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2 Ministero dell’Università e della Ricerca a.f.a.m. ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI PALERMO DIPLOMA ACCADEMICO DI PRIMO LIVELLO IN PROGETTISTA DI MODA A.A. 2011-2012 TRUCCHI DEL NOVECENTO. LA COSMESI FEMMINILE NEL XX SECOLO di chiara ilarda Relatore Prof. Vittorio Ugo Vicari 3 4 INDICE - Introduzione p. 9 - Capitolo I. Evoluzione del trucco nel mondo occidentale dal ‘900 ad oggi 1.I primi del secolo 2.I ruggenti anni ’20 3.La crisi dei ’30 4.La guerra e il glamour 5.Il boom economico 6.La ribellione 7.Il ritorno alla natura 8.Gli aggressivi ’80 9.Contemporaneamente… p.15 p.24 p.33 p.43 p.53 p.61 p.68 p.79 p.88 - Capitolo II. Icone di bellezza 1.Mata Hari 2.Josephine Baker 3.Louise Brooks 4.Jean Harlow 5.Marlene Dietrich 6.Lauren Bacall 7.Marilyn Monroe 8.Liz Taylor 9.Mina 10.Audrey Hepburn 11.Twiggy 12.Patty Pravo 13.Cher 14.Madonna 15.Anna oxa 16.Kate Moss 17.Lady Gaga p.101 p.102 p.105 p.108 p.112 p.115 p.117 p.124 p.128 p.133 p.140 p.145 p.150 p.157 p.166 p.171 p.177 5 - Capitolo III. Case cosmetiche e make up artists: una rassegna 1.Max Factor 2.Helena Rubinstein 3.Elizabeth Arden 4.Maybelline 5.Revlon 6.Shu Uemura 7.Toskan e Angelo (M.A.C.) 8.Pat Mc Grath p.187 p.191 p.196 p.200 p.206 p.210 p.216 p.219 - Apparati Glossario Ricettario Indice delle illustrazioni Bibliografia Sitografia p.225 p.227 p.233 p.247 p.249 6 7 8 Introduzione I canoni di bellezza sono costantemente soggetti ad influenze, modifiche ed evoluzioni. Di pari passo alla società e alle mode, essi sono in perenne metamorfosi ed è proprio su questa mutevolezza che si regge tutto il “fashion system”. Gli ideali di bellezza, così come la moda, esistono grazie al carattere di ciclicità che li contraddistingue e che è intrinseco al concetto stesso di “bello” (così come lo intendiamo oggi nel XXI secolo). Questo aspetto, di fondamentale importanza, e la comune capacità di veicolare visivamente ed immediatamente messaggi ed informazioni sono solo due dei punti che hanno in comune la “moda” ed il “make up”, nonché una delle motivazioni che mi hanno spinto ad incentrare il lavoro di questa tesi sull’argomento della cosmesi. Tra gli obiettivi preposti, oltre quello di integrare gli studi affrontati durante il percorso accademico, vi era il comprendere in modo più esaustivo fino a che punto un elemento apparentemente “frivolo” come il trucco potesse influenzare socialmente e psicologicamente la collettività e come ciò avvenisse di decennio in decennio. L’opera, su cui probabilmente vi sarebbe ancora tanto da aggiungere, si propone come una condensazione di testimonianze raccolte attraverso la consultazione di molteplici fonti e vuole tracciare l’evoluzione del trucco e delle abitudini 9 ad esso correlate nel corso di uno dei secoli più variegati ed affascinanti della Storia. Con questa finalità ci si è avvalsi di fonti bibliografiche ma soprattutto di riferimenti iconografici e filmografici, sfruttando anche l’enorme banca-dati offerta da Internet, che ha sopperito alla quasi totale mancanza di fonti bibliografiche italiane con particolare riferimento all’argomento “make up”. Nel primo capitolo, nocciolo fondamentale dell’intero lavoro di tesi, affronto una sorta di “viaggio nel tempo”, contestualizzando storicamente i diversi stili cosmetici e le relative influenze sui canoni di bellezza femminili. Mentre nei successivi due capitoli, prima con l’analisi di diversi casi studio desunti dal mondo delle celebrità, ed in seguito attraverso una rassegna di case cosmetiche e make up artist di rilievo, si è inteso integrare ed arricchire con ulteriori spunti il panorama designato in precedenza. Durante la stesura della tesi ho inoltre partecipato attivamente, in qualità di truccatrice, ad uno stage presso la Fondazione Teatro Massimo di Palermo. Questa esperienza, rivelatasi altamente formativa, mi ha procurato un consistente arricchimento personale sia sul piano umano che professionale. In più, mi ha aiutato a sviluppare la parte laboratoriale del progetto che, discostandosi dal carattere compilativo della parte “teorica”, mette in 10 luce l’aspetto più originale e di interpretazione personale dell’argomento di tesi, attraverso la realizzazione di tavole illustrate, di un servizio fotografico e di un trailer in dvd. Molteplici le conclusioni: - - - l’acquisizione di una diversa consapevolezza della “bellezza” con una conseguente nascita di riflessioni socioantropologiche; la prova che il make up è importante per l’individuo come per la società, in quanto veicolo di comunicazione ed esternazione di una realtà interiore; attraverso la disamina della vita di alcuni personaggi famosi, il ciclico e talvolta inconscio ripresentarsi di mode, canoni e retaggi culturali di antica memoria, profondamente radicati nel patrimonio culturale – nella fattispecie estetico – di ognuno di noi. Desidero ringraziare coloro che mi hanno supportata durante il periodo di stesura di questo lavoro: la fondazione Teatro Massimo, che mi ha dato la possibilità di partecipare ad uno stage estremamente edificante; il professor Vittorio Ugo Vicari, mio relatore e punto di riferimento; nonché 11 i miei cari, che mi sono stati vicini in questo cammino. 12 13 14 Capitolo I Evoluzione del trucco nel mondo occidentale dal’900 ad oggi 1. I primi del secolo Gli anni dalla fine dell’800 (18951 circa), all’inizio della prima Guerra mondiale, passati alla storia come “Belle Epoque”, sono stati definiti l’ultimo periodo di splendore per le classi dominanti. Prima che gli sconvolgimenti e il primo conflitto mondiale travolgessero tutto, si attraversò un momento di benessere spensieratezza e divertimenti, dovuto al miglioramento della qualità di vita di quasi tutti i ceti della società. Dalla fine dell'ottocento in poi le invenzioni e i progressi della tecnica e della scienza furono senza paragoni rispetto alle epoche precedenti: l'illuminazione elettrica (in Italia nel maggio 1884), la radio, la pastorizzazione, la penicillina, il vaccino per la tubercolosi ed altre comodità, contribuirono tutte ad un netto miglioramento della qualità della vita e 1 Il 1895 fu l’anno in cui si concluse la prima Grande Depressione, un periodo di deflazione causato da una crisi di sovrapproduzione economica, prima agraria e in seguito anche industriale. Crisi che colpì la società occidentale con la caduta dei prezzi, riduzioni salariali e conseguente riduzione dei consumi. 15 al conseguente diffondersi di un senso di ottimismo. Nelle strade circolavano le prime automobili, nelle grandi città vennero eretti grattacieli, l’aeroplano era ormai una realtà. Le continue importanti scoperte e innovazioni tecnologiche lasciavano sperare che in poco tempo si sarebbe trovata una soluzione a tutti i problemi e malattie. Debellata la maggior parte delle epidemie e ridotta notevolmente la mortalità infantile, gli abitanti del pianeta toccavano ormai il miliardo e mezzo. Anche l’arte, specchio della società, cercò nuovi linguaggi espressivi con il movimento estetico dell’Art Nouveau e l’Impressionismo. Il cinema, muove i primissimi passi (il brevetto del cinematografo, da parte di Louis Lumière avvenne nel 1894) distaccandosi progressivamente dal suo stampo embrionale, e avvicinandosi sempre più alla sua forma, concezione e utilità odierni. L’Esposizione Universale di Parigi (1889), un'incredibile mostra nella quale venivano esposte tutte le innovazioni più recenti, sanciva i grandi progressi della scienza e dell’industria: persone da tutto il mondo sbarcavano in Francia per prendervi parte. La gente ne visitava ogni padiglione e ne ammirava tutti gli aspetti: scale mobili dette Tapis roulant, tram elettrici, la stessa struttura che ospitava la fiera era un capolavoro di innovazione, un’architettura gigante e “provvisoria”, costruita 16 come fosse un’enorme serra smontabile in ferro e vetro: i materiali del futuro. Durante la Belle Epoque tutto era sovradimensionato: numerosissime erano le feste, i ricevimenti sfarzosi, le occasioni di svago. Nei caffè-concerto le ballerine di can can agitavano gonne piene di volant, mostrando le gambe avvolte in calze nere, giarrettiere preziose e sottovesti merlettate. Le dame, invece, con l’eccezione delle vistose scollature degli abiti da sera, continuavano a coprire interamente il loro corpo. La moda subiva ancora fortemente l’influenza degli anni precedenti, ma non mancarono alcune novità. La figura femminile acquistò alterigia e slancio, con abiti e accessori che la assottigliavano facendola protendere verso l’alto (le piume nei cappelli e le gonne a corolla, davano una spinta ascensionale alla figura). La donna ideale di quel periodo era una donna matura, padrona di sé ed imperiosa, con il busto piuttosto fiorente messo ancora più in risalto dai corsetti detti “della salute”: corsetti intimi che con il lodevole intento di impedire la pressione dall’alto verso il basso, costringevano il corpo della donna, facendole assumere una postura ad “S”, postura che divenne caratteristica dell’estetica femminile del periodo. I canoni di bellezza e rispettabilità della donna erano ancora piuttosto ancorati ai dettami del secolo precedente. In quegli anni, infatti, il 17 maquillage era usato in modo molto discreto e non per tutti una spolverata di cipria2 era generalmente consentita. Gradualmente però tutto divenne meno castigato: aumentarono gli artifici per sedurre, i mezzi per valorizzarsi e, di pari passo alle nuove scoperte, anche nel mondo della cosmesi si introdussero delle novità. Donne come la Bella Otero (1868-1965), e Mata Hari (v. infra, cap. II, § 1) brune torride dalla pelle d'alabastro, evocavano un mondo sensuale di odalische e beduine (che si contrapponeva al precedente periodo vittoriano – dal 1837 al 1901 –, rinomato per il suo bigottismo), ed erano la combinazione di colori e lineamenti che andava per la maggiore, tuttavia anche bellezze algide e dai colori chiari non erano disdegnate. Bionde o brune, tutte adoperavano la cipria (fig.1) (che era già in uso da secoli) che dava al 2 La cipria è uno dei più antichi cosmetici, il suo nome deriva dall’isola di Cipro ed è direttamente collegato al suo uso: l’importanza primaria della cipria è infatti quella di far apparire più curate e quindi più belle le donne e l’isola di Cipro, in età classica, era intitolata alla dea Venere, protettrice dell’amore e simbolo di massima bellezza. Non si sa molto circa le origini della cipria: pare che essa fosse utilizzata già nell’antico Egitto, tra i Sumeri e persino in Grecia ma probabilmente è di origine cinese o comunque orientale. Indubbiamente si tratta di un fitoestratto: un amido di riso o di frumento o di tuberi. All’inizio del’900, cominciano a comparire le prime ciprie colorate, declinate in diverse tonalità in modo da adattarsi ai diversi incarnati e ai differenti momenti della giornata. 18 volto e al decolleté un aspetto porcellanato3 e candido. Con la polvere di riso (in uso ancora adesso, dal forte potere assorbente), col talco (silicato di magnesio, diffusosi dagli Stati Uniti) o con l'olio di rosa o di lavanda, le donne illuminavano e uniformavano l'incarnato. Nel 1907 la rivista «Vogue» pubblicizzò un nuovo prodotto per valorizzare le unghia. Si trattava di creme o polveri tingenti da massaggiare sulle unghia per colorarle lievemente; queste poi venivano accuratamente lucidate con un panno di camoscio. Era in uso anche una sorta di pasta lucidante chiamata Graf’s Hyglo (fig. 2) ed una vernice lucida trasparente da applicare con un pennello in peli di cammello, ma l'effetto di questi arcaici top coat svaniva nel giro di un giorno. Dovremo aspettare l’invenzione delle vernici da carrozzeria, 3 C’è chi prese molto sul serio, il modo di dire “viso di porcellana”: Franca Florio (1873-1950) ad esempio, fu una pioniera dei trattamenti estetici (che oggi inseriremmo nella chirurgia). Si recò infatti a Parigi per eseguire un trattamento di dolorosa “seduta di smalto” per porcellanare il volto, troppo scuro (olivastro) per tempi in cui l'abbronzatura non era ancora uno status symbol. Questo vezzo era molto pericoloso e fastidiosissimo ed era praticato dalle belle donne dell’alta società dell’epoca. Veniva descritto dalle riviste di quei tempi suscitando vero e proprio orrore: il trattamento consisteva infatti nell’asportazione dell’epidermide a pezzetti, poi si spruzzava sul viso un antisettico e vi si passava lo smalto liquido, asciugandolo successivamente con lo sventolio di un ventaglio. 19 negli anni ’20 per veder comparire il primo vero smalto per unghia. Per ciò che concerne il resto del trucco, ufficialmente era disdicevole farne un uso eccessivo. Il rosso sulle labbra e sulle gote era solitamente appannaggio delle donne di malcostume e dunque considerato scandaloso: perciò non troviamo una grande varietà di cosmetici o di colori; tuttavia le donne desideravano apportare un tocco di colore in tutto quel pallore e perciò usavano il rouge (sia sulle labbra che sulle guance) di nascosto4. Per enfatizzare leggermente la rima ciliare e le sopracciglia si usava la punta di un chiodo di garofano bruciata: questa, lasciava una traccia color antracite, facilmente sfumabile e dall’intensità modulabile (inoltre la forma del chiodo di garofano permetteva una certa precisione nell’applicazione, quasi come un applicatore in spugna moderno). Per ciò che concerne le labbra, esistevano prodotti nutrienti come lo stick per labbra di Roger & Gallet (fig.3), prodotto nel 1910 e contenuto in un cilindretto di cartoncino5; lo stick veniva spinto fuori da uno stantuffo e rappresenta 4 Un consiglio a riguardo, fornito dalle riviste di bellezza dell'epoca era di mordicchiarsi le labbra e pizzicarsi le guance vigorosamente prima di entrare in una sala. Questo avrebbe riattivato la circolazione sanguigna dando un aspetto più roseo e colorito senza l’uso di “polveri proibite”. 5 Il portarossetto in plastica o metallo, che conosciamo noi fu inventato nel 1915 dall’americano Maurice Levy. 20 l’archetipo di rossetto come lo intendiamo oggigiorno. Un po’ di colore alle labbra era tollerato solo per le donne sposate o che avevano superato i trent’anni. Dato quindi che la possibilità di truccare il volto era soggetta a restrizioni, la cura della persona verteva principalmente sull’uso di creme antirughe (fig.4) o nutrienti come la cold cream, varie cure di bellezza6 e sostanze sbiancanti per la pelle del corpo e del viso, che spesso erano altamente tossiche7 (oltre che sull’acconciare e 6 Tra il 1915 e il 1920 si incominciò a parlare di cure di bellezza grazie ad Ella Adelia Fletcher, che a New York pubblicò un libro intitolato Woman Beautiful (FLETCHER ELLE ADELIA, Woman Beautiful, W. M. Young & co., New York, 1899). Con esso, la Fletcher esortava le donne a migliorare il proprio aspetto fisico per mezzo di pratiche ginniche, integrate dall’uso di cosmetici curativi e ammettendo come unico cosmetico decorativo la cipria. Fu la stessa ginnastica a scoprire man mano il corpo femminile, che fino a quel momento era stato nascosto e ingabbiato. 7 Nonostante lo sviluppo delle conoscenze mediche, già a partire dall’800, cosmetici pericolosi continuarono ad essere frequentemente usati. Gli sbiancanti per la pelle contenevano sostanze come l'ossido di zinco, il mercurio, il piombo, il nitrato d'argento e acidi. Alcune donne addirittura mangiarono gesso o bevvero iodio per raggiungere il tanto anelato candore. Tuttavia, dal 1913 si cominciò a comprendere il rischio di usare sostanze così pericolose e dunque a cercare di arginarne l’uso. A Parigi, in quell’anno divenne vietato produrre sostanze tossiche come la biacca (velenosa perché contiene piombo) e fu favorita la produzione di cosmetici a basso prezzo, presso i grandi magazzini. 21 curare i propri capelli). La cold cream nella fattispecie era una crema (denominata fredda per la sensazione di freschezza che donava alla pelle) composta da cera d’api, oli essenziali, ad esempio quello di rosa (ma anche dell’olio d’oliva) e acqua distillata. Inizialmente fu introdotta nella routine di bellezza femminile, come struccante, ma la sua versatilità le permise di essere anche un’ottima crema idratante, anche da notte, ovvero una base per il trucco ed anche una crema mani. Un’altra pietra miliare nel campo della cosmetica fu la crema Nivea (fig.5): uno dei più importanti prodotti culturali del XX secolo, una crema che racchiudeva al suo interno la storia stessa dell’Europa di quegli anni, con le sue regole, i suoi complicati meccanismi sociali e le sue contraddizioni8. La formula originale della Nivea, inventata nel 1911, conteneva anche acido citrico il principio attivo schiarente dei limoni, 8 Il suo nome significa "bianca come neve" (dal latino nix/nivis = neve), ma non si trattava né del bianco polveroso del Rococò francese, né del bianco porcellanato delle fate, ma bensì una sfumatura di bianco particolare che dava una gran luce e radiosità. L'Europa orientale a quel tempo era una sorta di torre di Babele con una gran varietà di etnie e tipi di pelle, ognuno con il suo bagaglio di complicati significati sociali. Gli inventori della crema - il professore Paul Gerson Unna, il Dr. Oscar Troplowitz e il chimico Isaac Lifschütz furono abili però a comprendere che c’era una cosa su tutte che abbatteva le differenze razziali: ed era l’ossessivo inseguimento di una pelle perfetta, fedele alla propria razza di appartenenza, ma uniforme e priva di difetti. 22 ingrediente base usato ancora adesso nella cosmetica - e un nuovo agente emulsionante chiamato Eucerit, derivato dalla lanolina. Questa crema continuò a permanere nel beauty delle donne per tutto il secolo, ed ancora adesso è sul mercato e riscuote sempre lo stesso successo, nonostante ci siano milioni di altri prodotti e alternative. Altri “preparati da toeletta” utilizzati erano la vaselina, la lozione “glicerina e cetriolo” della Beetham’s e lozioni antirughe come Ayer’s Recamier9 (fig.6) prodotto da Mrs. Harriet Hubbard10, “Moth and Freckle Lotion” che conteneva sostanze corrosive, emulsionate con acqua o pasta di mandorle, come riferisce il «Boston Journal of Health». 9 Cfr. BLAUGRUND ANNETTE, Dispensing beauty in New York & beyond. The triumph and tragedies of Harriet Hubbard Ayer, Historical Press, Charleston 2011, p. 93. 10 Nel 1886 Harriet Hubbard Ayer fondò la Recamier Manufacturing Company. Costituita nel 1887, il range dei prodotti della compagnia comprendeva la maggior parte dei prodotti di bellezza di quel momento ma si estendeva anche a farmaci. Dato il periodo, i cosmetici erano in gran parte limitati alla cura della pelle e non comprendevano prodotti decorativi come rouge o rossetti. Quest’ultimi erano ancora considerati delle "pitture" e quindi non idonei per l'uso quotidiano in una società considerata – civile – . La società Recamier dunque produsse, commercializzò e vendette dei prodotti d'igiene e medicine brevettate piuttosto che cosmetici. 23 Il primo decennio del ‘900 vede inoltre comparire sulla scena alcuni tra i più grandi fautori della cosmetica e dell’industria del makeup, nomi come Max Factor (v. infra, cap. III, § 1), Elizabeth Arden (v. infra, cap. III, § 3), Helena Rubinstein (v. infra, cap. III, § 2), hanno fondato le proprie compagnie proprio in questo periodo, ed è anche grazie a loro se la concezione negativa del truccarsi si è andata via via dissipando, progressivamente infatti, il trucco non fu più malvisto e anzi, vedremo nel successivo paragrafo come da una quasi assenza di trucco d’inizio secolo si passerà al volto carico e caricaturato tipico degli anni ’20. 2. I ruggenti anni venti I ruggenti anni ’20 si possono perfettamente evocare attraverso alcune coppie di termini: jazz e charleston, capelli corti portati alla garçonne (fig.7) e trucco marcato, amore libero e sigarette, controllo delle nascite e orli delle gonne corti … ed infine, il crollo della borsa americana e la Depressione del 1929. Dopo il grigiore della prima Guerra mondiale e superata la crisi economica postbellica, si sentì il bisogno di gettarsi alle spalle gli orrori e la morte, dandosi al divertimento e alla spensieratezza. Il desiderio di svago e la grande esigenza di ripresa 24 vennero alimentati da realtà come l’automobile (che si era ormai affermata come il più innovativo e popolare mezzo di trasporto), i primi elettrodomestici (ad esempio in America i primi modelli rudimentali di lavatrice, di frigo e di scaldabagno), il telefono, la radio, il grammofono e la cucina a gas, tutti contributi tecnologici che resero la vita più semplice e più piacevole, rafforzando così l’illusione di un futuro migliore. Le donne – grandi protagoniste del decennio, che negli Stati Uniti ottennero il diritto al voto proprio nel 1920 – si lanciarono in professioni più appetibili e meglio retribuite dei lavori domestici, spendendo il denaro guadagnato come meglio credevano: principalmente nell’aspetto e in cure per il corpo. Si diffuse la moda dell’istituto di bellezza (idea d’oltreoceano) fondato da attrici o donne d’affari: questi luoghi, si proponevano come oasi di pace dove le donne venivano “coccolate” e rigenerate nella mente e nel corpo, attraverso la cura dello stesso. Fu anche grazie a questa moda che si cominciò a concepire il trucco nella sua accezione positiva e non come segno di distinzione (in negativo) di donne equivoche. In breve tempo incipriarsi e perfino truccarsi in pubblico divenne un gesto socialmente accettato, pur conservando un che di malizioso ed erotico. La guerra apportò vari cambiamenti alla vita e alla società e le donne non furono escluse da questo mutamento, anzi abbracciando una 25 rinnovata libertà di movimenti, scelte e pensieri, e furono grandi protagoniste del decennio. Dismesso il corsetto (ed ogni costrizione corporea utilizzata fino a pochi anni prima) e scoperte le caviglie (via via l’orlo delle gonne si alzò ulteriormente) la donna si dedicava ad attività come il ballo, lo sport, il lavoro (sia esso nelle fabbriche o in ufficio); un tale cambiamento di ruolo e di mentalità non poté che riflettersi sulla moda e sulle abitudini “igieniche” e di cura del proprio aspetto estetico. Con i nuovi modelli d’abito, che adesso erano corti, larghi, trasparenti e leggeri, la ragazza moderna poteva così trascorrere le notti ballando spensierata, dato che il suo abbigliamento non pesava praticamente nulla (è difficile immaginare quanto la liberazione da abiti pesanti e voluminosi abbia alla fin fine contribuito all’emancipazione femminile), ma si vide contemporaneamente “costretta” a fronteggiare nuove esigenze come il depilarsi le gambe (ormai in bella vista) ed anche il resto del corpo. Per far ciò, inizialmente “rubò” il rasoio all’uomo di casa; in seguito furono prodotti dei mini rasoietti talmente piccoli da potersi considerare “da borsetta”, pensati appositamente per il pubblico femminile. Tuttavia la pelle delle gambe era delicata e i rudimentali rasoi di quei tempi (per quanto piccoli e studiati ad hoc) lasciavano antiestetiche ferite. Iniziarono così ricerche scientifiche condotte da chimici e medici per inventare pomate depilatorie. 26 Uno dei metodi più famosi nell’ambito delle pomate depilatorie era la Rusma Turca. Questa pratica, piuttosto grossolana, prevedeva l’uso di una mistura di elementi11 tra i quali la calce e lo zolfo. Questo impasto, per sortire il suo effetto, doveva soggiornare sulla pelle dell’interessata fino a produrvi un principio di ustione che ovviamente ‘distruggeva’ il pelo (ma a lungo andare anche le gambe). Un altro diktat imprescindibile era emanare soavi effluvi floreali. La donna degli anni ’20 non poteva permettersi di far trapelare, dopo aver ballato uno scatenato charleston, i suoi naturali ma sgradevoli odori. Secondo una pubblicità del tempo12 (fig.8) ciò era disdicevole e 11 In un barattolino standard di polvere di Rusma si celavano i seguenti ingredienti: calce viva gr. 15; orpimento in polvere gr. 6 (che altro non è che solfuro d'arsenico); salnitro gr. 2; liscivia caustica gr. 60; zolfo gr. 3. 12 Si tratta della pubblicità cartacea del deodorante in polvere compatta “odo-ro-no”, prodotto dall’omonima azienda di New York. Il caso di studio del deodorante Odorono dimostra come la pubblicità abbia cambiato l'atteggiamento del pubblico nei confronti di quei prodotti che scatenavano nell'acquirente una certa riluttanza o imbarazzo (in questo caso l'argomento spinoso era il cattivo odore corporeo). Ma è anche un caso utile a capire come i contenuti pubblicitari e lo stile promozionale era gradualmente ma decisamente cambiato. Si propendeva verso la pubblicità scientifica e non più su una promozione unicamente incentrata sull'esaltazione dell'attraente confezione o sul buon nome della marca, come era stato fino a quel momento. Le nuove aziende investivano enormi budget per condurre ricerche di mercato e indagini di tipo psicologico, per riuscire a concepire la più efficace 27 ripugnante e l’inconveniente doveva essere assolutamente evitato con l’uso di profumi, colonie e polveri profumate (simile a ciprie) da tamponare sulla pelle e portare sempre appresso. Vi fu perciò un’enorme produzione di deodoranti di vario tipo, ma anche la produzione di creme, pomate e lozioni di vario genere continuava fiorente. Si aggiunsero inoltre ulteriori creme che risolvevano sempre più diversificate esigenze: ad esempio, adesso era il momento delle creme opacizzanti (dato che andava di moda la pelle perfettamente opaca) e sebo regolatrici. Con l’accettazione del trucco si ebbe una diversificazione dei cosmetici: fard in polvere per le guance, pigmenti per gli occhi e rossetti di varie tonalità per le labbra, creati industrialmente con coloranti sintetici. Il mascara per le ciglia (fig.9), che era già stato inventato nel 1840 e in seguito perfezionato nel 1913 da Maybelline (vedi infra, cap. III, § 4), adesso era un cosmetico irrinunciabile per ottenere lo sguardo profondo che andava tanto di moda (fig.10-11). Via via i prodotti si raffinarono maggiormente, offrendo sempre più colori e formulazioni che avevano una tenuta più o pubblicità. Si arrivò progressivamente ad inserire negli ads, dei veri e propri consigli, che spesso facevano leva sulle intime insicurezze della gente. Era indubbiamente una strategia efficace, e le pubblicità divennero quasi un mezzo di "educazione" circa le abitudini igieniche, abbigliamento, stile di vita etc... 28 meno lunga in base all’untuosità, alla densità degli ingredienti e altri fattori. Nel 1923, comparve sul mercato anche il primo accessorio piegaciglia. Si chiamava Kurlash (fig. 12) (nome derivato dall’inglese to curl = piegare e lash = ciglia) e fu inventato negli Stati Uniti da William Beldue e commercializzato un’azienda di Rochester, New York, chiamata Kurlash Co. Nonostante fosse costoso e difficile da usare (si impiegavano ben 10 minuti per ottenere una buona piega) diventò ben presto molto popolare. La guerra aveva aperto gli occhi a tutta la popolazione, soprattutto ai più giovani: si era capito che tutto era caduco e poteva scomparire nell’arco di una notte, e questo portava inevitabilmente a godere del quotidiano (ivi compresa la bellezza esteriore della gioventù) finché si era giovani e vitali, spesso eccedendo in comportamenti che arrivavano ad essere più sbandati che edonisti. Il culto della giovinezza in tutte le sue sfaccettature, è un concetto nato proprio in questo decennio (quello degli anni ’60 sarà solo un revival). Figlie di questa linea di pensiero sono le ragazze flapper, figure degli anni ’20 per antonomasia: le flapper girls erano giovani donne che indossavano gonne corte, portavano i capelli corti con il taglio a bob, ascoltavano jazz, fumavano come ciminiere dai loro lunghissimi e vezzosi bocchini e bevevano alcool in barba al proibizionismo; trattavano il sesso in modo 29 noncurante e leggero ed ostentavano il loro sdegno per quello che era considerato un comportamento socialmente accettabile. L’atteggiamento quasi da maschiaccio delle flapper, era considerato stravagante e sfacciato, e rappresentò una cesura con la figura della donna dei tempi precedenti cambiando in modo indelebile la concezione e la posizione della donna nella società. L’estetica di questa ragazza moderna ed in generale del decennio (fig.13), derivava dal cinema muto e dal trucco teatrale per ciò che concerne l’esasperazione delle linee. Le pellicole cinematografiche, erano in bianco e nero e le prime attrici contavano molto sulla gestualità, la drammaticità dell’interpretazione e l’intensità dello sguardo: a questo proposito si usava un trucco piuttosto marcato che puntava all’esaltazione dei lineamenti. Il look anni ’20 prevedeva quindi un incarnato perfettamente opaco e pallido13, 13 In realtà la moda del pallore riguarda solo la primissima parte del decennio poiché, a partire dal 1923 circa, l’abbronzatura e l’incarnato dorato introdotti da Coco Chanel (1883-1971) divennero la nuova preferenza. La nascita di questa moda viene accreditata a Coco, perché tornata a Parigi dopo una vacanza a Juan-les-Pins, fu notata da tutti per la sua carnagione dorata dal sole della Costa Azzurra. Probabilmente Chanel aveva sentito parlare dell'elioterapia, pratica edonistica diffusasi in Germania a fine '800, divenuta una moda dopo il 1918, alla conclusione della prima Guerra mondiale, quando la gente voleva dedicarsi a sé e riprendere il contatto con la natura. 30 uniforme e quasi trasparente, sul quale spiccavano le vene bluastre opportunamente evidenziate con l’uso di pigmenti. Sul volto pallido (fig.14) si stagliavano enormi occhi scuri, bistrati di nero o truccati di blu, viola o bordeaux (si usava ombreggiare maggiormente la palpebra inferiore, quasi a voler rimarcare l’occhiaia), resi più profondi dal mascara (sempre nero) e contornati da sopracciglia sottilissime e piangenti (si usava sfoltirle dall’alto in modo da creare questa forma discendente e dall’aspetto “triste”) che venivano allungate e scurite con polveri nere o castane. Le guance erano ravvivate da fard rossi, distribuiti principalmente sulle gote in forma tondeggiante (fig.15). La bocca, veniva disegnata a forma di cuore con il rossetto bordeaux (era la tinta che andava per la maggiore), in modo da risultare più piccola ed il colore stesso aiutava in questa illusione ottica. Il rossetto era senza dubbio uno dei cosmetici più amati: si celava un rossetto in quasi tutti gli accessori femminili del tempo, all’interno di ciondoli o pendagli, nei bangle di metallo (con tanto di specchietto portatile) e perfino all’interno del manico della spazzola per i capelli. Un fenomeno interessante del periodo è legato al costo dei cosmetici che era molto basso, una cifra che ad oggi si aggirerebbe intorno ai 70 centesimi di euro. Ciò fa intendere che si fosse probabilmente compreso (o quantomeno si trattava di un inizio) il risvolto “psicologico” del trucco e 31 la sua più nobile funzione: la sua capacità di influenzare l’umore, l’autoconsapevolezza di sé stessi, la capacità di interagire con la società in modo più disinvolto e sicuro. Nonostante molte donne utilizzassero ancora metodi caserecci per truccarsi, ad esempio il sughero bruciato per annerire gli occhi, è per questo democratico motivo che i cosmetici costavano così poco, per poter entrare nelle case di quasi tutte le donne e donare svago, maggiore sicurezza in sé stesse e un pizzico di ludicità. Con il crollo della borsa del 1929, il famoso venerdì nero, finì la dorata stagione dei roaring twenties14: il denaro perse di colpo valore, i poveri si impoverirono ancora di più e molti ricchi persero tutti i loro averi. Ancora una volta il trucco ebbe però la sua ragione d’essere: in un momento così economicamente difficile, avere un aspetto curato e self-confident, grazie anche all’ausilio del trucco, poteva essere di grande aiuto nella ricerca ed ottenimento di un lavoro. Alla fine del decennio truccarsi era ormai la norma, solo il secondo conflitto mondiale potrà avere qualche ripercussione su questo ormai diffuso uso (forse…). «Signore, siate belle. L’intelligenza è ingannevole. L’amabilità è inutile e la virtù è vaga. Se volete piacere al maschio forte, 14 Dall’inglese, significa letteralmente ruggenti anni venti. 32 strenuo e silenzioso, il vostro aspetto esteriore è l’unica freccia al vostro arco … Siate carine, o rassegnatevi a perderlo.» «La vecchia e decantata supremazia del maschio è sparita per sempre. Siete battuti, superati, scartati, spogliati e accantonati. Avete perso il privilegio di poter essere brutti. Non vi resta che il vostro fascino. Quindi, sfruttatelo al massimo … Siate belli, o rinunciate a vivere.»15 3. La crisi degli anni ‘30 Agli sfrenati anni ’20 e alla loro brama di vita seguì un decennio di sobrietà ed eleganza. Dal punto di vista storico i tempi erano incerti, il grande crollo della Borsa del 1929 causò fallimenti e disoccupazione di massa, non si investiva più, le attività commerciali e produttive si riducevano, si perdeva il posto di lavoro. La popolazione, presa dal panico, correva in banca a chiedere il denaro versato, che ovviamente non c’era. Il decennio si aprì quindi con una crisi economica di grande portata, tale da coinvolgere tutte le principali nazioni: Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Italia, Germania, Russia e Giappone. Queste grandi potenze colpite dalla crisi con effetti differenti, attraversarono problemi economici, sociali, politici 15 Messaggio pubblicitario di un salone di bellezza, 1927, citato in, PICCOLO PACI 2006, vol. III, p. 141. 33 e di alleanze, e tutto ciò gettava le basi per quello che nel 1939 fu lo scoppio del secondo conflitto mondiale, una guerra ancora più letale della precedente. In Europa, mentre il capitalismo era in grave crisi e il socialismo si affermava, le nuove dittature italiana e tedesca sembravano avere maggiore capacità di superamento dell’empasse. In Italia Mussolini andava consolidando il suo potere con imprese di prestigio e vari interventi, tra cui il sostegno pubblico delle aziende, mentre Hitler incarnava per le masse tedesche la via d’uscita da una situazione insostenibile: debiti di guerra che non si potevano pagare, disoccupazione e miseria, limitazioni territoriali. Nonostante quindi, un generale impoverimento, la depressione e una spiccata caratteristica di transizione, questo periodo vide l’affermarsi di nuove abitudini di vita e modelli di consumo. Lo standard di qualità della vita andava aumentando: la potenza del vapore, fu progressivamente sostituita dall’elettricità; i trasporti adesso potevano contare su motori a benzina; i primi tentativi di materiali plastici comparvero sostituendo alcuni metalli e si sperimentarono nuove tipologie di fibre in campo tessile come l’introduzione del Nylon16 nel 1935 e 16 Nylon è la denominazione generica della famiglia di polimeri sintetici nota genericamente anche come poliammide. Fu brevettato il 28 febbraio 1935 da Wallace Carothers nella struttura di ricerca di DuPont, presso la 34 l’affermazione del rayon come una delle fibre più amate del decennio (chiamata anche seta artificiale era insieme alle paillette e alla seta uno dei materiali più usati per confezionare gli abiti da sera del decennio). Il clima di transizione e di incertezza si rifletté nelle arti e anche nella moda attraverso uno stile sobrio, pulito, razionale (fig.16). Gli eccessi degli anni ’20 erano ormai un ricordo, e se in precedenza le parole d’ordine erano modernismo ed ostentazione, adesso il clima storico e sociale imponeva una totale inversione di marcia. Era ora di abbandonare linee angolose e rigide preferendo linee morbide e curve, delicate e fascinose. La moda femminile ne è un esempio lampante: le donne vivevano una sorta di dualità, gli abiti da giorno, con gonne nuovamente lunghe sotto il ginocchio avevano una silhouette romantica, ordinata e con dettagli sartoriali raffinati; mentre di sera l’abito era rigorosamente lungo, morbido sulle curve femminili nuovamente enfatizzate e apprezzate, confezionato con tessuti che scivolavano sinuosamente, morbidi e luminosi. I modelli, sempre piuttosto “semplici”, presentavano profonde scollature sulla schiena, che veniva poi coperta e protetta dalla pelliccia, vero must have del decennio insieme ad altri accessori quali Stazione Sperimentale dell’omonima azienda. Il nylon è ad oggi uno dei polimeri più comunemente utilizzati spesso mescolato ad altre fibre. 35 guanti, foulard17 e fantasiosi copricapo. Ma forse più d’ogni altro accessorio, ad evocare immediatamente gli anni ’30 sono le calze di rayon con la cucitura posteriore e gli occhiali da sole: nel 1932, la Carl Zeiss Company lanciava il modello Perivist e nel 1937 fu presentato il primo modello da aviatore denominato Ray-Ban Aviator, prodotto da Bausch & Lomb. Questo decennio vide anche nascere e fiorire lo Star system hollywoodiano; major cinematografiche come la 20th Century Fox, nata nel 1935, la Paramount, la MGM, detenevano il monopolio, se così si può dire, della produzione di pellicole di successo. Si aprì la stagione cinematografica dei telefoni bianchi18: l’età d’oro di Hollywood, che nell’arco di soltanto una decina d’anni produsse le più grandi stelle del firmamento hollywoodiano, star che con la loro seducente bellezza facevano sognare sia uomini che donne e creavano - grazie anche ai ruoli interpretati ed alla 17 Nel 1933, Hermès mise sul mercato il primo dei suoi fantasiosi foulard di seta che ancora oggi sono molto ricercati come pezzi da collezione o per doni sofisticati. Le cromie erano principalmente incentrate su contrasti di colori raffinati: blu marine e marrone, nero e bianco, marrone e crema. 18 Il nome proveniva dalla presenza di telefoni bianchi nelle sequenze di alcuni film prodotti in questo periodo, presenza sintomatica di benessere sociale: uno status symbol atto a marcare la differenza dai telefoni neri, maggiormente diffusi. 36 maestria di costumisti truccatori e direttori della fotografia - immagini di raffinata eleganza e folgorante bellezza cui ispirarsi ed ambire (fig.17). È per mezzo del cinema che si diffondono nuovi modelli e nuove mode: i volumi del corpo femminile si ispirano a quelli delle star americane: se nel 1930 andava di moda la donna ancora piuttosto androgina ma con un trucco leggero, dopo già cinque anni impazzava la donna in stile Jean Harlow (v. infra, cap. II, § 4), con chioma platinata e labbra rosse in primo piano, sfolgorante di opulento ed erotico glamour. Le riviste di moda esortano le donne ad abbandonare vecchie abitudini riguardanti trucco e atteggiamenti ritenuti per l’appunto obsoleti e volgari. Propongono invece di abbracciare il ritrovato glamour sobrio ed elegante ispirato alle stelle di Hollywood, con gli stessi trucchi ed accorgimenti di bellezza da loro utilizzati (fig.18). Per la prima volta si guarda al trucco come un artificio per esaltare e migliorare il viso, non solamente per decorarlo o dipingerlo. Si scopre dunque l’amore per un certo tipo di armonie e bilanciamenti cromatici e si scrivono i primi “trattati” in cui si illustravano i metodi di correzione del volto19 con l’uso del trucco. Era la 19 Florence Courtenay scrisse il trattato Physical Beauty: How to Develop and Preserve it, Social Mentor Publications, New York, 1922. Che raccoglieva una serie di consigli e segreti di bellezza delle star hollywoodiane, dove si 37 prima volta che si approcciava il trucco in un modo così “moderno”, poiché si era compreso che ogni volto ha le proprie regole e che una donna non doveva ambire ad avere lineamenti diversi dai propri per assomigliare a qualcun’altra, ma esaltare e migliorare le proprie caratteristiche, mettendo in luce i punti di forza e distogliendo l’attenzione da eventuali difetti. Questa nuova concezione fu la chiave del nuovo maquillage, sia esso di star famose o di persone comuni. Donne come l’attrice Greta Garbo (1905-1990) (fig.19), furono pioniere di questo nuovo approccio, che ben presto fu imitato ed apprezzato fino a spazzar via tutte le mode precedenti. Essere belli, ma in modo personalizzato, diventa quasi un dovere e case cosmetiche nate proprio in quel periodo come la Max Factor (v. infra, cap. III, § 1), strettamente connesse con il mondo del cinema, diventano promulgatrici di mode e dispensatrici di preziosi consigli. Nel 1938 escono sul mercato nuovi cosmetici (fig.20), come il fondotinta Pan Cake (idem) e il mascara waterproof: essi nacquero per soddisfare le esigenze degli attori e superare certi inconvenienti, come ad esempio lo stesso mascara waterproof che fu brevettato dall’attrice viennese Helene Viethaler Winterstein (1900-1966): serviva illustravano alcune diete per perdere peso e come si poteva mantenere la forma fisica raggiunta. Un vero e proprio manuale di bellezza. 38 un prodotto che non si sciogliesse con le luci del set come invece facevano i mascara di allora. In seguito, questi cosmetici furono commercializzati anche per le persone comuni, tale era diventata l’esigenza di essere belli ed in perfetta forma fisica, tant’è che di pari passo alla cosmesi si diede nuovo risalto ed importanza alla cura del corpo attraverso una vita sana e una corretta attività fisica. L’inglese Mary Bagot Stack (1885-1935) nel 1930 fondò la Women’s League of Health and Beauty, un’organizzazione che attraverso delle apposite scuole educava le donne all’esercizio fisico (alla ginnastica come all’attività sportiva) al benessere psico-fisico derivante e, come meta finale, alla bellezza. Questa nuova attenzione all’esercizio ebbe ripercussioni a catena sullo stile: in primis sulla moda e sul trucco stesso. Si adottò infatti uno stile d’abbigliamento comodo, che consentisse di compiere movimenti in totale libertà e sicurezza; stiliste come Coco Chanel seppero comprendere ed interpretare al meglio questa nuova esigenza. Inoltre, il fare attività fisica all’aria aperta esponeva inevitabilmente la pelle ai raggi solari. Dunque, in opposizione ai canoni di bellezza precedenti, che esigevano una pelle candida, dalla metà del decennio vennero in voga le carnagioni più scure, baciate dal sole, sinonimo di salute e bellezza e richiamo alle veneri esotiche degli Imperi Coloniali. 39 La nuova sensualità non era più morbosa come quella degli anni venti (per cui bastava un frammento di pelle scoperto ad infiammare gli animi); adesso il corpo era maggiormente scoperto, tonico ed abbronzato, pulsante di vita e salute. Questa nuova “cultura del sole” ebbe come effetto sull’industria cosmetica l’affermarsi, tra i vari prodotti di skincare: creme solari e lozioni per proteggersi dalle scottature e per mantenere l’abbronzatura, scongiurando il rischio di spellature. La donna degli anni trenta era dunque una donna piuttosto dinamica, sportiva, raffinata, efficiente di giorno nei suoi abiti “razionali” ma fatale di sera nei suoi sensuali vestiti di rayon, sulla falsariga delle attrici d’oltreoceano. Per ciò che concerne il makeup (fig.21), il punto focale dei nuovi artifizi anni ’30 sono le palpebre, ampie ed enfatizzate dalla caratteristica sfumatura “a banana” (fig.22) che, rendendo otticamente più profonda la piega palpebrale, evidenziava il volume dell’occhio mettendolo in risalto. Il trucco era costituito da ampie sfumature di colori più naturali rispetto a quelli usati negli anni ’20. Adesso le tonalità amate erano i rosa, beige e marroni per il giorno e tonalità di blu, verde, viola ed anche nero per la sera. Le ciglia sono lunghissime ed enfatizzate sia dai posticci, già inventati nel 1916, che dal mascara che adesso troviamo anche in altri colori come il blu. Altro 40 simbolo degli anni ’30 sono le sopracciglia sottilissime ed arcuate come quelle della diva Marlene Dietrich (v. infra, cap. II, § 5). Se prima si depilavano dall’alto, adesso si faceva tutto il contrario: per ottenere una palpebra ampia, si sfoltivano dal basso e si ridisegnavano molto alte con l’ausilio di apposite matite. Questa caratteristica forma dava un espressione sprezzante al volto e, in contrasto con la palpebra sfumata, creava un stacco molto raffinato che ispirò i creatori di manichini, di bambole ed infine anche i disegnatori della Walt Disney, i quali riproposero le sopracciglia “alla Dietrich” sulla strega Grimilde del cartone animato Biancaneve e i sette nani, Walt Disney, Stati Uniti, 1937 (i cui lineamenti erano ispirati a Greta Garbo). L’incarnato del viso non è più innaturalmente porcellanato: chiaro si, ma in modo naturale, uniformato dalla cipria (fig.23) e perfezionato dal fondotinta. Si comincia a far uso del contouring, che consiste nell’uso di terre e pigmenti chiari e scuri per ristabilire e enfatizzare i volumi del viso. In particolare si amavano le guance piuttosto incavate, ottenute con ombreggiature scure sotto lo zigomo e un naso definito da ombreggiature scure laterali. Le gote vengono truccate tenendo conto delle esigenze e della forma del viso. I colori favoriti, stesi a sfumare verso gli zigomi e le tempie sono il terracotta, il beige e il prugna chiaro. 41 Al bando i rossetti porpora e bluastri, si sostituirono con rossi dalle sfumature rosate ed aranciate, per un look più armonico. Le labbra dal contorno arrotondato, erano definite dalla matita rispettando il loro contorno naturale. Inoltre, come ad imitare una puntura di vespa, il labbro superiore viene “strizzato” tra pollice e medio poco prima di effettuare il maquillage, in modo da avere un effetto rimpolpante (seppur poco duraturo). Sulle unghie lo smalto si accende di rosso, magari con una rifinitura in argento. Lo smalto, più o meno con la formulazione che conosciamo oggi, venne creato dalla casa cosmetica (vedi infra cap.III, § 5). La Charles Revson Company fu formata da Charles Revson (1906-1975), da suo fratello Joseph Revson e da un chimico, Charles Lachman. Per la ditta lavorava un makeup artist francese chiamato Michelle Menard, che si ispirò alle vernici da carrozzeria usate per le auto e si domandò se lo stesso principio non potesse essere applicato alle unghia delle donne. La marcia in più delle nuove formulazioni era il fatto che contenessero nitrocellulosa disciolta in un solvente; questo permetteva di conservare lo smalto per lungo tempo, a patto che non si facesse evaporare il solvente. I primi smalti cominciarono ad essere commercializzati nel 1932, dapprima presso i saloni e i centri di bellezza; ma a partire dal 1937, quando lo smalto si cominciò a produrre in coppia 42 con il rossetto della stessa tonalità, si poteva acquistare anche presso le botteghe. Le attrici cinematografiche erano entusiaste del nuovo smalto per unghie, perché, con l’avvento del Technicolor (introdotto già nel 1928), anche nei film potevano sfoggiare questo “nuovo” ed elegante cosmetico. Naturalmente, le donne comuni corsero in breve tempo ad acquistarlo, tanto più che era abbastanza a buon mercato. Ben presto anche altre case vendettero cosmetici per unghie. 4. La guerra e il glamour Gli anni quaranta furono un periodo cruciale a livello mondiale. Il secondo conflitto, scoppiato nel 1939, perdurò fino al 1945 e falcidiò la popolazione di ogni paese coinvolto. Soprattutto sul finire della guerra le perdite furono innumerevoli, visto che per la prima volta vennero usati in modo intensivo i mezzi aerei per bombardare le città colpendo anche i civili. Ogni risorsa umana e materiale venne impegnata nello sforzo bellico e i civili furono coinvolti come mai accadde in precedenza. Con gli uomini impegnati a combattere al fronte, alle donne era rimasto l’onere e la responsabilità della casa, dell’allevamento dei figli e non solo: le donne (che ebbero modo in quell’occasione, di mostrare al mondo ed in primis 43 a se stesse la propria capacità e l’infinità di risorse tipica del proprio sesso20) si diedero da fare su tutti i fronti e, rimboccate le maniche, sostituirono gli uomini in fabbrica (fig.24) per proseguire con la produzione (che però era esclusivamente dedicata alla guerra). Si arruolarono perfino, come attiviste, crocerossine, o aiutando la resistenza in vario modo: recapitando messaggi, viveri, armi e medicine, percorrendo in bicicletta anche zone pericolose e lunghe distanze. Furono anni molto duri per tutti i paesi coinvolti: il clima di austerità e rinuncia (che era già cominciato da prima dello scoppio “ufficiale” della guerra), la paura, il dolore per le perdite dei cari ed il terrore dei bombardamenti, incisero profondamente sugli animi delle persone; anche i postumi furono drammatici, ad esempio per paesi come per il Giappone che fu colpito dalla devastante bomba atomica. Tuttavia, come la Storia ci insegna, sono proprio i momenti di crisi più profonda che danno i migliori “frutti”. Infatti, il decennio dei Quaranta fu anche un momento di riscoperta, di crescita e di creatività, in generale per tutto il mondo occidentale, ma in particolare per gli Stati Uniti d’America. Si gettarono le basi 20 La nuova consapevolezza acquisita dalle donne si rifletté molto sugli usi e costumi della società, ma in particolare fu emblematico il diritto al voto acquisito nel 1945 (in Italia), diritto che equiparò i sessi, almeno dal punto di vista politico. 44 per il boom economico e sociale del decennio successivo, un momento storico di grandissima importanza. In Italia, con il regime fascista, sia prima che durante la guerra, ed anche a causa dell’autarchia21, vi è un ritorno alle tradizioni e 21 In Italia, nei primi anni di guerra, ancora pervasi di un ingenuo ottimismo, le riviste femminili propagandavano una moda “patriottica” della linea “ad anfora”, morbida ed abbondante. Con l’avanzare del conflitto, tuttavia, s’impose la necessità di razionare i generi di prima necessità le materie prime scarseggiavano la manodopera era quasi totalmente impegnata nel settore bellico, le scorte si stavano esaurendo. Per il cibo, i tessuti, i capi e gli accessori d’abbigliamento, cominciò la pratica del razionamento. In Italia, la tessera per l’abbigliamento (per tessuti, biancheria e scarpe) entrò in vigore il 1 novembre 1941, ogni adulto disponeva di 120 punti all’anno e un paio di scarpe ne valeva ben 65. E’ dunque chiaro il motivo per cui si cercava il più possibile di recuperare (magari riarrangiandola) la roba vecchia, di non sprecare nulla e di trovare soluzioni nuove anche dal punto di vista dei materiali. In Italia all’Ente Nazionale della Moda viene affidato il compito burocratico e coercitivo di convincere le signore a vestirsi "italianamente" pubblicizzando un gusto e uno stile italiani. Il primo articolo costitutivo dell’Ente obbligava chiunque preparasse collezioni o campionari di modelli di vestiario, accessori compresi, a registrare tale sua attività all'Ente stesso per impedire ai sarti di ispirarsi aad esempio all'odiata moda francese. La necessità di fare da se, con quel che si aveva, “venne chiamata” autarchia e fu la riscoperta del genio italico. L'arte secolare d’arrangiarsi, riveduta e corretta, tornò prepotentemente d'attualità. Non esportando formaggi, dal latte in esubero e quindi dalla caseina si ricavò il lanital (un 45 all’austerità (fig.25). Lo stesso razionamento dei beni imponeva una riorganizzazione delle priorità e certamente al primo posto non potevano esserci frivolezze come la moda o la cura del proprio corpo. In linea quindi con una politica di sobrietà e semplicità, la moda del tempo scoraggiò il trucco: lo si riteneva una manifestazione di vanità e frivolezza, non in linea con i canoni pragmatici del fascismo. Anche in Germania e in Inghilterra c’era un situazione analoga: il programma di Utility lanciato dal governo inglese nel 1941 regolamentava in modo puntuale e rigido la quantità e la gestione di ogni singolo prodotto. Ad esempio, per quanto riguarda la sartoria, vigeva una norma per ogni cosa: dalla quantità disponibile di stoffa cui si aveva diritto al numero di pieghe e bottoni consentiti 22. Naturalmente il programma Utility colpì anche la cosmesi, ma in modo più lieve: la produzione dei cosmetici infatti continuò tipo di lana). Dalla ginestra e dai fiocchi di canapa si ottenne un omonimo del cotone, il cafioc. Dalla Canapa si otteneva già abbondantemente fibra per sacchi e lenzuola (a dir la verità un poco ruvidi). E fu così che si trovò un surrogato per ogni cosa. 22 Le riviste dell’epoca esortavano le lettrici ad abbracciare l’ordine d’idee del “make-do-and-mend”, ovvero arrangiarsi e rammendare; ma le donne, per chiari motivi di necessità e dando sfogo alla propria estrosità, non si limitarono al rammendo: riciclarono vecchi maglioni, filarono la lana dei materassi e confezionarono abiti da tende, lenzuola, copriletti e qualunque altra cosa si potesse convertire. 46 anche durante la guerra seppur con delle limitazioni (per fare un esempio, nelle confezioni di cipria mancava il piumino; dunque si tendeva a risparmiare sul packaging e sugli accessori che lo corredavano, piuttosto che far mancare totalmente il prodotto in se), anche perché, quando nel 1942 in America sospesero la produzione di cosmetici, si creò un tale malcontento da far considerare il trucco alla stregua di un bene di prima necessità e tempestivamente se ne riprese la produzione (fig.26). In Europa, ciò che scarseggiava o mancava del tutto si sostituiva prontamente e con una grande dose di ingegno e creatività: latte detergente e creme da giorno vengono sostituite con burro, latte e margarina. Al posto del cotone va bene anche la carta assorbente. Il grasso per gli stivali fa le veci del mascara, mentre il carbone sostituisce l'ombretto. Con la cera da scarpe ci si tinge le sopracciglia ed i petali di rosa, imbevuti di alcool, producono un fard liquido di tutto rispetto. La seta, così come il nylon, erano ormai destinati alla produzione di paracadute militari e le tanto amate calze non circolavano più: ma le donne, ovviarono anche a questo problema, dipingendosi le gambe23 23 L’uso di dipingersi sulle gambe le calze finte, divenne talmente diffuso che le case cosmetiche dell’epoca non poterono stare a guardare e misero sul mercato prodotti appositi. Addirittura le donne più “ricche” (se in tempo di guerra si può parlare di ricchezza) potevano approfittare 47 (fig.27-28) con fard dal colore ocra oppure, in alternativa (ancora più casereccia), usando succo di cicoria, té o mallo di noce; ed ingannavano lo sguardo tracciando abilmente anche la riga posteriore della cucitura, avvalendosi della matita nera per occhi. In un clima così dimesso e di restrizioni, i capelli assunsero un ruolo di centrale importanza nell’arte della seduzione: le acconciature erano sempre piuttosto curate (fig.29), con onde morbide, riccioletti raccolti e soffici boccoli (come non citare la pettinatura “a schiaffo” della sensualissima diva Veronica Lake –fig.30– ). Ad ulteriore decorazione del capo, inoltre, si usavano fantasiosi cappellini che venivano realizzati con materiali riciclati, scampoli di stoffa altrimenti inutilizzabili e qualunque altro oggetto potesse avere del potenziale estetico. Farsi belle diventò parte integrante dello sforzo bellico (fig.31). In questo periodo si riscoprì il potere psicologico della cosmesi così come degli accessori moda: tutto ciò che poteva sfuggire all’ingrigimento e al razionamento, era colorato, chiassoso, creativo e pregno di voglia di vivere e passare oltre l’orrore della guerra. I gioielli del decennio sono piccoli capolavori di originalità: patriottici e realizzati in materiali come rafia, dell’estetiste della Max Factor, che dipingevano calze finte a domicilio. 48 legno, resine e, per la produzione più raffinata, sterling, ovvero argento 925. Negli USA fu il periodo delle Pin-up24 (fig.32), graziose donnine seducenti e prosperose, che ammiccavano sorridenti ai militari in guerra, dalle pareti sulle quali erano appese (sotto forma di poster) o dalle fusoliere degli aerei sulle quali erano dipinte. Il decennio rappresentò anche un altro periodo d’oro per Hollywood e le dive dello Star System, che dettarono legge per ciò che concerneva canoni di bellezza femminile e trucco, e reinterpretarono il ruolo della femme fatale smorzandone caratteristiche spigolose e severe come le sopracciglia e il colore delle labbra. Come le Pin up, anche le donne comuni sentivano l’esigenza di offrire a loro stesse (fig.33) e a gli altri un aspetto curato ed elegante ed è maggiormente attraverso il trucco che questo bisogno si manifestò. Inoltre, il trucco e gli 24 Con il termine di Pin Up (tradotto dall’inglese: “da appendere”) si indicavano generalmente le ragazze procaci, ammiccanti e sorridenti ritratte in costume da bagno, le cui fotografie ed immagini furono pubblicate su molte riviste settimanali degli Stati Uniti. Questo fenomeno attirò in maniera sempre maggiore l'attenzione dei lettori uomini, e in particolare registrò un incredibile successo fra i soldati impegnati al fronte, che usavano appendere le fotografie di queste ragazze nei loro armadietti o nelle loro tende di accampamento. Inoltre quando le fotografie erano assenti, ci pensavano i meravigliosi disegni di Alberto Vargas (18961982) a risollevare il morale ai soldati. 49 accessori erano l’unico spunto colorato e di personalizzazione di un abbigliamento pesantemente penalizzato dal razionamento dei beni. Lo stile di make up dell’epoca prevedeva un ritorno a ad una sensualità intrisa di naturalezza. Il cinema abbandona l’immagine della donna “mangiatrice di uomini” in favore di una figura femminile sensuale ma virtuosa, più sobria ma con una forte personalità. Grazie anche all’esigenze di Hollywood, comparirono nuovi prodotti (fig.34) come l’eyeliner, i fondotinta in stick e gli ombretti, contemplando sempre più tonalità, anche se le favorite del periodo erano tonalità neutre come i grigi e i marroni. Il trucco degli occhi consisteva in leggere sfumature correttive della palpebra mobile, mentre l’attenzione si concentrava sulla rima ciliare enfatizzata da un sottile accenno di eyeliner (talvolta sfumato) e dalle ciglia, che di giorno venivano appena scurite con il mascara, mentre di sera si allungavano ed infoltivano a dismisura anche tramite l’uso di ciglia finte. L’incarnato è più caldo rispetto al decennio precedente. Per ottenere l’effetto pelle sana e arrossata (come dopo una piccola corsetta) si usava stendere un fondotinta un po’ più scuro del proprio incarnato e poi fissare il tutto con una cipria lievemente schiarente. Anche il fatto di utilizzare i prodotti a strati e sovrapposizioni mirate, come fossero velature d’acquerello, concorreva ad aumentare la 50 naturalezza dell’insieme. Le sopracciglia si stagliano naturalmente piene e ben definite in una fronte spaziosa e in certi casi depilata (come voleva la moda del tempo): il loro arco era preciso ma folto, dando quel tocco deciso in più agli occhi. Le unghia sono tinte dello stesso colore dei vestiti. Erano disponibili vari colori, dal giallo senape al marrone, ma rossi e rosa furono sempre i favoriti. La stesura dello smalto sull’unghia coinvolgeva solo la sua parte centrale: superiormente si lasciava libera una sottile striscia, mentre alla base la mezzaluna veniva tenuta al naturale. Le labbra senza dubbio furono protagoniste del make up anni ’40: si ingrandirono esagerandone i contorni esterni con la matita, addirittura il labbro superiore veniva disegnato tracciando quasi due semicerchi che si congiungevano nell’arco di cupido. Il colore di rossetto del momento è decisamente il rosso, anche se esistono rossetti borgogna cupo scuro, color uva nera, mattone … Il rossetto fu senza dubbio il cosmetico più venduto (fig.35), anche perché era il modo più facile per copiare lo stile delle Pin Up e delle attrici. Secondo il «New York Times», solo nel 1941 se ne acquistarono negli Stati Uniti una quantità pari a 20 milioni di dollari. Le labbra rosso vivo (ma di tonalità di rosso ce n’erano molteplici) diventarono un simbolo di fascinosa sensualità, ma anche un augurio di vittoria e di ripresa: i nomi degli stessi rossetti avevano adesso 51 un’intonazione patriottica. Alcuni esempi sono: “rosso patriota”, “rosso lotta” e “rosso granatiere”. Dunque il cinema, le Pin Up, il trucco, erano tutti aspetti frivoli della vita quotidiana del tempo, che in contrapposizione con il clima triste e sommesso della guerra, aiutavano la gente ad evadere dalla dura realtà e ad avere speranza. Tuttavia, in Europa tutto questo era notevolmente ridimensionato; non c’era la stessa “ricchezza” e probabilmente anche le condizioni e la sofferenza dei civili erano peggiori. In Italia, ad esempio, anche dopo il fascismo continua ad affermarsi un’ideale di bellezza femminile più duro e drammatico, mancante di quella leggerezza tipicamente Yankee. La donna ideale del tempo in Italia era incarnata dalle attrici del cinema di Luchino Visconti e Vittorio De Sica, attrici come Anna Magnani (1908-1973) e Silvana Mangano (1930-1989). In Europa le bellezze erano carnali, mediterranee, con sopracciglia folte e abiti strizzati, espressioni del neorealismo cinematografico25 che nel 1947 verrà 25 Il movimento cinematografico neorealista sorse in Italia negli anni Quaranta con la volontà di contrapporsi al cinema dei “telefoni bianchi” che non riusciva più a rappresentare la realtà, in quanto questa adesso era pregna di drammaticità e di una nuova consapevolezza delle cose. Alcune caratteristiche del nuovo linguaggio furono: l'abbandono della struttura narrativa romanzesca, personaggi che avevano azioni definite, le riprese in esterni, la presenza di attori non necessariamente professionisti, la narrazione nei film della 52 però scalzato dal New Look26 di Christian Dior (1905-1957). La fine della guerra si rifletté in un periodo di gioia e ricostruzione che vide ricomparire gonne voluminose e glamour. La moda Americana dilagò con balli come il Boogie Woogie e novità in ogni campo, e le abitudini di vita si apprestarono ad essere mutate per sempre. 5. Il Boom economico Per l’Europa, uscente dal secondo conflitto mondiale, l’ascesa degli Stati Uniti a superpotenza mondiale fu un fatto evidente, confermato inoltre dalla presenza diretta delle forze di occupazione nei paesi sconfitti. Da abitanti di una nazione lontana, gli americani erano diventati portatori concreti della liberazione militare e, insieme, di un nuovo stile di vita (per certi versi giudicato scostumato), fatto di tante cose mai viste: dalla gomma da masticare alla cioccolata (di cui durante la guerra si era dimenticato perfino il colore), dalle realtà politica e sociale del paese in un momento di grandi cambiamenti. 26 Il lancio del New Look creato da Christian Dior irruppe nel 1947 come reazione all’austerità post guerra. Questo nuovo stile disegnava la silhouette con una vita di vespa ed un corpetto attillato che valorizzava il petto e i fianchi, mentre l’orlo della gonna si ampliava e abbassava, tutto questo con l’ausilio di tagli ingegnosi del tessuto, imbottiture e steccature. 53 sigarette ai dischi di musica. L’espressione "americanizzazione" dell’Europa sta, in effetti, a testimoniare l’impronta profonda impressa dagli Stati Uniti sul vecchio continente, riguardo due aspetti in particolare: la diffusione delle idee di libertà e di modernità, e l’introduzione in Europa di un modello di crescita fondato sull’espansione dei consumi privati, individuali e familiari (il famigerato ed in seguito temuto consumismo), basato sulla diffusione crescente di merci (utili, ma anche superflue) come radio, televisioni, automobili, frigoriferi, aspirapolvere, lavatrici. Hollywood, sbarcò nei vari paesi europei e conseguì, più tardi, una netta vittoria sulla produzione cinematografica europea, sia per la ricchezza dei mezzi a disposizione, sia per il numero degli spettatori che riusciva ad attirare. Fu infatti maggiormente attraverso il cinema (ma anche tramite i nuovi mass-media come la televisione) che lo stile di vita americano fece presa sulla gente. In Italia, fu l’attore Alberto Sordi, nel film Un americano a Roma27 a prendere in giro gli aspetti più estremi di questa identificazione. In questo clima di ritrovata abbondanza e benessere, con i mariti nuovamente a casa (e fu così che parallelamente al miracolo economico, gli anni ’50 furono il decennio del baby boom) le 27 Un americano a Roma, di Stefano Vanzina, Italia, 1954, 85 min. 54 donne ridimensionarono il loro ruolo e la loro responsabilità sociale, forte durante la guerra, ritornando in certa misura (e prevalentemente negli USA) alle funzioni tradizionali che le toccavano in quanto madre e angelo del focolare. Per inferenza, dopo l’abbigliamento povero e dimesso degli anni della guerra, le donne finiscono per sognare linee morbide e spreco generoso di stoffa, anche se il buonsenso lo sconsigliava. Il New Look di Christian Dior si affermò proprio perché sembrava esprimere in forma sartoriale la voglia e la speranza di un futuro migliore. L’imitazione di questo stile (ovviamente i capi originali erano appannaggio di pochi, in quanto beni costosi) divenne così il motore di sviluppo di una classe sociale in ascesa: la classe media. La forma a clessidra tipica del New Look si ritrovava dappertutto, dall’architettura all’arredamento di interni, fino al più insignificante oggetto d’uso quotidiano. Tavolini a forma di fagiolo, poltrone sferiche, bicchieri a forma di tulipano, lampade a cono, vasi sagomati e posacenere di vetro modellato: tutto rifletteva le linee scultoree della moda di Dior. Gli anni ’50 non conobbero la ribellione. I grandi magazzini, la larga diffusione dei cosmetici, le fibre plastiche e la confezione, permettevano ad ampi strati della popolazione di copiare lo stile dei ricchi. Le idee dell’alta moda arrivarono così fino alla strada e non solo: l’intero stile di vita delle 55 classi privilegiate sembrava essere diventato alla portata di tutti: frigoriferi, automobili, viaggi per le vacanze, feste, pure le famiglie non proprio ricche potevano comunque permettersi una copia, benché imperfetta, del gran mondo. Tuttavia il miracolo economico fu pagato con il sudore della fronte e portò con se, contemporaneamente al benessere, nuovi doveri per i quali molti non si sentivano all’altezza: una volta saltati sulla giostra del consumo si doveva girare ad un ritmo sempre più vertiginoso, bisognava sapere cosa andava bene, quando e dove, e non tutti reggevano questa inedita pressione. Negli anni ’50 la donna voleva essere soltanto donna (fig.36) e per questo abbandonò, ignara, conquiste già fatte nell’anteguerra, preferendo ritrarsi nel focolare domestico. Una donna ammodo (soprattutto negli ambienti provinciali e ultra cattolici) doveva seguire le regole prescritte dalla buona condotta femminile: non si usciva mai senza cappello e guanti, borse e scarpe dovevano essere sempre abbinate, gli accessori e il trucco dovevano essere dello stesso colore, si mostrava il décolleté solo la sera e le stoffe si sceglievano a seconda del momento della giornata. Inoltre, una donna di mondo non comprava mai da sola fiori o profumi, ma li aspettava in regalo dall’uomo, presumibilmente come ricompensa per lo sforzo di farsi incessantemente bella per lui. Una donna che avesse degli obblighi sociali, doveva cambiarsi 56 dalle 5/6 volte al giorno, cambiando di conseguenza trucco, accessori e pettinatura. Solo persone estremamente ricche, che non dovevano occuparsi al tempo stesso della famiglia e della gestione della casa potevano, senza stress, gestire uno stile di vita così elaborato. Tipica degli anni ’50 è l’esplosione di colori che costituì la reazione alla tristezza degli anni della guerra. I fabbricanti di stoffe riprendevano i colori e si ispiravano alla pittura contemporanea28. Il cambio della moda rende necessari nuovi modelli di bijoux, che ora non solo sono socialmente accettati ma diventano un accessorio chic, tanto da essere scelti da Mamie Eisenhower che, nel 1953 per il ballo di inaugurazione della presidenza del marito, commissionò a Trifari29 la creazione di una parure 28 Stella cometa ed eroe dell’ambiente dell’arte (soprattutto dell’action painting) divenne il pittore Jackson Pollock (“Jack the Dripper”, 1912-1956), che con grande sforzo fisico e fantasia distribuiva i colori in maniera apparentemente casuale su grandi tele stese sul pavimento. La sua vita veloce e selvaggia, che ebbe fine nel 1959, fece di Pollock una figura di culto. 29 La gioielleria Trifari fu fondata con il nome di "Trifari & Trifari", dal napoletano Gustavo Trifari e suo zio nel 1910, una volta trasferiti ad Ellis Island negli Stati Uniti. Quando lo zio un paio di anni dopo, abbandonò la società, rimase solo un nome. In seguito Leo Krussman entrato nell'azienda Trifari nel 1917, e Carl Fishel ribattezzarono l'azienda Trifari, Krussman e Fishel e il loro segno distintivo divenne KTF. La società rimase stagnante per mancanza di bravi designer e a causa del crollo del mercato azionario nel 1929. 57 da abbinare al suo vestito. Grazie alle migliorate condizioni economiche diventa possibile invitare amici e conoscenti a cena o per il cocktail, cogliendo così l’occasione per indossare su semplici vestiti neri, appariscenti gioielli, soprattutto anelli, detti appunto anelli cocktail, tipici della moda anni ‘50. Le parole chiave per descrivere la donna del decennio sono: efficiente, raffinata ed impeccabile. Regina dei fornelli e abile nelle faccende domestiche, si destreggiava tra lavatrice e aspirapolvere, simboli di un tempo che andava cambiando a ritmo sempre più serrato. Indossava la guepiere, che la aiutava ad ottenere lo strettissimo vitino da vespa tanto di moda. E attendeva paziente e impeccabile l’arrivo del marito a casa. Sotto un’apparenza inizialmente giocosa e votata alla seduzione, il trucco divenne lentamente una pratica codificata e dotata di prodotti, strumenti Fu a partire dal 1930 che l'azienda ebbe una svolta, grazie al designer d'eccezione Alfred Philippe (in precedenza aveva lavorato per marchi prestigiosi come Van Cleef & Arpels e Cartier); che realizzò per tutti gli anni Trenta e Quaranta dei capolavori in stile Decò che conquistarono il pubblico femminile. Le attraenti e fantasiose creazioni Trifari, realizzate in materiali poveri come leghe di metalli, finte gemme di colore, cristalli e perline, brillavano al collo o sugli abiti delle attrici ma anche delle centraliniste e delle segretarie. Il marchio divenne noto anche per uno stile di bigiotteria noto come "fruit salad", che prevedeva oltre a colori squillanti e forme lucide e bombate, materiali poco costosi ma di grande effetto scenico. 58 (fig.37) e tecniche proprie. Sempre più prodotti spuntavano sul mercato, e quelli che invece vi erano già da tempo si andavano raffinando e migliorando sempre più. Con il trucco anni ’50 (fig.38-39), si voleva tornare ad una tipologia di trucco meno sofisticata di quella del decennio precedente tutta ombreggiature e chiaroscuri, ma che comunque esaltasse la bellezza e l’espressività degli occhi e delle labbra, punti che continuavano ad essere focali. Il trucco si stendeva nuovamente su una pelle uniforme e dall’incarnato chiaro ma che stavolta non nascondeva particolarità come le lentiggini, che invece venivano lasciate a vista ed apprezzate30. Il nuovo modo di truccare gli occhi, derivato dalla moda Parigina dello “sguardo da cerbiatta” consisteva in una riga di eyeliner nero che evidenziava la rima ciliare superiore e che all’angolo esterno si evolveva in un flick o virgoletta dando l’impressione di un occhio più allungato, quando presente l’ombretto era in quantità minima e in tonalità neutre, mentre invece si abbondava con il mascara e in certi casi si usavano perfino le ciglia finte; le sopracciglia sottili della Dietrich e la bocca ingigantita di Joan Crawford (1905-1977) (fig.40) erano ormai 30 Paradossalmente però anche se “difetti” come nei e lentiggini non venivano più nascosti, sul mercato furono lanciati prodotti quali, correttori, copri occhiaie, fondotinta dalle nuove formulazioni e ciprie in tutte le forme e confezioni. 59 esagerazioni appartenenti al passato; se una volta le donne comuni volevano essere perfette come le dive, adesso le dive devono assumere le sembianze di perfette donne comuni. Il glamour quindi non veniva ostentato, anche il trucco delle labbra non era più chiassoso come in precedenza, le labbra mantenevano la colorazione rosso vivo e tutte le altre infinite tonalità di rosso (ognuna precisamente mirata ad un certo tipo di carnagione e colore di capelli, come insegnava Helena Rubinstein – V. infra, cap.II, § 2 –), ma erano delle dimensioni naturali e la matita contorno labbra non sbordava in eccessi di turgore e volume. Il fard era dosato in maniera discreta (fig.41). E la cipria31 era ancora fedele compagna di toeletta; dopo il 1957 comparvero i primi mascara nel loro packaging per eccellenza (il medesimo di adesso) ovvero un tubetto dal tappo a vite dal quale fuoriusciva un applicatore a scovolino, fino a quel momento erano stati venduti in una spartana confezione di cartoncino dove il mascara vero e proprio era sottoforma di panetto semi solido da raschiare con una piccola spazzolina. 31 La rivista «Vogue», sul finire del decennio lanciò la moda delle ciprie colorate, blu per le bionde e verde per le more. Tuttavia questa moda si esaurì presto, ma vale la pena di annoverarla tra le poche (se non l’unica) frivolezze del make up di questo periodo. 60 6. La Ribellione Gli “swinging sixties” furono uno dei decenni più significativi del XX secolo e lo dimostra il fatto che le opinioni su questo periodo sono ancora discordi. Alcuni la considerano l’epoca d’oro di nuove libertà, altri il decennio tenebroso che ha portato, essenzialmente, alla dissoluzione di morale, autorità e disciplina. Certo è che molti aspetti della vita sociale, della politica e della cultura odierna sono una conseguenza di quanto si mise in moto allora. La spinta innovativa venne dai giovani che grazie al boom demografico del dopoguerra, costituivano un’altissima percentuale della società e la loro influenza era forte come non lo era mai stata prima. I giovani si ribellavano alle istituzioni e regole che fossero dettate “dall’alto”: all’autorità dei genitori, alla chiesa e allo stato, cominciando a cercare valori nuovi e smascherando pian piano l’ambigua morale dell’epoca, in nome della quale si faceva esattamente il contrario di quanto si predicava in pubblico, e mettendo così in crisi il sistema. Si creò così una controcultura forte ed invadente, che non si limitava a borbottare in segreto, ma era onnipresente e quando si ribellava, lo faceva in modo forte, palese, inequivocabile. Alcuni giovani avevano un orientamento più politicizzato, altri 61 erano attivi nell’ambito della cultura Pop32, mentre altri ancora più semplicemente, sognavano una vita pacifica e all’insegna del piacere. Ma tutti, più o meno indistintamente erano accomunati da un’unica causa: ovvero rifiutare la limitatezza asfissiante della società borghese, e valori vuoti e ipocriti come il decoro e l’etichetta. Questa presa di posizione, si manifestò anche attraverso la precisa volontà di liberarsi da tutte le costrizioni: nel 1961, venne lanciata sul mercato la pillola anticoncezionale, che contribuì molto, per non dire scatenò, la cosiddetta rivoluzione sessuale. Gli uomini si sentivano liberi da ogni responsabilità mentre le donne, si sentivano obbligate a dimostrarsi disponibili. Uno degli effetti inaspettati della pillola e della rivoluzione sessuale fu che, alla fine degli anni ’60, molte donne andarono sulle barricate femministe a combattere tutte le teorie, pregiudizi e visioni poi ribattezzate maschiliste, che si avevano avute fino a quel momento nei confronti della donna e del suo ruolo nella società. La giostra del consumismo, era ancora inarrestabile ed i giovani, nonostante le lotte e il 32 Per cultura Pop, si intende il raggruppamento di tutte le idee, prospettive, atteggiamenti ed altri fenomeni artistici, musicali etc. che confluirono nel momento storico sopracitato. Fortemente influenzata dai mass media, come la televisione, la radio e le riviste, questa raccolta di idee e “canoni estetici” permeava ogni aspetto della vita quotidiana della società degli anni ’60. 62 rifiuto delle imposizioni dettate dalle istituzioni, non erano contrari al consumo; forse non si aveva ancora una reale consapevolezza del meccanismo che si era innescato nel decennio precedente, fatto sta che le regole di mercato non venivano contrastate, e nonostante si detestasse il mondo materiale degli adulti i giovani spendevano allo stesso modo e con le stesse motivazioni, ma in cose differenti: moda giovane, viaggi, droghe e rock ‘n‘ roll. Dopo il concerto di Woodstock nel 1969, il Flower Power33 perse la sua magia: i concerti seguenti finirono in fiumi di alcool, droga e violenza. Il sogno Love & Peace esplose come una bolla di sapone, ma niente però sarebbe più tornato come prima. Nemmeno la moda. Gli incredibili cambiamenti che la cultura giovanile apportò alla società, si rifletterono anche sull’estetica e sul modo di abbigliarsi. L’avvento della minigonna34 (che fu uno dei momenti 33 Flower power è un'espressione tipica del movimento hippy, che significa letteralmente "potere dei fiori", usata durante la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta come simbolo di una ideologia non violenta. Il movimento nacque per opporsi attivamente alla guerra del Vietnam; alcune loro prese di posizione, come bruciare le lettere di chiamata obbligatoria alle armi, furono clamorose, suscitarono sdegno e critiche negli ambienti conservatori e tradizionalisti, ma riuscirono, egualmente, a gettare i semi di una "cultura hippy". 34 La minigonna, indumento rivoluzionario, fu lanciata nel 1964 circa da Mary Quant (1934) , una stilista londinese che aprì la sua boutique Bazaar in King’s Road a Londra. Questo 63 fondamentali nella storia del costume del XX secolo), e la sua “promozione” diede vita a nuove icone, nuove figure di riferimento come testimonials e top model35 (ad esempio Twiggy Lawson – v. infra cap. II, § 11 – , ma anche Jean Shrimpton (1942) e Veruschka – fig.42 – ) e ad una nuova concezione dell’estetica, della sensualità e della bellezza. Jean Shrimpton aveva una linea da adolescente, indossava la minigonna e si presentava con capelli lunghi, arredati di frangia, e occhi dal trucco assai marcato. Twiggy, campeggiava sulle copertine delle più importanti riviste (fig.43) con il suo taglio da monella, gli occhi incorniciati con la sfumatura “a banana” e le ciglia inferiori disegnate con l'eye-liner, lo stesso che caratterizzò gli anni '50 ma che adesso viene adoperato in maniera totalmente nuova e creativa. Tutto era teso a sottolineare uno stile fresco, scevro da schemi troppo rigidi, ironico e accessibile nel prezzo (dato che ormai il target di capo sconvolgente in realtà traeva la sua ispirazione dagli abiti infantili, e la carica erotica fu solo conseguente, poiché l’intento iniziale era quello di riassumere in un capo d’abbigliamento il rifiuto delle giovani donne dei modelli materni di stampo borghese. 35 Con il boom del Prêt-à-porter, e conseguentemente delle riviste femminili di moda, non è più la star cinematografica a dettare il look del momento, ma bensì la modella indossatrice. Anche il trucco beneficiò di questo boom, infiltrandosi in ogni casa, diventando via via sempre più commerciale ed entrando infine a far parte dei fenomeni Pop. 64 riferimento era principalmente la gioventù). Abolendo il trucco raffinato delle pin up, l’intento era esaltare la propria giovinezza e conservarla più a lungo possibile. Del resto, era probabilmente questa la tendenza che più si affermava su tutte: ostentare l’apparenza ingenua e innocentemente sensuale dell’adolescenza. L’ideale di bellezza femminile, venne totalmente sovvertito: se giusto un decennio prima, la donna favorita era florida, con seno forte e appuntito, vitino da vespa e gambe tornite, dall’aspetto sempre impeccabile e dalla rigida morale; adesso i nuovi canoni prevedevano un corpo snello, con forme appena accennate, quasi androgine, occhi grandi e gambe affusolate da mostrare senza troppo pudore. E anche nel trucco vi è una sorta di inversione di marcia: se in precedenza il peso era maggiormente spostato sulle labbra (rosse, precisamente delineate ed erotiche) adesso erano gli occhi, grandi e da cerbiatta a catalizzare l’attenzione. In questo decennio per ciò che concerne il trucco possiamo distinguere due momenti: il primo va dal 1959 al 1963, il secondo dal 1964 al 1970 (fig.44). Nel primo periodo, il trucco era composto da un incarnato luminoso e rosato, che non sempre prevedeva il fard sulle gote (quando presente, era sui toni del rosa). Le sopracciglia erano di spessore medio, spesso depilate alle estremità e ridisegnate dritte verso l’alto; esse, incorniciavano occhi sottolineati da un’unica linea di eyeliner 65 terminante con un caratteristico flick all’insù che incentivava i colori pastello (azzurro, turchese, verde ma in seguito anche oro e bronzo) dell’ombretto in stick (fig.45). Le ciglia erano sempre accentuate con il mascara che adesso oltre al classico nero, si trovava anche grigio fumo e blu. Infine le labbra erano appena velate di rosa o arancione chiaro. Il secondo periodo invece, vide uno scurimento del fondotinta e uno schiarimento delle labbra – preferibilmente carnose e tumide come quelle di Brigitte Bardot (fig.46) – che talvolta venivano addirittura coperte ed “annullate” dallo stesso fondotinta oppure tinte di beige e rosa perlati e chiarissimi. Gli occhi rimasero il fulcro del look ed erano contornati da una spessa bordatura di eyeliner nero (sia solo sulla palpebra superiore che lungo tutto il contorno) stavolta con un flick leggermente discendente verso il basso per dare una sensazione di occhio languido; sotto la rima ciliare inferiore spesso venivano disegnati piccoli punti e trattini ad imitazione delle ciglia (effetto bambola) mentre la palpebra veniva campita di bianco o con altre tonalità chiare ed opache. Altre caratteristiche principali del periodo sono la sfumatura a banana nella piega della palpebra (quasi sempre nei colori della terra come il biscotto e il caffelatte) e le ciglia finte che ormai sono di facile reperibilità e molto apprezzate ed usate (si usava anche tagliare in più porzioni una 66 ciglia a nastro, attaccando i piccoli ciuffetti così ottenuti, anche lungo la rima inferiore dell’occhio). Colei che si spingerà ancora più lontano nello studio del make up è Veruschka Von LehndorffSteinort (1939). Indossatrice tedesca dalle nobili origini, arriverà a comporre sul suo corpo vere e proprie opere d'arte adoperando le tecniche del camouflage36 e della body painting37. Ali di farfalle, di mosche, petali di fiori... tutto ciò che la 36 Il camouflage è una tecnica di trucco correttivo, utilizzata per nascondere difetti del viso di una certa gravità ad esempio forti arrossamenti della pelle, vitiligine, ustioni, cicatrici dovute ad interventi chirurgici o incidenti, segni lasciati dall'acne, macchie brune e macchie. In questo caso, si intende per camouflage un contouring particolarmente coprente e accentuato che possa trasformare e storpiare otticamente i volumi del volto e del corpo. 37 L’arte della body painting affonda le sue origini negli albori della civiltà. Era uso e costume di popoli tribali Africani, Indiani e centro Americani che attribuivano a quest’arte significati di tipo: religioso, cerimoniale, intimidatorio e sessuale. L'origine della body painting moderna invece, pare venga fatta risalire al 1933 quando Max Factor, dopo aver truccato interamente la sua modella con un nuovo make up, la espose alla Fiera Mondiale di Chicago (furono arrestati entrambi per disturbo alla quiete pubblica). Piano piano tornò di moda una delle forme d'arte tra le più antiche, stavolta però caricata di un diverso significato (oltre che realizzata con tecniche più evolute). In particolare, dagli anni novanta ad oggi la body painting ha subito un vero boom e a riguardo si svolgono durante l’anno numerosi eventi e festival. 67 natura metteva a disposizione, poteva diventare spunto per decorare il corpo (fig.47). Hippies e figli dei fiori adottarono colori vivaci e caratterizzarono il loro make up (quando presente, dato che la moda verteva intorno ad un fantomatico ritorno alla natura) con giochi psichedelici: si disegnavano fiori intorno agli occhi e altri disegni come ad esempio il simbolo della pace, adoperando matite colorate: rosa acceso, beige dorato, verde, viola, arancione... erano queste le nuance che andavano per la maggiore. Addirittura Mary Quant (1934), inserì un kit (dal packaging palesemente sixties) di pastelli colorati da viso (fig.48) nella sua linea di cosmetici, al suo interno oltre ai pastelli, c’erano anche degli esempi di disegni da copiare o dai quali trarre ispirazione. 7.Il ritorno alla natura Il decennio dei ’70 fu storicamente molto delicato e tumultuoso; colmo di contraddizioni, eventi, fermenti e spinte innovative. Fu l’esasperazione delle basi gettate in precedenza: la libertà si trasformò in dissolutezza e la gran parte dei giovani di quegli anni tendeva così ad uno stile di vita sbandato ed individualista. All’interno dell’intera e sfaccettata società dominava l’incertezza, incombeva lo spettro della crisi 68 economica; la disoccupazione, come la corruzione ed il malcontento, crescevano sempre più e tutto ciò si tradusse ben presto a livello globale, in proteste di massa e attivismo politico38 (in certi casi più che di attivismo si trattava di estremismo). Gli Stati Uniti, ad esempio, subirono profondi cambiamenti. La guerra in Vietnam continuò a dividere il paese anche successivamente l’accordo di pace di Parigi (stipulato nel gennaio 1973), che mise fine alla partecipazione americana nel conflitto. Fu legalizzato l’aborto. Aumentarono criminalità ed immigrazione (che fu incentivata dalla promulgazione dell’atto di immigrazione del 1965); la gente dal terzo mondo, migrava verso gli Stati Uniti in cerca di fortuna economica e per scappare dalle repressioni politiche. Le donne e le minoranze fra le quali gli omosessuali, chiedevano a gran voce stessi doveri e facoltà rispetto alla restante parte della società. Le minoranze etniche, come la comunità afroamericana e quella degli indiani d’America, cominciarono una dopo l’altra a reclamare i propri diritti in modo sempre più pressante, ed in effetti piano piano alcune città come Los Angeles, Detroit ed Atlanta videro eletti 38 Lo stesso "Maggio francese" fu ben più che un episodio del movimento studentesco: la rivolta giovanile innescò in Francia uno sciopero generale di proporzioni notevoli. Accanto a dieci milioni di operai scesero in piazza anche gli impiegati, il ceto medio nonché i tecnici ed i professionisti. La coscienza sociale stava cambiando. 69 a sindaco degli afro-americani. Uguaglianza ed equità erano le parole d’ordine. Parallelamente a conquiste da parte del mondo femminile, che ormai si era fatto strada nella politica come nelle istituzioni scolastiche, si ravvisò un gran numero di donne che dalla legge sul divorzio invece fu penalizzato, in certi casi ritrovandosi in solitudine a svolgere forzatamente il ruolo di capofamiglia e in altri casi per colpa della povertà incalzante. Nell’inverno del 1972-73 scoppiò la crisi petrolifera che ebbe come conseguenza la svalutazione del dollaro (che ovviamente si ripercosse in tutta Europa sottoforma di una politica di austerity39). Dell’euforia economica dei ’50 non vi era rimasta alcuna traccia: la gioventù da ottimista diventò cinica e mostrò la propria parte peggiore, fatta di disimpegno, tendenza all’evasione mentale e di un generale smarrimento40. 39 In economia, l'austerità è una politica di taglio del deficit, di riduzione delle spese, e di prestazioni e di servizi pubblici forniti. 40 Emblematico è il film Saturday Night Fever, di John Badham, Stati Uniti, 1977, dove viene raccontata la vita inquieta di un giovane di Brooklyn (interpretato dal sex symbol John Travolta) che vedeva nella discoteca e nella cultura disco una via di fuga dalla triste realtà. Questo film già a quei tempi ebbe un’incredibile successo e contribuì alla diffusione e promozione della cultura disco (e della disco music). Adesso invece offre un esauriente spaccato della 70 Se in Vietnam la Guerra terminava, scoppiavano ora rivolte e guerriglie in altre aree quali la Cambogia, il Libano, il Medio Oriente e il Sudafrica. Anche l’Europa viveva un momento di delicata transizione con un rallentamento produttivo generale ed un inasprimento delle tensioni sociali. Inoltre, paesi come la Spagna il Portogallo e la Grecia, videro cadere i propri regimi dittatoriali e l’insediamento di nuovi governi. La Germania deteneva il primato economico, mentre in Gran Bretagna la politica di contenimento dell’inflazione di Margareth Thatcher provocò un aumento preoccupante della disoccupazione. L’Italia attraversò, a partire dal 1972, un periodo di paura e tensione: i cosiddetti “anni di piombo”. Durante l’intero decennio si susseguirono molteplici attentati terroristici da parte di gruppi estremisti sia di destra che di sinistra, che seminarono paura ed instabilità nella popolazione e nella classe politica. La crisi in Italia fu inoltre particolarmente dura, perché agli effetti della crisi internazionale e al clima di terrore, si sommarono le fragilità strutturali dell’economia; il ritardo tecnologico, l’inefficienza del sistema fiscale, la debolezza della lira, le inefficienze della pubblica amministrazione, etc. realtà giovanile di quegli anni e ci suggerisce come si sia in seguito arrivati alla smania di potere, di benessere, di sport e vita notturna che culminò negli anni ’80. 71 Nonostante da un punto di vista storico, gli anni ’70 non furono esattamente un periodo “roseo”; si trattò comunque di un momento di trasgressione e libertà, pregno di una sempre crescente cultura e di creatività, di innovazioni tecnologiche come il Compact Disc (nella sua forma attuale), il Walkman della Sony, i primi videoregistratori e il telecomando per la televisione (in Italia a colori a partire dal 1977). Fu un decennio di “scambi” con lo spazio, con le missioni lunari del 1971, ’72 e ’73 e con il boom di avvistamenti di U.F.O. del 1978. Le radio libere ebbero una vera e propria impennata di ascolti e consensi e fu proprio la musica, grande protagonista del decennio, ancora una volta, ad influenzare la moda ed il costume giovanile proponendo nuovi stili di vita (promossi da nuove icone) e canoni estetici (ne sono la prova la Disco music, il Punk41 e la musica Dance di fine 41 Il Punk, nacque a Londra nella seconda metà degli anni ‘70 e si propose come un movimento aggressivo ed anarchico il cui motto era: “No future”. Circa 200 giovani si definirono parte di una cultura urbana, giovane e che si opponeva alla moda hippie, sviluppando un vero e proprio odio verso la generazione precedente e le smancerie del Flower Power, sostituendo il diktat “Peace & Love” con “Sex & Violence”. Questa controcultura era anche strettamente collegata alla musica di gruppi come i Sex Pistols, che insieme al manager Malcolm McLaren e alla stilista Vivienne Westwood divennero icone indiscusse e punti di riferimento per coloro volessero sposare questo stile. Il look Punk, contemplava tutto ciò che era esteticamente brutto o scandaloso: i loro abiti strappati ad arte, sgualciti e sporchi provenivano da 72 decennio). Auto-espressione ed eccesso furono i tratti distintivi del tempo: tutto quanto era portato ad esagerazione: la lunghezza dei capelli, l’altezza delle scarpe, i glitter, l’ascolto della musica, l’uso di droghe ed alcool insieme all’entusiasmo per la tecnologia e l’eccesso psichedelico. Dal punto di vista stilistico sarebbe troppo semplicistico liquidare gli anni ‘70 come “il decennio del kitsch”, nonostante, in effetti, molti prodotti di questi anni abbiano un che di pacchiano – si pensi ai copri water in tessuto colorato, ai vari accessori per decorare l’abitacolo dell’automobile, ai body di lycra e alle camice in poliestere dagli improbabili colori – infatti, furono apportati considerevoli contributi in architettura, design, moda ed estetica in generale. Spunti dai quali inconsapevolmente attingiamo ancora oggi e che hanno gettato le basi per le idee più moderne come ad esempio, in campo architettonico, una nuova concezione di casa, come fosse un organismo che interagisce con l’ambiente circostante e perfettamente calzante alle reali esigenze della famiglia che la abita; o l’uso di tecnologie a basso negozi dell’usato e centri di carità ed erano sempre customizzati dal proprietario, che li decostruiva e riassemblava sotto nuove forme. Alcuni accessori emblematici, a completamento del look punk erano spille da balia, catene di varie dimensioni (spesso chiuse da lucchetti e portate come collane), collari borchiati per cani e anfibi Dr Martens. 73 consumo energetico che è un tema, in questo momento storico, più attuale che mai. Questi anni furono anche un melting-pot di elementi contrapposti: all’austerità dettata dalla crisi economica si opponeva la decadenza dei costumi (destare scandalo era una priorità), alle tonalità della terra ritornate in voga si alternavano vere e proprie esplosioni di colori leziosi, all’amore per la natura si affiancava una smania di futurismo high-tech e la cultura della discoteca con la sua estetica artificiale. L’influenza dello stile hippie si rifletté oltre che attraverso l’attenzione alla natura (ora ulteriormente incrementata dalla crisi petrolifera del 197342) anche sull’abbigliamento, con l’uso di mixare vari stili differenti, con la predilezione per tessuti come cotone, lino e fibre naturali e per i colori cosiddetti della terra, con gli accessori di derivazione etnica e folk (ad esempio caftani, pantaloni alla turca e turbanti: influenze estere derivate anche da una maggiore facilità di compiere viaggi). Ma l’abbigliamento, così come la vita non aveva più delle regole fisse ed ognuno doveva decidere da sé quello che gli stava bene e 42 Si pensi che ad esempio in Italia, la domenica, non si poteva circolare in automobile e che alcuni giorni la settimana, per circolare in auto si adottava il criterio delle targhe alterne. 74 la scelta ricadeva spesso sui Blue Jeans43 (accompagnati da una semplice camicia sia per lui che per lei) ma anche sulle zeppe e scarpe con il tacco ed il plateau (anche per lui, ebbene sì). Parallelamente al denim e allo stile hippie, verso la fine del decennio prese piede il look Disco che contemplava l’uso di completi giacca e pantalone (talvolta anche con il gilet coordinato) attillati per gli uomini, sulla falsariga dell’abbigliamento di Tony Manero, e tutine ed abiti in lurex o paiettati per le donne accompagnati in entrambe i casi da folte chiome, cotonate e vaporose44. Tra gli stili più estremi del momento troviamo anche il Glam-rock, i cui elementi chiave erano il travestimento e l’ambiguità sessuale. Tra i portavoce di questa moda emerge decisamente su tutti David Bowie (fig.49), uno dei più grandi artisti e showman di sempre: egli attraverso la 43 I jeans furono già “divisa” di giovani ribelli a partire dagli anni ’50, quando l’attore e sex symbol Marlon Brando li rese popolari; il modello ora in voga, prevedeva la vita bassa e il fondo svasato a zampa d’elefante, anche se con il tessuto denim venivano confezionati oltre i già citati “cinquestasche” anche pantaloni dal taglio più classico. 44 I capelli divennero il simbolo della libertà appena conquistata, rappresentavano infatti l'archetipo dell'abbattimento di ogni tabù. Le chiome venivano ora reinterpretate con l’uso di tecniche del tutto originali (una era il brushing per lisciare) e si affermarono nuovi talenti dell'hairstyling come Jean Louis David, Maniatis, Harlow. Criniere vaporose facevano a gara con teste geometriche in un'alternarsi di trovate geniali ed estrose. 75 dimostrazione che fosse tutto spettacolo, travestimento e atteggiamento, mise fine all’illusione che la musica rock fosse sinonimo di sincerità e specchio della personalità del cantante: in realtà, secondo l’artista ed i seguaci del Glamrock, il cantante si “prostituiva” allo show business sempre e comunque. La moda Glam era ironica, esagerata, scandalosa, combinava componenti androgini con elementi spiccatamente femminili (come il trucco estremamente vistoso e provocante) e sensuale mascolinità. Anche per ciò che concerne in generale il make up del periodo (fig.50), l’esagerazione si declinava variegatamente, ora con le sopracciglia completamente depilate di Mina (v. infra, cap.II, § 9), ora con veri e propri disegni ed arabeschi (dunque il viso veniva trattato alla stregua di una tela bianca e dipinto come fosse un quadro – fig.51 –). Comunque, il trucco più usato in linea di massima, rispettava le stesse regole valide per l’abbigliamento: di giorno il look era leggermente più naturale (fig.52), con tinte bruciate, biscottate e tocchi di rosa e celeste (fig.53-54) per gli occhi sempre sottolineati dall’eyeliner, dal mascara e spesso anche dalle ciglia finte (continua ad essere amato lo stile bambola adottato da Twiggy); le sopracciglia furono soggette a nuove attenzioni, come la rasatura completa (a fine decennio era ormai una pratica abituale di moltissime modelle e non destava più alcuno stupore come invece fu 76 all’inizio), ma alcune donne si limitavano a pettinarle all’insù fissandole con la lacca, con il sapone, chi addirittura anche con la colla. Le labbra venivano dipinte con rossetti rosati o con il solo lucidalabbra, che le idratava e lucidava rendendole tumide ed attraenti45; la pelle, tonica e spesso anche dall’abbronzatura dorata veniva illuminata con polveri iridescenti e riflettenti che le donavano un aspetto satinato. In totale rotta di collisione si trovava il trucco Punk, che univa un make up scomposto e sbavato (fatto essenzialmente da pigmenti neri) al pallore inquietante e labbra simili a ferite, ripescati dalle dive del muto, caricati stavolta di un diverso significato e di… piercing46 al labbro, al naso e ad altre parti del viso (e del corpo). 45 Ovviamente le femministe non adottavano nessun tipo di cosmetico, tantomeno il rossetto rosso o rosato che fosse. Il loro perentorio rifiuto del trucco, fa capire quanto questa pratica porti con sé anni, se non addirittura millenni di significati e valenze culturali. In questo caso la donna attivista degli anni ’70 rifiutava l’idea di doversi “adeguare” ad uno standard di bellezza impostole da altri ed anche il principio che faceva del make up un’arma di seduzione per attirare l’uomo. 46 Piercing o body piercing (dall'inglese to pierce, "perforare") indica la pratica di forare alcune parti superficiali del corpo allo scopo di introdurre oggetti in metallo (talvolta ornati con pietre preziose), osso, pietra o altro materiale, quale ornamento o pratica rituale. Il piercing ha origini antiche o preistoriche. Lo scopo principale era quello di distinguere i ruoli assunti da ogni membro 77 Per la sera e la discoteca le tinte si facevano più forti, gli occhi ancora più magnetici e l’ombretto saliva sfumando verso le tempie, così come il fard si sfumava verso gli zigomi; verso la fine del decennio tornarono di moda i rossetti rosso acceso e troviamo i pigmenti contenenti mica e perciò dai riflessi leggermente metallescenti sia per le labbra che per gli occhi. In realtà, una delle maggiori conquiste nel campo della cosmesi, fu l'introduzione di una regolamentazione per i cosmetici e i prodotti da toilette. Questa, aveva lo scopo di garantirne la sicurezza per l'uomo. In questi anni, ad un prodotto cosmetico veniva richiesto di essere tecnicamente ben fatto e di non contenere ingredienti pericolosi per la salute e ciò era una importante presa di posizione rispetto all’atteggiamento superficiale degli anni passati, per cui pur di apparire belle, si soprassedeva sulle eventuali ripercussioni dannose che determinati ingredienti potevano avere sulla salute della consumatrice. all'interno della tribù, al fine di regolare i rapporti tra i vari individui sia nel quotidiano che durante le cerimonie, rendendo immediatamente palese tutta una serie di informazioni sull'individuo e al suo rapporto con il gruppo di appartenenza. I motivi che oggigiorno spingono a tale pratica possono essere i più vari e possono includere: religione, spiritualità, tradizione, moda, erotismo, conformismo o identificazione con una sottocultura. 78 8.Gli aggressivi ‘80 Gli anni ’80 iniziarono in grave crisi economica ma a partire dal 1984 iniziò una ripresa piuttosto intensa (dovuta principalmente al ribasso del prezzo del petrolio e a una nuova disponibilità interna degli imprenditori), al punto da far pensare ad un nuovo boom economico. Fu un epoca caratterizzata dalla presenza di grandi personalità, sia politiche come il presidente degli USA Ronald Reagan (1911-2004), il Premier sovietico Mikhail Gorbaciov (1931), Papa Giovanni Paolo II (1920-2005) sia appartenenti ad altre sfere come la musica e l’arte. Eventi di rilevanza mondiale si susseguirono per tutto il periodo. Come non ricordare l’attentato al Papa del 1981 o quello ad Indira Gandhi (1917-1984), eventi disastrosi come il terremoto in Irpinia del 1980 e il disastro nucleare di Chernobyl (1986), la fine della Guerra Fredda tra USA e URSS e lo sgretolamento delle ideologie e dell’impero comunista, infine la caduta del muro di Berlino nel 1989 e la diffusione di una nuova malattia: l’AIDS, una delle più temibili pandemie. Tuttavia, nonostante il gran numero di eventi nefasti, furono anche anni di spensieratezza e superficialità, di pura apparenza ed edonismo, di grandi innovazioni tecnologiche, che hanno cambiato completamente la vita quotidiana di tutti noi. Alcune di queste innovazioni sono diventati oggetti “indispensabili” 79 per la quotidianità: il Personal Computer introdotto dall’ International Business Machine (IBM) nel 1981 e il telefono cellulare (il primo modello, della marca Motorola costava ben 4000$ ). Anche la nascita del network televisivo MTV e il conseguente successo dei videoclip, in qualche modo influenzarono la società, per non parlare della fruizione e diffusione della musica47. Durante gli anni Ottanta il panorama politico italiano era dominato da: corruzione, uso della politica a scopo di business, arte dello schieramento (con relativa perdita delle categorie del libero pensiero), ma anche dal clientelismo, dall'arroganza, dalla furbizia, dal ricatto, sperpero del denaro pubblico, esosità e ingiustizia fiscale, paralisi della magistratura, silenzio e collusione degli organi di informazione. Inoltre la mafia esercitava un vero e proprio controllo sul territorio e ne sarà ulteriore prova l’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, avvenuto a Palermo nel 1982. Ma prescindendo dalla torbida situazione politica, anche l'Italia godeva, in quegli anni, di un periodo 47 MTV si proponeva come un canale riservato solo all'industria della musica e questo concetto era una novità. La musica, era adesso accompagnata da immagini e dunque molto più incisiva nel veicolare messaggi ed entrava nelle case in modo più penetrante. Con la diffusione del videoclip era molto più facile adesso emulare il proprio artista o gruppo preferito, e ciò ovviamente, si rifletté ampiamente sulla moda e sulla diffusione dei vari trend. 80 di relativo benessere, anche se erano pochi coloro che avvertivano le sue deboli fondamenta: il tenore di vita degli italiani era infatti superiore alle reali disponibilità economiche del Paese e questo meccanismo in breve comportò non pochi problemi. Alla popolazione, il cattivo esempio, veniva offerto dallo stato, con la sua predisposizione al consumismo; e tutto ciò ebbe come conseguenza il credere ad una serie di illusioni (potenza, libertà, autodeterminazione), e creò la convinzione nella superiorità dell'apparire sull'essere, esaltando le futilità e le doti negative del cinismo e dell'opportunismo. Fu dunque così, in Italia come nel resto del mondo (specialmente negli Stati Uniti d’America),che gli anni ’80 si vendicarono degli hippy, delle loro culture pacifiste e di chi aveva rifiutato la ricchezza ed il potere in favore di valori e beni immateriali. Guadagnare era considerato Hip48 e l’ostentazione era d’obbligo, come vestirsi bene e non interessarsi di questioni politiche. Nonostante in Italia in quegli anni si svilupparono le prime società fornitrici di servizi (il cosiddetto sistema terziario) era evidente la povertà del sistema industriale e l’inadeguatezza dell’intero paese rispetto agli standard europei. Fortunatamente però la fantasia, la cultura e il gusto degli imprenditori Italiani, riuscivano ad imporre in tutto il mondo la moda e il design 48 Hip è un termine gergale inglese e significa “alla moda”. 81 italiani, e dunque settori, come quelli tessile e dell'abbigliamento, nonostante la concorrenza dei paesi con manodopera a basso costo, misero a segno egregi risultati degni di nota. Si vedano maison come Versace, Dolce & Gabbana e Valentino che fecero fortuna proprio in questo decennio. Nel mondo della moda tutto iniziò molto blandamente, i tempi selvaggi del punk si erano normalizzati; i tagli a spazzola (fig. 55) e le creste da Mohicano (fig.56) furono assorbiti nel repertorio generale della moda ed il punk di lusso nelle passerelle era “in”. In Inghilterra però sulle note della musica di band come i Duran Duran, Spandau Ballet, e del cantante Boy George si diffuse lo stile New romantic, che opponendosi al Punk, rispolverava in parte elementi del Glamrock, fondendoli con nuove sonorità ed uno stile romantico ed eclettico, fatto di spunti attinti dal Medioevo, dal Settecento e dallo stile piratesco (nonché un make up spiccatamente appariscente con tanto di eyeliner e rossetto). In poco tempo però, la vena romantica si esaurì e il decennio mostrò la sua vera faccia: i figli dei prolifici anni ’60, erano ormai adulti e volevano una cosa sola: guadagnare bene ed in modo rapido, senza farsi troppi scrupoli. Nessuno aveva più interesse per i sindacati o per le associazioni di solidarietà. Imperavano un forte pragmatismo e una violenta pulsione verso il successo. Il simbolo degli anni 82 ’80 era lo Yuppie ( parola coniata unendo le iniziali delle parole: Young, Urban, Professional49), identificabile per il tipico power-look. Questi giovani ricchi, ebbero un tenore di vita molto costoso e privo di alcun senso di responsabilità (il fenomeno degli Yuppies, si esaurì con il crollo della Borsa del 1987). L’uomo Yuppie (perfettamente incarnato da Christian Bale nel film American Psycho50, prediligeva completi di Armani, Hugo Boss e Ralph Lauren, a doppio petto e con le spalle imbottite, questo insieme donava una silhouette più virile ed autoritaria. Questo look divenne il simbolo dell’ambizione: in una società in cui bisognava farsi largo a gomitate e l’esteriorità diventava espressione di una condotta interiore. La versione femminile dello Yuppie, durante il giorno indossava un tailleur con la vita stretta e le spalle imbottite, la gonna corta e una camicetta elegante o anche un tailleur pantalone. Le spalle imbottite prese in prestito dall’altro sesso avevano il compito di trasmettere autorità e potere e di realizzare le aspirazioni dell’emancipazione. Questo look aggressivo e mascolino era però compensato da lingerie molto costosa e femminile e da un make up marcato e appariscente (fig.5758). 49 Trad. lett. dall’inglese: giovane professionista, di città. American Psycho, di Mary Harron, Stati Uniti, 2000, 102 min. 50 83 In questo decennio si diffuse anche la cultura dei giovani di colore soprattutto attraverso la musica di gruppi Hip-hop, Rap e House. Nelle discoteche di New York e Los Angeles si svilupparono la street-fashion e gli streetsounds. I giovani dei ghetti, si esercitavano in mezzo la strada con spettacolari esibizioni di danza acrobatica, la Breakdance, i cui movimenti a scatti accompagnati da un sound spigoloso, rispecchiavano il modo di vivere aggressivo e duro della strada. Altri fenomeni di costume che si svilupparono maggiormente in questo periodo (pur magari essendo nati nel decennio precedente), furono il dark (fig.59) o neogothic51, lo stile metallaro52, lo 51 Il movimento neogotico o goth (in Italia dark) è una sottocultura giovanile sviluppatasi nel Regno Unito verso la fine degli anni ’70 e che prosegue ancora adesso arricchita di sempre nuovi spunti e sottocategorie stilistiche. La tipica moda neogotica include dettagli come lo smalto nero, i vestiti da colori scuri ed ispirati al Medioevo, al Rinascimento e alla moda Vittoriana, borchie, croci, trucco e capelli neri, piercing e catene. Il neogotico comunque comprende vari tipi di stili estetici, derivanti a loro volta dalle diverse categorie di generi musicali e attitudini. 52 Lo stile che in Italia è definito metallaro, deriva dal genere musicale Heavy metal, sviluppatosi alla fine degli anni ’60 nel Regno Unito. Questo stile, non esige un trucco o un codice d’abbigliamento preciso: in linea di massima, coloro che ascoltano questo genere di musica, usano portare capelli molto lunghi, jeans attillati e t-shirt raffiguranti le proprie band favorite. Per ciò che concerne il make up: occhi sottolineati con ombreggiature e campiture scure (e la scelta può ricadere su varie tipologie d’ombretto come su matita o 84 stile rasta53 ma anche i temuti skinheads54. Ogni stile aveva una propria “divisa” o per meglio dire un proprio look55. Ed è proprio tramite l’introduzione del look, che avviene un vero e kajal) o anche solamente una bordatura spessa e netta ed infine accessori di pelle con borchie e fibbie per completare l’insieme. 53 La cultura rasta prende il nome da Ras Tafari (1892-1975), ex imperatore dell’Etiopia. La sua notorietà e diffusione, è dovuta soprattutto a Bob Marley (1945-1981), noto ed amatissimo musicista reggae devoto a questa filosofia di vita. Segni connotativi della cultura Rasta sono l’acconciatura a dreadlocks, (che sono una sorta di treccine, particolarmente intricate e compatte, realizzate mediante l’uso di uncinetti appositi e colle specifiche) e abiti o accessori (ad esempio berretti e monili) nei tre colori della bandiera etiope, verde, oro e rosso. 54 Gli Skinheads erano una tribù urbana particolarmente estrema e violenta. Esteticamente riconoscibili per: la testa rasata, t-shirt bianca, pantaloni da lavoro o jeans attillati corredati di bretelle, pesanti anfibi e giubbotto bomber, nascono tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, in un clima lavorativo e sociale deprimente ed abbrutente. La loro ideologia destrorsa si estremizzò sempre più fino a sfociare in violenza ed intolleranza verso immigrati, minoranze etniche ed omosessuali. 55 “L’immagine, o aspetto esteriore, o apparenza, negli anni ’80 acquista un nome peculiare: look. In inglese, la parola ha un significato complesso, “sguardo”, ma anche “apparenza” e “maschera”. Richiama un’idea di superficialità, ma anche di maschera sociale, travestimento: quello che decidiamo di presentare agli occhi del mondo, effimero e intercambiabile.” Cocciolo Laura, Sala Davide, Storia illustrata della moda e del costume, Demetra ed., Verona 2001, p.289. 85 proprio cambiamento nel modo di approcciare la moda e al suo modo di veicolare messaggi. Il look era veloce ed immediato, legato non tanto alla qualità estetica quanto al riconoscibilità; esso diventò una strategia per ingannare, per non svelare la propria identità, ma viceversa rappresentò anche un nuovo mezzo comunicativo e un modo per sentirsi appartenenti ad un gruppo. Il Make up degli anni '80 può essere riassunto con l'acronimo B.B.B. ovvero Big, Bold e Bright (trad. esteso, audace e squillante). Riprendeva lo stile punk-rock con intensi smokyeyes (fig.60), eyeliner steso anche sulla palpebra inferiore, colori accesi, iridescenti ed insoliti tanto sulle palpebre quanto sulle labbra, e ciuffi di capelli cotonati e volutamente “selvaggi” (fig.61). In effetti, con delle spalle così enfatizzate (come prescriveva la moda del tempo) ed un acconciatura voluminosa, il trucco non poteva che essere adeguatamente vistoso, tra i colori di ombretto favoriti vi erano: blu, verde, malva, fucsia, lilla giallo e arancione e ovviamente le tonalità fluo. Spesso completamento del trucco fluo era il mascara colorato. Rivedendo i look di quegli anni, adesso potremmo pensare che fossero troppo vistosi e che avessero un che di "strano", ma allora l'accostamento di ombretti dai colori accesi a labbra ben definite e magari anche tinte di rosso, di marrone cioccolato o con altre tonalità (più naturali, come il rosa, ma dall'effetto fortemente perlato) era considerato chic 86 e portato con orgoglio. Nulla sembrava eccessivo o ridondante: le sopracciglia erano rigorosamente molto scure, spesse, folte e ben definite, in contrasto con una chioma bionda o castano chiaro, mentre per mettere in risalto le guance si usava un fard rosa mattone, che donava un effetto bonne mine. Di giorno, le donne consideravano il trucco un contributo importante per completare il powerlook: le labbra fortemente delineate dalla matita e campite con il rossetto aggiungevano un tocco di autorità e prestigio. La sera invece truccarsi, era principalmente uno strumento di divertimento e seduzione così come indossare abiti e gli accessori colorati e dall’aspetto spiccatamente "fake". In ogni caso, il ruolo femminile era cambiato. La donna non era più una "graziosa signora" da relegare ai fornelli, ma un essere attivo, dinamico, agguerrito e competitivo in campo professionale e perfino sentimentale, la bellezza diviene strumento per accedere ad una professione e ad una posizione importante nella società. e si declinò in un nuovo ideale di donna: un amazzone combattiva, impeccabile ed efficiente. Verso la fine del decennio, il makeup cominciò a virare verso tonalità di colore più naturali e l'aspetto in generale si fece meno costruito e aggressivo. Questo avvenne anche perché un trucco più naturale rendeva l'aspetto della pelle complessivamente più sano, e si può comprendere quanto questo fosse 87 importante in un periodo in cui per il benessere fisico si avesse quasi un ossessione56.Le donne ritornarono così ai colori della terra e all'uso del bronzer e delle terre con labbra sempre delineate dalla matita ma campite da rossetti dalle tonalità nude o dal gloss trasparente che incrementava la naturale bellezza delle labbra piene e turgide. Anche le acconciature si fecero più naturali, capelli a caschetto e lisci di media lunghezza divennero le preferite, spesso accompagnate dal cerchietto o da una fascia per capelli che lasciasse scoperto l'ovale del volto mettendolo in risalto. 9.Contemporaneamente… Con la fine della Guerra Fredda, il quadro geopolitico mondiale si spostò di conseguenza su conflitti etnici e crisi territoriali più o meno gravi (l’ancestrale scontro tra est ed ovest del mondo non si era esaurito ma bensì, rimpicciolito e 56 Jane Fonda, diede il via al trend dell'aerobica, l'intero decennio fu un momento di grande attenzione all'attività fisica, si faceva jogging, ginnastica, gli uomini praticavano il body building e tutti indistintamente aspiravano a mantenere in forma il fisico anche attraverso diete e integratori alimentari; invece là dove non potevano tenacia e rinunce a premiare i sacrifici intervenivano bisturi, liposuzioni e iniezioni al collagene, capaci di donare ventre piatto, cosce marmoree, pelle levigata e seni sodi... proprio come richiedeva la moda. 88 frammentato). Fu così che l’ultimo decennio del XX secolo si aprì con la Guerra del Golfo (19901991) tra Usa ed Iraq e con il conflitto in Jugoslavia, che viene ricordato come uno dei più efferati e che perdurò per ben quattro anni: ovvero fino al 1995 (anche se in effetti i rancori che lo scatenarono non si sopirono mai del tutto). Nel 1997, fu poi la volta della guerra civile Albanese, ma in generale l’intero decennio fu costellato da lotte etniche e rivolte intestine in varie parti del globo. Dal punto di vista economico, gli Stati Uniti subirono una forte recessione, dovuta anche all’ingente finanziamento bellico degli anni precedenti e ciò, naturalmente si ripercosse in tutto il mondo occidentale. In Italia, sebbene una ripresa economica si notò a partire dal 1996, furono anni tumultuosi dal punto di vista sociopolitico: anni di scandali come “Mani Pulite”, attentati di stampo mafioso ai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (avvenuti nel 1992), anni che videro il consolidamento di nuove forze politiche e l’ascesa del governo Berlusconi. In Europa, con il trattato di Maastricht del 1993, la comunità europea divenne Unione Europea: un’unione basata su un sistema monetario unico (l’Euro entrò in circolazione nel 1999) e coesa anche dal punto di vista geografico, attraverso l’abbattimento delle frontiere dei paesi membri dell’accordo. Ma ciò che più di ogni altra cosa 89 abbatté ogni frontiera, fu Internet, che in questo decennio si diffuse a macchia d’olio. In questi anni la Microsoft mise sul mercato il primo sistema operativo Windows 95 e si iniziò a parlare del World Wide Web57 come possibile sistema di comunicazione del futuro. Dati ed informazioni di ogni tipo viaggiavano con inedita immediatezza e ogni aspetto della vita quotidiana, anche lavorativa, era ormai estremamente semplificato, si pensi ad esempio agli studenti, che se un tempo, per documentarsi adeguatamente dovevano recarsi fisicamente presso biblioteche e compiere piccoli viaggi, avevano adesso tutto lo scibile del mondo a portata di “click”. Partendo da questa premessa, diventa estremamente facile immaginare come il fenomeno della “globalizzazione”, prese rapidamente piede influenzando e modificando la società in ogni suo aspetto: dando luogo a contaminazioni di vario genere e caratterizzando 57 La nascita del Web risale al 6 agosto 1991, giorno in cui Berners-Lee, un informatico britannico, mise on-line su Internet il primo sito Web. Inizialmente utilizzato solo dalla comunità scientifica, nel 1993 il CERN (Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare) decise di rendere pubblica questa nuova tecnologia e a tale decisione fece seguito un immediato e ampio successo del Web in virtù della possibilità offerta a chiunque di diventare editore, della sua efficienza e, non ultima, della sua semplicità. Con il successo del Web ebbe inizio la crescita esponenziale e inarrestabile di Internet nonché la cosiddetta "Web Era" 90 con l’ecletticità il decennio dei ’90 e il successivo millennio. Lo stesso stile di vita era irrimediabilmente cambiato: rispetto al decennio prima si cominciò in modo più o meno consapevole a vivere le giornate in maniera più frenetica. I Media acquistarono in questi anni un potere tale da influenzare a dismisura la vita quotidiana di ogni individuo: specialmente testate giornalistiche e televisione, entrarono nelle case come mai prima d'ora e proiettandoci in tempo reale dentro le notizie o gli avvenimenti più importanti, con immagini dal vivo anche degli eventi più crudi, stavano piano piano dando vita al fenomeno che oggigiorno chiamiamo spettacolarizzazione58 e che purtroppo, adesso, molto spesso caratterizza, insieme al sensazionalismo, la professione del giornalismo e non solo. Quello dei ’90 fu dunque un decennio di paradossi: se da una parte una nuova presa di 58 La spettacolarizzazione di vari aspetti della vita umana (dalle guerre, ai fatti di cronaca, ai momenti intimi di gente comune e mi riferisco ad esempio a format televisivi come il Grande Fratello), vista in un ottica più ampia, è quella che a partire dagli anni ’90 ci ha progressivamente portato, insieme ad altri fattori, ad un allontanamento dalla naturalità e normalità nel vivere gli aspetti più umani ed intimi del quotidiano. Sostengo che ci abbia parzialmente staccato dai valori tradizionali, ora sostituiti con falsi principi etici assolutamente sbagliati e che adesso, in questo nuovo millennio, si viva a causa di ciò, un’esistenza fatta quasi unicamente di esteriorità e solitudine. 91 coscienza, scatenata da eventi come Chernobyl, dalle carestie nei paesi africani, dalla sempre maggiore diffusione dell’AIDS e da una voglia di opporsi all’artificiosità degli anni ’80, portava ad un riavvicinamento a tutto ciò che fosse naturale, sobrio ed armonico (e non parlo solo dal punto di vista estetico); dall’altra parte, i media morbosi, la tecnologia ed anche alcune scoperte scientifiche hanno sempre maggiormente prodotto un allontanamento dalla vera essenza dell’essere umano, permeando il decennio successivo di alienazione e destabilizzazione. Tutti questi elementi spesso contrastanti, li troviamo anche nella moda e nel gusto estetico del momento: lo stile degli anni ’90 infatti, seppur ormai indissolubilmente legato a pubblicità, trends e design, era poliedrico, multietnico, eclettico: un autentico frutto della globalizzazione. Gli stili nati precedentemente, si fondevano insieme a spunti etnici, tribali e di derivazione street creando innumerevoli se non infinite varianti. Al centro di tutto il sistema c’era l’individuo, che operando una scelta di carattere e mixando tutte le innumerevoli opzioni a sua disposizione, creava qualcosa di nuovo, uno stile individuale, destrutturato e ricomposto, che si contraddistingueva per la sua capacità di rispecchiare il carattere di chi l’aveva ideato. Dunque numerose erano le tendenze estetiche di quel periodo: il trend ecologista che riscopriva tessuti come il lino e la canapa, quello 92 minimalista, asciutto e dai colori basic come blu bianco e nero , il grunge59 e i ravers60, per ciò che concerne la matrice musicale ed infine, una tendenza su tutte: il revival di ogni stile dei decenni anteriori che poi sfociò nella mania del vintage61; ma sempre rigorosamente declinata 59 La tenuta del grunge sembra quasi una reazione all’immagine di perfezione proiettata dalle top model: gli adepti a questo stile indossavano qualsiasi indumento, l’importante è che fosse stratificato e soprattutto trasandato. Un’icona grunge fu Kurt Cobain (1967-1994), frontman della band Nirvana. I Nirvana, furono uno dei massimi esponenti di questo genere musicale nato a Seattle, negli Stati Uniti, che fondeva sonorità punk, rock ed heavy metal. 60 I ravers, nome derivante da rave party, sono i cultori del rave, una tipologia di festino illegale che ruota attorno alla socializzazione a suon di musica elettronica martellante ed ipnotica. Spesso questi festini conditi con abbondante alcool e droga, si svolgono in luoghi sperduti nelle campagne limitrofe alla città e lo stile dei giovani che vi partecipano varia dal cyberpunk a travestimenti veri e propri, a tenute sado-maso, composte da indumenti di pelle, latex, catene e borchie 61 Il termine fu coniato inizialmente per i vini vendemmiati e prodotti nelle annate migliori, in seguito è diventato sinonimo dell'espressione “d'annata”. Ad oggi è comunemente usato per definire le qualità ed il valore di un oggetto prodotto almeno vent'anni prima del momento attuale e che può altresì essere riferito a secoli passati senza necessariamente essere circoscritto al Ventesimo secolo. Gli oggetti definiti Vintage sono considerati oggetti di culto per differenti ragioni: tra queste la qualità di produzione superiore, se confrontata ad altre produzioni precedenti o 93 secondo il carattere di chi lo interpretava. Ed a proposito di interpretazione, grandi rappresentanti della moda di questo decennio furono le top model (fig.62). Le ragazze mannequin di un tempo, tutte uguali e abbastanza “comuni” erano ormai un ricordo sbiadito, adesso l’immagine vincente, per promuovere un prodotto, era quella di una donna di carattere, capricciosa e diva, dal volto e dal piglio inconfondibile, che dava la propria personale interpretazione alle creazioni dello stilista. Naomi Campbell, Cindy Crawford, Kate Moss (v. infra, cap. II §16), Linda Evangelista (fig.63) e Claudia Schiffer furono alcune delle super model che spiccarono durante questo decennio e che in certi casi dettarono anche legge in fatto di trucco, stile ed abbigliamento. Per ciò che concerne il make up, la tendenza generale fu quella di preferire una bellezza naturale e bilanciata e ciò privilegiò la cosmetica alla commotica62, in altre parole si diede maggiore attenzione a pratiche igieniche e di cura del corpo (anche attraverso una vita sana e all’esercizio fisico) piuttosto che al suo mero abbellimento con successive dello stesso manufatto, e per ragioni legate a motivi di cultura o costume. 62 Dal greco commos, belletto e commoo, colorire, imbellettare. E’ l’arte che insegna a preparare ed adoperare i belletti, con il solo scopo di piacere ed adescare. Si differenzia dalla cosmetica, poiché quest’ultima ha anche lo scopo di “guarire” determinate problematiche che hanno come controindicazione anche un brutto aspetto. 94 l’uso di pigmenti etc... Le case cosmetiche si dovettero adeguare alla nuova esigenza, data anche la flessione nella vendita di ombretti e smalti e supportate dalla ricerca, idearono fondotinta che nutrivano la pelle come fossero creme, mascara con sieri per rinfoltire le ciglia e blush dai colori neutri per donare luminosità più che "scolpire" il viso. Nel trucco anni ’90 (fig.64-65), la pelle chiara era prediletta, l’incarnato doveva essere assolutamente uniforme, luminoso e privo d’imperfezioni. Il fondotinta, disponibile in nuove formulazioni, aveva perso di consistenza e spessore, dunque la stesura era molto più semplice ed il finish naturale. Per completare la base si usava appena un velo di cipria traslucida e il blush, quando presente, era delicatamente sfumato e dai toni rosati ma comunque sempre in accordo con l'incarnato. Gli occhi dovevano essere magnetici ma in modo discreto, truccati con colori chiari come beige, albicocca, pesca/rosa, marrone chiaro (fig.66), incorniciati giusto da un’impercettibile riga di eyeliner nera o marrone ben sfumata o con il kohl per dare profondità. Il mascara era steso in modo accurato, senza accumulare troppo prodotto sulle ciglia, in modo che risultassero quasi prive di trucco, semplicemente scurite. Le sopracciglia non erano più selvagge come nel decennio prima, ma definite, ben campite ed abbastanza sottili. Infine le labbra rappresentavano l'unico accenno di colore nel look, ma sempre senza esagerazioni: le varianti 95 colore erano innumerevoli, dalle più neutre a quelle più accese come il rosso fuoco, l'unico must era la definizione impeccabile del contorno labbra. In sostanza, era nato il Nude-look: il trucco che c’era, ma non si vedeva (o quasi). Due icone di riferimento per quest’aspetto fresco e naturale erano Nicole Kidman e Julia Roberts (entrambe del 1967), due attrici che seppur diverse fra loro sia per colori sia per lineamenti, incarnavano perfettamente la tendenza trucco e l’ideale di bellezza sano e fresco di quel periodo. Come accennato in precedenza, fu l’epoca della globalizzazione perciò, parallelamente al nudelook, diverse tendenze trucco si diffusero di pari passo ai trend moda. Magrezza, pallore e stile androgino erano le chiavi della moda grunge che prevedeva anche un trucco nero e scomposto, dagli accenni “darkeggianti” e accompagnato da un aspetto generalmente emaciato e da capelli spettinati. Allo stile New Age63 si riconducevano invece gli spunti di provenienza indiana dei 63 "New Age" (letteralmente: Nuova Era) è un'espressione generale per indicare un vasto movimento transculturale che comprende numerose correnti alternative psicologiche, sociali e spirituali, come meditazione, la reincarnazione, la cristalloterapia, la medicina olistica, l'ambientalismo e numerosi "misteri" come gli UFO, i cerchi nel grano ed i bambini indaco. Le diverse correnti riconducibili a questa denominazione sono accomunate dal credere nell'avvento della "nuova era dell’acquario". 96 tatuaggi all’Henné64 su mani e piedi e del Bindi sulla fronte (mode lanciate dalla cantante Madonna v. infra, cap II §14). Infine il diktat dell’essere originali e particolari dava luogo ad innumerevoli combinazioni e personalizzazioni nell’abbigliamento tanto quanto nel trucco, ed ogni donna (ma anche sempre più uomini) poteva e doveva scegliere da sé cosa le donasse di più e cosa rispecchiasse al meglio il proprio carattere ed il proprio umore. C’era un nuova attenzione all’aspetto psicologico legato all’estetica: si frequentarono sempre più assiduamente le Spa e, su modello di Madonna, si praticava il pilates, l'aerobica cedette il passo allo yoga, mentre a sostituire lo jogging ci pensarono la riflessologia e il massaggio shiatzu. Prese piede le pratiche legate alla talassoterapia65, insieme ad 64 La Lawsonia inermis, nota col nome francese henné, è un arbusto spinoso. Dalle foglie e dai rami essiccati e macinati si ricava una polvere giallo-verdastra utilizzata come colorante su tessuti e pelle animale, ma anche per tingere i capelli e realizzare tatuaggi temporanei (durano circa un mese). La tonalità rosso bruna varia in funzione della composizione in rami (rosso) e foglie (marrone). Spesso è mescolata con l'indaco per disporre di una maggior gamma di colori. La conoscenza delle proprietà coloranti e antisettiche risale a tempi antichissimi; se ne trovano tracce fin nelle mummie egiziane. 65 La talassoterapia (dal greco: thalassa = mare e thérapeia = trattamento) è basata sull'azione curativa del clima marino. La talassoterapia è stata inventata nella Bretagna nel corso del XIX secolo, seppur la sua efficacia non è stata 97 altri metodi naturali spesso di origine orientale, nella ricerca sempre più intensa di un benessere che ripristinasse l’assetto totale dell’individuo, armonizzando e riequilibrando il sistema mentecorpo. Ancora una volta, a fine millennio come all’inizio e seppur con metodi differenti, la meta finale era sempre la medesima: il raggiungimento dell’eterna giovinezza, l’utopia che inconsciamente o no, è stata e sarà sempre alla base della makeup routine di ogni donna. scientificamente provata, è considerata efficace nella riabilitazione post-traumatica e nel trattamento di malattie come la dermatite, la tubercolosi e dolori ossei. Della talassoterapia fanno parte anche quei trattamenti cosmetici a base di alghe marine (ricche di oligoelementi) fresche o essiccate. 98 99 100 Capitolo II. Icone di bellezza 1.Mata Hari Il vero nome di Mata Hari è Margaretha Geertruida Zelle; nata in Olanda nel 1876 e giustiziata, con l’accusa di spionaggio, in Francia nel 1917 all’età di 41 anni. La figura di Mata Hari (fig.1), con la sua mirabolante vita, è talmente ricca di fascino e mistero che è impossibile non annoverarla tra le donne/icone del ‘900. Dopo aver sposato il capitano Rudolph McLeod visse per cinque anni in Malesia, dove venne in contatto con l’esotismo di cui si fece portabandiera durante la Belle Epoque. Lo stesso suo pseudonimo, Mata Hari, significa in Malese “Occhio dell’Alba”. Con il divorzio alle spalle nel 1905, avvenne il suo debutto come danzatrice orientale presso il salotto aristocratico della cantante Madame Kiréevsky. Da li si esibì dapprima in ogni salotto parigino e, in seguito, in teatri e locali celeberrimi quali il Moulin Rouge. Il suo successo fu incredibile e internazionale e lei, certamente dotata di talento nella danza e di sufficiente sfrontatezza, fu anche abile nel costruire intorno a sé delle fascinose e maliarde menzogne circa le sue origini e la sua stessa vita, che senza dubbio contribuirono ad accrescerne il successo. Il punto focale attorno cui ruota l’ascesa 101 e il declino di Mata Hari è l’erotismo (fig.2), di cui erano pregne le sue esibizioni quanto la sua stessa vita privata. Fu il sogno proibito ma talvolta anche la “realtà” di innumerevoli aristocratici europei, inclusi ufficiali e alte cariche dell’esercito, le stesse che in seguito la mandarono a morte, probabilmente ingiustamente. Agghindata e ingioiellata come e più di una dea indiana (fig.3), sfilava ad uno ad uno i veli del suo costume di scena, infervorando e affascinando il pubblico. La bellezza di Mata Hari (tutt’altro che nordica, giacché era scura di carnagione, d’occhi e di capelli) e il suo stile esotico (fig.4) erano in totale contrapposizione con i canoni e il costume del tempo, che prevedevano una donna casta, struccata e imbrigliata nel corsetto. Per questo motivo, credo si possa e si debba considerare Margaretha Geertruida Zelle come una sensuale e sfrontata innovatrice e poco importa, in fondo, se parte delle notizie sul suo conto sono leggende; la figura di Mata Hari, così autenticamente “donna” e dalla vita sfrenata (quanto, a mio parere, triste), ha tutte le carte in regola per far parte di quella cerchia di icone che il XX secolo ci ha donato. 2. Josephine Baker Josephine Baker, il cui nome completo fu Freda Josephine Mc Donald (fig.5), nacque negli Stati 102 Uniti nel 1906 e morì a Parigi nel 1975 per un’emorragia cerebrale. Debuttò a sedici anni come ballerina di rivista ed il suo successo crebbe esponenzialmente fino a fare di Josephine la prima star di colore, nonché una delle più acclamate vedette del Moulin Rouge e del Folies Bergère. Il leit motif della vita di Josephine fu la sua origine "africana". Nel 1925 debuttò in Europa con il suo spettacolo più celebre: la Revue Negre (ovvero “Rivista Negra”) (fig.6-7), un tipo di cabaret intriso di Jazz ed esotico erotismo, originario americano, che era ancora sconosciuto nel vecchio continente. Josephine si esibiva con addosso solo un gonnellino di banane artificiali (fig.8) e, dimenandosi in danze ad alto contenuto erotico, incarnava alla perfezione la “piccola scandalosa selvaggia” (che insieme a Perla nera e Venere Creola fu uno dei suoi soprannomi), secondo la visione colonialistica tipica di quell’epoca. E’ a questo periodo che risale l’incontro con Georges Simenon: egli seguendo l’artista sempre dalla prima fila figurava tra i fan più accaniti e con il tempo, la sua ammirazione finì per trasformarsi in amore. La loro appassionata e clandestina (poiché il giovane giornalista era già sposato con Régine Rechon detta “Tigy”) relazione, durò fino al 1927, quando Simenon si vide costretto a troncare la storia con Josephine, per paura o forse per autodifesa: lui era uno scrittore alle prime armi ma 103 molto ambizioso, e il suo obiettivo era quello di divenire un celebre romanziere. Un matrimonio con una stella così famosa e popolare, l'avrebbe tenuto sempre in secondo piano e sempre in una penombra che non si confaceva alle sue aspirazioni, che avrebbe rischiato di confinarlo nel ruolo di “Monsieur Baker” e magari di farlo percepire dagli altri come una specie di segretario di Josephine. Dunque l’idillio amoroso, si spense nel giro di due anni, lasciando tracce indelebili (verosimilmente rimpianti) nella vita dello scrittore. Negli spettacoli successivi Josephine portò con sé sul palco un leopardo di nome Chiquita che eccitava ed incuriosiva il pubblico quasi quanto il suo corpo nudo e fremente. Oltre la danza, Josephine si dedicò anche al canto (famosissime le sue canzoni J’ai Deux Amours e Nuit D’Alger) e nei primi anni trenta recitò in due film: Zouzou1 e Principessa Tam Tam2 che tuttavia non ottennero il successo sperato. Durante la Seconda Guerra mondiale ebbe un ruolo importante (per cui fu pluridecorata) nel controspionaggio francese, celando messaggi segreti nei suoi spartiti (utilizzando un inchiostro particolare). In seguito, negli anni ’50 e ’60, fu attivissima negli Stati Uniti nella lotta contro il razzismo, di cui lei stessa incarnava l’esempio con 1 ZouZou,di Marc Allégret, Francia, 1934, 85 min. Princesse Tam Tam, di Edmond T. Gréville, Francia, 1935, 77 min. 2 104 la sua “ Tribù Arcobaleno”: dodici figli adottivi provenienti da varie parti del mondo. Josephine Baker è un grande esempio di forza ed ironia ed il suo personaggio dal look esotico e selvaggio è ancora oggi di forte ispirazione. È entrata a far parte della storia anche come una delle Flapper Girl3 più famose, di cui certamente impersonava l’ironia, la spregiudicatezza, ma anche il coraggio e il look nella sua accezione esotica (fig.9-10). Per lei, tanto era popolare ed influente, fu addirittura creato un prodotto per capelli: il Bakerfix (fig.11), Si trattava di una pomata lisciante e dal forte potere fissante studiata per gli indomabili capelli afro. A quel tempo in Europa non esistevano prodotti che potessero fare al caso suo, dunque ne crearono uno appositamente per lei: ovviamente fu acquistato compulsivamente anche dalle donne che non ne avevano un reale bisogno, adesso una confezione originale di Bakerfix vale intorno ai mille dollari. 3. Louise Brooks 3 La ragazza Flapper era una giovane donna, vissuta specialmente negli anni ’20 del novecento, che manifestava apertamente il proprio rifiuto per le convenzioni, i canoni imposti e l’etichetta. La tipica flapper ostentava la sua giovinezza e si dissociava da ogni convenzionalismo, adottando atteggiamenti provocatori come ad esempio fumare, guidare, bere alcool e ballare in modo sfrenato, divertendosi del proprio essere “scandalosa”. 105 Mary Louise Brooks nacque in Kansas nel 1906 e morì nel 1985 a Rochester (New York) per delle complicazioni dovute ad un enfisema polmonare. Fu una delle più celebri e talentuose attrici del cinema muto degli anni ’20 (fig.12). «È l’intelligenza della recitazione cinematografica, è la più perfetta incarnazione della fotogenia, riassume da sola tutto ciò che il cinema muto degli ultimi tempi cercava: l’estrema naturalezza e l’estrema semplicità. La sua arte è così pura da diventare invisibile.»4 Henri Langlois Ed indubbiamente era basilare possedere un gran talento per risultare naturali nei film muti, dove la tecnica di recitazione necessitava di enfasi mimica e di una espressività facciale e corporea esagerata (fig.13). Tuttavia dopo aver toccato l’apice del successo nel 1929 con i film Il Vaso di Pandora5 e Il Diario di una donna perduta6, iniziò il suo lento ma inesorabile declino. Louise Brooks incarnava non solo la perfetta “Donna Fatale”, grazie all’eccelsa interpretazione dei suoi film (nei sopracitati film recitava il ruolo di una ninfomane 4 In,. 60 Ans De Cinèma, programma della Cinemateque Française, 1955. 5 Die Büchse der Pandora, di Georg Wilhelm Pabst, Germania, 1929, 133 min. 6 Tagebuch einer Verlorenen, di Georg Wilhelm Pabst, Germania, 1929, 107 min. 106 e di una prostituta), ma impersonava anche il modello di Flapper Girl (fig.14) del tempo: per il suo carattere, quanto per l’aspetto estetico, lei era la Flapper per eccellenza. Fu proprio Louise a portare in auge il taglio di capelli alla Garçonne7; il suo Bob così geometrico ed al contempo così sensualmente femminile, ispirò anche Guido Crepax, che disegnò ad immagine e somiglianza della Brooks il suo fumetto più conosciuto: Valentina (fig.15). Tuttavia il suo carattere così particolare, per certi versi ribelle e senza dubbio anticonformista, la portò spesso ad essere fraintesa o a risultare snob ed insolente (fig.16). Soprattutto quando, rifiutando numerosi ruoli, si attirò l’astio di Hollywood, non capendo che in tal modo, stava per diventare l’artefice della sua stessa fine. Nel 1940 aprì una scuola di danza che, ahimè, chiuse dopo tre anni di attività. Successivamente, si dovette adattare per pura sopravvivenza a fare lavori diversi, fra cui la commessa presso i grandi magazzini Saks. 7 Il taglio di capelli alla “Garçonne” è, in generale, un taglio di impianto maschile, quindi corto e minimal, ma femminilizzato ed ingentilito attraverso un’esecuzione più armonica e “dolce” delle forme. In particolare, il taglio della Brooks era un caschetto corto e bombato sulla sommità della testa, che terminava all’altezza delle orecchie in due “punte” leggermente curvate verso il viso ed arricchito da una compatta frangetta. 107 «L’amarezza e la disperazione avevano distrutto la sua bellezza e la mancata consolazione della bottiglia avevano rovinato la sua persona […].»8 James Card A partire dalla metà degli anni ’50 Louise si dedica alla scrittura, stilando saggi e articoli sul cinema e sui film muti9. Ma nulla poté riscattare la tristezza dei suoi ultimi anni, che la videro morire sola e dimenticata, malgrado fosse stato promosso (in particolare Henry Langlois se ne fece portavoce, organizzando addirittura un evento dedicato all’attrice10) un atteggiamento di rivalutazione del suo talento come attrice del più ricercato stile cinematografico: il film muto (fig.17). 4. Jean Harlow Jean Harlow, all’anagrafe Harlean Carpenter, è nata in Kansas City nel 1911 ed è stata la sexy 8 V. Akkuaria.com/louise/chie.htm cfr. BROOKS LOUISE, Lulu in Hollywood, Hamish Hamilton ed., Londra 1982. BROOKS LOUISE, The Fundamentals of good ballroom dancing, Wichita, pubblicato privatamente,1940. BROOKS LOUISE, The Movie face of the ‘20s. Louise Brooks writes about Humphrey Bogart, Vogue, maggio 1982. 10 Hommage à Louise Brooks, happening svoltosi a Parigi nel 1958, nel quale furono proiettati alcuni suoi film e al termine del quale fu organizzato anche un ricevimento. 9 108 Bombshell11 per eccellenza del cinema americano degli anni ’30 (fig.18). Fu spinta a diventare attrice dalla madre, da cui prese il nome con cui in seguito diventò celebre al grande pubblico. Nonostante il suo desiderio di crearsi una famiglia e vivere tranquillamente, da persona “comune”, la Harlow venne ben presto talvolta dal successo: si pensi che in un carriera (per certi versi breve) di dieci anni, recitò in circa trenta film. Sebbene tutte le testimonianze parlano di Jean come di una ragazza generosa, tenera, fragile e genuina; le peculiarità del suo personaggio e le doti che fecero colpo sul pubblico, sui registi e sui produttori furono ben altre. Furono la sua provocante sensualità e quella sua inconsapevole ma spiccata carica erotica, a farla entrare nella storia del cinema come una delle prime, se non addirittura la prima, icona sexy (fig.19). La “donna di platino” (fig.20), come venne soprannominata (traendo l’epiteto da un suo celebre film12) dal 1931 in poi fu considerata l’antesignana di Marilyn Monroe, e come lei, posò nuda per degli scatti fotografici. Un altro suo soprannome era “the baby”, datole dalla sua famiglia ma poi usato largamente da tutti i suoi conoscenti: il nomignolo era riconducibile al suo aspetto estetico. Jean indossava poco trucco nella 11 In italiano, bomba sexy. Platinum Blonde, di Frank Capra, Stati Uniti, 1931, 90 min. 12 109 vita quotidiana e con la sua pelle d'avorio rosato, sopracciglia assenti e il viso tondo da cherubino, rimandava immediatamente all’infanzia. E lei giocava a fare la femme fatale con la stessa infantilità con cui una bambina gioca “a fare l’adulta”, con i trucchi della mamma e con uno spiccato senso dell'umorismo. Tutto ciò la distinse dalle sue contemporanee e accrebbe esponenzialmente il suo sex-appeal. Jean Harlow fu negli anni ’30 grande fonte di ispirazione ed il pubblico imitò “lo stile Harlow” ancora per molto tempo: le donne americane spendevano i propri risparmi per ossigenarsi la chioma (Jean era bionda naturale, ma ricorreva all’aiuto della parrucchiera Pearl Porterfield per ottenere la tonalità platino, tramite un malsano metodo che prevedeva l’uso di acqua ossigenata, detersivo e candeggina13). Acquistavano scarpe dai tacchi alti e pellicce, imitando lo stile elegante e sensuale dell’attrice (fig.21), che si faceva confezionare gli abiti su misura (spesso in materiali come il lamè) dalle costumiste di Hollywood: privilegio di poche. Probabilmente, le donne di quegli anni, spinte dalla volontà di assomigliarle anche solo un po’, acquistavano anche il profumo preferito dalla diva: Mitsouko di Guerlain (creato nel 1919, tutt’ora in commercio); profumo legato anche ad un aspetto poco felice 13 Per l’esattezza, Pearl usava una miscela composta da acqua ossigenata, candeggina Clairol e detersivo Lux in fiocchi. 110 della vita di Jean. Si dice infatti, che il suo secondo marito Paul Bern (produttore della Metro Goldwyn Mayer) si sia cosparso proprio con questo profumo immediatamente prima di suicidarsi. A suo modo, questa grande diva fu un icona pulp: trucco marcato, chioma platinata, sopracciglia disegnate sottilissime ed arcuate; sospesa come un angelo tra l’arte pura e la peggiore volgarità, considerata da molti l’incarnazione stessa del sesso. Fu uno dei primi esempi di star adepte alla attualissima “dieta Yo-yo”: si diceva infatti che Jean fosse solita mangiare tutto quello che voleva, ingrassando di qualche chilo nei periodi in cui non girava, per poi rimettersi a dieta ferrea (insalate, verdure ed esercizio fisico) in prossimità delle riprese del film successivo. Jean, nuova icona del momento, impudentemente bionda e giocosamente sensuale (fig. 22), si collocava in totale contrapposizione con le dive precedenti, ed in quanto tale ebbe l’assoluto diritto (se non il dovere) di tagliare il nastro inaugurale della stanza “Blondes Only” quando Max Factor (v. infra, cap. III, § 1) aprì il suo salone di bellezza ad Hollywood nel 1935. Lo stesso Factor fu suo visagista di fiducia e pubblicizzava i propri cosmetici (in particolare quelli che usava per truccare Jean) dicendo che essi erano gli unici da utilizzare per ottenere lo stesso look di Jean Harlow (a nostro avviso una strategia di marketing 111 a dir poco moderna). Jean si spense prematuramente a soli ventisei anni a causa di una nefrite14. Al suo funerale i fan si accalcarono per aggiudicarsi i fiori come ricordo. Sulla sua lapide non vi è alcuna data, né nome, né epitaffio: campeggia solo la scritta “Our Baby”. 5. Marlene Dietrich Maria Magdalene Dietrich, nata a Berlino nel 1901, fu una attrice e cantante tedesca. Fra le più note icone del mondo cinematografico della prima metà del ‘900, la Dietrich fu un vero e proprio mito ed una diva, lasciando un’impronta duratura attraverso la sua recitazione, il suo look, ultra copiato nei decenni successivi, le sue interpretazioni emozionate di canzoni quali Lili Marleen (canzone che in seguito diventò il suo “inno”). Tutto ciò, insieme al suo carattere carismatico e agli avvenimenti della sua vita, ne fecero una leggenda e un modello irripetibile di Femme Fatale (fig.23). Fin da piccola, studiò inglese e francese, parallelamente allo studio della musica, fino ad 14 In realtà si trattò di un avvelenamento del sangue causato da una nefrite acuta, avvelenamento che la colse mentre stava girando il film Saratoga (Saratoga, di Jack Conway, Stati Uniti, 1937, 92 min.), che fu poi ultimato da una controfigura ripresa di spalle. 112 acquisire il diploma di cantante all’Accademia di Berlino. Nel 1929 recitò nel primo film sonoro del cinema tedesco: L’Angelo Azzurro15 che le procurò immediatamente la nomea di star e un gran successo. I costumi li disegnò lei stessa, mentre la sua immagine veniva curata dal regista e mentore Josef Von Sternberg. Ed è proprio dal sodalizio con Sternberg, durato fino al 1935, che discende la Dietrich che tutti conosciamo: la sua immagine di donna fatale, trasgressiva, dominatrice altera e fiera; ma il tratto più originale, e per quei tempi scandaloso, era la sua dichiarata e disinibita bisessualità (fig. 24). Dopo il 1930, la Dietrich si stabilì ad Hollywood: il suo primo film americano fu Marocco16, con una delle scene più celebri del cinema: il primo bacio saffico della sua storia. E’ ad Hollywood che avviene il contatto con Max Factor, il truccatore delle star. Si dice che Marlene gli avesse chiesto di cospargere le sue parrucche e i capelli con vera polvere d’oro, in modo da risplendere, sulla pellicola, di una luce particolare. Altre curiosità riguardanti il trucco e lo stile personale di Marlene (fig. 25), sono legate ad alcuni fattori come: 15 Der Blaue Engel, di Josef Von Sternberg, Germania, 1930, 99 min. 16 Morocco, di Josef Von Sternberg, Stati Uniti, 1930, 91 min. 113 non indossare mascara sulle ciglia inferiori, poiché si sarebbe creata un’ombra antiestetica sulla palpebra inferiore; la sua preferenza per smalti nei toni chiari del rosso, poiché riteneva i colori scuri “volgari”, come avrebbe scritto successivamente, nel suo libro Marlene ABC17; si dice inoltre che il profumo Angelique Encens di Creed, fosse stato creato apposta per lei, mentre altre fragranze da lei predilette furono: Tabac, Vol de Nuit di Guerlain e Fracas di Piguet. I tratti salienti della bellezza della Dietrich furono senza dubbio gli occhi espressivi (fig. 26), gli zigomi alti e prominenti e il fascino ambiguo che ammaliava uomini e donne indistintamente. Eppure, nessuno sospetterebbe che una donna di tale fascino potesse avere delle “incertezze” riguardo il suo aspetto (fig. 27). Marlene considerava i piedi la parte più brutta del suo corpo, e per questo motivo cercava sempre di tenerli coperti o comunque nascosti alla vista. Probabilmente, la smania di perfezione che le faceva celare i piedi allo sguardo altrui, era la stessa che le faceva richiedere sul set un grande specchio dal quale controllare, durante le riprese, che il suo look e makeup fossero costantemente perfetti (fig. 28). 17 DIETRICH MARLENE, Marlene Dietrich’s ABC, Doubleday & Company ed., New York 1962. 114 Nonostante fosse tedesca, il suo rapporto con la Germania fu quasi sempre negativo. A causa del rifiuto delle avances di Hitler e Goebbels, fu sempre additata dai suoi connazionali come traditrice della patria, ragione per cui la accolsero spesso e volentieri con malcelato astio (fig. 29). Solo da poco tempo la Dietrich è stata rivalutata dai suoi connazionali: a Berlino nel 2002 le hanno dedicato una piazza e datale la cittadinanza onoraria a dieci anni dalla sua morte, avvenuta per infarto nel sonno mentre si trovava a Parigi nel 1992. 6. Lauren Bacall Il vero nome di Lauren Bacall (fig. 30) è Betty Joan Perske. Nacque a New York nel 1924 presso una famiglia immigrata di classe media e di origini europee. Lauren adorava e stimava molto sua madre, tant’è che il suo cognome d’arte è in realtà il cognome da nubile della madre, con una “L” in più, accostato a Lauren, primo nome di fantasia, che le piacque sempre tanto e che adottò. La prima aspirazione di Lauren era diventare una ballerina; solo quando si trasferì in California con la madre capì che le sue inclinazioni stavano cambiando verso la recitazione, ed in particolare verso i ruoli drammatici. Quindi, dopo il liceo, frequentò l’American Academy of Dramatic Arts. 115 Comunque, aveva già intrapreso la carriera da modella (fig. 31) quando fu scoperta da Howard Hawks (sua moglie gli fece notare una copertina di Harper’s Bazaar a lei dedicata) che la portò al successo nel 1944 con il film Acque del Sud18. Sul set, oltre alla fama, incontrò l’amore di Humphrey Bogart, con cui un anno dopo si sposò e con cui ebbe un matrimonio felice fino alla di lui morte, avvenuta nel 1957. Dal 1944 – prima in compagnia del marito, poi dopo la sua morte, in modo autonomo – Lauren recitò in vari film di successo, dapprima in veste di conturbante femme fatale (figg. 32-33), in seguito in ruoli dove poteva esibire anche una certa intelligenza ed arguzia. Lauren Bacall fu il volto per antonomasia del glamour degli anni ’40, esempio di stile, eleganza e raffinatezza (fig. 34); nonostante la sua lunga carriera le sia stata riconosciuta con soltanto due premi, ricevuti per giunta in veneranda età (nel 1997 e nel 2002), verrà sempre ricordata per la sua carismatica e sempre iper femminile bellezza. La chiamavano infatti The Look: in virtù di quello sguardo penetrante (fig. 35) ed incandescente che, da sotto le sopracciglia più intriganti di Hollywood, infiammava gli spiriti. Il viso superbamente irregolare, la bocca ampia dalle labbra tumide, le lunghe gambe da indossatrice, lo sguardo come 18 To Have and have not, di Howard Hawks, Stati Uniti, 1944, 100 min. 116 anche la voce roca e sensuale furono le sue peculiarità (fig. 36). I visagisti avrebbero voluto “ri-stilizzare” la Bacall, tentando di strapparle le sopracciglia (corpose e un po’ selvagge), raderle l’attaccatura dei capelli e raddrizzarle i denti. Ma lei ostacolò sempre i loro sforzi dicendo: «Howard mi ha scelto per le sopracciglia spesse e i denti storti, e questo è il modo in cui rimarranno!19» Ha inoltre insistito per farsi spesso, se non sempre, i capelli da sola, nello stile che sarebbe diventato il suo “marchio di fabbrica”: «L’onda … sul lato destro, partendo proprio dalla curva con il mio sopracciglio e finendo inclinata verso il basso, al mio zigomo.»20 7. Marilyn Monroe Non poteva mancare nel firmamento di stelle qui scelto la divina Marilyn, che con la sua triste, favolosa e chiacchierata vita ha conquistato il cuore di tantissimi fan ed estimatori. Nata a Los 19 Tratta da un intervista del 2011 di Matt Tyrnauer, «Vanity Fair America» (marzo 2011). www.vanityfair.com/hollywood/features/2011/03/laurenbacall-201103. 20 ibidem. 117 Angeles nel 1926, Norma Jean Baker (questo è il vero nome di Marilyn) fu modella, attrice cantante e produttrice cinematografica (fig. 37). Trascorse un’infanzia assai travagliata: la madre, che soffriva di schizofrenia paranoide, non aveva la possibilità di prendersi cura della figlia, che quindi fu costretta a subire continui affidamenti a famiglie sconosciute che la riportavano indietro all’orfanotrofio dopo poco tempo. Probabilmente a causa di questo isolamento affettivo, Norma Jean cercò conforto in un matrimonio precoce a soli sedici anni. Proprio durante quel primo matrimonio ed in modo assolutamente inaspettato, iniziò la sua carriera da modella; mentre lavorava presso un’industria aeronautica produttrice di paracadute21, il fotografo David Conover, impegnato a documentare il lavoro femminile nel periodo bellico, la notò e la convinse ad intraprendere quella carriera (fig. 38), spingendola ad iscriversi presso una scuola specializzata. A vent’anni, nel 1946, dopo aver conquistato le copertine di molte riviste, Norma Jean divorziò, si schiarì i capelli e cambiò il suo nome in Marilyn Monroe (Monroe era il cognome da nubile della madre). La sua scalata al successo fu assolutamente ordinaria, poiché cominciò come comparsa, via via acquisendo sempre più visibilità, fino ad ottenere parti da protagonista in una serie 21 L’azienda, nata negli anni ’30, si chiamava Radioplane Company. 118 di pellicole (dal 1952 al 1962) che la affermarono come attrice e sex-symbol a livello mondiale (fig. 39). Tuttavia, nemmeno il successo placò i suoi tormenti interiori; tormenti che si incrementavano ogni qual volta si presentava un momento difficile, come fu ad esempio il divorzio con Joe Di Maggio22 nel 1954. Il fallimento di questa ulteriore relazione le lasciò dentro una ferita profonda e incancellabile, la prima di una serie che sarà destinata ad allargare sempre di più la sua sensazione di sconforto e di sostanziale solitudine. L’instabilità emotiva di Marilyn si aggravò sempre di più, portandola all’abuso di alcool e barbiturici, cosa che le causerà non pochi problemi dal punto di vista lavorativo. Infine la morte, un sospetto suicidio causato da un overdose di sonniferi e calmanti, avvenne nel 1962. Il mistero che aleggia sulla morte di Marilyn, ovvero se si sia trattato effettivamente di suicidio, non è mai stato completamente svelato, ma ha sicuramente contribuito a far entrare Marilyn nel mito. 22 Nonostante il brevissimo matrimonio (durò meno di un anno), il giocatore di baseball fu, a detta di molti, l’unico uomo che amò realmente e profondamente Marilyn. I due rimasero buoni amici anche dopo il divorzio, e al funerale di Marilyn, prima che la bara venisse chiusa, Di Maggio baciò la salma dicendole per tre volte: «Ti amo». Per vent anni le fece inoltre recapitare regolarmente un mazzo di rose rosse da porre sulla tomba in occasione del suo compleanno. 119 Naturale erede di Jean Harlow in quanto a sensualità e carica erotica, Marilyn ebbe sempre un rapporto di odio e amore con la sua immagine da diva sexy (fig. 40); lei avrebbe voluto essere molto di più della dea sensuale ed incarnazione del desiderio che Hollywood aveva plasmato sulla sua persona. Ed è forse questo melting-pot di sesso, bellezza, tormento ed instabilità psicologica che ha reso Marilyn un’icona (fig. 41) indiscussa, ancora oggi musa ispiratrice di numerosi artisti, cantanti e personaggi dello spettacolo23. Della sua vita si è parlato in ogni aspetto, si è detto tutto ed il contrario di tutto, sfociando anche negli aspetti più privati della sua vita quotidiana, come ad esempio la sua beauty routine (fig. 42). Per mostrare in che percentuale un trucco adeguato (e non solo il trucco) possa influire sull’immagine (a 360 gradi) di una donna, ho raccolto ed elencato di seguito alcuni dei segreti di bellezza di Marilyn. Segreti che probabilmente già allora correvano di bocca in bocca tra le donne di tutto il mondo, le quali, credendo di acquisire anche solo un pizzico del fascino della diva, ne alimentavano il mito e 23 Tra i più celebri ricordiamo Andy Warhol, con le sue serigrafie su tela, e Mimmo Rotella; Ad un diverso livello mediatico e più di recente, anche Riccardo Cocciante, che nel 1985 le dedicò una canzone chiamata per l’appunto Marilyn e, infine, Leonardo Pieraccioni che le ha reso omaggio con la sua commedia Io & Marilyn (2009). 120 contribuivano inconsapevolmente all’evoluzione dell’estetica e della cosmesi. Il suo primo marito rivelò, ad esempio, che Marilyn aveva l’abitudine di sciacquarsi il viso con acqua fredda per almeno quindici volte, per scongiurare le macchie della pelle (così lei credeva) e chiuderne i pori dilatati. Talvolta spalmava sul viso vaselina, oppure la famosa Cold Cream (un'emulsione di acqua e grassi, principalmente cera d'api, che donava una pulizia profonda, senza seccare la pelle), oppure, ancora, una crema con ormoni contro l’invecchiamento cutaneo; comunque è certo che non si privasse mai di agenti protettivi per la pelle del viso. Altri due, molto usati dalla diva, erano l’olio d’oliva e l’adorata crema Nivea, come lei stessa disse di usare sempre, al fotografo Bert Stern nel 1962. E’ possibile che Marilyn, per ottenere un incarnato liscio e uniforme, usasse alternare strati di vaselina e cipria fissante, ma è questa una notizia non confermata. Un altro segreto riguardo la cura della pelle – rivelato dopo la sua morte grazie al ritrovamento di flaconi nel suo appartamento – è l'uso di una particolare linea di creme (fig. 43) di Erno Laszlo, dermatologo ungherese che, trasferitosi a New York nel 1939, fondò l'”Istituto Erno Laszlo”, specializzato in trattamenti di bellezza e cosmetici di cui Marilyn era grande fan. Due dei suoi prodotti preferiti erano la crema attiva Phelityl – una crema da notte ricca, per pelli 121 secche o leggermente asciutte, estremamente emolliente e perfetta nei mesi invernali – e il fard Phelitone. Sebbene sia ancora possibile acquistare alcuni dei prodotti che lei usava, il fard è fuori commercio già da parecchio tempo. Per mantenere la pelle del corpo tonica, talvolta faceva bagni di ghiaccio preparati dal suo massaggiatore Ralph Roberts, in cui poi lei avrebbe aggiunto il suo profumo preferito. Fu precorritrice dei tempi riguardo la buona abitudine di fare jogging per mantenersi in forma: lo faceva ogni mattina prima della colazione. Marilyn Monroe era considerata una vera maestra quando si trattava di applicare il trucco (figg. 4445). Non molti sanno che la transizione estetica dal viso fresco di Norma Jean alla sensualità prosperosa di Marilyn era in gran parte dovuta al makeup artist Allan "Whitey" Snyder (il genio dietro l'immagine di Marilyn). Marilyn imparò molto da lui, suo truccatore di fiducia (a cui fece promettere di farle da “tanatoprattore” se fosse morta prima di lui); egli utilizzò diverse tecniche per mascherarle alcuni difetti, tecniche che tuttavia non le rivelò, per non intaccare la sua autostima (fig. 46). Metodi che includono il modo in cui le ombreggiava il naso, come utilizzava l'illuminante, e la tecnica con cui, usando un po' di matita contorno labbra rossa nel dotto lacrimale, faceva apparire più bianca la cornea, donando allo sguardo un aspetto fresco. 122 Marilyn aveva le sopracciglia sagomate in modo che dessero alla fronte un aspetto più ampio. Indossava sempre le ciglia finte, ma solo metà ciglia e solo nella metà esterna, poiché una ciglia a nastro intera sarebbe stata molto più evidente e dal look artificiale. Whitey le consigliò inoltre di usare sempre del kohl bianco nella rima interna inferiore dell'occhio, per farlo apparire più grande. Marilyn utilizzava spesso l'ombretto in stick White Lustre di Elizabeth Arden, poi applicava un colore fumè nella parte esterna della piega della palpebra. I colori che spesso usava erano marroni delicati, blu perlati, a volte anche il verde chiaro. Era una appassionata degli ombretti Arden, specifici colori che facevano risaltare i suoi occhi azzurri. Per concludere, non si può non parlare della firma di Marilyn: le sue labbra rosse! Leggenda vuole che applicasse un particolare tipo di cera sulle labbra per ammorbidirle e lucidarle, ma nessuno è stato in grado di dire con certezza che sostanza fosse. In realtà si è poi scoperto che il lip-gloss di Marilyn, quando non si trattava di semplice vaselina, era composto da cera d'api, cera vegetale e uno strato di rossetto. Invece, per quanto riguarda il colore, Marilyn usava ben cinque tinte diverse di rossetto da Elizabeth Arden, Guerlain, e Max Factor, insieme alla matita contorno labbra rossa e al suo lip-gloss segreto. Secondo le regole del 123 contouring24, modellava illusionisticamente le sue labbra facendo abile uso di illuminante e terra. Uno dei suoi rossi favoriti era il Guerlain Rouge Diabolique (che sfortunatamente, per chi volesse copiarle il look, non è più disponibile sul mercato) ma comunque sceglieva sempre rossi dal sottotono freddo, poiché la cinepresa in technicolor tendeva a rendere i colori più “aranciati”. Infine, per completare la toeletta da star, qualche goccia di Chanel n.5: il profumo di Marilyn per eccellenza. 8. Elizabeth Taylor Elizabeth Taylor nacque ad Hampstead, Londra, il 27 Febbraio del 1932 ed è morta a Los Angeles nel 2011. E’stata attrice, imprenditrice e stilista: ma forse, più d’ogni altra cosa, è stata l’ultima grande diva dell’età d’oro di Hollywood (fig. 47). 24 Contouring in inglese significa rimodellamento. E’ una tecnica che si usa per armonizzare maggiormente le proporzioni del volto tramite l’utilizzo di un prodotto in polvere opaco di colore chiaro: l’illuminante e un prodotto in polvere (sempre rigorosamente opaco) di qualche tono più scuro dell’incarnato ovvero la terra. L’effetto ottico di rimodellamento dei volumi è dovuto al fatto che il colore chiaro ha la capacità di ingrandire, aumentare la superficie, evidenziare, portare in primo piano e far sporgere. Mentre il colore scuro può accorciare, rimpicciolire, incavare, portare in secondo piano e diminuire la superficie. 124 Con la sua singolare bellezza, una vita sentimentale “movimentata”, hobby lussuosi come il collezionismo di preziosissimi gioielli25, le sue caratteristiche fisiche (celeberrimi i suoi occhi viola, fig. 48), ha incarnato la diva hollywoodiana nella accezione più sontuosa e sfavillante. Cominciò a studiare danza alla tenera età di tre anni, mentre a nove si trasferì con la famiglia a Los Angeles a causa del conflitto mondiale. Il suo primo ingaggio importante arrivò nel 1942 con il film There’s One Born Every Minute26; ma è la pellicola Torna a casa Lassie27, del 1943, che le fa guadagnare il successo e lo status di “bambinaprodigio”. Nel 1963 diventò la star cinematografica più pagata quando le venne offerto un contratto da 1.000.000 di dollari per interpretare, come protagonista, il kolossal Cleopatra28 (fig. 49). Sul suo set la Taylor conobbe il suo futuro marito 25 La diva è stata in possesso della collezione di gioielleria più bella ed incredibile mai posseduta da un’attrice. Tra i pezzi più famosi e preziosi si annoverano il diamante TaylorBurton di 69,42 carati, il diamante Krupp da 33,19 carati, la collana “Peregrina” risalente al XVI secolo e numerose creazioni di Cartier e della maison francese Van Cleef & Arpels. 26 There’s one born every minute, di Harold Young, Stati Uniti, 1942, 60 min. 27 Lassie come home, di Fred McLeod Wilcox, Stati Uniti, 1943, 88 min. 28 Cleopatra, di Joseph L. Mankiewicz, Stati Uniti, 1963, 244 min. 125 Richard Burton: in quell’istante si aprì la stagione degli amori e degli scandali, che vedrà Elizabeth sposarsi e divorziare (tranne per un matrimonio di cui rimase vedova) da diversi mariti per ben sette volte29. Fu in particolare l’episodio con Burton a consolidare la sua reputazione di femme fatale (fig. 50) (per i maligni più “rovina famiglie” che femme fatale). Tuttavia, proprio in coppia con Burton la Taylor raggiunse l’apice del successo, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, con una serie di pellicole mirabilmente interpretate. Gli anni ’70, invece, furono costellati da partecipazioni a film deludenti; la storia d’amore con Burton si era ormai esaurita, e Liz sposò nel 1976 il senatore della Virginia John Warner, passando dai party hollywoodiani alle cene con i capi di stato. Nonostante ciò, Elizabeth non abbandonò mai le scene (vi fu costretta successivamente a causa della malattia che poi la portò alla morte) e si dedicò al teatro e ad altri interessi come la moda e l’imprenditoria, lanciando sul mercato cosmetici e profumi che ebbero un gran successo. Il suo primo profumo, lanciato nel 1991, fu ispirato anche dalla sua 29 Questi i suoi matrimoni: Conrad “Nichy” Hilton Jr., attore (1952-1957) divorziata. Mike Todd, produttore (157-1958) vedova. Eddie Fisher, cantante (1959-1964) divorziata. Richard Burton, attore (1964-1974) divorziata. Richard Burton, secondo matrimonio (1975-1976) divorziata. John Warner, senatore (1976-1982) divorziata. Larry Fortensky, operaio edile (1991-1996) divorziata. 126 passione per i gioielli e si chiamò White Diamonds. Gli ultimi anni della sua vita la videro impegnata nella campagna di sensibilizzazione e lotta contro l’AIDS, raccogliendo fondi per finanziare la ricerca sfruttando la sua fama e il suo carisma, che nel corso della carriera l’avevano avvicinata al cuore della gente. La naturale ed incontenibile bellezza (fig. 51) di Liz Taylor fu, fin da ragazzina, catalizzatrice di attenzione ed interesse e ciò aiutò molto la sua ascesa al successo. Il punto focale del suo volto erano senza dubbio gli enigmatici e sensuali occhi dalla caratteristica sfumatura blu-viola (che diventò una sorta di marchio di fabbrica di Elizabeth) e dalle lunghe e folte ciglia. In realtà, l’attrice aveva quello che solitamente viene definito un “difetto”: una doppia fila di ciglia, dovuta ad una mutazione genetica detta “distichiasi”. I suoi occhi erano incorniciati ed enfatizzati da sopracciglia (fig. 52) forti, un po’ arcuate e ben definite, la cui forma è diventata un “modello” chiamato per l’appunto “Liz”, annoverato tra i possibili stili di sopracciglia anche negli odierni manuali di trucco. La pelle, perfettamente opaca e chiara, creava con i capelli color ebano un meraviglioso contrasto di chiaroscuro (fig. 53). Le labbra carnose, dalla forma leggermente a cuore, erano tinte (fig. 54) di rosso rosato, tonalità perfetta per rappresentare al meglio 127 lo stile di Elizabeth: una combinazione di sensualità lussureggiante e delicata innocenza. 9. Mina Mina, nome d'arte di Mina Anna Mazzini, è una cantante (fig. 55), conduttrice televisiva e attrice italiana; nata a Busto Arsizio il 25 marzo 1940 nel 1989, ha ottenuto anche la cittadinanza Svizzera30. Mina è una leggenda della musica italiana, nota per le qualità della sua voce, dal timbro caldo e subito riconoscibile. È amata ed apprezzata in tutto il mondo, dall’Argentina alla Spagna, dal Venezuela al Giappone, oltre che ovviamente in Italia. La sua carriera, lunga più di mezzo secolo, è iniziata alla fine degli anni cinquanta e le ha visto interpretare, sempre in modo originale e personale, molteplici generi musicali, anche molto differenti tra loro. Ecletticità, doti interpretative, una voce incredibile ed un look perfettamente studiato (fig. 56) e calzante con la sua personalità (di periodo in periodo), sono le peculiarità di questa artista. La prima apparizione risale al 1958 come cantante degli Happy Boys, ma il debutto vero e proprio avvenne l’anno successivo quando, cantando con “i Solitari”, fu notata da Davide Matalon, titolare della Italdisc, che riuscì a portarla all’attenzione del pubblico facendola esibire 30 Si trasferì a Lugano nel 1966, dove vive tutt’ora. 128 durante una puntata di “Lascia e Raddoppia” di Mike Bongiorno. Nel primo periodo Mina era ancora alla ricerca di una “propria identità estetica” (fig. 57): iniziò assottigliando le sopracciglia sempre più, intuendo probabilmente già da allora che la loro forma naturale strideva con l’architettura del viso. Tintarella di luna, del 1959, è stata la prima canzone della cantante in hit-parade. Da allora sono accaduti mille eventi e Mina ha conosciuto anche i lati negativi del successo, primo su tutti l'interesse morboso della stampa che inventava continuamente sue relazioni sentimentali e scandali, e che, mettendole alle calcagna i temuti “paparazzi”, non le davano più tregua. In quel periodo Natalia Aspesi coniava per lei il soprannome “Tigre di Cremona”, con cui ancora oggi è nota anche fuori dai confini nazionali. Nel 1961 ebbe la prima vera esperienza negativa, legata al Festival di Sanremo. Il mancato successo in questa importante gara canora, le fece prendere la decisione di non parteciparvi mai più. Malgrado l'esperienza sanremese, la sua popolarità non venne minimamente intaccata e Le mille bolle blu riscosse uno straordinario successo di vendite e di ascolti. Altra “doccia fredda” fu il comportamento bigotto dei media italiani degli anni ’60, che misero la cantante in “quarantena” a causa della sua prima gravidanza nel 1963, proprio nel periodo di maggiore successo (poteva vantare richieste di 129 collaborazione da parte di grandi maestri come Federico Fellini31 e Frank Sinatra). Dopo la pausa della gravidanza, nel 1964 Mina abbandona il look tipicamente anni ’50 per ricomparire sulle scene con un look totalmente trasformato. Capelli lunghi, in un primo tempo castani (fig. 58), poi nero corvino, occhi in risalto con un intenso contorno scuro e folte ciglia finte; le sopracciglia, fortemente depilate, erano lievemente riempite con tratteggi di matita. A partire dal 1965 Mina creò uno stile ottimale per enfatizzare e mettere in rilievo le caratteristiche del suo volto, stile che venne in seguito imitato diventando una vera e propria moda. Quell’anno Enrico Farina volle studiare per lo show “Studio 1” qualcosa di nuovo: i capelli, adesso biondo scuro, si accorciarono in un acconciatura morbida e vaporosa, con basettoni. Il trucco era esagerato, allungatissimo verso l’esterno dell’occhio e con un’intensa sfumatura a metà 31 Federico Fellini, chiese a Mina di partecipare ai film Satyricon e Il Viaggio di G. Mastorna; quest’ultimo non fu mai realizzato per il rifiuto della cantante. Frank Sinatra le propose di partecipare ad una serie di spettacoli live, che ne avrebbero sancito il lancio nello show-business statunitense, ma la cantante rifiutò anche questa proposta senza chiarirne il motivo. Furono avanzate varie ipotesi, tra cui la paura di volare, quella di addentrarsi in uno star-system più complicato rispetto a quello italiano e il non volersi separare dai propri cari. 130 palpebra. Le sopracciglia, adesso depilate, sono ora sostituite da una piccola ombreggiatura. Dal 1969 entriamo nell’era delle grandi “mezzelune” e delle minigonne vertiginose. L’occhio tutto nero ed allungato di Mina lascia il posto ad un trucco più attuale, con un ombretto chiaro in linea con il tempo, ma enfatizzato da elementi imprescindibili come l’eyeliner e le ciglia finte, stavolta anche sulla rima ciliare inferiore. Il posto di Enrico Farina, truccatore di fiducia di Mina, fu preso da Enzo Amato, l’artefice di truccature di fantasia molto all’avanguardia per quegli anni. Anche lui focalizzò l’attenzione sui grandi occhi dell’artista usando generosamente eyeliner, ciglia finte e materiali di vario genere come cristalli etc. Mina stessa creò look che in seguito furono copiati. Uno di questi è lo stile “a bambolotto”, che prevedeva l’uso di tre ciuffetti di ciglia lunghe nella rima ciliare inferiore i quali, uniti ad una palpebra “drammatica”, creavano un effetto, appunto, da bambola. A partire dal 1974, anno in cui partecipò a “Milleluci” insieme a Raffaella Carrà, Mina diede l’addio alla televisione in grande stile; il trucco divenne più sfumato e nell’insieme “discreto”: anche la bocca stavolta viene contemplata e, non essendovi più un contrasto netto tra occhi drammatici e labbra nude, l’insieme ne risultò notevolmente alleggerito. 131 Quattro anni dopo, la cantante rilasciò la sua ultima intervista e decise di abbandonare le scene ritirandosi a vita privata. Nonostante ciò, molte delle sue canzoni diventeranno grandi successi, come Questione di feeling (in collaborazione con Riccardo Cocciante) o il disco Mina Celentano, fino alle più recenti, come la canzone Oggi sono io del 2001. Della sua immagine, a partire dal 1978, si occupa Stefano Anselmo, che studia per lei look molto particolari e caratterizzanti. Truccature che tali potevano essere anche perché destinate a photoshoot di copertine di album (figg. 59-60) e non ad eventi mondani o televisivi. Una caratteristica dell’operato di Anselmo fu il mantenere una linea piuttosto orizzontale per la sfumatura degli occhi, giocando con il sollevamento della sfumatura alla radice del naso, accorgimento che può, da solo, mutare molto la percezione d’insieme del volto. Ancora una volta le sopracciglia sono assenti e sostituite da un’ampia arcata di polvere color biscotto. La bocca viene posta in risalto con l’uso di colori scuri come il mattone, modellata attraverso chiaroscuri strategici. L’appuntamento per la foto di copertina dell’album era molto spesso un’occasione quasi ludica: un concentrato di piccole follie, invenzioni e trovate. Il volto di Mina, è: 132 «Un volto inconfondibile che ha indossato con disinvoltura unica, miliardi di maquillage diversi senza mai diventare un’altra persona». Stefano Anselmo Mina si dedica tutt’ora alla conduzione di programmi radiofonici, collabora con alcune riviste e quotidiani in qualità di opinionista e presta la sua voce in alcuni spot pubblicitari. Nel 2001 è stata insignita dell'onorificenza di Grande Ufficiale al Merito della Repubblica dal presidente Carlo Azeglio Ciampi. Nel 2006, si è sposata con il cardiochirurgo Eugenio Quaini, una frequentazione che inizia sul finire degli anni Settanta. Ancora adesso qualsiasi evento a lei legato è un successo mediatico; vanta migliaia di fan in tutto il mondo e la sua voce, accompagnata dai suoi grandi e caratteristici “occhioni dipinti” (fig. 61) fanno parte della memoria storica e dei ricordi personali di tantissime persone. 10. Audrey Hepburn Audrey Hepburn (fig. 62), all’anagrafe Audrey Kathleen Ruston, è nata ad Ixelles, in Belgio nel 1929 ed è morta a Tolochenaz in Svizzera, nel 1993 a causa di un cancro al colon. Il padre era un banchiere inglese, mentre alla madre si deve il 133 sangue blu di Audrey, Ella Van Heemstra infatti, era una baronessa olandese. L’infanzia dell’attrice fu costellata da frequenti spostamenti tra Belgio, Paesi Bassi e Regno Unito a causa del lavoro del padre; ma quattro anni dopo il divorzio dei genitori, avvenuto quando Audrey aveva solo 6 anni, la famiglia, ora composta da madre e figli, si trasferì ad Arnhem, dove visse fino al 1948 (quando si trasferì a Londra). Qui Audrey studiò danza classica al Conservatorio, con notevoli risultati. Verso il 1944 era divenuta una ballerina a tutti gli effetti e partecipava a spettacoli organizzati in segreto per la raccolta fondi a favore del movimento di opposizione al nazismo. Durante la carestia di quell’inverno, in seguito allo sbarco degli alleati in Normandia, i nazisti confiscarono le limitate riserve di cibo e carburante della popolazione olandese. Senza riscaldamento nelle case o cibo, essa moriva di fame o di freddo nelle strade. Furono momenti particolarmente difficili per Audrey quasi adolescente, che a causa della malnutrizione sviluppò diversi problemi di salute. Inoltre su di un piano psicologico, questo periodo, insieme al precedente il cui clima era intriso di paura e instabilità (aveva addirittura cambiato il suo nome dal suono inglese per non attirare l’attenzione), condizionò profondamente i suoi valori e la sua visione delle cose per il resto della vita. Anni 134 dopo, parlando della liberazione di Arnhem (l’Olanda fu liberata nel 1945), la Hepburn disse: «L'incredibile sensazione di conforto nel ritrovarsi liberi, è una cosa difficile da esprimere a parole. La libertà è qualcosa che si sente nell'aria. Per me, è stato il sentire i soldati parlare inglese, invece che tedesco e l'odore di vero tabacco che veniva dalle loro sigarette».32 Negli anni che trascorse in Inghilterra, Audrey continuò gli studi di danza classica con l’insegnante Marie Rambert. Questa però, nonostante la bravura della ragazza, la fece desistere dal diventare una ballerina dicendole che le sue chance di riuscita erano minime (a causa della sua altezza 1,70 m, e dei problemi legati alla malnutrizione del periodo bellico). Forse anche in seguito a quest’affermazione, la Hepburn decise di tentare la carriera di attrice. Anni dopo, la Rambert, intervistata dalla rivista «Time», dichiarò: «era un'allieva meravigliosa. Se avesse perseverato, sarebbe diventata un'incredibile ballerina».33 Fondamentale fu l’incontro con la celeberrima scrittrice Colette, avvenuto a Montecarlo nel 1951, che la scelse per interpretare la parte della 32 V. http://www.audrey1.org/biography/16/audrey-hepburntimeline-1929-1949. 33 Rambert Marie, «TIME», 7 settembre 1953, pag. 47 135 protagonista nella commedia Gigi per Broadway, tratta dal suo ultimo romanzo34. Del 1952 è il suo primo ruolo significativo nel cinema: con il film The Secret People35, nel quale interpreta una talentuosa ballerina, ebbe la possibilità di mettere a frutto l'esperienza accumulata con lo studio della danza, tentando simultaneamente la strada dell’attrice. Del 1953 è il famoso film Vacanze Romane36 che, oltre un gran successo, le fruttò un contratto con la Paramount Pictures per la scrittura di ben sette film lasciandole, con opportune pause, il tempo e la facoltà di lavorare in teatro. Sabrina37, la pellicola che la lanciò nell'Olimpo delle star Hollywoodiane, risale al 1954 e sancì anche l’amicizia e il sodalizio professionale tra l’attrice e Hubert De Givenchy, stilista che si occupò dei costumi per il film (ricevendone anche un premio Oscar) e in seguito anche del guardaroba dell’attrice. L’incontro fu emblematico e Givenchy, alla richiesta di abiti nuovi per il guardaroba, rispose così: 34 COLETTE, Gigi et autres nouvelles, La Guilde du Livre ed., Losanna 1944. 35 The Secret People, di Thorold Dickinson, Gran Bretagna, 1952, 96 min. 36 Roman Holiday, di William Wyler, Stati Uniti, 1953, 118 min. 37 Sabrina, di Billy Wilder, Stati Uniti, 1954, 113 min. 136 «Le dissi: "Mademoiselle, mi piacerebbe aiutarla, ma ho poche cucitrici e sto lavorando ad una collezione, non posso farle dei vestiti." Allora lei disse, "Mi mostri quel che ha creato per la collezione." Si provò i vestiti. "È esattamente ciò di cui ho bisogno!", esclamò, e le stavano davvero bene. Sapeva perfettamente ciò che voleva.»38 Il personaggio di Holly Golightly (fig. 63), da lei impersonato nel film Colazione da Tiffany39, tratto dal romanzo di Truman Capote, venne considerato come una delle figure più incisive e rappresentative del cinema statunitense del XX secolo. In un mondo di bionde esplosive e ammiccanti, verso la seconda metà degli anni Cinquanta Audrey Hepburn era diventata una delle più grandi attrici di Hollywood e un'icona di stile (figg. 6466): con il suo profilo sbarazzino, ingenuo e strepitosamente sofisticato, era riuscita, andando contro corrente, a spazzar via la volgarità di Hollywood, imponendosi come nuova figura di riferimento anche grazie alla sua innata eleganza e al suo buon gusto in fatto di moda (fig. 67, fu musa ispiratrice sia di Givenchy che di Valentino). «Se non mi riconoscerai, ricordati che sarò la ragazza più sofisticata di tutta la stazione.» 38 V. http://www.nannimagazine.it/articolo/7973/audreyhepburn-le-tre-anime-di-una-diva-senza-tempo. 39 Breakfast at Tiffany's, di Blake Edwards, Stati Uniti, 1961, 115 min. 137 Questa battuta, tratta dal film Sabrina, calza alla perfezione nella descrizione della Hepburn. La sua eleganza ha travalicato il tempo, influenzando tutt’oggi intere collezioni moda e trend di stagione. Basti pensare all’intramontabile Little Black Dress “che tutte le donne devono possedere nel proprio guardaroba” e che fu proprio lei a portare in auge, o alle scarpe “a ballerina”. E’ stata la regina indiscussa del Bon Ton (fig. 68), uno stile fresco ed intramontabile che caratterizzò non solo il suo modo di vestire ma il suo look per intero, make up compreso (figg. 69-71). Il suo trucco era naturale e leggero, con zigomi e sopracciglia in risalto (di cui era naturalmente dotata) che si stagliavano su un incarnato uniformato dal fondotinta, ma sempre in modo impalpabile. Gli occhi “a cerbiatta” erano appena velati da una tonalità neutra e un tocco di luce (ombretto chiaro perlato) giusto al centro della palpebra per dare all’occhio luminosità e profondità. Le ciglia (non usò mai ciglia finte) erano perfettamente pettinate e scurite dal mascara, in un effetto folto ma mai artificiale. Una sottilissima linea di eyeliner nero (figg. 72-73) incorniciava l’occhio ma non portava con sé la valenza sexy delle contemporanee pin up, tutt’altro: era semplice, minimale, appunto Bon Ton. Le chiavi del suo look erano luminosità e freschezza e le labbra, coerentemente con il resto del viso, un delicato rosa caramellato o beige, con 138 un effetto leggermente lucido per dare loro maggior volume (ciò non la privò tuttavia di portare anche colori più decisi, ricordiamoci dopotutto, che era anche l’era dei rossi!). Si dice che per prendersi cura della pelle del proprio viso, usasse i prodotti di Erno Laszlo (come faceva la divina Marilyn) e si lavasse il viso con il sapone nero, che al tempo costava 25 dollari al panetto. In quanto amica e musa di Givenchy, fu di ispirazione per il profumo L’Interdit, il cui mix floreale di rosa e gelsomino fu creato esclusivamente per il suo uso personale e che solo svariati anni dopo fu commercializzato. Tutt’ora sul mercato, questo profumo conserva invariati sia la fragranza che la confezione (anche il fascino retrò, aggiungerei). Ma oltre le caratteristiche estetiche, la Hepburn era dotata di una grande generosità ed empatia (probabilmente sempre frutto del triste periodo bellico) che la portarono ad essere nominata ambasciatrice speciale dell'UNICEF. Da quel momento fino alla sua morte, la Hepburn si dedicò all'aiuto dei bambini nati nei paesi poveri del mondo. I suoi numerosi viaggi furono facilitati anche dalla sua conoscenza delle lingue (oltre all'inglese, parlava fluentemente il francese, l'italiano, l'olandese e lo spagnolo). Nel 1992 l’allora presidente degli Stati Uniti George H.W. Bush la premiò con uno dei più importanti riconoscimenti attribuibili ad un civile 139 statunitense: la Medaglia Presidenziale della Libertà, come riconoscimento per il suo impegno con l'UNICEF e, poco dopo la sua morte, l'Academy of Motion Picture Arts and Sciences la premiò con il Premio umanitario Jean Hersholt (Jean Hersholt Humanitarian Award) per il suo contributo all'umanità, premio ritirato dal figlio Sean Hepburn Ferrer (il più grande dei due figli, avuto con il suo primo marito: l’attore Melchior Gaston Ferrer). La vita di Audrey Hepburn non fu caratterizzata né da svariati matrimoni né da scandali; fu invece costellata di onorificenze e premi, principalmente legati alla sua formidabile bravura, e da una costante “discrezione”. Lei era introversa e posata e queste sue peculiarità sono divenute il tratto distintivo della sua intera, profonda e mai frivola esistenza (fig. 74). 11. Twiggy Il vero nome di Twiggy è Lesley Hornby (fig. 75). Nata a Londra nel 1949 è stata la prima supermodel di fama mondiale. Divenne famosa all'età di sedici anni, quando Mary Quant decise di affidare alla sua immagine il lancio della scandalosa minigonna (fig. 76). Da lì in poi la sua fama crebbe esponenzialmente e Twiggy fece anche da testimonial a numerosi prodotti, fra i 140 quali cito, in ambito cosmetico, le ciglia finte del marchio Yardley (fig. 77) e i pastelli da viso della stessa Mary Quant. Nel 1966 fu nominata “Volto del '66” dalla testata giornalistica «Daily Express». Divenne rapidamente un vero e proprio simbolo, e lungo Carnaby Street le ragazze passeggiavano esibendo orgogliose il suo stesso stile, applicato sia al modo di vestire quanto al trucco. Twiggy, il cui soprannome in italiano viene accostato al termine “grissino” (per le sue caratteristiche fisiche), con il suo look androgino, il fisico minuto, snello, e privo di forme femminili, non è diventata solo l’idolo delle ragazzine degli anni ’60, ma ha anche adoprato una vera e propria rivoluzione in ambito estetico e di costume, incarnando un nuovo ideale di bellezza (fig. 78) che univa il concetto di giovinezza alla ritrovata libertà di azione e pensiero tipica di quegli anni. Tramite ciò che è rimasto dei suoi photoshoot, ha rappresentato e rappresenta tutt’ora nel nostro immaginario, non solo la quintessenza della Swinging London40 degli anni ’60, ma anche lo stacco netto e radicale con quello che prima di lei 40 Swinging London è un termine che riassume l'insieme di tendenze e dinamiche culturali che si svilupparono in Gran Bretagna negli anni sessanta. Questo fenomeno vide la gioventù orientarsi verso il nuovo e il moderno, in un periodo di ottimismo e di edonismo. L'etimologia deriva dall'inglese to swing che significa "oscillare", facendo riferimento all'andamento delle mode che vanno, vengono e cambiano sempre. 141 era stato considerato bello, sexy e di tendenza. Dopo aver posato per alcuni grandi fotografi (tra cui Barry Lategan, Melvin Sokolsky41, Richard Avendon e Bert Stern42); aver lanciato una sua linea di moda (la Twiggy Dresses); esser comparsa sulla copertina delle maggiori e influenti riviste di moda («Vogue» [fig. 79], «Newsweek», «Harper’s Bazaar»); e vedersi dedicata una Barbie Mattel a propria immagine e somiglianza (lanciata sul mercato nel 1967), Twiggy decise nel 1970 di ritirarsi dalla carriera di modella per dedicarsi alla recitazione. Così, tra gli anni ’70 e ‘80 divenne un'attrice di successo di cinema, teatro e televisione, iniziando la sua carriera come protagonista nel film di Ken Russell The Boyfriend43, per il quale vinse due Golden Globe (esordiente più promettente e miglior attrice in un musical). Ha inoltre inciso molti album sperimentando una varietà di stili tra cui pop, rock, disco e country, ottenendo riconoscimenti come due dischi d'argento, due album chart e vari singoli in hit parade. 41 Twiggy gira uno spot per Diet Rite Cola diretto da Melvin Sokolsky. Lo spot la vede cantare e ballare. 42 Bert Stern diresse tre documentari riguardanti il viaggio negli Stati Uniti di Twiggy del 1967. Erano: Twiggy a New York: la sua visita, Twiggy a Hollywood e Twiggy, Perché?, per la storica rete televisiva americana ABC. 43 The Boy Friend, di Ken Russell, Stati Uniti e Regno Unito, 1971, 137 min. 142 Dal 2005 Twiggy è il “volto” delle campagne pubblicitarie per la catena di negozi Marks and Spencer, membro di giuria nel programma televisivo di Tyra Banks America's Next Top Model (incentrato sulla moda), nonché ardente sostenitrice della causa animalista, battendosi in prima persona contro l’uso della pelliccia. E’ risaputo anche il suo sostegno a gruppi di ricerca sul cancro al seno e può essere considerata uno dei più incisivi esempi odierni di bellezza naturale (senza ritocchi chirurgici), nonostante la tendenza generale sia di fare largo uso del trucco (più o meno permanente) come della chirurgia estetica. Nel 2008 Twiggy ha pubblicato un libro44 ove svela i suoi segreti di bellezza (figg. 80-81) e dà utili consigli in campo estetico. Di seguito, è la sua opinione in merito alla moda dilagante di ritoccarsi tramite la chirurgia: «Ogni ruga racconta una storia. Le rughe d’espressione sono meravigliose e donano carattere e profondità al viso di una donna. Non c’è nulla di peggio di un viso piatto e completamente riempito di Botox. Alcune donne mature sono assolutamente meravigliose rispetto a giovani che hanno invece un aspetto orribile. E’ come ci si sente rispetto al proprio look, ad essere la chiave per avere una sana autostima. Ricorda, la bellezza perfetta delle pubblicità può essere un’aspirazione ma non significa che sia la realtà.» 44 TWIGGY LAWSON, A Guide to Looking and Feeling Fabulous Over 40, Michael Joseph ed., Londra 2008. 143 Il libro, si propone come guida al trucco e al giusto approccio con la moda, per le donne che hanno superato i quarant’anni, ma esplica anche, passo per passo, come si truccava Twiggy nella sua età d’oro. Se ne traduce qui un piccolo estratto45 riguardante il suo makeup d’epoca “Mod”46, che è poi rimasto nella storia come il suo tratto distintivo: «Ho realizzato da sola il mio trucco degli occhi da quando avevo 14 anni e durante la mia fase Mod. Era un look ben preciso: con gli occhi pesantemente cerchiati di nero. Pasticciai con l'eyeblack: un eyeliner solido e nero [fig. 82] mescolandolo con un po' di saliva sulla punta di un pennello sottile. Volevo gli occhi smokey come le dee dello schermo degli anni Trenta. Allora usavo stratificare tre paia di ciglia finte oltre le mie e disegnavo inoltre a piccoli trattini delle false ciglia nella palpebra inferiore. Il tocco finale era annullare il colore delle mie 45 Da http://www.dailymail.co.uk/home/you/article1056252/Twiggys-beauty-secrets-eyes-lips.html. 46 Il termine Mod, abbreviativo di modernism (termine coniato inizialmente per definire i fan del "modern jazz"), fa riferimento alla subcultura giovanile che si sviluppò a Londra e che raggiunse il picco di popolarità negli anni '60. Gli elementi significativi della subcultura mod sono: il look curato e la moda, la musica pop, gli scooter italiani (Vespe e Lambrette), spesso adornati con molte luci e specchietti supplementari per richiamare l'attenzione, l'uso di droghe come le anfetamine e le notti intere a ballare nei club notturni. 144 labbra tamponandole con il pancake. Quando ho cominciato a posare, dovevo impostare la sveglia 90 minuti prima rispetto all’orario dell'appuntamento, perché dovevo prendermi il mio tempo per applicare il make-up. E' stato terapeutico e abbastanza divertente.» E’interessante notare, oltre alle tecniche di trucco, come certe icone che sembrano così lontane ed irraggiungibili, si rivelino invece molto più “umane” di quel che crediamo… Ad esempio, il diluire l’eyeliner con la saliva della Twiggy sedicenne, suscita molta “tenerezza” e le fa assumere un tono più familiare, nonostante incarni il modello della adolescente inglese degli anni ’60 (fig. 83) e dello stile di quel tempo in generale. 12. Patty Pravo Patty Pravo, nome d'arte di Nicoletta Strambelli (fig. 84), è una cantante italiana nata a Venezia nel 1948. Fin da piccolissima studiò danza e pianoforte, seguendo anche un corso di direzione d'orchestra e crescendo in un ambiente familiare colto, sfruttando la preziosa possibilità di maturare a contatto con personaggi del calibro di Peggy Guggenheim, Ezra Pound e l'allora cardinale Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII. Successivamente, dopo aver studiato per otto anni presso il Conservatorio di musica di Venezia, si 145 recò a Londra per perfezionare l'inglese, ma la parentesi anglosassone fu brevissima poiché dopo appena due giorni tornò in Italia incuriosita dal tanto chiacchierato locale Piper. Si trasferì quindi a Roma, dove cominciò a farsi notare col nome d’arte Guy Magenta, esibendosi in danze scatenate e trascinanti, fin quando fu notata dal manager Alberigo Crocetta (socio proprietario del locale) che, insieme a Renzo Arbore e Gianni Boncompagni, diedero inizio alla sua carriera (fig. 85). La scelta del nome Patty Pravo derivò dal fatto che Nicoletta studiava Dantismo ed era stata colpita da una canto dell'Inferno dantesco, in particolare dalla frase: “Guai a voi anime prave!”, pronunciata da Caronte nella Divina Commedia. “Pravo” quindi come “perverso”, “dannato”, accostato al nome Patty molto in voga a quel tempo e che foneticamente vi si accordava bene. Il suo primo singolo, inciso nel 1966 è stato Ragazzo triste: fu la prima canzone pop ad essere trasmessa da Radio Vaticana, ma ci pensò la Rai a trasformare il verso (ritenendolo probabilmente troppo sfacciato): «scoprire insieme il mondo che ci apparterrà» in: «scoprire insieme il mondo che ci ospiterà». Questa sorta di censura fu la prima di una lunga serie, poiché Patty Pravo fin da subito mostrò di essere profondamente anticonformista e sfacciata nel suo atteggiamento ribelle, ma sempre in modo profondamente autentico. 146 Bionda, esile, dai lineamenti angelici, ma con una voce torbida, rauca, vibrante e un carattere forte e deciso, disinibita e “mentalmente aperta”, in totale opposizione con “l’Italiuccia” benpensante del tempo, Patty ebbe fin dagli inizi una personalità magnetica ed energica che riversava nella sua vita privata come nelle sue performance, e che ha sempre fatto breccia nel cuore dei fan. Il suo personaggio “bivalente”, così diafano nell’aspetto e nei colori ma al contempo schiettamente “rock” e avanguardista, può essere considerato come un esempio di emancipazione femminile. Nel 1968 pubblicò La bambola, 45 giri che ottenne un successo planetario, diventando immediatamente il suo “marchio di fabbrica” e con il quale partecipò a Canzonissima47, condotto da Mina, Walter Chiari e Paolo Panelli. In Italia, La bambola è stato il secondo 45 giri più venduto del 1968. Ed è proprio a partire da quell'anno che ha inizio ufficialmente il grande successo di Patty Pravo. Innumerevoli furono le partecipazioni a trasmissioni TV, caroselli e pubblicità per il famoso marchio di gelati Algida, per cui realizzò anche degli spot dove ballava e cantava. Nel 1970 47 Canzonissima era una popolare trasmissione televisiva di varietà, mandata in onda dalla RAI dal 1956 al 1975. Oltre al consueto spettacolo di comici, soubrette, sketch e balletti, l'elemento fondamentale del varietà era la gara canora abbinata alla "Lotteria di Capodanno", che successivamente verrà ribattezzata Lotteria Italia. 147 avvenne la prima metamorfosi (fig. 86): Patty, passò dal beat al melodico, interpretando brani da donna matura pur essendo una ventenne e riuscendovi comunque in modo assolutamente convincente e partecipato. Negli anni Ottanta, dopo i trionfi di brani come Pazza idea e Pensiero stupendo, e di rock molto avanzato (forse troppo) per l’Italia, Patty Pravo si allontanò dalla cultura musicale nazionale, secondo il suo parere troppo incentrata sul guadagno e poco rispettosa della musica in quanto forma d’arte (di conseguenza del cantante in quanto artista) e si trasferì negli Stati Uniti, ritenendo che fosse meglio viaggiare, provare la libertà, viaggiando così anche dentro se stessa. Nel 1997, l’anno successivo al suo ritorno in Italia, Patty riscosse nuovamente un gran successo con il brano E dimmi che non vuoi morire, presentato a Sanremo. Più di recente, nel 2009, Patty Pravo ha ritirato in Campidoglio un importante riconoscimento: il premio Personalità Europea 2009. Ad oggi, superata la soglia dei 60 anni, Patty Pravo continua a perpetuare la parte della donna eternamente giovane, libera, trasgressiva (anche con l’aiuto della chirurgia estetica). Ragazza del Piper, chanteuse romantica, rocker avanguardista, dama orientale. Sono solo alcune delle facce di una personalità misteriosa e inafferrabile. La sua evoluzione canora ed estetica costante è stata capace di sedurre un popolo 148 particolarmente tradizionalista e religiosamente influenzato, rappresentando al meglio una stagione indimenticabile in cui le speranze di milioni di giovani si riversavano per le strade e i tabù venivano infranti, le libertà conquistate a dura forza e i dogmi rimessi in discussione; ma mostrando anche la capacità di cambiare e reinventarsi trasformandosi in sofisticata, eccentrica, elegante signora della musica italiana, sempre con un che di trasgressivo (basti pensare all’ultimo festival di Sanremo [fig. 87] in cui si è esibita con una camicia trasparente che le lasciava il seno a vista, alla veneranda età di 63 anni). Ripercorrendo la carriera di questa grande artista, aiutati dalle numerose immagini di repertorio, è interessante notare come, pur interpretando varie sfaccettature musicali in momenti storici diversi, lei abbia sempre mantenuto costanti tre essenziali caratteristiche: i capelli biondissimi, le sopracciglia sottili e gli occhi maggiormente in risalto rispetto al resto del viso (fig. 88). Pur avendo adottato di volta in volta lo stile “cosmetico” del decennio, Patty Pravo è un esempio della sua personalizzazione poiché, nonostante tutte le sue trasformazioni, è riuscita a mantenere una sua precisa estetica, facilmente riconoscibile e imitabile. Estetica che negli anni, pur rimanendo pressoché immutata, non è mai sfociata nella monotonia, né ha stancato il pubblico. La sua raffinata creatività le ha inoltre consentito di 149 giocare con i look (fig. 89) principalmente attraverso le acconciature e gli abiti, spesso provocanti ed avant-garde, talvolta anche motivo di polemica. Ma Patty, con algida bellezza e innata eleganza, non ha mai deluso i propri estimatori ma ne ha sempre conquistati di nuovi, attingendo da tutte le fasce d’età. 13. Cher Cherylin Sarkisian LaPierre non è che il nome per intero della celeberrima cantante, attrice e personaggio televisivo Cher (fig. 90). Nata in California nel 1946, non ebbe un’infanzia per così dire tranquilla. La madre dopo il divorzio si risposò per ben otto volte. Ai matrimoni si alternarono inoltre periodi di seria difficoltà economica. Tutto ciò, come si può immaginare, non era proprio il clima di stabilità di cui aveva bisogno una creatura in crescita. A sedici anni la vita di Cher cambiò, grazie all’incontro con Sonny Bono (fig. 91), che nel corso del tempo passò dall’essere un caro amico, a convivente, per diventare ufficialmente suo marito nel 1963. L’incontro con Sonny non fu determinante solo dal punto di vista sentimentale, ma anche sul piano lavorativo: è proprio duettando con Sonny che Cher mosse i primi passi come cantante e assaporò il gusto del successo. Con il suo inconfondibile 150 stile – caratterizzato dai coloratissimi pantaloni a zampa d’elefante (portati in auge dalla coppia) e accessori tipicamente Hippie come giacche e complementi in pelliccia o suede, con i lunghi capelli neri sua cifra, il trucco pesante che ricalcava lo stile del tempo (fig. 92-93), e l’ombelico scoperto che già allora faceva presagire la disinvoltura con cui la cantante mostrava il proprio corpo – Cher diventò ben presto un’icona per la sua generazione e per la cultura americana di quegli anni. Sonny & Cher, infatti, negli anni ’60 ebbero un enorme successo tra i giovani loro coetanei, ed erano addirittura riusciti a scavalcare, nelle classifiche inglesi, band come i Beatles e i Rolling Stones. Tuttavia, sul finire del decennio il successo calò: la coppia non riuscì a stare al passo con i tempi perché il panorama musicale stava cambiando così come la gioventù, che adesso inneggiava alle droghe e al sesso libero e per la quale i testi romantici di Sonny & Cher erano ormai obsoleti. Durante gli anni ’70 Cher si dedicò agli show televisivi48, per poi continuare il suo percorso da cantante solista dopo il divorzio da Sonny nel 1974, ma senza riscuotere il successo sperato. Ebbe comunque un ruolo importante come sexsymbol, tanto da ispirare il suo stilista Bob Mackie 48 The Cher Show debuttò come speciale televisivo il 16 febbraio 1975. 151 a disegnare abiti cut-out49, con “finestre” di tulle (fig. 94) o tessuto trasparente che lasciassero scoperte porzioni di corpo. Bob Mackie, tra l’altro, fu uno tra gli stilisti prediletti da Cher; il suo talento nel disegnare abiti vistosi ed estremamente sensuali, decorati e luccicanti, incontrava perfettamente il gusto eccentrico della cantante. Durante gli anni ’80 Cher non si era ancora pienamente affermata in ambito musicale e, reduce da una serie di flop commerciali, decise di cimentarsi nella carriera da attrice. Impresa di certo non facile, dato che veniva considerata dagli “addetti ai lavori” troppo poco seria per gli standard cinematografici e troppo cantante per impersonare qualche ruolo importante sullo schermo. Malgrado ciò, questa nuova strada le riservò alcune soddisfazioni grazie a film quali Silkwood50 e Stregata dalla Luna51, con cui vinse un Golden Globe52 e un premio Oscar. 49 Per abito cut out si intende in generale un abito semplice, impreziosito e reso più sensuale da strategici ritagli di stoffa, veri e propri fori di varie forme che lasciano la pelle nuda e scoperta. 50 Silkwood, di Mike Nichols, Stati Uniti, 1983, 131 min. 51 Moonstruck, di Norman Jewison, Stati Uniti, 1987, 102 min. 52 Durante la sua carriera Cher ha vinto anche un Grammy, un Emmy, altri due Golden Globe e un People's Choice Award per i suoi contributi nel cinema, nella musica e nella televisione. 152 Ricaricata dalle positive esperienze cinematografiche, nel 1987 incise il primo di una serie di incredibili successi: l’album Cher. A partire dalla fine degli anni ’80 e per l’intero decennio successivo (e oltre) Cher si realizzò una volta per tutte, sia come cantante che come carismatica sex symbol (fig. 95-96): una donna forte, che dalle sue esperienze negative è sempre rinata come fosse una araba fenice. Cher è una vera e propria leggenda vivente: sono entrati nella storia film come Le streghe di Eastwick53 o successi musicali come Believe del 1998, che oltre ad essere arrivato al vertice delle hit parade in ventitré paesi diversi, è diventata la canzone più venduta da una cantante nella storia della musica inglese. Ma questo non è che uno dei primati di Cher. Essa vanta anche: l’aver incentivato la moda dell’ombelico scoperto e dei completi composti da bolerino corto e pantaloni a zampa d’elefante (indossati in Italia anche da Raffaella Carrà); l’aver seguito e promosso (certuni dicono addirittura inventato) la moda, a metà degli anni ’70, di portare le unghia lunghe e dalla forma squadrata (fino all’anno scorso molto in voga); l’amore per i tatuaggi che l’ha portata ad esserne una delle prime estimatrici in epoca moderna 53 The Witches of Eastwick, di George Miller, Stati Uniti, 1987, 118 min. 153 (tanto da averne avuti ben sei54, che secondo la stampa si è in seguito fatta eliminare grazie al laser). Un suo video musicale, If I Could Turn Back Time, fu uno dei primi ad essere censurati da Mtv, a causa della mise non proprio pudica della cantante e del contesto piuttosto sensuale. Dal 2002 al 2005 ha avuto luogo il tour mondiale Living Proof: the Farewell Tour, che doveva essere l’addio ai suoi fan. Il successo fu enorme e l’evento seguito da innumerevoli estimatori. Ciò spinse la cantante a ripresentarsi a sorpresa nel 2008 con un nuovo show a Las Vegas: Cher at the Colosseum, conclusosi nel 2011. Nel 2010, inoltre l’abbiamo vista e sentita nel musical Burlesque55 in coppia con la cantante Christina Aguilera. Cher, bella come non mai all’età di 64 anni, sfoggia ancora mise succinte e trucchi vistosi come se fosse una ventenne, e con lo stesso gradevole impatto visivo! Evidentemente l’esser più e più volte ricorsa alla chirurgia 54 I tatuaggi erano: una grande farfalla con un disegno floreale sulle natiche, una collana sul suo braccio sinistro con tre ciondoli appesi: un ankh egiziano, una croce ed un cuore con una spada, un kanji che significa "forza" sulla sua spalla destra, un piccolo gruppo di cristalli di Art Déco sulla parte interna del suo braccio destro, il disegno di una orchidea nera sopra la piega della coscia destra ed un crisantemo sulla caviglia sinistra. 55 Burlesque, di Steve Antin, Australia, 2010, 116 min. 154 estetica56 (abbinata a una dura routine giornaliera di esercizio fisico e cibo sano), ha dato i suoi frutti, anche se personalmente credo che più d’ogni altra cosa, a rendere Cher così evergreen anche dal punto di vista estetico, sia il suo incredibile carisma e la passione che mette nel suo lavoro. Ancora una volta Cher con Burlesque si è riconfermata artista poliedrica, subito pronta a sperimentare e promuovere nuove mode. Nell’ultimo anno lo stile burlesque57 ha infatti impazzato e raccolto consensi praticamente ovunque. Questo stile, opportunamente dosato e declinato a seconda della situazione, è stato 56 Già negli anni ‘80 Cher, stanca del suo naso e dei denti storti, si sottopone ad alcuni interventi, presentandosi in una nuova veste. Durante gli anni ‘90 i pettegolezzi sulle sue presunte operazioni diventano sempre più insistenti: i maligni vociferano che Cher si sia rifatta, oltre al seno e il naso, anche l'addome, i glutei, le guance e si sia fatta asportare due costole per rendere sottile il suo girovita. Sempre fedele a se stessa, ma soprattutto sempre sincera e onesta quando si tratta di parlare delle sue scelte, Cher non ha mai negato di essere stata sotto i ferri, ma ha sempre smentito le esagerazioni sul suo conto. 57 Lo stile estetico del Burlesque, riassume in un unico codice visivo una miriade di elementi desunti da altri show e altri campi. Si può provare a immaginarlo come una commistione di stile circense, abbigliamento e trucco vintage reinventato, con abbondante uso di glitter, cristalli, ciglia finte e tinte forti, insieme ad elementi tipici dell’ambito erotico-sensuale: lingerie provocante, accessori come frustini mascherine e corsetti e ancora scarpe fetish e costumi di scena di vario genere, ma sempre declinati in chiave erotica. 155 proposto da numerose riviste di moda come trend del momento. Lo stesso film ha rappresentato per alcune case cosmetiche come la Make Up For Ever e la Smashbox, una ghiotta occasione per realizzare e vendere prodotti cosmetici a tema, potendo godere di testimonial d’eccezione come la coppia di cantanti. Cher, insieme a Madonna, è l’immagine della personalità artistica spiccata, della resistenza rispetto al tempo che scorre impietoso, della determinazione nel perseguire i propri sogni. Con il suo look chiassoso e stravagante è diventata un icona camp58, portabandiera di uno stile frivolo, giocoso e sorprendente imitato ad esempio da tantissime Drag Queen che la prendono come modello di riferimento per i loro outfit e trucchi di scena. Basti pensare alle miriadi di abiti luccicanti che le abbiamo visto indossare ai concerti e agli eventi importanti, ai cambi di acconciatura e colore di capelli (figg. 97-99) (prima nera indefessa, poi rossa, castana e addirittura bionda nel 2000), al cambio di colore degli occhi tramite l’uso di lenti a contatto colorate (considerando il colore degli occhi come fosse un accessorio da cambiare a piacimento). Il suo trucco, assolutamente incostante, è sempre stato soggetto al cambio di look del momento: negli anni ’60 gli occhi erano 58 Il termine camp si riferisce all'uso deliberato, consapevole e sofisticato del kitsch nell'arte, nell'abbigliamento, negli atteggiamenti. 156 contornati da un intenso eyeliner nero e le ciglia ben separate e sottolineate dal mascara; negli anni ’70 e ’80 l’eyeliner non la fa più da padrone, lasciando il posto a polveri e colori a volte tenui a volte un po’ più drammatici, ma nell’insieme il volto è armonioso. E’ negli anni ’90 e 2000 (fig. 100) che la vediamo sbizzarrirsi maggiormente, spaziando da look grafici al burlesque a trucchi dall’effetto naturale con incarnato impeccabile e un perfetto e studiato contouring (fig. 101), a trucchi smokey e sexy incentrati sullo sguardo. Infine Cher è anche una delle più attive icone gay. Anche grazie alla vicenda legata a sua figlia Chastity Bono, ora Chaz Bono dopo il cambio di sesso del 2010, è amata e adorata dal mondo omosessuale, per cui si batte nella lotta contro l’omofobia e per il riconoscimento dei diritti dei gay. Il deejay resident Virus, curatore di un omaggio a Cher al Togay del 2006, spiega che la splendida sessantenne Cher è diventata un’icona gay anche perché, come Mina e Dalida, ha esasperato la sua femminilità, accentuandola fino quasi a sfiorare il ridicolo. 14. Madonna Madonna Louise Veronica Ciccone è il nome per esteso della celeberrima popstar americana ed icona di moda e stile Madonna (fig. 102). Nata a 157 Bay City nel 1958, vanta un incredibile carriera più che ventennale, ricca di successi e scandali, trasformismi e reinvenzioni degni di una celebrità mondiale. Talento e determinazione le hanno fruttato milioni e milioni di fan in tutto il globo che l’adorano, emulano e seguono ad ogni concerto. Concerto che in questo modo finisce per diventare un evento mediatico a livello mondiale, spesso condito da polemiche legate a contenuti sessualmente troppo espliciti o a “trovate” che sfiorano la blasfemia, come fu nel 2006 durante il Confession Tour. In quell’occasione infatti, la cantante aprì il concerto eseguendo la prima canzone “appesa” a una enorme croce di specchietti (in stile palla da discoteca anni ’70) e con tanto di corona di spine in testa. Madonna cominciò a studiare danza e canto fin da piccola, ma fu interrompendo il college e trasferendosi a New York che poté dar inizio alla sua carriera. Dopo un iniziale momento di difficoltà economiche in cui si adatta a fare diversi lavori, è nel 1982 che firma il suo primo contratto discografico con la Sire Records che produce il suo primo vero successo: il brano Holiday. Ma fu il suo secondo album Like A Virgin ad essere fondamentale: poiché è da questo momento che la cantante riscuote un successo planetario e apprende che la chiave per rimanere sulla cresta dell’onda è la ricerca e rinnovamento di sound ed immagine. Infatti, vedremo come già nella prima 158 parte di carriera (dal 1983 – figg. 103-104 – al 1988 – fig. 105 –) Madonna sperimenta vari look, passando dallo stile pseudo punk (fig. 106) a una caricaturata “nuova Marilyn”, a una madonna un po’ androgina e aggressiva man mano sempre più sofisticata. Fino ad arrivare nel 1989 a un look dall’aspetto meno costruito, con capelli castani e make up leggero nell’album Like a Prayer. Album che fu giudicato molto positivamente dalla critica ma che, a causa del videoclip che lo accompagnava, fu bollato come sacrilego dai Vaticano e dai cattolici59. Negli anni 1992 e 1993 assistiamo alla fase più controversa di Madonna, il cui preludio fu il Blond Ambition Tour (di cui è famosissimo il sensuale outfit [fig. 107] creato da Jean Paul Gaultier) (fig. 108). Ma è alla fase per così dire più “acuta” che appartengono il libro fotografico Sex60 e l’album 59 Il background italiano e cattolico di Madonna, ereditato dai suoi parenti, si riflette spesso nella carriera della cantante: nel video di Like a Prayer ad esempio, i riferimenti al cattolicesimo sono numerosi (ad esempio il fenomeno delle stigmate); ancora, nel Virgin Tour indossò un rosario, poi ripreso mentre pregava nel video de La Isla Bonita. 60 Le foto di Sex, opera di Steven Meisel, (MADONNA, STEVEN MEISEL, Sex, Warner Books, Londra 1992.) intendono rappresentare le fantasie sessuali della cantante, molte delle quali di natura sadomaso e omosessuale. Tra le comparse figurano Naomi Campbell, Isabella Rossellini e il rapper Vanilla Ice. Il libro contiene anche testi nello stesso spirito delle immagini e un CD con il brano Erotic, una versione speciale del singolo Erotica. Il libro ha un'enorme 159 Erotica, che suscitarono grande scalpore e fecero scandalo per i contenuti così espliciti da essere al limite con la pornografia e per la totale serenità della cantante nel mostrarsi in questa veste intima, impudica e trasgressiva al contempo. Sull’onda della notorietà, fonda anche la sua etichetta discografica, la Maverick Records, con cui produrrà artisti quali Alanis Morissette, i Prodigy e i Muse. Dopo il 1996, con la nascita della sua primogenita Lourdes Maria, si avverte il primo stacco netto sia dal punto di vista estetico che musicale. Si avverte una diversa influenza nei suoi lavori e nel complesso Madonna appare più matura e meno artefatta. Ne sono testimonianza la partecipazione al film Evita61 (fig. 109), che le farà vincere un Golden Globe come migliore attrice protagonista e l’album Ray Of Light del 1998 (fig. 110). In questo periodo il suo look è più naturale: caratterizzato da lunghi capelli ondulati biondo caldo e da un incarnato più dorato. Le sopracciglia sono molto sfoltite e il trucco è giocato su toni caldi, sfumati e delicatamente femminili. Il suo eco a livello internazionale ed è presto esaurito. Oggi fuori stampa, è diventato un oggetto da collezionisti. 61 E' con questo film che Madonna ottiene la sua consacrazione anche come attrice, in Evita interpretò il ruolo di Eva Perón per la regia di Alan Parker. Madonna ricevette critiche unanimemente molto positive, le migliori dai tempi del film Cercasi Susan disperatamente, altra pellicola di successo, recitata della cantante, uscita nel 1985. 160 settimo album è influenzato da sonorità New Age e maggiormente intimiste; l’ispirazione è tratta dalla spiritualità orientale e da una visione più introspettiva e personale della cantante. Uno dei look più famosi, caratteristici e accattivanti è senza dubbio quello del videoclip della canzone Frozen, nel quale Madonna appare come una sorta di entità mistica un po’ tetra, un po’ magica, ma sempre con quel tocco di impeccabile glamour da star. Da quel momento, non fu più una novità portare sulle mani i classici tatuaggi all’hennè delle spose indiane, ma una delle mode lanciate da lady Ciccone. Altro look degno di nota, sempre estrapolato da quest’album, è quello in cui veste i panni di una pseudo-geisha moderna (figg. 111-112), indossando kimono a tinta unita reinventati con dettagli in latex: i colori predominanti, nero rosso e bianco, sono sempre ispirati al repertorio orientale ma reinventati anche nel trucco in modo avanguardista e ricercato. Nel 2000 nasce il suo secondogenito Rocco, dalla relazione con il regista Guy Ritchie (il loro matrimonio durerà fino al 2008), e si apre una nuova fase nella carriera di Madonna. Dello stesso anno è l’album Music, dove abbandonata la veste spirituale di Ray Of Light, la cantante si propone in una versione dance-pop-country. Ed è proprio sulla scia delle sonorità dance che si snodano gli ultimi lavori di Madonna, in particolare in Confession on a Dance Floor del 2005 ed Hard Candy del 2008 161 (figg. 113-114). Al ritorno all’elettronica dal punto di vista sonoro, a livello estetico è ovviamente corrisposta una nuova e calzante immagine; lo stile di Confession on a dance floor, come suggerisce il titolo stesso, è un mix di disco anni ’70 (che richiama atmosfere alla Saturday night fever62) e stile urbano newyorkese, il tutto sempre accompagnato dalla sensualità patinata di cui è pregna la carriera e il personaggio di Madonna. Ripercorrendo seppur in modo rapido la vita e la carriera di lady Ciccone, si evince come si tratti di una persona in un certo senso speciale. E’ la regina incontrastata del pop, ma anche attrice, ballerina, scrittrice63, regista, stilista, produttrice discografica e cinematografica: e tutto ciò per 28 anni consecutivi! E’ sempre riuscita a non seguire le mode come fanno tutti, ma a lanciare lei dei nuovi trend64 (sempre ben accolti) diventando lei stessa 62 Saturday Night Fever, di John Badham, Stati Uniti, 1977, 114 min. Celeberrimo film cult interpretato da John Travolta e con una colonna sonora d’eccezione, interamente realizzata dai Bee Gees. 63 Nel 2003, e in seguito anche nel 2007, ha scritto vari libri per bambini: in essi Madonna affronta temi come la gelosia, l’invidia, il superamento degli ostacoli, l’imparare a non giudicare gli altri e la forza delle parole. Il più famoso è Le Rose Inglesi, edito in Italia dalla DeAgostini, che è stato tradotto in ben 40 lingue. 64 Nel videoclip (in bianco e nero) della canzone Vogue del 1990, Madonna si esibisce nel vogueing, un ballo allora molto diffuso nei locali gay degli Stati Uniti, che imita le pose plastiche delle modelle e dei modelli che apparivano sul 162 “la moda” del momento. Basti pensare alle sopracciglia incolte degli anni ’80 e al suo trucco un po’ selvaggio subito imitato e ancora oggi ripreso e rivisitato, agli scaldamuscoli colorati nel 2005, alle ciglia finte in pelliccia di visone e diamanti create apposta per lei da Shu Uemura (v. infra, cap III, § 6, di cui adesso troviamo la versione cheap in ogni profumeria), o ancora alla moda dello Yoga, della Kabbalah, l’avvicinarsi alle discipline orientali e il mostrare con orgoglio che i suoi 50 anni tornano ad essere 30. Madonna è indiscutibilmente la regina della reinvenzione, una maestra quando si tratta di fiutare gli affari; del resto sono ben note la sua ambizione e determinazione. Madonna ci ha inoltre insegnato che la bellezza dello stile è il fatto che esso possa essere cambiato di continuo e all’infinito. Un paio di scarpe, un nuovo taglio di capelli, un certo tipo di make up, anche se all’apparenza possono sembrare cose insignificanti, regalano attimi di protagonismo impagabile, vestendoci di una nuova personalità. Ma Madonna, grazie anche alla fama ed alla risonanza mediatica di cui solo un mito può godere, ha avuto l’onore e la possibilità di circondarsi di persone estremamente dotate e noto magazine americano. Madonna porta in auge questo ballo che diventa un vero e proprio fenomeno di costume, ciò contribuì alla progressiva affermazione di Madonna come icona gay. 163 capaci nel loro campo: stilisti di fama mondiale (Jean Paul Gaultier ma anche Dolce & Gabbana per citarne un paio), i migliori ballerini e coreografi sulla scena, e anche makeup artists e consulenti d’immagine, che l’hanno aiutarla e coadiuvarla nel fare di ogni lavoro, sia esso album, tour o photoshoot un gran successo planetario. Gina Brooke (fig. 115) è la personal image maker che ha curato il look di Madonna a partire dal 2003. La loro collaborazione ha compreso la direzione artistica dell’immagine beauty degli ultimi quattro tour mondiali della cantante e numerosi videoclip, ma Gina è anche il direttore artistico di un’importantissima casa cosmetica, la Shu Uemura. In qualunque intervista rilasci, le si chiede come sia lavorare con e per Madonna e, un po’ malignamente, in rapporto all’età anagrafica della cantante, se ci sia sempre un gran lavoro di “ristrutturazione” da fare, per farla apparire così splendida e fresca… Ebbene, non è così. Secondo Gina, Madonna è molto bella anche struccata. A provarlo è la quantità minima di trucco che usa applicarle (anche perché con una dose eccessiva si rischia di ottenere un effetto invecchiante). Il trucco di Madonna, se non altro da quando è la Brooke ad occuparsene, è incentrato su alcuni punti fondamentali: incarnato perfetto, labbra con colori neutri, sopracciglia molto evidenziate ed occhi definiti. Il trucco è sempre molto classico e leggero, anche sul red carpet, dove l’unico tocco 164 in più sono le labbra rosso rubino (secondo Gina Brooke il rossetto rosso è il “re” dei cosmetici). Tuttavia, uno dei trattamenti chiave che rendono la pelle di Madonna così incredibilmente giovane, oltre ad una magistrale applicazione del trucco e ad una dieta mirata e sana, è l’Intraceuticals Oxygen Infusion, una sorta di “bombardamento” della pelle con ossigeno iperbarico naturale che rinnova le cellule della pelle ringiovanendole. Per concludere questo excursus sul mito del trasformismo, citiamo il critico rock Piero Scaruffi, che ha sintetizzato in maniera assolutamente puntuale il fenomeno Madonna: «E' una delle ultime grandi performer in cui arte e vita si fondono e confondono. Il piglio sarcastico e nichilista del suo rhythm and blues, benché sposato ad arrangiamenti tecnologici e produzioni miliardarie, riflette l'atteggiamento casual e amorale di tanta gioventù bruciata dei ghetti intellettuali, facile tanto alla vita di strada quanto al glamour del successo. La sua è una personalità drammatica, che è cinica e distaccata secondo i nuovi costumi giovanili, forte di un retroterra di promiscuità sessuale e di precoce indipendenza. Nato all'incrocio fra civiltà punk e civiltà disco, e testimone della rivoluzione del costume degli adolescenti, il mito di Madonna non è che un aggiornamento della figura dell'eroina romantica e fatalista». 165 15.Anna Oxa Anna Oxa (fig. 116) è il nome d’arte di Lliriana Hoxha; una delle più famose cantanti del panorama musicale italiano. Nata a Bari nel 1961 ma di origini albanesi, debuttò nel 1978 (figg. 117118) con l’album Oxanna e con un look pseudopunk65, svelando immediatamente la sua estrosità sia dal punto di vista estetico che canoro. Ad oggi vanta una carriera musicale lunga e piena di successi, nonché ben 14 Festival di Sanremo, dei quali due vinti. Nel corso di questi anni si è anche reinventata proponendosi come conduttrice televisiva in quattro programmi della rete nazionale, e ha perfino presentato un Festival di Sanremo. E’ stata ed è tuttora una grande artista e una donna profonda, complessa, eclettica e colta. Con le sue particolarità e la sua poesia ha fatto storia e rappresenta insieme a tanti altri artisti un motivo di orgoglio da parte degli italiani. Alcuni 65 Al Festival di San Remo di quell’anno, Anna si presenta in una tenuta pseudo-punk (forse più per l’atteggiamento che per lo stile): abbigliamento maschile con tanto di cravatta, labbra color viola scuro, ombretto steso in modo quasi teatrale fino all’attaccatura dei capelli, taglio di capelli maschile, atteggiamento aggressivo e una valigetta misteriosa. In realtà quel personaggio presente sul palco ha poco a che fare con la vera Anna Oxa, ma era necessario un espediente per colpire al primo impatto, e l'amico Ivan Cattaneo, cantautore, artista e creatore d’immagine, le consigliò di porgersi in quel modo. 166 dei look più famosi e riusciti di questa camaleontica artista sono stati ideati da Stefano Anselmo fino al 2001, quando il testimone è passato alla makeup artist Elisa Calcinari66 (fig. 119). Stefano Anselmo, sul finire degli anni ‘80 rivisitò per la cantante il tipico look anni Settanta: con palpebra chiara, ampia mezzaluna marrone e sopracciglia rasate. Nel 1990 avvenne un cambio di look radicale che vede protagonisti in modo primario capelli e sopracciglia, che tornano molto scuri ed in primo piano. Dopo una breve escursione stilistica nello stile anni Quaranta (fig. 120), Anna Oxa è tornata, ma in modo più naturale, al capello biondo delle origini. Per tutti 66 La sua formazione ha inizio presso la scuola europea di estetica BCM di Milano nel 1984, come allieva di Stefano Anselmo; in seguito si trasferì a Roma per intraprendere la carriera di effettista speciale per il cinema presso Rino Carboni (effettista speciale a sua volta e già uno dei truccatore dello staff di Fellini). Tornata a Milano, fondò il laboratorio Studio Artefare. Ed in seguito ha vinto la gara d’appalto per la gestione del reparto trucco & parruccheria del Teatro Filarmonico e Arena di Verona, mantenuto fino al 2002. Ha lavorato con registi del calibro di Wim Wenders, Franco Zeffirelli, Luca Ronconi, Dario Argento, Bob Willson e con artisti come Gianna Nannini, Placido Domingo, Renato Zero, Sabina Guzzanti, Angela Finocchiaro ecc. Dopo aver insegnato e curato la direzione didattica delle più grandi scuole di trucco in Italia ha fondato la Art on Stage dove insegna in prima persona. 167 gli anni Novanta ci ha continuamente stupito con i suoi cambi d’immagine: una volta in veste punk, poi donna raffinata, rock (figg. 121-122), etnica, ma sempre dallo spunto originale e magnetico, mantenendo comunque alcuni denominatori comuni: incarnato latteo, ombreggiature marcate sul naso e sulle palpebre fisse, correzione degli occhi per natura troppo distanti tramite un opportuno contouring, zigomi scavati. Da bionda a mora, con i capelli lunghi o a spazzola (fig. 123), con le extension bicolore e una pelle lucida effetto extraterrestre, la Oxa rimane al primo posto della classifica delle artiste Italiane più innovative di questo secolo: una donna che ci svela, all'interno di un excursus non solo musicale, la sua evoluzione artistica e personale. Nella sua più recente apparizione al Festival di Sanremo il suo stile era completamente mutato per l’ennesima volta (figg. 124-127): capelli corvini lunghi e scompigliati come da una folata di vento, sopracciglia sottilissime e scure (una sorta di rilettura moderna dell’arcata di Marlene Dietrich), trucco degli occhi grafico sui toni del bianco e del nero, oppure interamente giocato sulle sfumature del blu, suo colore di tendenza dell’anno, ed infine le labbra, totalmente nude da sembrare assenti. Riportiamo di seguito ciò che ha scritto sul beauty blog artonstage.it la stessa Elisa Calcinari a proposito della sua ultima creazione sanremese: 168 «Il make-up ideato appositamente per Sanremo è stato eseguito ad aerografo con prodotti al silicone. Il fondotinta di base steso a spruzzo risulta molto più uniforme di qualsiasi altro metodo applicativo (spugna o pennello). Sempre con l’aerografo ho sbiancato tutta la palpebra superiore e quella inferiore per evidenziare e “pulire” tutta la zona orbicolare in modo da far risaltare i colori del make-up. La mia idea è stata quella di uscire dagli schemi classici che vedono il trucco posizionato perlopiù sulla palpebra superiore e spostarlo totalmente su quella inferiore, perché in questo mondo […], vi è un forte bisogno di cambiamento e di sapersi distinguere attraverso il proprio aspetto ma anche attraverso il proprio pensiero per non essere preda dell’omologazione. Quindi ho bordato l’occhio con una matita viola scuro sia sulla palpebra superiore che inferiore e, su quest’ultima, ho creato una sfumatura blu/turchese molto ampia fino quasi a superare l’occhiaia. Questo tipo di trucco ha provocato un effetto a specchio come se lo sguardo dell’occhio avesse il potere di generare un riflesso verso il basso. Sopracciglia sottili truccate di viola scuro con sfumatura turchese alla base inferiore. Palpebra superiore bianca senza ombreggiature. Ciglia finte blu con sfumature nere. Bocca naturale per non distogliere il punto di focus dagli occhi della cantante che sono il punto di forza e l’elemento maggiormente comunicativo di Anna.» Siamo dunque di fronte ad un’estetica da trasformista, al pari di icone internazionali quali Madonna67. Anna Oxa è stata molte donne e 67 Se Madonna, come abbiamo visto, ha lanciato numerose mode e trend, Anna Oxa non è stata da meno. Si pensi, nel 1999, allo scandaloso outfit con cui si è presentata a Sanremo 169 “molte sopracciglia”. Per ognuna ha definito nuove sfumature, nuovi occhi, nuovi primi piani fotografici, nuove interpretazioni (fig. 128-129). In un intervista, a proposito del suo essere così camaleontica e imprevedibile disse: « Sono sempre in cammino, cerco uno spazio creativo in un mondo in cui tutto è fermo[...]»68 Quale modo migliore può descrivere ed esemplificare l’essenza di questa artista? Quell’essenza che l’ha resa riconoscibile e speciale fra tante altre cantanti con il suo stesso talento (edizione vinta per altro, con il brano Senza pietà) con il tanga che fuoriusciva dai pantaloni a vita bassa, moda poi imitata da tantissime teen-ager (e anche meno giovani) e riproposta in seguito anche dalla stessa Madonna in un famoso video. In quell’occasione, a proposito di look, trucco e mode, sono state mosse alla cantante critiche anche piuttosto pesanti secondo cui la vittoria era dipesa più dall’impatto visivo (un look aggressivo e quasi tribale, completato da un’acconciatura di extension striate, bionde e nere e la pelle del corpo e del viso lucida, come se fosse cosparsa d’olio) che dal brano in sé. Addirittura, Ornella Vanoni le criticò il look dicendo che a suo modo di vedere era forzato, poco credibile e aggressivo, Anna Oxa per tutta risposta dichiarò: «Non sono una diva capricciosa, sono una professionista che va in cerca della qualità […]. Perché Madonna può cambiare immagine una volta al mese e io no?». V. «Corriere della Sera», lunedì 1 marzo, 1999. 68 http://www.sorrisi.com/2010/09/28/lorella-cuccariniintervista-anna-oxa-per-sorrisi/ 170 vocale, e che le ha riservato un posto in questa personale rassegna di icone di stile e di bellezza del secolo scorso. 16.Kate Moss Katherine Ann Moss, detta Kate, nata a Londra il 16 gennaio 1974, è una supermodella, stilista, ed icona di moda (è stata addirittura inserita dal Consiglio degli stilisti d'America nella lista delle donne meglio vestite al mondo – fig. 130 –). Kate aveva sviluppato fin da bambina una smodata passione per gli abiti, ma attenzione: abiti, non moda, perché lei non ha mai voluto seguire i diktat degli stilisti, e se è diventata un’icona indiscussa è proprio per la sua raffinata creatività che ha dato luogo ad una nuova formula: lo "stile Kate" (fig. 131) appunto. Si pensi che già appena adolescente, aveva le idee ben chiare in fatto di look: abiti da uomo, maxi pull, jeans skinny e le sue inseparabili sneakers Adidas. La sua carriera da top model è cominciata nel 1990 quasi per caso, quando fu scoperta da Sarah Doukas, fondatrice dell'agenzia di moda Storm, presso l’aeroporto JFK di New York. Ma il suo debutto come modella non è stato esaltante. Piccola di statura (172 cm) e mingherlina rispetto alle top model procaci dell'epoca, capisce che per essere notata come vorrebbe deve essere autentica: 171 mascolina, timida e arruffata. Evidentemente ebbe ragione: lo stilista John Galliano la scelse per le sue sfilate insieme a Naomi Campbell, Linda Evangelista e Christy Turlington69. Da allora è apparsa in moltissime campagne fino a diventare la musa e il simbolo di Calvin Klein ed il suo viso è rimasto legato, nell’immaginario collettivo, ai profumi Obsession (fig. 132) e One. Con il suo aspetto un po’ pallido ed emaciato, incarnava alla perfezione lo stile Heroin Chic70 che, in totale contrapposizione all’aspetto sano e salutare delle top model di quel momento, rappresentava un nuovo trend approvato anche dal 69 Gli anni ‘90 sono stati l'era delle supermodelle e il mondo dei media era dominato da questa ristretta cerchia di donne perfette. The Big Six era il modo per definire il gruppo delle sei supermodelle, che spiccavano in bellezza e carattere più delle altre, ed erano anche e di conseguenza, maggiormente richieste. Esse: Claudia Schiffer, Cindy Crawford, Kate Moss, Linda Evangelista, Naomi Campbell e Christy Turlington. 70 Nell’ultimo decennio del XX secolo il “look del dipendente da eroina” in inglese, il trend Heroin Chic – le cui peculiarità sono espressione assente, colorito pallido, profonde occhiaie, guance incavate, magrezza eccessiva, e capelli scomposti – è stato promosso nelle riviste famose e nei circoli della moda come fenomeno di tendenza. Alcuni stilisti di moda, fotografi e personaggi degli anni ’90, hanno influenzato un’intera generazione di giovani descrivendo l’uso di eroina nei giornali, nei film (si pensi alla pellicola Trainspotting del 1996, diretta da Danny Boyle) e nei video di musica come una cosa alla moda e addirittura desiderabile. 172 contesto sociale che vede spopolare lo stile musicale Grunge ed alternativo. Nella sua carriera la Moss ha sfilato praticamente con tutti i più grandi marchi della moda ed è stata immortalata da molti fotografi famosi, fra cui Steven Meisel (lo stesso della raccolta Sex di Madonna) e Richard Avedon71 per Versace. Non si contano inoltre le copertine di celebri testate giornalistiche di moda in cui compare: «W», «Harper's Bazaar», «Vogue» (fig. 133), «Allure», «Elle», «Vanity Fair». Nel 1995 il suo circolo di amicizie va dalla stilista Stella McCartney al cantante Noel Gallagher, Jade Jagger, Marianne Faithfull, fino all'artista Lucien Freud. La Moss diviene il simbolo della nuova Swinging London, una sorta di seconda Twiggy ma in chiave moderna e un po’ dissoluta. Nel 2000 decide di lasciare il mondo delle passerelle: ma il suo volto e la sua immagine continuano a essere sempre presenti, essendo anche testimonial della famosissima casa cosmetica Rimmel. Dopo cinque anni, dalle passerelle passa a calcare i palchi dei concerti rock a Glastonbury, e Kate presto detta tendenza anche 71 Richard Avedon (nato a New York il 15 maggio del 1923 – morto a San Antonio l’1 ottobre del 2004) è stato un celeberrimo fotografo e ritrattista statunitense. Ha lavorato in vari campi, dal reportage alla moda, ma rimarrà noto per i suoi innumerevoli ritratti in bianco e nero, fra cui ricordiamo quelli di Marilyn Monroe, Brigitte Bardot e Sophia Loren. 173 lì. I micro shorts, le cinture borchiate e gli immancabili stivali Hunter sono la sua mise cult. E' in questo ambiente alternativo e decadente che entra in contatto con il cantante Pete Doherty, che con la sua cattiva influenza da elemento dannato e “tossico”, presto ha trascinato Kate in un vortice di infelicità. Infatti, i guai ben presto bussano alla porta della super model, che si vedrà coinvolta in un grosso scandalo riguardante l’uso (ed abuso) di droghe e una condotta sregolata fatta di eccessi di ogni tipo. Fu una gran caduta di stile per un’icona come lei e ciò le causò non pochi danni, anche economici, visto che molti partner commerciali decisero di interrompere le collaborazioni con lei. Il periodo buio purtroppo non finirà presto, l'influenza di Pete continuerà a farsi sentire fino al 2007 quando finalmente Kate decide di lasciarlo. Sfrenata, irrequieta e tragica Kate. Ma anche dolce, romantica e giocosamente irriverente. Una e mille donne, capace di rinascere dalle sue ceneri e uscirne più forte e stylish che mai. L’allontanamento da Pete le frutta, in quello stesso anno, il contratto in esclusiva con il marchio d’abbigliamento Top Shop72 per disegnare la sua personale linea d’abbigliamento. Un’occasione 72 Topshop è un rivenditore britannico di abbigliamento con negozi in oltre 20 paesi. La catena è stata fondata nel 1964 come Peter Robinson’s Top Shop, un marchio di moda giovanile, ma il primo negozio indipendente è stato aperto nel 1974. 174 d’oro per una fashion victim come lei. Dopo essersi lasciata alle spalle la disintossicazione e la travagliata storia con Doherty, inizia quindi una nuova storia d'amore con Jamie Hince, chitarrista del gruppo The Kills, con il quale si è sposata nel luglio 2011 (indossando una creazione di Galliano). Ed è proprio uno scatto del giorno del suo matrimonio che rappresenta ora al meglio la Kate adulta: sorridente e spensierata, in un raffinato abito di foggia retrò, finalmente felice. Gli occhi sensuali, fumosi e bistrati di nero (fig. 134), tipici del periodo d’oro (come si è visto, più o meno aureo in verità) di Kate sono parte del suo look maggiormente rappresentativo. Ha rivelato in un’intervista che è stata la madre del suo primo fidanzato a dirle come ottenere il look smokey: «Ero solita guardarla: tendeva la palpebra, applicava l'eyeliner e poi lo strofinava, applicava e strofinava! Dopo, sistemava la piega dell'occhio». Una matita nera o l'eyeliner e un ombretto nero in crema, sono i prodotti principali per ottenere questo look da sexy rockettara. Le ciglia, dopo essere state curvate con il piegaciglia (lei in particolare adora quello di Shu Uemura, che si adatta bene alla sua particolare forma d’occhi), devono essere lunghe e ben separate, per dare il femminile e civettuolo effetto di "occhio ammiccante" ad ogni battito di ciglia. Gli occhi, così scuri e drammatici, si devono inoltre stagliare su un incarnato chiaro e privo di imperfezioni. Le 175 labbra sono appena macchiate di rossetto (ad imitare l’effetto tintorio, del succo delle ciliegie) o rosso fuoco, corpose e compatte. Kate Moss è uno di quei volti che non ci si stanca mai di vedere; che stia posando imbronciata o in modo ammiccante, il suo sguardo è sempre profondamente intrigante. Riassumere un aspetto "tipico" di Kate, smokey eyes a parte, è impossibile (figg. 135-137): i suoi capelli, lo stesso trucco e i vestiti soprattutto, sono in continuo mutamento ed è per questo che non si può non desiderare di prendere spunto dal suo stile personale, ricco di pezzi vintage e raffinati tuffi modaioli nel passato (altro “amore” di Kate è il trucco delle stelline anni ’40 – fig. 138). Ma l’ultima Kate Moss, sposina e riabilitata, appare, quantomeno nell’aspetto complessivo, illuminata da un’aria romantica, con una capigliatura sempre bionda ma più rassicurante, con morbide onde definite e con un trucco naturale e delicato. Non c’è alcun dubbio: in qualunque versione la si veda, Kate Moss sarà per sempre un'autentica icona di bellezza ed in quanto tale è giusto che anche il mondo dell’arte le renda omaggio: Marc Quinn, importante artista del panorama contemporaneo ed esponente del gruppo artistico Britartists, nel 2008 ha realizzato una statua a sua immagine e somiglianza, a grandezza naturale e in oro massiccio. L’opera si chiama Siren73 (fig. 139) ed 73 La statua, ritrae Kate in una posa yoga. Per la sua particolarità, Siren Microcosmo (questo il titolo della 176 è stata presentata ad una mostra del British Museum. 17.Lady Gaga Lady Gaga (fig. 140), nome d'arte di Stefani Joanne Angelina Germanotta, è una cantautrice statunitense di origine italiana (il padre è palermitano, la madre di Venezia). Nata a New York nel 1986, già in tenera età mostrò di possedere uno spiccato senso artistico. Iniziò a studiare pianoforte all'età di quattro anni e compose la sua prima ballata per pianoforte a tredici. A diciassette anni è stata una delle venti persone al mondo a ottenere l'ammissione anticipata alla Tisch School of the Arts presso la New York University, dove studiò musica. Un vero prodigio. Per affinare la sua capacità di scrittura, cominciò a scrivere dei saggi a tema religioso e questo, come si evince vedendo alcuni dei suoi videoclip74, ha certamente avuto il suo peso, scultura) è stata esposta finora al British Museum della capitale inglese prima di essere messa in vendita dalla nota casa d’asta Sotheby’s. Il soggetto già di per sé è in grado di far girare la testa, ma si tratta anche dell’effige in oro più grande realizzata fin dai tempi dei faraoni, con i suoi dieci chili di peso totali. Siren Microcosmo rappresenta infatti, per l’artista, la bellezza ideale del momento. 74 Il videoclip della canzone Alejandro, tratta dal suo secondo album, ha fatto scalpore in diversi Paesi per l'abuso di 177 insieme all’educazione d’impronta cattolica, sulla formazione della cantautrice. Lasciata la casa dei genitori alla ricerca della propria indipendenza, iniziò ad esibirsi nei club con gruppi musicali e alle serate open mic (che sta per “open microphone”, ovvero serate in cui giovani e meno giovani artisti sconosciuti si esibiscono cantando o suonando a titolo gratuito, in locali preposti, per cominciare a esibirsi di fronte un “vero” pubblico), ma per mantenersi ha lavorato anche come cameriera e spogliarellista. Il padre rimase sconvolto quando scoprì che la figlia era comparsa seminuda in un locale burlesque, esibendosi al fianco di drag queen e spogliarellisti. Il suo stile musicale è influenzato dalla musica pop degli anni ottanta di artisti quali Madonna e Michael Jackson, e da sonorità (ed estetica) glam rock di artisti come David Bowie, Grace Jones e i Queen (dei quali è una grande fan, soprattutto del frontman Freddie Mercury). Il suo stesso nome è ispirato ad una celeberrima canzone di quest'ultimi: Lady Gaga appunto, come Radio Ga Ga. riferimenti religiosi e per i suoi contenuti definiti “sacrileghi”. In particolare, alcune scene ritraggono la cantante vestita da suora (ma la tonaca è in latex rosso), nell'atto di ingoiare la collana del rosario o mentre, travestita da vescovo, fustiga tre docili ballerini con acconciatura monacale. 178 Nel 2008, dopo aver firmato un contratto con la Interscope Records, ha debuttato con l'album The Fame, anticipato dal singolo Just Dance (fig. 141), che riscosse subito un gran successo. Contemporaneamente, l’artista sente l’esigenza di formare un team di collaboratori denominato la Haus of Gaga75, che produca abiti, accessori e idee da accompagnare alle incredibili e selvagge performance della cantante, che tuttavia andando avanti nel tempo, di album in album, mostra di avere sempre maggiore ricercatezza nel sound, nei costumi e nei look. Del 2009 è The Fame Monster: la ristampa dell’album di debutto con l’aggiunta otto brani inediti. Mentre nel 2011 esce il terzo album Born This Way. Con quest’ultimo Lady Gaga vive un’altra annata d’oro: si pensi che, complessivamente, nella sua intera carriera ha 75 Il collettivo Haus of Gaga sarà ideatore di performance multimediali, concentrandosi oltre che sulla musica, sulla moda e la tecnologia, progettando abiti ma anche scenografie e oggetti di scena sull’impronta di una mostra/museo itinerante. Il nome stesso del team, si riferisce più o meno velatamente al collettivo artistico tedesco della Bauhaus e all’uso di denominare house quindi case, le grandi maison di moda. Dunque già nel nome, vi è una commistione tra musica, arte e moda che sono poi gli aggettivi più consoni a descrivere l’essenza dello stile della cantautrice. Creativi e fashion editor facenti parte della Haus sono Nicola Formichetti e Brandon Maxwell, rispettivamente direttore artistico/stilista ed assistente; Tara Savelo, Makeup artist; Frederic Aspiras, Hair stylist; Josh Thomas, creativo; Perry Meek, designer. 179 vinto 123 premi76 ed ha avuto più di 255 nomination. Insieme all’ormai assodato talento come cantautrice (ha scritto anche per altri artisti quali Britney Spears o Beyonce), un altro elemento caratterizzante di Lady Gaga è il suo grande amore per la moda77. Nei suoi videoclip come nella vita quotidiana, la cantante ha spesso sfoggiato creazioni d’alta moda di stilisti quali Alexander McQueen (come non ricordare le sue incredibili “Armadillo Shoes”) o di Jean-Charles de Castelbajac che ha creato, per esempio, la pelliccia di “Kermit la rana” indossata dalla cantante durante un’intervista per un’emittente tedesca, e anche due mise (di cui una fatta apposta per Lady Gaga) per il videoclip Telephone. Nicola Formichetti, membro della Haus of Gaga e direttore artistico della maison Thierry Mugler, è la mente creatrice della maggior parte delle mise stravaganti della cantante. Uno fra tanti, l’abito interamente realizzato con fette di vera carne bovina, outfit (fig. 142) che ha destato non poco scalpore per la sua spiccata provocatorietà. Ovviamente, a questo genere di abiti sfrontati non si possono che accostare ancor più sfrontati make 76 I premi più importanti che ha ricevuto sono: 5 Grammy Award, 13 MTV Video Music Awards ed 8 MTV Europe Music Awards. 77 Nel 2011, Lady Gaga è stata premiata dal Council of Fashion Designers of America col premio Fashion Icon. 180 up. La cantante, infatti, vanta numerose collaborazioni con importanti make up artist come Billy B. (che ha ideato anche il look del video Bad Romance), Linda Cantello (che ha curato la sua immagine per un servizio fotografico di Mario Testino, in cui la cantante appare senza veli), Tara Savelo, Val Garland. Questi, grazie all’apertura mentale e alla sua predisposizione alle stranezze, hanno potuto sfoggiare la loro creatività dando vita a look davvero avanguardisti ed affascinanti (inevitabilmente soggetti ad incomprensioni). La loro costante sperimentazione ha prodotto veri e propri capolavori dell’arte cosmetica, come ad esempio alcuni look dei videoclip dell’ultimo album della cantante, o look con i quali è apparsa a vari eventi78. Particolarmente interessanti sono i make up dei video Born this way, realizzati da Val 78 Uno fra questi è il look “perlaceo” ideato per lei da Terence Koh, artista contemporaneo cinese, in occasione della una performance che hanno recitato insieme (il cui titolo è 88 pearls) ed in seguito riproposto durante la serata dell’amfAR a New York per il galà di raccolta fondi per l’AIDS. Il look prevedeva l’intera superficie corporea, candida come la neve e abbondantemente cosparsa di cipria per sembrare quasi “polverosa”. Il trucco occhi è scuro, grafico e giocato soprattutto sulle ciglia definite e voluminose. Le labbra sono fucsia acceso, il rossetto usato è Viva Glam Gaga della MAC, linea di rossetti di cui la cantante è testimonial insieme alla cantante Cindy Lauper. Ma il tocco in più è decisamente dato dall’applicazione di molteplici piccole perle in alcune zone del corpo e del viso. Come fossero delle barocche incrostazioni madreperlacee. 181 Garland. Ivi la cantante non si accontenta del trucco “canonico” fatto di polveri e creme, mascara e rossetti, ma va oltre, si spinge fino alla trasformazione del corpo attraverso protesi in lattice (fig. 143) ed effetti “speciali” il cui scopo è la accentuazione innaturale delle ossa del volto (zigomi e tempie) e delle spalle (che terminano grottescamente a punta). Trovo assolutamente innovativa e degna di nota questa diversa applicazione di tecniche cosmetiche già in uso da tempo (in ambito cinematografico e teatrale fino ad ora) ma con uno scopo differente. Già con Bad Romance nel 2009 si era percepita questa volontà di modifica del proprio corpo, oltrepassando le barriere del trucco. In quel caso le parti interessate erano gli occhi, innaturalmente enormi (in quel caso il trucco è stato potenziato da un successivo ritocco digitale) e le ossa della colonna vertebrale esageratamente pronunciate grazie a protesi in lattice. Un altro esempio è il trucco del video You and I, dove Gaga compare nel suo alter ego maschile (ribattezzato Joe Calderone), nei panni di sirena (con tanto di branchie su viso collo e spalle), in versione sposa e in un’inedita variante acqua e sapone. L’innovazione di Lady Gaga, e forse la sua arma vincente, sta nella precisa volontà di fondere insieme diversi campi artistici, facendo si che questi si contaminino vicendevolmente dando vita 182 a qualcosa di innovativo. Una performance che non è solo moda o solo trucco o soltanto musica, ma tutto questo ed anche più: arte, design, sperimentazione, cultura a 360 gradi. Tuttavia, Lady Gaga ha anche numerosi detrattori che la tacciano di essere priva di talento e di inventiva e di aver soltanto copiato look, stili di coreografie, tipologie di provocazione e anche melodie da altre cantanti, una su tutte: Madonna. Addirittura c’è chi ha realizzato dei video79, poi pubblicati in rete, montando spezzoni di video e performance dell’una e dell’altra artista e comparandole. Effettivamente, pur non trattandosi di una prova, la cosa fa storcere il naso. Personalmente non credo che ad oggi si possa pensare di realizzare qualcosa di assolutamente e nettamente innovativo. Qualcosa che non sia mai e dico mai già stato fatto in precedenza seppur in forma embrionale. Credo che, anche a causa della globalizzazione, il rischio di essere giudicati come un ruba-idee sia perennemente in agguato, e che, anziché soffermarsi all’apparenza, bisognerebbe studiare i casi in maniera più approfondita ed obiettiva. Lady Gaga, è un personaggio multi sfaccettato (fig. 144147). Al suo “interno” albergano molteplici figure, forse anche antitetiche tra loro, ed è chiaro che con una tale varietà possa esserci la possibilità di 79 www.youtube.com/watch?v=VNlx2MCijMM&NR=1&feature=fv wp. 183 trovare delle citazioni di altrui lavori: lei è a suo modo innovativa perché ha condensato tutto questo convogliandolo in una unica direzione e sempre con una sua personale rilettura. «Live your eyeliner, breathe your lipstick, and kill for each other.»80 Con questo non si vuol fare un’arringa in sua difesa, ma dissociarsi dalla convinzione secondo cui, ancora nel XXI secolo, possa valere un arcaico e obsoleto concetto di innovazione od originalità. Lady Gaga a mio avviso (e non solo) è una brava cantautrice, performer e grande intenditrice di moda; si diverte a suscitare polemiche come Madonna si, ma anche come fecero tanti altri personaggi ancor prima di Madonna stessa. E comunque, se non altro, è indubbiamente una delle artiste più creative in fatto di make up, ed è per tal motivo che chiude la mia personale rassegna di icone del ‘900. Del resto, non si vede tutti i giorni una donna con gli occhi in stile fumetto manga, o con l’intimo indossato sopra i vestiti o interamente ricoperta di pizzo rosso (viso compreso). 80 Scritto dalla cantante sul proprio account Twitter. Tradotto: «Vivi il tuo eyeliner, respira il tuo rossetto ed uccidi per entrambi.» 184 185 186 Capitolo III. Case cosmetiche e make up artists: una rassegna 1. Max Factor Maksymilian Faktorowicz (1872-1938), meglio conosciuto come Max Factor (fig. 1), fu uno dei più grandi truccatori e parrucchieri del XX secolo. Entrò in contatto con il mondo beauty fin dall’adolescenza: dapprima lavorò in un laboratorio di parrucche e successivamente presso l’Opera Imperiale russa, dove si rivelò il suo talento nell’eseguire magistrali truccature (in quel caso teatrali). Per un periodo fu perfino il parrucchiere e truccatore personale dello zar Nicola II; tuttavia dopo dieci anni a corte, anelò la libertà da quello che si era rivelato un privilegio eccessivamente oneroso, e così nel 1904 con un escamotage fuggì negli Stati Uniti d’America dove aprì una bottega di profumi, belletti e parrucche. Dopo solo cinque anni però, incuriosito dalla novità del cinematografo, si trasferì a Hollywood e nel 1909 fondò la Max Factor&co. Da allora il make up e le sue regole mutarono irreversibilmente: l’esperienza e le abilità professionali di Factor lo portarono ad avere una geniale intuizione: concepire dei cosmetici studiati appositamente per le esigenze cinematografiche e 187 affinarli per raggiungere standard qualitativi sempre più alti. Il primo ad essere oggetto di rivoluzione fu il cerone teatrale. Questo non si prestava per il cinematografo e dunque la sua formulazione e composizione fui revisionata dando luce ad un nuovo cerone in crema (usato con successo per la prima volta nel 1914); in seguito, alla linea Panchromatic (sviluppata nel 1928) che permise per la prima volta di sfruttare appieno i vantaggi cromatici della nuova pellicola, maggiormente sensibile rispetto alla tipologia precedente. Apportò novità anche per ciò che concerne l’acconciatura dei capelli; fu lui, infatti, ad insistere per sostituire le vecchie parrucche di lana e fibre vegetali con delle nuove finemente realizzate in capelli umani, mettendo a punto inoltre, un sistema di noleggio per ammortizzarne i costi elevati. Parallelamente allo studio e al perfezionamento di prodotti professionali specifici per il mondo dello spettacolo, il maestro del make up, realizzava anche dei kit di cosmetici destinati alla grande distribuzione. Uno fra questi si chiamava “Society Make Up” ed era un set composto da rossetto, cipria e blush, venduti secondo la tipologia cromatica della cliente (figg. 2-3). L’idea del trucco personalizzato fu vincente, e nel 1932 lo portò a creare il “calibro della bellezza” (fig. 4), una sorta di casco metallico composto da meridiani e paralleli che avrebbe 188 misurato la volumetria del volto, valutandone l’armonia in base alle proporzioni del “viso perfetto”, rendendo così più efficace e rapida l’eventuale successiva correzione attraverso il trucco. Il 1935 fu un anno fondamentale per la storia della cosmetica. L’introduzione del colore nel cinema creò non pochi problemi ai truccatori, poiché il volto degli attori, truccato con i cosmetici del tempo, virava al verde o al rosso (con risultati ovviamente pessimi). Dopo mesi di ricerche, Factor trovò la soluzione nel Pan-Cake (fig. 5): un cosmetico solido in cialda rotonda, da applicare con una spugnetta inumidita: sulla pelle aveva un finish naturale pur assicurando un ottima coprenza. Questo cosmetico innovativo fu in breve tempo commercializzato e divenne il prodotto di punta dell’azienda; addirittura, vennero formulate appositamente delle tonalità adatte per mimetizzare i volti dei soldati durante le escursioni notturne o nella giungla. Ma il prezioso intervento di Max Factor non si limitò alla formulazione dei cosmetici: egli ebbe degli autentici lampi di genio che fecero non solo la fama delle star di Hollywood1, ma che mutarono per sempre la 1 Erano i cosmetici che creavano l’immagine attraente e “perfetta” delle star. La gente comune (ignara dello studio che stava dietro la truccatura di ogni volto) credeva che il segreto della bellezza stesse unicamente nel prodotto cosmetico, e dunque correva ad acquistarlo cedendo alla 189 concezione del make up2 e che scrissero la storia della cosmetica del Novecento. Nacque infatti da un’idea di Factor lo stile di labbra che impazzava nel primo quarto di secolo: lo stile a “puntura di vespa”. Questo look ebbe origine dall’esigenza di risolvere un problema di tenuta del rossetto. La pomata per labbra che si usava ai tempi, con il calore delle luci dello studio colava agli angoli della bocca macchiando il cerone. Il visagista ebbe l’idea di concentrare la macchia di colore solo al centro delle labbra, creando così uno stile in primis funzionale e molto apprezzato per la sua sensualità e pertinenza con lo spirito audace dell’epoca. Sempre in tema di rossetto, Factor fu anche la mente che concepì le famose labbra di Joan Crawford: egli infatti ne tracciò il contorno (ad arco di cacciatore) sbordando oltre i suoi limiti naturali. Un altro “marchio di fabbrica” che porta la sua firma è la famosa chioma biondo platino di Jean Harlow, ossigenata su suo consiglio. In ultimo, quasi a rappresentare un trait d’union tra il maquillage e l’arte delle parrucche, creò le ciglia finte; realizzate per rendere fatale il dolce sguardo dell’attrice Phillys Haver e, in seguito, apprezzate e richieste da tutte le altre stelle del cinema. vanità e al desiderio di somigliare anche in minima parte alle stelle del cinema. 2 La stessa introduzione della parola make up come sostantivo fu un’idea del truccatore! 190 Quando nel 1935, aprì il Make up Salon a Los Angeles, la bellezza hollywoodiana divenne alla portata di quasi tutte le donne, e Max Factor era già diventato una leggenda. 2. Helena Rubinstein Chaja Rubinstein (Cracovia 1870 - New York 1965), meglio nota come Helena Rubinstein (fig. 6) fu una magnate dell’industria cosmetica. All’età di ventisei anni si trasferì in Australia presso una zia, portando con sé una riserva di barattoli della Krakow cream la crema usata da sua madre per proteggersi dal sole, la cui ricetta era ed è ancora segreta. Tuttavia, una volta trasferitasi, iniziò a vendere questo suo preparato cosmetico riscuotendo un certo successo, poiché esso era pensato per evitare l’inaridimento della pelle durante l’esposizione al sole: un problema evidentemente presente nell’assolata Melbourne. Invogliata da questo riscontro, seguì con interesse e buoni risultati un corso per la cura della pelle e in seguito, quando fu raggiunta da una delle sette sorelle, Helena studiò presso i migliori dermatologi europei ed inaugurò nel 1903 il suo primo salone di bellezza (fig. 7). A quel tempo (1906) ebbe già delle acute intuizioni, come ad esempio pubblicizzare i propri prodotti dichiarando che al loro interno non vi erano 191 ingredienti potenzialmente pericolosi per la salute come il gesso, il piombo ed il bismuto, per ciò che concerne le ciprie. Allo scoppiare della Prima Guerra Mondiale si spostò con il primo marito Edward Titus a New York, dove nel 1915 aprì un altro salone di bellezza3, che fu il precursore di una catena di negozi sparsi in tutti gli Stati Uniti (altri punti vendita erano in Nuova Zelanda, Londra, Parigi, Sydney ed ovviamente il primo a Melbourne). Questo fu anche l'inizio della serrata rivalità con un’altra signora della cosmetica: Elizabeth Arden (v. infra, cap. III, § 3) anche lei proprietaria di un salone di bellezza nella Fifth Avenue. Entrambe furono scalatrici sociali e milionarie self-made, in un periodo storico in cui le donne non avevano neanche il diritto di voto: le loro storie incarnavano il tipico sogno americano e furono entrambe pioniere del branding4. 3 E' interessante notare come i suoi esclusivi saloni di bellezza, dall’assetto stilistico tipico modernista, riuscissero a ricreare un’atmosfera confortevole, unendo i concetti di atelier di moda, galleria d’arte ed ambiente quasi domestico, abbattendo ogni confine concettuale del tempo e proponendosi in modo assolutamente avanguardista. 4 Helena Rubinstein ed Elizabeth Arden erano consapevoli di quanto fosse fondamentale l’attenta ideazione di una valida strategia di marketing: questa comprendeva alcuni concetti incredibilmente attuali come la raffinatezza del packaging, l'aspetto impeccabile delle estetiste dei saloni con uniformi sempre linde, l’influenza di importanti testimonial e, infine, la tanto decantata ricerca di laboratorio che si presentava 192 Verso la fine del 1931 Helena Rubinstein annunciò di essere appena rientrata da Parigi5 per presentare personalmente i nuovi preparati a base di ormoni (fig. 8) per il ringiovanimento della pelle, invitando la clientela a recarsi presso il salone per provare ed avere maggiori delucidazioni sull'uso di questi prodotti innovativi. In particolare la crema Hormone Twin Youthifiers che consisteva in una coppia di unguenti: Twin 1 per il giorno,Twin 2 per la notte. «Due creme biologiche uniche. Le Hormone Twins Youthifiers forniscono in forma assimilabile gli ormoni della giovinezza: stimolatori della crescita di nuove e giovani cellule epiteliali. Con queste due creme sono stati raggiunti i risultati più sorprendenti nel campo della “bellezza ricreata”. Per le linee d'espressione, le rughe, lo stress degli agenti atmosferici e l'invecchiamento cutaneo le creme Hormone Twins danno i risultati più gratificanti, ricostruendo i tessuti disidratati e denutriti, correggendo rughe, zampe di gallina, colorito giallastro e rivitalizzando la pelle. Per la pelle più come una pseudo-scienza della cura della pelle. Dunque, in quanto “scienza”, faceva scattare un meccanismo di fiducia nel prodotto, sottointendendo efficacia provata, sicurezza e garantendone la qualità (se non altro, nella mente delle consumatrici). 5 Durante la sua permanenza a Parigi entrò in contatto con vari artisti e divenne amica e mecenate di Henri Matisse, Salvador Dalì, Raoul Dufy e Jean Cocteau. Addirittura, commissionò a Salvador Dalì la progettazione di una cipria, sul cui packaging campeggiava un ritratto della magnate. 193 giovane usurata precocemente, stanca e che soffre la tensione nervosa la crema Hormon Twins Youthifiers, è un rapido corroborante, che permette di risolvere i difetti minori mantenendo la pelle vibrante di giovinezza, squisitamente chiara e sempre al culmine della sua giovanile perfezione! Ogni crema deve essere usata singolarmente, la crema da giorno è un rapido trattamento ringiovanente mentre la crema da notte, particolarmente nutriente, stimola il processo di rinnovamento cellulare. Insieme le creme, lavorano indipendentemente ma in armonia, per far rivivere la bellezza della vostra pelle, correggere ogni difetto, e sviluppare una bellezza nuova e duratura.»6 Nel 1937 divorziò dal primo marito, con cui ebbe un matrimonio decennale piuttosto agitato, e l'anno successivo sposò il principe georgiano Artchil Gourielli-Tchkonia, da cui “prese” il nome per la sua prima linea di cosmetici maschili (lanciata nel 1943) e per il primo salone di bellezza dedicato agli uomini, aperto nel 1948. Nel 1957 lanciò il Mascara-matic, primo mascara in tubetto con l'odierno applicatore a scovolino; mentre due anni dopo, nel 1961, introdusse il “Giorno della Bellezza”7, una trovata pubblicitaria 6 Dalla brochure Helena Rubinstein della crema Hormone Twins youthifiers, del 1932. 7 Si trattava si di un evento pubblicitario, ma anche di una giornata incentrata sulla cura della persona. All'interno dei saloni aziendali, personale sempre impeccabile ed addestrato insegnava alle clienti l'arte della cura della pelle, mettendo anche a punto delle skincare routine su misura per ogni cliente. 194 che ebbe grande successo. Nel 1959 partì alla volta di Mosca, dove rappresentò ufficialmente l'industria cosmetica degli Stati Uniti presso la American National Exhibition, nella cui organizzazione fu sempre coinvolta, anche quando il suo stato di salute non era dei migliori. La sua filantropia, il supporto materiale per Israele8 e la sua continua ricerca volta alla valorizzazione dell'aspetto (figg. 9-10) e della bellezza, verranno ricordati a lungo, così come una delle sue più famose citazioni (forse anche la più “rincuorante”): « There are no ugly women, only lazy ones.»9. 8 Helena fu sempre molto preoccupata ed interessata al benessere di Israele. Molto generosa con i contributi monetari, fondò l’Helena Rubinstein Pavilion of Contemporary Art a Tel Aviv, dove è esposta la sua collezione di stanze in miniatura. Una passione nata durante l’infanzia che perdurò per tutta la vita, portandola a collezionare svariate stanze in miniatura in cui gli arredi e le suppellettili, di rara bellezza, erano finemente realizzati in avorio, argento, cristallo, mogano, peltro etc. Inoltre, la fondazione Helena Rubinstein (creata nel 1953) si occupò di sostenere la American Israel Cultural Foundation e di assegnare borse di studio per i giovani israeliani, oltre che del monitoraggio dei fondi destinati ad organizzazioni che si occupavano di salute, di ricerca medica e riabilitazione. 9 GREEN PENELOPE. The Rivals, «New York Times», 15 Febbraio 2004. Traduzione: “Non esistono donne brutte, solo donne pigre”. 195 3.Elizabeth Arden La donna dietro una delle più importanti case di cosmetica del secolo si chiamava in realtà Florence Nightingale Graham (fig. 11), e nacque nel 1884 in una famiglia canadese grande ma povera. Il suo amore per la cura del corpo e per la bellezza si manifestò quando era ancora giovane e la portò, all’età di 26 anni, a trasferirsi a New York. Lì Florence si sentì ben presto sufficientemente sicura per entrare da sola nel mondo degli affari, ma senza fondi bastevoli a finanziare il suo progetto. Dunque stipulò nel 1909 una partnership con Elizabeth Hubbard e le due donne aprirono un salone di bellezza sulla Fifth Avenue. Quando la partnership si ruppe, Florence decise di continuare da sola e coniò il nome d'arte Elizabeth Arden (“Elizabeth” nome lo prese “in prestito” dalla sua ex socia mentre “Arden” derivava dal poema Enoch Arden di Alfred Tennyson). Le creme da viso che realizzava a quel tempo erano però grezze, untuose e pesanti. Così nel 1914 Elizabeth assunse un chimico, A. Fabian Swanson, per formulare una crema soffice e leggera ed una lozione astringente: rispettivamente la Venetian Cream Amoretta e la Arden Skin Tonic, che ebbero subito un gran riscontro. Sempre in quell'anno Elizabeth si recò a Parigi, dove apprese le più sofisticate tecniche locali riguardanti trucco e 196 bellezza, e le portò con sé negli USA insieme ad uno stock di prodotti cosmetici da far provare alle proprie clienti. Nonostante le donne del tempo fossero ancora piuttosto restie a far uso di trucco, considerato volgare, gradualmente, con passione e tenacia, Elizabeth Arden riuscì a convertirle ed il suo Arden's eye makeup (fig. 12) fu il primo belletto per occhi ad essere usato negli Stati Uniti (l'uso dei cosmetici e il portare i capelli corti erano forti segnali di emancipazione). Dal laboratorio del suo salone (con la caratteristica porta rossa10) si mise a concorrere con i farmacisti locali (originari detentori dei segreti di bellezza), e pian piano coltivò con cura un’affezionata clientela d'élite. Fu inoltre la prima a padroneggiare l'arte del packaging (fig. 13) intuendo il suo potenziale come mezzo per trasmettere qualità e lusso. Quando negli anni '20 la ditta aumentò drasticamente la produzione e la distribuzione, Arden si rivelò un autentica pioniera della pubblicità e del marketing11. Fu lei a sviluppare per prima il concetto di “total beauty” – che 10 La stessa porta rossa che contraddistinse il salone rispetto al grigiore della città, che campeggia sottoforma di logo sui prodotti dell’azienda e che ha anche ispirato il nome e la boccetta del celeberrimo profumo “Red door” uscito successivamente alla morte della fondatrice. 11 Elizabeth Arden fu anche il primo brand ad essere pubblicizzato nell'industria cinematografica, e durante la seconda guerra mondiale sviluppò un rossetto coordinato cromaticamente alle uniformi delle donne nelle forze armate. 197 prevedeva la collaborazione, all'interno del suo salone, con un prestigioso parrucchiere ed una modista (in seguito vi fu aggiunto anche un reparto che vendeva abbigliamento) – e l’idea del “total look” (fig. 14), ossia labbra, guance ed unghie coordinate nello stesso colore. Successivamente, saloni di bellezza e anche Spa (la prima fu aperta nel 1934 nel Maine e si chiamava Maine Chance) Elizabeth Arden aprirono in ogni parte del mondo, vendendo centinaia di prodotti oltre a cosmetici e trattamenti di bellezza, tra cui saponi, sali da bagno e perfino dentifrici e profumi per ogni momento della giornata. Fin dagli albori della carriera, e per tutto il '900, i prodotti di Elizabeth Arden furono sempre all'avanguardia rispetto ai tempi. Tra le varie innovazioni apportate alla cosmesi del '900 ricordiamo la tecnologia delle ceramidi12 ed il loro confezionamento in capsule, l’ Illuminating Skin Complex13, il peeling fai da te14 e la crema “Eight hour”15. 12 Le ceramidi fanno parte dei lipidi intercellulari naturali della nostra pelle ed aiutano a prevenire la perdita di umidità (la secchezza è la prima causa d’invecchiamento cutaneo), impedendo anche le aggressioni di fattori esterni come smog, sbalzi di temperatura e altri tipi di shock. Arden aprì la strada alla scoperta delle ceramidi e divenne la prima azienda cosmetica a sperimentare questa nuova bio-tecnologia. 13 Nei primi anni '90 si parlava sovente di prodotti anti-età, idratanti, e rassodanti. Ma nessuno aveva ancora introdotto il concetto di pelle radiosa e visibilmente sana. Arden fece un'indagine di mercato, chiedendo alle consumatrici che 198 Come riconoscimento per i suoi contributi nell'industria dei cosmetici (fig. 15), nel 1962 Elizabeth Arden fu insignita della Légion d'honneur dal governo francese e continuò ad genere di risultati avrebbero voluto dalla loro pelle. La maggior parte rispose che desiderava una pelle radiosa e sana anche senza l'uso del trucco. Con questo obiettivo in mente l'azienda scoprì una tipologia di vitamina A, il Retinyl Linoleate, che regalava l'aspetto sano tanto desiderato, e la inserì tra i suoi prodotti lanciando sul mercato la linea Skin Illuminating Complex. Inutile sottolineare come ancora una volta la filosofia dell'azienda si rivelò avanzata e moderna e come il prodotto ebbe un successo planetario. 14 Durante gli anni '80 impazzò la mania per i trattamenti esfolianti. In principio erano eseguiti da medici e personale qualificato, per l'alto contenuto di acidi alfa-idrossilici. Arden introdusse “Peel and Reveal”, un trattamento peeling da fare a casa propria che esfoliava la pelle senza irritarla. Ciò era possibile grazie alla presenza dell'acido glicolico e di una formulazione simile alle zollette di zucchero che, sciogliendosi a contatto con la pelle, rilasciava le particelle esfolianti in modo graduale e delicato. 15 Non è un caso che tutt'ora sia un cult ed una delle creme favorite tra makup artist e celebrità. Questa crema, lanciata nel 1935, fu il primo prodotto di bellezza a contenere acido salicilico (ingrediente delicatamente esfoliante) e la prima ad essere una sorta di all-over. Ciò vuol dire che poteva essere utilizzata indistintamente come crema viso, come balsamo per labbra, per lenire arrossamenti cutanei e scottature solari, come idratante per mani e piedi e, infine, anche per pettinare e fissare le sopracciglia. Il nome “Otto ore” derivò da un consumatore che applicò la crema sulla pelle screpolata del figlio, dichiarando poi la sua completa “guarigione” in otto ore. Ancora oggi non c'è sul mercato una crema così richiesta e affermata come la “8 Hour Cream”. 199 essere una magnate dell'industria cosmetica fino alla sua morte, avvenuta all'età di 82 anni. Elizabeth Arden ebbe senza dubbio una vita affascinante e, da donna all'avanguardia e di grande raffinatezza qual'era, è riuscita ad apportare un enorme contributo all'evoluzione della ricerca cosmetica, nonché all'approccio da parte delle donne al trucco, in un epoca di riluttanza e transizione. 4. Maybelline Nel 1915 Thomas Lyle Williams (1896-1976) (fig.16) notò la sorella Mabel correggere le sue sopracciglia bruciacchiate (a causa di un incidente domestico) con una miscela di vaselina, cenere e polvere di carbone (un trucco che a quanto pare aveva letto sulla rivista «Photoplay») e pensò immediatamente di poterne desumere un prodotto da commercializzare. Utilizzando un set da chimico, provò a miscelare insieme vaselina, nerofumo, olio di semi di cotone e olio di cartamo, ma sfortunatamente quando lo fece provare alla sorella, la miscela si rivelò altamente irritante e le provocò un fortissimo bruciore agli occhi. Imperterrito, Tom Lyle chiese un parere professionale al droghiere Park-Davis, commissionandogli un prodotto per ciglia adatto alla vendita. Il risultato fu una crema profumata costituita da vaselina bianca raffinata, allungata 200 con diversi oli per apportare ad essa ulteriore lucentezza. In sostanza il prodotto non era colorante, ma applicato sulle ciglia sembrava "illuminare gli occhi"16. Chiamò questo prodotto Lash-Brow-Ine (fig. 17) e, confezionandolo in piccoli contenitori di alluminio (un formato grande e uno un po’ più piccolo che costava 50 centesimi di dollaro), cominciò a venderlo per corrispondenza. Con l'aiuto economico del fratello Noel, Tom Lyle nel 1916 mise un annuncio pubblicitario del Lash-Brow-Ine su «Photoplay», ed in seguito in altre riviste come «Pictorial Review», «Deliniator», ed il «Saturday Evening Post» dando sempre maggiore visibilità al prodotto17. «Prendete un po’ di LASH-BROW-INE sulla punta del dito e strofinatelo delicatamente su ciglia e sopracciglia, sfregandolo nella direzione di crescita del pelo. Assicuratevi di strofinare bene le radici, quindi prendete un panno morbido e pulite intorno le sopracciglia e ciglia, lasciando il "LASH-BROWINE" solo se si desidera incentivare la crescita dei peli. Per ottenere i migliori risultati, si consiglia di tagliare le punte delle ciglia ogni due mesi. Il taglio deve essere effettuato da un'altra persona ed usando le forbici da manicure piccole, in modo che si tagli solo 16 WILLIAMS SHARRIE, YOUNGS BETTIE, ALAN RAGLAND, The Maybelline story and the spirited family dynasty behind it, Bettie Youngs Books Publishing, Florida, 2010, p.22. 17 EADEM, p.25 201 ed esclusivamente l'estremità del pelo. Le sopracciglia invece non devono essere mai tagliate.»18 Dopo il successo del Lash-Brow-Ine, Tom Lyle commissionò a Park-Davis la produzione di altri prodotti: ad esempio la Odor-Ine Toilet Lotion (un deodorante), la Coloring Maybell (una tinta per sopracciglia e ciglia), la cipria Lily of the Valley e la crema di bellezza Maybell, ma anche rouge e rossetti. Tuttavia, nessuno di questi prodotti fruttò grandi guadagni alla azienda e furono presto eliminati dalla gamma. Nel 1917 avvenne la svolta: i laboratori Maybell cominciarono a fabbricare un prodotto per le ciglia in cialda, che si “attivava” bagnando con dell'acqua l'apposita spazzolina e frizionandola leggermente sulla superficie della cialda stessa. Questo prodotto fu noto come "Mascaro" ed in seguito fu chiamato solamente Maybelline (nome coniato dall'unione del nome della sorella "mabel", con la parola "vaseline"). Era disponibile in due tonalità, nero (contenente nerofumo) e marrone (contenente ossidi di ferro) e fu commercializzato in una piccola scatola di cartone (fig. 18) che comprendeva un blocco rettangolare di prodotto stampigliato con il nome Maybelline (è sotto questo nome che l’azienda ha raggiunto il suo status ormai leggendario nel campo della cosmesi), 18 Da un Lash-Brow-Ine pamphlet dell’epoca. Traduzione dell’autrice. 202 uno spazzolino e perfino un piccolo specchio attaccato all'interno del coperchio. Maybelline è stato il primo vero mascara negli Stati Uniti d’America. Il segreto del suo successo è stato di vendere il prodotto ad un prezzo accessibile a tutti. La pubblicità continuò a svolgere un ruolo chiave nella diffusione dell'azienda; si pensi che Tom Lyle spese oltre un milione di dollari19 in pubblicità (fig. 19) tra il 1915 e il 1929. «A woman's most powerful possession is a man's imagination.»20 Tom Lyle Williams Nel 1929 la gamma di prodotti si espanse ulteriormente e furono lanciate le matite per sopracciglia (in due tonalità, nero e marrone) e ombretti di varie colorazioni: blu, nero, marrone e verde, mentre il viola fu aggiunto l’anno seguente. Gli inizi degli anni ’30 furono un periodo difficile per l’azienda, ma il suo fondatore, con coraggio, determinazione e spirito di sacrificio riuscì a venir fuori dalle avversità. I problemi principali erano legati alle difficoltà economiche generali causate dalla Grande Depressione; inoltre, il campo della cosmesi era stato “attaccato” dai media, e dunque 19 WILLIAMS 2010, op. cit., p.99. Cfr. http://suite101.com/article/the-maybelline-familydynasty-and-the-beginning-of-mascara-a305143. 20 203 penalizzato, a causa della sua associazione con le flapper e con atteggiamenti e stili di vita ritenuti immorali e scandalosi dall’opinione comune. Ciò nonostante, il 1930 fu anche un anno di espansione per l’azienda, che si ampliò includendo nel suo circuito di vendita il Canada e l’Europa e, dopo la Seconda Guerra Mondiale, perfino il Sud America, diventando così un marchio rinomato a livello globale. L'utilizzo di star del cinema per pubblicizzare i propri prodotti, fu sempre una strategia pubblicitaria vincente, ma Maybelline, con astuzia e intelligenza introdusse nelle sue promozioni il cosiddetto Before and After (figg. 20-21), ovvero gli scatti delle modelle prima e dopo la sessione di trucco. Si trattava di un approccio decisamente convincente! Nel 1958, dopo l'introduzione da parte di Helena Rubinstein del Mascara-matic, Maybelline, immise sul mercato il Mascara Magic, con un innovativo scovolino a spirale che consentiva una migliore applicazione del prodotto. Venne introdotto anche un eyeliner, delle matite per sopracciglia e degli ombretti in stick che si autotemperavano (fig. 22). Nel 1963 fu poi la volta del mascara Ultra-Lash, seguito da una linea di prodotti corredata: Ultra-Brow, Ultra-Line ed Ultra-Shadow (fig. 23). Nella seconda metà degli anni '70, Maybelline ebbe un picco nelle vendite grazie alla testimonial d'eccezione Lynda Carter, 204 che con la fama derivata dalla fortunata serie Wonder Woman, fece impennare le vendite della casa cosmetica (fig. 24). Tom Lyle Williams si è affermato nel corso del '900 come re indiscusso del mascara: ha superato momenti di forte crisi e cali delle vendite, ma ha sempre saputo come risollevarsi. Il suo enorme merito è quello di aver creato un cosmetico che, come tutte le donne sanno, è basilare nella trasformazione dello sguardo e indispensabile per il completamento del look (è talmente importante ed incisivo, che anche da solo può fare la differenza!) ed è per questo che ancora oggi il marchio Maybelline è sinonimo di qualità e convenienza. «Maybe She's Born With It. Maybe It's Maybelline»21 5. Revlon Quando Elka, la società cosmetica in cui prestava servizio, non lo promosse alla posizione di distributore nazionale, Charles Revson (19061975) decise coraggiosamente di avviare un'attività tutta sua nel bel mezzo della Grande Depressione. 21 Slogan pubblicitario adottato dal marchio nel 1991. Tradotto: «Forse lei è nata così. Forse è Maybelline.» 205 Con grande “dispiacere” delle due regine della cosmetica (Arden e Rubinstein), l'azienda Revlon fu fondata nel 1932 da Charles Revson (fig. 25), dal fratello Joseph e dal chimico Charles Lachman, per cui fu inserita la lettera “L”, cambiando “revson” in “revlon”. A partire dal 1932, l'azienda si specializzò nella produzione di smalti per unghie, sviluppando un nuovo processo produttivo che prevedeva l'uso di pigmenti al posto delle vernici come base per i colori; fu quindi in grado di offrire una gamma di tonalità mai viste prima (si pensi che a quei tempi l'unico smalto disponibile era in tre gradazioni: chiara, media e scura, ed aveva più che altro una funzione lucidante piuttosto che tingente). Revson intuì che le donne avrebbero accolto favorevolmente una così ampia scelta cromatica che comprendeva rosa, coralli e, naturalmente, i fiammeggianti rossi (fig. 26), e che avrebbero reso l'azienda famosa in tutto il mondo. In poco tempo il suo brand spopolò sia tra le star che tra le donne comuni (soprattutto quando i prodotti del marchio furono commercializzati anche nei grandi magazzini, oltre che nei saloni di bellezza), e Revson fu da subito riconosciuto come un trendsetter nel mondo della cosmesi e dell'igiene personale. Suo il merito di assimilare moda e cosmetica, immettendo periodicamente sul mercato nuove collezioni di make up dai nomi e colori sempre diversi, contemporaneamente dando luogo a nuovi trend. 206 Noto per il carattere duro e severo, per lo spiccato senso estetico, ereditato dal background familiare, e per essere estremamente perfezionista, Charles Revson fu un autentico genio nel capire “cosa desideravano le donne” e si preoccupò fin dagli albori di sviluppare in tal senso una consolidata reputazione. Questa combinazione di caratteristiche rese la Revlon una delle più rinomate case cosmetiche, dal fatturato di miliardi di dollari ed in grado di riscuotere tuttora, un enorme successo su scala globale. La missione dell’azienda era di fornire positività e glamour, efficacia ed innovazione, attraverso prodotti di qualità ma sempre a prezzi accessibili, e questa si rivelò indubbiamente una scelta azzeccata. « In the factory we make cosmetics. In the store, we sell hope.»22 Charles Revson Il fondatore della Revlon, divenne famoso anche per l'introduzione di una particolare tendenza beauty (abitudine che forse oggi riteniamo “scontata”), ovvero il raffinato abbinamento del rossetto con lo smalto: leggenda vuole che l'idea di abbinare rossetto e smalto sia nata nel 1939 al 22 WARREN PLUNKETT, ATTNER RAYMOND, ALLEN GEMMY, Management meeting and exceeding customer expectations, South Western publications, Ohio, 2011, p. 89. Traduzione: «Nella fabbrica produciamo cosmetici. Nel negozio, vendiamo la speranza.» 207 tavolo di un ristorante di New York quando, osservando una donna portare elegantemente alle labbra un tovagliolo, C. Rewson notò la distonia fra il colore delle labbra e delle unghie e pensò che le donne più sofisticate, se ne avessero avuto la possibilità, avrebbero scelto colori coordinati di rossetto e smalto. Fu così che coniò lo slogan «Matching Lips and fingertips!», un concetto che cambiò anche il modo di vestire delle donne americane (seguite a ruota dal resto delle donne nel mondo). D’allora in poi esse fecero dell'accoppiamento rossetto/smalto un accessorio di moda più che un cosmetico. Nel corso degli anni furono lanciati sul mercato una serie di set composti da rossetto e smalto coordinati (fig. 27), corredati da un packaging in pendant con i colori, il mood ed il nome del prodotto. Ciò ben presto diventò uno dei best seller dell’azienda. Revson fu anche molto abile nella pubblicità dei suoi cosmetici: perpetrata con il coinvolgimento di famose star e attraverso l’uso di slogan d’impatto e grafiche accattivanti (per quanto riguarda la pubblicità delle riviste patinate), si pensi ad esempio al rossetto cult del marchio, il lipstick effetto lucido “Cherries in the Snow” (fig. 28), lanciato nel 1953, con Dorian Leigh come testimonial, che è ancora oggi tra i primi dieci best seller dell'azienda. Ma non furono solamente smalti e rossetti ad essere amati dalla popolazione femminile. Tra i 208 prodotti della casa cosmetica vi erano anche creme idratanti, lacche per capelli (fig. 29), fondotinta liquidi uniformanti ed illuminanti, detergenti per il viso (ad esempio il Clean & Clear – fig. 30), ombretti e cosmetici per gli occhi in colori coordinati, tinte per capelli23, Cheek-stick (ossia fard in stick), talchi in varie profumazioni24 e varie eau de parfum, come ad esempio la rinomata fragranza Charlie, simbolo della libertà femminile e del fermento giovanile degli anni ’50 e ’60. Revson, a dispetto del suo carattere rude, fu anche un filantropo: nel 1956, istituì la Charles H. Revson Foundation, un’associazione che si occupava di finanziare la costruzione di scuole, ospedali, ed altre organizzazioni che erogavano servizi per la comunità ebraica. 6. Shu Uemura 23 Esisteva una tintura semipermanente chiamata Color up cream tinting rinse (fig. 31). Essa si presentava in un pratico contenitore a tubetto e prometteva di coprire in dieci minuti di posa i capelli bianchi, donando riflessi dall’aspetto naturale. Non conteneva creme ossigenanti e sarebbe andata via del tutto nel giro di qualche shampoo, come le tinte semipermanenti attuali. 24 Uno di questi è ad esempio il talco Intimate: si trattava di un talco arricchito con lanolina e con la stessa profumazione dell’eau de parfum “Intimate”. Fu introdotto sul mercato nel 1955 e per molto tempo fu un best seller. 209 Shu Uemura (1928-2007) è stato un eccelso truccatore giapponese, fondatore dell'omonima linea di cosmetici professionali, nonché uno dei primi make up artist asiatici divenuto famoso nell'area occidentale grazie ad un approccio totalmente inedito. Nativo di Tokyo, Shu Uemura (fig. 32) si appassionò da adolescente al mondo del trucco e dell'hairstyling, quando per un lungo periodo di tempo fu costretto a letto da una grave malattia. Una volta guarito si iscrisse alla Tokyo Beauty Academy, figurando come unico studente di sesso maschile in una classe di ben 130 allieve. Ebbe la sua prima esperienza nell’ambito del trucco cinematografico, partecipando al film Joe Butterfly25 nel 1957, e poco tempo dopo decise di lasciare il Giappone per sfondare nel business del trucco televisivo e cinematografico. La sua fama cominciò per caso nel 1962, quando trasformò Shirley MacLaine (1934) in una geisha per l’interpretazione del film My Geisha26. In quell’occasione Shu Uemura fu chiamato per sostituire il make up artist ufficiale, che si era ammalato. La trasformazione27 dell’attrice 25 Joe Butterfly, di Jesse Hibbs, Stati Uniti, 1957, 90 min. My Geisha, di Jack Cardiff, Stati Uniti, 1962, 119 min. 27 In un intervista Shirley MacLaine affermò che ai fini di una più veritiera interpretazione, le era stato permesso di vivere per due settimane a contatto con geishe autentiche, imparando così l'intricata cerimonia del tè, la danza giapponese, e a suonare gli strumenti a corda. Disse inoltre 26 210 caucasica, in una donna dai tratti orientali, fu talmente credibile e ben fatta che egli ricevette elogi da parte del cast e dello stesso regista. Così Uemura diventò uno dei make up artist preferiti ad Hollywood, dove lavorò (seppur inizialmente solo come apprendista) anche con star del calibro di Frank Sinatra, Edward G. Robinson e Lucille Ball. Nel 1964 tornò in Giappone ed aprì il primo istituto di make up a Tokyo, dove insegnò le tecniche di make up cinematografico e televisivo apprese nell'esperienza Hollywoodiana. Tre anni dopo fondò la Japan Make up inc., che inizialmente importava prodotti cosmetici americani immettendoli sul mercato giapponese, ma che in seguito (nel 1971) si dotò di laboratori in modo che la produzione fosse monitorata dal fondatore, garantendole così alti standard qualitativi. che, di volta in volta, la seduta di make up le causava non pochi problemi; i suoi occhi, venivano allungati ed inclinati con l'applicazione di una garza attaccata con adesivo liquido vicino le tempie. Delle stringhe fissate alle garze venivano poi annodate dietro la testa (queste esercitavano una delicata trazione, in grado di modificare in modo provvisorio i lineamenti) e nascoste nella parrucca o all’interno dell’acconciatura. Shirley affermò che al termine delle riprese del film, le sue tempie si erano scorticate per la continua applicazione dei tiranti. Ebbe problemi anche con le lenti a contatto, soprattutto quando, durante una scena in cui il fumo era usato per creare un effetto nebbia, esso le andò sotto le lenti irritandole gli occhi. 211 Shu Uemura fu il primo ad introdurre sul mercato giapponese un detergente struccante a base oleosa (fig. 33): l'Unmask cleansing oil28, che è tuttora un prodotto cult. Alla fine degli anni ’60, ideò il look Flaggy (fig. 34), che consisteva nel disegnare una texture a scacchi “tipo bandiera” sulla palpebra della modella, adattandola alla volumetria del volto e creando così uno stile che rompeva gli schemi. Nel 1983 aprì la prima boutique nell'esclusivo distretto di Omotesando a Tokyo e cambiò il nome dell'azienda con l'attuale Shu Uemura Cosmetics. Dal 1986 si espanse con punti vendita a New York, Los Angeles, Taiwan, Milano e Londra. Oggi la distribuzione copre ben 18 paesi nel mondo con più di 320 punti vendita. Durante gli anni '80, l'azienda Uemura è stata abile nell'approfittare della sempre crescente mania per i beni e per il gusto occidentali del fiorente mercato giapponese. Nel corso del tempo la sua gamma di cosmetici si è ampliata con profumi ed attrezzi professionali da truccatore, come gli eccellenti pennelli fatti a mano (e con materiali di pregio) e il 28 Durante la sua permanenza ad Hollywood, Shu Uemura capì il potenziale del detergente a base oleosa ed ebbe l'intuizione di commercializzarlo. Questo detergente non solo era delicato sulla pelle estremamente sensibilizzata degli attori/attrici, ma era anche rapido nella rimozione di ogni singola particella di trucco e sporco. Realizzato con una miscela di oli nutrienti, d’avocado, di jojoba ecc…, e fitoestratti naturali, manteneva la giusta idratazione dell’epidermide. 212 celeberrimo piegaciglia che, dopo esser stato menzionato nel film Il Diavolo veste Prada29, è diventato parte integrante di un fenomeno di costume di massa, ed è adesso una sorta di "oggetto sacro" per le make up addicted più abbienti. Ispirato da un'autentica vena artistica, l’approccio professionale di Uemura si basò anche sulla filosofia olistica, per cui un buon make up partiva inevitabilmente da una pelle sana. «Beautiful make-up starts with beautiful skin.» Sempre in quest'ottica, egli si fece promotore della bellezza naturale piuttosto che costruita unicamente attraverso il trucco, ma anche di un approccio stravagante all'uso delle cromie e delle forme, quando si trattava di esprimersi artisticamente (fig. 35). I prodotti del marchio rappresentavano, e lo fanno tuttora, il connubio perfetto tra formulazioni innovative (e in continuo rinnovamento) e antica tradizione giapponese. Ciascuno, siano essi di trucco o di skincare, abbraccia elementi di arte, natura e scienza, declinati attraverso packaging originale30, texture 29 The Devil Wears Prada, di David Frankel, Stati Uniti, 2006, 102 min. 30 Per la realizzazione del packaging e per le immagini pubblicitarie ad esempio, la Shu Uemura collabora costantemente con artisti di fama internazionale che realizzano piccoli preziosi pezzi artistici in edizione limitata. 213 sofisticate, ingredienti di qualità (come ad esempio la Depsea Water31: acqua di mare depurata, ricca di minerali e i fito-estratti asiatici conosciuti per migliorare il metabolismo della pelle) e formulazioni innovative. Nel 2005 Shu Uemura ha avviato la Tokyo lash bar, ovvero un'inedita collezione con cadenza annuale di stravaganti ciglia finte (fig. 36), raccolte in eleganti espositori e vendute presso le boutique del marchio. Nel 2006 ha concepito una rivoluzionaria collezione chiamata Rouge Unlimited, composta da rossetti con pigmenti ibridi al proprio interno, che permettono una fedeltà di colore mai vista prima32; mentre nel 2007 fu la volta della Phyto-black Lift, la prima linea di prodotti anti-età il cui principio attivo era basato su fito-estratti asiatici. Quello stesso anno, è stata lanciata anche Art of Hair, prima linea dedicata alla cura dei capelli. L’azienda ha lavorato con il Litografo Ai Yamaguchi, il fumettista Aya Takano, il fotografo Mika Ninagawa; per la sua collezione 2012 ha scelto di collaborare con Mamechiyo (fig. 37), una famosa designer di kimono. 31 La linea, lanciata 1998 fu la prima in assoluto ad avere al suo interno l'acqua di mare depurata e questa trovata fruttò a Uemura numerosi premi tra i quali il Nikkei Excellent Product per la sua qualità. 32 Un esempio è la Rouge Unlimited Sakura del 2011: collezione composta da sei varianti colore, tutte ispirate alle diverse tonalità che assumono i fiori di ciliegio nell'arco della giornata. La formula, arricchita con sakura hybrid pigment, donava alle labbra i colori puri e romantici caratteristici del delicatissimo fiore di ciliegio. 214 Shu Uemura ha dato un grande contributo all'evoluzione del concetto di make up artist, fondendo il trucco con l'arte (fig. 38) sia attraverso le sue collezioni bi annuali di make up, sia con con performance teatrali33 che ne accompagnavano l’uscita, ha scritto nel corso del tempo una pagina di storia nell'evoluzione della cosmesi. 7. Toskan e Angelo (M.A.C.) M.A.C. è l'acronimo di Makeup Art Cosmetics ed è un'azienda canadese nata nel 1984 dalla collaborazione tra Frank Toskan e Frank Angelo (1948-1997) (fig. 39). Proprietario di una catena nazionale di parrucchieri, il senso degli affari di Toskan si rivelò complementare all’esperienza di Frank Angelo, acclamato acconciatore e truccatore. Prima di entrare in partnership con Angelo, Toskan trascorse un lungo periodo a studiare libri di chimica e a sperimentare differenti 33 A tali performances (che hanno accresciuto incredibilmente la sua notorietà e che si svolgevano in città come Tokyo, Londra e New York) partecipavano in migliaia tra professionisti del settore, aziende ed appassionati. Ivi il maestro mostrava le proprie tecniche dei make up, presentando contemporaneamente la sua ultima collezione ed i relativi trend. 215 formulazioni per i suoi cosmetici con l'aiuto del cognato Victor Casale; questo perché la M.A.C. affonda le sue radici nella necessità di trovare dei cosmetici formulati in modo da dare una resa qualitativamente migliore e maggiormente professionale (dunque con una durata maggiore, e con una rosa di prodotti più versatili e creativi) nei photoshooting di moda e beauty. La prima incursione del marchio negli Stati Uniti avvenne attraverso il grande magazzino Henri Bendel, dove i prodotti avevano un enorme richiesta. Gli addetti alle vendite, vestiti di nero, erano professionali e competenti in quanto truccatori in possesso di diploma, e la clientela poteva così usufruire di un servizio a 360 gradi che comprendeva la consulenza professionale e l’orientamento verso il prodotto più idoneo. In seguito, nel 1991, fu aperto il primo punto vendita monomarca a New York e fu un vero trionfo: la domanda era talmente alta, che si sviluppò addirittura una forma di mercato nero che distribuiva i prodotti all’estero. Nonostante l'azienda si rivolgesse specificatamente a professionisti del settore, quali truccatori, stilisti e celebrità (dai quali ha ricavato grande visibilità) nel corso del tempo essa si è guadagnata l'attenzione e la fiducia anche di quelle persone comuni che cercano prodotti di qualità e dalle prestazioni professionali. Tuttavia, con la linea M.A.C. Pro (che sta per Professional) ha comunque mantenuto un carattere di esclusività 216 per ciò che concerne alcuni prodotti, con sconti e agevolazioni per i makeup artist e altre professionalità inerenti il trucco e la moda. Il marchio divenne famoso nel giro di pochissimo tempo, grazie esclusivamente al passaparola (si trattò di una scelta di marketing consapevole). Divenne ben presto la marca favorita di celebrità degli anni '80 come Pamela Anderson, Boy George e Debbie Harry. Ma il brend è famoso anche per la filantropia dei suoi fondatori ed il costante impegno nella lotta all’AIDS. La malattia, che proprio in quegli anni si diffuse a macchia d’olio, era un tema che toccava molto da vicino Frank ed Angelo. Entrambi per colpa dell’AIDS avevano perso molte persone care. Fu questa la motivazione principale che li spinse a fondare nel 1994 la M.A.C. AIDS Fund, un'organizzazione operativa in ben 66 paesi, impegnata in attività di supporto concreto a persone affette da questo male. Una delle iniziative più importanti è la vendita dei prodotti M.A.C. Viva Glam (fig. 40), il cui ricavato è interamente destinato alla fondazione. M.A.C., diventata così la più grande azienda non-farmaceutica contribuente ai progetti inerenti la lotta all'HIV. La prima ambasciatrice globale della linea MAC Viva Glam (che esce annualmente con nuovi prodotti) è stata la Drag Queen Ru Paul (fig. 41). Seguendo le sue orme, ogni anno nuovi testimonial prestano la propria immagine e fama nel perpetrare 217 questa lodevole causa. Inoltre, alcuni – come ad esempio Cindy Lauper e Lady Gaga (v. supra, cap II, § 17) – hanno creato dei prodotti personalizzati che portano il proprio nome. Il packaging, da sempre sobrio e minimale, non è né complicato né vistoso e viene inoltre riciclato con la brillante iniziativa del “Back2Mac”, ossia: raccogliendo sei confezioni vuote di prodotti dell'azienda e riportandole in un qualunque punto vendita, si ha diritto ad un prodotto in omaggio. Punto di forza di questo marchio, oltre la qualità dei cosmetici, è la variegata gamma cromatica sempre in continuo aggiornamento. Spaziando dal naturalismo, al futurismo a colori shock, l’azienda ha sempre promosso il make up come espressione completa di libertà (fig. 42), tanto che il motto del marchio è: “All ages, all races, all sexes”. Altri plus dell’azienda sono l’incredibile quantità di collezioni (figg. 43-44) lanciate durante l'arco dell'anno (si pensi che nel 2011 ne sono state ideate 22 e nel 2010 addirittura 33) e l’attenzione animalista: sia i prodotti finiti che gli ingredienti utilizzati al loro interno non vengono testati sugli animali né dall’azienda in sé ne da terzi. Quest’aspetto è indice non solo di civiltà ma anche di intelligenza manageriale, poiché l’animal testing è un argomento sempre più dibattuto e sempre più persone scelgono di boicottare le industrie cosmetiche che adottano questo tipo di sperimentazione. 218 L’anno successivo la morte di Frank Angelo, avvenuta nel 1997, Frank Toskan vendette la società al gruppo Estée Lauder, rassegnando le proprie dimissioni. Nonostante il cambio al vertice, il taglio dell’azienda è rimasto sempre lo stesso: M.A.C. è rimasta una delle aziende più amate e di successo (forse la prima al mondo in campo professionale). Ancora oggi le sue meravigliose collezioni make up vanno regolarmente esaurite nel giro di pochissimo tempo dall’uscita. 8. Pat Mc Grath «Raramente l'arte del trucco è stata così innovativa e così infinitamente ricca di possibilità come lo è stata nelle mani di Pat McGrath. Negli ultimi dieci anni, infatti, non ha solo re-inventato il make-up ma ha addirittura ri-definito il senso stesso della bellezza del viso contemporaneo, esplorando sempre nuove frontiere.»34 Pat McGrath (1966) (fig. 45) è una truccatrice inglese. E' cresciuta a Northampton con la madre Jean McGrath, dalla quale fin da piccola ha ereditato l'amore per la moda e per il trucco. Pat stessa ha dichiarato in un intervista35 di essere cresciuta “respirando moda” in una famiglia 34 35 http://www.maxfactor.it/it/backstage/pat_bio.htm. http://lauravaluta.blogspot.it/2012/01/pat-mcgrath.html. 219 creativo-compulsiva. In effetti, dalle sue rivelazioni capiamo che il background familiare è stato fondamentale per la sua formazione. Quando era adolescente, imparò dalla madre a creare da sé le proprie creme di bellezza, a sperimentare con i trucchi (usando rossetti al posto degli ombretti, abbattendo così i confini d’uso dei prodotti), e a coltivare un certo gusto per i tessuti e per la moda. « My mum had no background in fashion but she'd taught herself to sew and she was amazing, she used to make all my clothes from designer patterns. We'd be going to church in Calvin Klein military at the age of 11. […] she'd take us every Friday to buy make-up, looking for colours that would work on black skin. In those days you'd be lucky if you could find one eyeshadow with heavy pigment.»36 Dopo aver seguito un corso d'arte al Northampton college, ma nessun corso riguardante il make up, la svolta nella carriera arrivò lavorando nei primi anni ’90 con Edward Enninful (in seguito fashion editor della rivista «i-D») Il suo lavoro lanciò la rivista «i-D» verso un importante posizione a livello internazionale. Da allora Pat Mc Grath ha collaborato con i più importanti nomi della fotografia, come Steven Meisel, Paolo Roversi, Helmut Newton, Peter Lindbergh, Richard Burbridge e Craig McDean. I suoi lavori sono stati pubblicati in tantissime riviste di moda, come 36 STEPHANIE MERRITT, «The Observer», 2 Novembre 2008. 220 «American», «English», «Vogue» (fig. 46), «W», e «Harper's Bazaar», influenzando ed ammaliando celebrità (Oprah Winfrey, Madonna, Cameron Diaz e Gwyneth Paltrow sono solo alcune tra coloro che si sono affidate al suo raffinato tocco) e gente comune37. Durante la sua scintillante carriera ha lavorato con tutti i più grandi marchi di moda (Prada, Valentino, Versace, Dolce & Gabbana, YSL, Gucci, Giorgio Armani, Yohji Yamamoto, Christian Dior, John Galliano, Louis Vuitton sono solo alcuni) creando lavori di eccezionale bellezza e rara originalità (fig. 47): capolavori grazie ai quali è tutt'ora forse il massimo riferimento nel campo del trucco. Nel 1999 ha curato la linea cosmetica di Armani e nel 2004 è stata nominata direttore creativo globale dell'azienda Procter and Gamble, per la quale si occupa delle marche cosmetiche Max Factor e Cover Girl. Alcune delle sue creazioni hanno fatto la storia del trucco dell’alta moda. Tra le più famose vi è senza dubbio The Egypt show di Dior (Haute Couture, Primavera/Estate 2004), che prevedeva una serie di truccature con volti ricoperti di foglia d'oro ed enormi gioielli scintillanti e colorati, sulla falsariga della maschera mortuaria di 37 La stessa gente comune, che talvolta vedendola passeggiare per le strade a Londra la ferma e le manifesta con affetto ed entusiasmo quanto sia importante il suo contributo, e lei da persona umile e concreta qual è ne è sempre felice e lusingata. 221 Tutankhamon. Nei fashion show precedenti, altre fonti d’ispirazione furono i ritratti di Elisabetta I, le maschere kabuki e l'arte moderna. Questo audace eclettismo è stato ed è ancora adesso una delle sue caratteristiche più apprezzate. Altra sua peculiarità è il desiderio di conoscenza: durante i numerosissimi viaggi di lavoro usa raccogliere tra le trenta e le cinquanta borse di materiali vari, attrezzi e oggetti di riferimento. Tra le curiosità legate al suo metodo lavoro vi è la preferenza per l'uso delle dita al posto dei pennelli da trucco, e l'abitudine di portare con sé durante i fashion shows un'incredibile armamentario: circa venti tra scatole e valigette di vario tipo contenenti dai canonici trucchi, alle paillette ma anche libri d'arte. In un'intervista rilasciata durante il London Fashion Week nel 2008, Pat McGrath ha spiegato il suo processo creativo, dicendo: «Vengo molto influenzata dalle stoffe che vedo, dai colori presenti nella collezione e dai lineamenti delle modelle. E' sempre una sfida, ma è proprio questo il punto, riuscire a fare qualcosa di diverso ogni volta»38. Nel mondo di Pat il viso diventa lo scenario ideale per raffinati esperimenti e le sue innovazioni hanno slegato il trucco dai limiti del volto (fig. 48), definendo nuove volumetrie e dimensioni. Ma i suoi virtuosismi si combinano anche al talento per 38 http://www.vogue.co.uk/beauty/2008/09/29/pat-mcgrath. 222 la bellezza convenzionale, tant’è che è stata la pioniera della pelle fresca e vellutata della metà degli anni '90, ma anche la mente dietro nuovi trend come le sopracciglia piene e la carnagione perfettamente opaca ma luminosa. Ciò si unisce infine ad una reale passione per le persone, a modi delicati e a una vibrante personalità. Nel campo dell'industria della bellezza è Pat McGrath a stabilire in che direzione va la moda del futuro; e se oggi nella nostra make up routine compare talvolta un trucco sui toni dell’arancio fluo o del turchese acceso, è sicuramente per sua inferenza. «I really love being a makeup artist. It never gets mundane or predictable and every shoot and show is different.»39 39 Tradotto: «Amo profondamente il fatto di essere una make up artist. E' un lavoro che non diventa mai banale o prevedibile e ogni servizio fotografico o sfilata, è sempre un progetto differente.» cfr. http://www.teenvogue.com/industry/artist/patmcgrath. 223 224 GLOSSARIO All-over: unico prodotto utilizzabile per più zone/usi. Bangle: nome generico di bracciali rigidi (variegati sia per stile che per materiali). Bindi: decorazione per la fronte, indossata dalle donne Asiatiche Tradizionalmente è un punto di colore rosso applicato al centro della fronte e vicino alle sopracciglia, ma può essere anche un pendente o un gioiello. Blush: fard Bonnemine: vocabolo usato per la definizione di un aspetto del viso complessivamente sano, naturale, privo di segni di stanchezza o imperfezioni. Bronzer: terra Eyeshadow: ombretto. Finish: effetto finale, talvolta usato come sinonimo di texture. Flick: piccola “codina” o trattino che si usa disegnare al termine della riga di eyeliner nell’angolo esterno dell’occhio. Può essere più o meno lunga, inclinata, spessa. Talvolta nei trucchi più fantasiosi è biforcuta (come una lingua di serpente) o variamente decorata. Gloss o lip-gloss: lucidalabbra Hairstyling: acconciatura, arte di acconciare i capelli. Kohl: kajal. Cosmetico in stick o in lapis dalle origini antichissime, usato per scurire e contornare gli occhi. Inizialmente aveva anche proprietà mediche: il suo scopo era quello di prevenire le infezioni. Lash: ciglia. Lipstick: rossetto. Makeup routine: insieme di abitudini relative alla preparazione del viso al trucco e trucco successivo. Nude-look: stile di trucco estremamente naturale e leggero, che contempla l’uso di colori come i rosa e i marroni (comunque tutte gradazioni di colore vicine a quelle della 225 pelle) e l’uso di una quantità limitata di prodotto, onde evitare un effetto artificiale. Peeling: trattamento di bellezza, che prevede la delicata esfoliazione della superficie cutanea con la conseguente rimozione delle cellule epiteliali morte. Serve a preparare la pelle ai successivi trattamenti come creme o tonici, ma anche a rendere il colorito più luminoso. Skincare: cura della pelle. Skincare routine: Insieme di prodotti e di abitudini relative alla cura della pelle. Smoky-eyes: tipologia di trucco degli occhi piuttosto marcato e scuro le cui caratteristiche sono l’essere appariscente e un effetto sfumato di più colori (nero e grigio per eccellenza), più o meno esteso. Stick: a forma di piccolo candelotto o bastoncino. Texture: in campo cosmetico si usa per riferirsi alla consistenza dei prodotti. Es. questo rossetto ha una texture cremosa. Top-coat: strato di prodotto lucidante finale. Si usa ad esempio per indicare lo smalto trasparente di finitura che si applica sopra lo strato di smalto colorato per proteggerlo dalle scheggiature, lucidarlo e in certi casi anche accelerarne il processo di asciugatura. 226 RICETTARIO COLD CREAM Ingredienti per 100 gr. di crema: 13 gr. cera d'api 54 gr. olio di mandorle dolci 33 gr. acqua di rose 20 gocce olio essenza di legno di rosa In un pentolino mettere la cera d'api insieme all'olio di mandorle dolci. In un altro pentolino versare l'acqua di rose. Accendere il fornello al minimo sotto il pentolino con la cera e scaldare per far sciogliere la cera. Attenzione a non surriscaldare i grassi, la cera fonde a circa 65°C, quindi evitare di scaldarla troppo per evitare che bruci. Quando la cera si sarà sciolta misurare la temperatura, occorre che sia compresa tra i 65°C e i 70°C. Se fosse più alta attendere che scenda un po' prima di proseguire. Scaldare l'acqua di rose e portare la temperatura tra i 65°C e i 70°C (la stessa temperatura della cera) facendo attenzione, dato che è in quantità minima ci metterà un attimo a scaldarsi. Quando i grassi e l'acqua di rose avranno la stessa temperatura si può procedere. Dopo aver rimosso entrambi i pentolini dal fuoco versare l'acqua di rose nel pentolino con i grassi. Con un piccolo frullatore ad immersione iniziare a frullare. L'emulsione tra la parte acquosa e la parte grassa in una crema con cera d'api avviene per gelificazione della parte grassa, perciò è molto importante continuare a frullare per parecchio tempo, fino a raffreddamento avvenuto. Quando la crema sarà diventata tiepida, avrà assunto un aspetto omogeneo e sembrerà essere più consistente, si potranno aggiungere gli oli essenziali e dopo aver ripreso a frullare per qualche secondo si potrà eliminare il mixer perché non servirà più. A questo punto se si lasciasse 227 raffreddare la crema senza girarla si otterrebbe una massa solida e dura a causa della presenza della cera. Per evitare che questo accada bisogna riprendere a girare con un cucchiaino e ogni tanto tornare a dare un'energica girata al composto fino a quando non si vede davvero l'aspetto di una crema spumosa. Dopo diverse ore (o anche la mattina dopo) quando la crema sarà davvero fredda e consistente si potrà mettere in uno o 2 vasetti servendosi del cucchiaino. BLU VEGETALE LE VENE Gesso di Venezia Blu di Prussia Gomma arabica 453,5 gr. 49,5 gr. 28,3 gr. Aggiungere alle polveri sufficiente acqua per formare un composto solido, tanto da poter essere modellato in stick. Per l'applicazione, alitare sullo stick e strofinarlo sulla parte ruvida di un guanto di pelle ed in seguito, utilizzando il guanto, evidenziare le vene del corpo. E' consigliabile per ottenere un effetto più naturale, oltre che possedere una certa manualità, spolverare il tutto con della polvere perlacea. POLVERI DI RISO N.1679 60% amido di riso. 20% amido di mais. 10% Talco. 5% Magnesio stearato. 228 5% ossido di zinco. N.1680 50% Amido di riso 25% Magnesio carbonato. 10% Caolino. 10% Talco. 5% Magnesio stearato. N.1681 50% amido di frumento. 20% amido di riso. 10% diatomite (farina fossile). 5% Radice di Iris in polvere. 5% Bismuto sottonitrato. 10% Talco. ROUGE LIQUIDO Carminio, N. 40 Ammoniaca Alcool 60° Gomma Arabica Acqua di rose tripla Olio essenziale di rosa 2 dracme*. 14,175 gr. 56,7 gr. 14,175 gr. 27,39 ml. 10 gocce Pestare il carminio e la gomma arabica con l'ammoniaca in un mortaio di porcellana, e aggiungervi in seguito anche una 229 porzione dell'acqua di rose. Sciolto il composto aggiungere lentamente l'alcol e la restante acqua di rose. Unire l'olio essenziale ed infine filtrare il tutto. *la dracma è un unità di peso usata in farmacia ed equivale a 3,883 grammi. SAPONE 1 kg. Di Olio d’oliva (si può usare anche da solo) 134 gr. Di Idrato di sodio (soda caustica in cristalli) 280 gr. D’acqua Coloranti naturali come henné, curcuma, cannella, cacao, zafferano q.b. Oli essenziali per uso cosmetico q.b. Caffè o polvere di pomice (per ottenere effetto peeling) q.b. Versiamo l’olio dentro un contenitore, mentre in un altro contenitore versare l’acqua. Con estrema attenzione nel maneggiare la soda caustica, versarla nel contenitore con l’acqua (mai il contrario). La temperatura dell’acqua inizierà ad alzarsi fino a circa 80° C. Rigirare la soluzione di acqua e soda con un cucchiaio di legno, per evitare che la soda si depositi sul fondo del contenitore. Con cautela prendere il contenitore, e riporlo in un luogo riparato affinché si raffreddi fino a 45 ° C. Dopo circa 15 minuti misurare la temperatura con un termometro da cucina. In una grande pentola in acciaio (le dimensioni devono essere almeno il doppio del volume occupato dall’olio o dai grassi), fare riscaldare l’olio a fuoco lento fino a 45° C (i grassi richiedono una maggiore temperatura per sciogliersi).Una volta sciolti, togliere la pentola dal fuoco. 230 Quando la soluzione di acqua e soda caustica sarà alla temperatura esatta di 45° C, versarla lentamente dentro la pentola con l’olio e mescolare con un cucchiaio di legno. Con il frullatore a immersione emulsionare il tutto, eliminando i grumi e miscelando il composto in modo uniforme. Per circa 5-10 minuti immergere ad intermittenza il frullatore (per evitare che si surriscaldi), e aspettare che la miscela sia cremosa fino a raggiungere la “fase del nastro” ovvero se le gocce che scendono dal frullatore spento, quando lo si solleva dalla miscela, si fermano in superficie invece di amalgamarsi, formando quasi dei segni e linee, ciò indicherà che si è raggiunta la giusta consistenza. Se si desidera aggiungere degli ingredienti che rendano particolare il sapone, come ad esempio essenze, coloranti naturali o sostanze per il peeling farlo subito dopo la cottura, mentre il sapone è ancora caldo e morbido. Versare cautamente la miscela ancora calda in appositi stampi di silicone e avvolgere gli stampi tra delle vecchie coperte in modo che si raffreddino in modo molto graduale. Dopo 48 ore indossando i guanti di gomma estrarre il sapone dagli stampi e tagliarlo in piccoli mattoncini. I guanti sono necessari perché ancora la soda caustica è attiva. Infatti il sapone, anche se è pronto, lo è in verità solo apparentemente. Riporre quindi le saponette in un luogo fresco e farle stagionare per circa due mesi e mezzo. Allo scadere di questo tempo il sapone sarà pronto all’uso. 231 232 INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI Capitolo I Fig.1 Fig.2 Fig.3 Fig.4 Fig.5 Fig.6 Fig.7 Fig.8 Fig.9 Fig.10 Fig.11 Fig.12 Fig.13 Fig.14 Fig.15 Fig.16 Fig.17 Fig.18 Dott. M. Calosi & Figlio, Cipria“Rachel” profumata alla ninfea inizio XX secolo Manifesto pubblicitario Graf’s Hyglo con Kitty Gordon Dicembre 1919 Bastone da passeggio con vano per il balsamo labbra (balsamo labbra di Roger & Gallet) Manifesto pubblicitario della Crema Pompeiana post 1901 Evoluzione della grafica del coperchio della crema Nivea dalla nascita ad ora Manifesto pubblicitario Crema Recamier 1895 Esempio di taglio alla Garçonne Manifesto pubblicitario del deodorant Odorono 1919 Manifesto mascara Winx anni ‘20 Donna degli anni ‘20 Donna con turbante anni ‘20 Manifesto pubblicitario del piegaciglia Kurlash Manifesto in stile deco del profumo Vogue anni ‘20 Cipria sbiancante Wavine della Boyd Manufacturing Co. Anni ‘20 Tre esempi di bellezza femminile dell’epoca Figurini di moda francese 1934 Copertina della rivista Silver Screen magazine rappresentante Kay Francis Agosto 1939 Manifesto pubblicitario cosmetici Hollywood (esempio look del decennio) 233 pg.18 pg.19 pg.20 pg.21 pg.22 pg.23 pg.24 pg.27 pg.28 pg.28 pg.28 pg.29 pg.30 pg.31 pg.31 pg.35 pg.37 pg.37 Fig.19 Fig.20 Fig.21 Fig.22 Fig.23 Fig.24 Fig.25 Fig.26 Fig.27 Fig.28 Fig.29 Fig.30 Fig.31 Fig.32 Fig.33 Fig.34 Fig.35 Fig.36 anni ‘30 Greta garbo post 1930 Pubblicità rossetto permanente anni ‘30 Esempio look dell’epoca per donne brune anni ‘30 Esempio di trucco anni ’30 reinventato su Christina Aguilera 2010 Puff da cipria con manico in ceramica anni ‘30 Donne che lavorano in una fabbrica di oggetti in alluminio durante la II Guerra Mondiale Manifesto pubblicitario tessuti italiani durante l’autarchia post 1938 Confezione metallica di mascara ante 1957 Manifesto pubblicitario del cosmetico per gambe della Charles of the Ritz 1943 Donna che dipinge sulle gambe di una modella delle finte calze II Guerra Mondiale Esempio look dell’epoca anni ‘40 Veronica Lake e la sua tipica acconciatura “a schiaffo” anni ‘40 Manifesto Palmolive 1942 Illustrazione raffigurante una Pin up, di Gil Elvgren aani ’40-‘50 Esempio look dell’epoca anni ‘40 Manifesto pubblicitario del Pancake Max Factor rappresentante Judy Garland anni ‘40 Rossetto con contenitore metallico a forma di cartuccia 1940 Manifesto pubblicitario Tru-Glo liquid makeup Westmore of Hollywood con Marilyn Monroe 1953 234 pg.38 pg.38 pg.40 pg.40 pg.41 pg.44 pg.46 pg.47 pg.48 pg.48 pg.48 pg.48 pg.48 pg.49 pg.49 pg.50 pg.51 pg.56 Fig.37 Fig.38 Fig.39 Fig.40 Fig.41 Fig.42 Fig.43 Fig.44 Fig.45 Fig.46 Fig.47 Fig.48 Fig.49 Fig.50 Fig.51 Fig.52 Fig.53 Fig.54 Fig.55 Attrezzo per applicare il rossetto secondo la sagoma che andava in voga al tempo fine’40 inizi’50 Trucco anni ’50 su Dita Von Teese anni 2000 Trucco anni ’50 reinventato in chiave moderna su Katy Perry 2007 Joan Crawford negli anni ‘50 Manifesto pubblicitario Helena Rubinstein makeup «Vogue» maggio 1947 Veruschka con un body painting floreale anni ‘60 Pubblicità della linea cosmetic “Twiggy” della Yardley post 1965 Esempio di trucco anni ’60 reinventato in chiave moderna su Christina Aguilera 2008 Manifesto pubblicitario di Yardley 1967 Brigitte Bardot con tipico trucco “cateye” anni ‘60 Jane Shrimpton con trucco floreale anni ‘60 Kit di pastelli da viso di Mary Quant post 1966 David Bowie scatto per la copertina dell’album “Aladdin Sane”1973 Trucco anni ‘70 reinventato in chiave moderna Trucco occhi floreale fine’60 inizi‘70 Farrah Fawcett Make up look post 1965 Manifesto pubblicitario Aziza Eyeshadow nella rivista «McCall» 1976 Ritratto fotografico di Cher del fotografo Douglas Kierkland 1980 235 pg.59 pg.59 pg.59 pg.59 pg.60 pg.64 pg.64 pg.65 pg.66 pg.66 pg.68 pg.68 pg.75 pg.76 pg.76 pg.76 pg.76 pg.76 pg.82 Fig.56 Fig.57 Fig.58 Fig.59 Fig.60 Fig.61 Fig.62 Fig.63 Fig.64 Fig.65 Fig.66 Esempio di cresta punk in stile Mohicano anni ‘70 Tracy Spencer 1986 Grace Jones 1985 Esempio del classico makeup gothic Trucco anni ’80 reinterpretato in chiave moderna post 2005 Esempio di trucco ed acconciatura anni ‘80’ Da sx Linda Evangelista, Cindy Crawford, Naomi Campbell, Christy Turlington, sfilata Versace A/I 1991 Linda Evangelista anni ‘90 Esempio look naturale, copertina «D» dicembre 1997 Linda Evangelista look anni ‘90 Fotografia di Tyen per Dior make up 1995 pg.82 pg.83 pg.83 pg.84 pg.86 pg.86 pg.94 pg.94 pg.95 pg.95 pg.95 Capitolo II Fig.1 Fig.2 Fig.3 Fig.4 Fig.5 Fig.6 Fig.7 Fig.8 Fig.9 Fig.10 Fig.11 Mata Hari inizi XX secolo Mata Hari 1910 idem idem Esempio di trucco anni’20 su Josephine Baker Manifesto pubblicitario della Revue Negre 1927 Idem Josephine Baker con il celebre gonnellino di banane 1927 Josephine Baker anni ‘20 Cartolina francese autografata da Josephine Baker Manifesto pubblicitario della brillantina 236 pg.101 pg.102 pg.102 pg.102 pg.102 pg.103 pg.103 pg.103 pg.105 pg.105 pg.105 Fig.12 Fig.13 Fig.14 Fig.15 Fig.16 Fig.17 Fig.18 Fig.19 Fig.20 Fig.21 Fig.22 Fig.23 Fig.24 Fig.25 Fig.26 Fig.27 Fig.28 Bakerfix, litografia a colori 1926 ca. Ritratto fotografico di Louise Brooks post 1928 Particolare di un ritratto di Louise Brooks, Bain News Service publisher, anni ‘20 Louise Brooks indossa un tipico abito “flapper” Louise Brooks nel 1924 Louise Brooks posa con un tutu da ballerina Ritratto di Louise Brooks di M.I. Boris 1925 ca. Jean Harlow posa per una foto promozionale del film Platinum Blonde 1931 Jean Harlow negli anni ‘30 Copertina di «Screen Romances» che ritrae Jean Harlow Febbraio 1935 Ritratto di Jean Harlow di George Hurrell 1933 ca. Jean Harlow negli anni ‘30 Marlene Dietrich in uno scatto promozionale della pellicola L’angelo azzurro 1929 Marlene Dietrich in uno scatto promozionale della pellicola La taverna dei sette peccati 1940 Manifesto pubblicitario della Cold Cream Woodbury raffigurante Marlene Dietrich 1942 Marlene Dietrich Marlene Dietrich in uno scatto promozionale della pellicola No Highway in the sky 1951 Primo piano dell’attrice Marlene 237 pg.106 pg.106 pg.107 pg.107 pg.107 pg.108 pg.109 pg.109 pg.109 pg.110 pg.111 pg.112 pg.113 pg.113 pg.114 pg.114 pg.114 Fig.29 Fig.30 Fig.31 Fig.32 Fig.33 Fig.34 Fig.35 Fig.36 Fig.37 Fig.38 Fig.39 Fig.40 Fig.41 Fig.42 Fig.43 Fig.44 Fig.45 Fig.46 Fig.47 Fig.48 Fig.49 Fig.50 Dietrich Immagine di copertina del disco Lili Marleen Lauren Bacall idem Copertina della rivista «Detective World» raffigurante Lauren Bacall ante 1955 Ritratto fotografico di Lauren Bacall 1947 Fotografia autografata da Lauren Bacall post 1945 Lauren Bacall anni ‘40 Prove di acconciatura sul set di To have and have not 1944Lauren Bacall Marilyn Monroe anni ’40-‘50 Marilyn Monroe agli esordi ante 1946 Marilyn Monroe scatto promozionale della pellicola All about Eve 1950 Fotografia di Marilyn Monroe di Bert Stern, tratta dall’ultimo photoshoot 1962 Ritratto fotografico di Marilyn Monroe Alfred Eisenstaedt, 1953 Marilyn Monroe si trucca allo specchio Prodotti di Erno Laszlo Marilyn Monroe si trucca allo specchio idem Ritratto fotografico di Marilyn Monroe nel suo giardino ca.1962 Elizabeth Taylor Primo piano degli occhi viola di Elizabeth Taylor anni ‘50 Elizabeth Taylor sul set di Cleopatra 1963 Elizabeth Taylor 238 pg.115 pg.115 pg.116 pg.116 pg.116 pg.116 pg.116 pg.117 pg.118 pg.118 pg.119 pg.120 pg.120 pg.120 pg.121 pg.122 pg.122 pg.122 pg.124 pg.125 pg.125 pg.126 Fig.51 Fig.52 Fig.53 Fig.54 Fig.55 Fig.56 Fig.57 Fig.58 Fig.59 Fig.60 Fig.61 Fig.62 Fig.63 Fig.64 Fig.65 Fig.66 Fig.67 Fig.68 Fig.69 Fig.70 Fig.71 Fig.72 Fig.73 Fig.74 Fig.75 Fig.76 idem Elizabeth Taylor 1950 ca. Elizabeth Taylor post 1950 Elizabeth Taylor giovane, mentre si applica il rossetto Copertina disco di Mina en francais anni ‘70 Mina in uno scatto-citazione post 19 Mina agli esordi 1960 (?) Mina con i capelli castani post 1964 Mina 1984 ca idem Mina nel 1976 Uno dei più celebri ritratti di Audrey Hepburn 1961 ca. Audrey Hepburn impersona Holly Golightly in Breakfast at Tiffany’s 1961 Audrey Hepburn anni’50 Audrey Hepburn in «Vogue» aprile 1963 Profilo biografico pubblicato in «Oggi» di Audrey Hepburn 1953 Copertina di «Vogue» raffigurante Audrey Hepburn novembre 1964 Articolo di una rivista italiana riguardante Audrey Hepburn post 1962 Audrey Hepburn Articolo di una rivista italiana riguardante Audrey Hepburn post 1962 idem Copertina di una rivista giapponese dedicata ad Audrey Hepburn anni ‘60 Audrey Hepburn Idem Twiggy agli esordi idem 239 pg.127 pg.127 pg.127 pg.127 pg.128 pg.128 pg.129 pg.130 pg.132 pg.132 pg.133 pg.133 pg.137 pg.137 pg.137 pg.137 pg.137 pg.138 pg.138 pg.138 pg.138 pg.138 pg.138 pg.140 pg.140 pg.140 Fig.77 Fig.78 Fig.79 Fig.80 Fig.81 Fig.82 Fig.83 Fig.84 Fig.85 Fig.86 Fig.87 Fig.88 Fig.89 Fig.90 Fig.91 Fig.92 Fig.93 Fig.94 Fig.95 Fig.96 Fig.97 Fig.98 Fig.99 Fig.100 Fig.101 Fig.102 Fig.103 Fig.104 Manifesto pubblicitario dei cosmetic Yardley Twiggy novembre 1967 Twiggy post 1968 Copertina di «Vogue Paris» 1967 Passaggi salienti del trucco di Twiggy 1967 Particolare degli occhi di Twiggy, da «Seventeen» 1967 Confezione dell’Eye Paint della linea Twiggy by Yardley 1967 Ritratto fotografico di Twiggy Patty Pravo post 1968 idem Patty Pravo anni ‘70 Patty Pravo a Sanremo 2011 Particolare del trucco occhi di Patty Pravo post 1968 Patty Pravo anni ‘80 Cher agli esordi post 1963 Sonny & Cher post 1963 Particolare del truck occhi di Cher Ritratto fotografico di Cher anni ‘60 Cher in un abito cut-out di Bob Mackie 1972 Cher 1974 Cher post 1972 Cher con un acconciatura tipica anni ‘80 Cher versione bruna e bionda anni ‘90 Cher con parrucca rossa e parrucca castana Cher nel 1991 Cher impersona Elvis nel 2002 Madonna photoshooting per l’album American Pie, 2000 Madonna nel 1984 Ritratto di Madonna di Bert Stern 1985 240 pg.141 pg.141 pg.142 pg.143 pg.143 pg.144 pg.145 pg.145 pg.146 pg.148 pg.149 pg.149 pg.150 pg.150 pg.150 pg.151 pg.151 pg.152 pg.153 pg.153 pg.156 pg.156 pg.156 pg.157 pg.157 pg.157 pg.159 pg.159 Fig.105 Fig.106 Fig.107 Fig.108 Fig.109 Fig.110 Fig.111 Fig.112 Fig.113 Fig.114 Fig.115 Fig.116 Fig.117 Fig.118 Fig.119 Fig.120 Fig.121 Fig.122 Fig.123 Fig.124 Fig.125 Fig.126 Fig.127 Fig.128 Fig.129 Fig.130 Fig.131 Ritratto di Madonna di Arthur Elgort 1988 Madonna anni ‘80 Madonna con il cone bra durante il Blonde Ambition Tour 1990 Madonna e Gaultier nel 1990 Madonna alla premiere della pellicola Evita 1996 Scatto fotografico di Mario Testino per l’album Ray of Light 1998 Screen shot tratto dal video di Nothing Really Matters 1998 idem Scatto fotografico di Steven Klein per l’album Hard Candy 2008 Madonna nel 2008 Gina Brooke make up artist di Madonna Anna Oxa in uno scatto per la copertina dell’album Anna non si lascia 1996 Anna Oxa al debutto nel 1978 idem Elisa Calcinari make up artist di Anna Oxa Anna Oxa post 1990 Anna Oxa anni 2000 idem Copertina album Oxa 1985 Anna Oxa al festival di Sanremo 2011 Anna Oxa 2011 idem idem Anna Oxa anni ‘90 idem Kate Moss post 1997 Kate Moss scatto in «Vogue Japan» post 1998 241 pg.159 pg.159 pg.159 pg.159 pg.160 pg.160 pg.161 pg.161 pg.162 pg.162 pg.164 pg.166 pg.166 pg.166 pg.167 pg.167 pg.168 pg.168 pg.168 pg.168 pg.168 pg.168 pg.168 pg.170 pg.170 pg.171 pg.171 Fig.132 Fig.133 Fig.134 Fig.135 Fig.136 Fig.137 Fig.138 Fig.139 Fig.140 Fig.141 Fig.142 Fig.143 Fig.144 Fig.145 Fig.146 Fig.147 Kate Moss per Obsession di Calvin Klein 1997 Copertina di «British Vogue» maggio 2003 Servizio fotografico a cura di Mert & Marcus in «Interview Magazine» 2008 Kate Moss in uno scatto di Mario Testino per la mostra Kate Who? 2010 Kate Moss 2009 Kate Moss per Sephora Fotografia di Kate Moss di Mario Testino per «Vogue Uk» agosto 2011 Statua Siren Microcosmo di Marc Quinn 2008 Lady Gaga 2009 Lady Gaga in un servizio fotografico di Kane Skennar 2008 ca. Lady Gaga con il vestito di carne bovina 2011 Servizio fotografico di Mariano Vivanco su «i-D» Aprile 2011 Lady Gaga al Grammy Awards del 2010 Make up eccentrico di Lady Gaga idem Lady Gaga agli MTV Video Music Aid Japan 2011 pg.172 pg.173 pg.175 pg.176 pg.176 pg.176 pg.176 pg.176 pg.177 pg.179 pg.180 pg.182 pg.183 pg.183 pg.183 pg.183 Capitolo III Fig.1 Fig.2 Fig.3 Ritratto fotografico di Max Factor Manifesto pubblicitario dei cosmetici Max Factor 1935 Manifesto pubblicitario dei rossetti Max Factor raffiguarante Rita Hayworth anni ’40 242 pg.187 pg.188 pg.188 Fig.4 Fig.5 Fig.6 Fig.7 Fig.8 Fig.9 Fig.10 Fig.11 Fig.12 Fig.13 Fig.14 Fig.15 Fig.16 Fig.17 Fig.18 Fig.19 Fig.20 Max Factor mentre sperimenta il “calibro della bellezza” su una modella Manifesto pubblicitario del fondotinta Pancake anni ‘50 Helena Rubinstein nel suo laboratorio post 1902 Manifesto pubblicitario della crema Valaze primo quarto di secolo Manifesto pubblicitario della Hormone Cream 1932 Tabella colori Helena Rubinstein «Sunday news» agosto 1945 Manifesto pubblicitario del Tulip Lipstick 1964 Ritratto fotografico di Elizabeth Arden Manifesto pubblicitario Elizabeth Arden del 1966 Manifesto pubblicitario Call to Perfection Elizabeth Arden «Country Life» 1947 Manifesto pubblicitario Magenta Red Lipstick Elizabeth Arden anni ‘50 Manifesto pubblicitario dello strumento Electric Patter e della Perfection cream 1947 Ritratto fotografico Thomas Lyle Williams nel 1934 Manifesto pubblicitario del Lash-BrowIne raffigurante Viola Dana febbraio 1920 Confezione di mascara Maybelline in cialda post 1917 Manifesto pubblicitario Maybelline “Before and After” anni ‘30 Manifesto pubblicitario Maybelline “Before and After”«Seventeen» gennaio 243 pg.188 pg.189 pg.191 pg.191 pg.193 pg.195 pg.195 pg.196 pg.197 pg.197 pg.198 pg.200 pg.200 pg.201 pg.203 pg.203 pg.204 Fig.21 Fig.22 Fig.23 Fig.24 Fig.25 Fig.26 Fig.27 Fig.28 Fig.29 Fig.30 Fig.31 Fig.32 Fig.33 Fig.34 Fig.35 Fig.36 Fig.37 Fig.38 1948 Manifesto pubblicitario Maybelline “Before and After” «Family Circle» settembre 1963 Manifesto pubblicitario della linea di matite auto-temperanti 1958 Manifesto pubblicitario ombretti Maybelline anni ‘70 Manifesto pubblicitario raffigurante Lynda Carter post 1975 Charles Revson nel 1974 Manifesto pubblicitario smalto Persian Melon post 1950 Manifesto pubblicitario di un kit rossetto e smalto Revlon metà XX secolo Manifesto pubblicitario rossetto Cherries in the Snow 1953 Manifesto pubblicitario Revlon lacca per capelli Satin-Set 1956 Manifesto pubblicitario detergente Clean & Clear 1961 Manifesto pubblicitario tinta per capelli Revlon Colour Up 1961 Ritratto fotografico di Shu Uemura Confezione vintage dell’Unmask Cleansing Oil Esempio di trucco occhi “ Flaggy” Esempio di make up artistico ideato da Shu Uemura Collezione Shu Uemura EthnocolorScope Tokyo Lash Bar 2011 Packaging e grafica della linea Shu Uemura in collaborazione con Mamechiyo 2012 Esempio di make up artistico ideato da Shu Uemura 244 pg.204 pg.205 pg.205 pg.205 pg.206 pg.206 pg.208 pg.209 pg.209 pg.209 pg.209 pg.210 pg.212 pg.212 pg.213 pg.214 pg.214 pg.215 Fig.39 Fig.40 Fig.41 Fig.42 Fig.43 Fig.44 Fig.45 Fig.46 Fig.47 Fig.48 Ritratti fotografici di Frank Toskan e Frank Angelo Shirley Manson, Elthon John e Mary J. Blige testimonial Viva Glam IV estate 2002 Elaborazione grafica che vede protagonista Ru Paul Esempio di make up artistico firmato M.A.C. Scatto fotografico per l’anteprima della collezione Sugarsweet primavera 2009 Fotografia promozionale della collezione M.A.C. Colour Ready Aprile 2009 Ritratto fotografico della make up artist Pat McGrath Foto di Steven Meisel, copertina di «beauty in Vogue» novembre 2004 Look ideato da Pat McGrath per John Galliano anni 2000 idem 245 pg.216 pg.218 pg.218 pg.218 pg.219 pg.219 pg.220 pg.221 pg.221 pg.223 246 BIBLIOGRAFIA ANSELMO STEFANO, La Mina dai mille volti, «Les Nouvelles Esthétiques», Settembre/Ottobre 1994, pp. 140-148. IDEM, Il Trucco nella vita, nell’arte, nello spettacolo, 3 voll., BCM ed., Milano 1995, vol. 2: Il trucco artistico. IDEM, Oxa - Stefano: tredici anni in perfetta intesa, «Les Nouvelles Esthétiques», 1996. IDEM, Una Corsa attraverso i secoli, ivi. IDEM, Il Signor Factor, «Les Nouvelles Esthétiques», 1998, pp. 168-171. 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