Luglio – Agosto - GERIATRIA – Rivista

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Luglio – Agosto - GERIATRIA – Rivista
GERIATRIA
RIVISTA BIMESTRALE - ANNO XX n. 4 - Luglio/Agosto 2008 – Poste Italiane S.p.A. - Sped. in Abb. Postale D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 N. 46) Art. 1 Comma 1 - DCB Roma
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Geriatria 2008 Vol. XX n. 4 Luglio/Agosto
115
SOMMARIO
EDITORIALE: RILIEVI CRITICI SULLA CONTENZIONE IN GERIATRIA
Palleschi M. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
117
STUDIO OLDPRESS: EFFICACIA, TOLLERABILITÀ E SICUREZZA DI UN NUOVO
SARTANO NELLA CURA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA DEL GRANDE VECCHIO
Di Salvo A. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
121
IL “FATTORE DIMENTICATO” IN MEDICINA: LE INFLUENZE RELIGIOSE E SPIRITUALI
Giaquinto S., Giachetti I. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
125
RUOLO DELLA RESISTINA NEI PAZIENTI ANZIANI CON MALATTIA CRONICA
DEL FEGATO
Mancinella A., Mancinella M. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
131
IL RUOLO DELLA MEDICINA NUCLEARE NELLA DIAGNOSI DELLE DEMENZE
Nuvoli S. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
135
UTILIZZO DI SENSORI ELETTRO-MECCANICI WIRELESS NEL MONITORAGGIO
DEL RISCHIO DI CADUTE, DEI TEMPI DI SOCIALIZZAZIONE E DEL WANDERING
IN UNA POPOLAZIONE DI SOGGETTI ANZIANI RESIDENTI IN RESIDENZA SANITARIA ASSISTITA (RSA)
Ardoino G., Ianes Aladar B., Ricci G. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
141
“NON DIMENTICARE… LA MEMORIA” 2008: L’ESPERIENZA RIMINESE
Margiotta A., Pula B., Mariani E., Costantini S. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
147
L’UTILIZZO DEI BIFOSFONATI NEL TRATTAMENTO DELLE METASTASI OSSEE
DA CARCINOMA MAMMARIO
Papa A., Vari S., Basso E., Polidoro G., Rossi L., Pasciuti G. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
151
TRATTAMENTO DEL CARCINOMA SUPERFICIALE DELLA VESCICA
Vari S., Papa A., Basso E., Polidoro G., Rossi L., Pasciuti G., Spinelli G.P. . . . . . . . . . . . . . . .
157
RUBRICHE
Vita agli anni
Sabatini D. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
165
Geriatria nel mondo
Zanatta A. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
167
Calendario Congressi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
168
Comunicato ai Soci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
169
S OCIETà I TALIANA
G ERIATRI O SPEDALIERI
XXIII SemInarIo nazIonale
Update
clinico-funzionale
in Geriatria
reggio emilia 8-9 ottobre 2009
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editoriale
Geriatria 2008 Vol. XX; n.4 Luglio/Agosto 117
RILIEVI CRITICI SULLA CONTENZIONE IN GERIATRIA
Prof. Palleschi M.
Unità operativa di Geriatria, Azienda ospedaliera S.Giovanni Addolorata, Roma
Nonostante le alte tecnologie, le indagini e le
terapie di avanguardia presenti in numerosi ospedali del nostro Paese, ancor oggi chi visita una
corsia ospedaliera può rimanere sconvolto dall’alto numero di pazienti che giacciono in condizioni
miserevoli ed in uno stato di sfacelo psico-fisico,
che solo in parte è determinato dalle malattie presenti e in maniera preponderante è in relazione a
un’assistenza molto disdicevole e comunque assolutamente inadeguata alle esigenze del malato
anziano compromesso funzionalmente.
La presenza di mezzi di contenzione si inserisce generalmente in contesti di assistenza all’anziano di cattiva qualità, al contrario la contenzione viene minimizzata quando si presta grande
attenzione all’autonomia e alla qualità di vita del
paziente anziano.
I mezzi di contenzione possono essere analizzati, secondo diversi aspetti.
Un primo modo di affrontare il problema è la
valutazione degli eventi avversi che possono derivare dall’impiego di questa strategia assistenziale.
I danni possono essere sintetizzati nel modo
seguente (Tab. 1).
I danni meccanici derivanti direttamente dall’azione degli ausili di contenzione non sono
molto frequenti e generalmente sono dovuti ad un
uso incongruo di questi mezzi. Più temibili sono
le alterazioni provenienti dalle posture obbligate,
in modo particolare quelle che favoriscono l’insorgenza delle piaghe da decubito.
Queste rappresentano l’esempio più eclatante
e il risultato finale di un’impostazione assistenziale fallimentare.
Se si considera che nella popolazione ospedaliera la maggior parte degli studi riporta percentuali di ulcere da pressione vicine al 10% (2-4), si
comprenderà facilmente quale grave responsabiTab. 1 – Rischi legati alla contenzione
(1, modificata)
1) lesioni da intrappolamento.
2) lesioni conseguenti alla posizione imposta ed ai
suoi effetti biologici (ulcere da decubito, ecc.).
3) eventi avversi legati alla presenza di strumenti
di contenzione, ma non derivanti direttamente
dalla loro applicazione alla persona (reazioni
psicologiche sfavorevoli, ecc.).
lità ricada su qualsiasi operatore sanitario, in particolare sul medico, che impieghi pratiche, comprendenti quella della contenzione, in grado di
favorire l’insorgenza di un evento così catastrofico.
Il terzo gruppo di effetti indesiderati provenienti da un uso eccessivo ed incongruo delle
misure di contenzione è di carattere essenzialmente psicologico.
Nel malato anziano è fondamentale la motivazione al suo recupero, la fiducia in una possibile
migliore qualità della vita. Tutto questo viene
ostacolato da una situazione di estrema precarietà, come quella di non essere libero di muoversi autonomamente ed anzi di essere costretto alla
più completa immobilità.
In questo senso acquisisce un sempre maggior
rilievo, degno di sottolineatura, la diffusissima
consuetudine di tenere i malati ospedalizzati a
letto, “protetti” dalle spondine, soprattutto nel
timore di cadute.
In effetti le cadute tendono a recidivare, per cui
è indispensabile predisporre ed attuare un piano
operativo di prevenzione, ma è da irresponsabili
identificare quest’ultimo nella semplice costrizione a letto del paziente.
Le cause delle cadute sono molteplici (malattie
neuro degenerative, patologie cardiovascolari,
alterazioni del visus, fattori ambientali, ecc.), ma i
meccanismi possono essere identificati, in una
grande percentuale dei casi, in un’alterazione dell’equilibrio e della coordinazione neuromotoria,
che peggiorano vistosamente con l’inattività e con
la postura forzata in letto. Oltretutto la costrizione
a letto provoca danni devastanti, spesso superiori
a quelli indotti direttamente dalle cadute.
È evidente pertanto che il ricorso alla contenzione debba essere preceduto da un’attenta valutazione degli eventuali vantaggi e rischi. In linea
molto generale possono essere considerate condizioni accettabili nelle quali si possa ricorrere alla
contenzione le seguenti (5):
– Lo stato confusionale sia transitorio che cronico;
– La possibilità di procurarsi o procurare danni o
lesioni alla integrità psico-fisica e alla dignità
della persona stessa o di altri;
– La necessità di trattamenti terapeutici intensivi
e continuativi.
Sono, al contrario, esempi di applicazione impropria della contenzione:
– Wandering e deambulazione senza rischio (evidente) di caduta;
118
Geriatria 2008 Vol. XX; n.4 Luglio/Agosto
– Agitazione psicomotoria senza spunti violenti;
– Problemi comportamentali dovuti a disturbi
mnesici;
– Necessità di posture particolari.
Nonostante gli inconvenienti determinati dai
mezzi di contenzione, questi sono ancora molto
impiegati, anche se diversamente nei vari paesi del
mondo (6). I paesi scandinavi registrano un uso
quasi nullo dei mezzi di contenzione, essendo stati
predisposti protocolli e prerogative in grado di
erogare assistenza qualificata e soprattutto globale.
In Scozia la contenzione riguarda il 3,8% degli
anziani istituzionalizzati e limitatamente all’utilizzo di sedie con protezione.
In Italia le percentuali della presenza dei mezzi
di contenzione variano negli ospedali per acuti dal
7,4% al 22% (7). Altri studi riportano percentuali
diverse nei vari setting assistenziali del nostro
paese e comunque inferiori al 35-40% (8).
La pratica della contenzione fisica si accompagna spesso a quella della contenzione farmacologica, strategia assistenziale assai diversa dalla
prima, ma che ha in comune la caratteristica di
essere più comoda per la gestione del paziente
che realmente utile per la sua salute.
In sintesi pesanti riserve ad una diffusa pratica della contenzione in letto, nelle corsie geriatriche, possono essere avanzate per:
– il contributo che fornisce alla patologia da
immobilizzazione;
– i danni provenienti dall’abuso dell’impiego di
benzodiazepine e di neurolettici nei pazienti
con compromissione cognitiva e disturbi comportamentali;
– la colpevole rinuncia ad altri mezzi di prevenzione delle cadute, molto più efficaci e privi di
effetti collaterali, rappresentati dalle misure di
riattivazione ed in particolare dagli esercizi di
deambulazione (9).
A queste e a numerose altre argomentazioni si
potrebbe obiettare che le misure di contenzione
rappresentano una necessità per fronteggiare
emergenze non trattabili, ad esempio, con programmi di riattivazione a lungo termine.
Questa obiezione potrebbe avere una sua validità, se non fosse smentita dalla osservazione di
quanto si verifica in una rilevante quota delle corsie ospedaliere, dove i pazienti anziani costretti a
letto e “protetti” dalle spondine sono, se non la
regola, un comune riscontro.
Appare pertanto logico che per ricorrere ai
mezzi di contenzione non basti invocare un generico pericolo, ma sia indispensabile un’analisi approfondita di tutte le misure possibili per scongiurarne l’impiego in quello specifico caso. Un
esempio può far meglio comprendere l’abuso
della contenzione in diverse condizioni cliniche.
Non è del tutto eccezionale osservare del perso-
nale che somministra il cibo ad un malato attraverso le sbarre del letto. Almeno nel momento
della presenza dell’operatrice, il pericolo della
caduta dal letto è quasi inesistente, non risultando pertanto alcuna giustificazione al mantenimento delle spondine.
Va ancora sottolineato che la giustificazione ad
un impiego rilevante dei mezzi di contenzione
con la scarsità di personale, non sembra in alcun
modo valida, in quanto la pratica di questo mezzo
assistenziale non sempre richiede un carico minore di sorveglianza e impegno, tranne nei casi nei
quali venga applicata brutalmente, senza porsi
tanti problemi.
Un problema centrale, nei riguardi della contenzione, riguarda il coinvolgimento dei familiari
del malato.
Pur non potendosi “obbligare” alcun personale estraneo all’ospedale a fornire prestazioni assistenziali aggiuntive, l’aiuto di un familiare in
numerose situazioni (tipiche le alterazioni comportamentali dei dementi) diventa un’opzione
che acquisisce quasi i caratteri dell’indispensabilità.
La presenza costante del familiare è in grado
di ridurre fortemente l’impiego dei mezzi di contenzione, ma trova ostacoli di varia natura, comprendenti anche la resistenza del personale infermieristico che spesso non tollera una forte presenza di personale estraneo.
Giova qui sottolineare che venti anni or sono
anche nei reparti di Pediatria vi era una diffusa
tendenza a non accettare la presenza costante in
corsia delle mamme dei bambini ricoverati. Oggi
un pediatra che mostrasse contrarietà a questa
impostazione assistenziale verrebbe giudicato
molto sfavorevolmente.
Noi geriatri dobbiamo essere sempre più i promotori di una sensibilizzazione che faciliti il coinvolgimento dei familiari del malato anziano compromesso funzionalmente. L’obiettivo è quello di
ottenere la partecipazione ad un programma antiinvalidante che includa anche l’abolizione o la
riduzione dei mezzi di contenzione.
La riduzione dell’impiego dei presidi di contenzione rappresenta un obiettivo così significativo della prassi geriatrica, da costituire uno dei sei
aspetti peculiari dell’attività antiinvalidante della
nostra disciplina (vedi documento sull’indispensabilità delle unità operative di Geriatria negli
ospedali italiani) (10).
L’impiego dei mezzi di contenzione implica
problemi anche di ordine etico e legale.
Si ha la netta impressione che l’utilizzo dei
mezzi di contenzione sia dettato più dalle esigenze
di chi assiste che non dalla reale utilità del paziente; anche per questo motivo vi sono fondate riserve sull’impiego eccessivo delle pratiche di contenzione.
Palleschi M. - Rilievi critici sulla contenzione in geriatria
La consapevolezza delle implicazioni etiche
nell’utilizzo di questa strategia assistenziale è in
grado di limitare al minimo questa pratica “comoda”, ma “crudele”, e passibile, se mal impiegata,
di conseguenze penali (1).
La Costituzione Italiana sancisce infatti all’art.
13 l’inviolabilità della libertà personale ed all’art.
32 la necessità del consenso all’atto terapeutico. Il
nuovo codice deontologico del medico (deliberato
il 16/12/06 ed approvato il 23/01/07) riprende
queste istanze all’art.5: “Il medico nell’esercizio
della professione deve attenersi alle conoscenze
119
scientifiche ed ispirarsi ai valori etici della popolazione, assumendo come principio il rispetto della
vita, della salute fisica e psichica, della libertà e
della dignità della persona”.
L’uso incongruo dei mezzi di contenzione può
ricadere nell’ambito dell’articolo 610 del C.P., configurando il reato di violenza. Va ricordato peraltro che qualora ricorrano gli estremi dello stato di
necessità (art.54 C.P.) la misura restrittiva va adottata senza alcuna riserva, se proporzionale al
danno potenziale, potendo altrimenti configurarsi
il reato di abbandono di incapace (art.591 C.P.).
BIBLIOGRAFIA
1. LIBUTTI N.C., BERARDINO A., IERARDI B.A.: L’impiego dei mezzi di
contenzione nell’anziano. In: Palleschi M., Zuccaro SM.: Guida al trattamento e alla gestione delle malattie Geriatriche. CESI, Roma, 2008, in Press.
2. CADEDDU G., FIORAVANTI P., GAETTI R.: Anziani e piaghe da decubito: aspetti epidemiologici e clinici, fattori di rischio, valutazione multidimensionale. Geriatria 1998; 10: 325-336.
3. LYDER CH., PRESTON J., GRADY JN., SHINTO J., ALLMAN R.,
BERGSROM N., DODEHEAVER G.: Quality of care for hospitalized medicare patients at risk for pressure ulcers. Arch. Int. Med. 2001; 161: 1549-1554.
4. BAUMGARTEN M., MARCOLIS DJ., LOCALIO AR., KAGAN SH.,
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J. Gerontol. A. Biol. Sci. Med. Sci. 2006; 61: 749-754.
5. CAPASSO S., SARDELLI R., DI CIOCCIO L.: Le sbarre: contenzione o
protezione del paziente? Geriatria 2008; 21: 129-131.
6. KIRKEVOLD O.: Use of restraint in nursing homes. Tidsskr Nor
Laegeforen 2005; 125: 1346-1348.
7. SILIQUINI C., PAPA D.: Il governo infermieristico per l’anziano a rischio
di contenzione. Geriatria 2005; 17 (Suppl): 199-205.
8. CESTER A., GENOVESE A., PESCE T., ONGARO C.: Le contenzioni.
G. Gerontol. 2007; LV: 342-344.
9. HAUER K., ROST B., RUTSCHLE K., OPITZ H., SPECHT N., BARTSCH P., OSTER P., SCHLIERF G.: Exercise training for rehabilitation and
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falls. J. Am. Geriatr. Soc. 2001; 49: 10-20.
10. PALLESCHI M., ZUCCARO S.M.: Documento sull’indispensabilità
delle unità operative di Geriatria negli ospedali italiani. C.E.S.I., Roma, III
Ed., 2007.
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto 121
STUDIO OLDPRESS: EFFICACIA, TOLLERABILITà E
SICUREZZA DI UN NUOVO SARTANO NELLA CURA
DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA DEL GRANDE VECCHIO
Di Salvo A.
U.O. Lungodegenza, Ospedale SS Salvatore di Mistretta – Azienda Unità sanitaria Locale n° 5 di Messina
Riassunto: Il presente studio ha valutato la possibilità di utilizzare un sartano di nuova generazione in monoterapia od in associazione con il diuretico idroclorotiazide per la cura dell’ipertensione arteriosa essenziale nei grandi vecchi, popolazione gravata da alto rischio cardiovascolare e da comorbilità e politerapia. Venti pazienti di età
media 84,5 anni affetti da ipertensione di nuova diagnosi o non ben controllata dalla terapia praticata sono stati
arruolati. Hanno concluso lo studio 19 pazienti e tutti hanno presentato normali valori pressori (dato confermato
dall’effettuazione di un monitoraggio pressorio delle 24 h). In conclusione, pur ammettendo la necessità di proseguire lo studio aumentando il numero di pazienti arruolati, dai dati emersi si rileva l’efficacia, tollerabilità e sicurezza del nuovo sartano nel curare l’ipertensione del grande vecchio come prima scelta al pari dei calcio antagonisti, dei quali potrebbe essere una valida alternativa.
Parole chiave: Ipertensione arteriosa, grande vecchio, olmesartan medoxomil.
Summary: The present study has appraised the possibility to use a sartan of new generation in monotherapy or in association with hydroclorotiazide for the management of arterial essential hypertension in the great old men, who usually bears the
burden of high cardiovascular risk, comorbility, and politherapy. Twenty patients of average age 84,5 years were examined,
suffering from hypertension of new diagnosis or not well checked from the practiced therapy.
19 patients have completed the study, all of them showed normal blood pressure values (datum confirmed by the execution of
24-h ambulatory blood pressure monitoring). In conclusion, although it would still be useful to continue the study increasing
the amount of patients, the evidence as far collected prove the new sartan to be effective, tolerable and soft. It could be a valid
alternative to calcium-antagonists in curing hypertension in great old men.
Key words: Hypertension, great old men, olmesartan medoxomil.
INTRODUZIONE
Nelle ultime decadi si sta assistendo nel nostro
paese ad un progressivo invecchiamento demografico (c’è una percentuale di ultrasettantacinquenni superiore al 19%) che comporta una maggiore esposizione temporale ai fattori di rischio
classici, si stima che nei prossimi cinquanta anni il
loro numero crescerà di 3 volte.
L’ipertensione arteriosa, soprattutto la forma
sistolica, è il principale fattore di rischio modificabile presente negli anziani (al di sopra dei 65 anni
prevale nel 65-80% dei pazienti), che li espone ad
un maggior rischio di eventi cardio- (infarto del
miocardio, scompenso cardiaco, morte cardiaca
improvvisa) e cerebrovascolari (ictus: prima causa
di invalidità e terza di morte), ma anche di insufficienza renale, decadimento cognitivo (fenomeno
parafisiologico legato all’invecchiamento delle
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Angelo Di Salvo
U.O. Lungodegenza – Ospedale SS Salvatore di Mistretta
Via Anna Salamone, 101 – 98073 Mistretta
Tel.: 0921389513 - 0921389515 Fax: 0921389224
Cell.: 3477280747
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arterie) e conseguente disabilità. Tra l’altro i valori pressori (specialmente sistolici) progrediscono
con l’aumentare dell’età, per cui il grande vecchio
ha un rischio cardiovascolare elevato o molto elevato a causa della frequente coesistenza di fattori
di rischio addizionali (diabete mellito di tipo 2,
ipercolesterolemia) nonché di danno d’organo, sia
subclinico che conclamato.
Numerosi studi scientifici hanno dimostrato
che trattando tutte le forme di ipertensione è possibile ridurre notevolmente l’incidenza di eventi
cardio- e cerebrovascolari, addirittura leggendo
fra le righe di tali studi si evince che se il vantaggio del trattamento viene espresso in termini di
persone che è necessario trattare per prevenire un
evento (number needed to treat), la terapia sarebbe più efficace, almeno a breve termine, proprio in
soggetti più anziani (almeno fino all’età di 80
anni), in quanto gravati da un rischio globale più
elevato (1). Purtroppo instaurare una terapia efficace nei grandi vecchi non risulta facile poiché a
causa della comorbilità, disabilità e politerapia
che li caratterizzano sono esclusi dai grandi trial,
inoltre un nuovo farmaco potrebbe, vuoi per la
possibilità di interazioni farmacologiche, vuoi per
le ben note variazioni della farmacocinetica, com-
122
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
portare l’insorgenza di effetti collaterali con il
rischio di minare il precario equilibrio che li contraddistingue e l’aderenza alla terapia.
Allo scopo di realizzare delle evidenze sul
trattamento dell’ipertensione arteriosa nel grande
vecchio abbiamo condotto uno studio osservazionale per valutare l’efficacia, la tollerabilità e la
sicurezza di un nuovo sartano quale Olmesartan
medoxomil su questa popolazione, considerando
il suo effetto anti-ipertensivo protratto per 24 ore.
MATERIALI E METODI
Sono stati arruolati 20 pazienti di cui 4 uomini
e 16 donne non ospedalizzati, di età compresa fra
75 e 94 anni (media 84,5), afferenti all’Ambulatorio di Geriatria dell’U.O. Semplice di Lungodegenza dell’Ospedale di Mistretta. I criteri di
inclusione erano: ipertensione arteriosa essenziale come di nuova diagnosi (senza trattamento
precedente) o come non controllata adeguatamente nonostante l’uso di uno o più farmaci con
valori di sistolica (PAS) compresi fra 140 e 190
mmHg e di diastolica fra (PAD) 90 e 105 mmHg.
I criteri di esclusione comprendevano l’ipertensione secondaria o maligna, significative patologie epatiche o renali e valvulopatie severe. I
pazienti che rispettavano i criteri di inclusione
sono stati divisi in due gruppi in base all’età: 10
pazienti avevano un’età compresa fra 75 ed 85
anni (età media 80, anziani old-old): gruppo I; 10
pazienti avevano un’età superiore a 90 anni: (età
media 92,2, anziani oldest-old) gruppo II; (Tabella
1). All’arruolamento i pazienti sono stati sottoposti a: raccolta anamnestica, visita generale, elettrocardiogramma, esami ematochimici. Ad ogni visita (eseguita fra le ore 10:00 e le 12:00) la pressione
arteriosa (PA) veniva rilevata due volte (considerata come PA della visita la media di queste due
rilevazioni) con sfigmomanometro a colonna di
mercurio e bracciale di appropriate dimensioni in
posizione seduta, dopo cinque minuti di riposo in
ambiente tranquillo, sul braccio sinistro che veniva posto all’altezza del cuore. Solamente 5 pazienti erano in trattamento con antiipertensivi e
nello specifico tutti con calcioantagonisti (3
Manidipina, 1 Lacidipina, 1 Felodipina) di cui 4
nel gruppo 2 ed 1 nel gruppo 1. Agli arruolati è
stato somministrato olmesartan medoxomil 20
mg una volta al giorno, a colazione per dodici settimane. Alle visite di controllo che si sono svolte
ogni due settimane il farmaco veniva cambiato
nella combinazione fissa olmesartan medoxomil
20 mg/idroclorotiazide (HCTZ) 12,5 mg se i valori della PA non risultavano ben ridotti. Alla visita
finale sono stati eseguiti elettrocardiogramma,
esami ematochimici ed un monitoraggio pressorio ambulatoriale delle 24h-ABPM (è stata effettuata una rilevazione ogni 15 minuti durante il
giorno e ogni 30 minuti durante la notte), è stata
scelta questa metodica poiché elimina l’effetto
“camice bianco” e la variabilità interindividuale
di misurazione, inoltre permette di determinare
accuratamente l’efficacia del farmaco per l’intero
arco di tempo fra le somministrazioni.
RISULTATI
Alla 12° settimana le riduzioni medie della
pressione diastolica e sistolica nei due gruppi
erano di 11,25 e 19,5 rispettivamente, inoltre la
percentuale di pazienti controllati era del 100%
(PA <140/90 mmHg) sia alla misurazione ambulatoriale che al monitoraggio delle 24 h, di cui il
57,8% (4) in monoterapia e il 42,2% (8) in terapia
di associazione (vedi Tabella 2 e Figura 1).
Entrambi i gruppi hanno ben tollerato il trattamento, non si sono verificate modificazioni rilevanti di nessun parametro ematochimico o decessi e solamente una paziente nel gruppo con età
maggiore di 90 anni ha presentato un evento
avverso (diarrea) che ha comportato l’interruzione dello studio.
Tab.1 - Caratteristiche alla valutazione basale dei pazienti all’inizio ed alla fine dello studio
Gruppo 1
Gruppo 2
Inizio
Fine
Inizio
Fine
N
10
10
10
9
Età media
80
80
92,2
91,8
%donne
70
70
90
80
%CAD
20
20
10
10
%Ictus/TIA
10
10
20
20
%Diabete
0
0
0
0
%Antiaggreganti
30
30
50
50
%Terapia antipertensiva
10
10
40
40
N°terapie (media)
4,8
4,8
5,6
5,4
N°comorbidità (media)
4
4
4
4
PA Sist/Diast mmHg in ambulatorio
151,5/98
135/88
160/100
137,5/87,5
Creatinina (media)
0,9
0,9
1
1,1
Azotemia (media)
42
44
46,3
46
Di Salvo A. - Studio Oldpress. Efficacia, tollerabilità e sicurezza d un nuovo sartano... 123
Tab. 2 – Riduzione dei valori di pressione arteriosa sistolica e diastolica nei due gruppi
Gruppo 1
Olmesartan Olm
Tot.
+HCTZ
Olmesartan
Gruppo 2
Olm
Tot.
+HCTZ
Riduzione
PAS vs
basale
7
3
-16,5
4
5
-22,5
Riduzione
PAD vs
basale
7
3
-10
4
5
-12,5
Fig. 1 – Variazioni pressorie misurate con ABPM dopo
12 settimane di trattamento con olmesartan medoxomil da solo od in associazione ad HCTZ nei due gruppi di pazienti.
DISCUSSIONE
Tenuto conto dell’alta prevalenza di ipertensione, ma soprattutto dell’alto tasso di morbilità e
mortalità associate, si comprende la necessità di
ricercare nuovi farmaci sempre più attivi, meglio
tollerati e più maneggevoli.
Fra i farmaci antiipertensivi i sartani sono efficaci nel ridurre la pressione almeno quanto le altre
classi di farmaci antiipertensivi, presentano profilo di tollerabilità confrontabile a quello del placebo (2) ed hanno un interessante profilo terapeutico a livello vascolare. Nell’ambito di tale classe
un’attenzione particolare va destinata all’Olmesartan, che rappresenta la molecola di più recente
commercializzazione. Essa esercita la sua azione
di controllo sulla pressione arteriosa attraverso il
blocco del recettore per l’angiotensina II (AT1),
con cui instaura un legame selettivo (3) e potente,
in questo modo viene antagonizzata l’attività del
sistema renina-angiotensina-aldosterone, responsabile dell’aumento delle resistenze vascolari, con
conseguente riduzione dei valori pressori. È
Fig. 2 – Variazioni pressione sistolica misurata ambulatorialmente durante le 12 settimane di trattamento.
importante ricordare che dal punto di vista strutturale l’olmesartan è un profarmaco, che subisce
una de-esterificazione a livello gastrointestinale,
dando luogo alla produzione della forma attiva. Il
suo profilo farmacocinetico è stato accuratamente
valutato in una serie di studi (4,5). Esso esercita
proprietà nefroprotettive (riduce in maniera statisticamente significativa la proteinuria in ratti diabetici, obesi ed ipertesi riducendo le resistenze
renali, aumentando il flusso plasmatico renale,
riducendo lo stress ossidativo (6), antiaterosclerotiche (sia da solo che in associazione con pravastatina è associato ad una significativa prevenzione
della formazione della placca aterosclerotica (7) studio MORE), antinfiammatorie (è inoltre in
grado di ridurre i livelli di alcuni marcatori dell’infiammazione vascolare quali proteina C reattiva, interleuchina 6, la MCP (proteina chemiotattica monocitaria) ed il TNFa e di aumentare il
numero di cellule progenitrici (8) ed endotelioprotettive (aumenta il numero di cellule endoteliali progenitrici in grado di riparare il danno endoteliale (9).
Lo studio OLD-PRESS ha valutato la possibilità di utilizzare un sartano di nuova generazione
quale olmesartan in monoterapia o in associazione per la cura dell’ipertensione essenziale nei
grandi vecchi ben sapendo che essa è caratterizzata da un controllo notoriamente molto difficile
(derivante da un’aumentata rigidità delle grandi
arterie). L’obiettivo è stato quello di controllare i
valori pressori e migliorare la scarsa compliance
di questi pazienti nei confronti di una terapia
antiipertensiva legata al timore nei riguardi di un
nuovo farmaco ed alla paura che si possa trarre
più danno che beneficio dalla normalizzazione
pressoria rispettando i seguenti aspetti: 1) precedente esperienza del paziente con una classe di
farmaci, 2) potenziali effetti del farmaco sui fattori di rischio vascolare, 3) presenza di patologie
concomitanti che possono limitare l’impiego di
classi particolari di farmaci, 4) interazioni farmacologiche sfruttando il favorevole profilo di tollerabilità di questo farmaco (fornito dal basso po-
124
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
tenziale di interazioni farmacologiche, conseguente al fatto che tale farmaco ha una bassa affinità per il citocromo P450 e quindi interagisce in
maniera irrilevante con le molecole metabolizzate
da tale sistema) (3,4).
CONCLUSIONI
La terapia con Olmesartan da solo o combinato con un diuretico tiazidico ha consentito marcate riduzioni sia della PAS che della PAD con una
rapidità di comparsa della riduzione pressoria clinicamente rilevante nei soggetti di ambedue i
gruppi (obiettivo importante in pazienti ad alto
rischio di eventi cardiovascolari e quindi disabi-
lità) (10), (Figura 2). Inoltre risulta di estremo interesse l’evidenza di un farmaco in grado di coniugare efficacia nell’immediato ed a lungo termine e
compliance terapeutica in pazienti gravati da una
elevata comorbidità, per cui è determinante l’utilizzo di farmaci che non interagiscono negativamente con l’andamento di patologie eventualmente associate e che siano dotati di elevata tollerabilità sia in monoterapia che in associazione con
il diuretico. Tra l’altro può essere una valida alternativa in questi pazienti rispetto al calcio-antagonista (che in questa tipologia di popolazione è
altamente validato vedi SYST-EUR, SYST-CHINA, COHORT) come tra l’altro già dimostrato in
altri studi (11-13).
BIBLIOGRAFIA
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Blood Press Monit 2006; 11: 135-41.
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto 125
IL “FATTORE DIMENTICATO” IN MEDICINA:
LE INFLUENZE RELIGIOSE E SPIRITUALI
Giaquinto S., Giachetti I.
IRCCS “San Raffaele Pisana”, Roma
Riassunto: Il moderno concetto della Riabilitazione è quello dell’intervento olistico, ossia globale, che considera la
persona nella sua totalità e non in organi separati. Il Credo religioso e la spiritualità fanno parte integrante della persona malata e sono possibili gli interventi di coping mediante i quali viene contrastata la negatività della malattia e
favorito l’adattamento. Vi sono molti articoli recenti in Letteratura, che dimostrano influenze positive contro lo stess,
la depressione e il rischio cardiovascolare, anche se non sono ancora del tutto conosciuti i meccanismi biologici.
Parole chiave: Depressione, Mortalità, Rischio cardiovascolare, Religione, Spiritualitàm Stress.
Summary: Nowadays, rehabilitation has a global, holistic approach, diffently from old concepts of more focalized interventions. The influence of spirituality and religious beliefs on health has been increasingly investigated over the past decade. In
general, research has concluded that religion and spirituality are linked to positive physical and mental health outcomes. The
data, however, are not entirely consistent, and the mediating factors are still poorly understood. Relying on religion is an active coping strategy. A collaborative relationship with God can help whenever the complex of stimuli, perception, and reactions
to internal and external demands challenge the organism’s adaptation resources.
Key words: Cardiovascular risk, Death, Depressione, Faith, Stress.
Poteva capitare in sala settoria, studiando l’anatomia di un braccio appartenuto chissà a chi, di
disserrare un pugno stretto e trovarci dentro un
piccolo crocefisso, prova della ricerca di un
conforto in un drammatico trapasso. Molto più
frequente è la constatazione della grande quantità
di immagini sacre sui comodini dei ricoverati in
un ospedale. Questi messaggi fanno parte della
semeiotica e ci dicono che non vanno trascurati,
nella cura di un malato, gli aspetti spirituali,
ovviamente quando questi esistono. La presente
rassegna è uno studio scientifico e non apologetico sugli effetti positivi della spiritualità con le sue
possibili implicazioni preventive.
Ognuno di noi è consapevole dell’influenza
della psiche sul sistema cardiovascolare. Le persone divengono pallide per la paura e scarlatte per
la rabbia, ma sono ben più sottili i cambiamenti
che sono stati individuati nelle ricerche recenti. I
fattori psicologici e fisiologici sono interconnessi e
complementari piuttosto che alternativi e la spiritualità può essere considerata come un benefico
antidoto allo stress.
STRESS E DEPRESSIONE
Il disturbo acuto da stress ha una durata che
va da un minimo di 2 giorni ad un massimo di 4
settimane e s’instaura entro 4 settimane dall’evenIndirizzo per la corrispondenza:
Salvatore Giaquinto
IRCCS “San Raffaele Pisana”
Via della Pisana, 216 – 00163 Roma
Tel. 06-661305 E.mail: [email protected]
to, il quale può essere seriamente dannoso sia per
i diretti interessati che per i loro cari.
Lo stress cronico fa sì che gli individui reagiscano con costante difficoltà alle continue richieste
di adattamento. Le risorse individuali sono necessarie e quando iniziano a scarseggiare vi è la
necessità di un prestito biologico, il quale pesa sull’intero organismo, generando così il rischio di
complicanze a livello cardiovascolare, cerebrale e
psicosomatico. Lo stress psicosociale è in parte
responsabile degli altissimi tassi di ipertensione e
della conseguente morbilità e mortalità cardiovascolare. Lo stress cronico e il carico delle cure prestate ai malati di Alzheimer sono associati nei
caregivers ad una ridotta funzionalità del sistema
immunitario e ad un rischio per quello cardiovascolare, ad iper-reattività del simpatico e all’attivazione piastrinica. Si è ipotizzato che questa attivazione sia un meccanismo di difesa, che limita l’emorragia negli animali catturati dai predatori. Si è
riscontrato che solamente tra i caregivers, l’incremento della sintomatologia depressiva e dell’ansia
sia associato a recupero ritardato della norepinefrina, delle piastrine e della p-selectina con incremento della reattività e del ritardo dei meccanismi
di recupero (1). Questi cambiamenti possono rappresentare un passaggio, per il caregiver, dallo
stress al rischio cardiovascolare e l’aumento dello
stress può sfociare in depressione (2). La depressione è in questo caso un meccanismo di difesa.
Questi dati suggeriscono che l’esperienza soggettiva di circostanze stressanti sia una causa
determinante dell’umore depresso. Si è arrivati
alla conclusione che il peso delle cure prestate agi-
126
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
sca come un grilletto, che dà inizio alla progressione dallo stress alla depressione, causando sentimenti soggettivi di sovraccarico e intrappolamento nel ruolo di caregiver.
L’influenza della depressione sul rischio di
ictus non è stata studiata esaurientemente, comunque, alcuni studi epidemiologici mostrano la
possibilità che esista un relazione. In uno studio su
soggetti anziani si è rilevato che sintomi depressivi
gravi accrescono il rischio di ictus (3). Molti soggetti anziani con depressione, sviluppata tardi nel
corso della vita, presentano lievi patologie cerebrovascolari. Sono i problemi dell’umore ad identificare la compromissione vascolare in pazienti affetti da ischemia cerebrale silente. Le variazioni a
livello vascolare possono essere legate ad aterosclerosi, ipertensione o infarto del miocardio.
La depressione successiva ad ictus, influisce
negativamente sui progressi del paziente durante
l’ospedalizzazione e alla dimissione (4-12). D’altra parte, la depressione è associata in modo minore all’esito funzionale rispetto ai segni neurologici e all’indebolimento cognitivo (13). Molte altre variabili e le loro combinazioni possono influire sull’esito dell’ictus, come la pressione diastolica (14) e l’omocisteina (15). L’interleuchina-1
(16), l’interleuchina-6 (17), la proteina C-reattiva e
altri markers dei processi infiammatori, possono
portare a disfunzioni nell’attività piastrinica,
anormalità nella coagulazione del sangue, disfunzioni a livello endoteliale, e anormalità del battito
cardiaco. Si è scoperto quindi che l’umore depresso rappresenta un reale fattore di rischio per gli
incidenti cerebrovascolari (18). Tuttavia, l’infiammazione non spiega del tutto la relazione tra
depressione e malattia cardiovascolare. Infatti, la
depressione è stata indicata come un significativo
predittore di malattia cerebrovascolare, ma la
depressione e i biomarkers dei processi infiammatori restano indipendenti quando si valuta il
risultato finale (19).
MORTE IMPROVVISA
Gli eventi stressanti sembrano far scattare aritmie ventricolari maligne e infarto del miocardio in
pazienti cardiopatici. E’ stata identificata la sindrome del Mastino dei Baskerville (20), ispirata al
famoso romanzo di Conan Doyle, nel quale un
ricco possidente è attirato di notte da un cugino
invidioso con uno stratagemma in una landa, dove
secondo una leggenda vive un ferocissimo mastino
gigante. Quando il cugino invidioso gli lancia contro un grosso cane, addestrato per l’occasione, il
ricco possidente muore di paura: un delitto perfetto, che Sherlock Holmes poi risolverà.
Interessanti casi di questa sindrome, che vanno oltre la scienza, provengono dalla comunità
cinese e nippo-americana, che considerano il
quarto giorno del mese sfortunato; questo è spiegabile con il fatto che i termini ”morte” e “quattro”, hanno ideogrammi del tutto differenti ma
stessa pronuncia (shi). Le statistiche indicano che
queste comunità presentano un picco di mortalità
particolarmente alto in quel giorno, a differenza
dei bianchi americani (21). L’alto picco di mortalità nel quarto giorno del mese è dovuto a patologie cardiache croniche. La paura (ricorrente) di
morire all’avvicinarsi del quattro del mese sembra peggiorare la qualità della vita, silenziosamente. Così, l’alta mortalità per patologie cardiache può crescere in occasione di eventi stressanti.
Perfino le vacanze possono essere pericolose:
infatti la mortalità per patologie cardiache e non,
è maggiore durante le festività natalizie, indipendentemente dai fattori climatici e dietetici (22) ed
è in aumento. Mentre la morte nel quarto giorno
del mese non trova spiegazione nelle variabili
confondenti, come cambiamenti nella dieta o
nelle terapia farmacologica, nell’assunzione di
alcol, nello svago, nel lavoro, una spiegazione
alternativa della mortalità durante il periodo
delle festività natalizie è quella che le vacanze
portino a dimenticare l’assunzione della terapia
farmacologica. Tuttavia le vacanze sono fonte di
stress: corse per regali, acquisto di pacchetti di
viaggio, bagagli, abbigliamenti adatti, nuova alimentazione e repentino cambio di abitudini.
Per i cattolici Sant’Andrea d’Avellino è il patrono che protegge dalla morte improvvisa. Il santo
fu colpito da ictus mentre celebrava la messa e l’episodio è rappresentato in un quadro del
Lanfranco, esposto nel braccio destro del transetto
della Chiesa di Sant’Andrea della Valle a Roma.
FEDE, SPIRITUALITÀ E RELIGIONE
S. Paolo definisce la Fede come la certezza
nelle cose per cui si spera, e la convinzione in ciò
che non si vede (Lettera agli Ebrei, ripresa da
Dante: Paradiso, XXIV, 64-65). Spiritualità e religiosità sono concetti simili e non sinonimi.
Per spiritualità s’intende il credere, l’attribuire
valore o l’essere devoto ad un alto potere oltre il
regno del corporeo e del visibile. La spiritualità è
legata al trascendente, al porsi le domande ultime
sul significato della vita, dando per certo che vi
sia più di quanto possa essere visto o compreso
(23,24).
La religiosità è un sistema dottrinale condiviso
da più persone. La partecipazione religiosa, più
della spiritualità, può sommare i suoi effetti benefici sulla salute e la sopravvivenza. Dal momento
che la religiosità è collegata ad una congregazione
che condivide dottrina, modo di comunicare, regole e abitudini, sono proprio la partecipazione
alla vita sociale, i ruoli, lo stile di vita, le restrizioni alimentari, e la moderazione, che possono spie-
Giaquinto S., Giachetti I. – Il “fattore dimenticato” in Medicina: le influenze religiose e spirituali
gare i benefici. Si sta destando un certo interesse
per l’argomento nel campo riabilitativo (25-28) e
ne risulta una domanda crescente di interventi
riabilitativi olistici, globali, che siano centratati
sull’individuo e non su una sua parte staccata,
come nella patologia di organo. Questa riabilitazione sarà focalizzata sul sé spirituale, oltre che
fisico, cognitivo e sociale. Questi argomenti sono
importanti per gli individui con disabilità ad
esordio veloce, come l’ictus e il danno spinale.
In un modello di spiritualità, su un asse venivano indicate le relazioni intra-, inter- e transpersonali, mentre sull’altro venivano indicate la consapevolezza, la vicinanza, la fiducia, la vulnerabilità e la propositività (25). Per quanto riguarda la
religiosità, essa si potrebbe definire come una strategia attiva di coping (29). Secondo gli autori una
relazione collaborativa con Dio aiuta. Il complesso
di stimoli, percezioni e reazioni alle richieste interne ed esterne muta le risorse adattive dell’individuo. Nel modello di Pargament (29) le persone
considerano gli eventi stressanti utilizzando valutazioni primarie (“L’evento è potenzialmente dannoso?”) e secondarie (“Posso affrontarlo?”). Sono
stati individuati tipi di coping religioso positivo,
per esempio il ricavare un insegnamento dalla
malattia, il contrastare la malattia avendo Dio
come compagno, il cercare l’amore e le cure di
Dio, il chiedere agli altri di pregare per la propria
salute, il dare agli altri il conforto spirituale, il sentirsi rifugiati nelle mani di Dio, il confessarsi per
annullare il senso di colpa, il considerare la vita
come una parte di un cammino molto più lungo,
il guardare a nuove ragioni che giustifichino la
vita, il trovare totale risveglio spirituale, il focalizzarsi sulla religione per attutire i problemi. Ma
come esiste il coping positivo, così esiste anche il
coping negativo. Ad esempio, il sentire la malattia
come punizione, l’avvertire la presenza del diavolo, il percepire la situazione fuori del controllo
divino, il percepire la mancanza dell’aiuto e dell’amore di Dio. Comunque, nulla di nuovo sotto il
sole: già nelle Sacre Scritture troviamo sia il
coping positivo (Emmanuel = Dio è con me) che il
coping negativo (Elì, Elì, lamma sabactane =
Signore, Signore, perché mi hai abbandonato).
Una reazione allo stress può dipendere non
solo dalla propria formazione, ma anche da vari
mediatori come il supporto sociale, la decisionalità, lo stile di risoluzione dei problemi. Le persone religiose, e non solo, tendono a sperimentare lo
stesso quantitativo di stress, ma la religione può
essere d’aiuto facilitando una migliore reattività
agli eventi negativi della vita. La comunità religiosa è come uno rifugio, specialmente per le persone sole, dove la prevenzione, la promozione e
la mutua collaborazione si occupano delle strategie di coping per gli eventi della vita negativi.
La paura della morte è maggiore durante la
127
mezza età anche di più che in quella tarda. Studi
di neuroimaging hanno portato ad una ipotesi di
depressione vascolare. Si è trovato che la depressione è un forte fattore predittivo di ictus, mentre
la religiosità sembra essere un antidoto protettivo. Una possibile interpretazione è l’eziologia vascolare della depressione nella tarda età. La religiosità potrebbe essere interpretata come contrasto alla depressione e alle lesioni vascolari (30).
Uno studio longitudinale ha dimostrato che la
religiosità e la partecipazione attiva ai servizi
sacerdotali sono inversamente correlate ai sintomi depressivi, anche se la religiosità privata non
ha gli stessi effetti di quella comunitaria (31).
Tassi più bassi di mortalità per coloro che prendono parte ai servizi religiosi (32) sono solo parzialmente spiegati da possibili variabili confondenti
(fattori demografici, stato di salute, funzionalità
fisica e sociale, stato psicologico).
È stata esaminata l’associazione tra partecipazione religiosa (autoriferita) e mortalità sopravvenuta dopo più di 5 anni per i residenti più anziani di un distretto cittadino. Si sono utilizzate le
interazioni tra le variabili religione e il supporto
sociale per verificare se altre forme di supporto
possano sostituire la religione e diminuirne il suo
effetto protettivo. Chi partecipa ai servizi religiosi ha una mortalità più bassa di chi non vi partecipa. Anche la partecipazione alle attività religiose private può essere vantaggiosa, a condizione
che le attività giornaliere siano preservate. Uno
studio (33) ha preso in considerazione la preghiera, la meditazione o lo studio della Bibbia e un
ampio numero di variabili socio-demografiche di
interesse sanitario. Un terzo dei soggetti è morto
in media dopo 6,3 anni. Coloro che riferivano di
avere un’attività religiosa privata o nulla, avevano un rischio di morte maggiore rispetto a chi
partecipava ai servizi religiosi, ma il risultato non
restava significativo per il campione nell’insieme,
dopo la correzione delle variabili demografiche e
di salute. La religione è importante per gli
Ispanico-americani, particolarmente per i più
anziani. Frequentare la chiesa settimanalmente
può ridurre il rischio di mortalità tra i messicani
più anziani (34) e infatti i risultati hanno dimostrato che chi frequentava la chiesa una volta la
settimana mostrava una riduzione del 32% nel
rischio di mortalità, rispetto a chi non partecipava mai a funzioni religiose. I benefici della frequenza settimanale persistevano nel tempo.
Un buon invecchiamento è influenzato in maniera positiva dalla spiritualità, il cosiddetto fattore “dimenticato”, e gli specialisti in geriatria
vengono criticati quando non considerano la sua
crescente evidenza (35). Più del 40% dei pazienti
anziani ospedalizzati ha riferito spontaneamente
che la fede religiosa è stato il fattore più importante che li ha spinti a reagire alla malattia. Arti-
128
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
coli recenti hanno enfatizzato l’importanza in
medicina della religione e della spiritualità per il
raggiungimento di una salute migliore, incluse
una maggior longevità, abilità di coping persino
durante malattie terminali, oltre ad una diminuzione di ansia, depressione e tentativi di suicidio
(36,37). Una relazione positiva e consistente è
stata riscontrata tra soddisfazione di vita e religiosità (38).
Per quanto riguarda i pazienti che hanno subito un ictus non ci sono state ricerche sistematiche.
Eppure l’esperienza religiosa non è solo parte di
un multiculturalismo, ma anche coerente con la
direzione della cultura post-moderna. È sorprendente che solo pochi articoli sull’ictus si siano indirizzati alla questione dei meccanismi benefici inerenti la frequenza ai servizi religiosi (12). Ciononostante, già alcuni articoli hanno evidenziato il
ruolo delle credenze religiose e spirituali nelle
unità di riabilitazione. Secondo vari autori le credenze religiose e spirituali sono importanti per
molti pazienti in riabilitazione, visto che la soddisfazione e la qualità della vita ne possono essere
positivamente influenzate.
Quando un paziente giunge in un centro di
riabilitazione, si verifica un evento stressante, per
esempio un evento o una serie di eventi o condizioni che richiedono adattamento. Il complesso
degli stimoli, la percezione e la reazione alle richieste interne ed esterne, cimentano le risorse adattive dell’organismo. Nel modello di Pargament (29) le persone considerano gli eventi
stressors utilizzando valutazioni primarie (“L’evento è potenzialmente pericoloso?”) e secondarie (“Posso affrontarlo?”). Una reazione allo stress
può dipendere da vari mediatori come il supporto sociale, la risolutezza, lo stile di risoluzione dei
problemi.
Malgrado la religiosità sembri non essere correlata allo stress tra i caregivers di pazienti che
soffrono di demenza, nondimeno uno stressor,
chiamato sentimento di sovraccarico di ruolo,
risulta correlato a maggiori livelli di religiosità
autopercepita (2).
CONTRIBUTO PERSONALE
La depressione si manifesta in circa 1/3 dei
pazienti che hanno subito un ictus recente. E’
stata effettuata una ricerca per verificare l’ipotesi
che la fede possa attutire la depressione. Sono
stati reclutati 132 pazienti italiani consecutivi,
dopo il loro primo ictus, senza danni nella comprensione o nel giudizio (39).
Vennero valutate dipendenza assistenziale e
depressione. Sono state rilevate poi le credenze
spirituali e religiose mediante la Royal Free
Interview (RFI, 40). Lo strumento ha un’alta validità di criterio, validità predittiva, consistenza
interna e attendibilità test-retest. E’ stata usata una
traduzione in italiano validata (33). Alti punteggi
indicano forte credenza religiosa e spirituale.
L’Hospital Anxiety and Depression Scale
(HADS, 41) è una scala di autovalutazione che misura ansia e depressione. Punteggi più alti indicano maggior sofferenza emotivo-affettiva. Le sottoscale sono anche misure valide della gravità del
disturbo emozionale. 55 pazienti (41,6%) avevano
un punteggio totale superiore al cut-off di 10
(range 11-36). 55 pazienti (41,6%) avevano conseguito un punteggio superiore a 5 nella sottoscala
dell’ansia, e 57 pazienti (43,2%) un punteggio
superiore a 5 nella sottoscala della depressione.
Sono stati realizzati modelli logistici sui punteggi dicotomizzati della HADS (rispettivamente
sotto e sopra 10). Per ogni incremento di una
unità nei punteggi della RFI si è osservato un
decremento del 5% nei punteggi della HADS. La
relazione tra i punteggi delle scale HADS e RFI
non è stata influenzata dall’aggiustamento dei
fattori sociodemografici e del funzionamento cognitivo e dopo ulteriore correzione della dipendenza funzionale, della comorbilità, delle condizioni di vita e di quelle matrimoniali. In questo
modello l’altra variabile significativa è stata la
dipendenza funzionale. L’analisi delle sottoscale
della HADS, ansia e depressione, ha fornito risultati simili, con il 4% e 5% di decremento, rispettivamente, per ogni incremento di una unità nei
punteggi della RFI. Così, il punteggio della
HADS è significativamente associato in modo
negativo ai punteggi della RFI. I pazienti con minore sofferenza emotivo-affettiva producono un
punteggio più alto nella RFI. Sia la depressione
che l’ansia sono influenzate.
PREGHIERA
La preghiera è l’atto di tentare di comunicare
con una entità superiore, mediante una sequenza
di parole, pronunciate o pensate, di particolari
posture e movimenti. I fedeli possono chiedere
aiuto, assistenza, guida, perdono per sé o per altre
persone. La preghiera è anche il modo di esprimere pensieri ed emozioni in un legame con la divinità. Per i sopravvissuti ad ictus, la preghiera è una
parte fondamentale nel recupero (42). Alcuni dei
pazienti recitavano ogni giorno della settimana
preghiere specifiche, come il rosario o i salmi, per
sé e per gli altri. Altri pazienti riprendevano le loro
usuali modalità di preghiera, soprattutto durante
le funzioni religiose. La preghiera sembra essere la
più comune forma di coping religioso e spesso persino i non religiosi iniziano a pregare quando sono
nel pieno della sofferenza. Parecchi temi si focalizzano sul come la preghiera sia utilizzata per reagire all’ictus. Essi sono: connessione con Dio, considerazione di sé, degli altri e della natura, modi di
Giaquinto S., Giachetti I. – Il “fattore dimenticato” in Medicina: le influenze religiose e spirituali
pregare, centrarsi sul presente, tornare alla prima
vita familiare, collegare presente e passato, trovare la forza, essere sollevati e confortati.
Il Rosario e il Mantra sono stati sottoposti ad
indagini scientifiche (43). Il termine “Rosario”
significa “corona di rose”: per ogni Ave Maria
recitata una bellissima rosa va a completare la
serie, che diventa simile a una corona per la
Vergine. Il Rosario è composto da decine di Ave
Maria, ognuna delle quali è recitata in onore di un
mistero; in genere, vengono recitate 5 decine per
volta, mentre si medita sui Misteri. Ogni Ave
Maria è divisa in due parti, una delle quali è recitata da un conduttore o da una conduttrice e l’altra parte è recitata dall’assemblea. Per ogni decina le parti si invertono. Ogni decina è preceduta
dal Pater Noster e termina con un Gloria. È consuetudine recitare facendo scivolare tra le dita i
grani del rosario uno ad uno, per ogni Ave Maria
della decina.
Durante la recitazione del Rosario e del
Mantra gli effetti sono simili, poiché la respirazione rallenta a 6 atti per minuto ed ha un effetto
marcato sulla sincronizzazione e sulla accresciuta
variabilità in tutti i ritmi cardiovascolari. Questo
si è notato non solo nei segnali respiratori ma
anche negli intervalli del ritmo respiratorio, nella
pressione sanguigna sistolica e diastolica e nel
segnale di flusso ematico transcranico. Il parlare
liberamente riduceva il tasso respiratorio in
modo più irregolare. I picchi dello spettro di
potenza respiratorio e di tutti i segnali cardiovascolari erano sincronizzati durante le sequenze
dell’Ave Maria e del Mantra e si verificavano alla
stessa frequenza. Il picco dello spettro respiratorio era più stretto durante il Rosario, come conseguenza di una respiro più regolare, se paragonato a quando si parlava liberamente e si respirava
normalmente. La intensificata oscillazione cardiovascolare sincronizzava l’attività simpatica e
vagale in uscita, inducendo fluttuazioni ritmiche
nel flusso ematico cerebrale.
Il Rosario e il Mantra sembrano assomigliarsi
dal punto di vista fisiologico, poiché sono storicamente collegati. Il Rosario fu introdotto in Europa
dai Crociati, che lo conobbero dagli Arabi, i quali
a loro volta lo appresero dai monaci tibetani e dai
maestri di Yoga in India.
129
MEDITAZIONE TRASCENDENTALE
La meditazione trascendentale (MT) richiede
la ripetizione individuale di un Mantra. Si raggiunge uno stato alterato di coscienza, differente
dalla veglia, dal sonno e dal sogno, come fosse
uno stato di vigilanza riposante. L’individuo sperimenta la coscienza pura e diviene sempre più
quieto, senza pensieri.
La MT è stata presa in esame per la prima
volta in 73 residenti in casa di riposo (44). Metà di
loro aveva effettuato una meditazione giornaliera, a differenza dell’altra metà. Dopo 3 anni nessuno del gruppo che partecipava alla meditazione era morto, a differenza del 25% dell’altro gruppo. Da allora la MT è stata utilizzata nel controllo
dell’ipertensione nei soggetti a rischio, come negli
afro-americani che hanno tassi di mortalità per
patologie cardiovascolari, molto più alti di quelli
dei bianchi.
Lo stress psicosociale influenza lo sviluppo e il
progresso dell’aterosclerosi. La riduzione dello
stress mediante il programma di MT, confrontato
con la sola educazione alla salute nei soggetti
ipertesi, era associata a ridotta aterosclerosi carotidea (45). La ricerca, clinica e randomizzata controllata, ha valutato gli effetti del programma MT
sulla carotide negli afro-americani ipertesi, sia
uomini che donne, con più di 20 anni, durante un
intervallo da 6 a 9 mesi. Degli iniziali 138 pazienti volontari reclutati, il 43% ha portato a termine il
pre-test e il post-test con i dati sullo spessore delle
pareti della carotide. Gli interventi assegnati
erano programma MT o gruppo di educazione
sanitaria. Il gruppo MT ha presentato un decremento significativo di 0,098 mm nello spessore
delle pareti della carotide, paragonato ad un
aumento di 0.054 mm nel gruppo di controllo.
La spiritualità è un campo nuovo per la medicina e permette al team di comprendere l’esperienza della patologia cardiaca al suo esordio,
secondo la prospettiva del malato. I medici dovrebbero porre attenzione alla percezione del
paziente circa le sue strategie di coping e la loro
influenza sul recupero, perché il coping può essere sfruttato positivamente.
130
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
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Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto 131
RUOLO DELLA RESISTINA NEI PAZIENTI ANZIANI CON
MALATTIA CRONICA DEL FEGATO
Mancinella A., Mancinella M.
Direttore incaricato U.O.C. di Geriatria, Ospedale S.Giovanni Addolorata, Roma
Summary: Having briefly described the interactions between obesity, insuline-resistance, diabetes type-2, and chronic liver
disease, the Authors underline the role of resistin in the development of liver steatosis, NAFLD, SH, and cirrhosis.
Key Words: Adipokines, Obesity, Insulin resistance, Diabetes type-2, Hepatic stellate cells, NAFLD, SH, Liver cirrhosis.
Iperinsulinemia, insulino-resistenza ed elevati
livelli plasmatici di citochine proinfiammatorie
(incluso il TNF-α) sono presenti nella quasi totalità dei pazienti con cirrosi epatica (1). L’obesità e
soprattutto l’accumulo di grasso viscerale riduce
la funzione degli adipociti e la secrezione delle
adipocitochine e, di conseguenza, l’alterata liberazione di queste sostanze contribuisce all’instaurazione di ipertensione arteriosa, ridotta fibrinolisi
ed insulino-resistenza (2). L’obesità e l’insulinoresistenza accelerano la progressione della fibrosi
nelle malattie croniche del fegato (CLD, Chronic
liver diseases) (3). Il tessuto adiposo viscerale è
quindi un fattore causale per la steatosi epatica e
la NASH (Non-alcoholic steatohepatitis). Il tessuto adiposo (grasso bianco) è un attivo organo
endocrino che secerne svariate sostanze proteiche
metabolicamente importanti come le adipocitochine e fattori infiammatori come il TNF- e interleuchina-6 ed è pertanto coinvolto attivamente in
numerosi processi fisiologici e fisiopatologici.
Negli obesi questo grasso bianco, ricco di vasi e
fibroblasti, è caratterizzato da un’aumentata produzione e secrezione di molecole infiammatorie
che posseggono effetti sulla fisiologia di questo
tessuto ed azioni sistemiche su altri organi. È pure
infiltrato da macrofagi che possono rappresentare
una cospicua sorgente di citochine pro-infiammatorie localmente prodotte. Infatti, anche cellule
diverse dagli adipociti producono nel tessuto adiposo cospicue quantità di interleuchine infiammatorie ed altre citochine. Gli adipociti, invece,
secernono, oltre alla leptina (produttori pressoché
esclusivi) ed all’adiponectina, anche numerosi
altri fattori coinvolti nel processo infiammatorio
come PAI-1 (Plasminogen-activator inhibitor-1),
MCP-1 (Monocyte chemoattractant protein-1), IL8, IL-6, IL-10, IL-β, VEGT (Vascular endothelial
growth factor), TGF-β1, TN-α, catepsina S, HGF
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. A. Mancinella
Via Tito Omboni, 49 – 00147 Roma
Tel. e Fax: 0605137284
(Hepatocyte growth factor) che rappresentano,
però, meno del 12% dei fattori prodotti dalle cellule non-adipocitiche (4). Molti fattori di derivazione non solo adipocitica ma anche macrofagica,
quindi, producono citochine proinfiammatorie.
La perdita di peso, infatti, è associata con la riduzione dell’infiltrazione macrofagica del grasso
bianco ma non della secrezione di citochine adipocitiche. Ne consegue che molti fattori di derivazione macrofagica contribuiscono probabilmente
alla patogenesi dell’insulino-resistenza (5). L’obesità deve essere considerata una condizione infiammatoria subclinica che promuove la produzione di fattori pro-infiammatori (citochine,
macrofagi) coinvolti nella patogenesi dell’insulino-resistenza; inoltre, è un fattore di rischio per lo
sviluppo di NAFLD.
In un recente studio su pazienti anziani affetti
da NAFLD, si è visto che gli obesi (con BMI>30)
erano 7 anni più giovani dei loro coetanei magri e
che nei pazienti obesi il rapporto AST/ALT<1 era
più predittivo di NAFLD rispetto ai loro coetanei
non obesi. Infine, negli stessi pazienti anziani
affetti da NAFLD i livelli della glicemia a digiuno
erano significativamente più bassi negli obesi
rispetto a quelli dei magri. Quest’ultimo dato fa
pensare che l’insulino-resistenza giochi un ruolochiave nella fisiopatologia della NAFLD nei soggetti magri (6).
L’obesità (e l’insulino-resistenza ) è associata
con lo sviluppo di NASH (Nonalcoholic steatohepatitis) ed è stata individuata come fattore indipendente di progressione della fibrosi. Questa, che
coinvolge differenti tipi di cellule, considerata
come una risposta cicatriziale che accade in diverse condizioni di insulto cronico del fegato, è caratterizzata da flogosi, attivazione di cellule che producono differenti componenti della matrice extracellulare (come le cellule stellate epatiche), deposizione e rimodellamento della medesima e rigenerazione di cellule epiteliali o tentativo di guarigione. La resistina e l’adiponectina sono importanti
modulatori dell’insulino-resistenza, fattore centrale (spesso associato all’obesità) per la patogenesi
132
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
della NAFLD (7). La resistina, un ormone polipeptidico principalmente derivato dal tessuto adiposo
(adipochina) che ha un ruolo nell’inibizione dell’adipogenesi e nella flogosi, riduce la sensibilità
all’insulina negli adipociti, nel muscolo scheletrico
e negli epatociti ed i suoi elevati livelli circolanti
sono stati associati all’obesità ed all’insulino-resistenza (8). Essa appare essere un importante anello di congiunzione tra obesità, insulino-resistenza
(9), diabete tipo 2 e NAFLD (10).
I livelli plasmatici della resistina sono associati con i disturbi del metabolismo glucidico e lipidico. Anche nel diabete di tipo 2 la resistina e la
adiponectina (altamente espressa nel tessuto adiposo bianco) giocano un ruolo fondamentale sulla genesi dell’insulino-resistenza.
I livelli plasmatici di adiponectina sono ridotti
nei soggetti con obesità legata all’insulino-resistenza, nel diabete di tipo 2 e nella malattia coronarica. Nei diabetici di tipo 2 questi tassi sono
ridotti significativamente rispetto ai non-diabetici
mentre la concentrazione di adiponectina nei diabetici obesi è significativamente ridotta rispetto a
quella dei diabetici non obesi. L’adiponectina plasmatica è correlata negativamente con il BMI, glicemia, trigliceridemia ed indice di insulino-resistenza e positivamente con l’indice di sensibilità
all’insulina. Infine, inibisce la neoglucogenesi epatica, promuove l’ossidazione degli acidi grassi
nel muscolo scheletrico, contrasta gli effetti proinfiammatori del TNF-α sulla parete vasale e probabilmente protegge dallo sviluppo del processo
aterosclerotico. Nei pazienti obesi con insulinoresistenza l’adiponectina è ridotta non solo nel
plasma ma anche nel tessuto adiposo e ciò li può
predisporre all’instaurarsi di una progressiva
forma di NAFLD o NASH. Pertanto, l’adiponectina possiede effetti antiflogistici, antidiabetici,
antiobesità e, opponendosi allo sviluppo della fibrosi, deve essere considerata come sostanza epatoprotettrice (11).
Elevati livelli di resistina antagonizzano l’azione dell’insulina epatica ed innalzano i valori
plasmatici del glucosio. La resistina plasmatica è
significativamente aumentata nei diabetici rispetto ai non-diabetici e, maggiormente, nei diabetici
obesi rispetto ai non-obesi. Questi livelli plasmatici sono direttamente correlati con il BMI, la glicemia, la trigliceridemia e l’indice di insulinoresistenza e, negativamente con l’indice di sensibilità all’insulina. Tutto ciò suggerisce che nei
pazienti diabetici di tipo 2 la relazione tra questi
due ormoni e la sensibilità all’insulina gioca un
ruolo decisivo nello sviluppo dell’insulino-resistenza (12). Questa adipochina possiede potenti
proprietà pro-infiammatorie agendo su IL-6 e
TNF-α che però vengono soppresse dall’intervento dell’NFK-B-inibitore che si qualifica come il
più importante fattore di inibizione della flogosi
resistino-indotta. I livelli plasmatici della resistina, significativamente elevati nei cirrotici, rispetto ai controlli, sono anche correlati con quelli plasmatici del TNF-α mentre non si è osservata alcuna correlazione tra essi e l’emodinamica epatica,
la massa grassa corporea, il sistemico metabolismo energetico ed il grado di insulino-resistenza
(13). Questi tassi plasmatici aumentano progressivamente con i vari stadi clinici della malattia definiti dalle scale di Child-Pugh o Meld (Model for
end-stage liver disease) (14). In questi pazienti
cirrotici l’iperinsulinemia e gli elevati tassi plasmatici di TNF-α aumentano la resistina del tessuto adiposo. I livelli plasmatici di resistina sono
associati negativamente con la produzione epatica di glucosio e positivamente con gli acidi grassi
liberi circolanti così come con la produzione epatica di corpi chetonici. Dopo il trapianto del fegato i livelli plasmatici di resistina rimangono invariati mentre l’insulino-resistenza è significamene
aumentata. Anche nei pazienti con NAFLD si
riscontra una positiva correlazione tra i livelli di
resistina e l’entità istologica dell’infiammazione.
Pertanto, gli elevati livelli plasmatici di resistina
sono in relazione alla gravità istologica della
malattia ma non con l’insulino-resistenza ed il
BMI di questo tipo di pazienti (15). Infine, la
NASH è caratterizzata da elevati livelli plasmatici di resistina se comparata alla semplice steatosi
epatica. Tali elevati livelli di resistina sono fortemente predittivi dello stadio e del grado della
NASH e possono essere clinicamente utilizzati
per differenziare pazienti con NASH da quelli con
una semplice steatosi. Infine, di recente si è visto
che la NAFLD è associata ad elevati livelli plasmatici di PCR-ad alta sensibilità, fattore indipendente che può essere spiegato con la microinfiammazione presente nel fegato di questi pazienti
(16).
Come abbiamo detto, la resistina è direttamente correlata con la secrezione insulinica ed inversamente con la sensibilità all’insulina nei soggetti
con malattie croniche del fegato e contribuisce,
quindi, al determinarsi di insulino-resistenza. I
livelli plasmatici di resistina, poi, sono inversamente correlati con i marcatori della capacità biosintetica del fegato e direttamente correlati, probabilmente agendo a livello delle cellule stellate
epatiche, con i marcatori dell’infiammazione
come il TNF-α e PCR e con le complicanze cliniche (ad es. ipertensione portale). Colture di cellule stellate epatiche che, una volta attivate, giocano
un ruolo chiave nella patogenesi della flogosi
epatica e della fibrosi attraverso la produzione di
metalloproteinasi della matrice extracellulare,
esposte alla resistina provocano, attraverso l’attivazione di NF-kappa B (Nuclear factor-kappa B),
aumentata espressione di chemochine pro-infiammatorie come MCP-1 (Monocyte chemoat-
Mancinella A., Mancinella M. - Ruolo della resistina nei pazienti anziani con malattia cronica del fegato...
tractant protein-1) ed IL-8 (Interleuchina-8).
Anche le catecolamine partecipano alla patogenesi dell’ipertensione portale e della fibrosi epatica
intervenendo sulle cellule stellate epatiche attraverso gli α-1 adrenocettori, particolarmente aumentati negli stadi avanzati della fibrosi. Le cellule stellate epatiche attivate sono ricche di questi
recettori e la norepinefrina provoca in esse multiple e rapide oscillazioni, fosforilazione delle catene leggere della miosina (MLC II) e contrazione
cellulare. Non interviene, invece, sulla proliferazione cellulare o sull’espressione dell’α-collagene
ma stimola la secrezione di chemochine e quella
di NF-kappa B (17).
TNF-α contribuisce alla perpetuazione della
fibrosi epatica stimolando la produzione di metalloproteinasi-9 della matrice da parte delle cellule stellate epatiche e l’immunosoppressore FK506
inibisce nelle stesse cellule l’espressione della
metalloproteinasi della matrice attraverso la via
metabolica NF-kappa B (18).
La resistina provoca un rapido aumento della
concentrazione intracellulare del calcio attraverso
il suo rilascio nei pools intracellulari inositolotrifosfato-sensitivi. Il chelante intracellulare del
calcio BAPTA-AM blocca l’attivazione del NFkappa B resistina-indotto e l’espressione di MCP1. Quindi, la resistina avrebbe il ruolo di una citochina intraepatica che determina azioni proinfiammatorie nelle cellule stellate epatiche attraverso la via metabolica Ca2+/NF-kappa B-dipendente e suggerisce un suo coinvolgimento nella
fisiopatologia della fibrosi. Gli adipociti che producono la resistina hanno una riduzione dell’espressione genica per vari fattori transizionali,
PPAR-γ e la proteina adipocitica che lega i grassi
(ALBP/a P2) che è l’unica dei gene-bersaglio per
il PPAR-γ durante la differenziazione adipocitica.
L’eccessiva espressione di resistina aumenta i
livelli delle tre citochine pro-infiammatorie, TNF-
133
α, IL-6 e MCP-1 che giocano ruoli importanti sull’insulino-resistenza e nel metabolismo glucidico
e lipidico durante l’adipogenesi. Inoltre, l’eccessiva espressione di resistina negli epatociti inibisce
l’attività del trasportatore di glucosio 4 (GLUT 4)
e le sue espressioni geniche, riducendo del 30%
l’abilità dell’insulina a legarsi con il glucosio. Per
completezza ricordiamo che di recente è stato
investigato il ruolo della ridotta funzionalità renale sulla resistina, apparentemente capace di inibire l’azione dell’insulina epatica. Inoltre, sono
stati studiati i possibili legami tra infiammazione
e insulino-resistenza presente nei pazienti con
malattie croniche del rene (19). La resistina è associata con l’obesità e l’insulino-resistenza e si ipotizza che nei pazienti con insufficienza renale i
livelli plasmatici di resistina siano in relazione
con la composizione corporea e con l’insulino-resistenza. Diviene, quindi, sempre più chiara l’importanza del ruolo del rene nell’eliminazione
della resistina, specialmente nei pazienti con insufficienza renale allo stadio pre-dialitico. Nei
pazienti non diabetici con insufficienza renale avanzata trattata con emodialisi si riscontrano significativi elevati livelli di resistina.
Le procedure emodialitiche non riguardano la
resistina. Tuttavia, gli aumentati livelli plasmatici
di resistina nei pazienti emodializzati non sono in
relazione alla ridotta sensibilità all’insulina riscontrabile nell’uremia. La significativa relazione
esistente tra insulino-resistenza ed i livelli plasmatici di resistina veniva meno con il miglioramento del filtrato glomerulare e pertanto la resistina non deve essere considerata come un verosimile mediatore dell’insulino-resistenza nei pazienti con insufficienza renale. Nelle malattie croniche del rene, quindi, gli elevati livelli di resistina che si riscontrano sono associati al decremento
del filtrato glomerulare ed ai biomarcatori della
flogosi ma non all’insulino-resistenza (20).
134
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
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Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto 135
IL RUOLO DELLA MEDICINA NUCLEARE NELLA
DIAGNOSI DELLE DEMENZE
Nuvoli S.
Ricercatore confermato, Università degli Studi di Sassari, Facoltà di Medicina e chirurgia, Cattedra di Medicina nucleare
Le anomalie morfologiche e funzionali che caratterizzano le malattie neuro-degenerative del
Sistema Nervoso Centrale, un tempo esplorabili
solo al tavolo autoptico o mediante indagini ex
vivo biochimiche, possono essere attualmente, in
buona parte, indagate nel soggetto vivente con le
metodiche di imaging. Sulla base di questa e di
analoghe considerazioni, possiamo pertanto affermare che la diagnostica per immagini costituisce
il ponte tra la clinica e l’anatomia patologica da un
lato e la biochimica e la fisiopatologia dall’altro.
Il razionale nell’utilizzo del neuroimaging è
insito quindi nella sua capacità di valutare in vivo
le alterazioni morfologiche, funzionali ed ultrastrutturali tipiche di una determinata patologia,
costituendo in tal modo un valido e sicuro supporto al clinico, sia nella diagnosi che nel follow up.
Nell’ambito del neuroimaging è comunque necessario differenziare l’aspetto morfologico e
strutturale fornito dalle valutazioni radiologiche
ad alta risoluzione quali TC, RMN, RMN Funzionale e la Spettroscopia con RM, da quello funzionale e biochimico fornito dalla Medicina Nucleare
con la PET (Tomografia ad emissione di positroni)
e la SPECT (Tomografia ad emissione di fotone
singolo).
Le maggiori sensibilità e precocità che caratterizzano la Medicina Nucleare rispetto alle tecniche radiologiche ad alta risoluzione sono in buona
parte legate all’introduzione, nel campo applicativo clinico, di un gran numero di innovazioni fornite negli ultimi anni dall’industria, sia in ambito
farmacologico che tecnologico.
Oltre ai radiofarmaci già esistenti che consentivano di valutare in vivo lo specifico stato funzionale della cellula nervosa attraverso lo studio del
flusso regionale cerebrale (SPECT con 99mTcHMPAO) e del metabolismo cerebrale regionale
(PET con 18FDG) sono stati infatti introdotti dei
nuovi radiofarmaci per l’imaging biomolecolare
che hanno permesso di visualizzare specifiche
caratteristiche cellulari quali ad esempio attività
enzimatiche, di sintesi e/o recettoriali.
I radiofarmaci di imaging biomolecolare più
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott.ssa Susanna Nuvoli,
Università degli Studi di Sassari, Facoltà di Medicina e chirurgia
Viale San Pietro, 8 – 07100 Sassari
Tel.: 0792 28242/8496 Fax: 0792 28208
e-mail: [email protected]
utilizzati in campo clinico sono:
- 18F-DOPA che consente di studiare l’attività della
DOPA decarbossilasi con metodica PET (Positron Emission Tomography);
- 123IOFLUPANO (DaTSCAN) il cui target è rappresentato dal trasportatore della dopamina
nelle terminazioni presinaptiche delle fibre nigrostriatali;
- 123I-Iodobenzamide (IBZM) che evidenzia i recettori postsinaptici striatali D2.
Per entrambi questi ultimi due radiofarmaci si
utilizza la SPECT (Single Photon Emission
Computed Tomography), metodica tomografica
ampiamente diffusa nei servizi di Medicina
Nucleare.
I tre radiofarmaci succitati si localizzano nelle
sinapsi dopaminergiche striatali in concentrazioni
dipendenti dall’espressione di questi recettori e
dall’integrità delle fibre, consentendo di ottenere
immagini della loro distribuzione corticale e sottocorticale e fornendo informazioni sulla sede del
sistema colpito, sulla severità della compromissione e sull’estensione del danno biochimico
indotto dalla patologia.
I radiofarmaci per l’imaging funzionale, ormai
consolidati nel loro utilizzo routinario, sono:
- 18Fluoro-Deossiglucosio (18FDG) consente di
valutare il metabolismo cerebrale con metodica
PET;
- 99mTc-HMPAO (CERETEC) il cui target, valutabile con la metodica SPECT, è rappresentato dal
flusso cerebrale regionale.
Questi due radiofarmaci presentano una localizzazione elettiva in corrispondenza degli astrociti giustapposti alle sinapsi in concentrazioni
dipendenti sia dall’attività sinaptica che dalle
richieste energetiche; si ottengono pertanto immagini corticali e sottocorticali rappresentative
del metabolismo cerebrale regionale del 18FDG e
del flusso cerebrale regionale del 99mTc-CERETEC.
Le informazioni che si ottengono sono quindi
da correlare alle variazioni patologiche della
struttura biomolecolare delle cellule nervose e
della fisiopatologia globale del sistema.
Fondamentale per lo sviluppo della medicina
nucleare è stata poi l’innovazione tecnologica sia
della componente hardware con la produzione di
apparecchiature (tomografi e gamma camere dedicate) sempre più sofisticate e con ottima risoluzione spaziale (2.5-5.5 mm) che dei software di
136
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
processing dell’immagine che consentono analisi
più accurate e precise anche di tipo semiquantitativo, attraverso metodiche standardizzate a livello
internazionale quali lo statistical parametric mapping o SPM (1,2,3) o il più recente NeuroGAM (4).
L’analisi semiquantitativa delle immagini può
essere effettuata anche sulle valutazioni biomolecolari del DaTSCAN, grazie alle quali è possibile
ottenere dati quantitativi specifici relativi al
potenziale di legame e alla valutazione dei rapporti di attività in corrispondenza dei singoli nuclei della base.
Il razionale su cui si basa l’utilizzo dell’imaging funzionale rispetto a quello anatomo-strutturale ad alta risoluzione è legato alla considerazione che le due metodiche PET e SPECT rispetto
alla RMN rilevano il danno funzionale in una fase
precoce, prima della morte neuronale, sia nella
sede iniziale di malattia che a distanza nelle efferenze sinaptiche, consentendo inoltre il successivo monitoraggio in corso di progressione.
È noto inoltre che il 95% dell’energia viene
consumata quando i neuroni sono a riposo, svolgendo quel ruolo definito di “plasticità sinaptica”; tale aspetto è rilevabile esclusivamente attraverso l’FDG-PET e la perfusione-SPECT, espressione quindi di un metabolismo neuronale basale;
per contro la Risonanza Magnetica Funzionale è
in grado di valutare solamente i picchi di attivazione metabolica, ovvero il 5% del metabolismo
residuo consumato durante le attivazioni a seguito di task specifici.
Infine, rispetto al neuroimaging strutturale, gli
studi medico-nucleari sono in grado di valutare
l’intensità di captazione del radiofarmaco, espressione di un parametro fisiologico correlabile alla
funzione.
NEUROIMAGING FUNZIONALE NELLE
DEMENZE
Il ruolo dell’imaging funzionale, con la PET
FDG e con la SPECT 99mTc-HMPAO, nella diagnosi delle demenze primarie appare attualmente
ben definito da un notevole numero di pubblicazioni. Fondamentale è lo studio di Bradley pubblicato nel 2002 in cui si conferma sia la maggiore
precocità della PET e della SPECT nella diagnosi
di demenza rispetto alla Risonanza Magnetica
Nucleare che soprattutto la loro utilità nella diagnosi differenziale tra le tre più comuni forme
ovvero la demenza di Alzheimer (AD), quella
fronto-temporale (FTD) e quella a corpi di Lewy
(LBD) (5).
I tipici pattern scintigrafici che consentono
una maggiore accuratezza diagnostica, descritti
ormai nei principali libri di testo di Medicina
Nucleare, sono il ridotto metabolismo del 18FDG o
l’ipoperfusione del 99mTc-HMPAO in sede tempo18
ro-parietale posteriore per la demenza di Alzheimer, fronto-temporale per quella fronto-temporale e temporo-occipitale per quella a corpi di Lewy.
L’accuratezza diagnostica sia della PET (6) che
dalla SPECT (7) è stata confermata anche da studi
multicentrici di recente pubblicazione nei quali,
tra l’altro, sono stati utilizzati software di postprocessing che consentono di valutare il volume
cerebrale in maniera tridimensionale e di determinare statisticamente le variazioni rispetto ad
una popolazione di soggetti normali di controllo.
In particolare nel recente studio pubblicato da
Mosconi et al. (6), i pattern PET standardizzati
hanno correttamente definito e classificato il 95%
delle AD, il 92% delle DLB ed il 94% delle FTD.
Le metodiche PET e SPECT hanno dimostrato
la loro utilità anche nel monitoraggio delle demenze in corso di terapia. Sono infatti numerosi
gli studi che hanno dimostrato una stretta correlazione tra perfusione cerebrale e risposta alla
terapia con gli inibitori della colinesterasi (8,9,10)
consentendo in tal modo di classificare i pazienti
in responder e non responder.
NEUROIMAGING FUNZIONALE E
BIOMOLECOLARE NEI PARKINSONISMI
Il termine Parkinsonismo definisce un’ampia
gamma di patologie neurodegenerative caratterizzate spesso da disturbi complessi ed associati
della sfera cognitiva e del movimento; esempi
classici sono la malattia di Parkinson con
Demenza, la degenerazione corticobasale, l’atrofia multi sistemica, la paralisi sovranucleare progressiva, etc.
Porre una corretta diagnosi differenziale tra le
varie forme, così come definire la presenza di
demenza nei pazienti affetti da malattia di
Parkinson, è essenziale ai fini della corretta gestione clinica di questi pazienti.
Il ruolo del neuroimaging biomolecolare nello
studio della sinapsi dopaminergica sul versante
pre (18F-DOPA e 123I-DaTSCAN) e post sinaptico
(123I-IBZM) è ormai ben consolidato. Infatti, grazie
all’uso separato o combinato di queste tecniche
medico nucleari è possibile definire l’esatto livello di compromissione recettoriale ed etichettare
correttamente l’origine pre o post-sinaptica della
compromissione motoria.
D’altro canto, l’associazione dell’imaging biomolecolare presinaptico con metodiche funzionali di metabolismo PET o di perfusione SPECT, fornisce al clinico un valido supporto nella diagnostica differenziale dei disturbi cognitivi complessi
che spesso si associano a queste forme neurodegenerative (11,12).
La stretta relazione esistente tra le aree con
ridotto metabolismo o ridotta perfusione e la clinica possono indirizzare verso una gestione “per-
Nuvoli S. - Il ruolo della medicina nucleare nella diagnosi delle demenze 137
sonalizzata” e mirata dei singoli casi nei quali i
segni e sintomi si possono manifestare in maniera ed intensità differenti.
NEUROIMAGING FUNZIONALE
BIOMOLECOLARE NELLA DEMENZA A
CORPI DI LEWY (LBD)
Ai fini di un corretto approccio terapeutico è
fondamentale differenziare la LBD dalle altre
forme di demenza, soprattutto dalla malattia di
Alzheimer: studi recenti infatti hanno dimostrato
che circa il 50% dei pazienti affetti da LBD presenta reazioni avverse anche gravi alla terapia neurolettica a fronte di una migliore risposta al trattamento con gli inibitori della colinesterasi.
Nonostante la diagnosi differenziale costituisca il cardine su cui basare un’adeguata terapia,
nel 15% dei casi la diagnosi corretta viene fatta
solamente in sede autoptica.
Già in passato erano state utilizzate, con buoni
risultati, la scintigrafia miocardica con 123I-MIBEG
e la SPECT cerebrale di perfusione con 99mTcHMPAO per individuare pattern scintigrafici
caratteristici in grado di supportare la diagnosi
clinica di LBD.
Ancora oggi il loro ruolo nella diagnosi clinica
è fondamentale, nonostante alcuni Autori non
concordino sulla specificità dell’ipoperfusione
osservata alla SPECT con 99mTc-HMPAO a livello
della corteccia temporo-occipitale (13).
Lo studio prospettico condotto da Walker et al
nel 2002 è stato invece determinante nello stabilire la maggiore accuratezza diagnostica della
SPECT recettoriale con 123Ioflupano (DaTSCAN)
rispetto ai soli criteri clinici di diagnosi (14).
Questo studio e quelli successivi di conferma
hanno portato nel 2005 ad una revisione dei criterd
ri diagnostici della LBD da parte della 3
Consensus Conference of LBD Consortium (15); è
stata così introdotta nei protocolli diagnostici,
come criterio suggestivo di malattia a corpi di
Lewy, la ridotta captazione del DaTSCAN in corrispondenza di nuclei della base e sono stati mantenuti come criteri di supporto sia il ridotto uptake del 123I-MIBEG a livello cardiaco che l’ipoperfusione in sede occipitale osservata con la SPECT
di perfusione.
Il ruolo fondamentale del neuroimaging biomolecolare con il DaTSCAN nella diagnosi della
demenza a corpi di Lewy è stato confermato
anche da un ampio studio multicentrico (16) nel
quale la SPECT per la valutazione del trasportatore presinaptico della dopamina ha mostrato elevati livelli di accuratezza diagnostica (85.7%).
Ulteriori studi, pubblicati di recente, hanno
confermato l’utilità della SPECT recettoriale con
123
I-DaTSCAN, valutata sia con metodo qualitativo che semiquantitativo, nella diagnosi differen-
ziale tra Demenza a corpi di Lewy e malattia di
Alzheimer.
La SPECT con DaTSCAN ha dimostrato una
maggiore specificità rispetto alla sola valutazione
clinica; infatti, la riduzione del trasportatore presinaptico della dopamina sia nei casi di probabile
LBD che in quelli classificati come possibili, supportando la diagnosi di LBD, ha consentito la programmazione di idonee terapie farmacologiche.
Per contro, la normale distribuzione del tracciante recettoriale ha permesso di indirizzare i pazienti con maggiore sicurezza verso i protocolli
terapeutici della demenza di Alzheimer (17).
NEUROIMAGING FUNZIONALE NEL MILD
COGNITIVE IMPAIRMENT (MCI)
L’interesse dei clinici per questo tipo di disturbo cognitivo è notevole in quanto, seppure in percentuali variabili a seconda delle casistiche, la
conversione della MCI in demenza di Alzheimer
è un dato di notevole rilevanza clinica.
Per quanto il ruolo del neuroimaging nella
diagnosi della MCI sia ancora in parte da definire, esistono solide evidenze, da parte di diversi
Autori, sulla sua utilità clinica.
Già nel 2003 Wolf et al suggerivano che gli
studi di metabolismo con 18FDG e di flusso con
99m
Tc-HMPAO potessero rappresentare un utile
strumento nella diagnosi precoce di malattia di
Alzheimer, correlando il ridotto metabolismo o
flusso in corrispondenza delle aree associative
temporo-parietali e della regione ippocampale al
rischio di sviluppare AD (18).
Lavori successivi, pubblicati nel corso degli
anni, hanno confermato e sottolineato come il riscontro di un ridotto metabolismo del glucosio e
del flusso cerebrale regionale in corrispondenza
della corteccia associativa temporo-parietale e del
giro posteriore del cingolo e dell’ippocampo correlino ad un alto rischio di progressione verso la
AD (19,20,21,22,23).
Nel 2007, infine, Hiroshi Matsuda ha definito
in modo chiaro il ruolo primario del neuroimaging funzionale nel predire la rapida conversione
in AD dei casi di MCI con ipometabolismo/ipoperfusione nelle aree associative temporo-parietali, entorinali ed ippocampali (24).
CONCLUSIONI
Da quanto esposto finora si evince che la Medicina Nucleare rappresenti un utile strumento per
il clinico in quanto consente di valutare in vivo la
presenza di alterazioni neurologiche funzionali,
metaboliche e biochimiche con elevata accuratezza
diagnostica ed in una fase precoce di malattia.
Di questo è prova il recente suggerimento (da
parte di diversi studiosi ed in particolare da Dubois
138
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
et al) di una revisione dei criteri diagnostici
NINCDS-ADRDA della demenza di Alzheimer (25).
Tale necessità è scaturita dalla considerazione
che i criteri clinici attualmente utilizzati per la
diagnosi di demenza presentano un’accuratezza
diagnostica ed una specificità non sempre ottimale a fronte di un previsto progressivo aumento sia
della incidenza che della prevalenza di queste
patologie.
La conseguente ricaduta economica con il previsto aumento dei costi globali di gestione è un
altro aspetto fondamentale che giustifica il notevole interesse dei ricercatori nei confronti di un
possibile “biomarker” di demenza che sia precoce, sensibile e specifico. Tale biomarker deve essere in grado sia di identificare la patologia precocemente prima della manifestazione clinica dei sintomi, allo scopo di instaurare adeguate terapie
neuroprotettive (26), che di differenziare tra loro
le diverse forme neurodegenerative per instaurare corretti protocolli terapeutici (27).
Il biomarker rappresenta quindi un importan-
te “parametro” la cui misura è indice di un determinato processo biologico, in condizioni di normalità e di patologia, e delle modificazioni a cui
esso va incontro dopo una terapia (28).
Il neuroimaging medico nucleare, sia funzionale che biomolecolare, è in grado, attraverso la
somministrazione dei radiofarmaci in concentrazioni pico/nano-molari, di rilevare e riprodurre
in forma di immagini le variazioni dei segnali e
processi metabolici e biomolecolari senza interferire con il sistema biologico in esame. In tal modo
può quindi fornire un’informazione sensibile e
specifica già in una fase preclinica della malattia
con le conseguenti ricadute sulla diagnosi iniziale
e sulla successiva gestione (29).
Una stretta collaborazione tra clinici e medici
nucleari, nell’ambito di un approccio multi-disciplinare alle demenze, è sicuramente la condizione
più favorevole per arrivare a diagnosi meno incerte, a terapie più idonee e a follow up più accurati.
Nuvoli S. - Il ruolo della medicina nucleare nella diagnosi delle demenze 139
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Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto 141
UTILIZZO DI SENSORI ELETTRO-MECCANICI
WIRELESS NEL MONITORAGGIO DEL RISCHIO DI CADUTE,
DEI TEMPI DI SOCIALIZZAZIONE E DEL WANDERING IN
UNA POPOLAZIONE DI SOGGETTI ANZIANI RESIDENTI IN
RESIDENZA SANITARIA ASSISTITA (RSA)
Ardoino G., Ianes Aladar B., Ricci G.
RSA Santa Giulia - Gruppo SEGESTA
INTRODUZIONE
Nel 2006 in Italia vi erano 142 persone
ultra65enni ogni 100 giovani sotto i 15 anni, con
una vita media di quasi 84 anni per le donne e di
78,3 anni per gli uomini (1). Questa tendenza,
peraltro comune in tutto il mondo, coincide con
un aumento delle persone affette da fragilità fisica, disturbi della sfera cognitiva e depressione
che, insieme, rappresentano la componente principale del carico assistenziale globale nella patologia dell’età senile (2).
Le cadute nel soggetto anziano costituiscono
un’evenienza frequente, nonostante i tentativi,
anche fruttuosi, di ridurne il numero (3).
L’incidenza di cadute e di conseguenze severe
è alta soprattutto nei soggetti istituzionalizzati.
L’identificazione dei fattori di rischio di caduta è
stato l’obiettivo di numerosi studi effettuati in
soggetti residenti in comunità (4-9) ed in casa di
riposo (10-15).
La valutazione degli indicatori di rischio ha
identificato come fattori di rischio primari la storia
di cadute, i mezzi di contenzione fisica, la presenza
di confusione mentale, il “wandering” e la prescrizione di farmaci antidepressivi o ansiolitici (16),
anche se questo argomento non è ancora stato adeguatamente studiato e le conclusioni sono basate
soprattutto sull’opinione di esperti del settore.
Gli interventi effettuati per eliminare i succitati fattori di rischio nelle residenze sanitarie assistite hanno avuto peraltro successi solamente parziali (17-19).
Gli studi che hanno ottenuto successo sono
quelli che hanno utilizzato approcci multidimensionali che comprendevano esercizi per migliorare
forza ed equilibrio, uso di ausili atti ad aumentare
la stabilità dei segmenti anatomici (ginocchiere,
busti e corsetti) o a proteggere i distretti corporei,
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Giorgio Ricci
Via Saffi, 7 – 20058 Villasanta (MI)
Tel.: 039303621
Cell.: 3333731126
e-mail: [email protected]
adattamenti ambientali, educazione del personale,
uso appropriato di farmaci psicoattivi (17-20).
SCOPO DEL PROGETTO
Scopo del Lavoro è stato quello di verificare
l’efficacia del monitoraggio con sensori elettromeccanici wireless (Wireless Sensor Networks
s.r.l. – Monza) nella prevenzione delle cadute dei
soggetti a rischio e la possibilità di monitorare,
con l’uso di telemetria, il grado di socializzazione,
la permanenza negli spazi comuni, il grado di
“wandering” ed eventuali “tentativi di fuga”
degli ospiti.
MATERIALI E METODI
In questo studio, del tutto preliminare e quindi redatto sotto forma di “case series”, sono stati
monitorati 10 ospiti ad elevato rischio di caduta
sulla base dei punteggi della Scala di Tinetti per
andatura ed equilibrio per un periodo di una settimana.
Ogni ospite è stato sottoposto a valutazione
multidimensionale atta a valutare le caratteristiche di autonomia e delle performances nelle attività di vita quotidiana (Barthel Index, Physical
Performance Test a 7 items) (21, 22), stato cognitivo ed affettivo (Mini Mental State Examination,
Geriatric Depression Scale a 15 items, Neuropsychiatric Inventory) (23-25).
Per ogni ospite sono state registrate le caratteristiche socio-anagrafiche e cliniche (sesso, età e
scolarità, numero di malattie somatiche, tipo e
numero di farmaci assunti, gli eventi acuti intercorsi durante il periodo di monitoraggio) effettuate in via preliminare (Tab. 1).
Sono stati esclusi solo gli ospiti allettati o non
autonomi nella deambulazione.
Ogni ospite incluso nello studio è stato monitorato mediante un sistema WSN in grado di rilevare l’equilibrio (su tre assi) e la postura dell’ospite, i periodi di agitazione notturna, il tempo di
permanenza negli spazi comuni ed i suoi tentativi
di “fuga”.
142
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
Tab.1 - Caratteristiche dei soggetti presi in esame
Sesso
Età
Scolarità
N°patol
N°farmaci
N°eventi
Tinetti and.
Tinetti equil.
Tinetti totale
PPT
Barthel I.
MMSE
GDS15
NPI totale
Pz.1
m
84
3
5
4
0
6
8
14
17
76
23,5
2
12
Pz.2
f
81
5
9
4
0
6
6
12
18
72
26,4
4
6
Pz.3
m
79
5
8
5
0
7
10
17
16
78
22,7
1
0
Pz.4
m
88
3
7
9
1
6
6
12
14
57
21,2
5
16
Pz.5
f
78
5
7
5
0
5
5
10
10
54
20,7
2
4
Pz.6
f
81
3
5
7
0
6
10
16
20
74
21,5
8
5
Pz.7
f
80
8
5
5
0
7
7
14
13
62
23,7
3
4
Pz.8
f
75
5
6
6
0
6
8
14
14
73
24,7
0
0
Pz.9
f
80
5
4
8
0
5
7
12
18
73
22,4
2
6
Pz.10
m
83
5
2
4
0
7
6
13
16
76
20,4
5
8
Il dispositivo impiegato nelle rilevazioni è capace di segnalare i movimenti del paziente e la
sua posizione rispetto ad una planimetria, riferendosi ad una rete wireless WSN, in due modi:
a) rilevando l’accelerazione imposta al prototipo
indossato dall’ospite
b) rilevando il movimento dell’ospite all’interno
di un reparto, permettendo così di risalire allo
stato dinamico nel quale si trova: fermo, in movimento, sdraiato, alzato, seduto sulla sedia,
caduta accidentale.
La rilevazione dell’accelerazione viene misurata su due assi (asse x e asse y) mediante un accelerometro posto all’interno del prototipo. Il valore
di accelerazione è trasmesso in radiofrequenza
(RF) ed è visibile in tempo reale sul monitor di un
PC dedicato e posizionato al centro della telemetria di reparto. È possibile, infatti, grazie ad un
apposito SW WSN, visualizzare l’andamento nel
tempo dell’inclinazione angolare lungo i due assi
subita dal paziente. La brusca variazione dell’andamento della accelerazione nel tempo origina un
allarme di variazione della ortostasi.
Le rilevazioni dei movimenti del paziente vengono anch’esse inviate verso il PC remoto via radiofrequenza (wireless): un lampeggio del LED
indica il trasferimento dei dati.
Il dato viene memorizzato su scheda di memoria all’interno del prototipo.
1. anagrafica paziente (serial number del prototipo indossato, cognome e nome dell’ospite, età
e sesso
2. status batteria di alimentazione del prototipo:
allarme di stato --> ON quando < 25%
3. allarme caduta: allarme di stato --> ON nel caso
di variazione brusca nella misurazione x/y
degli accelerometri
4. allarme fuga: allarme di stato --> ON quando
fuori dalla copertura per 5 minuti consecutivi
5. accelerazione nel tempo: rappresentazione grafica il cui andamento è rilevabile sui due assi x
e y.
6. report giornaliero delle presenze presentato
sotto forma di istogramma all’interno delle
diverse aree di socializzazione (stanza/sala
comune/corridoio/bagno) e del tempo di regi-
Grafico 1 – Movimento.
Grafico 2 – Movimento.
Se in “copertura di segnale”, viene registrata
una coppia di dati (x; y) formata dai seguenti elementi
- Linea (grafici 1-3): Asse y - %; Asse x - azioni di
movimento con l’aiuto della rappresentazione
delle accelerazioni nel tempo.
- Istogramma a barre verticali (grafici 7-9): Asse y %; Asse x – azioni di moto (moto, riposo, supinoseduto).
Gli operatori sono perciò in grado di rilevare a
monitor (Fig. 1):
Ricci G. - Utilizzo di sensori elettro-meccanici wireless...
143
Grafico 3 – Movimento.
strazione in cui il paziente è stato al di fuori
della portata della rete wireless di riferimento.
Questi dati sono utili per la definizione delle
caratteristiche comportamentali dell’ospite e
facilitano la programmazione degli interventi
assistenziali (grafici 4-6).
I segnali sono trasmessi da un trasduttore
inserito in un involucro di poliuretano adattandolo alla natura anatomica della sede preposta, al
fine di non causare irritazioni cutanee dirette o da
compressione, applicato il più possibile vicino al
baricentro corporeo vincolandolo alla cintura o
inserendolo in una apposita sacca di tessuto. I
parametri trasdotti sono registrati con l’ausilio di
sensori micro-elettro-meccanici (MEMS) distribuiti rispettivamente nella stanza, nel nucleo e
nel bagno, in modo da permettere il monitoraggio
di movimento, posizione, oscillazioni corporee,
stato di agitazione/irrequietezza ed eventuale
caduta.
I segnali MEMS vengono trasdotti ad un desktop dotato di un software in grado di elaborare e
di trasformare i segnali stessi in dati numerici e
grafici consentendo di gestire le soglie di allarme
programmate. L’archiviazione dei dati permette
di stabilire il valore soglia di “fragilità” del soggetto a rischio, di elaborare statisticamente le
Le caratteristiche dei soggetti presi in esame
sono riassunte in Tab. 1.
Riassumendo si tratta di 10 soggetti (6 femmine) di età compresa fra 75 ed 88 anni (80.9 ± 3.54),
con scolarità di 4.7 ± 1.49 anni, un elevato numero di patologie croniche (media = 5.8 ± 2.04, range
2-9) ed un corrispondente elevato numero di farmaci assunti (5.7 ± 1.76).
I soggetti considerati sono stati monitorizzati
in funzione dei disturbi di marcia ed equilibrio,
scelta confermata dai bassi punteggi alla Scala di
Grafico 5 – Socializzazione.
Grafico 6 – Socializzazione.
Grafico 4 – Socializzazione.
caratteristiche della caduta, di localizzare l’ospite
in caso di fuga e di gestire con rapidità il soccorso e gli interventi del personale.
RISULTATI
144
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
Grafico 7 – Azioni di moto.
Tinetti: andatura = 6.1 ± 0.73; equilibrio = 7.3 ±
1.7; totale = 13.4 ± 2.06.
Tutti i soggetti mostravano un moderato
“impairment” nelle attività di vita quotidiana e
nelle performance fisiche valutate in base ai punteggi di Barthel Index modificato (69.5 ± 8.56) e di
Physical Performance Test a 7 item (15.6 ± 2.91),
performance cognitive normali o solo lievemente
compromesse (MMSE = 22.72 ± 1.89, range 20.4 –
26.4), sostanziale assenza di depressione (GDS =
3.2 ± 2.34; range 2 – 8) e scarsa rilevanza di disturbi psicocomportamentali (NPI totale = 6.1 ± 4.95;
range= 0 – 12), caratterizzati soprattutto da apatia
e da lievi disturbi del sonno.
Durante il periodo di monitoraggio è stata rilevata una sola caduta (soggetto n°4) peraltro senza
alcuna conseguenza.
Trattandosi di una “case series” forniremo
alcuni esempi della metodica a sottolineare l’utilità dello strumento tecnologico nella valutazione
delle performance motorie (andatura ed equilibrio) e nella prevenzione delle cadute nei soggetti a rischio.
REPORT “MOVIMENTO”
La rappresentazione delle accelerazioni nel
tempo, rende possibile riassumere le azioni di
movimento. La metodica prevede una valutazione dell’accelerazione gravitazionale sui due assi x
ed y, dove “x” rappresenta il tempo di registrazione ed “y” l’accelerazione gravitazionale sui due
assi “x/y”. La brusca variazione dell’andamento
dell’accelerazione nel tempo origina un allarme
di variazione della ortostasi.
Osservando i tre grafici portati ad esempio, è
evidente come il grafico 1 indichi che l’ospite ha
Grafico 9 – Azioni di moto.
Grafico 8 – Azioni di moto.
un buon controllo del movimento per tutto l’arco
della giornata campione; solo alle 16.00 circa è
evidente un segnale di allarme legato alla perdita
di equilibrio, prontamente compensata.
Il secondo ospite (Grafico 2) appare meno
sicuro, dimostrando varie perdite di equilibrio
durante l’arco della giornata ed una caduta nelle
prime ore del mattino (ore 4.45 circa).
Il terzo ospite (Grafico 3) mostra invece una
serie di episodi di grave perdita dell’equilibrio fra
le 17.00 e le 20.15 peraltro senza conseguenze.
REPORT “SOCIALIZZAZIONE”
Come descritto sopra, è possibile creare un
“Report di Socializzazione” per ciascun soggetto
monitorato in base alla creazione di un istogramma che rappresenta il tempo di permanenza di un
soggetto nelle diverse aree della struttura.
Di seguito sono rappresentati tre grafici (grafici 4-6) rappresentativi di tre ospiti sottoposti al
monitoraggio.
Per comprendere meglio il significato delle
linee che compaiono nel grafico (v. “legenda”),
dobbiamo pensare che ad ogni numero presente
sull’asse “y” corrisponde un sensore posizionato
in stanza o in bagno (0_7 e 9_15), il sensore “8”
registra le presenze nella sala comune del nucleo,
mentre il valore “16” corrisponde al tempo di registrazione in cui l’ospite è fuori portata della rete.
L’asse “x” indica la percentuale di tempo di
registrazione da parte di un determinato sensore.
È perciò semplice valutare le rappresentazioni
dei grafici 4-6.
L’ospite rappresentato nel grafico 4 ha passato
la maggior parte del suo tempo in camera da letto
(sensori 4 e 12) o in bagno (sensore 6), permanendo in sala comune per circa il 7% del tempo di
registrazione.
Nel grafico successivo (grafico 5), la registrazione indica che l’ospite è rimasto più del 90% del
tempo di registrazione all’interno della propria
camera e, per il restante tempo di registrazione si
è allontanato dalla rete wireless (fuori campo).
Una situazione intermedia quella del grafico 6:
in questo caso l’ospite ha equamente distribuito il
suo tempo fra la sala comune (40% circa del tempo
di registrazione) e la propria camera (60% circa).
Ricci G. - Utilizzo di sensori elettro-meccanici wireless...
145
Legenda
Asse y
0 - 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 9 - 1 0 - 11 - 1 2 - 1 3 - 1 4 - 1 5 :
stanza/bagno
8. sala comune 1
16: fuori portata
Asse x
0-100%
REPORT “AZIONI DI MOTO”
È possibile classificare le azioni di moto del
paziente durante la giornata mediante grafici ad
istogramma delle azioni di moto del paziente,
riassunte nei sotto-gruppi “moto”, “riposo” e “riposo supino/seduto”; queste sono rappresentate
in un grafico cartesiano dove l’asse “x” rappresenta le azioni di moto e sull’asse “y” vengono riportate le percentuali del tempo che l’ospite ha dedicato alle singole azioni di moto (grafici 7-9).
L’iconografia è precisa dal punto di vista
quantitativo e semplice da interpretare: nel periodo di tempo registrato il primo ospite è prevalentemente rimasto supino (grafico 7), il secondo ha
riposato restando fuori dal letto (grafico 8) ed il
terzo ha svolto attività motoria ed ha riposato
fuori dal letto per periodi di tempo equivalenti.
CONCLUSIONI
Il primo obiettivo di ogni ambiente terapeutico è assicurare che gli utenti non subiscano alcun
Fig. 1 – Attività di monitoraggio del sistema WSN.
danno. I soggetti anziani sono particolarmente
vulnerabili alle cadute in conseguenza dei deficit
cognitivi e funzionali; è perciò essenziale assicurare loro un monitoraggio continuo della stabilità
durante il movimento e dei luoghi nei quali l’anziano istituzionalizzato si trova nell’arco della
giornata al fine di adottare strategie efficaci nella
prevenzione delle cadute, del “vagabondaggio” e
dei danni ad essi correlati.
In questo senso l’utilizzo di sensori micro-elettro-meccanici (MEMS) ci sembra uno strumento
utile allo scopo, vista la semplicità di utilizzo, la
precisione nel riconoscere disturbi della marcia,
nel localizzare il soggetto all’interno della struttura e nel valutare le attività in atto momento per
momento.
146
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
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Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto 147
“NON DIMENTICARE… LA MEMORIA” 2008:
L’ESPERIENZA RIMINESE
Margiotta A., Pula B., Mariani E., Costantini S.
U.O. Geriatria, Ospedale “infermi”, Azienda USL di Rimini
INTRODUZIONE
Per il quarto anno consecutivo, la nostra U.O.,
in collaborazione con la sezione provinciale della
Croce Rossa Italiana, ha aderito alla Giornata
Nazionale per la prevenzione dei disturbi della
memoria, organizzata dalla SIGOs e IRCCS S.
Raffaele Pisana. In 30 piazze italiane i geriatri con
altri operatori della salute hanno fornito alla popolazione informazioni riguardanti il problema della
perdita della memoria, unitamente a consigli sugli
stili di vita e su come eseguire semplici esercizi per
prevenire il decadimento cognitivo. Sono stati distribuiti opuscoli informativi e, per chi lo desiderasse, è stata eseguita una valutazione di screening
sulle capacità cognitive utilizzando il Mini-Cog
(1). Tale strumento prevede il richiamo di tre parole e la valutazione del test dell’orologio. Viene considerato patologico nel caso in cui le tre parole non
vengano correttamente richiamate oppure ci sia il
richiamo di una o due parole con un test dell’orologio errato. Il suo utilizzo come strumento di
screening per la demenza risente minimamente
del grado di scolarità e possiede alta sensibilità
(97%) e specificità (95%) (2).
Scopo di questo articolo è di illustrare i risultati dell’esperienza riminese, svoltasi in una delle
piazze principali del centro storico.
Per l’analisi statistica sono stati utilizzati il ttest per le variabili continue indipendenti e il test
¯2 di Pearson per le variabili dicotomiche. È stata
considerata significativa una p < 0,05.
RISULTATI
sione arteriosa sistemica (42% dei casi); la frequenza delle altre patologie è illustrata nella
Figura 1. La Figura 2 illustra la comorbidità (numero di patologie croniche) del campione.
Sono stati indagati alcuni fattori di rischio per
il deterioramento cognitivo: il 20% dei soggetti
esaminati dichiarava una familiarità per demenza, il 13% il fumo di sigaretta, l’11% riferiva un
pregresso trauma cranico e il 9% dichiarava di
bere più di tre bicchieri di vino al giorno.
ATTIVITÀ FISICA
È stato chiesto un giudizio sulla propria attività
fisica giornaliera nell’arco di una settimana e sono
state indagate alcune abitudini: il tempo impiegato
giornalmente camminando, l’utilizzo della bicicletta o altri tipi di attività motoria come ad esempio la
cura dell’orto. Si è considerata un’attività fisica di
tipo intenso il camminare per almeno due ore al
giorno oppure l’utilizzo della bicicletta o lo svolgimento di altra attività fisica al di fuori delle mura
domestiche. Il camminare per meno di trenta
minuti al giorno e nessun tipo di attività al di fuori
delle mura domestiche configuravano un’attività
fisica di tipo scarso; nei restanti casi si è attribuita
un’attività fisica di tipo intermedio. Il 44% del campione è risultato svolgere un’attività fisica giornaliera di tipo intenso, mentre il 28% ha riferito un’attività fisica di tipo scarso. Analizzando il dato solo
per coloro con età maggiore di 65 anni (120 soggetti, pari al 65% del campione), l’attività fisica giornaliera è risultata intensa nel 43% dei casi, media nel
28% e scarsa nel restante 29% dei casi, dati in linea
con quelli del campione totale.
Sono state eseguite 183 valutazioni di screening e distribuiti più di 250 opuscoli informativi.
Caratteristiche anagrafiche, comorbidità e fattori di rischio per il deterioramento cognitivo
L’età media del campione esaminato è di 67 +
10,8 anni (range 38-88 anni). I maschi rappresentano il 52%. La scolarità media è di 8,8 + 4,3 anni
(range 3-18 anni).
La valutazione della comorbidità ha evidenziato come dato prevalente la presenza di ipertenIndirizzo per la corrispondenza:
Dr. Silvio Costantini
Divisione di Geriatria, Ospedale “Infermi”
Via Settembrini, 2 – 47900 Rimini
Tel. 0541705111
Fig. 1 – Percentuale di patologie croniche nel campione totale
(n = 183).
148
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
Fig. 2 – Comorbidità del campione (n = 183).
SINTOMATOLOGIA DEPRESSIVA
È stato chiesto ai soggetti se si sentissero tristi
o scoraggiati: il 39% del campione ha risposto
affermativamente; tale percentuale sale al 42% se
si considerano solo i soggetti con età inferiore ai
65 anni (64 persone), mentre scende al 32% in
quelli con età superiore ai 75 anni (43 persone).
STATO COGNITIVO
Il Mini-Cog è risultato patologico in 54 soggetti, pari al 29,5% del campione. 19 soggetti non
sono stati in grado di rievocare le tre parole, mentre 35 hanno ricordato 1 o 2 parole ma hanno eseguito un test dell’orologio errato. Nella classe di
età inferiore ai 65 anni, i pazienti con Mini-Cog
patologico sono risultati il 12,5%, la percentuale
sale al 31,6% nella classe di età compresa fra i 65 e
i 75 anni e al 51,2% negli ultra settantacinquenni
(Fig. 3).
I soggetti con Mini-Cog patologico sono risultati più anziani rispetto a quelli con test di screening normale (72 + 8,5 anni VS 65 + 11,1 anni; p =
0,000) e con minor scolarità (6,3 + 3,2 anni VS 9,8
+ 4,3 anni; p = 0,000). I pazienti con Mini-Cog
patologico avevano in media 1,8 + 1,1 patologie
croniche, mentre il resto del campione aveva in
media 1,2 + 1,0 patologie, differenza statisticamente significativa (p = 0,002).
Abbiamo analizzato le eventuali differenze esistenti in termini di patologie e fattori di rischio fra
il gruppo risultato patologico al test di screening e
il gruppo senza deficit cognitivi. È stata riscontrata una differenza statisticamente significativa fra il
numero di soggetti con anamnesi positiva per
malattie cardiovascolari (¯2 = 11,034; p = 0,001) e
BPCO (¯2 = 9,374; p = 0,002). L’analisi riguardante
i fattori di rischio ha mostrato differenze statisticamente significative solo per quanto riguarda l’assunzione di vino (¯2 = 4,947; p = 0,026).
Ripetendo l’analisi solo nei soggetti ultra ses-
Fig. 3 – Percentuale di Mini-Cog patologico (n = 54), suddivisa nelle diverse classi di età.
santacinquenni i dati si confermano, anche se il
grado di significatività scende: ¯2 = 7,036; p =
0,008 per le malattie cardiovascolari; ¯2 = 4,206; p
= 0,040 per la BPCO e ¯2 = 5,754; p = 0,016 per
quanto riguarda l’assunzione di vino.
Nella nostra casistica non sono emerse differenze statisticamente significative fra i soggetti
con Mini-Cog patologico ed i soggetti senza deficit cognitivi sia per quanto riguarda il grado di
attività fisica che per il “sentirsi triste”.
Se consideriamo l’intero campione dei soggetti intervistati, emerge che solo una quota inferiore alla metà (e precisamente il 41,5%) non presenta né sintomatologia depressiva né positività al
Mini-Cog (Fig. 4).
DISCUSSIONE
Il dato maggiormente sorprendente del nostro
studio è che, considerando un campione di popolazione attiva, ben il 30% è stato indirizzato ad
eseguire ulteriori accertamenti per valutare la
Fig. 4 – Prevalenza della sintomatologia depressiva e
della positività al Mini-Cog nel campione totale (n = 183).
Margiotta A., Pula B., Mariani E., Costantini S. - “Non dimenticare... la memoria” 2008...
possibile presenza di un deficit cognitivo o una
demenza. Se si considerano i soggetti ultra settantacinquenni, la percentuale supera il 50%.
È noto, inoltre, come spesso le sindromi dementigene non vengano diagnosticate precocemente
nei setting assistenziali non specialistici. Fino al
50% dei pazienti con demenza non ricevono una
corretta diagnosi dal proprio medico curante (3). In
teoria, quindi, la possibilità di identificare attraverso un test di screening una serie di soggetti con
demenza non diagnosticata, permetterebbe loro di
ricevere cure e assistenza ad uno stadio precoce di
malattia. Attualmente il ruolo dello screening per la
demenza è controverso: l’U.S. Preventive Services
Task Force (USPSTF) ha analizzato le evidenze
scientifiche concludendo che esse non dimostrano
un chiaro beneficio nell’eseguire i test di screening
in soggetti anziani asintomatici, né ha tuttavia
escluso potenziali benefici (4). Il National Institute
for Health and Clinical Excellence (NICE) non raccomanda lo screening nella popolazione generale
(5). Dati più recenti (6) sottolineano l’importanza di
eseguire una valutazione nei soggetti anziani che
riportano qualche sintomo utilizzando uno strumento di screening di base eventualmente associandolo ad altri test a seconda del tempo a disposizione, del livello di scolarità degli intervistati e
del setting assistenziale.
Sebbene i nostri dati non confermino un’associazione fra il “sentirsi triste” e la positività al test
di screening, bisogna comunque sottolineare il
dato che circa il 40% degli intervistati riferisce una
sintomatologia depressiva. È interessante il fatto
che la prevalenza maggiore di tale sintomo sia
riscontrabile nella fascia più giovane del campione
(42% nei soggetti con meno di 65 anni contro il 32%
degli ultra settantacinquenni). Il dato è in qualche
modo inaspettato in quanto è relativo ad un campione di popolazione costituito prevalentemente
da “anziani giovani” con un grado di scolarità
abbastanza elevato e senza gravi limitazioni di tipo
funzionale. La letteratura infatti riporta dati variabili dall’1 al 10% circa la prevalenza di depressione
maggiore nella popolazione generale. I fattori di
rischio riconosciuti sono l’età avanzata, l’istituzionalizzazione, il sesso femminile, la presenza di
149
patologie somatiche, il decadimento cognitivo, il
deficit funzionale, la mancanza di interazioni
sociali e un’anamnesi positiva per depressione (7).
Il dato da noi riportato si riferisce ad uno screening
circa la sintomatologia depressiva e non ad una
diagnosi nosologica di depressione, ma appare
comunque significativo se si considera, ad esempio, che i dati riguardanti la prevalenza di sintomi
depressivi fra i pazienti istituzionalizzati (quindi
molto più compromessi rispetto a quelli oggetto
della nostra indagine) riportano valori variabili dal
14 al 42%, con stime ottenute con metodologie più
rigorose che attestano il valore attorno al 20% (8).
Il nostro studio possiede notevoli limitazioni
derivanti dalla esiguità del campione e dal carattere anonimo delle valutazioni che non permetterà
una verifica riguardante eventuali falsi positivi e
falsi negativi. La scelta di rivolgere l’iniziativa ad
un numero di persone quanto più vasto possibile
eseguendo un veloce test di screening validato e
fornendo informazioni riguardanti la perdita di
memoria, non ha permesso di eseguire altre valutazioni che potessero aumentare il valore predittivo
dei risultati. Pur con questi limiti, ci sembra doveroso sottolineare l’importanza di iniziative simili a
queste nel sensibilizzare l’opinione pubblica nei
confronti di un problema troppo spesso trascurato.
Quello che è emerso dalla nostra indagine forse è
solo la punta dell’iceberg: il fatto che quasi il 60%
degli intervistati dichiari di sentirsi triste o presenti un test di screening per la demenza positivo e che
nel 10% le due condizioni coesistano, rappresenta
certamente un indicatore di quanto ci sia ancora da
fare per migliorare la qualità della vita degli anziani, anche nella opulenta e “gaudente” Rimini. I
dati, inoltre, suggeriscono che una corretta gestione
delle patologie croniche (in particolare le malattie
cardiovascolari e la BPCO) potrebbe avere risvolti
significativi nel prevenire il deficit cognitivo in un
campione di popolazione anziana autonoma ed
attiva. Dal punto di vista professionale l’esperienza
del “geriatra in piazza” ci ha sicuramente arricchiti, avvicinandoci alla popolazione e fornendoci
nuovi stimoli per garantire livelli di cura e di assistenza il più possibile adeguati alle molteplici esigenze di una società che invecchia.
150
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
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Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto 151
L’UTILIZZO DEI BIFOSFONATI NEL TRATTAMENTO DELLE
METASTASI OSSEE DA CARCINOMA MAMMARIO
Papa A., Vari S., Basso E., Polidoro G., Rossi L., Pasciuti G.
Oncologia Medica Universitaria “Sapienza”, Ospedale S. Maria Goretti, Latina
CENNI GENERALI
Il tumore mammario ha un’alta affinità per il
tessuto osseo (1). Il principale meccanismo di
metastatizzazione ossea è da ricondursi all’attivazione degli Osteoclasti da parte di Fattori Attivanti, prodotti dal tumore, e da Fattori di Crescita
prodotti dall’osso che stimolano la crescita tumorale. Le varie proprietà delle cellule neoplastiche,
come la produzione di Enzimi Proteolitici e di
specifiche molecole per l’adesione cellulare, se
presenti aumentano il loro potenziale metastatizzante (7). La tendenza delle cellule neoplastiche
mammarie a proliferare nell’osso è spiegata
meglio dalla teoria del “seme e suolo” (8).
Le cellule di Cancro Mammario (il “seme”)
sembrano produrre fattori, come la proteina
Paratiroide-Ormone-Relativa (PTHrP), potenziando lo sviluppo di metastasi nello scheletro
che costituisce un “suolo” fertile poiché ricco di
citochine e fattori di crescita che incentivano la
crescita di cellule di Cancro Mammario.
La produzione locale di PTHrP e di altri fattori
osteolitici da parte delle cellule neoplastiche nell’osso incentivano il riassorbimento osseo attraverso gli Osteoclasti e probabilmente anche attraverso
le cellule immunitarie. Tali fattori inducono la differenziazione delle cellule ematopoietiche in osteoclasti ed attivano gli osteoclasti già maturi presenti
nell’osso. Inoltre PTHrP altera anche il rapporto tra
Osteoprotegerina, diminuendone la produzione, e
l’attivatore del recettore per NfKB ligand, aumentandone la produzione (8). Il risultato netto di questo squilibrio è l’aumento della proliferazione e dell’attività degli Osteoclasti (8). Lo scheletro è infatti
la sede più comune di malattia metastatica da
Neoplasia Mammaria ed anche la sede più comune
di prima recidiva a distanza (2). Questa neoplasia
può infatti provocare lesioni ripetitive di tipo
osteoaddensanti ed osteolitiche, con una maggiore
frequenza di queste ultime. Questa classificazione
non ha limiti netti, in quanto non si può parlare di
metastasi ossee esclusivamente litiche o addensanti, ma prevalentemente litiche o prevalentemente
addensanti; questo sulla base di evidenze scientifiche che attestano come l’attività delle metastasi
Indirizzo per la corrispondenza:
Oncologia Medica Universitaria “Sapienza”
Ospedale S. Maria Goretti, Latina
ossee sia regolata da un precario equilibrio tra riassorbimento e nuova deposizione ossea.
Nelle metastasi litiche predomina l attività
osteoclastica sul rimodellamento mediato dagli
Osteoblasti, con il risultato finale di una maggiore
fragilità del segmento osseo colpito ed elevato
rischio di complicazioni: dolore, fratture patologiche, compressioni/infiltrazioni neurologiche, ipercalcemia, incapacità funzionale ed invasione
midollare (SRE). Le lesioni addensanti possono
rappresentare l evoluzione favorevole di lesioni
inizialmente a carattere litico, o esordire come tali.
In questo caso complicazioni come fratture e
dolore sono meno frequenti (3,4,5). Le fratture patologiche sono una conseguenza drammatica
delle metastasi ossee, e si verificano generalmente dopo un intervallo di tempo mediano di 11
mesi dalla diagnosi iniziale delle lesioni ossee (6).
In un’analisi retrospettiva di 859 pazienti, è stato
dimostrato che la frequenza di SRE è dipendente
dalla contemporanea presenza di metastasi in
altre sedi. Pazienti con metastasi solo ossee hanno
una percentuale molto più alta di SRE rispetto a
pazienti con metastasi sia ossee che viscerali (6).
Lo stesso studio attesta una sopravvivenza
mediana dopo la diagnosi di sole metastasi ossee
pari a 24 mesi, mentre per pazienti con metastasi
ossee concomitanti a metastasi epatiche la sopravvivenza mediana è risultata essere pari a 5.5 mesi (6).
I BIFOSFONATI
I Bisfosfonati (BF), scoperti alla fine degli anni
’60, rappresentano a tutt’oggi la terapia di prima
scelta per il trattamento dell’Osteoporosi e di
altre patologie del metabolismo osseo quali il
Morbo di Paget, l’Osteogenesi Imperfetta, le
metastasi ossee o l’osteolisi da Mieloma Multiplo.
Si tratta di potenti inibitori del riassorbimento
osseo e cioè una classe di farmaci in grado di inibire l’attività degli Osteoclasti e la distruzione scheletrica (9). I BF sono molecole non idrolizzabili analoghe al Pirofosfato. Sono composti caratterizzati
dalla presenza di due legami Carbonio-Fosforo e
da due catene laterali R1 e R2 (Fig. 1) (12).
La catena R1 partecipa al legame con la matrice ossea mineralizzata, mentre la catena R2 è
responsabile dell’attività anti-riassorbitiva ed è
differente nei diversi BF (10).
152
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
Fig. 1
I BF si legano ai Cristalli di Idrossiapatite nelle
aree in cui gli Osteoclasti erodono l’osso. Durante
la fase di riassorbimento, l’Osteoclasta acidifica la
matrice ossea provocando la dissoluzione dei
Cristalli di Idrossiapatite con conseguente liberazione del BF. Una volta liberato, il BF può venire
a contatto con gli osteoclasti ed inibire il loro
potere di assorbimento (11).
Il loro meccanismo d azione non è ancora pienamente compreso, ma potrebbe risiedere in una ridotta adesività degli Osteoclasti all osso o in un diminuito reclutamento dal pool di cellule mononucleari.
Dal 1990, molti degli studi condotti si sono
basati sulla valutazione dell’efficacia dei BF nell’inibizione osteoclastica. Per le metastasi ossee, soltanto i trials su Neoplasia Mammaria e Mieloma
Multiplo hanno mostrato buoni risultati in termini di riduzione degli SRE (1).
Nel 2000 è stato introdotto un nuovo BF, l’A.
Zoledronico (IV Generazione), che ha una maggiore potenza dei BF di Prima Generazione
(Etindronato) nell’inibizione del riassorbimento
osseo negli animali da esperimento (1). Trials sull’uso dell’A. Zoledronico hanno dimostrato una
considerevole riduzione degli SRE. Infatti questo
composto è stato il primo BF approvato per il trattamento di metastasi ossee da tumori solidi.
Attualmente sono in corso molti trials con l’obiettivo di verificare la capacità dei BF nel prevenire
l’insorgenza di metastasi ossee e del riassorbimento osseo associato all’uso di IA (1).
MECCANISMO D’AZIONE DEI
BIFOSFONATI
I BF sono degli analoghi del Pirofosfato: Etindronato, Clodronato, Alenronato, Pamidronato,
Risendronato, Tiludronato, Ibandronato ed infine
l’A. Zoledronico; possono essere divisi in due
classi (con o senza Azoto): Aminici (NBPs) e NonAminici. I primi hanno un maggior potere dei
secondi nell’impedire il riassorbimento osseo.
Gli Aminici come Pamidronato, Ibandronato,
Risendronato e A. Zoledronico agiscono sulla via
del Mevalonato. Con l’azione su questo pathway
gli NBPs inibiscono l’attivià della Farnesil-Difosfato Sintasi, la quale è necessaria per la Prenilazione delle GTPasi, molecole fondamentali per
l’attività e la sopravvivenza degli Osteoclasti (12).
In questo modo l’inibizione della via del Mevalonato favorisce l’apoptosi degli Osteoclasti.
Inoltre gli NBPs inibiscono l’adesione delle cellule tumorali al tessuto osseo, sebbene non ne sia
ancora chiaro il meccanismo (13). Inoltre l’espressione dell’Integrina V3 da parte di cellule di
Neoplasia Mammaria è stata associata a metastasi ossee (14). Dati sperimentali depongono a favore di una capacità inibente l’attività di queste
Integrine da parte degli NBPs (15); altro meccanismo d’azione interessante è la riduzione dellla
proliferazione e l’induzione dell’apoptosi delle
cellule neoplastiche (16).
L’A. Zoledronico ha un’azione sinergica con
l’effetto pro-apoptotico sulle cellule tumorali (in
vitro) quando è somministrato in combinazione
con agenti antineoplastici (17). Clodronato, Risedronato, A. Zoledronico, e Ibandronato inibiscono significativamente la proliferazione endoteliale e la formazione di capillari ed inibiscono
anche la formazione di vasi sanguigni in modelli
animali (18,19). NBPs quindi sono dotati di un
potente effetto antiangiogenetico. Gli NBP hanno
inoltre anche un pronunciato effetto sul Sistema
Immunitario, che potrebbe contribuire alla loro
attività antitumorale (20).
PROFILI DI TOSSICITÀ DEI BIFOSFONATI
I BF hanno dimostrato una scarsa tossicità sia
clinica sia negli animali da laboratorio. In particolare i test di teratogenicità, mitogenicità e carcinogenicità in genere sono risultati negativi. Tuttavia
non essendoci dati adeguati sull’uso dei BF in
gravidanza e durante l’allattamento, se ne sconsiglia l’uso. Disturbi gastroenterici (pirosi, dolore,
dispepsia) compaiono in una piccola percentuale
di pazienti che assumono tali farmaci per os,
soprattutto in coloro che sono affetti da ernia iatale con esofagite da reflusso (21). Il BF di Prima
Generazione Etidronato è associato ad Osteomalacia. Questo effetto associato anche ad una
bassa efficacia di questo BF ne ha limitato l’uso.
Sebbene Alendronato e Risedronato siano stati
ben tollerati nel corso dei vari trials clinici, alcuni
pazienti hanno riferito sintomi di esofagite.
Questi sintomi si manifestano spesso quando i
pazienti assumono i medicinali con poca acqua e
poi rimangono sdraiati o inclinati. Se invece tale
sintomatologia persiste nonostante le accortezze
nell’assunzione (abbondante quantità d’acqua e
stazione eretta per almeno tre ore), potrebbe essere risolutivo l’uso di IPP prima di andare a letto.
Comunque entrambi i farmaci sono ben tollerati
se assunti una volta a settimana senza ridurne
l’efficacia, mentre pazienti con patologie del tratto gastrointestinale superiore in fase attiva non
devono fare uso di BF Orali (22).
L’uso di BF per ev, ma anche per os ad alte
dosi, può essere associato ad una sintomatologia
di tipo influenzale caratterizzata da affaticamen-
Papa A., Vari S., Basso E., et al. – L’utilizzo dei Bifosfonati nel trattamento delle metastasi...
to, dolori osteo-muscolari, cefalea, febbre e raffreddore (23). Spesso tale quadro viene definito
come Reazione di Fase Acuta. I sintomi sono transitori e dopo un periodo di 1-3 giorni dall’esordio
tendono a scomparire spontaneamente. Essi solitamente si manifestano in seguito alla prima somministrazione del farmaco e non ricompaiono
necessariamente dopo l’assunzione delle dosi
successive e sono dovuti all’iperproduzione,
indotta dai BF stessi, di citochine infiammatorie
da parte delle cellule dell’infiammazione (24).
Nei pazienti con ipercalcemia severa, associata a metastasi ossea da Carcinoma Mammario, il
trattamento standard prevede la somministrazione ev di BF (25). In questi pazienti l’utilizzo di
dosi elevate di BF di Prima Generazione, come
Etidronato o di Aminobifosfonati, come A.
Zoledronico, può essere associato ad IRA. Due
trial clinici di lunga durata, condotti su pazienti
malati di cancro e ad elevato rischio di metastasi
ossee, hanno rilevato la comparsa di un effetto
tossico sul rene in corso di terapia con A.
Zoledronico, somministrato alla dose di 8 mg
ogni tre settimane. Successivamente, la dose di
farmaco impiegata nella terapia è stata ridotta a 4
mg, con conseguente aumento della tollerabilità
renale (26). L’Ibandronato, invece, presenta una
minore tossicità renale e un profilo di sicurezza che
accosta i risultati ottenuti dalla terapia a base di
questo BF con quelli ottenuti dalla somministrazione del placebo in pazienti con metastasi ossee (27).
Visto che l’A. Zoledronico è risultato essere
associato a nefrotossicità, con deterioramento
della funzionalità renale e potenziale insufficienza renale, la somministrazione di Zoledronato
dovrebbe durare almeno 15 minuti, e la dose consigliata è 4 mg. Pazienti che ricevono Zoledronato
inoltre dovrebbero essere monitorizzati prima e
dopo l’inizio della terapia con la valutazione dei
parametri clinici e laboratoristici propri della funzionalità renale (27). Nel corso degli ultimi anni è
emerso che i BF sono associati ad un evento
avverso denominato Osteonecrosi della Mandibola (OM). I pazienti con OM da BF presentano
alcuni dei seguenti segni e sintomi: irregolare
ulcerazione delle mucose con esposizione ossea a
livello della mandibola o della mascella, dolore o
gonfiore della mandibola interessata ed infezione
spesso accompagnata da purulenza.
Le prime review sull’OM da BF sono state
pubblicate nel 2003 da Marx con 36 casi. Da allora, uno studio con 63 casi realizzato da Ruggiero
e coll., da Bagan e coll. (10 casi) e da Marx e coll.
(119 casi), insieme a tutta una serie di case reports
e case series, hanno fornito ulteriori informazioni
sulle caratteristiche di tale effetto (30). Poiché per
il Pamidronato e per lo Zoledronato tale complicanza non era stata osservata durante i trials clinici premarketing, nel 2004 l’azienda produttrice
153
di entrambi i farmaci ha emesso delle linee guida
post-marketing sull’OM (31). Inoltre, sebbene
l’OM venga considerata una complicanza raramente associata alla terapia con BF, una recente
indagine a carattere mondiale ha stimato la sua
incidenza su 1203 pazienti sottoposti alla somministrazione ev di BF per il trattamento di Carcinoma Mammario (299 pazienti), evidenziandone la presenza nel 12% (32). Dopo 36 mesi di terapia, l’incidenza di OM è risultata del 10% tra i
pazienti trattati con Zoledronato, del 4% tra quelli sottoposti alla somministrazione di Pamidronato. Il rischio di OM da Zoledronato è stato
stimato in 0,7 per 100,000 persone/anno di esposizione (33); non è stato possibile invece quantificare l’incidenza dell’OM da Risedronato e Ibandronato a causa del numero troppo basso di casi
riportati (34).
Uno dei principali fattori di rischio per l’OM è
dato dalla durata della terapia con BF (28,29). I
pazienti trattati per più di 12 mesi con tali farmaci sono quelli maggiormente a rischio di sviluppare la complicanza (35).
Tra il 1998 e il 2004 i ricercatori del Research
on Adverse Drug Events and Reports (RADAR)
hanno identificato 561 casi di OM in pazienti col
cancro trattati con Zoledronato (36); altri 126 casi,
riferiti sempre allo Zoledronato, sono stati riportati in letteratura dal 2005 fino ad oggi. Dal 2003
fino al mese di marzo del 2006 sono stati riportati in letteratura altri 261 casi, dei quali 141 erano
riferiti al solo Pamidronato, 101 a Pamidronato e
Zoledronato, 21 ad Alendronato, 1 a Risedronato
e 4 alla terapia combinatoria (37,38,39,40).
Finora, la complicanza è stata osservata principalmente nei pazienti trattati con BF per via ev.
Il cancro e l’uso di chemioterapici per via sistemica vengono infatti considerati le comorbidità più
significative. Sono stati comunque riportati dei
casi di pazienti che hanno manifestato OM non
correlata al cancro; di questi, 19 presentavano
Osteoporosi e 9 erano affetti da Morbo di Paget
(41,42,43). Tuttavia, si tratta con ogni probabilità
di una sottostima di quella che è la reale incidenza di tale complicanza nei pazienti trattati con BF
ad uso orale. Infatti, in una recente review realizzata dall’American Dental Association, i casi di
OM associata all’uso orale di BF a livello mondiale sono risultati 170 per l’Alendronato, 12 per il
Risedronato e 1 per l’Ibandronato.
Non è noto il meccanismo mediante il quale i
BF causino l’OM. Il trattamento dell’OM associata a BF è problematico: case report non hanno
documentato alcuna risposta o una risposta limitata agli interventi chirurgici, al trattamento con
antibiotici o all’ossigeno iperbarico. I comuni fattori di rischio associati allo sviluppo di tale complicanza comprendono: storia di assunzione di
BF, soprattutto per via ev; l’impiego contempora-
154
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
neo di steroidi; precedente storia di tumore,
Osteoporosi, Malattia di Paget; storia di procedura dentale traumatica. La maggioranza dei casi si
presenta dopo estrazione dentaria, sebbene anche
altre procedure dentali traumatiche possano essere associate.
Tuttavia, in diverse pubblicazioni, anche i BF
per os sono risultati associati allo sviluppo di OM
(44-47). Un FDA ODS Postmarketing Safety
Review ha dichiarato che l’OM associata ai BF
può essere un effetto di classe. Sembra prudente
considerare che tutti i pazienti che assumono BF
siano a rischio, anche se la dimensione del rischio
varia, probabilmente, in base al BF assunto, ai fattori di rischio del paziente ed alla storia di trattamento dentale. Ad oggi è noto che i pazienti più a
rischio sono quelli che assumono BF per via ev
(48-58).
EFFICACIA DEI BIFOSFONATI
BIFOSFONATI COME TERAPIA
ADIUVANTE: PREVENZIONE DELLE
METASTASI OSSEE
Allo stato attuale, i BF non sono usati come
agenti citotossici, ma come trattamento palliativo
per l’incremento della QL in pazienti con metastasi ossee.
L’eccitante concetto del prevenire le metastasi
ossee utilizzando i BF ha avuto successo nei
modelli animali. Questi risultati suggeriscono che
i BF potrebbero inibire non solo l’attività osteoclastica ma anche la crescita tumorale e l’angiogenesi. Diversi studi hanno sperimentato i BF come
terapia adiuvante in pazienti con Early-Breast
Cancer (EBC), ma con risultati contrastanti (65).
Nel primo trial, 302 pz con Neoplasia Mammaria,
selezionate con la ricerca di cellule tumorali nel
midollo osseo nel corso dell’intervento chirurgico, sono state randomizzate a ricevere ognuna il
trattamento standard adiuvante o lo stesso trattamento con l’aggiunta di dose giornaliera orale di
Clodronato (1600 mg/die) per due anni.
Dopo un periodo di follow up di circa 36 mesi
è stata osservata una riduzione di metastasi a
distanza, ma ciò non ha avuto un effetto significativamente lungo; comunque l’uso di Clodronato
ha comportato un aumento dell’Overall Survival
(OS) dopo un follow up di circa 10 anni (65).
In un altro grande studio multicentrico sull’uso in profilassi di Clodronato (1600 mg/die) vs
Placebo per due anni, il trattamento con Clodronato ha ridotto l’incidenza di metastasi ossee ed
un aumento dell’OS, sebbene altri studi abbiano
riportato metastasi ossee con la stessa frequenza
in entrambi i bracci dello studio (66). In un altro
trial comunque in dieci anni di follow up il DFS è
stato significativamente più basso nel gruppo con
Clodronato, dato dovuto ad una più alta inciden-
za di eventi metastatici non scheletrici nel gruppo
con Clodronato rispetto al gruppo con il Placebo,
del resto non sono state trovate differenze significative nell’OS fra i due gruppi. In un trial con
Pamidronato condotto dal 1997, 88 pazienti affette
da Neoplasia Mammaria sono state trattate con
Pamidronato (31 pazienti) o controlli (57 pazienti).
Nel gruppo trattato con 45 mg di Pamidronato, questo è stato somministrato per un totale di quattro volte con un intervallo di due settimane dopo sei mesi dall’intervento chirurgico. I
due gruppi sono stati ben equilibrati per fattori
prognostici, compreso il numero di linfonodi con
metastasi, lo stato recettoriale per EstrogeniProgesterone e standard di pretrattamento con
Chemioterapia o Ormono-Terapia.
Dopo un periodo di follow up di 5 anni, è stato
dimostrato un effetto preventivo nei confronti
delle metastasi ossee, ma non effetti locali e sulle
metastasi viscerali dopo l’infusione di Pamidronato ad una dose totale di 180 mg (66). Un
buono stato a livello osseo è un parametro fondamentale per tutte le pazienti affette da Breast
Cancer in qualsiasi stadio, ma specialmente per
quanto riguarda pazienti affette da EBC in trattamento con Inibitori delle Aromatasi; IA, che come
dimostrato da molti studi correlati, inducono una
riduzione della densità minerale ossea (BMD) con
un relativo innalzamento della incidenza di fratture. Sebbene gli IA aumentino l’OS delle pazienti affette da EBC, molte di queste però manifestano lungo il decorso della propria storia clinica
l’insorgenza di Metastasi Ossee.
Pertanto, c’è un urgente bisogno di identificare strategie efficaci nel prevenire l’insorgenza di
metastasi ossee. Allo stato attuale studi preclinici
sui BF mostrano come questi abbiano un azione
citotossica sulle linee cellulari di tumore mammario; ma dati di studi clinici sulla prevenzione di
metastasi ossee da BF in pazienti con EBC in trattamento con terapie adiuvanti sono ancora inconsistenti. L’utilità dei BF in terapia adiuvante è
ancora da stabilire, molti studi sono in corso ed in
programmazione per far luce sul ruolo dei BF
nella prevenzione delle metastasi ossee.
TRATTAMENTO DEL DOLORE
DA METASTASI OSSEE
Una riduzione significativa di dolore osseo e
delle relative complicanze è stata correlata all’utilizzo intermittente dell’A. Zoledronico per un
periodo di due anni (70), anche se ci sono studi
che non evidenziano grossi benefici in termini di
riduzione di SRE. Per esempio, il Pamidronato,
un BF di seconda generazione, non induce diminuzioni significative nell’incidenza di SRE e di
dolore osseo secondo l’analisi combinata di due
studi randomizzati controllati, multicentrici, dop-
Papa A., Vari S., Basso E., et al. – L’utilizzo dei Bifosfonati nel trattamento delle metastasi...
pio cieco vs placebo (67). Uno studio di fase II
sulla valutazione dei benefici palliativi di una
seconda linea con A. Zoledronico in pazienti
affette da Neoplasia Mammaria con SRE o progressione di malattia in metastasi ossee dopo una
prima linea di terapia con BF, ha previsto 31
pazienti inizialmente trattate con Pamidronato o
Clodronato ed ha dimostrato che un miglior controllo del dolore osseo e dei markers di riassorbimento osseo è ottenibile con l’utilizzo dell’A.
Zoledronico (68). In un ulteriore studio sul confronto fra A. Zoledronico e Pamidronato in pazienti con metastasi ossee da Neoplasia Mammaria, si è visto come l’A. Zoledronico abbia ridotto in maniera significativa il ricorso alla
Radioterapia Palliativa a scopo antalgico rispetto
al Pamidronato (19 vs 24%, p = 0.037) (69).
PREVENZIONE DEL RIASSORBIMENTO
OSSEO DA TRATTAMENTO
ANTINEOPLASTICO-ORMONALE
Donne in post-menopausa con Neoplasia
Mammaria, già a rischio di perdita ossea a causa
del deficit di Estrogeni età correlato, sono esposte
ad un ulteriore fattore favorente il riassorbimento
osseo, e cioè il trattamento con IA. Sebbene efficaci nella riduzione di recidive in regime adiuvante,
gli IA sono associati con aumentato riassorbimento osseo ed aumentata incidenza di fratture ossee.
I BF inibendo il riassorbimento osseo inducono
un aumento del BMD e riducono l’incidenza di
fratture ossee fra donne in post-menopausa affet-
155
te da Osteoporosi (71). L’A. Zoledronico è stato
visto essere efficace nel ridurre il riassorbimento
osseo anche fra donne in pre-menopausa sottoposte a terapia ormonale adiuvante combinata.
L’uso dell’A. Zoledronico nel prevenire CTIBL
fra donne in post-menopausa sottoposte a trattamento adiuvante con IA è attualmente sperimentato nel Zometa/Femara Adjuvant Synergy Trial
(Z-FAST) (71). Donne in Post-menopausa affette
da Neoplasia Mammaria ER ed PgR + con stadio
da I a IIIA sottoposte a trattamento ormonale con
Letrozolo sono state randomizzate a ricevere in
Upfront l’A. Zoledronico vs senza A. Zoledronico. A sei mesi, le donne inserite nel braccio con
A. Zoledronico hanno presentato un innalzamento del BMD a livello lombare (L1-L4) di 1,55%,
comparato con un decremento dell’1,78% nelle
donne non sottoposte a trattamento con A. Zoledronico, risultando in una differenza del 3,33%
fra i due gruppi.
Inoltre nelle donne del braccio con A. Zoledronico si è avuto un incremento pari al l’1,02% del
BMD in sede di bacino, rispetto ad un decremento
dell’1,40% nell’altro braccio, con una differenza
complessiva del 2,42% fra i due gruppi (P <0.001).
Dunque gli effetti sul BMD nello Z-FAST dimostrano che l’A. Zoledronico in Upfront previene le
CTIBL fra donne in post-menopausa sottoposte a
trattamento adiuvante con Letrozolo per l’EBC.
Combinando l’effetto antineoplastico del Letrozolo
con l’effetto osteo-protettivo dell’A. Zoledronico
possono essere un trattamento completo ed efficace
per questo setting (72-76).
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Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto 157
TRATTAMENTO DEL CARCINOMA SUPERFICIALE DELLA
VESCICA
Vari S., Papa A., Basso E., Polidoro G., Rossi L., Pasciuti G., Spinelli G.P.
Oncologia Medica Universitaria “Sapienza”, Ospedale S. Maria Goretti, Latina
Riassunto: Il carcinoma della vescica costituisce il 70% delle neoplasie dell’apparato urinario e circa il 3% di tutti i tumori.
La sua incidenza è in aumento nel mondo e si prevede un aumento di incidenza del 28% in entrambi i sessi entro il 2010 in
accordo con le previsioni statistiche del WHO.
Il carcinoma della vescica si presenta nella maggior parte dei casi in forma superficiale, molto meno frequentemente in forma
infiltrante o metastatica.
Il trattamento gold standard per le neoplasie superficiali è rappresentato dalla TURB (resezione endoscopica trans-uretrale).
Queste neoplasie, anche se adeguatemente trattate, hanno una elevata tendenza a recidivare, assumendo forme a rischio intermedio ed alto.
Allo scopo di ridurre il rischio sia delle recidive che delle progressioni di malattia, è spesso indicato ricorrere ad un trattamento adiuvante la TURB, rappresentato dalla somministrazione endovescicale di farmaci chemioterapici (Mitomicina C, epirubicina, adriamicina) o immunoterapici (BCG).
Negli ultimi anni la gemcitabina sta assumendo un ruolo sempre più rilevante nel trattamento delle neoplasie superficiali recidivanti; infatti numerosi studi hanno ormai dimostrato come l’utilizzo di questo farmaco, nei pazienti refrattari sia a BCG
che ad altri chemioterapici ha ridotto la necessità di ricorrere alla cistectomia radicale.
Parole chiave: Carcinoma superficiale, vescica.
INTRODUZIONE
Il carcinoma della vescica costituisce il 70%
delle neoplasie dell’apparato urinario e circa il 3%
di tutti i tumori. La sua incidenza aumenta con
l’aumentare dell’età ed individui di età superiore
ai 70 anni sviluppano la malattia 2-3 volte più frequentemente di quelli di età compresa tra i 55 e i
69 e 15-20 volte più spesso che nei soggetti tra i 30
e i 54 anni (1). Il tumore circoscritto allo strato epiteliale interno prende il nome di cancro vescicale
superficiale e si presenta nel 74% dei casi. Il tumore che origina nelle cellule transizionali si può
diffondere a tutta la mucosa fino a invadere la
parete muscolare della stessa (18% dei casi) o
infiltrare gli organi e i linfonodi adiacenti (8% dei
casi). Questo tipo di tumore si definisce cancro
vescicale invasivo. I carcinomi vescicali superficiali (CVS) vengono suddivisi in 3 categorie di
rischio, rispettivamente basso, intermedio e alto
rischio. La maggior parte dei CVS (80%) appartiene alle categorie a rischio basso e intermedio nelle
quali sono incluse neoplasie con basso rischio di
progressione a malattia infiltrante la tonaca
muscolare ma con spiccata tendenza alla recidiva
dopo trattamento endoscopico locale (Tab. 1).
Oltre ad una stretta analisi dei suddetti fattori
vanno inoltre considerati anche i fattori di rischio
di progressione della malattia, indispensabili per
pianificare e personalizzare i trattamenti (Tab. 2).
Nella maggior parte dei casi i CVS hanno
Indirizzo per la corrispondenza:
Oncologia Medica Universitaria “Sapienza”
Ospedale S. Maria Goretti, Latina
aspetto di lesione vegetante nel lume vescicale, e
vengono classificati in base alla profondità di
invasione: lo stadio Ta include tumori confinati
esclusivamente all’epitelio transazionale mentre
lo stadio T1 identifica le forme che invadono sino
alla lamina propria. Il “carcinoma in situ” (CIS) è
invece una lesione piatta, spesso non visibile
all’esame cistoscopio con illuminazione a luce
bianca se non per la presenza di aree arrossate e
caratterizzata per definizione da cellule neoplastiche di grado 3 (o alto grado) che occupano tutti
gli strati dell’epitelio senza invadere la lamina
muscolare propria; ha una spiccata tendenza alla
diffusione e alla infiltrazione e rappresenta un’entità patologica a sé stante ed estremamente
aggressiva (alto rischio). La presenza o assenza di
invasione della lamina propria (stadio T1 e Ta
rispettivamente) ed il grado tumorale danno origine a diverse combinazioni di tumori con prognosi diversa (TaG1, TaG2, TaG3, T1G1, T1G2,
T1G3).
Le forme di stadio Ta e grado 1 presentano un
rischio trascurabile di progressione mentre i
tumori di stadio T1 e grado 3 hanno un rischio di
progressione del 30%-50%. Il CIS presenta un elevato rischio di progressione a forma infiltrante
variabile dal 20% all’80%. Il tumore vescicale
superficiale è noto essere associato ad un tasso di
recidiva e di progressione strettamente correlato
con la categoria di rischio a cui la lesione appartiene. Può’ recidivare più volte senza progredire
verso una forma muscolo-invasiva e/o malattia
metastatica, e questo rappresenta una caratteristica peculiare di questa malattia.
158
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
Tab. 1 – Categorie di rischio dei CVS in accordo con le Linee Guida Europee
Categoria di rischio
Tipo di tumore
Basso rischio
Lesione singola, TaG1,
di prima diagnosi, con
diametro inferiore a 3 cm
Qualsiasi lesione Ta o T1, di
grado G1 o G2 non inclusa
nelle 2 categorie precedenti
Lesioni multiple T1G2
Qualsiasi lesione T1G3
Qualsiasi CIS
Rischio intermedio
Alto rischio
TRATTAMENTO
Gli obiettivi principali del trattamento del
Carcinoma superficiale della vescica sono illustrati nella tabella seguente (Tab. 3).
La resezione endoscopica e/o la terapia endovescicale sono trattamenti cui vengono abitualmente sottoposti pazienti con questa patologia.
Pertanto, il gold standard terapeutico consiste
nell’asportazione della neoplasia primitiva e nel
prevenire le recidive e la progressione di malattia
(3). L’analisi combinata di 2596 pazienti che
hanno partecipato a sette trials EORTC ha evidenziato che per la recidiva i più importanti fattori di
rischio sono il numero dei tumori, la loro dimensione e il tempo della prima recidiva (se ≤ 1 per
anno o > 1 per anno), mentre per la progressione
hanno importanza prognostica la categoria T, il
grado e la presenza o meno di focolai di carcino-
Frequenza
Probabilità di
recidiva a 5 anni
Probabilità di
progressione
11.5%
20%
< 1% (a 10 anni)
44.6%
70%
5-10% (a 10 anni)
43.9%
60%
50% (a 5 anni)
ma in situ (Cis). È stato ampiamente dimostrato
che la terapia endovescicale ha un’efficacia reale
nella riduzione della recurrence-rate e nell’aumento del tempo libero da malattia.
Le linee guida dell’European Association of
Urology (2) considerano idonei i seguenti comportamenti terapeutici dopo TURB ed early-treatment single-dose:
– nessun ulteriore trattamento per i bassi rischi
– trattamento adiuvante con chemioterapici o con
Bacillus Calmette-Guerin (BCG) nei rischi intermedi
– trattamento adiuvante e di mantenimento con
BCG negli alti rischi (3).
Molti studi hanno dimostrato che la somministrazione endovescicale di BCG, dopo la TURB
del tumore, riduce significativamente il rischio di
recidiva e prolunga il periodo “disease-free”.
Tuttavia nel 30-35% dei pazienti con carcino-
Tab. 2 – Fattori di rischio di progressione e recidiva
Età
Sesso
Dimensione del tumore + grande
Numero di tumori
T (stadiazione TNM)
Grado- G
Primario/recidiva
Tempo dalla diagnosi
Tasso di recidiva precedente
Trigono
Orifizio ureterale
Parete
Anteriore (parete)
Posteriore (parete)
Cupola
Collo
Prima cistoscopia
% cistoscopia positiva
*
0
0
0
0
+
0
+
0
0
0
0
+
0
0
0
0
0
E
*
0
0
+
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
S
*
0
+
+
0
0
0
0
+
0
+
+
0
D
*
0
0
+
0
+
+
0
+
+
+
+
+
+
+
N
*
+
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
T
*
0
0
0
0
0
0
0
0
+
+
+
G
*
*
*
+
0
+
+
+
+
+
+
P
*
0
0
0
0
0
+
0
T
*
0
0
0
0
0
0
0
+
+
T
*
0
0
+
+
+
+
0
+
T
*
0
0
0
0
0
O
*
0
0
0
0
+
+
P
*
+
+
0
+
0
A
*
+
+
+
+
P
*
+
+
+
C
*
0
+
C
*
+
P
*
%
+: correlazione positiva significativa (P<0.05); - : correlazione negativa significativa (P<0.05); 0: nessuna correlazione.
Le lettere corrispondono alle lettere iniziali dei singoli fattori di rischio considerati, in ordine di progressione.
Vari S.,Papa A., Basso E., et al. – Trattamento del carcinoma superficiale della vescica
Tab. 3 – Obiettivi principali nel carcinoma della
vescica superficiale
Tempo alla prima recidiva
Tasso di recidiva per anno
Tasso di recidiva per anno considerando la prima
cistoscopia di follow-up al tempo zero
Recidiva alla prima cistoscopia di follow-up a 3
mesi
Tasso di tumore per anno
Tempo all’invasione muscolare (progressione ≥T2)
Sopravvivenza-morte per altra causa
Morte dovuta a patologia maligna
ma superficiale della vescica il BCG risulta inefficace per:
– intolleranza: recidiva o persistenza di malattia
per inadeguato trattamento;
– resistenza: presenza di malattia alla prima cistoscopia di controllo (3 mesi) dall’inizio della
terapia;
– refrattarietà: persistenza della malattia a 6 mesi
dall’inizio della terapia;
– “relapse”: recidiva dopo iniziale risposta.
TRATTAMENTO CHIRURGICO NEL
CARCINOMA SUPERFICIALE DELLA
VESCICA (TA, TIS, T1)
159
mapping. Le lesioni con un aspetto non francamente papillare, solide a larga base di impianto
vanno resecate in profondità per valutare l’eventuale infiltrazione della tonaca muscolare. Dopo
la TURB, a distanza almeno di 10-15 giorni va eseguita una citologia urinaria per mettere in evidenza un’eventuale malattia residua.
Oltre le dimensioni del tumore grande importanza per il trattamento risulta averla il grading.
Generalmente, tumori papillari superficiali di
grado istologico ben differenziato (G1) o moderatamente differenziato (G2) beneficiano solo della
sola TURB; in effetti, tali neoplasie se singole, non
recidive, di diametro inferiore a 2 cm e in assenza
di aree di displasia o di CIS hanno un basso
rischio di recidiva e di progressione, pari al 2%.
Per i tumori papillari superficiali ad alto grado di
malignità (G3) la TURB non rappresenta l’atto
terapeutico definitivo, infatti queste forme tumorali per l’elevata percentuale di recidiva, associata in un terzo dei casi a progressione, e per la frequenza di malattia residua dopo resezione endoscopica, richiedono un trattamento farmacologico
locale, che assume finalità adiuvante e terapeutica. La TURB rappresenta ovviamente un trattamento chirurgico altamente conservativo e minimamente invasivo per i pazienti affetti dal carcinoma della vescica di tipo superficiale, ma presenta vari rischi e possibili complicanze anche
tardive, tra queste: lesioni dell’uretra, emorragia,
perforazione vescicale extraperitoneale o intraperitoneale, lesioni degli osti ureterali, Sindrome da
riassorbimento, ematuria, ritenzione urinaria,
idroureteronefrosi, reflusso vescico-ureterale, stenosi dell’uretra, infezione urinaria.
TRATTAMENTO FARMACOLOGICO
La terapia chirurgica del tumore della vescica
superficiale si avvale di 3 diverse metodiche, che
prevedono la resezione endoscopica trans-uretrale (TURB) (4), la folgorazione o la laserterapia.
La resezione endoscopica trans-uretrale rappresenta il trattamento standard per il tumore
primitivo della vescica.
Dopo l’intervento si lascia un catetere in sede
per 24-48 ore, al fine di controllare l’aspetto dell’urina ed evitare la sovradistensione vescicale a
causa di una ritenzione da coaguli, con rischio di
ulteriore sanguinamento. Si esegue inoltre una
cistoclisi continua con soluzione fisiologica sterile.
La resezione può essere completa o parziale, a
seconda del numero, dell’aspetto e delle dimensioni delle neoformazioni stesse; ovviamente un
tipo di resezione completa avrà un intento di tipo
terapeutico mentre una resezione parziale avrà
un valore maggiormente diagnostico e stadiante.
Infatti nel corso della TURB vanno rimosse tutte
le lesioni visibili, vanno eseguite biopsie sulle
aree sospette, ed eventualmente eseguito un
Pazienti a basso rischio: Ta G1, unica lesione
Secondo le linee guida europee, il paziente
deve essere sottoposto a resezione transuretrale
della neoplasia (TURB) e, nel caso in cui all’analisi anatomo-patologica si riveli la presenza di una
lesione con caratteristiche di basso rischio, il
paziente può essere sottoposto ad instillazione
endovescicale precoce di chemioterapico entro 6
ore dalla resezione (4). Tra gli agenti chemioterapici, la mitomicina C e l’epirubicina sono i più utilizzati (5-8), ma recentemente sono state proposte
anche altre molecole per un uso intracavitario con
finalità adiuvanti (Tab. 2).
Pazienti a rischio intermedio: Ta-T1, G1-G2,
multifocali, recidivi
Secondo le linee guida europee, dopo la
TURB, è necessario eseguire un trattamento adiuvante con chemioterapici (Mitomicina C, epirubicina o adriblastina) (7) per 6-8 settimane seguite
da terapia di mantenimento; dopo eventuale reci-
160
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
diva di malattia, successivamente a una nuova
TURB, è indicato il trattamento endovescicale con
BCG per 6 settimane consecutive seguite da terapia di mantenimento (9).
Nessun chemioterapico attualmente ha
mostrato una superiorità in termini di efficacia e
lo schema di instillazione ottimale, settimanale o
bisettimanale, resta tuttora da definire (Malmstrom et al, 1999; Malmstrom, 2000).
Tuttavia secondo le linee guida americane
NCCN nel rischio intermedio il BCG potrebbe essere preferito ai chemioterapici, anche se non è ancora del tutto chiaro se ci sia un vantaggio dell’uno
rispetto all’altro in termini di sopravvivenza (6).
Tuttavia, i vantaggi della terapia adiuvante
con chemioterapici nei pazienti con rischio intermedio di recidiva sembrano limitarsi al breve termine senza influenzare minimamente la riduzione del rischio di progressione (4). In caso di fallimento terapeutico del trattamento di prima linea,
come farmaco di seconda linea, nei carcinomi
uroteliali a rischio intermedio, può essere consigliato l’utilizzo di immunoterapia con Bacillus
Calmette-Guerin, anche se gli importanti effetti
collaterali dovuti a terapia con BCG comportano
problemi sulla compliance del piano terapeutico
da parte del paziente. Da qui nasce la necessità di
valutare l’efficacia e lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche alternative a quelle attuali, quale
l’utilizzo della gemcitabina nel trattamento dei
carcinomi uroteliali a rischio intermedio (10).
La gemcitabina è un antimetabolita pirimidinico, attivato all’interno della cellula per fosforilazione nei nucleotidi attivi bi-trifosfato. L’effetto
citotossico del metabolita finale è dovuto alla sua
incorporazione nei siti C dell’elica del DNA in
costruzione, che comporta il blocco della sintesi
del DNA stesso (11).
La gemcitabina somministrata per via sistemi-
ca ha dimostrato, come agente singolo, un’attività
significativa nei confronti del carcinoma vescicale
invasivo (Tab 5); inoltre, rappresenta un farmaco
ideale per la somministrazione endovescicale sia
per l’elevata solubilità, che ne favorisce l’assorbimento attraverso la mucosa, sia per il peso molecolare >200 Dalton che ne impedisce l’assorbimento plasmatico e permette al farmaco di penetrare
attraverso la mucosa vescicale con efficace attività
nei confronti della neoplasia ed allo stesso tempo
prevenire l’assorbimento sistemico (12-13).
STUDI CLINICI SULL’IMPIEGO DELLA
GEMCITABINA NEL TRATTAMENTO DEL
CARCINOMA SUPERFICIALE DELLA
VESCICA REFRATTARIO AL BCG (Tab. 5)
Una meta-analisi di Sylvester et al. (14) ha dimostrato come una immediata instillazione endovescicale di chemioterapico riduca significativamente, in
pazienti con carcinoma della vescica stadio Ta-T1, il
rischio di recidiva dopo la TURB. In questi pazienti il rischio di recidiva risulta essere del 62,2% nelle
lesioni singole e del 35,8% nelle lesioni multiple:
quindi una singola instillazione non è sufficiente.
Per questi pazienti dovrebbe quindi essere necessario un ulteriore trattamento con instillazioni endovescicali per 4-8 settimane (15).
Anche lo studio di Campodonico et al., condotto su 9 pazienti, con rischio intermedio-alto,
sottoposti a TURB dopo recidiva, pretrattati con
chemioterapici, mostra come un immediato trattamento con singola dose di gemcitabina (2000
mg in 50 cc di soluzione fisiologica), dopo TURB,
comporti un buon profilo di tollerabilità, che ne
prospetta un possibile impiego futuro nell’earlytreatment (16-18).
Nello studio di fase II di Gotero et al., sono
stati inclusi 39 pazienti con neoplasia vescicale di
Tab. 4 – Confronto tra diversi agenti intravescicali
Agente
PM
Cistite
Altre tossicità
580
Uso
Gruppo
peri-op di rischio
Si
Basso-Interm
Adriamicina
20-40%
Epirubicina
580
Si
Basso-Interm
10-30%
Thiotepa
189
Si
Basso-Interm
10-30%
Mitomicina C 334
Si
Basso-Interm
30-40%
Gemcitabina
300
Si
Basso-Interm
Grado lieve
BCG
N/D
No
Interm-Alto
60-80%
Febbre,Allergia
Circa 5%
Raramente vescica
contratta
Mielo soppressione
8-19%
Rash 8-19%
Vescica contratta
Occasionalmente
nausea
Infez. Serie 5%
Interferone
Circa
23000
No
Salvataggio?
<5%
Sindrome
influenzale20%
Dropout Concentrazione
2-16%
50mg/50cc
3-6%
50mg/50cc
2-11%
30mg/30cc
2-14%
40mg/20-40cc
<10%
5-10%
2gr/50-10cc
1 f 50cc
Rari casi 50-100MU/50cc
Vari S.,Papa A., Basso E., et al. – Trattamento del carcinoma superficiale della vescica
161
Tab. 5
Casistica
Bartoletti
(Urology 2005)
Sottogruppo
n=40
Conti
(SIUrO 2006)
Sottogruppo
n=52
Stadio
n=24
(rischio intermedio)
Rischio intermedio
n=16
(alto rischio: T1G3, CIS)
n=23 CIS
n=3 T1+CIS
n=3 TaG3
n=3 non resecato
completamente
Posologia
Settimanale +
mantenimento a 3 anni
Settimanale
no mantenimento
Bisettimanale x 6
(tamponata)
no mantenimento
Effetti
collaterali
19%
(12% urgenza,
5% capogiri e lieve
febbre 0,8% dolore
addominale severo),
sospensione in 2 pz
20%
3 G2 disuria,
(4/68 tossicità sistemica 6 G3 disuria
non ematologica,
(30%)
4/48 tossicità locale,
8/68 sospese)
Febbre n=7
G2 disuria n=27
G3 disuria n=3
(90%?)
Follow-up
13,6 mesi
(minimo 12 mesi)
20 mesi (mediana)
12 mesi
28 mesi
50% CR (a 3 mesi)
79% Rec
(mediana 3,6 mesi)
3,5% Progr (ad 1 anno)
95% NED (a 6 mesi)
21/23 alto rischio
17/17 rischio medio
0% Progr
Recidiva
32,5 %
70,5% NED
Progressione (25% rischio intermedio, 4,5% PR
42% alto rischio)
rischio medio-basso; tutti sono stati pretrattati
con chemioterapia o BCG. Lo studio prevedeva la
resezione tramite TURB di tutte le lesioni endovescicali tranne 1 lesione che veniva considerata un
target per valutare la risposta al successivo trattamento. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a terapia locale con gemcitabina, ad una concentrazione di 40 mg/ml (2000 mg in 50 ml di soluzione
salina), una volta alla settimana per 6 settimane.
Dai risultati ottenuti si evidenzia una risposta
completa in 22 pazienti su 39 (59%) e non si è
osservata una progressione di malattia nei 17
pazienti non-responders. È stato possibile quindi
dimostrare in questo studio una reale attività citoriduttiva della gemcitabina nei carcinomi della
vescica superficiali a rischio intermedio (20).
Bartoletti et al. (21), hanno eseguito uno studio
su 116 pazienti a rischio intermedio-alto che presentavano una recidiva dopo un precedente trattamento con chemioterapia o BCG. Questi pazienti sono stati sottoposti a nuova TURB e successivamente a instillazioni settimanali per 6 settimane di
gemcitabina 2000 mg, per valutare la tollerabilità e
l’efficacia del trattamento chemioterapico.
Per quanto riguarda la tollerabilità, il 12% dei
pazienti hanno riferito urgenza alla minzione
Dalbagni
(JCO 2006)
n=30
Gunelli
(BJ Cancer 2007)
n=40
T1 90%; G3 42%
Bisettimanale x 6
(non tamponata)
no mantenimento
durante la prima instillazione. Il 5,1% dei pazienti trattati hanno presentato vertigini e leggera febbricola (<38°C) solamente durante la prima instillazione, che è stata risolta senza uno specifico
trattamento. Tossicità importanti si sono manifestate solamente in due pazienti, di cui un paziente (0,8%) con dolore addominale di grado severo
e lesioni ulcerate nella mucosa vescicale visibili
alla cistoscopia, ed un altro paziente con parosmia. Questi 2 pazienti hanno sospeso il trattamento. I restanti 94 (81,3%) pazienti non hanno
riportato effetti collaterali locali durante tutta la
durata del ciclo di trattamento.
Dopo un anno di follow-up, 29 pazienti
(25,43%) hanno presentato una recidiva dopo
circa 7 mesi dalla TURB; 85 pazienti (74,57%)
erano liberi da malattia.
I risutati di questo studio hanno confermato la
buona tollerabilità e l’efficacia della gemcitabina
intravescicale usata nella profilassi delle recidive
dopo TURB (21).
PAZIENTI A RISCHIO ALTO: T1G3, CIS
La TURB per questi pazienti è altamente raccomandata per prevenite la possibile progressio-
162
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
ne della malattia. La terapia adiuvante consiste
nel trattamento mediante instillazioni endovescicali con BCG, al quale però molte neoplasie a
rischio intermedio o alto si sono rivelate refrattarie. Nello studio di Bartoletti et al. è stato evidenziato che la gemcitabina è in grado di recuperare
il 75% dei pazienti a rischio intermedio refrattari
al precedente trattamento con BCG (22).
Dalbagni (23), in uno studio condotto su 30
pazienti con rischio alto di recidiva, ha mostrato
che il 50% dei pazienti trattati con gemcitabina ha
ottenuto risposte complete a 3 mesi.
Lo studio includeva pazienti con carcinoma
della vescica superficiale, refrattari o intolleranti
al trattamento con BCG, per i quali la cistoscopia
risultava raccomandata ma rifiutata. Dei 30
pazienti, 2 presentavano uno stadio Ta ad alto
grado di rischio, 14 uno stadio cis e 14 pazienti
stadio T1.
Ogni ciclo prevedeva la somministrazione
endovescicale di gemcitabina alla dose di 2000
mg/100 ml di soluzione salina, 2 volte alla settimana per 3 settimane consecutive, seguite da una
settimana di riposo. Il pH è stato tamponato da
5.5 a 7.0 mediante 8,4% di bicarbonato di sodio
per ogni 1000 mg di gemcitabina somministrata.
I pazienti sono stati poi valutati alla fine di 8 settimane. Ai pazienti che non presentavano una risposta è stata raccomandata la cistectomia radicale.
Per quanto riguarda i risultati, di 30 pazienti,
15 hanno mostrato una risposta completa al trattamento bisettimanale di gemcitabina; 7 pazienti
hanno presentato risposte parziali; 8 pazienti non
hanno mostrato risposta al trattamento (23-24).
Nonostante i risultati ottenuti da questo studio,
il trattamento endovescicale con gemcitabina nei
pazienti con CVS ad alto rischio non è stato ancora
approvato come trattamento di prima linea.
Cai et al hanno dimostrato in uno studio condotto su 18 pazienti che, somministrando la gemcitabina in early-treatment nei tumori pT1G3, si
aumenta l’efficacia del successivo trattamento
con BCG. Dei 18 pazienti, 11 non mostravano
malattia residua, 5 presentavano una malattia
residua di grado inferiore (3 pTaG2, 2 pT1G1),
mentre 2 mostravano una nuova recidiva di
pT1G3 (25).
Gunelli (26), in uno studio di fase II, ha valutato l’efficacia del trattamento con gemcitabina
bisettimanale, in 40 pazienti con CVS stadio Ta
G3, T1 G1-3, i quali avevano subito una TURB ed
erano refrattari al trattamento con BCG. La gemcitabina è stata somministrata a una dose di 2000
mg diluita in 50 ml di soluzione salina, nei giorni
1 e 3, per 6 settimane consecutive.
Dei 40 pazienti, 38 (95%) hanno mostrato una
risposta al trattamento, evidenziata da cistoscopia
negativa dopo 6 mesi di follow-up; i restanti 2
pazienti hanno recidivato dopo 5 e 6 mesi rispet-
tivamente. A 28 mesi di distanza, solo 14 pazienti
hanno evidenziato una recidiva (18).
Il trattamento bisettimanale di gemcitabina ha
evidenziato in questo studio una ridotta tossicità
locale e sistemica, senza alterazioni del profilo
biochimico.
In conclusione, il trattamento con instillazioni
bisettimanali di gemcitabina ha mostrato quindi
una reale efficacia nei pazienti con carcinoma
della vescica superficiali a rischio intermedio e
alto, refrattari al trattamento con BCG (21).
Recentemente Bassi et al. hanno riportato
un’esperienza su 9 pazienti affetti da CIS, refrattari al trattamento con BCG e trattati con gemcitabina (1000, 1250, 1500 mg) (27).
In questo studio 4 pazienti hanno dimostrato
una risposta completa al trattamento, con minimi
effetti collaterali locali o sistemici.
Bounedjar, in uno studio non pubblicato su 60
pazienti non pretrattati a rischio intermedio-alto
(pT1-cis) ha riportato una percentuale del 91,7%
di pazienti liberi da recidiva a 26 mesi di followup (28).
Fra gli studi pubblicati nel 2008, Mohanty ha
valutato l’efficacia e la tollerabilità del trattamento con gemcitabina in 35 pazienti con carcinomi
della vescica superficiali refrattari a BCG. La gemcitabina è stata instillata alla dose di 2000 mg in 50
ml di soluzione salina, 2 settimane dopo la resezione del tumore, per 6 settimane consecutive. A
distanza di 18 mesi, i risultati ottenuti sono stati: 21
pazienti con assenza di recidiva, 11 pazienti con
recidiva superficiale, mentre 3 pazienti hanno
mostrato una progressione di malattia, con invasione dello strato muscolare (29).
Infine lo studio di L. Montella et al. (30) del
2008, confronta l’efficacia e la tossicità della gemcitabina con la Mitomicina nei pazienti con carcinoma della vescica superficiale recidivante.
Questo studio ha arruolato 120 pazienti con stadio Ta-T1, G1-G2, recidivati dopo trattamento con
chemioterapia o BCG, questi pazienti sono stati
randomizzati in 2 gruppi: un gruppo è stato trattato con 6 cicli settimanali di instillazioni con
gemcitabina (2000 mg in 50 ml di soluzione salina) e l’altro con 4 cicli settimanali di Mitomicina
(40 mg). Tutti i pazienti sono stati poi valutati
ogni 6 mesi tramite cistoscopia.
Nel gruppo dei pazienti trattati con gemcitabina, 42 (78%) sono rimasti liberi da recidiva, in
confronto ai 37 (67%) pazienti del gruppo trattati
con Mitomicina. 10 pazienti di quest’ultimo gruppo e 6 del gruppo di trattamento con gemcitabina
hanno mostrato progressione di malattia. La tossicità locale si è dimostrata accettabile in entrambi i gruppi di trattamento, ma il rischio di cistite
chimica è stato evidenziato essere molto più elevato nei pazienti trattati con Mitomicina rispetto
ai pazienti trattati con gemcitabina.
Vari S.,Papa A., Basso E., et al. – Trattamento del carcinoma superficiale della vescica
Questo studio dimostra quindi come la terapia
intravescicale con gemcitabina risulta efficace e
meglio tollerata rispetto al trattamento con
Mitomicina nei pazienti con carcinoma vescicale
superficiale refrattario (30).
CONCLUSIONI
Il trattamento adiuvante successivo alla TURB
nel carcinoma superficiale della vescica è ormai
indicato in quasi tutte le forme tumorali non invasive, anche soltanto con una singola instillazione
delle forme a basso rischio.
Negli ultimi anni la gemcitabina è stata valutata, in un numero sempre maggiore di studi,
163
come terapia efficace nei pazienti refrattari ai trattamenti standard con BCG o chemioterapici; la
sua tossicità si è rivelata essere minima e ben tollerata dal paziente. La sua elevata efficacia nel
ridurre il rischio di recidiva locale ha determinato il ridursi della necessità di ricorrere alla cistectomia totale, soprattutto nel paziente anziano con
neoplasia a rischio intermedio-basso.
Ulteriori studi saranno necessari per valutare
l’efficacia della gemcitabina anche negli alti rischi
e soprattutto per determinarne l’efficacia come
trattamento adiuvante dopo la prima TURB,
soprattutto mediante studi di confronto con BCG
e gli altri chemioterapici.
164
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
BIBLIOGRAFIA
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Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto 165
VITA AGLI ANNI
a cura di:
Sabatini D.
LA SINDROME DA SRADICAMENTO.
SULL’ABITUDINE (Review aneddotica)
Background
Diversamente dalle review sistematiche, quelle
aneddotiche hanno riferimenti bibliografici molto
approssimativi, il più spesso citati a mente o ripresi da fonti non controllate; sono costruite attorno ad un’idea molto solida dell’autore che la sostiene con numerose affermazioni di contorno,
per dimostrare che alla fine, ovviamente, tutto
conferma il suo pensiero.
L’inizio della ricerca fu il grido di dolore soffiato
da FADOI (Messaggero e Avvenire) che raccontava “l’ansia da dimissione” dall’ospedale che colpisce soprattutto gli anziani. Secondo FADOI gli
anziani vedrebbero sempre di più nell’ospedale e
nella possibilità di rimanervi a lungo “l’unica
spiaggia sicura rispetto ad una vita che, al di
fuori, sarebbe caratterizzata da un’estrema solitudine e mancanza di cure”.
La risposta di Salvioli (Bollettino SIGG, numero 6,
2005), che ricordava (a chi non sapeva nulla e non
voleva sapere) 20 anni di cultura gerontologicogeriatrica, mi sollecitò un’idea dal titolo irriverente “Ipotesi di scemenza: lo sradicamento dall’ospedale”.
Per fortuna conservo ancora la forza di desistere
anche dall’ironia.
Il processo di abbandono del proprio setting fisico
e di adattamento a uno nuovo con tutte le patologie da sradicamento l’ho trovato scritto da un
architetto, più chiaro e concreto di qualunque psicologo (PIERA SCURI: Cultura e percezione dello
spazio, Ed. Dedalo, 1990).
Stefano Mistura scrisse la prefazione a “… e divento sempre più vecchio” di Alberto Spagnoli.
Parte della pagina 21 è dedicata alle abitudini, che
l’autore rimanda alla “immobilità crescente della
persona anziana”.
Le citazioni sono prese da appunti biascicati e dai
mille web di aforismi che sbagliano le frasi e i riferimenti.
Wilde, De Beauvoir, Mantegazza sono gli unici ad
essere conosciuti direttamente dalla fonte.
Abstract
Il distacco dalla propria casa, dalla propria terra è
causa di piccoli fastidi o di acutissimo dolore. Nelle
forme più gravi si parla di “sindrome da sradicamento”. Essa colpisce chi ha più profonde le radici
con il luogo, in genere i bambini e gli anziani.
Il vecchio, allontanato improvvisamente dalla sua
casa e collocato in altro ambiente, subisce un trauma che può mettere in crisi le sue possibilità di
sopravvivenza.
Ricerche di autori del nord-America sul fenomeno
della “rilocazione” in persone anziane mostrarono un drammatico incremento della mortalità e
delle malattie.
I medici s-e-n-s-i-b-i-l-i conoscono bene il tema e
lo ripropongono ogni volta che viene ricoverato in
ospedale un anziano con sintomi disturbanti, per
dire che, se restava a casa, il paziente sarebbe stato
meglio; e non solo lui.
Le cause della sindrome sono soprattutto attribuite nell’anziano ai deficit sensoriali, alle menomazioni fisiche, al decadimento psichico, che peggiorano le capacità di controllo sull’ambiente.
L’autore espone alcune osservazioni sulle abitudini, che in questo contesto esprimono una possibilità certamente marginale, ma in genere poco considerata.
Ai bambini bisogna insegnare tutto, tranne le abitudini (Rousseau). Da grandi, qualunque direzione prendesse l’abitudine, è sempre meglio seguire
quella opposta (sempre Rousseau).
Da grandi, l’abitudine entra talmente dentro la persona che diventa una seconda natura. Proust diceva che è più facile rinunciare ad un sentimento che
perdere un’abitudine. E poi - sempre Proust - che le
nostre facoltà si addormentano quando riposano
sui guanciali dell'abitudine.
L’abitudine - sanno tutti - distrugge l’amore, è la
sua tomba.
Per difendersi dall’abitudine Mark Twain, uomo
simpatico e prudente, sconsigliava di buttarla dalla finestra; trovava più efficace sospingerla giù
per le scale, un gradino alla volta.
Paolo Mantegazza elogiò in tutti i modi la vecchiaia, e comprese che molti comportamenti del
vecchio sono in realtà le sue difese. Per esempio le
abitudini.
166 Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
“Il vecchio è abitudinario e gode nel fare le stesse
cose alle stesse ore, rivedere le stesse persone allo
stesso tavolino del caffè, trovare al mattino sullo
scrittoio ogni cosa all'usato posto. Dall'ordine delle cose e del tempo egli trae un inconscio augurio,
che anche in lui le funzioni tutte camminino regolarmente, che il pendolo misuri esattamente l'ordine dei suoi piaceri, delle sue occupazioni. Il vecchio non ama le sorprese, perché sono per lui urti
improvvisi, che gli danno una scossa troppo forte.
Ama invece il ripetersi preciso delle stesse cose
alle stesse ore; e quando l'appetito, la sete, la voglia di fumare lo chiamano all'ora consueta e precisa, egli è felice di constatare la propria perfetta
armonia con le cose che lo circondano”.
Sulla stessa traccia Simone de Beauvoir che trovava
necessarie al vecchio tutte le abitudini, e poi routine,
automatismi, manie, perché nella loro prevedibilità
esse determinano sicurezza psicologica.
Stefano Mistura, medico psichiatra, legge nelle
abitudini del vecchio un bisogno biologico, capace di realizzare la “sicurezza ontologica”. Con
questa espressione rimanda ad Anthony Giddens,
quando descriveva l’“atteggiamento della maggior parte delle persone, che confidano nella continuità della propria identità e nella costanza dell’ambiente sociale e materiale in cui agiscono”.
Oppure, più probabilmente, a Ronald Laing, anche lui psichiatra, quando dice che “la sicurezza
primaria e ontologica stabilisce un forte senso identitario costituito dalla fiducia in se stessi e negli altri. Se questa fiducia risulta assente, l'aggressività può trasformarsi nell'unica modalità per
esprimere se stessi e per rassicurarsi sul proprio
modo di esistere e di essere”.
Dunque i vecchi uguali ai giovani e al resto del
mondo, anche nelle manifestazioni di aggressività, che sempre, da geriatri esperti, attribuiamo
al decadimento psichico e alla confusione.
E però, se il gesto abitudinario viene impedito,
l’ambiente perde la sua funzione contenitiva che
è così necessaria alla persona anziana.
Il finale è che il vecchio, per fondare la sua sicurezza ontologica, realizza un trasferimento affettivo dalle persone della famiglia, che cambiano umore e sentimenti ad ogni giro d’orologio, alle
cose e agli animali, che invece assumono un significato emotivo di riconoscimento stabile.
L’ambiente fisico viene investito di potenzialità
affettive e in quell’ambiente il vecchio vive stabilmente la sua vita quotidiana con le cose e gli animali.
Le persone rassicuranti, quando esistono, stanno
fuori dalla famiglia: il giornalaio, il negoziante, il
parrucchiere, che avranno mille difetti, ma nei
rapporti formali non tradiscono mai.
Fonti
Ovviamente tutte a mente.
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto 167
GERIATRIA NEL MONDO
a cura di:
Zanatta A.
SUPPLEMENTO DI VITAMINA D, MITO O
REALTÀ? (Dati da Review)
Introduzione
Qual'è l'effetto della supplementazione della vit.
D sulla mortalità ?
Materiali e Metodi
Sono stati valutati 18 RCTs, trials randomizzati e
controllati, basati sulla supplementazione di ergocalciferolo e cholecalciferolo versus placebo o controllo.
Outcome: mortalità per ogni causa.
Sono stati inclusi 57.311 pazienti, età dai 33 ai 106
anni, seguiti per 5,7 aa. Sono stati esclusi i pazienti in dialisi.
Il dosaggio medio di Vit. D è stato di 528 UI.
Risultati
Nei 18 trials ci sono state 4777 decessi.
In 18 trials il numero di eventi è passato dall'8,5%
all'8,2%, RRR (95% CI) del 7% (da 1 a 13), NNT
(CI) 169 (da 91 a 1178).
In 9 trials, con sufficiente potenza statistica la
metanalisi ha dimostrato che il numero di eventi è
passato dall'8,5% all'8%, RRR (95% CI) dell'8% (da
1 a14) NNT (CI) 147 (da 84 a 1171).
Conclusioni
Questo studio dimostrerebbe la prevenzione di
una morte ogni 150 persone trattate.
La riduzione del rischio relativo è dell'8%, quella
del rischio assoluto è assai più modesta.
Poiché il rischio di ipovitaminosi è rilevante, la
supplementazione potrebbe avere impatto significativo sia sulla morbilità che sulla mortalità per
ogni causa.
Infatti la carenza di vit. D potrebbe avere impatto
non solo sulla qualità dell'osso o sulla forza muscolare ma anche sul sistema cardiovascolare, su
alcuni tipi di tumori e sul diabete mellito tipo 2.
Probabilmente saranno necessari dosaggi di idrossi 25 vit. D elevati, da 800 UI a 1000 UI, usando supplementazione nei cibi.
Commento
Se questi dati fossero confermati bisognerebbe
fare una campagna di sensibilizzazione pubblica
per arrivare alla supplementazione dei latticini
con Vit. D.
In alcuni paesi stranieri sono state poste in atto,
già da anni, misure di tipo alimentare, alla stregua
dell'aggiunta dello Iodio nel sale.
Paradossalmente in Italia, il paese del sole, sono
presenti i più bassi livelli di vitamina D ematici.
I benefici della supplementazione potrebbero
essere elevati in quanto interesserebbero una
popolazione di milioni di anziani.
Autier P, Gandini S
Review: Vitamin D supplementation and total
mortality: a meta-analysis of randomized controlled trials.
Arch Intern Med 2007; 167: 17330-7.
168
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
CALENDARIO CONGRESSI
XX Congresso Nazionale S.I.G.Os
La Geriatria in una società che cambia
Bologna 22-23-24- Maggio 2008
Royal Hotel Carlton
Per informazioni:
Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma
Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598
E.mail: [email protected]
Congresso Interregionale
Lazio-Abruzzo/Molise-Marche
Roma 10-11 Ottobre 2008
Per informazioni:
Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma
Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598
E.mail: [email protected]
Congresso Regionale S.I.G.Os Sez. Sardegna
Percorsi di cura in geriatria.......
Sassari 14 Giugno 2008
Hotel Il Vialetto
Per informazioni:
Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma
Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598
E.mail: [email protected]
XI Convegno Nazionale Geriatrico
“DottoreAngelico”
La Geriatria governo della comorbidità e...
Aquino 16 Ottobre 2008
Chiesa Madonna della Libera
Cassino 17-18 Ottobre 2008
Palagio Badiale Corte
Per informazioni:
Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma
Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598
E.mail: [email protected]
3° Congresso Nazionale
Invecchiamento tra successo e fragilità:
problemi genetici, ambientali, predittivi e
organizzativi
Roma 23-25 Giugno 2008
Per informazioni:
Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma
Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598
E.mail: [email protected]
XXI Congresso Nazionale S.I.G.Os
La Geriatria in una società che cambia
Verona 21-23 Maggio 2009
Per informazioni:
Congress Line • Via Cremona, 19 - 00161 Roma
Tel. 0644241343 - 0644290783 Fax 0644241598
E.mail: [email protected]
5th Congress of the EUGMS - Geriatric
Medicine in a time of generational shift
Copenhagen Denmark 3-6 Settembre 2008
Per informazioni:
Susanne van der Mark
Tel. +45 29445898
web site: www.eugms2008.org
World Congress Gerontology
Parigi 5-11 Luglio2009
Per informazioni:
www.iag-er.org
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto 169
COMUNICATO AI SOCI
RELAZIONE SULL’ATTIVITÀ DELLA S.I.G.O.s. PER L’ANNO 2008
Carissimo,
nei giorni 22-23-24 Maggio, si è svolto a Bologna il XX Congresso Nazionale della nostra Società, presieduto dal Dott. Vincenzo Pedone.
Il Congresso ha riscosso un ottimo successo.
***
È stata pubblicata la IV Edizione del Volume “Guida al Trattamento e alla Gestione delle Malattie
Geriatriche” di Palleschi e Zuccaro.
L’opera è stata sottoposta ad una profonda revisione e ad un sostanziale aggiornamento. Alcuni capitoli
(la malattia di reflusso, la frattura del femore nell’anziano) compaiono per la prima volta in questa edizione.
Abbiamo ritenuto opportuno indire una campagna di promozione, riducendo per i soci del 50% il prezzo dell’opera (cinquanta euro) affinché il più ampio numero dei nostri associati acquisisse questo nostro testo di riferimento.
***
Il XXII Seminario Nazionale si è svolto a Castelbrando (Cison di Valmarino, TV) nei giorni 27-28 Settembre
2008, sotto la Presidenza del Dott. Gianfranco Conati, primario geriatra dell’Ospedale di Belluno.
Sono stati affrontati i più importanti temi di oncologia geriatrica.
***
Nei giorni 21-22-23 Maggio 2009, a Verona, avrà luogo il XXI Congresso Nazionale. Mi sto adoperando
con il massimo impegno affinché tutto venga organizzato al meglio. Confido in una tua opera di sensibilizzazione presso i colleghi del tuo reparto.
***
Prosegue l’attività di coordinamento delle Sezioni Regionali da parte del prof. M. Palleschi (rappresentante del Consiglio Direttivo Nazionale) e del dott. Antonello Colameo (referente dei Presidenti di Sezione Regionale).
Prendo l’occasione per rinnovare la raccomandazione alle sezioni regionali di essere puntuali con la scadenza dei mandati e di favorire la candidatura di colleghi veramente disponibili ad operare per far crescere la
Geriatria nella propria regione e per un efficace proselitismo a favore della S.I.G.Os.
I convegni Regionali avranno l’obiettivo e l’occasione di coinvolgere e valorizzare i geriatri della medesima regione e sezione.
Nel giorno 8/11/08 vi è stato a Varese il Congresso Regionale della Sezione Lombarda, sotto la presidenza del Dott. Giuseppe Galetti. In questa occasione si sono svolte le elezioni per il rinnovo del Consiglio Direttivo
Regionale. Era presente, come rappresentante del Consiglio Direttivo Nazionale, il Presidente onorario Prof.
Massimo Palleschi.
***
Nei giorni 9-10 Febbraio 2009 si è svolto a Roma il 2° Corso Nazionale di Oncogeriatria, sotto la presidenza dei Prof. S.M. Zuccaro e L. Repetto.
***
Nei giorni 8-9 Ottobre 2009 si terrà a Reggio Emilia il XXIII Seminario Nazionale della nostra Società,
sotto la presidenza del Dott. Ferrari, primario Geriatra dell’Ospedale di Reggio Emilia e Presidente della sezione
Emilia-Romagna.
Ricordo che il Seminario, pur avendo una diffusione meno vasta del Congresso, ha per la nostra Società
un significato rilevante e peculiare.
Infatti ha la caratteristica di mettere sul tappeto un tema di fondo della Geriatria (Il futuro della Geriatria,
Confronto tra Geriatria e Fisiatria, ecc.) che viene affrontato più con una discussione aperta che con le classiche relazioni.
***
Dal 16 al 18 Ottobre 2008 si è svolto ad Aquino-Cassino, l’XI Convegno Nazionale Geriatrico “Dott.
Angelico”, promosso e presieduto, con la sua consueta passione e maestria, dal prof. Luigi Di Cioccio. Il
Convegno ha avuto un grande successo.
***
Ti sarei molto grato, se potessi provvedere con sollecitudine alla corresponsione della quota sociale.
Mi scuso molto, ma credimi, le difficoltà inerenti a realizzare un’ottima efficacia gestionale della nostra
associazione comprendono anche l’aggiornamento del censimento dei nostri Associati.
Ti invio i saluti più affettuosi, con la speranza di poterti abbracciare personalmente a Verona.
Luigi G. Grezzana
170
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
S.I.G.Os.
BILANCIO CONSUNTIVO 2008
ENTRATE
Previsione 2008
Consuntivo 2008
Titolo I
Entrate contributive associative
E 40.000,00
E 28.050,00
E 25.000,00
E 15.454,08
E 10.000,00
E 15.000,00
E
E
Titolo II
Altre entrate
a) Attività congressuali e corsi
b) Contribuzione Giornata Nazionale
per l'Alzheimer - FNP-CISL NAZIONALE
c) Varie
Titolo III
Entrate patrimoniali e riscossioni crediti
a) Liquidità in c/c della Società 2008
b) Interessi attivi 2008
E 30.610,61
E
150,00
E 26.851,94
E
45,03
Titolo IV
Assunzioni prestiti (mutui) varie
E
0,00
E
Titolo V
Donazioni Prodotti Formenti
E
0,00
E 30.000,00
Titolo VI
Partite di giro
Totale entrate 2008
------------------E 120.760,61
1.500,00
0,00
0,00
E
0,00
------------------E 101.901,05
===========
===========
E 26.851,94
Liquidità in c/c della Società al 31/12/2008
USCITE
Previsione 2008
Consuntivo 2008
Titolo I
Cat. I
Spese per organi direttivi
a) Presidenza
b) Consiglio
c) Giunta Esecutiva
d) Revisiori dei Conti
e) Assemblea Soci
E 19.000,00
E 4.000,00
E 7.000,00
E 3.000,00
E 2.000,00
E 3.000,00
E 12.445,90
E 1.750,98
E 1.812,72
E
830,20
E 5.169,00
E 2.883,00
Cat. II
Spese per lo svolgimento dei compiti istituzionali
a) Rivista “Geriatria” soci in regola
b) Stampa Opuscoli
c) Spese Postali
d) Spese Telefoniche
e) Sito S.I.G.Os. internet
f) Varie
E 29.000,00
E 16.000,00
E 3.000,00
E 2.000,00
E 3.000,00
E 4.000,00
E 1.000,00
E 17.231,85
E 10.160,00
E
0,00
E 3.591,00
E
0,00
E
875,00
E 2.605,85
Cat. III
Spese per i compiti scientifici, di aggiornamento, di imaging
a) comunicazioni e diffusione immagine e ruolo della Geriatria
b) Gruppi di Lavoro e di Studio
c) Rappresentanze Nazionali, Interregionali, Regionali
d) Organizzazione Giornata Nazionale per l'Alzheimer
E 34.760,61
E 8.760,61
E 8.000,00
E 8.000,00
E 10.000,00
E 32.139,73
E 1.001,81
E 29.493,62
E 1.644,30
E
0,00
Cat. IV
Spese segreteria S.I.G.Os.
a) Segreteria Fiduciaria
b) Varie
E 20.000,00
E 19.000,00
E 1.000,00
E 19.200,00
E 19.200,00
E
0,00
Cat. V
Spese non classificate in altre voci
a) Contabilità
b) Oneri contributivi
E
E
E
E
E
E
6.000,00
3.000,00
3.000,00
1.872,00
1.872,00
0,00
Spese in conto capitale
Titolo II
Cat. VI
Acquisizione beni patrimoniali
a) Accensione mutuo per eventuale Sede
Cat. VII
Acquisizione dei beni di uso durevole
a) Computer ed informatizzazione
Titolo III
Cat. VIII
Spese aventi natura di giro
Previsione 2008
8.000,00
8.000,00
E
E
0,00
0,00
E
E
4.000,00
4.000,00
E
E
0,00
0,00
E
0,00
E
------------
Totale uscite previste 2008
Consuntivo 2008
E
E
E 120.760,61
========
-----------E 82.889,48
========
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto 171
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La rivista GERIATRIA prende in esame per la pubblicazione articoli contenenti argomenti di geriatria. I
contributi possono essere redatti come editoriali, articoli originali, review, casi clinici, lettere al direttore.
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Non saranno presi in considerazione gli articoli che non
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inviato per la pubblicazione ad altra rivista, e non è
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hanno progettato e condotto e di aver partecipato alla
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cui approvano i contenuti.
Dichiarano inoltre che la ricerca riportata nel loro lavoro è stata eseguita nel rispetto della Dichiarazione di
Helsinki e dei Principi Internazionali che regolano la
ricerca sugli animali”.
Gli Autori accettano implicitamente che il lavoro venga
sottoposto all’esame del Comitato di Lettura. In caso di
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ritardo, la Redazione della rivista potrà correggere d’ufficio le bozze in base all’originale pervenuto.
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Gli articoli scientifici
possono essere redatti nelle seguenti forme:
editoriale. Su invito del Direttore, deve riguardare un
argomento di grande rilevanza in cui l’Autore esprime
la sua opinione personale. Sono ammesse 10 pagine di
testo dattiloscritto e 50 citazioni bibliografiche.
articolo originale. Deve portare un contributo originale
all’argomento trattato. Sono ammesse 14 pagine di testo
dattiloscritto e 80 citazioni bibliografiche. L’articolo
deve essere suddiviso nelle sezioni: introduzione, materiali e metodi, risultati, discussione, conclusioni.
Nell’introduzione sintetizzare chiaramente lo scopo
dello studio. Nella sezione materiali e metodi descrivere in sequenza logica come è stato impostato e portato
avanti lo studio, come sono stati analizzati i dati (quale
ipotesi è stata testata, tipo di indagine condotta, come è
stata fatta la randomizzazione, come sono stati reclutati e scelti i soggetti, fornire dettagli accurati sulle caratteristiche essenziali del trattamento, sui materiali utilizzati, sui dosaggi di farmaci, sulle apparecchiature non
comuni, sul metodo stilistico...). Nella sezione dei risultati dare le risposte alle domande poste nell’introduzione. I risultati devono essere presentati in modo
completo, chiaro, conciso eventualmente correlati di
figure, grafici e tabelle.
Nella sezione discussione riassumere i risultati principali, analizzare criticamente i metodi utilizzati, confrontare i risultati ottenuti con gli altri dati della letteratura, discutere le implicazioni dei risultati.
review. Deve trattare un argomento di attualità ed
interesse, presentare lo stato delle conoscenze sull’argomento, analizzare le differenti opinioni sul problema
172
Geriatria 2008 Vol. XX; n. 4 Luglio/Agosto
trattato, essere aggiornato con gli ultimi dati della letteratura. Sono ammesse 25 pagine di testo dattiloscritto e 100 citazioni bibliografiche.
caso clinico. Descrizioni di casi clinici di particolare
interesse, Sono ammesse 8 pagine di testo e 30 citazioni bibliografiche. L’articolo deve essere suddiviso nelle sezioni: introduzione, caso clinico, discussione, conclusioni.
Preparazione dei lavori
I lavori inviati devono essere dattiloscritti con spazio due, su una sola facciata (circa 28 righe per pagina)
e con margini laterali di circa 3 cm. Gli Autori devono
inviare 3 copie complete del lavoro (un originale e due
fotocopie) e conservare una copia dal momento che i
dattiloscritti non verranno restituiti. Le pagine vanno
numerate progressivamente: la pagina 1 deve contenere il titolo del lavoro; nome e cognome degli Autori; l’istituzione ove il lavoro è stato eseguito; nome, indirizzo completo di C.A.P. e telefono dell’Autore al quale
dovrà essere inviata ogni corrispondenza.
Nella pagina 2 e seguenti devono comparire un riassunto e le parole chiave in inglese; il riassunto deve
essere al massimo di 150 parole.
Nelle pagine successive il testo del manoscritto
dovrà essere così suddiviso:
introduzione, breve ma esauriente nel giustificare
lo scopo del lavoro.
materiali e metodi di studio: qualora questi ultimi
risultino nuovi o poco noti vanno descritti detta-gliatamente.
risultati.
discussione.
conclusioni.
Bibliografia: le voci bibliografiche vanno elencate e
numerate nell’ordine in cui compaiono nel testo e compilate nel seguente modo: cognome e iniziali dei nomi
degli Autori in maiuscolo, titolo completo del lavoro in
lingua originale, nome abbreviato della Rivista come
riportato nell’Index Medicus, anno, numero del volume,
pagina iniziale e finale. Dei libri citati si deve indicare
cognome e iniziali del nome dell’Autore (o degli Autori), titolo per esteso, nome e città dell’editore, anno,
volume, pagina iniziale e finale.
tabelle: vanno dattiloscritte su fogli separati e
devono essere contraddistinte da un numero arabo (con
riferimento dello stesso nel testo), un titolo breve ed una chiara e concisa didascalia.
didascalie delle illustrazioni: devono essere preparate su fogli separati e numerate con numeri arabi
corrispondenti alle figure cui si riferiscono; devono
contenere anche la spiegazione di eventuali simboli,
frecce, numeri o lettere che identificano parti delle illustrazioni stesse.
illustrazioni: tutte le illustrazioni devono recar
scritto sul retro, il numero arabo con cui vengono menzionate nel testo, il cognome del primo Autore ed una
freccia indicante la parte alta della figura.
I disegni ed i grafici devono essere eseguiti in nero
su fondo bianco o stampati su carta lucida ed avere una
base minima di 11 cm per un’altezza massima di 16 cm.
Le fotografie devono essere nitide e ben contrastate.
Le illustrazioni non idonee alla pubblicazione saranno rifatte a cura dell’Editore e le spese sostenute saranno a carico dell’Autore.
I lavori accettati per la pubblicazione diventano di
proprietà esclusiva della Casa editrice della Rivista e
non potranno essere pubblicati altrove senza il permesso scritto dell’Editore.
I lavori vengono accettati alla condizione che non
siano stati precedentemente pubblicati.
Gli Autori dovranno indicare sull’apposita scheda,
che sarà loro inviata insieme alle bozze da correggere,
il numero degli estratti che intendono ricevere e ciò
avrà valore di contratto vincolante agli effetti di legge.
Gli articoli pubblicati su Geriatria sono redatti
sotto la responsabilità degli Autori.
N.B.: i lavori possono essere inviati e/o trascritti anche su dischetto compilati con programmi compatibili: in macintosh (Word) o
mS dos (Wordstar 2000, Word).
Codice argento
Accogliere e curare la persona anziana
nell’area dell’emergenza-urgenza
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