degli Studi di Sassari, Facoltà di Medicina e chirurgia, Cattedra di Medicina nucleare Le anomalie morfologiche e funzionali che caratterizzano le malattie neuro-degenerative del Sistema Nervoso Centrale, un tempo esplorabili solo al tavolo autoptico o mediante indagini ex vivo biochimiche, possono essere attualmente, in buona parte, indagate nel soggetto vivente con le metodiche di imaging. Sulla base di questa e di analoghe considerazioni, possiamo pertanto affermare che la diagnostica per immagini costituisce il ponte tra la clinica e l’anatomia patologica da un lato e la biochimica e la fisiopatologia dall’altro. Il razionale nell’utilizzo del neuroimaging è insito quindi nella sua capacità di valutare in vivo le alterazioni morfologiche, funzionali ed ultrastrutturali tipiche di una determinata patologia, costituendo in tal modo un valido e sicuro supporto al clinico, sia nella diagnosi che nel follow up. Nell’ambito del neuroimaging è comunque necessario differenziare l’aspetto morfologico e strutturale fornito dalle valutazioni radiologiche ad alta risoluzione quali TC, RMN, RMN Funzionale e la Spettroscopia con RM, da quello funzionale e biochimico fornito dalla Medicina Nucleare con la PET (Tomografia ad emissione di positroni) e la SPECT (Tomografia ad emissione di fotone singolo). Le maggiori sensibilità e precocità che caratterizzano la Medicina Nucleare rispetto alle tecniche radiologiche ad alta risoluzione sono in buona parte legate all’introduzione, nel campo applicativo clinico, di un gran numero di innovazioni fornite negli ultimi anni dall’industria, sia in ambito farmacologico che tecnologico. Oltre ai radiofarmaci già esistenti che consentivano di valutare in vivo lo specifico stato funzionale della cellula nervosa attraverso lo studio del flusso regionale cerebrale (SPECT con 99mTcHMPAO) e del metabolismo cerebrale regionale (PET con 18FDG) sono stati infatti introdotti dei nuovi radiofarmaci per l’imaging biomolecolare che hanno permesso di visualizzare specifiche caratteristiche cellulari quali ad esempio attività enzimatiche, di sintesi e/o recettoriali. I radiofarmaci di imaging biomolecolare più Indirizzo per la corrispondenza: Dott.ssa Susanna Nuvoli, Università degli Studi di Sassari, Facoltà di Medicina e chirurgia Viale San Pietro, 8 – 07100 Sassari Tel.: 0792 28242/8496 Fax: 0792 28208 e-mail: [email protected] utilizzati in campo clinico sono: - 18F-DOPA che consente di studiare l’attività della DOPA decarbossilasi con metodica PET (Positron Emission Tomography); - 123IOFLUPANO (DaTSCAN) il cui target è rappresentato dal trasportatore della dopamina nelle terminazioni presinaptiche delle fibre nigrostriatali; - 123I-Iodobenzamide (IBZM) che evidenzia i recettori postsinaptici striatali D2. Per entrambi questi ultimi due radiofarmaci si utilizza la SPECT (Single Photon Emission Computed Tomography), metodica tomografica ampiamente diffusa nei servizi di Medicina Nucleare. I tre radiofarmaci succitati si localizzano nelle sinapsi dopaminergiche striatali in concentrazioni dipendenti dall’espressione di questi recettori e dall’integrità delle fibre, consentendo di ottenere immagini della loro distribuzione corticale e sottocorticale e fornendo informazioni sulla sede del sistema colpito, sulla severità della compromissione e sull’estensione del danno biochimico indotto dalla patologia. I radiofarmaci per l’imaging funzionale, ormai consolidati nel loro utilizzo routinario, sono: - 18Fluoro-Deossiglucosio (18FDG) consente di valutare il metabolismo cerebrale con metodica PET; - 99mTc-HMPAO (CERETEC) il cui target, valutabile con la metodica SPECT, è rappresentato dal flusso cerebrale regionale. Questi due radiofarmaci presentano una localizzazione elettiva in corrispondenza degli astrociti giustapposti alle sinapsi in concentrazioni dipendenti sia dall’attività sinaptica che dalle richieste energetiche; si ottengono pertanto immagini corticali e sottocorticali rappresentative del metabolismo cerebrale regionale del 18FDG e del flusso cerebrale regionale del 99mTc-CERETEC. Le informazioni che si ottengono sono quindi da correlare alle variazioni patologiche della struttura biomolecolare delle cellule nervose e della fisiopatologia globale del sistema. Fondamentale per lo sviluppo della medicina nucleare è stata poi l’innovazione tecnologica sia della componente hardware con la produzione di apparecchiature (tomografi e gamma camere dedicate) sempre più sofisticate e con ottima risoluzione spaziale (2.5-5.5 mm) che dei software di 136 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto processing dell’immagine che consentono analisi più accurate e precise anche di tipo semiquantitativo, attraverso metodiche standardizzate a livello internazionale quali lo statistical parametric mapping o SPM (1,2,3) o il più recente NeuroGAM (4). L’analisi semiquantitativa delle immagini può essere effettuata anche sulle valutazioni biomolecolari del DaTSCAN, grazie alle quali è possibile ottenere dati quantitativi specifici relativi al potenziale di legame e alla valutazione dei rapporti di attività in corrispondenza dei singoli nuclei della base. Il razionale su cui si basa l’utilizzo dell’imaging funzionale rispetto a quello anatomo-strutturale ad alta risoluzione è legato alla considerazione che le due metodiche PET e SPECT rispetto alla RMN rilevano il danno funzionale in una fase precoce, prima della morte neuronale, sia nella sede iniziale di malattia che a distanza nelle efferenze sinaptiche, consentendo inoltre il successivo monitoraggio in corso di progressione. È noto inoltre che il 95% dell’energia viene consumata quando i neuroni sono a riposo, svolgendo quel ruolo definito di “plasticità sinaptica”; tale aspetto è rilevabile esclusivamente attraverso l’FDG-PET e la perfusione-SPECT, espressione quindi di un metabolismo neuronale basale; per contro la Risonanza Magnetica Funzionale è in grado di valutare solamente i picchi di attivazione metabolica, ovvero il 5% del metabolismo residuo consumato durante le attivazioni a seguito di task specifici. Infine, rispetto al neuroimaging strutturale, gli studi medico-nucleari sono in grado di valutare l’intensità di captazione del radiofarmaco, espressione di un parametro fisiologico correlabile alla funzione. NEUROIMAGING FUNZIONALE NELLE DEMENZE Il ruolo dell’imaging funzionale, con la PET FDG e con la SPECT 99mTc-HMPAO, nella diagnosi delle demenze primarie appare attualmente ben definito da un notevole numero di pubblicazioni. Fondamentale è lo studio di Bradley pubblicato nel 2002 in cui si conferma sia la maggiore precocità della PET e della SPECT nella diagnosi di demenza rispetto alla Risonanza Magnetica Nucleare che soprattutto la loro utilità nella diagnosi differenziale tra le tre più comuni forme ovvero la demenza di Alzheimer (AD), quella fronto-temporale (FTD) e quella a corpi di Lewy (LBD) (5). I tipici pattern scintigrafici che consentono una maggiore accuratezza diagnostica, descritti ormai nei principali libri di testo di Medicina Nucleare, sono il ridotto metabolismo del 18FDG o l’ipoperfusione del 99mTc-HMPAO in sede tempo18 ro-parietale posteriore per la demenza di Alzheimer, fronto-temporale per quella fronto-temporale e temporo-occipitale per quella a corpi di Lewy. L’accuratezza diagnostica sia della PET (6) che dalla SPECT (7) è stata confermata anche da studi multicentrici di recente pubblicazione nei quali, tra l’altro, sono stati utilizzati software di postprocessing che consentono di valutare il volume cerebrale in maniera tridimensionale e di determinare statisticamente le variazioni rispetto ad una popolazione di soggetti normali di controllo. In particolare nel recente studio pubblicato da Mosconi et al. (6), i pattern PET standardizzati hanno correttamente definito e classificato il 95% delle AD, il 92% delle DLB ed il 94% delle FTD. Le metodiche PET e SPECT hanno dimostrato la loro utilità anche nel monitoraggio delle demenze in corso di terapia. Sono infatti numerosi gli studi che hanno dimostrato una stretta correlazione tra perfusione cerebrale e risposta alla terapia con gli inibitori della colinesterasi (8,9,10) consentendo in tal modo di classificare i pazienti in responder e non responder. NEUROIMAGING FUNZIONALE E BIOMOLECOLARE NEI PARKINSONISMI Il termine Parkinsonismo definisce un’ampia gamma di patologie neurodegenerative caratterizzate spesso da disturbi complessi ed associati della sfera cognitiva e del movimento; esempi classici sono la malattia di Parkinson con Demenza, la degenerazione corticobasale, l’atrofia multi sistemica, la paralisi sovranucleare progressiva, etc. Porre una corretta diagnosi differenziale tra le varie forme, così come definire la presenza di demenza nei pazienti affetti da malattia di Parkinson, è essenziale ai fini della corretta gestione clinica di questi pazienti. Il ruolo del neuroimaging biomolecolare nello studio della sinapsi dopaminergica sul versante pre (18F-DOPA e 123I-DaTSCAN) e post sinaptico (123I-IBZM) è ormai ben consolidato. Infatti, grazie all’uso separato o combinato di queste tecniche medico nucleari è possibile definire l’esatto livello di compromissione recettoriale ed etichettare correttamente l’origine pre o post-sinaptica della compromissione motoria. D’altro canto, l’associazione dell’imaging biomolecolare presinaptico con metodiche funzionali di metabolismo PET o di perfusione SPECT, fornisce al clinico un valido supporto nella diagnostica differenziale dei disturbi cognitivi complessi che spesso si associano a queste forme neurodegenerative (11,12). La stretta relazione esistente tra le aree con ridotto metabolismo o ridotta perfusione e la clinica possono indirizzare verso una gestione “per- Nuvoli S. - Il ruolo della medicina nucleare nella diagnosi delle demenze 137 sonalizzata” e mirata dei singoli casi nei quali i segni e sintomi si possono manifestare in maniera ed intensità differenti. NEUROIMAGING FUNZIONALE BIOMOLECOLARE NELLA DEMENZA A CORPI DI LEWY (LBD) Ai fini di un corretto approccio terapeutico è fondamentale differenziare la LBD dalle altre forme di demenza, soprattutto dalla malattia di Alzheimer: studi recenti infatti hanno dimostrato che circa il 50% dei pazienti affetti da LBD presenta reazioni avverse anche gravi alla terapia neurolettica a fronte di una migliore risposta al trattamento con gli inibitori della colinesterasi. Nonostante la diagnosi differenziale costituisca il cardine su cui basare un’adeguata terapia, nel 15% dei casi la diagnosi corretta viene fatta solamente in sede autoptica. Già in passato erano state utilizzate, con buoni risultati, la scintigrafia miocardica con 123I-MIBEG e la SPECT cerebrale di perfusione con 99mTcHMPAO per individuare pattern scintigrafici caratteristici in grado di supportare la diagnosi clinica di LBD. Ancora oggi il loro ruolo nella diagnosi clinica è fondamentale, nonostante alcuni Autori non concordino sulla specificità dell’ipoperfusione osservata alla SPECT con 99mTc-HMPAO a livello della corteccia temporo-occipitale (13). Lo studio prospettico condotto da Walker et al nel 2002 è stato invece determinante nello stabilire la maggiore accuratezza diagnostica della SPECT recettoriale con 123Ioflupano (DaTSCAN) rispetto ai soli criteri clinici di diagnosi (14). Questo studio e quelli successivi di conferma hanno portato nel 2005 ad una revisione dei criterd ri diagnostici della LBD da parte della 3 Consensus Conference of LBD Consortium (15); è stata così introdotta nei protocolli diagnostici, come criterio suggestivo di malattia a corpi di Lewy, la ridotta captazione del DaTSCAN in corrispondenza di nuclei della base e sono stati mantenuti come criteri di supporto sia il ridotto uptake del 123I-MIBEG a livello cardiaco che l’ipoperfusione in sede occipitale osservata con la SPECT di perfusione. Il ruolo fondamentale del neuroimaging biomolecolare con il DaTSCAN nella diagnosi della demenza a corpi di Lewy è stato confermato anche da un ampio studio multicentrico (16) nel quale la SPECT per la valutazione del trasportatore presinaptico della dopamina ha mostrato elevati livelli di accuratezza diagnostica (85.7%). Ulteriori studi, pubblicati di recente, hanno confermato l’utilità della SPECT recettoriale con 123 I-DaTSCAN, valutata sia con metodo qualitativo che semiquantitativo, nella diagnosi differen- ziale tra Demenza a corpi di Lewy e malattia di Alzheimer. La SPECT con DaTSCAN ha dimostrato una maggiore specificità rispetto alla sola valutazione clinica; infatti, la riduzione del trasportatore presinaptico della dopamina sia nei casi di probabile LBD che in quelli classificati come possibili, supportando la diagnosi di LBD, ha consentito la programmazione di idonee terapie farmacologiche. Per contro, la normale distribuzione del tracciante recettoriale ha permesso di indirizzare i pazienti con maggiore sicurezza verso i protocolli terapeutici della demenza di Alzheimer (17). NEUROIMAGING FUNZIONALE NEL MILD COGNITIVE IMPAIRMENT (MCI) L’interesse dei clinici per questo tipo di disturbo cognitivo è notevole in quanto, seppure in percentuali variabili a seconda delle casistiche, la conversione della MCI in demenza di Alzheimer è un dato di notevole rilevanza clinica. Per quanto il ruolo del neuroimaging nella diagnosi della MCI sia ancora in parte da definire, esistono solide evidenze, da parte di diversi Autori, sulla sua utilità clinica. Già nel 2003 Wolf et al suggerivano che gli studi di metabolismo con 18FDG e di flusso con 99m Tc-HMPAO potessero rappresentare un utile strumento nella diagnosi precoce di malattia di Alzheimer, correlando il ridotto metabolismo o flusso in corrispondenza delle aree associative temporo-parietali e della regione ippocampale al rischio di sviluppare AD (18). Lavori successivi, pubblicati nel corso degli anni, hanno confermato e sottolineato come il riscontro di un ridotto metabolismo del glucosio e del flusso cerebrale regionale in corrispondenza della corteccia associativa temporo-parietale e del giro posteriore del cingolo e dell’ippocampo correlino ad un alto rischio di progressione verso la AD (19,20,21,22,23). Nel 2007, infine, Hiroshi Matsuda ha definito in modo chiaro il ruolo primario del neuroimaging funzionale nel predire la rapida conversione in AD dei casi di MCI con ipometabolismo/ipoperfusione nelle aree associative temporo-parietali, entorinali ed ippocampali (24). CONCLUSIONI Da quanto esposto finora si evince che la Medicina Nucleare rappresenti un utile strumento per il clinico in quanto consente di valutare in vivo la presenza di alterazioni neurologiche funzionali, metaboliche e biochimiche con elevata accuratezza diagnostica ed in una fase precoce di malattia. Di questo è prova il recente suggerimento (da parte di diversi studiosi ed in particolare da Dubois 138 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto et al) di una revisione dei criteri diagnostici NINCDS-ADRDA della demenza di Alzheimer (25). Tale necessità è scaturita dalla considerazione che i criteri clinici attualmente utilizzati per la diagnosi di demenza presentano un’accuratezza diagnostica ed una specificità non sempre ottimale a fronte di un previsto progressivo aumento sia della incidenza che della prevalenza di queste patologie. La conseguente ricaduta economica con il previsto aumento dei costi globali di gestione è un altro aspetto fondamentale che giustifica il notevole interesse dei ricercatori nei confronti di un possibile “biomarker” di demenza che sia precoce, sensibile e specifico. Tale biomarker deve essere in grado sia di identificare la patologia precocemente prima della manifestazione clinica dei sintomi, allo scopo di instaurare adeguate terapie neuroprotettive (26), che di differenziare tra loro le diverse forme neurodegenerative per instaurare corretti protocolli terapeutici (27). Il biomarker rappresenta quindi un importan- te “parametro” la cui misura è indice di un determinato processo biologico, in condizioni di normalità e di patologia, e delle modificazioni a cui esso va incontro dopo una terapia (28). Il neuroimaging medico nucleare, sia funzionale che biomolecolare, è in grado, attraverso la somministrazione dei radiofarmaci in concentrazioni pico/nano-molari, di rilevare e riprodurre in forma di immagini le variazioni dei segnali e processi metabolici e biomolecolari senza interferire con il sistema biologico in esame. In tal modo può quindi fornire un’informazione sensibile e specifica già in una fase preclinica della malattia con le conseguenti ricadute sulla diagnosi iniziale e sulla successiva gestione (29). Una stretta collaborazione tra clinici e medici nucleari, nell’ambito di un approccio multi-disciplinare alle demenze, è sicuramente la condizione più favorevole per arrivare a diagnosi meno incerte, a terapie più idonee e a follow up più accurati. Nuvoli S. - Il ruolo della medicina nucleare nella diagnosi delle demenze 139 BIBLIOGRAFIA 1. KEMP PM., HOFFMANN SA., HOLMES C., BOLT L., WARD T., HOLMES RB., FLEMING J.: The contribution of statistical parametric mapping in the assessment of precuneal and medial temporal lobe perfusion by 99m Tc-HMPAO SPECT in mild Alzheimer's and Lewy body dementia. Nucl Med Commun 2005; 26(12): 1099-1106. 2. 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Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto 141 UTILIZZO DI SENSORI ELETTRO-MECCANICI WIRELESS NEL MONITORAGGIO DEL RISCHIO DI CADUTE, DEI TEMPI DI SOCIALIZZAZIONE E DEL WANDERING IN UNA POPOLAZIONE DI SOGGETTI ANZIANI RESIDENTI IN RESIDENZA SANITARIA ASSISTITA (RSA) Ardoino G., Ianes Aladar B., Ricci G. RSA Santa Giulia - Gruppo SEGESTA INTRODUZIONE Nel 2006 in Italia vi erano 142 persone ultra65enni ogni 100 giovani sotto i 15 anni, con una vita media di quasi 84 anni per le donne e di 78,3 anni per gli uomini (1). Questa tendenza, peraltro comune in tutto il mondo, coincide con un aumento delle persone affette da fragilità fisica, disturbi della sfera cognitiva e depressione che, insieme, rappresentano la componente principale del carico assistenziale globale nella patologia dell’età senile (2). Le cadute nel soggetto anziano costituiscono un’evenienza frequente, nonostante i tentativi, anche fruttuosi, di ridurne il numero (3). L’incidenza di cadute e di conseguenze severe è alta soprattutto nei soggetti istituzionalizzati. L’identificazione dei fattori di rischio di caduta è stato l’obiettivo di numerosi studi effettuati in soggetti residenti in comunità (4-9) ed in casa di riposo (10-15). La valutazione degli indicatori di rischio ha identificato come fattori di rischio primari la storia di cadute, i mezzi di contenzione fisica, la presenza di confusione mentale, il “wandering” e la prescrizione di farmaci antidepressivi o ansiolitici (16), anche se questo argomento non è ancora stato adeguatamente studiato e le conclusioni sono basate soprattutto sull’opinione di esperti del settore. Gli interventi effettuati per eliminare i succitati fattori di rischio nelle residenze sanitarie assistite hanno avuto peraltro successi solamente parziali (17-19). Gli studi che hanno ottenuto successo sono quelli che hanno utilizzato approcci multidimensionali che comprendevano esercizi per migliorare forza ed equilibrio, uso di ausili atti ad aumentare la stabilità dei segmenti anatomici (ginocchiere, busti e corsetti) o a proteggere i distretti corporei, Indirizzo per la corrispondenza: Dott. Giorgio Ricci Via Saffi, 7 – 20058 Villasanta (MI) Tel.: 039303621 Cell.: 3333731126 e-mail: [email protected] adattamenti ambientali, educazione del personale, uso appropriato di farmaci psicoattivi (17-20). SCOPO DEL PROGETTO Scopo del Lavoro è stato quello di verificare l’efficacia del monitoraggio con sensori elettromeccanici wireless (Wireless Sensor Networks s.r.l. – Monza) nella prevenzione delle cadute dei soggetti a rischio e la possibilità di monitorare, con l’uso di telemetria, il grado di socializzazione, la permanenza negli spazi comuni, il grado di “wandering” ed eventuali “tentativi di fuga” degli ospiti. MATERIALI E METODI In questo studio, del tutto preliminare e quindi redatto sotto forma di “case series”, sono stati monitorati 10 ospiti ad elevato rischio di caduta sulla base dei punteggi della Scala di Tinetti per andatura ed equilibrio per un periodo di una settimana. Ogni ospite è stato sottoposto a valutazione multidimensionale atta a valutare le caratteristiche di autonomia e delle performances nelle attività di vita quotidiana (Barthel Index, Physical Performance Test a 7 items) (21, 22), stato cognitivo ed affettivo (Mini Mental State Examination, Geriatric Depression Scale a 15 items, Neuropsychiatric Inventory) (23-25). Per ogni ospite sono state registrate le caratteristiche socio-anagrafiche e cliniche (sesso, età e scolarità, numero di malattie somatiche, tipo e numero di farmaci assunti, gli eventi acuti intercorsi durante il periodo di monitoraggio) effettuate in via preliminare (Tab. 1). Sono stati esclusi solo gli ospiti allettati o non autonomi nella deambulazione. Ogni ospite incluso nello studio è stato monitorato mediante un sistema WSN in grado di rilevare l’equilibrio (su tre assi) e la postura dell’ospite, i periodi di agitazione notturna, il tempo di permanenza negli spazi comuni ed i suoi tentativi di “fuga”. 142 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto Tab.1 - Caratteristiche dei soggetti presi in esame Sesso Età Scolarità N°patol N°farmaci N°eventi Tinetti and. Tinetti equil. Tinetti totale PPT Barthel I. MMSE GDS15 NPI totale Pz.1 m 84 3 5 4 0 6 8 14 17 76 23,5 2 12 Pz.2 f 81 5 9 4 0 6 6 12 18 72 26,4 4 6 Pz.3 m 79 5 8 5 0 7 10 17 16 78 22,7 1 0 Pz.4 m 88 3 7 9 1 6 6 12 14 57 21,2 5 16 Pz.5 f 78 5 7 5 0 5 5 10 10 54 20,7 2 4 Pz.6 f 81 3 5 7 0 6 10 16 20 74 21,5 8 5 Pz.7 f 80 8 5 5 0 7 7 14 13 62 23,7 3 4 Pz.8 f 75 5 6 6 0 6 8 14 14 73 24,7 0 0 Pz.9 f 80 5 4 8 0 5 7 12 18 73 22,4 2 6 Pz.10 m 83 5 2 4 0 7 6 13 16 76 20,4 5 8 Il dispositivo impiegato nelle rilevazioni è capace di segnalare i movimenti del paziente e la sua posizione rispetto ad una planimetria, riferendosi ad una rete wireless WSN, in due modi: a) rilevando l’accelerazione imposta al prototipo indossato dall’ospite b) rilevando il movimento dell’ospite all’interno di un reparto, permettendo così di risalire allo stato dinamico nel quale si trova: fermo, in movimento, sdraiato, alzato, seduto sulla sedia, caduta accidentale. La rilevazione dell’accelerazione viene misurata su due assi (asse x e asse y) mediante un accelerometro posto all’interno del prototipo. Il valore di accelerazione è trasmesso in radiofrequenza (RF) ed è visibile in tempo reale sul monitor di un PC dedicato e posizionato al centro della telemetria di reparto. È possibile, infatti, grazie ad un apposito SW WSN, visualizzare l’andamento nel tempo dell’inclinazione angolare lungo i due assi subita dal paziente. La brusca variazione dell’andamento della accelerazione nel tempo origina un allarme di variazione della ortostasi. Le rilevazioni dei movimenti del paziente vengono anch’esse inviate verso il PC remoto via radiofrequenza (wireless): un lampeggio del LED indica il trasferimento dei dati. Il dato viene memorizzato su scheda di memoria all’interno del prototipo. 1. anagrafica paziente (serial number del prototipo indossato, cognome e nome dell’ospite, età e sesso 2. status batteria di alimentazione del prototipo: allarme di stato --> ON quando < 25% 3. allarme caduta: allarme di stato --> ON nel caso di variazione brusca nella misurazione x/y degli accelerometri 4. allarme fuga: allarme di stato --> ON quando fuori dalla copertura per 5 minuti consecutivi 5. accelerazione nel tempo: rappresentazione grafica il cui andamento è rilevabile sui due assi x e y. 6. report giornaliero delle presenze presentato sotto forma di istogramma all’interno delle diverse aree di socializzazione (stanza/sala comune/corridoio/bagno) e del tempo di regi- Grafico 1 – Movimento. Grafico 2 – Movimento. Se in “copertura di segnale”, viene registrata una coppia di dati (x; y) formata dai seguenti elementi - Linea (grafici 1-3): Asse y - %; Asse x - azioni di movimento con l’aiuto della rappresentazione delle accelerazioni nel tempo. - Istogramma a barre verticali (grafici 7-9): Asse y %; Asse x – azioni di moto (moto, riposo, supinoseduto). Gli operatori sono perciò in grado di rilevare a monitor (Fig. 1): Ricci G. - Utilizzo di sensori elettro-meccanici wireless... 143 Grafico 3 – Movimento. strazione in cui il paziente è stato al di fuori della portata della rete wireless di riferimento. Questi dati sono utili per la definizione delle caratteristiche comportamentali dell’ospite e facilitano la programmazione degli interventi assistenziali (grafici 4-6). I segnali sono trasmessi da un trasduttore inserito in un involucro di poliuretano adattandolo alla natura anatomica della sede preposta, al fine di non causare irritazioni cutanee dirette o da compressione, applicato il più possibile vicino al baricentro corporeo vincolandolo alla cintura o inserendolo in una apposita sacca di tessuto. I parametri trasdotti sono registrati con l’ausilio di sensori micro-elettro-meccanici (MEMS) distribuiti rispettivamente nella stanza, nel nucleo e nel bagno, in modo da permettere il monitoraggio di movimento, posizione, oscillazioni corporee, stato di agitazione/irrequietezza ed eventuale caduta. I segnali MEMS vengono trasdotti ad un desktop dotato di un software in grado di elaborare e di trasformare i segnali stessi in dati numerici e grafici consentendo di gestire le soglie di allarme programmate. L’archiviazione dei dati permette di stabilire il valore soglia di “fragilità” del soggetto a rischio, di elaborare statisticamente le Le caratteristiche dei soggetti presi in esame sono riassunte in Tab. 1. Riassumendo si tratta di 10 soggetti (6 femmine) di età compresa fra 75 ed 88 anni (80.9 ± 3.54), con scolarità di 4.7 ± 1.49 anni, un elevato numero di patologie croniche (media = 5.8 ± 2.04, range 2-9) ed un corrispondente elevato numero di farmaci assunti (5.7 ± 1.76). I soggetti considerati sono stati monitorizzati in funzione dei disturbi di marcia ed equilibrio, scelta confermata dai bassi punteggi alla Scala di Grafico 5 – Socializzazione. Grafico 6 – Socializzazione. Grafico 4 – Socializzazione. caratteristiche della caduta, di localizzare l’ospite in caso di fuga e di gestire con rapidità il soccorso e gli interventi del personale. RISULTATI 144 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto Grafico 7 – Azioni di moto. Tinetti: andatura = 6.1 ± 0.73; equilibrio = 7.3 ± 1.7; totale = 13.4 ± 2.06. Tutti i soggetti mostravano un moderato “impairment” nelle attività di vita quotidiana e nelle performance fisiche valutate in base ai punteggi di Barthel Index modificato (69.5 ± 8.56) e di Physical Performance Test a 7 item (15.6 ± 2.91), performance cognitive normali o solo lievemente compromesse (MMSE = 22.72 ± 1.89, range 20.4 – 26.4), sostanziale assenza di depressione (GDS = 3.2 ± 2.34; range 2 – 8) e scarsa rilevanza di disturbi psicocomportamentali (NPI totale = 6.1 ± 4.95; range= 0 – 12), caratterizzati soprattutto da apatia e da lievi disturbi del sonno. Durante il periodo di monitoraggio è stata rilevata una sola caduta (soggetto n°4) peraltro senza alcuna conseguenza. Trattandosi di una “case series” forniremo alcuni esempi della metodica a sottolineare l’utilità dello strumento tecnologico nella valutazione delle performance motorie (andatura ed equilibrio) e nella prevenzione delle cadute nei soggetti a rischio. REPORT “MOVIMENTO” La rappresentazione delle accelerazioni nel tempo, rende possibile riassumere le azioni di movimento. La metodica prevede una valutazione dell’accelerazione gravitazionale sui due assi x ed y, dove “x” rappresenta il tempo di registrazione ed “y” l’accelerazione gravitazionale sui due assi “x/y”. La brusca variazione dell’andamento dell’accelerazione nel tempo origina un allarme di variazione della ortostasi. Osservando i tre grafici portati ad esempio, è evidente come il grafico 1 indichi che l’ospite ha Grafico 9 – Azioni di moto. Grafico 8 – Azioni di moto. un buon controllo del movimento per tutto l’arco della giornata campione; solo alle 16.00 circa è evidente un segnale di allarme legato alla perdita di equilibrio, prontamente compensata. Il secondo ospite (Grafico 2) appare meno sicuro, dimostrando varie perdite di equilibrio durante l’arco della giornata ed una caduta nelle prime ore del mattino (ore 4.45 circa). Il terzo ospite (Grafico 3) mostra invece una serie di episodi di grave perdita dell’equilibrio fra le 17.00 e le 20.15 peraltro senza conseguenze. REPORT “SOCIALIZZAZIONE” Come descritto sopra, è possibile creare un “Report di Socializzazione” per ciascun soggetto monitorato in base alla creazione di un istogramma che rappresenta il tempo di permanenza di un soggetto nelle diverse aree della struttura. Di seguito sono rappresentati tre grafici (grafici 4-6) rappresentativi di tre ospiti sottoposti al monitoraggio. Per comprendere meglio il significato delle linee che compaiono nel grafico (v. “legenda”), dobbiamo pensare che ad ogni numero presente sull’asse “y” corrisponde un sensore posizionato in stanza o in bagno (0_7 e 9_15), il sensore “8” registra le presenze nella sala comune del nucleo, mentre il valore “16” corrisponde al tempo di registrazione in cui l’ospite è fuori portata della rete. L’asse “x” indica la percentuale di tempo di registrazione da parte di un determinato sensore. È perciò semplice valutare le rappresentazioni dei grafici 4-6. L’ospite rappresentato nel grafico 4 ha passato la maggior parte del suo tempo in camera da letto (sensori 4 e 12) o in bagno (sensore 6), permanendo in sala comune per circa il 7% del tempo di registrazione. Nel grafico successivo (grafico 5), la registrazione indica che l’ospite è rimasto più del 90% del tempo di registrazione all’interno della propria camera e, per il restante tempo di registrazione si è allontanato dalla rete wireless (fuori campo). Una situazione intermedia quella del grafico 6: in questo caso l’ospite ha equamente distribuito il suo tempo fra la sala comune (40% circa del tempo di registrazione) e la propria camera (60% circa). Ricci G. - Utilizzo di sensori elettro-meccanici wireless... 145 Legenda Asse y 0 - 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 9 - 1 0 - 11 - 1 2 - 1 3 - 1 4 - 1 5 : stanza/bagno 8. sala comune 1 16: fuori portata Asse x 0-100% REPORT “AZIONI DI MOTO” È possibile classificare le azioni di moto del paziente durante la giornata mediante grafici ad istogramma delle azioni di moto del paziente, riassunte nei sotto-gruppi “moto”, “riposo” e “riposo supino/seduto”; queste sono rappresentate in un grafico cartesiano dove l’asse “x” rappresenta le azioni di moto e sull’asse “y” vengono riportate le percentuali del tempo che l’ospite ha dedicato alle singole azioni di moto (grafici 7-9). L’iconografia è precisa dal punto di vista quantitativo e semplice da interpretare: nel periodo di tempo registrato il primo ospite è prevalentemente rimasto supino (grafico 7), il secondo ha riposato restando fuori dal letto (grafico 8) ed il terzo ha svolto attività motoria ed ha riposato fuori dal letto per periodi di tempo equivalenti. CONCLUSIONI Il primo obiettivo di ogni ambiente terapeutico è assicurare che gli utenti non subiscano alcun Fig. 1 – Attività di monitoraggio del sistema WSN. danno. I soggetti anziani sono particolarmente vulnerabili alle cadute in conseguenza dei deficit cognitivi e funzionali; è perciò essenziale assicurare loro un monitoraggio continuo della stabilità durante il movimento e dei luoghi nei quali l’anziano istituzionalizzato si trova nell’arco della giornata al fine di adottare strategie efficaci nella prevenzione delle cadute, del “vagabondaggio” e dei danni ad essi correlati. In questo senso l’utilizzo di sensori micro-elettro-meccanici (MEMS) ci sembra uno strumento utile allo scopo, vista la semplicità di utilizzo, la precisione nel riconoscere disturbi della marcia, nel localizzare il soggetto all’interno della struttura e nel valutare le attività in atto momento per momento. 146 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto BIBLIOGRAFIA 1. ISTAT: 100 Statistiche per il Paese; indicatori per conoscere e valutare – I^ edizione. VDA Net 07/05/2008. 2. MORALA DT., SHIOMI T., MARUYAMA H.: Factors associated with the functional status of community-dwelling elderly. J Geriatr Phys Ther 2006; 29(3): 101-106. 3. GILLESPIE LD., GILLESPIE WJ., ROBERTSON MC.: Interventions for preventing falls in elderly persons. Cochrane Database Syst Rev 2001; CD000340. 4. TINETTI ME., BAKER DI., MCAVAY G., CLAUS EB., GARRETT P., GOTTSCHALK M. et al.: N Engl J Med 1994; 331: 821-827. 5. NEVITT MC., CUMMINGS SR., KIDD S.: Risk factors for recurrent nonsyncopal falls. 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In 30 piazze italiane i geriatri con altri operatori della salute hanno fornito alla popolazione informazioni riguardanti il problema della perdita della memoria, unitamente a consigli sugli stili di vita e su come eseguire semplici esercizi per prevenire il decadimento cognitivo. Sono stati distribuiti opuscoli informativi e, per chi lo desiderasse, è stata eseguita una valutazione di screening sulle capacità cognitive utilizzando il Mini-Cog (1). Tale strumento prevede il richiamo di tre parole e la valutazione del test dell’orologio. Viene considerato patologico nel caso in cui le tre parole non vengano correttamente richiamate oppure ci sia il richiamo di una o due parole con un test dell’orologio errato. Il suo utilizzo come strumento di screening per la demenza risente minimamente del grado di scolarità e possiede alta sensibilità (97%) e specificità (95%) (2). Scopo di questo articolo è di illustrare i risultati dell’esperienza riminese, svoltasi in una delle piazze principali del centro storico. Per l’analisi statistica sono stati utilizzati il ttest per le variabili continue indipendenti e il test ¯2 di Pearson per le variabili dicotomiche. È stata considerata significativa una p < 0,05. RISULTATI sione arteriosa sistemica (42% dei casi); la frequenza delle altre patologie è illustrata nella Figura 1. La Figura 2 illustra la comorbidità (numero di patologie croniche) del campione. Sono stati indagati alcuni fattori di rischio per il deterioramento cognitivo: il 20% dei soggetti esaminati dichiarava una familiarità per demenza, il 13% il fumo di sigaretta, l’11% riferiva un pregresso trauma cranico e il 9% dichiarava di bere più di tre bicchieri di vino al giorno. ATTIVITÀ FISICA È stato chiesto un giudizio sulla propria attività fisica giornaliera nell’arco di una settimana e sono state indagate alcune abitudini: il tempo impiegato giornalmente camminando, l’utilizzo della bicicletta o altri tipi di attività motoria come ad esempio la cura dell’orto. Si è considerata un’attività fisica di tipo intenso il camminare per almeno due ore al giorno oppure l’utilizzo della bicicletta o lo svolgimento di altra attività fisica al di fuori delle mura domestiche. Il camminare per meno di trenta minuti al giorno e nessun tipo di attività al di fuori delle mura domestiche configuravano un’attività fisica di tipo scarso; nei restanti casi si è attribuita un’attività fisica di tipo intermedio. Il 44% del campione è risultato svolgere un’attività fisica giornaliera di tipo intenso, mentre il 28% ha riferito un’attività fisica di tipo scarso. Analizzando il dato solo per coloro con età maggiore di 65 anni (120 soggetti, pari al 65% del campione), l’attività fisica giornaliera è risultata intensa nel 43% dei casi, media nel 28% e scarsa nel restante 29% dei casi, dati in linea con quelli del campione totale. Sono state eseguite 183 valutazioni di screening e distribuiti più di 250 opuscoli informativi. Caratteristiche anagrafiche, comorbidità e fattori di rischio per il deterioramento cognitivo L’età media del campione esaminato è di 67 + 10,8 anni (range 38-88 anni). I maschi rappresentano il 52%. La scolarità media è di 8,8 + 4,3 anni (range 3-18 anni). La valutazione della comorbidità ha evidenziato come dato prevalente la presenza di ipertenIndirizzo per la corrispondenza: Dr. Silvio Costantini Divisione di Geriatria, Ospedale “Infermi” Via Settembrini, 2 – 47900 Rimini Tel. 0541705111 Fig. 1 – Percentuale di patologie croniche nel campione totale (n = 183). 148 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto Fig. 2 – Comorbidità del campione (n = 183). SINTOMATOLOGIA DEPRESSIVA È stato chiesto ai soggetti se si sentissero tristi o scoraggiati: il 39% del campione ha risposto affermativamente; tale percentuale sale al 42% se si considerano solo i soggetti con età inferiore ai 65 anni (64 persone), mentre scende al 32% in quelli con età superiore ai 75 anni (43 persone). STATO COGNITIVO Il Mini-Cog è risultato patologico in 54 soggetti, pari al 29,5% del campione. 19 soggetti non sono stati in grado di rievocare le tre parole, mentre 35 hanno ricordato 1 o 2 parole ma hanno eseguito un test dell’orologio errato. Nella classe di età inferiore ai 65 anni, i pazienti con Mini-Cog patologico sono risultati il 12,5%, la percentuale sale al 31,6% nella classe di età compresa fra i 65 e i 75 anni e al 51,2% negli ultra settantacinquenni (Fig. 3). I soggetti con Mini-Cog patologico sono risultati più anziani rispetto a quelli con test di screening normale (72 + 8,5 anni VS 65 + 11,1 anni; p = 0,000) e con minor scolarità (6,3 + 3,2 anni VS 9,8 + 4,3 anni; p = 0,000). I pazienti con Mini-Cog patologico avevano in media 1,8 + 1,1 patologie croniche, mentre il resto del campione aveva in media 1,2 + 1,0 patologie, differenza statisticamente significativa (p = 0,002). Abbiamo analizzato le eventuali differenze esistenti in termini di patologie e fattori di rischio fra il gruppo risultato patologico al test di screening e il gruppo senza deficit cognitivi. È stata riscontrata una differenza statisticamente significativa fra il numero di soggetti con anamnesi positiva per malattie cardiovascolari (¯2 = 11,034; p = 0,001) e BPCO (¯2 = 9,374; p = 0,002). L’analisi riguardante i fattori di rischio ha mostrato differenze statisticamente significative solo per quanto riguarda l’assunzione di vino (¯2 = 4,947; p = 0,026). Ripetendo l’analisi solo nei soggetti ultra ses- Fig. 3 – Percentuale di Mini-Cog patologico (n = 54), suddivisa nelle diverse classi di età. santacinquenni i dati si confermano, anche se il grado di significatività scende: ¯2 = 7,036; p = 0,008 per le malattie cardiovascolari; ¯2 = 4,206; p = 0,040 per la BPCO e ¯2 = 5,754; p = 0,016 per quanto riguarda l’assunzione di vino. Nella nostra casistica non sono emerse differenze statisticamente significative fra i soggetti con Mini-Cog patologico ed i soggetti senza deficit cognitivi sia per quanto riguarda il grado di attività fisica che per il “sentirsi triste”. Se consideriamo l’intero campione dei soggetti intervistati, emerge che solo una quota inferiore alla metà (e precisamente il 41,5%) non presenta né sintomatologia depressiva né positività al Mini-Cog (Fig. 4). DISCUSSIONE Il dato maggiormente sorprendente del nostro studio è che, considerando un campione di popolazione attiva, ben il 30% è stato indirizzato ad eseguire ulteriori accertamenti per valutare la Fig. 4 – Prevalenza della sintomatologia depressiva e della positività al Mini-Cog nel campione totale (n = 183). Margiotta A., Pula B., Mariani E., Costantini S. - “Non dimenticare... la memoria” 2008... possibile presenza di un deficit cognitivo o una demenza. Se si considerano i soggetti ultra settantacinquenni, la percentuale supera il 50%. È noto, inoltre, come spesso le sindromi dementigene non vengano diagnosticate precocemente nei setting assistenziali non specialistici. Fino al 50% dei pazienti con demenza non ricevono una corretta diagnosi dal proprio medico curante (3). In teoria, quindi, la possibilità di identificare attraverso un test di screening una serie di soggetti con demenza non diagnosticata, permetterebbe loro di ricevere cure e assistenza ad uno stadio precoce di malattia. Attualmente il ruolo dello screening per la demenza è controverso: l’U.S. Preventive Services Task Force (USPSTF) ha analizzato le evidenze scientifiche concludendo che esse non dimostrano un chiaro beneficio nell’eseguire i test di screening in soggetti anziani asintomatici, né ha tuttavia escluso potenziali benefici (4). Il National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE) non raccomanda lo screening nella popolazione generale (5). Dati più recenti (6) sottolineano l’importanza di eseguire una valutazione nei soggetti anziani che riportano qualche sintomo utilizzando uno strumento di screening di base eventualmente associandolo ad altri test a seconda del tempo a disposizione, del livello di scolarità degli intervistati e del setting assistenziale. Sebbene i nostri dati non confermino un’associazione fra il “sentirsi triste” e la positività al test di screening, bisogna comunque sottolineare il dato che circa il 40% degli intervistati riferisce una sintomatologia depressiva. È interessante il fatto che la prevalenza maggiore di tale sintomo sia riscontrabile nella fascia più giovane del campione (42% nei soggetti con meno di 65 anni contro il 32% degli ultra settantacinquenni). Il dato è in qualche modo inaspettato in quanto è relativo ad un campione di popolazione costituito prevalentemente da “anziani giovani” con un grado di scolarità abbastanza elevato e senza gravi limitazioni di tipo funzionale. La letteratura infatti riporta dati variabili dall’1 al 10% circa la prevalenza di depressione maggiore nella popolazione generale. I fattori di rischio riconosciuti sono l’età avanzata, l’istituzionalizzazione, il sesso femminile, la presenza di 149 patologie somatiche, il decadimento cognitivo, il deficit funzionale, la mancanza di interazioni sociali e un’anamnesi positiva per depressione (7). Il dato da noi riportato si riferisce ad uno screening circa la sintomatologia depressiva e non ad una diagnosi nosologica di depressione, ma appare comunque significativo se si considera, ad esempio, che i dati riguardanti la prevalenza di sintomi depressivi fra i pazienti istituzionalizzati (quindi molto più compromessi rispetto a quelli oggetto della nostra indagine) riportano valori variabili dal 14 al 42%, con stime ottenute con metodologie più rigorose che attestano il valore attorno al 20% (8). Il nostro studio possiede notevoli limitazioni derivanti dalla esiguità del campione e dal carattere anonimo delle valutazioni che non permetterà una verifica riguardante eventuali falsi positivi e falsi negativi. La scelta di rivolgere l’iniziativa ad un numero di persone quanto più vasto possibile eseguendo un veloce test di screening validato e fornendo informazioni riguardanti la perdita di memoria, non ha permesso di eseguire altre valutazioni che potessero aumentare il valore predittivo dei risultati. Pur con questi limiti, ci sembra doveroso sottolineare l’importanza di iniziative simili a queste nel sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti di un problema troppo spesso trascurato. Quello che è emerso dalla nostra indagine forse è solo la punta dell’iceberg: il fatto che quasi il 60% degli intervistati dichiari di sentirsi triste o presenti un test di screening per la demenza positivo e che nel 10% le due condizioni coesistano, rappresenta certamente un indicatore di quanto ci sia ancora da fare per migliorare la qualità della vita degli anziani, anche nella opulenta e “gaudente” Rimini. I dati, inoltre, suggeriscono che una corretta gestione delle patologie croniche (in particolare le malattie cardiovascolari e la BPCO) potrebbe avere risvolti significativi nel prevenire il deficit cognitivo in un campione di popolazione anziana autonoma ed attiva. Dal punto di vista professionale l’esperienza del “geriatra in piazza” ci ha sicuramente arricchiti, avvicinandoci alla popolazione e fornendoci nuovi stimoli per garantire livelli di cura e di assistenza il più possibile adeguati alle molteplici esigenze di una società che invecchia. 150 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto BIBLIOGRAFIA 1. BORSON S., SCANLAN J., BRUSH M., VITALINAO P., DOKMAK A.: The Mini-Cog: a cognitive “vital signs” measure for dementia screening in multi-lingual elderly. Int J Geriatr Psychiatry 2000; 15: 1021-7. 2. SCANLAN J., BORSON S.: The mini-cog: receiver operating characteristics with experts and naïve raters. Int J Geriatr Psychiatry 2001; 16: 216-22. 3. VALCOUR VG., MASAKI KH., CURB JD., BLANCHETTE PLK.: The Detection of Dementia in the Primary Care Setting. Arch Intern Med 2000; 160: 2964-2968. 4. BOUSTANI M., PETERSON B., HANSON L., HARRIS R., LOHR KN.: Screening for dementia in primary care: a summary of the evidence for the U.S. Preventive Services Task Force. Ann Intern Med 2003; 138: 927-37. 5.http://www.nice.org.uk/nicemedia/pdf/CG042NICEGuideline.pdf. Raccomandazione 1.3.1.1. Accesso in data 27 ottobre 2008. 6. HOLSINGER T., DEVEAU J., BOUSTANI M., WILLIAMS JW.: Does this patient have dementia? JAMA 2007; 297: 2391-404. 7. DJERNES JK.: Prevalence and predictors of depression in populations of elderly: a review. Acta Psychiatrica Scandinavica 2006; 113: 372-87. 8. JONES RN., MARCANTONIO ER., RABINOWITZ T:. Prevalence and correlates of recognized depression in U.S. Nursing Homes. J Am Geriatr Soc 2003; 51: 1404-9. Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto 151 L’UTILIZZO DEI BIFOSFONATI NEL TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE DA CARCINOMA MAMMARIO Papa A., Vari S., Basso E., Polidoro G., Rossi L., Pasciuti G. Oncologia Medica Universitaria “Sapienza”, Ospedale S. Maria Goretti, Latina CENNI GENERALI Il tumore mammario ha un’alta affinità per il tessuto osseo (1). Il principale meccanismo di metastatizzazione ossea è da ricondursi all’attivazione degli Osteoclasti da parte di Fattori Attivanti, prodotti dal tumore, e da Fattori di Crescita prodotti dall’osso che stimolano la crescita tumorale. Le varie proprietà delle cellule neoplastiche, come la produzione di Enzimi Proteolitici e di specifiche molecole per l’adesione cellulare, se presenti aumentano il loro potenziale metastatizzante (7). La tendenza delle cellule neoplastiche mammarie a proliferare nell’osso è spiegata meglio dalla teoria del “seme e suolo” (8). Le cellule di Cancro Mammario (il “seme”) sembrano produrre fattori, come la proteina Paratiroide-Ormone-Relativa (PTHrP), potenziando lo sviluppo di metastasi nello scheletro che costituisce un “suolo” fertile poiché ricco di citochine e fattori di crescita che incentivano la crescita di cellule di Cancro Mammario. La produzione locale di PTHrP e di altri fattori osteolitici da parte delle cellule neoplastiche nell’osso incentivano il riassorbimento osseo attraverso gli Osteoclasti e probabilmente anche attraverso le cellule immunitarie. Tali fattori inducono la differenziazione delle cellule ematopoietiche in osteoclasti ed attivano gli osteoclasti già maturi presenti nell’osso. Inoltre PTHrP altera anche il rapporto tra Osteoprotegerina, diminuendone la produzione, e l’attivatore del recettore per NfKB ligand, aumentandone la produzione (8). Il risultato netto di questo squilibrio è l’aumento della proliferazione e dell’attività degli Osteoclasti (8). Lo scheletro è infatti la sede più comune di malattia metastatica da Neoplasia Mammaria ed anche la sede più comune di prima recidiva a distanza (2). Questa neoplasia può infatti provocare lesioni ripetitive di tipo osteoaddensanti ed osteolitiche, con una maggiore frequenza di queste ultime. Questa classificazione non ha limiti netti, in quanto non si può parlare di metastasi ossee esclusivamente litiche o addensanti, ma prevalentemente litiche o prevalentemente addensanti; questo sulla base di evidenze scientifiche che attestano come l’attività delle metastasi Indirizzo per la corrispondenza: Oncologia Medica Universitaria “Sapienza” Ospedale S. Maria Goretti, Latina ossee sia regolata da un precario equilibrio tra riassorbimento e nuova deposizione ossea. Nelle metastasi litiche predomina l attività osteoclastica sul rimodellamento mediato dagli Osteoblasti, con il risultato finale di una maggiore fragilità del segmento osseo colpito ed elevato rischio di complicazioni: dolore, fratture patologiche, compressioni/infiltrazioni neurologiche, ipercalcemia, incapacità funzionale ed invasione midollare (SRE). Le lesioni addensanti possono rappresentare l evoluzione favorevole di lesioni inizialmente a carattere litico, o esordire come tali. In questo caso complicazioni come fratture e dolore sono meno frequenti (3,4,5). Le fratture patologiche sono una conseguenza drammatica delle metastasi ossee, e si verificano generalmente dopo un intervallo di tempo mediano di 11 mesi dalla diagnosi iniziale delle lesioni ossee (6). In un’analisi retrospettiva di 859 pazienti, è stato dimostrato che la frequenza di SRE è dipendente dalla contemporanea presenza di metastasi in altre sedi. Pazienti con metastasi solo ossee hanno una percentuale molto più alta di SRE rispetto a pazienti con metastasi sia ossee che viscerali (6). Lo stesso studio attesta una sopravvivenza mediana dopo la diagnosi di sole metastasi ossee pari a 24 mesi, mentre per pazienti con metastasi ossee concomitanti a metastasi epatiche la sopravvivenza mediana è risultata essere pari a 5.5 mesi (6). I BIFOSFONATI I Bisfosfonati (BF), scoperti alla fine degli anni ’60, rappresentano a tutt’oggi la terapia di prima scelta per il trattamento dell’Osteoporosi e di altre patologie del metabolismo osseo quali il Morbo di Paget, l’Osteogenesi Imperfetta, le metastasi ossee o l’osteolisi da Mieloma Multiplo. Si tratta di potenti inibitori del riassorbimento osseo e cioè una classe di farmaci in grado di inibire l’attività degli Osteoclasti e la distruzione scheletrica (9). I BF sono molecole non idrolizzabili analoghe al Pirofosfato. Sono composti caratterizzati dalla presenza di due legami Carbonio-Fosforo e da due catene laterali R1 e R2 (Fig. 1) (12). La catena R1 partecipa al legame con la matrice ossea mineralizzata, mentre la catena R2 è responsabile dell’attività anti-riassorbitiva ed è differente nei diversi BF (10). 152 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto Fig. 1 I BF si legano ai Cristalli di Idrossiapatite nelle aree in cui gli Osteoclasti erodono l’osso. Durante la fase di riassorbimento, l’Osteoclasta acidifica la matrice ossea provocando la dissoluzione dei Cristalli di Idrossiapatite con conseguente liberazione del BF. Una volta liberato, il BF può venire a contatto con gli osteoclasti ed inibire il loro potere di assorbimento (11). Il loro meccanismo d azione non è ancora pienamente compreso, ma potrebbe risiedere in una ridotta adesività degli Osteoclasti all osso o in un diminuito reclutamento dal pool di cellule mononucleari. Dal 1990, molti degli studi condotti si sono basati sulla valutazione dell’efficacia dei BF nell’inibizione osteoclastica. Per le metastasi ossee, soltanto i trials su Neoplasia Mammaria e Mieloma Multiplo hanno mostrato buoni risultati in termini di riduzione degli SRE (1). Nel 2000 è stato introdotto un nuovo BF, l’A. Zoledronico (IV Generazione), che ha una maggiore potenza dei BF di Prima Generazione (Etindronato) nell’inibizione del riassorbimento osseo negli animali da esperimento (1). Trials sull’uso dell’A. Zoledronico hanno dimostrato una considerevole riduzione degli SRE. Infatti questo composto è stato il primo BF approvato per il trattamento di metastasi ossee da tumori solidi. Attualmente sono in corso molti trials con l’obiettivo di verificare la capacità dei BF nel prevenire l’insorgenza di metastasi ossee e del riassorbimento osseo associato all’uso di IA (1). MECCANISMO D’AZIONE DEI BIFOSFONATI I BF sono degli analoghi del Pirofosfato: Etindronato, Clodronato, Alenronato, Pamidronato, Risendronato, Tiludronato, Ibandronato ed infine l’A. Zoledronico; possono essere divisi in due classi (con o senza Azoto): Aminici (NBPs) e NonAminici. I primi hanno un maggior potere dei secondi nell’impedire il riassorbimento osseo. Gli Aminici come Pamidronato, Ibandronato, Risendronato e A. Zoledronico agiscono sulla via del Mevalonato. Con l’azione su questo pathway gli NBPs inibiscono l’attivià della Farnesil-Difosfato Sintasi, la quale è necessaria per la Prenilazione delle GTPasi, molecole fondamentali per l’attività e la sopravvivenza degli Osteoclasti (12). In questo modo l’inibizione della via del Mevalonato favorisce l’apoptosi degli Osteoclasti. Inoltre gli NBPs inibiscono l’adesione delle cellule tumorali al tessuto osseo, sebbene non ne sia ancora chiaro il meccanismo (13). Inoltre l’espressione dell’Integrina V3 da parte di cellule di Neoplasia Mammaria è stata associata a metastasi ossee (14). Dati sperimentali depongono a favore di una capacità inibente l’attività di queste Integrine da parte degli NBPs (15); altro meccanismo d’azione interessante è la riduzione dellla proliferazione e l’induzione dell’apoptosi delle cellule neoplastiche (16). L’A. Zoledronico ha un’azione sinergica con l’effetto pro-apoptotico sulle cellule tumorali (in vitro) quando è somministrato in combinazione con agenti antineoplastici (17). Clodronato, Risedronato, A. Zoledronico, e Ibandronato inibiscono significativamente la proliferazione endoteliale e la formazione di capillari ed inibiscono anche la formazione di vasi sanguigni in modelli animali (18,19). NBPs quindi sono dotati di un potente effetto antiangiogenetico. Gli NBP hanno inoltre anche un pronunciato effetto sul Sistema Immunitario, che potrebbe contribuire alla loro attività antitumorale (20). PROFILI DI TOSSICITÀ DEI BIFOSFONATI I BF hanno dimostrato una scarsa tossicità sia clinica sia negli animali da laboratorio. In particolare i test di teratogenicità, mitogenicità e carcinogenicità in genere sono risultati negativi. Tuttavia non essendoci dati adeguati sull’uso dei BF in gravidanza e durante l’allattamento, se ne sconsiglia l’uso. Disturbi gastroenterici (pirosi, dolore, dispepsia) compaiono in una piccola percentuale di pazienti che assumono tali farmaci per os, soprattutto in coloro che sono affetti da ernia iatale con esofagite da reflusso (21). Il BF di Prima Generazione Etidronato è associato ad Osteomalacia. Questo effetto associato anche ad una bassa efficacia di questo BF ne ha limitato l’uso. Sebbene Alendronato e Risedronato siano stati ben tollerati nel corso dei vari trials clinici, alcuni pazienti hanno riferito sintomi di esofagite. Questi sintomi si manifestano spesso quando i pazienti assumono i medicinali con poca acqua e poi rimangono sdraiati o inclinati. Se invece tale sintomatologia persiste nonostante le accortezze nell’assunzione (abbondante quantità d’acqua e stazione eretta per almeno tre ore), potrebbe essere risolutivo l’uso di IPP prima di andare a letto. Comunque entrambi i farmaci sono ben tollerati se assunti una volta a settimana senza ridurne l’efficacia, mentre pazienti con patologie del tratto gastrointestinale superiore in fase attiva non devono fare uso di BF Orali (22). L’uso di BF per ev, ma anche per os ad alte dosi, può essere associato ad una sintomatologia di tipo influenzale caratterizzata da affaticamen- Papa A., Vari S., Basso E., et al. – L’utilizzo dei Bifosfonati nel trattamento delle metastasi... to, dolori osteo-muscolari, cefalea, febbre e raffreddore (23). Spesso tale quadro viene definito come Reazione di Fase Acuta. I sintomi sono transitori e dopo un periodo di 1-3 giorni dall’esordio tendono a scomparire spontaneamente. Essi solitamente si manifestano in seguito alla prima somministrazione del farmaco e non ricompaiono necessariamente dopo l’assunzione delle dosi successive e sono dovuti all’iperproduzione, indotta dai BF stessi, di citochine infiammatorie da parte delle cellule dell’infiammazione (24). Nei pazienti con ipercalcemia severa, associata a metastasi ossea da Carcinoma Mammario, il trattamento standard prevede la somministrazione ev di BF (25). In questi pazienti l’utilizzo di dosi elevate di BF di Prima Generazione, come Etidronato o di Aminobifosfonati, come A. Zoledronico, può essere associato ad IRA. Due trial clinici di lunga durata, condotti su pazienti malati di cancro e ad elevato rischio di metastasi ossee, hanno rilevato la comparsa di un effetto tossico sul rene in corso di terapia con A. Zoledronico, somministrato alla dose di 8 mg ogni tre settimane. Successivamente, la dose di farmaco impiegata nella terapia è stata ridotta a 4 mg, con conseguente aumento della tollerabilità renale (26). L’Ibandronato, invece, presenta una minore tossicità renale e un profilo di sicurezza che accosta i risultati ottenuti dalla terapia a base di questo BF con quelli ottenuti dalla somministrazione del placebo in pazienti con metastasi ossee (27). Visto che l’A. Zoledronico è risultato essere associato a nefrotossicità, con deterioramento della funzionalità renale e potenziale insufficienza renale, la somministrazione di Zoledronato dovrebbe durare almeno 15 minuti, e la dose consigliata è 4 mg. Pazienti che ricevono Zoledronato inoltre dovrebbero essere monitorizzati prima e dopo l’inizio della terapia con la valutazione dei parametri clinici e laboratoristici propri della funzionalità renale (27). Nel corso degli ultimi anni è emerso che i BF sono associati ad un evento avverso denominato Osteonecrosi della Mandibola (OM). I pazienti con OM da BF presentano alcuni dei seguenti segni e sintomi: irregolare ulcerazione delle mucose con esposizione ossea a livello della mandibola o della mascella, dolore o gonfiore della mandibola interessata ed infezione spesso accompagnata da purulenza. Le prime review sull’OM da BF sono state pubblicate nel 2003 da Marx con 36 casi. Da allora, uno studio con 63 casi realizzato da Ruggiero e coll., da Bagan e coll. (10 casi) e da Marx e coll. (119 casi), insieme a tutta una serie di case reports e case series, hanno fornito ulteriori informazioni sulle caratteristiche di tale effetto (30). Poiché per il Pamidronato e per lo Zoledronato tale complicanza non era stata osservata durante i trials clinici premarketing, nel 2004 l’azienda produttrice 153 di entrambi i farmaci ha emesso delle linee guida post-marketing sull’OM (31). Inoltre, sebbene l’OM venga considerata una complicanza raramente associata alla terapia con BF, una recente indagine a carattere mondiale ha stimato la sua incidenza su 1203 pazienti sottoposti alla somministrazione ev di BF per il trattamento di Carcinoma Mammario (299 pazienti), evidenziandone la presenza nel 12% (32). Dopo 36 mesi di terapia, l’incidenza di OM è risultata del 10% tra i pazienti trattati con Zoledronato, del 4% tra quelli sottoposti alla somministrazione di Pamidronato. Il rischio di OM da Zoledronato è stato stimato in 0,7 per 100,000 persone/anno di esposizione (33); non è stato possibile invece quantificare l’incidenza dell’OM da Risedronato e Ibandronato a causa del numero troppo basso di casi riportati (34). Uno dei principali fattori di rischio per l’OM è dato dalla durata della terapia con BF (28,29). I pazienti trattati per più di 12 mesi con tali farmaci sono quelli maggiormente a rischio di sviluppare la complicanza (35). Tra il 1998 e il 2004 i ricercatori del Research on Adverse Drug Events and Reports (RADAR) hanno identificato 561 casi di OM in pazienti col cancro trattati con Zoledronato (36); altri 126 casi, riferiti sempre allo Zoledronato, sono stati riportati in letteratura dal 2005 fino ad oggi. Dal 2003 fino al mese di marzo del 2006 sono stati riportati in letteratura altri 261 casi, dei quali 141 erano riferiti al solo Pamidronato, 101 a Pamidronato e Zoledronato, 21 ad Alendronato, 1 a Risedronato e 4 alla terapia combinatoria (37,38,39,40). Finora, la complicanza è stata osservata principalmente nei pazienti trattati con BF per via ev. Il cancro e l’uso di chemioterapici per via sistemica vengono infatti considerati le comorbidità più significative. Sono stati comunque riportati dei casi di pazienti che hanno manifestato OM non correlata al cancro; di questi, 19 presentavano Osteoporosi e 9 erano affetti da Morbo di Paget (41,42,43). Tuttavia, si tratta con ogni probabilità di una sottostima di quella che è la reale incidenza di tale complicanza nei pazienti trattati con BF ad uso orale. Infatti, in una recente review realizzata dall’American Dental Association, i casi di OM associata all’uso orale di BF a livello mondiale sono risultati 170 per l’Alendronato, 12 per il Risedronato e 1 per l’Ibandronato. Non è noto il meccanismo mediante il quale i BF causino l’OM. Il trattamento dell’OM associata a BF è problematico: case report non hanno documentato alcuna risposta o una risposta limitata agli interventi chirurgici, al trattamento con antibiotici o all’ossigeno iperbarico. I comuni fattori di rischio associati allo sviluppo di tale complicanza comprendono: storia di assunzione di BF, soprattutto per via ev; l’impiego contempora- 154 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto neo di steroidi; precedente storia di tumore, Osteoporosi, Malattia di Paget; storia di procedura dentale traumatica. La maggioranza dei casi si presenta dopo estrazione dentaria, sebbene anche altre procedure dentali traumatiche possano essere associate. Tuttavia, in diverse pubblicazioni, anche i BF per os sono risultati associati allo sviluppo di OM (44-47). Un FDA ODS Postmarketing Safety Review ha dichiarato che l’OM associata ai BF può essere un effetto di classe. Sembra prudente considerare che tutti i pazienti che assumono BF siano a rischio, anche se la dimensione del rischio varia, probabilmente, in base al BF assunto, ai fattori di rischio del paziente ed alla storia di trattamento dentale. Ad oggi è noto che i pazienti più a rischio sono quelli che assumono BF per via ev (48-58). EFFICACIA DEI BIFOSFONATI BIFOSFONATI COME TERAPIA ADIUVANTE: PREVENZIONE DELLE METASTASI OSSEE Allo stato attuale, i BF non sono usati come agenti citotossici, ma come trattamento palliativo per l’incremento della QL in pazienti con metastasi ossee. L’eccitante concetto del prevenire le metastasi ossee utilizzando i BF ha avuto successo nei modelli animali. Questi risultati suggeriscono che i BF potrebbero inibire non solo l’attività osteoclastica ma anche la crescita tumorale e l’angiogenesi. Diversi studi hanno sperimentato i BF come terapia adiuvante in pazienti con Early-Breast Cancer (EBC), ma con risultati contrastanti (65). Nel primo trial, 302 pz con Neoplasia Mammaria, selezionate con la ricerca di cellule tumorali nel midollo osseo nel corso dell’intervento chirurgico, sono state randomizzate a ricevere ognuna il trattamento standard adiuvante o lo stesso trattamento con l’aggiunta di dose giornaliera orale di Clodronato (1600 mg/die) per due anni. Dopo un periodo di follow up di circa 36 mesi è stata osservata una riduzione di metastasi a distanza, ma ciò non ha avuto un effetto significativamente lungo; comunque l’uso di Clodronato ha comportato un aumento dell’Overall Survival (OS) dopo un follow up di circa 10 anni (65). In un altro grande studio multicentrico sull’uso in profilassi di Clodronato (1600 mg/die) vs Placebo per due anni, il trattamento con Clodronato ha ridotto l’incidenza di metastasi ossee ed un aumento dell’OS, sebbene altri studi abbiano riportato metastasi ossee con la stessa frequenza in entrambi i bracci dello studio (66). In un altro trial comunque in dieci anni di follow up il DFS è stato significativamente più basso nel gruppo con Clodronato, dato dovuto ad una più alta inciden- za di eventi metastatici non scheletrici nel gruppo con Clodronato rispetto al gruppo con il Placebo, del resto non sono state trovate differenze significative nell’OS fra i due gruppi. In un trial con Pamidronato condotto dal 1997, 88 pazienti affette da Neoplasia Mammaria sono state trattate con Pamidronato (31 pazienti) o controlli (57 pazienti). Nel gruppo trattato con 45 mg di Pamidronato, questo è stato somministrato per un totale di quattro volte con un intervallo di due settimane dopo sei mesi dall’intervento chirurgico. I due gruppi sono stati ben equilibrati per fattori prognostici, compreso il numero di linfonodi con metastasi, lo stato recettoriale per EstrogeniProgesterone e standard di pretrattamento con Chemioterapia o Ormono-Terapia. Dopo un periodo di follow up di 5 anni, è stato dimostrato un effetto preventivo nei confronti delle metastasi ossee, ma non effetti locali e sulle metastasi viscerali dopo l’infusione di Pamidronato ad una dose totale di 180 mg (66). Un buono stato a livello osseo è un parametro fondamentale per tutte le pazienti affette da Breast Cancer in qualsiasi stadio, ma specialmente per quanto riguarda pazienti affette da EBC in trattamento con Inibitori delle Aromatasi; IA, che come dimostrato da molti studi correlati, inducono una riduzione della densità minerale ossea (BMD) con un relativo innalzamento della incidenza di fratture. Sebbene gli IA aumentino l’OS delle pazienti affette da EBC, molte di queste però manifestano lungo il decorso della propria storia clinica l’insorgenza di Metastasi Ossee. Pertanto, c’è un urgente bisogno di identificare strategie efficaci nel prevenire l’insorgenza di metastasi ossee. Allo stato attuale studi preclinici sui BF mostrano come questi abbiano un azione citotossica sulle linee cellulari di tumore mammario; ma dati di studi clinici sulla prevenzione di metastasi ossee da BF in pazienti con EBC in trattamento con terapie adiuvanti sono ancora inconsistenti. L’utilità dei BF in terapia adiuvante è ancora da stabilire, molti studi sono in corso ed in programmazione per far luce sul ruolo dei BF nella prevenzione delle metastasi ossee. TRATTAMENTO DEL DOLORE DA METASTASI OSSEE Una riduzione significativa di dolore osseo e delle relative complicanze è stata correlata all’utilizzo intermittente dell’A. Zoledronico per un periodo di due anni (70), anche se ci sono studi che non evidenziano grossi benefici in termini di riduzione di SRE. Per esempio, il Pamidronato, un BF di seconda generazione, non induce diminuzioni significative nell’incidenza di SRE e di dolore osseo secondo l’analisi combinata di due studi randomizzati controllati, multicentrici, dop- Papa A., Vari S., Basso E., et al. – L’utilizzo dei Bifosfonati nel trattamento delle metastasi... pio cieco vs placebo (67). Uno studio di fase II sulla valutazione dei benefici palliativi di una seconda linea con A. Zoledronico in pazienti affette da Neoplasia Mammaria con SRE o progressione di malattia in metastasi ossee dopo una prima linea di terapia con BF, ha previsto 31 pazienti inizialmente trattate con Pamidronato o Clodronato ed ha dimostrato che un miglior controllo del dolore osseo e dei markers di riassorbimento osseo è ottenibile con l’utilizzo dell’A. Zoledronico (68). In un ulteriore studio sul confronto fra A. Zoledronico e Pamidronato in pazienti con metastasi ossee da Neoplasia Mammaria, si è visto come l’A. Zoledronico abbia ridotto in maniera significativa il ricorso alla Radioterapia Palliativa a scopo antalgico rispetto al Pamidronato (19 vs 24%, p = 0.037) (69). PREVENZIONE DEL RIASSORBIMENTO OSSEO DA TRATTAMENTO ANTINEOPLASTICO-ORMONALE Donne in post-menopausa con Neoplasia Mammaria, già a rischio di perdita ossea a causa del deficit di Estrogeni età correlato, sono esposte ad un ulteriore fattore favorente il riassorbimento osseo, e cioè il trattamento con IA. Sebbene efficaci nella riduzione di recidive in regime adiuvante, gli IA sono associati con aumentato riassorbimento osseo ed aumentata incidenza di fratture ossee. I BF inibendo il riassorbimento osseo inducono un aumento del BMD e riducono l’incidenza di fratture ossee fra donne in post-menopausa affet- 155 te da Osteoporosi (71). L’A. Zoledronico è stato visto essere efficace nel ridurre il riassorbimento osseo anche fra donne in pre-menopausa sottoposte a terapia ormonale adiuvante combinata. L’uso dell’A. Zoledronico nel prevenire CTIBL fra donne in post-menopausa sottoposte a trattamento adiuvante con IA è attualmente sperimentato nel Zometa/Femara Adjuvant Synergy Trial (Z-FAST) (71). Donne in Post-menopausa affette da Neoplasia Mammaria ER ed PgR + con stadio da I a IIIA sottoposte a trattamento ormonale con Letrozolo sono state randomizzate a ricevere in Upfront l’A. Zoledronico vs senza A. Zoledronico. A sei mesi, le donne inserite nel braccio con A. Zoledronico hanno presentato un innalzamento del BMD a livello lombare (L1-L4) di 1,55%, comparato con un decremento dell’1,78% nelle donne non sottoposte a trattamento con A. Zoledronico, risultando in una differenza del 3,33% fra i due gruppi. Inoltre nelle donne del braccio con A. Zoledronico si è avuto un incremento pari al l’1,02% del BMD in sede di bacino, rispetto ad un decremento dell’1,40% nell’altro braccio, con una differenza complessiva del 2,42% fra i due gruppi (P <0.001). Dunque gli effetti sul BMD nello Z-FAST dimostrano che l’A. Zoledronico in Upfront previene le CTIBL fra donne in post-menopausa sottoposte a trattamento adiuvante con Letrozolo per l’EBC. Combinando l’effetto antineoplastico del Letrozolo con l’effetto osteo-protettivo dell’A. Zoledronico possono essere un trattamento completo ed efficace per questo setting (72-76). BIBLIOGRAFIA 1. NORIO KOHNO: Treatment of breast cancer with bone metastasis: bisphosphonate treatment – current and future. Int. J. 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Il trattamento gold standard per le neoplasie superficiali è rappresentato dalla TURB (resezione endoscopica trans-uretrale). Queste neoplasie, anche se adeguatemente trattate, hanno una elevata tendenza a recidivare, assumendo forme a rischio intermedio ed alto. Allo scopo di ridurre il rischio sia delle recidive che delle progressioni di malattia, è spesso indicato ricorrere ad un trattamento adiuvante la TURB, rappresentato dalla somministrazione endovescicale di farmaci chemioterapici (Mitomicina C, epirubicina, adriamicina) o immunoterapici (BCG). Negli ultimi anni la gemcitabina sta assumendo un ruolo sempre più rilevante nel trattamento delle neoplasie superficiali recidivanti; infatti numerosi studi hanno ormai dimostrato come l’utilizzo di questo farmaco, nei pazienti refrattari sia a BCG che ad altri chemioterapici ha ridotto la necessità di ricorrere alla cistectomia radicale. Parole chiave: Carcinoma superficiale, vescica. INTRODUZIONE Il carcinoma della vescica costituisce il 70% delle neoplasie dell’apparato urinario e circa il 3% di tutti i tumori. La sua incidenza aumenta con l’aumentare dell’età ed individui di età superiore ai 70 anni sviluppano la malattia 2-3 volte più frequentemente di quelli di età compresa tra i 55 e i 69 e 15-20 volte più spesso che nei soggetti tra i 30 e i 54 anni (1). Il tumore circoscritto allo strato epiteliale interno prende il nome di cancro vescicale superficiale e si presenta nel 74% dei casi. Il tumore che origina nelle cellule transizionali si può diffondere a tutta la mucosa fino a invadere la parete muscolare della stessa (18% dei casi) o infiltrare gli organi e i linfonodi adiacenti (8% dei casi). Questo tipo di tumore si definisce cancro vescicale invasivo. I carcinomi vescicali superficiali (CVS) vengono suddivisi in 3 categorie di rischio, rispettivamente basso, intermedio e alto rischio. La maggior parte dei CVS (80%) appartiene alle categorie a rischio basso e intermedio nelle quali sono incluse neoplasie con basso rischio di progressione a malattia infiltrante la tonaca muscolare ma con spiccata tendenza alla recidiva dopo trattamento endoscopico locale (Tab. 1). Oltre ad una stretta analisi dei suddetti fattori vanno inoltre considerati anche i fattori di rischio di progressione della malattia, indispensabili per pianificare e personalizzare i trattamenti (Tab. 2). Nella maggior parte dei casi i CVS hanno Indirizzo per la corrispondenza: Oncologia Medica Universitaria “Sapienza” Ospedale S. Maria Goretti, Latina aspetto di lesione vegetante nel lume vescicale, e vengono classificati in base alla profondità di invasione: lo stadio Ta include tumori confinati esclusivamente all’epitelio transazionale mentre lo stadio T1 identifica le forme che invadono sino alla lamina propria. Il “carcinoma in situ” (CIS) è invece una lesione piatta, spesso non visibile all’esame cistoscopio con illuminazione a luce bianca se non per la presenza di aree arrossate e caratterizzata per definizione da cellule neoplastiche di grado 3 (o alto grado) che occupano tutti gli strati dell’epitelio senza invadere la lamina muscolare propria; ha una spiccata tendenza alla diffusione e alla infiltrazione e rappresenta un’entità patologica a sé stante ed estremamente aggressiva (alto rischio). La presenza o assenza di invasione della lamina propria (stadio T1 e Ta rispettivamente) ed il grado tumorale danno origine a diverse combinazioni di tumori con prognosi diversa (TaG1, TaG2, TaG3, T1G1, T1G2, T1G3). Le forme di stadio Ta e grado 1 presentano un rischio trascurabile di progressione mentre i tumori di stadio T1 e grado 3 hanno un rischio di progressione del 30%-50%. Il CIS presenta un elevato rischio di progressione a forma infiltrante variabile dal 20% all’80%. Il tumore vescicale superficiale è noto essere associato ad un tasso di recidiva e di progressione strettamente correlato con la categoria di rischio a cui la lesione appartiene. Può’ recidivare più volte senza progredire verso una forma muscolo-invasiva e/o malattia metastatica, e questo rappresenta una caratteristica peculiare di questa malattia. 158 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto Tab. 1 – Categorie di rischio dei CVS in accordo con le Linee Guida Europee Categoria di rischio Tipo di tumore Basso rischio Lesione singola, TaG1, di prima diagnosi, con diametro inferiore a 3 cm Qualsiasi lesione Ta o T1, di grado G1 o G2 non inclusa nelle 2 categorie precedenti Lesioni multiple T1G2 Qualsiasi lesione T1G3 Qualsiasi CIS Rischio intermedio Alto rischio TRATTAMENTO Gli obiettivi principali del trattamento del Carcinoma superficiale della vescica sono illustrati nella tabella seguente (Tab. 3). La resezione endoscopica e/o la terapia endovescicale sono trattamenti cui vengono abitualmente sottoposti pazienti con questa patologia. Pertanto, il gold standard terapeutico consiste nell’asportazione della neoplasia primitiva e nel prevenire le recidive e la progressione di malattia (3). L’analisi combinata di 2596 pazienti che hanno partecipato a sette trials EORTC ha evidenziato che per la recidiva i più importanti fattori di rischio sono il numero dei tumori, la loro dimensione e il tempo della prima recidiva (se ≤ 1 per anno o > 1 per anno), mentre per la progressione hanno importanza prognostica la categoria T, il grado e la presenza o meno di focolai di carcino- Frequenza Probabilità di recidiva a 5 anni Probabilità di progressione 11.5% 20% < 1% (a 10 anni) 44.6% 70% 5-10% (a 10 anni) 43.9% 60% 50% (a 5 anni) ma in situ (Cis). È stato ampiamente dimostrato che la terapia endovescicale ha un’efficacia reale nella riduzione della recurrence-rate e nell’aumento del tempo libero da malattia. Le linee guida dell’European Association of Urology (2) considerano idonei i seguenti comportamenti terapeutici dopo TURB ed early-treatment single-dose: – nessun ulteriore trattamento per i bassi rischi – trattamento adiuvante con chemioterapici o con Bacillus Calmette-Guerin (BCG) nei rischi intermedi – trattamento adiuvante e di mantenimento con BCG negli alti rischi (3). Molti studi hanno dimostrato che la somministrazione endovescicale di BCG, dopo la TURB del tumore, riduce significativamente il rischio di recidiva e prolunga il periodo “disease-free”. Tuttavia nel 30-35% dei pazienti con carcino- Tab. 2 – Fattori di rischio di progressione e recidiva Età Sesso Dimensione del tumore + grande Numero di tumori T (stadiazione TNM) Grado- G Primario/recidiva Tempo dalla diagnosi Tasso di recidiva precedente Trigono Orifizio ureterale Parete Anteriore (parete) Posteriore (parete) Cupola Collo Prima cistoscopia % cistoscopia positiva * 0 0 0 0 + 0 + 0 0 0 0 + 0 0 0 0 0 E * 0 0 + 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 S * 0 + + 0 0 0 0 + 0 + + 0 D * 0 0 + 0 + + 0 + + + + + + + N * + 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 T * 0 0 0 0 0 0 0 0 + + + G * * * + 0 + + + + + + P * 0 0 0 0 0 + 0 T * 0 0 0 0 0 0 0 + + T * 0 0 + + + + 0 + T * 0 0 0 0 0 O * 0 0 0 0 + + P * + + 0 + 0 A * + + + + P * + + + C * 0 + C * + P * % +: correlazione positiva significativa (P<0.05); - : correlazione negativa significativa (P<0.05); 0: nessuna correlazione. Le lettere corrispondono alle lettere iniziali dei singoli fattori di rischio considerati, in ordine di progressione. Vari S.,Papa A., Basso E., et al. – Trattamento del carcinoma superficiale della vescica Tab. 3 – Obiettivi principali nel carcinoma della vescica superficiale Tempo alla prima recidiva Tasso di recidiva per anno Tasso di recidiva per anno considerando la prima cistoscopia di follow-up al tempo zero Recidiva alla prima cistoscopia di follow-up a 3 mesi Tasso di tumore per anno Tempo all’invasione muscolare (progressione ≥T2) Sopravvivenza-morte per altra causa Morte dovuta a patologia maligna ma superficiale della vescica il BCG risulta inefficace per: – intolleranza: recidiva o persistenza di malattia per inadeguato trattamento; – resistenza: presenza di malattia alla prima cistoscopia di controllo (3 mesi) dall’inizio della terapia; – refrattarietà: persistenza della malattia a 6 mesi dall’inizio della terapia; – “relapse”: recidiva dopo iniziale risposta. TRATTAMENTO CHIRURGICO NEL CARCINOMA SUPERFICIALE DELLA VESCICA (TA, TIS, T1) 159 mapping. Le lesioni con un aspetto non francamente papillare, solide a larga base di impianto vanno resecate in profondità per valutare l’eventuale infiltrazione della tonaca muscolare. Dopo la TURB, a distanza almeno di 10-15 giorni va eseguita una citologia urinaria per mettere in evidenza un’eventuale malattia residua. Oltre le dimensioni del tumore grande importanza per il trattamento risulta averla il grading. Generalmente, tumori papillari superficiali di grado istologico ben differenziato (G1) o moderatamente differenziato (G2) beneficiano solo della sola TURB; in effetti, tali neoplasie se singole, non recidive, di diametro inferiore a 2 cm e in assenza di aree di displasia o di CIS hanno un basso rischio di recidiva e di progressione, pari al 2%. Per i tumori papillari superficiali ad alto grado di malignità (G3) la TURB non rappresenta l’atto terapeutico definitivo, infatti queste forme tumorali per l’elevata percentuale di recidiva, associata in un terzo dei casi a progressione, e per la frequenza di malattia residua dopo resezione endoscopica, richiedono un trattamento farmacologico locale, che assume finalità adiuvante e terapeutica. La TURB rappresenta ovviamente un trattamento chirurgico altamente conservativo e minimamente invasivo per i pazienti affetti dal carcinoma della vescica di tipo superficiale, ma presenta vari rischi e possibili complicanze anche tardive, tra queste: lesioni dell’uretra, emorragia, perforazione vescicale extraperitoneale o intraperitoneale, lesioni degli osti ureterali, Sindrome da riassorbimento, ematuria, ritenzione urinaria, idroureteronefrosi, reflusso vescico-ureterale, stenosi dell’uretra, infezione urinaria. TRATTAMENTO FARMACOLOGICO La terapia chirurgica del tumore della vescica superficiale si avvale di 3 diverse metodiche, che prevedono la resezione endoscopica trans-uretrale (TURB) (4), la folgorazione o la laserterapia. La resezione endoscopica trans-uretrale rappresenta il trattamento standard per il tumore primitivo della vescica. Dopo l’intervento si lascia un catetere in sede per 24-48 ore, al fine di controllare l’aspetto dell’urina ed evitare la sovradistensione vescicale a causa di una ritenzione da coaguli, con rischio di ulteriore sanguinamento. Si esegue inoltre una cistoclisi continua con soluzione fisiologica sterile. La resezione può essere completa o parziale, a seconda del numero, dell’aspetto e delle dimensioni delle neoformazioni stesse; ovviamente un tipo di resezione completa avrà un intento di tipo terapeutico mentre una resezione parziale avrà un valore maggiormente diagnostico e stadiante. Infatti nel corso della TURB vanno rimosse tutte le lesioni visibili, vanno eseguite biopsie sulle aree sospette, ed eventualmente eseguito un Pazienti a basso rischio: Ta G1, unica lesione Secondo le linee guida europee, il paziente deve essere sottoposto a resezione transuretrale della neoplasia (TURB) e, nel caso in cui all’analisi anatomo-patologica si riveli la presenza di una lesione con caratteristiche di basso rischio, il paziente può essere sottoposto ad instillazione endovescicale precoce di chemioterapico entro 6 ore dalla resezione (4). Tra gli agenti chemioterapici, la mitomicina C e l’epirubicina sono i più utilizzati (5-8), ma recentemente sono state proposte anche altre molecole per un uso intracavitario con finalità adiuvanti (Tab. 2). Pazienti a rischio intermedio: Ta-T1, G1-G2, multifocali, recidivi Secondo le linee guida europee, dopo la TURB, è necessario eseguire un trattamento adiuvante con chemioterapici (Mitomicina C, epirubicina o adriblastina) (7) per 6-8 settimane seguite da terapia di mantenimento; dopo eventuale reci- 160 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto diva di malattia, successivamente a una nuova TURB, è indicato il trattamento endovescicale con BCG per 6 settimane consecutive seguite da terapia di mantenimento (9). Nessun chemioterapico attualmente ha mostrato una superiorità in termini di efficacia e lo schema di instillazione ottimale, settimanale o bisettimanale, resta tuttora da definire (Malmstrom et al, 1999; Malmstrom, 2000). Tuttavia secondo le linee guida americane NCCN nel rischio intermedio il BCG potrebbe essere preferito ai chemioterapici, anche se non è ancora del tutto chiaro se ci sia un vantaggio dell’uno rispetto all’altro in termini di sopravvivenza (6). Tuttavia, i vantaggi della terapia adiuvante con chemioterapici nei pazienti con rischio intermedio di recidiva sembrano limitarsi al breve termine senza influenzare minimamente la riduzione del rischio di progressione (4). In caso di fallimento terapeutico del trattamento di prima linea, come farmaco di seconda linea, nei carcinomi uroteliali a rischio intermedio, può essere consigliato l’utilizzo di immunoterapia con Bacillus Calmette-Guerin, anche se gli importanti effetti collaterali dovuti a terapia con BCG comportano problemi sulla compliance del piano terapeutico da parte del paziente. Da qui nasce la necessità di valutare l’efficacia e lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche alternative a quelle attuali, quale l’utilizzo della gemcitabina nel trattamento dei carcinomi uroteliali a rischio intermedio (10). La gemcitabina è un antimetabolita pirimidinico, attivato all’interno della cellula per fosforilazione nei nucleotidi attivi bi-trifosfato. L’effetto citotossico del metabolita finale è dovuto alla sua incorporazione nei siti C dell’elica del DNA in costruzione, che comporta il blocco della sintesi del DNA stesso (11). La gemcitabina somministrata per via sistemi- ca ha dimostrato, come agente singolo, un’attività significativa nei confronti del carcinoma vescicale invasivo (Tab 5); inoltre, rappresenta un farmaco ideale per la somministrazione endovescicale sia per l’elevata solubilità, che ne favorisce l’assorbimento attraverso la mucosa, sia per il peso molecolare >200 Dalton che ne impedisce l’assorbimento plasmatico e permette al farmaco di penetrare attraverso la mucosa vescicale con efficace attività nei confronti della neoplasia ed allo stesso tempo prevenire l’assorbimento sistemico (12-13). STUDI CLINICI SULL’IMPIEGO DELLA GEMCITABINA NEL TRATTAMENTO DEL CARCINOMA SUPERFICIALE DELLA VESCICA REFRATTARIO AL BCG (Tab. 5) Una meta-analisi di Sylvester et al. (14) ha dimostrato come una immediata instillazione endovescicale di chemioterapico riduca significativamente, in pazienti con carcinoma della vescica stadio Ta-T1, il rischio di recidiva dopo la TURB. In questi pazienti il rischio di recidiva risulta essere del 62,2% nelle lesioni singole e del 35,8% nelle lesioni multiple: quindi una singola instillazione non è sufficiente. Per questi pazienti dovrebbe quindi essere necessario un ulteriore trattamento con instillazioni endovescicali per 4-8 settimane (15). Anche lo studio di Campodonico et al., condotto su 9 pazienti, con rischio intermedio-alto, sottoposti a TURB dopo recidiva, pretrattati con chemioterapici, mostra come un immediato trattamento con singola dose di gemcitabina (2000 mg in 50 cc di soluzione fisiologica), dopo TURB, comporti un buon profilo di tollerabilità, che ne prospetta un possibile impiego futuro nell’earlytreatment (16-18). Nello studio di fase II di Gotero et al., sono stati inclusi 39 pazienti con neoplasia vescicale di Tab. 4 – Confronto tra diversi agenti intravescicali Agente PM Cistite Altre tossicità 580 Uso Gruppo peri-op di rischio Si Basso-Interm Adriamicina 20-40% Epirubicina 580 Si Basso-Interm 10-30% Thiotepa 189 Si Basso-Interm 10-30% Mitomicina C 334 Si Basso-Interm 30-40% Gemcitabina 300 Si Basso-Interm Grado lieve BCG N/D No Interm-Alto 60-80% Febbre,Allergia Circa 5% Raramente vescica contratta Mielo soppressione 8-19% Rash 8-19% Vescica contratta Occasionalmente nausea Infez. Serie 5% Interferone Circa 23000 No Salvataggio? <5% Sindrome influenzale20% Dropout Concentrazione 2-16% 50mg/50cc 3-6% 50mg/50cc 2-11% 30mg/30cc 2-14% 40mg/20-40cc <10% 5-10% 2gr/50-10cc 1 f 50cc Rari casi 50-100MU/50cc Vari S.,Papa A., Basso E., et al. – Trattamento del carcinoma superficiale della vescica 161 Tab. 5 Casistica Bartoletti (Urology 2005) Sottogruppo n=40 Conti (SIUrO 2006) Sottogruppo n=52 Stadio n=24 (rischio intermedio) Rischio intermedio n=16 (alto rischio: T1G3, CIS) n=23 CIS n=3 T1+CIS n=3 TaG3 n=3 non resecato completamente Posologia Settimanale + mantenimento a 3 anni Settimanale no mantenimento Bisettimanale x 6 (tamponata) no mantenimento Effetti collaterali 19% (12% urgenza, 5% capogiri e lieve febbre 0,8% dolore addominale severo), sospensione in 2 pz 20% 3 G2 disuria, (4/68 tossicità sistemica 6 G3 disuria non ematologica, (30%) 4/48 tossicità locale, 8/68 sospese) Febbre n=7 G2 disuria n=27 G3 disuria n=3 (90%?) Follow-up 13,6 mesi (minimo 12 mesi) 20 mesi (mediana) 12 mesi 28 mesi 50% CR (a 3 mesi) 79% Rec (mediana 3,6 mesi) 3,5% Progr (ad 1 anno) 95% NED (a 6 mesi) 21/23 alto rischio 17/17 rischio medio 0% Progr Recidiva 32,5 % 70,5% NED Progressione (25% rischio intermedio, 4,5% PR 42% alto rischio) rischio medio-basso; tutti sono stati pretrattati con chemioterapia o BCG. Lo studio prevedeva la resezione tramite TURB di tutte le lesioni endovescicali tranne 1 lesione che veniva considerata un target per valutare la risposta al successivo trattamento. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a terapia locale con gemcitabina, ad una concentrazione di 40 mg/ml (2000 mg in 50 ml di soluzione salina), una volta alla settimana per 6 settimane. Dai risultati ottenuti si evidenzia una risposta completa in 22 pazienti su 39 (59%) e non si è osservata una progressione di malattia nei 17 pazienti non-responders. È stato possibile quindi dimostrare in questo studio una reale attività citoriduttiva della gemcitabina nei carcinomi della vescica superficiali a rischio intermedio (20). Bartoletti et al. (21), hanno eseguito uno studio su 116 pazienti a rischio intermedio-alto che presentavano una recidiva dopo un precedente trattamento con chemioterapia o BCG. Questi pazienti sono stati sottoposti a nuova TURB e successivamente a instillazioni settimanali per 6 settimane di gemcitabina 2000 mg, per valutare la tollerabilità e l’efficacia del trattamento chemioterapico. Per quanto riguarda la tollerabilità, il 12% dei pazienti hanno riferito urgenza alla minzione Dalbagni (JCO 2006) n=30 Gunelli (BJ Cancer 2007) n=40 T1 90%; G3 42% Bisettimanale x 6 (non tamponata) no mantenimento durante la prima instillazione. Il 5,1% dei pazienti trattati hanno presentato vertigini e leggera febbricola (<38°C) solamente durante la prima instillazione, che è stata risolta senza uno specifico trattamento. Tossicità importanti si sono manifestate solamente in due pazienti, di cui un paziente (0,8%) con dolore addominale di grado severo e lesioni ulcerate nella mucosa vescicale visibili alla cistoscopia, ed un altro paziente con parosmia. Questi 2 pazienti hanno sospeso il trattamento. I restanti 94 (81,3%) pazienti non hanno riportato effetti collaterali locali durante tutta la durata del ciclo di trattamento. Dopo un anno di follow-up, 29 pazienti (25,43%) hanno presentato una recidiva dopo circa 7 mesi dalla TURB; 85 pazienti (74,57%) erano liberi da malattia. I risutati di questo studio hanno confermato la buona tollerabilità e l’efficacia della gemcitabina intravescicale usata nella profilassi delle recidive dopo TURB (21). PAZIENTI A RISCHIO ALTO: T1G3, CIS La TURB per questi pazienti è altamente raccomandata per prevenite la possibile progressio- 162 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto ne della malattia. La terapia adiuvante consiste nel trattamento mediante instillazioni endovescicali con BCG, al quale però molte neoplasie a rischio intermedio o alto si sono rivelate refrattarie. Nello studio di Bartoletti et al. è stato evidenziato che la gemcitabina è in grado di recuperare il 75% dei pazienti a rischio intermedio refrattari al precedente trattamento con BCG (22). Dalbagni (23), in uno studio condotto su 30 pazienti con rischio alto di recidiva, ha mostrato che il 50% dei pazienti trattati con gemcitabina ha ottenuto risposte complete a 3 mesi. Lo studio includeva pazienti con carcinoma della vescica superficiale, refrattari o intolleranti al trattamento con BCG, per i quali la cistoscopia risultava raccomandata ma rifiutata. Dei 30 pazienti, 2 presentavano uno stadio Ta ad alto grado di rischio, 14 uno stadio cis e 14 pazienti stadio T1. Ogni ciclo prevedeva la somministrazione endovescicale di gemcitabina alla dose di 2000 mg/100 ml di soluzione salina, 2 volte alla settimana per 3 settimane consecutive, seguite da una settimana di riposo. Il pH è stato tamponato da 5.5 a 7.0 mediante 8,4% di bicarbonato di sodio per ogni 1000 mg di gemcitabina somministrata. I pazienti sono stati poi valutati alla fine di 8 settimane. Ai pazienti che non presentavano una risposta è stata raccomandata la cistectomia radicale. Per quanto riguarda i risultati, di 30 pazienti, 15 hanno mostrato una risposta completa al trattamento bisettimanale di gemcitabina; 7 pazienti hanno presentato risposte parziali; 8 pazienti non hanno mostrato risposta al trattamento (23-24). Nonostante i risultati ottenuti da questo studio, il trattamento endovescicale con gemcitabina nei pazienti con CVS ad alto rischio non è stato ancora approvato come trattamento di prima linea. Cai et al hanno dimostrato in uno studio condotto su 18 pazienti che, somministrando la gemcitabina in early-treatment nei tumori pT1G3, si aumenta l’efficacia del successivo trattamento con BCG. Dei 18 pazienti, 11 non mostravano malattia residua, 5 presentavano una malattia residua di grado inferiore (3 pTaG2, 2 pT1G1), mentre 2 mostravano una nuova recidiva di pT1G3 (25). Gunelli (26), in uno studio di fase II, ha valutato l’efficacia del trattamento con gemcitabina bisettimanale, in 40 pazienti con CVS stadio Ta G3, T1 G1-3, i quali avevano subito una TURB ed erano refrattari al trattamento con BCG. La gemcitabina è stata somministrata a una dose di 2000 mg diluita in 50 ml di soluzione salina, nei giorni 1 e 3, per 6 settimane consecutive. Dei 40 pazienti, 38 (95%) hanno mostrato una risposta al trattamento, evidenziata da cistoscopia negativa dopo 6 mesi di follow-up; i restanti 2 pazienti hanno recidivato dopo 5 e 6 mesi rispet- tivamente. A 28 mesi di distanza, solo 14 pazienti hanno evidenziato una recidiva (18). Il trattamento bisettimanale di gemcitabina ha evidenziato in questo studio una ridotta tossicità locale e sistemica, senza alterazioni del profilo biochimico. In conclusione, il trattamento con instillazioni bisettimanali di gemcitabina ha mostrato quindi una reale efficacia nei pazienti con carcinoma della vescica superficiali a rischio intermedio e alto, refrattari al trattamento con BCG (21). Recentemente Bassi et al. hanno riportato un’esperienza su 9 pazienti affetti da CIS, refrattari al trattamento con BCG e trattati con gemcitabina (1000, 1250, 1500 mg) (27). In questo studio 4 pazienti hanno dimostrato una risposta completa al trattamento, con minimi effetti collaterali locali o sistemici. Bounedjar, in uno studio non pubblicato su 60 pazienti non pretrattati a rischio intermedio-alto (pT1-cis) ha riportato una percentuale del 91,7% di pazienti liberi da recidiva a 26 mesi di followup (28). Fra gli studi pubblicati nel 2008, Mohanty ha valutato l’efficacia e la tollerabilità del trattamento con gemcitabina in 35 pazienti con carcinomi della vescica superficiali refrattari a BCG. La gemcitabina è stata instillata alla dose di 2000 mg in 50 ml di soluzione salina, 2 settimane dopo la resezione del tumore, per 6 settimane consecutive. A distanza di 18 mesi, i risultati ottenuti sono stati: 21 pazienti con assenza di recidiva, 11 pazienti con recidiva superficiale, mentre 3 pazienti hanno mostrato una progressione di malattia, con invasione dello strato muscolare (29). Infine lo studio di L. Montella et al. (30) del 2008, confronta l’efficacia e la tossicità della gemcitabina con la Mitomicina nei pazienti con carcinoma della vescica superficiale recidivante. Questo studio ha arruolato 120 pazienti con stadio Ta-T1, G1-G2, recidivati dopo trattamento con chemioterapia o BCG, questi pazienti sono stati randomizzati in 2 gruppi: un gruppo è stato trattato con 6 cicli settimanali di instillazioni con gemcitabina (2000 mg in 50 ml di soluzione salina) e l’altro con 4 cicli settimanali di Mitomicina (40 mg). Tutti i pazienti sono stati poi valutati ogni 6 mesi tramite cistoscopia. Nel gruppo dei pazienti trattati con gemcitabina, 42 (78%) sono rimasti liberi da recidiva, in confronto ai 37 (67%) pazienti del gruppo trattati con Mitomicina. 10 pazienti di quest’ultimo gruppo e 6 del gruppo di trattamento con gemcitabina hanno mostrato progressione di malattia. La tossicità locale si è dimostrata accettabile in entrambi i gruppi di trattamento, ma il rischio di cistite chimica è stato evidenziato essere molto più elevato nei pazienti trattati con Mitomicina rispetto ai pazienti trattati con gemcitabina. Vari S.,Papa A., Basso E., et al. – Trattamento del carcinoma superficiale della vescica Questo studio dimostra quindi come la terapia intravescicale con gemcitabina risulta efficace e meglio tollerata rispetto al trattamento con Mitomicina nei pazienti con carcinoma vescicale superficiale refrattario (30). CONCLUSIONI Il trattamento adiuvante successivo alla TURB nel carcinoma superficiale della vescica è ormai indicato in quasi tutte le forme tumorali non invasive, anche soltanto con una singola instillazione delle forme a basso rischio. Negli ultimi anni la gemcitabina è stata valutata, in un numero sempre maggiore di studi, 163 come terapia efficace nei pazienti refrattari ai trattamenti standard con BCG o chemioterapici; la sua tossicità si è rivelata essere minima e ben tollerata dal paziente. La sua elevata efficacia nel ridurre il rischio di recidiva locale ha determinato il ridursi della necessità di ricorrere alla cistectomia totale, soprattutto nel paziente anziano con neoplasia a rischio intermedio-basso. Ulteriori studi saranno necessari per valutare l’efficacia della gemcitabina anche negli alti rischi e soprattutto per determinarne l’efficacia come trattamento adiuvante dopo la prima TURB, soprattutto mediante studi di confronto con BCG e gli altri chemioterapici. 164 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto BIBLIOGRAFIA 1. BRIGGS N.C., YOUNG T.B., GILCHRIST K.W., VAILLANCOURT A.M., MESSING E.M.: Age as a predictor of an aggressive clinical course for superficial bladder cancer in men. Cancer 1992; 69: 1445-1455. 2. OOSTERLINCK W., LOBEL B., JAKSE G., MALMSTROM P.U., STOCKLE M., STENBERG C.: European Association of Urology (EAU) Working Group on Oncological Urology. Guidelines on bladder cancer. Eur. Urol. 2002; 41: 105-112. 3. 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SULL’ABITUDINE (Review aneddotica) Background Diversamente dalle review sistematiche, quelle aneddotiche hanno riferimenti bibliografici molto approssimativi, il più spesso citati a mente o ripresi da fonti non controllate; sono costruite attorno ad un’idea molto solida dell’autore che la sostiene con numerose affermazioni di contorno, per dimostrare che alla fine, ovviamente, tutto conferma il suo pensiero. L’inizio della ricerca fu il grido di dolore soffiato da FADOI (Messaggero e Avvenire) che raccontava “l’ansia da dimissione” dall’ospedale che colpisce soprattutto gli anziani. Secondo FADOI gli anziani vedrebbero sempre di più nell’ospedale e nella possibilità di rimanervi a lungo “l’unica spiaggia sicura rispetto ad una vita che, al di fuori, sarebbe caratterizzata da un’estrema solitudine e mancanza di cure”. La risposta di Salvioli (Bollettino SIGG, numero 6, 2005), che ricordava (a chi non sapeva nulla e non voleva sapere) 20 anni di cultura gerontologicogeriatrica, mi sollecitò un’idea dal titolo irriverente “Ipotesi di scemenza: lo sradicamento dall’ospedale”. Per fortuna conservo ancora la forza di desistere anche dall’ironia. Il processo di abbandono del proprio setting fisico e di adattamento a uno nuovo con tutte le patologie da sradicamento l’ho trovato scritto da un architetto, più chiaro e concreto di qualunque psicologo (PIERA SCURI: Cultura e percezione dello spazio, Ed. Dedalo, 1990). Stefano Mistura scrisse la prefazione a “… e divento sempre più vecchio” di Alberto Spagnoli. Parte della pagina 21 è dedicata alle abitudini, che l’autore rimanda alla “immobilità crescente della persona anziana”. Le citazioni sono prese da appunti biascicati e dai mille web di aforismi che sbagliano le frasi e i riferimenti. Wilde, De Beauvoir, Mantegazza sono gli unici ad essere conosciuti direttamente dalla fonte. Abstract Il distacco dalla propria casa, dalla propria terra è causa di piccoli fastidi o di acutissimo dolore. Nelle forme più gravi si parla di “sindrome da sradicamento”. Essa colpisce chi ha più profonde le radici con il luogo, in genere i bambini e gli anziani. Il vecchio, allontanato improvvisamente dalla sua casa e collocato in altro ambiente, subisce un trauma che può mettere in crisi le sue possibilità di sopravvivenza. Ricerche di autori del nord-America sul fenomeno della “rilocazione” in persone anziane mostrarono un drammatico incremento della mortalità e delle malattie. I medici s-e-n-s-i-b-i-l-i conoscono bene il tema e lo ripropongono ogni volta che viene ricoverato in ospedale un anziano con sintomi disturbanti, per dire che, se restava a casa, il paziente sarebbe stato meglio; e non solo lui. Le cause della sindrome sono soprattutto attribuite nell’anziano ai deficit sensoriali, alle menomazioni fisiche, al decadimento psichico, che peggiorano le capacità di controllo sull’ambiente. L’autore espone alcune osservazioni sulle abitudini, che in questo contesto esprimono una possibilità certamente marginale, ma in genere poco considerata. Ai bambini bisogna insegnare tutto, tranne le abitudini (Rousseau). Da grandi, qualunque direzione prendesse l’abitudine, è sempre meglio seguire quella opposta (sempre Rousseau). Da grandi, l’abitudine entra talmente dentro la persona che diventa una seconda natura. Proust diceva che è più facile rinunciare ad un sentimento che perdere un’abitudine. E poi - sempre Proust - che le nostre facoltà si addormentano quando riposano sui guanciali dell'abitudine. L’abitudine - sanno tutti - distrugge l’amore, è la sua tomba. Per difendersi dall’abitudine Mark Twain, uomo simpatico e prudente, sconsigliava di buttarla dalla finestra; trovava più efficace sospingerla giù per le scale, un gradino alla volta. Paolo Mantegazza elogiò in tutti i modi la vecchiaia, e comprese che molti comportamenti del vecchio sono in realtà le sue difese. Per esempio le abitudini. 166 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto “Il vecchio è abitudinario e gode nel fare le stesse cose alle stesse ore, rivedere le stesse persone allo stesso tavolino del caffè, trovare al mattino sullo scrittoio ogni cosa all'usato posto. Dall'ordine delle cose e del tempo egli trae un inconscio augurio, che anche in lui le funzioni tutte camminino regolarmente, che il pendolo misuri esattamente l'ordine dei suoi piaceri, delle sue occupazioni. Il vecchio non ama le sorprese, perché sono per lui urti improvvisi, che gli danno una scossa troppo forte. Ama invece il ripetersi preciso delle stesse cose alle stesse ore; e quando l'appetito, la sete, la voglia di fumare lo chiamano all'ora consueta e precisa, egli è felice di constatare la propria perfetta armonia con le cose che lo circondano”. Sulla stessa traccia Simone de Beauvoir che trovava necessarie al vecchio tutte le abitudini, e poi routine, automatismi, manie, perché nella loro prevedibilità esse determinano sicurezza psicologica. Stefano Mistura, medico psichiatra, legge nelle abitudini del vecchio un bisogno biologico, capace di realizzare la “sicurezza ontologica”. Con questa espressione rimanda ad Anthony Giddens, quando descriveva l’“atteggiamento della maggior parte delle persone, che confidano nella continuità della propria identità e nella costanza dell’ambiente sociale e materiale in cui agiscono”. Oppure, più probabilmente, a Ronald Laing, anche lui psichiatra, quando dice che “la sicurezza primaria e ontologica stabilisce un forte senso identitario costituito dalla fiducia in se stessi e negli altri. Se questa fiducia risulta assente, l'aggressività può trasformarsi nell'unica modalità per esprimere se stessi e per rassicurarsi sul proprio modo di esistere e di essere”. Dunque i vecchi uguali ai giovani e al resto del mondo, anche nelle manifestazioni di aggressività, che sempre, da geriatri esperti, attribuiamo al decadimento psichico e alla confusione. E però, se il gesto abitudinario viene impedito, l’ambiente perde la sua funzione contenitiva che è così necessaria alla persona anziana. Il finale è che il vecchio, per fondare la sua sicurezza ontologica, realizza un trasferimento affettivo dalle persone della famiglia, che cambiano umore e sentimenti ad ogni giro d’orologio, alle cose e agli animali, che invece assumono un significato emotivo di riconoscimento stabile. L’ambiente fisico viene investito di potenzialità affettive e in quell’ambiente il vecchio vive stabilmente la sua vita quotidiana con le cose e gli animali. Le persone rassicuranti, quando esistono, stanno fuori dalla famiglia: il giornalaio, il negoziante, il parrucchiere, che avranno mille difetti, ma nei rapporti formali non tradiscono mai. Fonti Ovviamente tutte a mente. Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto 167 GERIATRIA NEL MONDO a cura di: Zanatta A. SUPPLEMENTO DI VITAMINA D, MITO O REALTÀ? (Dati da Review) Introduzione Qual'è l'effetto della supplementazione della vit. D sulla mortalità ? Materiali e Metodi Sono stati valutati 18 RCTs, trials randomizzati e controllati, basati sulla supplementazione di ergocalciferolo e cholecalciferolo versus placebo o controllo. Outcome: mortalità per ogni causa. Sono stati inclusi 57.311 pazienti, età dai 33 ai 106 anni, seguiti per 5,7 aa. Sono stati esclusi i pazienti in dialisi. Il dosaggio medio di Vit. D è stato di 528 UI. Risultati Nei 18 trials ci sono state 4777 decessi. In 18 trials il numero di eventi è passato dall'8,5% all'8,2%, RRR (95% CI) del 7% (da 1 a 13), NNT (CI) 169 (da 91 a 1178). In 9 trials, con sufficiente potenza statistica la metanalisi ha dimostrato che il numero di eventi è passato dall'8,5% all'8%, RRR (95% CI) dell'8% (da 1 a14) NNT (CI) 147 (da 84 a 1171). Conclusioni Questo studio dimostrerebbe la prevenzione di una morte ogni 150 persone trattate. La riduzione del rischio relativo è dell'8%, quella del rischio assoluto è assai più modesta. Poiché il rischio di ipovitaminosi è rilevante, la supplementazione potrebbe avere impatto significativo sia sulla morbilità che sulla mortalità per ogni causa. Infatti la carenza di vit. D potrebbe avere impatto non solo sulla qualità dell'osso o sulla forza muscolare ma anche sul sistema cardiovascolare, su alcuni tipi di tumori e sul diabete mellito tipo 2. Probabilmente saranno necessari dosaggi di idrossi 25 vit. D elevati, da 800 UI a 1000 UI, usando supplementazione nei cibi. Commento Se questi dati fossero confermati bisognerebbe fare una campagna di sensibilizzazione pubblica per arrivare alla supplementazione dei latticini con Vit. D. In alcuni paesi stranieri sono state poste in atto, già da anni, misure di tipo alimentare, alla stregua dell'aggiunta dello Iodio nel sale. Paradossalmente in Italia, il paese del sole, sono presenti i più bassi livelli di vitamina D ematici. I benefici della supplementazione potrebbero essere elevati in quanto interesserebbero una popolazione di milioni di anziani. Autier P, Gandini S Review: Vitamin D supplementation and total mortality: a meta-analysis of randomized controlled trials. Arch Intern Med 2007; 167: 17330-7. 168 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto CALENDARIO CONGRESSI XX Congresso Nazionale S.I.G.Os La Geriatria in una società che cambia Bologna 22-23-24- Maggio 2008 Royal Hotel Carlton Per informazioni: Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598 E.mail: [email protected] Congresso Interregionale Lazio-Abruzzo/Molise-Marche Roma 10-11 Ottobre 2008 Per informazioni: Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598 E.mail: [email protected] Congresso Regionale S.I.G.Os Sez. Sardegna Percorsi di cura in geriatria....... Sassari 14 Giugno 2008 Hotel Il Vialetto Per informazioni: Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598 E.mail: [email protected] XI Convegno Nazionale Geriatrico “DottoreAngelico” La Geriatria governo della comorbidità e... Aquino 16 Ottobre 2008 Chiesa Madonna della Libera Cassino 17-18 Ottobre 2008 Palagio Badiale Corte Per informazioni: Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598 E.mail: [email protected] 3° Congresso Nazionale Invecchiamento tra successo e fragilità: problemi genetici, ambientali, predittivi e organizzativi Roma 23-25 Giugno 2008 Per informazioni: Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598 E.mail: [email protected] XXI Congresso Nazionale S.I.G.Os La Geriatria in una società che cambia Verona 21-23 Maggio 2009 Per informazioni: Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598 E.mail: [email protected] 5th Congress of the EUGMS - Geriatric Medicine in a time of generational shift Copenhagen Denmark 3-6 Settembre 2008 Per informazioni: Susanne van der Mark Tel. +45 29445898 web site: www.eugms2008.org World Congress Gerontology Parigi 5-11 Luglio2009 Per informazioni: www.iag-er.org Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto 169 COMUNICATO AI SOCI RELAZIONE SULL’ATTIVITÀ DELLA S.I.G.O.s. PER L’ANNO 2008 Carissimo, nei giorni 22-23-24 Maggio, si è svolto a Bologna il XX Congresso Nazionale della nostra Società, presieduto dal Dott. Vincenzo Pedone. Il Congresso ha riscosso un ottimo successo. *** È stata pubblicata la IV Edizione del Volume “Guida al Trattamento e alla Gestione delle Malattie Geriatriche” di Palleschi e Zuccaro. L’opera è stata sottoposta ad una profonda revisione e ad un sostanziale aggiornamento. Alcuni capitoli (la malattia di reflusso, la frattura del femore nell’anziano) compaiono per la prima volta in questa edizione. Abbiamo ritenuto opportuno indire una campagna di promozione, riducendo per i soci del 50% il prezzo dell’opera (cinquanta euro) affinché il più ampio numero dei nostri associati acquisisse questo nostro testo di riferimento. *** Il XXII Seminario Nazionale si è svolto a Castelbrando (Cison di Valmarino, TV) nei giorni 27-28 Settembre 2008, sotto la Presidenza del Dott. Gianfranco Conati, primario geriatra dell’Ospedale di Belluno. Sono stati affrontati i più importanti temi di oncologia geriatrica. *** Nei giorni 21-22-23 Maggio 2009, a Verona, avrà luogo il XXI Congresso Nazionale. Mi sto adoperando con il massimo impegno affinché tutto venga organizzato al meglio. Confido in una tua opera di sensibilizzazione presso i colleghi del tuo reparto. *** Prosegue l’attività di coordinamento delle Sezioni Regionali da parte del prof. M. Palleschi (rappresentante del Consiglio Direttivo Nazionale) e del dott. Antonello Colameo (referente dei Presidenti di Sezione Regionale). Prendo l’occasione per rinnovare la raccomandazione alle sezioni regionali di essere puntuali con la scadenza dei mandati e di favorire la candidatura di colleghi veramente disponibili ad operare per far crescere la Geriatria nella propria regione e per un efficace proselitismo a favore della S.I.G.Os. I convegni Regionali avranno l’obiettivo e l’occasione di coinvolgere e valorizzare i geriatri della medesima regione e sezione. Nel giorno 8/11/08 vi è stato a Varese il Congresso Regionale della Sezione Lombarda, sotto la presidenza del Dott. Giuseppe Galetti. In questa occasione si sono svolte le elezioni per il rinnovo del Consiglio Direttivo Regionale. Era presente, come rappresentante del Consiglio Direttivo Nazionale, il Presidente onorario Prof. Massimo Palleschi. *** Nei giorni 9-10 Febbraio 2009 si è svolto a Roma il 2° Corso Nazionale di Oncogeriatria, sotto la presidenza dei Prof. S.M. Zuccaro e L. Repetto. *** Nei giorni 8-9 Ottobre 2009 si terrà a Reggio Emilia il XXIII Seminario Nazionale della nostra Società, sotto la presidenza del Dott. Ferrari, primario Geriatra dell’Ospedale di Reggio Emilia e Presidente della sezione Emilia-Romagna. Ricordo che il Seminario, pur avendo una diffusione meno vasta del Congresso, ha per la nostra Società un significato rilevante e peculiare. Infatti ha la caratteristica di mettere sul tappeto un tema di fondo della Geriatria (Il futuro della Geriatria, Confronto tra Geriatria e Fisiatria, ecc.) che viene affrontato più con una discussione aperta che con le classiche relazioni. *** Dal 16 al 18 Ottobre 2008 si è svolto ad Aquino-Cassino, l’XI Convegno Nazionale Geriatrico “Dott. Angelico”, promosso e presieduto, con la sua consueta passione e maestria, dal prof. Luigi Di Cioccio. Il Convegno ha avuto un grande successo. *** Ti sarei molto grato, se potessi provvedere con sollecitudine alla corresponsione della quota sociale. Mi scuso molto, ma credimi, le difficoltà inerenti a realizzare un’ottima efficacia gestionale della nostra associazione comprendono anche l’aggiornamento del censimento dei nostri Associati. Ti invio i saluti più affettuosi, con la speranza di poterti abbracciare personalmente a Verona. Luigi G. Grezzana 170 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto S.I.G.Os. BILANCIO CONSUNTIVO 2008 ENTRATE Previsione 2008 Consuntivo 2008 Titolo I Entrate contributive associative E 40.000,00 E 28.050,00 E 25.000,00 E 15.454,08 E 10.000,00 E 15.000,00 E E Titolo II Altre entrate a) Attività congressuali e corsi b) Contribuzione Giornata Nazionale per l'Alzheimer - FNP-CISL NAZIONALE c) Varie Titolo III Entrate patrimoniali e riscossioni crediti a) Liquidità in c/c della Società 2008 b) Interessi attivi 2008 E 30.610,61 E 150,00 E 26.851,94 E 45,03 Titolo IV Assunzioni prestiti (mutui) varie E 0,00 E Titolo V Donazioni Prodotti Formenti E 0,00 E 30.000,00 Titolo VI Partite di giro Totale entrate 2008 ------------------E 120.760,61 1.500,00 0,00 0,00 E 0,00 ------------------E 101.901,05 =========== =========== E 26.851,94 Liquidità in c/c della Società al 31/12/2008 USCITE Previsione 2008 Consuntivo 2008 Titolo I Cat. I Spese per organi direttivi a) Presidenza b) Consiglio c) Giunta Esecutiva d) Revisiori dei Conti e) Assemblea Soci E 19.000,00 E 4.000,00 E 7.000,00 E 3.000,00 E 2.000,00 E 3.000,00 E 12.445,90 E 1.750,98 E 1.812,72 E 830,20 E 5.169,00 E 2.883,00 Cat. II Spese per lo svolgimento dei compiti istituzionali a) Rivista “Geriatria” soci in regola b) Stampa Opuscoli c) Spese Postali d) Spese Telefoniche e) Sito S.I.G.Os. internet f) Varie E 29.000,00 E 16.000,00 E 3.000,00 E 2.000,00 E 3.000,00 E 4.000,00 E 1.000,00 E 17.231,85 E 10.160,00 E 0,00 E 3.591,00 E 0,00 E 875,00 E 2.605,85 Cat. III Spese per i compiti scientifici, di aggiornamento, di imaging a) comunicazioni e diffusione immagine e ruolo della Geriatria b) Gruppi di Lavoro e di Studio c) Rappresentanze Nazionali, Interregionali, Regionali d) Organizzazione Giornata Nazionale per l'Alzheimer E 34.760,61 E 8.760,61 E 8.000,00 E 8.000,00 E 10.000,00 E 32.139,73 E 1.001,81 E 29.493,62 E 1.644,30 E 0,00 Cat. IV Spese segreteria S.I.G.Os. a) Segreteria Fiduciaria b) Varie E 20.000,00 E 19.000,00 E 1.000,00 E 19.200,00 E 19.200,00 E 0,00 Cat. V Spese non classificate in altre voci a) Contabilità b) Oneri contributivi E E E E E E 6.000,00 3.000,00 3.000,00 1.872,00 1.872,00 0,00 Spese in conto capitale Titolo II Cat. VI Acquisizione beni patrimoniali a) Accensione mutuo per eventuale Sede Cat. VII Acquisizione dei beni di uso durevole a) Computer ed informatizzazione Titolo III Cat. VIII Spese aventi natura di giro Previsione 2008 8.000,00 8.000,00 E E 0,00 0,00 E E 4.000,00 4.000,00 E E 0,00 0,00 E 0,00 E ------------ Totale uscite previste 2008 Consuntivo 2008 E E E 120.760,61 ======== -----------E 82.889,48 ======== Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto 171 norme Per Gli autori La rivista GERIATRIA prende in esame per la pubblicazione articoli contenenti argomenti di geriatria. I contributi possono essere redatti come editoriali, articoli originali, review, casi clinici, lettere al direttore. I manoscritti devono essere preparati seguendo rigorosamente le norme per gli Autori pubblicate di seguito, che sono conformi agli Uniform Requirements for Manuscripts Submitted to Biomedical Editors editi a cura dell’International Committee of Medical Journal Editors (Ann Intern Med 1997; 126: 36-47). Non saranno presi in considerazione gli articoli che non si uniformano agli standards internazionali. I lavori in lingua italiana o inglese vanno spediti in triplice copia (comprendente pagina di titolo, riassunto in inglese, parole chiave in inglese, testo, figure, tabelle, didascalie, bibliografia) con relativo dischetto a: Geriatria - c.e.S.i. - casa editrice Scientifica internazionale Via Cremona, 19 - 00161 Roma Tel. 06 44241343-44290783 Fax. 06 44241598 [email protected] www.cesiedizioni.com In caso di invio on-line si prega di salvare il testo in rich text format (rtf). L’invio del dattiloscritto sottintende che il lavoro non sia già stato pubblicato e che, se accettato, non verrà pubblicato altrove né integralmente né in parte. Tutto il materiale iconografico deve essere originale. L’iconografia tratta da altre pubblicazioni deve essere corredata da permesso dell’Editore. La rivista recepisce i principi presentati nella Dichiarazione di Helsinki e ribadisce che tutte le ricerche che coinvolgano esseri umani siano condotte in conformità ad essi. La rivista recepisce altresì gli International Guiding Principles for Biomedical Research Involving Animals raccomandati dalla WHO e richiede che tutte le ricerche su animali siano condotte in conformità ad essi. Il lavoro deve essere accompagnato dalla seguente dichiarazione firmata da tutti gli Autori: “I sottoscritti Autori trasferiscono la proprietà dei diritti di autore alla rivista Geriatria, nella eventualità che il loro lavoro sia pubblicato sulla stessa rivista. Essi dichiarano che l’articolo è originale, non è stato inviato per la pubblicazione ad altra rivista, e non è stato già pubblicato. Essi dichiarano di essere responsabili della ricerca, che hanno progettato e condotto e di aver partecipato alla stesura e alla revisione del manoscritto presentato, di cui approvano i contenuti. Dichiarano inoltre che la ricerca riportata nel loro lavoro è stata eseguita nel rispetto della Dichiarazione di Helsinki e dei Principi Internazionali che regolano la ricerca sugli animali”. Gli Autori accettano implicitamente che il lavoro venga sottoposto all’esame del Comitato di Lettura. In caso di richiesta di modifiche, la nuova versione corretta deve essere inviata alla redazione o per posta o per via e-mail sottolineando ed evidenziando le parti modificate. La correzione delle bozze di stampa dovrà essere limitata alla semplice revisione tipografica; eventuali modificazioni del testo saranno addebitate agli Autori. Le bozze corrette dovranno essere rispedite entro 10 giorni a Geriatria - c.e.S.i. - Casa Editrice Scientifica Internazionale, Via Cremona, 19 - 00161 Roma. In caso di ritardo, la Redazione della rivista potrà correggere d’ufficio le bozze in base all’originale pervenuto. I moduli per la richiesta di estratti vengono inviati insieme alle bozze. Gli articoli scientifici possono essere redatti nelle seguenti forme: editoriale. Su invito del Direttore, deve riguardare un argomento di grande rilevanza in cui l’Autore esprime la sua opinione personale. Sono ammesse 10 pagine di testo dattiloscritto e 50 citazioni bibliografiche. articolo originale. Deve portare un contributo originale all’argomento trattato. Sono ammesse 14 pagine di testo dattiloscritto e 80 citazioni bibliografiche. L’articolo deve essere suddiviso nelle sezioni: introduzione, materiali e metodi, risultati, discussione, conclusioni. Nell’introduzione sintetizzare chiaramente lo scopo dello studio. Nella sezione materiali e metodi descrivere in sequenza logica come è stato impostato e portato avanti lo studio, come sono stati analizzati i dati (quale ipotesi è stata testata, tipo di indagine condotta, come è stata fatta la randomizzazione, come sono stati reclutati e scelti i soggetti, fornire dettagli accurati sulle caratteristiche essenziali del trattamento, sui materiali utilizzati, sui dosaggi di farmaci, sulle apparecchiature non comuni, sul metodo stilistico...). Nella sezione dei risultati dare le risposte alle domande poste nell’introduzione. I risultati devono essere presentati in modo completo, chiaro, conciso eventualmente correlati di figure, grafici e tabelle. Nella sezione discussione riassumere i risultati principali, analizzare criticamente i metodi utilizzati, confrontare i risultati ottenuti con gli altri dati della letteratura, discutere le implicazioni dei risultati. review. Deve trattare un argomento di attualità ed interesse, presentare lo stato delle conoscenze sull’argomento, analizzare le differenti opinioni sul problema 172 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto trattato, essere aggiornato con gli ultimi dati della letteratura. Sono ammesse 25 pagine di testo dattiloscritto e 100 citazioni bibliografiche. caso clinico. Descrizioni di casi clinici di particolare interesse, Sono ammesse 8 pagine di testo e 30 citazioni bibliografiche. L’articolo deve essere suddiviso nelle sezioni: introduzione, caso clinico, discussione, conclusioni. Preparazione dei lavori I lavori inviati devono essere dattiloscritti con spazio due, su una sola facciata (circa 28 righe per pagina) e con margini laterali di circa 3 cm. Gli Autori devono inviare 3 copie complete del lavoro (un originale e due fotocopie) e conservare una copia dal momento che i dattiloscritti non verranno restituiti. Le pagine vanno numerate progressivamente: la pagina 1 deve contenere il titolo del lavoro; nome e cognome degli Autori; l’istituzione ove il lavoro è stato eseguito; nome, indirizzo completo di C.A.P. e telefono dell’Autore al quale dovrà essere inviata ogni corrispondenza. Nella pagina 2 e seguenti devono comparire un riassunto e le parole chiave in inglese; il riassunto deve essere al massimo di 150 parole. Nelle pagine successive il testo del manoscritto dovrà essere così suddiviso: introduzione, breve ma esauriente nel giustificare lo scopo del lavoro. materiali e metodi di studio: qualora questi ultimi risultino nuovi o poco noti vanno descritti detta-gliatamente. risultati. discussione. conclusioni. Bibliografia: le voci bibliografiche vanno elencate e numerate nell’ordine in cui compaiono nel testo e compilate nel seguente modo: cognome e iniziali dei nomi degli Autori in maiuscolo, titolo completo del lavoro in lingua originale, nome abbreviato della Rivista come riportato nell’Index Medicus, anno, numero del volume, pagina iniziale e finale. Dei libri citati si deve indicare cognome e iniziali del nome dell’Autore (o degli Autori), titolo per esteso, nome e città dell’editore, anno, volume, pagina iniziale e finale. tabelle: vanno dattiloscritte su fogli separati e devono essere contraddistinte da un numero arabo (con riferimento dello stesso nel testo), un titolo breve ed una chiara e concisa didascalia. didascalie delle illustrazioni: devono essere preparate su fogli separati e numerate con numeri arabi corrispondenti alle figure cui si riferiscono; devono contenere anche la spiegazione di eventuali simboli, frecce, numeri o lettere che identificano parti delle illustrazioni stesse. illustrazioni: tutte le illustrazioni devono recar scritto sul retro, il numero arabo con cui vengono menzionate nel testo, il cognome del primo Autore ed una freccia indicante la parte alta della figura. I disegni ed i grafici devono essere eseguiti in nero su fondo bianco o stampati su carta lucida ed avere una base minima di 11 cm per un’altezza massima di 16 cm. Le fotografie devono essere nitide e ben contrastate. Le illustrazioni non idonee alla pubblicazione saranno rifatte a cura dell’Editore e le spese sostenute saranno a carico dell’Autore. I lavori accettati per la pubblicazione diventano di proprietà esclusiva della Casa editrice della Rivista e non potranno essere pubblicati altrove senza il permesso scritto dell’Editore. I lavori vengono accettati alla condizione che non siano stati precedentemente pubblicati. Gli Autori dovranno indicare sull’apposita scheda, che sarà loro inviata insieme alle bozze da correggere, il numero degli estratti che intendono ricevere e ciò avrà valore di contratto vincolante agli effetti di legge. Gli articoli pubblicati su Geriatria sono redatti sotto la responsabilità degli Autori. N.B.: i lavori possono essere inviati e/o trascritti anche su dischetto compilati con programmi compatibili: in macintosh (Word) o mS dos (Wordstar 2000, Word). Codice argento Accogliere e curare la persona anziana nell’area dell’emergenza-urgenza Lorenzo Palleschi CASA EDITRICE SCIENTIFICA INTERNAZIONALE Volume rilegato, Edizione 2009 E 25,00 300 pagine circa Per ordini spedire a c.e.S.i. - Via cremona, 19 • 00161 roma anche via fax ✄ ■ Sì, desidero ricevere codice arGento di lorenzo Palleschi al prezzo di E 25,00 Cognome ....................................…….......... Nome ……………………… Tel. ……………………………………………… Via .........................................................……………… CAP …………… Città ……………………………………………… Firma .................................………………….... Contributo fisso spese imballo e spediz E 3,00 ■ Anticipato a mezzo Assegno Bancario (non trasfer.) allegato intestato a CESI TOTALE E ..............……........... ■ A mezzo vers. 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C/C N. 52202009 intestato a CESI ■ Anticipato a mezzo Assegno Bancario (non trasfer.) allegato intestato a CESI ■ American Express (c/c N. ………………… Validità ……………… Firma ………………………………………………) Per ordini telefonici 06.44.290.783 - 06.44.241.343 Fax 06.44.241.598 Via Cremona, 19 - 00161 Roma Partita IVA ........................................................ (solo per chi desidera la fattura)